L’uomo con la faccia da luna piena scivolò su uno sgabello, oltre la curva del banco, così da trovarsi di faccia a Sweeney. Cominciò: — Avete scritto veramente un buon articolo sul fatto di stanotte, signor Sweeney.
E Sweeney disse: — Contento che vi sia piaciuto.
— Non ho detto che mi è piaciuto — replicò Greene — ho detto che è veramente un buon articolo. È diverso.
— Ma in questo caso particolare — insisté Sweeney — dove sta la differenza?
Doc appoggiò i gomiti sul banco e unì le punte delle dita, rispondendo con aria saggia: — Signor Sweeney, qualcuno può gustare profondamente la descrizione di una donna, qualcun altro può non divertirsi affatto a leggerla. Per esempio, nel caso che la donna sia sua moglie.
— Iolanda Lang è vostra moglie?
— No — rispose l’uomo — io vi portavo semplicemente un esempio, come voi avevate chiesto. Avete già ordinato qualcosa?
Sweeney assentì e Greene, guardando il cameriere, alzò un dito: quello arrivò portando la birra-con-uovo di Sweeney e un bicchiere da whisky per Greene. Quando il bicchiere fu riempito, Sweeney cautamente trasse una mano di tasca e appoggiò le punte delle dita sul banco, poi, con cura, così da non mostrarne il tremito, le spinse lungo il bordo, e infine verso il bicchiere, mentre sorvegliava quegli occhi che sembravano tanto enormi dietro le grosse lenti.
Il sorriso di Greene era scomparso, ma ora riapparve, mentre egli alzava il bicchiere. — Alla vostra cattiva salute, Sweeney.
Le dita di Sweeney si erano aggrappate al bicchiere. — Alla vostra, Doc. — E con la mano ormai ferma alzò il boccale e mandò giù un sorso. Quando ebbe deposto il bicchiere, trasse di tasca anche l’altra mano: la crisi era passata e non tremava più.
Disse, con intenzione: — Forse voi sareste lieto di farmela peggiorare, la salute, Doc. Se volete provare, sarà una gioia compiacervi.
Il sorriso si allargò. — Naturalmente no, signor Sweeney. Da quando sono diventato uomo, ho messo da parte i giochi infantili, come dice il grande poeta.
— È la Bibbia — corresse Sweeney — non Shakespeare.
— Grazie, Sweeney. Voi siete proprio, come io temevo leggendo il vostro pezzo, un uomo intelligente. E anche, come ho temuto leggendo il vostro nome, un irlandese, con la testa dura. Se vi dicessi, veniamo pure al fatto, se vi dicessi di non occuparvi di Iolanda, diventereste ancora più ostinato. — Alzò un dito per farsi riempire di nuovo il bicchiere e continuò: — Qualsiasi accordo sarebbe inutile: anche il dirvi che è inutile da parte vostra cercare di avvicinare la mia, diciamo, cliente. Come voi avete potuto osservare, Iolanda non è priva di fascino. La cosa è stata provata da esperti.
— State facendovi dei complimenti, Doc.
— Forse, e forse no. In ogni caso, non stiamo trattando dei miei rapporti con Iolanda.
Sweeney bevve un altro sorso di birra e rispose: — Ora tocca a me meravigliarmi. Di che cosa stiamo discutendo? Mi pare che non ci siamo incontrati qui per parlare della pubblicità per qualche altro vostro cliente. E voi stesso avete detto che tentare degli accordi sarebbe altrettanto inutile che indicarmi la vanità dei propositi che secondo voi io ho in mente. Allora, perché siete venuto qua?
— Per conoscervi, Sweeney. Quando ho letto il vostro articolo, ho capito, e io sono una specie di psicologo, che voi sareste stato una spina nel mio fianco. C’era nel vostro pezzo un qualcosa di indefinibile… come Dante avrebbe potuto scrivere di Beatrice o Abelardo di Eloisa.
— E Casanova di Ginevra, se fossero vissuti nello stesso secolo. — Sweeney sorrise appena. — Sapete, Doc, mi siete tanto odioso che cominciate a piacermi.
— Grazie — rispose Greene — è proprio quel che anch’io provo per voi; lasciatemi dire che ognuno di noi ammira le capacità dell’altro. O almeno, voi ammirerete le mie, quando mi conoscerete meglio.
— No, le ammiro già, specie la vostra linea di condotta — replicò Sweeney — immensamente. L’unica cosa di voi che odio sono i vostri visceri.
— E speriamo che lo Squartatore non li esponga mai al pubblico — riprese Greene. — Non sembra probabile, dato che finora ha preferito vittime più tenere. — Doc sorrise. — Sweeney, la civiltà non è forse una cosa meravigliosa? Che due uomini possano stare qui seduti a insultarsi, con cordiale sincerità e divertendosi alla conversazione? Se avessimo le abitudini di uno o due secoli fa, uno di noi avrebbe già schiaffeggiato l’altro sulla guancia e uno di noi sarebbe destinato a morire molto prima che il sole di domani indori l’orizzonte.
— Bellissima immagine, Doc — ammise Sweeney. — Mi piacerebbe tanto. Ma le autorità sono piene di decisione in proposito. Perciò torniamo a Iolanda. Ritengo che voi abbiate letto con grande intuizione fra le righe del mio resoconto. Che cosa avete intenzione di fare? Avete qualche progetto?
— Naturalmente: per prima cosa, metterò sulla vostra strada ogni possibile ostacolo. Avviserò Iolanda di stare in guardia contro di voi, non in modo evidente, è ovvio, ma con astuzia, e le farò credere che voi siete uno sciocco. E voi sapete bene di esserlo.
— Sì — disse Sweeney. — Ma Iolanda può anche non prendere in considerazione l’avviso, dato che proviene da un bastardo come voi. E voi sapete bene di esserlo.
— Il vostro potere di intuizione, Sweeney, mi sorprende addirittura. Guardate il caso, lo sono veramente, nel senso letterale della parola. È molto probabile che lo sia anche in senso figurato, ma ciò non ha alcuna importanza. Dovrei dire forse, soltanto, che c’è una forte probabilità che io sia nato da una coppia non regolarmente coniugata; per quanto ne so io con sicurezza, sono stato allevato in un orfanotrofio. Quel che sono oggi, è poi opera mia.
— Soltanto voi potevate essere capace di compierla — concesse Sweeney.
— Voi mi lusingate. Non vi chiedevo un complimento. Ma questa è una digressione. Oltre a mettervi degli ostacoli, io vi aiuterò.
— Adesso mi confondete davvero! — esclamò Sweeney.
— Voi volete trovare lo Squartatore. È logico che ci proviate, prima perché siete giornalista, poi, ed è più importante per voi, perché pensate che questo vi aprirà la strada per arrivare a Iolanda. Il tentare vi porterà immediatamente a contatto con la ragazza, un contatto forse non così intimo come voi vorreste, ma sempre una buona scusa per vederla e parlarle. E quindi pensate che se riuscirete a trovare lo Squartatore, le apparirete come un eroico conquistatore e Iolanda vi cadrà fra le braccia. Dico bene?
— Continuate a parlare — rispose Sweeney — come se avessi bisogno di suggerimenti!
— Bene, avete dunque due ottime ragioni per trovare l’assassino. E io ne ho due ottime per aiutarvi. Una — e alzò un dito grassoccio — se lo trovaste, quello potrebbe anche infilarvi nello stomaco un coltello. E credo mi farebbe molto piacere. Anch’io odio i vostri visceri, caro Sweeney.
— Grazie di cuore.
— Seconda ragione — e un altro dito raggiunse il primo — la polizia può anche vedere giusto, quando teme che l’assassino ritorni per farla finita con Iolanda. Nonostante che Iolanda, come riportano tutti i giornali, non sia in grado di riconoscerlo, potrebbe decidere di correre il rischio per poi essere del tutto al sicuro. E questo non mi piacerebbe.
— Lo capisco perfettamente — disse Sweeney — e come motivo mi piace molto di più del primo.
— Inoltre, Sweeney, non credo affatto che il trovare l’assassino vi serva per avvicinarvi a Iolanda. Per lo meno, mi permetto dei dubbi.
— Certo, Doc. Un piccolo particolare, ancora: la polizia di Chicago mi supera in modo considerevole quanto a numero di uomini in forza. Ora, proprio per curiosità, vorrei sapere che cosa vi fa pensare che io col mio piccolo calibro possa riuscire là dove ha fallito l’intera armata blu.
— Perché siete un dannato irlandese furbo, perché siete un po’ un predestinato: lo avevo supposto da qualche frase del vostro articolo e ora lo so con precisione. E perché Iddio ama gli sciocchi e gli ubriaconi e voi avete entrambi i loro difetti. E forse anche perché nascondete sotto un aspetto banale un cervello diabolicamente acuto, Sweeney; altra cosa che io prima sospettavo soltanto e che ora so con certezza. E in voi c’è una sottile abilità che vi porterà in luoghi dove la polizia non penserebbe di andare, come quel contadino che ritrovò il cavallo smarrito, immaginando di essere lui stesso un cavallo e di andare dove sarebbe andato un cavallo. Non che io voglia paragonarvi a un cavallo, Sweeney. Per lo meno non completamente.
— Grazie: concludendo, sono un somaro con un cervello diabolicamente acuto. Ditemi ancora qualcosa, per favore — disse Sweeney, con un certo risentimento.
— Credo che potrei continuare, perché sono davvero uno psicologo, Sweeney, pur non esercitando la professione. Un caso disgraziato mi buttò tutto in aria durante il mio ultimo anno di internato: avevo pensato che la satinasi dovesse essere la cura più logica per la ninfomania e dato che un nostro paziente era affetto da satiriasi a uno stadio avanzato, mi presi la libertà di introdurlo nella stanza di un’altra paziente affetta da forte ninfomania, lasciandoli insieme per lungo tempo. Ma i miei superiori fecero un chiasso terribile sulla faccenda.
— È piuttosto comprensibile — rispose Sweeney.
— Se poi avessero soltanto immaginato tutti gli altri miei esperimenti che non furono scoperti! Ma non cambiamo discorso.
— Infatti: stavate parlando di aiutarmi a trovare lo Squartatore. Perciò, cominciate ad aiutarmi.
Greene allargò le mani. — Non è molto, perché non è che io abbia nome e indirizzo dell’assassino nel mio notes, pronti da indicarvi. Intendevo dire soltanto che lavorerò volentieri insieme a voi, Sweeney, e vi rivelerò alcuni dati ed elementi che possiedo. Poi, visto che desiderate parlare con Iolanda, vedrò di ottenervelo, poiché vi sarebbe difficile riuscirci con la polizia all’erta, come sarà in questi giorni. — Guardò l’orologio e concluse: — Purtroppo, adesso non ho tempo di fermarmi, ho un appuntamento d’affari. Si deve anche mangiare a questo mondo. Potreste trovarvi qui domani, all’incirca alla stessa ora, Sweeney?
Sweeney aggrottò la fronte. — Non so. Forse mi fate perdere tempo. Avete veramente qualcosa da darmi?
— Ho Iolanda — rispose Greene. — Domani sarà dimessa dall’ospedale. La condurrò con me qui. Ci sarete, vero?
— Naturale, che ci sarò — disse Sweeney.
— Bene. Dovremo vederci spesso, noi due, perciò tralasciamo le formalità. Non diciamoci falsi arrivederci. Le mie due bibite vanno sul vostro conto. Grazie e andate all’inferno. — E si allontanò.
Sweeney trasse un lungo, lento respiro. Il barista arrivò subito. — È un dollaro e venticinque. Non bevete la birra?
— No, gettatela nel lavandino. Ma portatemi un whisky.
— Liscio o con soda?
— Liscio.
Sweeney pose due dollari sul banco e quando il barista tornò disse: — Un bel tipo, quel Doc Greene.
— Oh, altro che tipo!
— Quello che mi ha colpito sono i denti — continuò Sweeney — sembravano proprio suoi, perché non erano abbastanza regolari da essere falsi. Ma come diamine riesce ad avere denti simili un tipo come lui?
Il barista rise. — Forse sarà per gli occhi. Da ipnotizzatore: credo che ci voglia un bel coraggio per giocare un tiro a Doc. Io non mi mischierei mai nelle sue storie. Ed è incredibile come le donne gli corrano dietro. Non lo si crederebbe mai.
— Anche Iò? — domandò Sweeney.
— Di Iò non saprei. È una donna difficile da capire.
Prese i due dollari di Sweeney, batté alla cassa uno scontrino da uno e ottanta e gli mise sul banco il resto. Sweeney vi aggiunse altri venticinque centesimi e disse: — Bevine uno con me.
— Certo, grazie.
— Alla salute — disse Sweeney. — Dimmi, chi dirige adesso l’“El Madhouse”? Appartiene ancora a Harry Yahn?
— Appartiene a Yahn, almeno per la maggioranza, ma non lo dirige lui. Lui ha preso un altro locale.
— Del genere zuccherino, come questo?
Il barista sorrise debolmente. — Non questo genere.
— Oh! — esclamò Sweeney — allora sarà un piccolo bar, con una grande sala sul retro, e se si conosce un tale che si chiama Joe e che sta alla porta, si può perdere nel retro anche la camicia.
La bionda grassoccia all’estremità del banco batteva con impazienza il bicchiere sul ripiano. Il barista sussurrò: — Il tizio alla porta si chiama Willie — e scivolò via a portar da bere alla bionda.
Dopo aver finito il suo bicchiere, Sweeney si alzò e uscì per Clark Street nel crepuscolo. Si diresse a sud, verso il Loop, camminando piano, senza meta, cercando di riflettere, senza riuscirvi. Conosceva bene quello stadio della ripresa, quando la mente era confusa e i suoi pensieri si muovevano come fantasmi in una fitta nebbia, mentre le sensazioni fisiche giungevano con una vivezza abbagliante: i clacson delle automobili e i campanelli dei tram erano spaventosamente rumorosi; gli occhi mettevano a fuoco perfetto ogni oggetto; gli odori, che di solito neppure notava, avevano una forza nauseante.
Doveva mangiare a qualunque costo, e presto, per riprendere le forze. Soltanto una certa quantità di cibo solido avrebbe dissipato la nebbia dal cervello e liberato lui dalla sensazione di leggerezza e dalla prostrazione fisica che stava per penetrargli fin nelle ossa. Tutte queste percezioni e l’emicrania martellante lo accompagnavano ancora. E pensò a quanto sarebbe stato bello morire, senza sforzo e senza dolore, senza neppure avvedersene: addormentarsi e non svegliarsi più. Anche dormire è un bene, ma poi vi dovete sempre svegliare per ritrovarvi nella confusione e nella complicazione e in quelle mille piccole sofferenze, che di quando in quando maturano in una grande sofferenza, alla quale soltanto l’immergersi nell’alcol dà sollievo.
Ma in quel momento non si trattava precisamente di questo. Quell’unico whisky bevuto all’“El Madhouse” non gli aveva dato il desiderio di berne un altro, non gli aveva né schiarito né confuso la mente e non aveva nemmeno avuto un sapore, buono o cattivo che fosse. Sul ponte, quando infine vi giunse, si sentì meglio. Ci soffiava una brezza fresca ed egli sostò a contemplare il fiume, lasciando che il vento lo colpisse. Quando si voltò per tornare indietro, scorse un taxi vuoto e si fece portare a casa.
Quando fu nella sua stanza, prese dal letto la pila dei giornali e si sdraiò in poltrona. Trovò l’articolo sul primo assassinio, quello di Lola Brent: mezza colonna in seconda pagina, ma pochi particolari. Non si faceva cenno allo Squartatore. Era la storia di una donna, e una donna poco importante, d’altronde, che era stata trovata morta nel passaggio tra due edifici della Trentottesima Strada. L’arma usata era stata un rasoio o una lama sottile di coltello. L’assassinio era avvenuto tra le quattro e le cinque del pomeriggio, in pieno giorno. Non vi era stato nessun testimone e il cadavere era stato scoperto da un bambino che tornava a casa dal campo di gioco. La polizia era alla ricerca dell’uomo con cui Lola Brent conviveva.
Sweeney prese il secondo giornale, dove il fatto era presentato con maggior rilievo, ed era accompagnato da due fotografie. Una era di Lola Brent: bionda e bella. Non mostrava i trentacinque anni che le si attribuivano nel resoconto, gliene avreste dato poco più di venti. L’altra fotografia ritraeva l’uomo arrestato dalla polizia, Sammy Cole: aveva capelli neri, ricci e una faccia simpatica. Aveva negato di aver ucciso Lola Brent ed era stato trattenuto in attesa di accertamenti.
Il resoconto del terzo giorno era un breve riassunto, in cui l’unica novità proveniva dalle ammissioni di Cole rispetto ad alcune accuse minori che gli venivano mosse. Gli altri giornali dei giorni seguenti non portavano nulla di nuovo. Poi il caso di Lola Brent sembrava fosse caduto nel silenzio, senza alcuna soluzione. Negli ultimi due giorni della serie settimanale di due mesi prima, non se ne parlava più. E non ci poteva essere nulla, come sapeva Sweeney, nei giornali relativi alle cinque settimane e mezzo che lui non si era procurato. Prese allora in mano la serie dei giornali di dieci giorni prima e diede una rapida scorsa ai resoconti dell’assassinio di Stella Gaylord, la ragazza di Madison Street. Non cercò i particolari, perché voleva concentrarsi su un solo delitto per volta: per il momento, cercava una possibile citazione della morte di Lola Brent. La trovò nell’articolo del secondo giorno dopo la morte della Gaylord, quando per la prima volta si suggeriva l’ipotesi che il delitto potesse essere stato commesso da un maniaco, forse quel medesimo che sei settimane prima aveva ucciso la Brent. Il pezzo del giorno seguente era lo sviluppo di questa supposizione, con un confronto descrittivo delle ferite inferte alle due donne: entrambe erano state uccise con un colpo vibrato orizzontalmente all’addome, ma l’arma non era la stessa nei due casi. Il coltello che aveva ucciso la Brent non era stato più affilato del normale, mentre la lama che aveva colpito la Gaylord era un filo di rasoio.
Sweeney sorvolò rapido i resoconti degli altri giornali, cercando soltanto ulteriori particolari sul caso Brent; un’idea alla volta era il massimo che la sua mente potesse concepire e assorbire nelle condizioni in cui si trovava. A quanto sembrava, non c’era stata più alcuna scoperta rilevante nel caso Brent. La polizia non era ancora proprio sicura che l’uccisore della Brent fosse il medesimo pazzo omicida, assassino della Gaylord e, dopo altri cinque giorni, di Dorothy Lee. Ma per le ultime due non c’era dubbio che fossero state colpite dalla stessa mano.
Sweeney depose l’ultimo giornale, il più recente, e cercò di raccogliere le idee e di pensare. Ora sapeva tutto quello che era stato rivelato ai giornali sulla morte di Lola Brent, ma non gli serviva a niente. D’altra parte, che cosa poteva servirgli, se non un colpo di fortuna, per andare alla caccia di un omicida che ha ucciso senza motivo? Senza un motivo speciale riferibile alla vittima e non in modo generico a qualunque donna bionda e bella. Ecco, questo era un punto in comune: le tre vittime, così come Iolanda Lang, erano tutte bionde e belle.
Sweeney andò al telefono nell’atrio e formò un numero. Quando ebbe trovato l’uomo che cercava, domandò: — Sammy Cole, quello che viveva insieme alla Brent, quando era al mondo, è sempre in carcere qui a Chicago?
— Sì — gli rispose il suo interlocutore. (Non posso rivelarvene il nome, perché fa ancora quel mestiere, ci si trova bene e lo metterei nei guai. Sweeney, vedete, sapeva qualcosa su di lui: di solito non si pensa che i giornalisti sappiano cose importanti sui pubblici ufficiali, invece accade spesso.) — Sì, è ancora dentro. Potremmo averlo rilasciato, ma le sue note stanno ancora arrivando e, ogni volta che stiamo per mollarlo, dobbiamo fermarlo per un’accusa di frode.
— Vorrei parlargli — disse Sweeney — questa sera stessa.
— Stasera? Ma senti, Sweeney, non puoi aspettare domani, nelle ore regolamentari? Sono già passate le sette e…
— Pensaci tu — replicò Sweeney — io prendo un taxi e arrivo.
Ecco come, circa mezz’ora dopo, Sweeney sedeva sul tavolo del custode, e Sammy Cole su una sedia di paglia davanti a lui. Erano soli nella stanza. Stando alla fotografia che Sweeney aveva osservato poco prima sul giornale, Sammy Cole era riconoscibile, per quanto molto a stento. I capelli erano neri, ma tagliati troppo corti per vederne i ricci, e la faccia era rudemente desolata, invece che rudemente simpatica.
— Io a loro gliel’ho detto — diceva Sammy Cole — gliel’ho detto ogni dannato giorno. Ho sputato fuori tutto di me perché avrei proprio voluto vederlo prendere quello che mi ha conciato Lola in quella maniera. Poteva anche darsi che fosse uno immischiato in qualcosa che lei faceva, no? Perciò io ho sputato fuori tutto, e che cosa me ne è venuto? Tanti guai che quando uscirò di qua, e se uscirò, andrò a vendere matite!
— Brutta storia! — disse Sweeney e, traendo di tasca una busta e una matita, scrisse: Vuoi bere qualcosa? e porse il messaggio a Sammy.
— Gesù Cristo! — esclamò Sammy Cole, non senza profondo rispetto. Per chiunque fosse stato ad ascoltare, era una risposta oscura, ma Sweeney prese dalla tasca posteriore la bottiglia che aveva comperato in drogheria e che era ancora piena per tre quarti, e la porse a Sammy. Sammy gliela restituì vuota e, pulendosi le labbra col dorso della mano, domandò: — Che cosa volete sapere?
— Non lo so — rispose Sweeney — è questo il problema: che non lo so nemmeno io. Ma da qualche parte devo ben cominciare. Quando hai visto Lola per l’ultima volta?
— Quella mattina stessa, mi pare, verso mezzogiorno; quando stava andando a lavorare.
— A lavorare? Eri ridotto così a terra da mandare a lavorare lei?
— Insomma… sì e no. Io mi stavo occupando di un affare che prometteva di essere piuttosto grosso, perché ero stanco del piccolo lavoro, fatto tanto per mangiare. Il progetto che avevo, poteva darci una sistemazione, se andava bene, e mandarci a passare l’inverno in Florida. Potete anche ridere, ma ero deciso a rigare diritto dopo il colpo. Per Lola, perché a lei non piacevano i colpi. Per questo lei provvedeva al necessario, mentre io preparavo il piano.
— Anche lei aveva da lavorare in questo piano?
— No. Ero soltanto io. Ma per lei avevamo trovato un lavoretto piccolo, tanto per gli spiccioli, che ci fruttava un centinaio di dollari alla settimana, all’incirca. Quando è morta, si occupava proprio di quello.
— Dove? Che lavoro era?
Sammy Cole si passò la lingua sulle labbra e si chinò con sguardo interrogativo verso la tasca di Sweeney, ma questi scosse la testa e allargò le mani. Sammy sospirò e riprese a parlare. — Era un negozio di articoli da regalo, in Division Street. Si chiama “Da Raoul”. Era il primo giorno che ci lavorava, perciò non ne so che quel poco che mi ha raccontato il giorno prima, quando era andata a presentarsi, e quel che ho visto io alle sei, quando sono andato a dare un’occhiata, come eravamo d’accordo, per il lavoro: quel “Raoul” è una miniera di roba!
— Che cosa significa come eravamo d’accordo per il lavoro? È in relazione con il lavoro di Lola il fatto che tu ci andassi alle sei?
— Il lavoro era organizzato così: Lola doveva trovare un posto di commessa, possibilmente dove si facessero poche vendite grosse. In genere erano negozi piccoli, dove lei restava sola per un poco, mentre il padrone andava a mangiare o a spasso. Dagli incassi, lei toglieva dieci, cinquanta dollari, secondo quel che le sembrava opportuno in base alle vendite. Lavoravamo sul sicuro, perché volevo che lei stesse fuori da tutte le grane. Io entravo nel negozio all’ora che avevamo stabilito prima e lei mi passava il malloppo. Non lo teneva mai su di sé per più di qualche minuto: dopo averlo preso, lo nascondeva in qualche buco e lo tirava fuori un attimo prima che io arrivassi. Una cosa sicura come mangiare un uovo. Quando vedeva che il padrone cominciava ad avere dei sospetti, filava. Non lavorava in nessun posto per più di pochi giorni e poi stava lontano dai dintorni per un bel pezzo. Insomma, avete capito come funzionava.
Sweeney fece segno di sì.
— Dunque, il posto da “Raoul” lo aveva ottenuto il giorno prima.
— Come?
— Un annuncio sul giornale. Avevamo pronte buone referenze, perché quello era affar mio. L’annuncio era sul giornale della mattina. Lei si è presentata nel pomeriggio e doveva cominciare il lavoro il giorno dopo, a mezzogiorno: il negozio faceva orario continuato fino alle nove di sera, e lei doveva starci dal mezzogiorno alle nove, con un’ora per il tè dalle quattro alle cinque.
— Come mai non vi eravate messi d’accordo per incontrarvi fuori in quell’ora?
Sammy Cole contemplò Sweeney con disprezzo. — Guarda l’ingenuo! Primo, sarebbe dovuta uscire con il malloppo addosso, ed era un rischio. Secondo, se il padrone la mandava fuori dalle quattro alle cinque, voleva dire che lui sarebbe andato fuori dopo le cinque, per cui il momento migliore per fare il lavoretto era per lei tra le cinque e le sei. Io dovevo passare di lì alle sei: se il vecchio era ancora fuori, bene, se era in negozio, poteva lo stesso passarmi la roba. In quei casi, io comperavo un affare qualunque da pochi soldi e lei infilava il malloppo nel pacchetto. Sicuro come mangiare un uovo.
— Così, tu ci sei andato alle sei?
— Infatti. Ma lei non c’era, e io ho immaginato che fosse successo qualcosa. Ho telefonato a casa, ma quando ho sentito rispondere da un poliziotto, ho attaccato immediatamente e ho girato al largo. Non che immaginassi quel che era successo, ma ho pensato che l’avessero presa in una retata, e allora era meglio che io stessi al largo per cercare di tirar fuori lei. All’inferno, se ero attaccato a quella ragazza! Avrei mandato all’aria qualunque colpo per metterla al sicuro, e per tirarla fuori avrei anche ammazzato qualcuno. E questi imbecilli pensano ancora che l’abbia uccisa io! Gesù Cristo!
— Quando hai scoperto l’accaduto?
— I giornali della mattina. Ero in un albergo e sono quasi diventato matto perché l’unica cosa che riuscivo a pensare era di trovare quel figlio di puttana che l’aveva ammazzata e ridurlo in poltiglia, un po’ per volta. Ma non sapevo come fare a cercarlo, senza cascare nelle mani dei poliziotti, e, se ci fossi cascato, non avrei più potuto fare un cavolo. Tutto quel che ero arrivato a decidere era di stare al riparo finché il chiasso fosse passato, ma è chiaro che ero troppo sottosopra e non sono stato abbastanza attento, perché mi hanno preso, e adesso, prima che io esca di qui, quel porco sarà morto di vecchiaia. Perciò, con tutto che Cristo Dio sa se io odio la polizia, ho sputato tutto a loro, ho fatto tutto quel che ho potuto, con la speranza che almeno servisse a dargli una traccia. — Sammy Cole si allungò sulla sedia con aria stanca e sospirò, chiedendo: — Ce l’avresti una sigaretta?
Sweeney gli porse un pacchetto di sigarette e una bustina di fiammiferi. — Tienli pure, Sammy. E dimmi, se non ti avessero preso, che cosa avresti fatto? Da dove avresti cominciato?
— Col padrone, da “Raoul”. Forse c’entra per qualcosa, e forse no, ma lo avrei spulciato tutto finché fossi stato sicuro.
— Che cosa potrebbe essere accaduto nel negozio? Che l’abbia pescata mentre prendeva il malloppo di una vendita? O qualcosa di simile? Deve averla buttata fuori, se lei è andata a casa ed è stata trovata nel passaggio di casa vostra.
Sammy Cole disse: — Questo non lo saprei. I poliziotti mi hanno interrogato, ma non mi hanno detto niente. Tutto quello che so è quel che dicevano i giornali, e dopo, di giornali non me ne hanno dati più: qui si possono avere i giornali e tutto il resto, se si hanno quattrini. Ma io sono all’asciutto.
Sweeney gli tese un biglietto da dieci dollari. — Dimmi, potrebbe darsi che Lola avesse rubato della merce? Forse anelli o qualcosa del genere? Quei negozi spesso hanno una quantità di piccoli oggetti di valore.
Sammy Cole scosse la testa energicamente, rispondendo: — Lo escludo. Posso garantire che non lo ha fatto. Glielo avevo cacciato in testa ben chiaro: troppi pericoli, troppo facile esser presi, troppo facile lasciar tracce, e troppo difficile ricavare più della ventesima parte del valore che avete in mano. Neanche un paio di orecchini. Glielo avevo detto ben chiaro.
— Di che genere era il colpo grosso a cui stavi lavorando? Potrebbe esserci stata presa in mezzo?
— No, assolutamente. Io non ho confessato niente di quello, perché ero in coppia con un altro e non ho voluto tirarlo in ballo. I poliziotti non sono riusciti a tirarmi fuori niente, perché non sono un idiota. E soprattutto è impossibile che la faccenda entri in quella di Lola: né il mio collega, né l’altro con cui avevamo a che fare, la conoscevano o sapevano della sua esistenza. E lei sapeva molto poco di loro. Perché io le avevo parlato del colpo, ma senza particolari e senza nomi. Capito?
— Bene, Sammy, grazie — disse Sweeney. — Credo di non poterti essere utile in nulla, ma ti terrò informato. Ciao.
Procurò una viva sorpresa al ladruncolo, stringendogli la mano, e uscì dalla stanza, salutando con un cenno del capo il guardiano che aspettava fuori.
Un orologio nel corridoio lo informò che erano le otto e un quarto ed egli restò ad attendere fuori delle carceri l’arrivo di un taxi. Quando ne arrivò uno, vi salì e disse: — Division Street. Il numero lo cercheremo, mentre andremo in su per la strada: l’ho dimenticato. È un negozio che si chiama “Da Raoul”.
L’autista si mise a ridere. — Lo conosco. Il padrone è uno di quelli… Una volta voleva provare anche con me… Dite, ma voi non siete per caso… — si voltò a scrutare Sweeney. Poi riprese: — No, non siete voi — e tornò a occuparsi del volante.