L’“El Madhouse” era affollato e a Sweeney parve strano non averlo previsto. Con tutta la pubblicità che era stata fatta intorno a Iolanda Lang, Sweeney pensò che avrebbe dovuto immaginare la folla raccolta nel locale. Entrando, poté scorgere fermo alla porta interna il cameriere che allontanava i clienti. Sopra alle spalle del cameriere, vide che c’era un numero di tavoli maggiore del solito, addossati l’uno all’altro nel salone, e tutti erano affollati.
Un’orchestra di tre elementi, né buoni né cattivi, stava suonando in fondo al salone, e una donna con un sasso in gola cantava una complicata canzone che doveva essere il primo numero del programma. Dalla sala esterna, con il bar, era però impossibile scorgere il palcoscenico.
Sweeney grugnì disgustato, ma Bline lo prese sottobraccio e lo condusse verso un tavolo da cui si alzava in quel momento una coppia. Conquistarono le sedie e Bline disse: — Non abbiamo bisogno di entrare subito: lo spettacolo è appena cominciato e Iolanda non comparirà per altri quaranta minuti.
— Sa il diavolo come riusciremo ad arrivarci, là. A meno che… Iolanda stessa mi ha invitato a venire, e forse ha avuto più buon senso di me e mi avrà prenotato un tavolo. Vado a vedere; voi potete intanto tenermi il posto… — e fece il gesto di alzarsi.
— Sedetevi e state calmo — disse Bline — siete scortato dalla polizia e possiamo entrare là dentro quando vogliamo, anche se per noi dovessero mettere le sedie sopra i tavoli. Però non credo che lo dovranno fare; ho detto a uno dei ragazzi di riservarmi un posto e ci potremo aggiungere un’altra sedia per voi.
Afferrò al volo per un braccio un cameriere che passava, dicendo: — Mandami Nick, per favore, subito.
Il cameriere cercò di liberarsi. — Nick è occupato. Stiamo tutti diventando matti, stasera. Bisogna che voi…
La mano libera di Bline fece balenare per un attimo la piastrina d’argento dietro il bavero della giacca, mentre ripeteva: — Mandami Nick.
— Chi è Nick? — domandò Sweeney, mentre il cameriere svaniva tra la folla.
— È il gerente del locale, a nome di Yahn — sogghignò appena. — Non che io abbia proprio bisogno di vederlo, ma è l’unica maniera per ottenere da bere subito. Che cosa prendete?
— Whisky. Forse dovrò comperarmi anch’io una di quelle placche. È un buon sistema, se funziona sempre.
— Funziona — rispose Bline, e alzò gli occhi verso un uomo vivace e tarchiato che si avvicinava al tavolo. — Ehi, Nick. Tutto sotto controllo?
L’uomo tarchiato brontolò, in risposta: — Se non ci fossero tanti piedipiatti si starebbe meglio. Quattro poliziotti in sala portano già via posto abbastanza, e adesso arrivate anche voi!
— C’è anche Sweeney, Nick. Questo è Sweeney, del “Blade”, è venuto anche lui. Non puoi trovare una sedia in più anche per lui?
Nick sorrise e Sweeney a quel sorriso si aspettava che addirittura si fregasse le mani in segno di gioia. Invece si limitò a porgerne una a Sweene. — È tutto a vostra disposizione, signor Sweeney. Ho letto il vostro articolo. Ma ci è anche costato.
— Diavolo, e come?
— Greene. Ci sta facendo pagare bene l’importanza che ci dà la sua cliente. — Si volse ad afferrare al volo un cameriere, lo stesso che Bline aveva trattenuto poco prima. — Che cosa bevete, signori?
— Whisky e soda per tutti e due — disse Bline.
— Portane tre, Charlie, e in fretta — disse Nick al cameriere, poi aggiunse: — Un momento solo, vado a procurarmi una sedia. — Ne trovò una in qualche angolo e sedette al tavolo di Sweeney finché giunsero le bevande.
— E come fa Greene ad alzarvi i prezzi? Non ha un contratto la Lang? — domandò Sweeney.
— Certo che lo ha, per altre quattro settimane. Ma…
Sweeney lo interruppe brusco. — Greene mi ha detto per tre.
— Greene non dice la verità nemmeno per scommessa, anche quando non è necessario mentire, signor Sweeney. Se fossero state tre settimane, vi avrebbe detto quattro. Dunque, la ragazza ha il contratto fino al cinque settembre, ma c’è una clausola a parte.
— Come molti contratti — osservò Sweeney.
— Già. Secondo questa clausola, la Lang ha diritto a non lavorare se è ammalata o indisposta, e Greene ha ottenuto che uno dei medici dell’ospedale le rilasciasse un certificato secondo il quale per lo choc subito non dovrebbe lavorare per una o anche due settimane.
— Ma dovrebbe venir pagata nel periodo di interruzione?
— Certo no. Ma guardate quel che guadagnamo se lei lavora, guardate la gente che c’è stasera, ed è anche di quella che spende. Visto che Doc ci teneva per il collo, abbiamo dovuto offrire un extra enorme che le facesse dimenticare lo choc. Un extra… quel che Doc chiama un regaletto.
— Ma è in condizioni di ballare, stasera? — domandò Sweeney. — Perché ha veramente sofferto per lo choc, l’ho ben visto sulla sua faccia quando si è alzata nell’atrio.
— Non avete parlato della sua faccia, nel pezzo!
— Ma l’ho vista. Prima che il cane tirasse la cerniera del vestito. Di’, Nick, come mai sotto quel vestito non aveva neppure un paio di slip e un reggiseno? Non ho pensato di chiederlo prima, ma, a meno che la polizia non abbia cambiato le sue norme, avrebbe dovuto indossarli, per lo spettacolo.
— Non li aveva davvero? Credevo che voi aveste un poco esagerato per migliorare il pezzo.
— Dio m’aiuti se l’ho fatto — dichiarò Sweeney.
— Bene, può anche darsi. Noi qui abbiamo un bello spogliatoio con doccia, e mercoledì era una serata caldissima. È probabile che dopo l’ultimo spettacolo abbia fatto una doccia e non abbia voluto infilarsi nulla sotto il vestito per andare soltanto fino a casa a dormire. O qualcosa del genere.
— Se fosse stato qualcosa del genere, non sarebbe stata sola — notò Sweeney — ma qui usciamo dall’argomento. Non è un po’ presto perché ricominci a lavorare?
— No. Se anche ha avuto lo choc, le è passato con la notte di sonno. La graffiatura era proprio soltanto una graffiatura: ha un cerotto lungo sei pollici sopra la ferita, è quello che i clienti pagano per vedere. — Spinse indietro la sedia e si alzò. — Ora ho da fare. Volete entrare? C’è da aspettare ancora una mezz’ora, ma lo spettacolo non vi annoierà troppo.
La voce di un fantasista che raccontava spiritosaggini, giungeva dalla sala, e tanto Sweeney che Bline scossero il capo. — Quando vorremo entrare, vi chiameremo.
— Certamente, intanto vi manderò altre due bibite.
Se ne andò, riportando la sedia nel posto in cui l’aveva presa.
Sweeney domandò a Bline: — Iolanda fa un numero solo?
— Adesso sì. Prima del fattaccio ne faceva due. Un ballo vero e proprio come primo numero e poi il numero del cane. Ma Nick mi ha detto oggi pomeriggio che nell’accordo nuovo hanno deciso che farà solo il numero del cane in ogni spettacolo. Non che questo importi molto, perché avranno sempre una folla così a vederla, sia che faccia un numero o due. Arrivarono i loro bicchieri, e Bline, dopo aver contemplato il proprio per qualche istante, squadrò apertamente Sweeney. — Forse sono stato un po’ troppo rude con voi, stasera, Sweeney. In taxi, voglio dire.
— Sono stato contento che vi siate comportato così — rispose Sweeney.
— Perché? Così potrete attaccarmi sul “Blade” con la coscienza tranquilla?
— Non per questo. Per quanto ne so io, voi non meritate nessun attacco, per il modo con cui avete condotto l’inchiesta. Ma ora posso tenervi testa con la coscienza tranquilla.
Bline corrugò la fronte. — Non potete negare l’evidenza, Sweeney. Che cosa significa tenermi testa? — Si piegò in avanti, improvvisamente attento. — Avete forse notato qualcosa, ieri notte, in State Street, di cui non avete parlato nell’articolo? Avete riconosciuto forse qualcuno o avete visto qualcosa di sospetto? Se è così…
— No. Su questo ho detto la verità e nient’altro che la verità. Cioè, se occupandomi della faccenda e facendo i miei interrogatori e le mie ricerche ho messo le mani su qualcosa che voi non avete osservato, è affar mio. Almeno fino a quando io non abbia raccolto abbastanza da battervi nel risolvere il caso.
Bline disse: — Decidiamo subito e qui come stanno le cose. Mi date la vostra parola d’onore di rispondere sinceramente a una domanda?
— Se risponderò, sarà sinceramente. Purché la domanda non sia per caso se io sono lo Squartatore!
— No. Se lo siete, non posso aspettarmi una risposta sincera. Perciò vi pongo la domanda, supponendo che non lo siate. Ma, perdio, vi assicuro, Sweeney, che se non mi rispondete, “Blade” o non “Blade”, vi schiaffo dentro e vi faccio sputare tutto. E lo stesso succederà se mi raccontate una storia. Voi avete scoperto o presumete di scoprire chi sia lo Squartatore? Di vista o di nome, potete sospettare di qualcuno?
— No, con esattezza no. Tranne Doc Greene, e per lui non ho un briciolo di prove, se non che vorrei che fosse lui.
Bline si riappoggiò allo schienale della sedia, esclamando: — Allora, va bene. Ho tutto un gruppo di uomini alle mie dipendenze per questo lavoro e in più ho l’intero corpo di polizia pronto a dare una mano. Se voi avete trovato qualcosa che noi non abbiamo visto, è un vostro gioco. È facile che vi procuri un coltello nello stomaco, ma anche questo è affar vostro.
— Allora andiamo d’accordo, capo. E per queste parole amichevoli, specialmente riguardo al coltello, vi perdonerò di avermi sottratto rasoio e temperino, senza avvertirmi, e vi perdonerò di avermi fatto morire di spavento quando me ne sono accorto. Perché non mi avete lasciato un messaggio per spiegarmi la faccenda?
— Volevo vedere la vostra reazione, Sweeney. Se voi foste stato lo Squartatore, non trovandoli, vi sareste spaventato molto di più, avreste fatto un passo falso e vi avremmo preso. Sapete, Sweeney, ho deciso proprio che voi non siete lo Squartatore.
— Molto gentile da parte vostra, capo. Ma vi sfido a dirlo a tutti i vostri ragazzi. Perché, logicamente, sono stato seguito, finché pensavate che lo fossi.
— Oggi sì. Ieri non ci sono riusciti. Ma adesso credo che vi toglierò l’angelo custode, tanto più che ormai ne siete al corrente.
— Io vi suggerirei di passarlo a Doc Greene. Dite, non è stato per caso un discorsino di Doc a suggerirvi per la prima volta l’idea di sospettare me?
Bline sorrise. — Come vi volete bene voi due! E questa è già una risposta alla vostra domanda. Bene, ora che ne direste di entrare? Fra dieci minuti sarà il suo turno.
Trovarono Nick ed egli li guidò oltre il grosso cameriere che sorvegliava la porta. Mentre si facevano strada faticosamente negli stretti passaggi fra i tavoli, c’era di nuovo la cantante con il sasso in gola che sillabava la sua canzone. Non c’erano tavoli da tête-à-tête, pensò Sweeney, in una serata simile: ogni tavolo aveva almeno quattro persone, tranne quelli dove ce n’erano cinque o sei.
Avevano appena cominciato ad attraversare la sala, che Sweeney si sentì afferrare per un braccio e, volgendosi, vide Bline piegarsi verso di lui, per dirgli a bassa voce, in modo che lui solo potesse udirlo: — Ho dimenticato di dirvi, Sweeney, di tenere gli occhi ben aperti qui dentro. Guardate tutte le facce e vedete se c’è qualcuno che ricordate di aver incontrato al portone in State Street. Capito?
Sweeney annuì. Poi riprese a seguire Nick, ma intento a scrutare il maggior numero possibile di facce lungo il percorso. Non che credesse di poter riconoscere una qualunque persona che avesse assistito insieme con lui allo spettacolo del mercoledì notte: tutto quel che aveva scorto fuori dell’atrio erano state delle schiene. Ma provare non nuoceva, e la supposizione di Bline, che lo Squartatore potesse essere venuto sul davanti della casa per unirsi all’altra gente, appariva ragionevole. E altrettanto gli sembrava ammissibile l’ipotesi che lo Squartatore fosse in quel momento in sala.
Nick li condusse a un tavolo dove erano già seduti tre uomini: c’era una sedia vuota, appoggiata a un angolo del tavolo. Disse: — Vi manderò un cameriere con un’altra sedia, potete stringervi un poco. Lo stesso da bere, voi due?
Bline accettò, dicendo: — Sedete, Sweeney. Voglio parlare a qualcuno dei ragazzi, prima di mettermi a posto.
Sweeney prese la sedia e osservò i suoi tre compagni, tutti intenti alla cantante e indifferenti alla sua presenza. Uno di loro gli era quasi familiare, ma gli altri erano sconosciuti. Guardò la cantante: non era spiacevole da vedere, ma avrebbe preferito non doverla anche ascoltare.
Prima che Bline tornasse, arrivarono la sedia e i liquori. Sweeney si scostò per fare posto al capo e Bline lo presentò agli altri tre. — Sweeney… Ross, Guerney, Swann. Novità, ragazzi?
Il giovanotto chiamato Swann rispose: — Quel tizio al tavolo d’angolo si è un po’ agitato, lo tengo d’occhio: è quello con il garofano all’occhiello. Ma forse è soltanto ubriaco.
Bline gettò un’occhiata nella direzione indicata, poi disse: — Non credo. Lo Squartatore non richiamerebbe l’attenzione su di sé vestendosi a quel modo e col fiore, per di più! Né penso che lo Squartatore vada in giro sbronzo.
— Grazie per questa opinione — intervenne Sweeney.
Bline si rivolse a lui. — Visto qualcuno che potrebbe essere stato al portone quella notte?
— Solamente il giovanotto davanti a me, che mi avete presentato come Guerney. Non era uno dei poliziotti intervenuti là?
Udendo il proprio nome, Guerney si era voltato. — Sì. Sono stato io a sparare al cane.
— Bel colpo — osservò Sweeney.
Bline disse: — Guerney è uno dei migliori tiratori del dipartimento. E anche il suo compagno, Kravich, che è al bar a guardare la gente che entra ed esce.
— Non l’ho notato.
— Ma lui ha notato voi. Quando siete entrato, l’ho visto scattare nella vostra direzione, poi, accorgendosi che io vi accompagnavo, si è fermato. Ero sicuro che non ve ne foste accorto.
— No, e ora silenzio… — pregò Sweeney. L’annunciatore era apparso sul palcoscenico (erano riusciti a ottenere un palcoscenico, per quanto piccolo, profondo otto piedi e largo dodici), per presentare in qualche maniera Iolanda Lang e la sua danza, ormai di fama mondiale, della «Bella e la Bestia».
Il discorsetto non meritava per la verità molta attenzione: l’annunciatore aveva rinunciato al suo spirito ironico ed era pateticamente idiota, pensò Sweeney. Cercò di non ascoltare l’orazione sul coraggio della brava, forte, piccola donna che si era alzata dal suo letto di dolore per obbedire al richiamo dell’arte e al desiderio del suo pubblico, per rivivere dinanzi a esso la più sensazionale e meravigliosa danza del mondo, con l’aiuto del cane più meravigliosamente istruito del mondo, il cane che era anche il più coraggioso, che aveva coraggiosamente salvato la vita della padrona, rischiando la propria, ed era anche stato colpito, ma coraggiosamente aveva… Sweeney non poté sopportare il seguito e disse a Bline: — Chi crede di presentare quell’imbecille? Giovanna d’Arco?
Bline sussurrò: — Ssst… — e Sweeney dovette prestare ascolto per altri quarantacinque secondi, poi, grazie al cielo, la storia finì: nulla può durare in eterno, nemmeno un presentatore con un’incredibile capacità drammatica. Le luci si abbassarono e la sala divenne silenziosa. Miracolosamente quieta come se le duecento persone trattenessero tutte il respiro. Avreste potuto udire distintamente lo scatto dell’interruttore, quando il riflettore si accese in fondo alla scala, proiettando sul palcoscenico un cerchio vivo di luce gialla. Tutti gli sguardi erano fissi su quel cerchio, a sinistra del palcoscenico. Un tamburo cominciò a battere in sordina e il suo ritmo costrinse Sweeney a rivolgere l’attenzione al trio orchestrale: non c’era più. Cioè, due terzi del trio erano scomparsi, il pianista e il sassofonista. Il batterista aveva abbandonato tutti i suoi strumenti e sedeva davanti a un solo grande tamburo, dal suono basso, con due bacchette dalle grosse teste imbottite.
“Bello” pensò Sweeney e si domandò se il merito di quell’innovazione andasse a Iolanda o al suo agente. Era un ritmo ossessivo, senza musica, poiché neppure il più rumoroso dei batteristi riuscirebbe a creare una melodia, con delle bacchette imbottite, fuori della portata dei suoi timpani e campanelli e piatti vari.
Il tamburo rimbombava con un lento crescendo, e la luce si oscurò del tutto: nell’oscurità avreste potuto cogliere l’ombra di un movimento, poi d’improvviso il cerchio giallo si riaccese luminoso, e Iolanda ne era al centro, immobile.
Era splendida, su ciò non esisteva possibilità di dubbio. L’immagine che Sweeney aveva conservato nella sua mente non era neppure vagamente esagerata. In quell’attimo pensò che Iolanda era la donna più bella che avesse mai visto e dal sospiro collettivo del pubblico comprese di non essere il solo a provare quella sensazione. Ma che cosa faceva, rifletté, una donna simile in un locale come quello, nella Clark Street di Chicago? Anche se non fosse stata capace di ballare…
Indossava un abito uguale a quello che l’aveva coperta nell’atrio, tranne che questa volta era nero e non bianco. Era anche meglio, notò Sweeney, nel contrasto di nero e bianco. Non aveva spalline e modellava carezzevole ogni curva del suo corpo.
Era a piedi nudi e l’abito era palesemente l’unico indumento che la copriva. Non portava né guanti, né bolero, né sciarpe, non vi era un passaggio graduale dal nero al bianco, alle spalle: sembrava che un lampo si sprigionasse, dall’abito alla carne.
Il tamburo batteva sempre.
L’avreste creduta una statua, e poi, tanto lenta che all’inizio non lo si notava, prese a muoversi, volgendo soltanto la testa.
E i vostri occhi dovevano seguire i suoi: allora vedevate anche voi, come lei, l’ombra accovacciata all’altro lato del palcoscenico: Demonio, il cane. Ma in quel momento non aveva più nulla del cane, era solo un demonio. Stava rannicchiato, le labbra tirate indietro in un silenzioso balenare di denti candidi, gli occhi gialli lucenti nell’ombra.
Il tamburo si abbassò fino a non udirsi quasi più. E in quel silenzio quasi assoluto, il cane ringhiò forte: fu lo stesso, preciso suono che Sweeney aveva udito due notti prima, che gli dava un brivido per la schiena e che glielo diede anche in quel momento.
Ancora mezzo accucciato, l’animale alzò una zampa rigida verso la donna, ringhiò di nuovo e si preparò a saltare.
Un improvviso movimento al tavolo costrinse Sweeney a distogliere lo sguardo dalla scena: nel medesimo istante la mano di Bline afferrava attraverso il tavolo il braccio di Guerney. Il poliziotto impugnava la rivoltella.
Bline mormorò rudemente: — Maledetto idiota, fa parte della scena. È istruito apposta per far così, non vuol farle del male.
Guerney bisbigliò in risposta: — Tanto per esser pronto. Nel caso che le saltasse addosso. Lo prenderei prima che le arrivasse alla gola.
— Metti giù quell’arnese, dannato imbecille, o ti butto fuori.
La rivoltella tornò lentamente nella fondina, ma Sweeney si avvide che la mano di Guerney restava appoggiata all’impugnatura.
Bline insisté. — Non fare il franco tiratore! Il cane le salta addosso perché è così nella scena, perdio!
La mano di Guerney uscì dalla giacca, ma rimase accanto al bavero. Gli occhi di Sweeney si volsero di nuovo alla scena, mentre un singhiozzo risuonava nel silenzio del pubblico. Era una donna al tavolo vicino al palco, che aveva emesso un grido strozzato.
Il cane spiccò un balzo. Ma anche la donna si era mossa di fianco e la bestia le passò accanto, una saetta scura, e si accovacciò di nuovo per ritentare il salto, mentre lei si riportava al centro della scena. Di nuovo, quando l’animale scattò, non c’era più. Sweeney si domandò se avrebbe continuato all’infinito così, ma non continuò: era l’ultima volta. Il cane, come se si fosse persuaso che non sarebbe riuscito a coglierla, si era accucciato in mezzo al palco, mentre lei gli danzava intorno, e la seguiva con lo sguardo.
La ragazza sapeva ballare; bene, se non magnificamente, e con grazia, seppure senz’anima. Il cane, senza più ringhii, si girava per non perderla di vista, coi suoi occhi gialli. Allora, presso la Bestia ormai domata, la Bella si inginocchiò e gli pose una mano sul capo: un ringhio ancora, ma la carezza fu tollerata.
Il tamburo riprese, a ritmo accelerato. E Iolanda si alzò con eleganza in piedi di fronte al pubblico, in mezzo al cerchio di luce gialla che già accennava ad abbassarsi, gradatamente, mentre il cane si alzava dietro di lei. Si sollevò sulle zampe posteriori, alto come lei, e mentre ricadeva a terra, i denti afferrarono il fermaglio della cerniera e tirarono.
L’abito nero cadde, all’improvviso, come quello bianco, ai suoi piedi.
Era incredibilmente bella, pensò Sweeney, benché fosse troppo coperta. Troppo coperta sul petto da una lievissima rete trasparente, a maglie larghe, diafana come l’aria, che sembrava accentuare invece che coprire la bellezza dei suoi seni; troppo coperta da un minuscolo cache-sex, che nella luce bassa poteva anche non esserci e alla cui esistenza si doveva credere per fiducia nella serietà della squadra del buon costume di Chicago; troppo coperta da un altro oggetto: un nastro adesivo nero di quindici centimetri, che si stendeva dall’ombelico al seno. E il contrasto di quel nero sul bianco accentuava la sua nudità, mostrandola ancora più nuda di quanto Sweeney l’aveva contemplata due notti prima.
Il tambureggiare pian piano si abbassò. Iolanda alzò le braccia, stendendo nel gesto i seni, e allargò le gambe; il cane entrò sotto quell’arco e rimase così, con la donna a cavalcioni sul dorso, e la sua testa si alzò per sfidare chiunque ad avvicinarsi a quella che era ormai sotto la sua protezione.
— Cerbero che sorveglia l’ingresso del paradiso — bisbigliò Sweeney a Bline.
— Che? — replicò Bline.
Il suono del tamburo andò ancora abbassandosi e la luce diminuì fino a scomparire. Quando si riaccesero le lampade in sala, il palcoscenico era vuoto.
All’improvviso riapparire delle luci, tutti balzarono in piedi: il pubblico applaudiva frenetico, ma Iolanda non riapparve, nemmeno una volta.
Superando il chiasso, Bline domandò a Sweeney: — Che cosa ve ne pare?
— Del ballo o di lei?
— Del ballo.
— È probabile che sia un simbolo, ma simbolo di che cosa, lo sa il diavolo! Credo che nemmeno il coreografo lo sapesse. Se pure c’è stato un coreografo. Secondo me, è una creazione di Doc Greene. È abbastanza intelligente e abbastanza di gusto… col suo temperamento italiano.
— Greene non è italiano — ribatté Bline. — Piuttosto penso che sia tedesco.
Sweeney si risparmiò la risposta perché Guerney si era voltato e Bline lo guardava minacciosamente. — Pezzo di cretino, per poco non ti toglievo la pistola per farti andare in giro senza…
Guerney arrossì. — Non avrei sparato, capo, se non…
— Se il cane non le fosse saltato addosso. E lo ha fatto, per due volte. Buon Dio, ma sarebbe stato un disastro, per noi!
Sweeney provò un certo dispiacere per il poliziotto e disse: — Se avessi sparato a quel cane, Guerney, ti avrei difeso!
Bline replicò: — E gli avreste fatto un gran bene!
La comparsa di Nick al loro tavolo risparmiò a Guerney ulteriori frecciate.
— Ancora qualcosa da bere, signori? — disse Nick. — Vi è piaciuto lo spettacolo? Certo che quel cane lo ha ammaestrato bene, no?
Sweeney osservò: — Certo che mantiene in simili circostanze un sangue freddo che io non saprei mantenere!
— Neanch’io — disse Guerney e accennò un principio di sorriso, ma, cogliendo uno sguardo di Bline, comprese di essere ancora in disgrazia. — Voglio dire che vorrei vedere chiunque… cioè, credo che saprei mantenerlo… Scusatemi. — E filò via in mezzo ai tavoli.
Nick si accomodò sulla sedia rimasta libera, annunciando: — Mi fermo un minuto finché torna. Avete osservato qualcosa di interessante durante lo spettacolo, capo?
Sweeney intervenne. — Tutto quello che non era coperto. Sapete, qualche volta penso che mi piacerebbe anche vederla senza nulla addosso.
Nick lo fissò. — Credevo, secondo il vostro articolo…
Sweeney scosse il capo con malinconia. — Guanti. Portava dei lunghi guanti, bianchi.
Bline brontolò: — Questo ragazzo è un maniaco, Nick. Cosa intendevi dire, domandandomi se avevo osservato qualcosa durante lo spettacolo?
Nick si chinò in avanti. — Solo questo: nel momento in cui la ragazza è ferma, davanti al pubblico, in mezzo al palco, mentre la luce si abbassa. Vedete, io non posso correre rischi cambiando lo spettacolo (non che importi, perché avrei la folla così, anche per sentir cantare Annie Laurie) ma sono preoccupato. Non vorrei che la ammazzassero, perché se lo Squartatore venisse qua, quello sarebbe il momento buono.
— Forse, ma in che modo?
— La sala è al buio, quasi per tutto il tempo. E se gli saltasse in mente di tirare fuori il suo rasoio, sarebbe difficile scoprire da dove è arrivato.
Bline restò pensieroso per qualche minuto, poi fece segno di no. — Mi sembra molto improbabile, Nick. A meno che non si tratti di un lanciatore di coltelli, gli occorrerebbero mesi per far pratica. E non credo che userebbe una rivoltella: quelli come lui si fermano su un’arma sola e su un solo modo di impiegarla. Non credo nemmeno che la ucciderebbe in pubblico, comunque. Secondo me, il pericolo vero è nel tempo che impiega per andare da qui a casa sua, o da casa a qui. E di questo ci stiamo già occupando.
— Per quanto tempo continuerete?
— Fino a che avremo preso lo Squartatore, Nick. In ogni caso, senz’altro finché lavorerà qui dentro. Perciò tu puoi stare tranquillo.
— Avete messo qualcuno a perquisire il suo appartamento, prima che ci entri lei?
Bline si seccò. — Senti, Nick, non vado a raccontare a nessuno quali precauzioni prendiamo e non prendiamo. Specialmente con un giornalista vicino che lo andrebbe a scrivere subito sul giornale, finendo col mettere in guardia l’assassino.
— Grazie per questo riconoscimento alla mia qualità di reporter — disse Sweeney — però il suggerimento di perquisire la casa prima che lei ci entri è buono, se non lo fate già. Se fossi io lo Squartatore e volessi colpirla, non ci riproverei per strada; starei sotto il letto ad aspettarla. Demonio dorme in camera con lei?
Bline lo guardò con intenzione. — Questo è riservato, da non pubblicare. Però ci dorme.
— E quanto al lanciatore di coltelli — insisté Nick — se riuscisse a tirarlo?
Sweeney disse: — Eccolo che arriva. Chiedetegli se ci riuscirebbe.