Sweeney si voltò e si trovò davanti le spesse lenti che riparavano gli occhi di Greene e li rendevano così grossi e impressionanti.
Sorrise. — Ehi, Doc. Volete bere?
— Ho già bevuto al tavolo. Nick sta difendendomi due sedie. Venite con me.
Sweeney lo seguì a un tavolo d’angolo, portandosi dietro il suo bicchiere. Nick, in piedi accanto a loro, lo salutò e se ne andò per le sue faccende. Sweeney e Greene si sedettero.
— Trovato qualcosa? — domandò Greene.
— Forse. Non so ancora. Domani butterò fuori un grosso colpo; uno dei più grossi che si siano visti.
— Al di fuori degli assassinii di questi giorni.
— Forse più grosso.
— Sarebbe inutile chiedervi che cos’è, immagino.
— Voi ne avete già saputo qualcosa, Doc. Ma state allegro: entro dodici ore sarà per tutta la città.
— Lo aspetterò sveglio. Sono sempre preoccupato per Iolanda. Perciò spero che veramente voi abbiate scoperto qualcosa. — Si tolse gli occhiali e li pulì con cura, e Sweeney, osservandolo, notò che senza di essi cambiava espressione: appariva veramente preoccupato e stanco. E, quel che era più strano, appariva umano. Sweeney, quasi (non del tutto, ma quasi), desiderò non avere spedito a New York quei cento dollari.
Doc Greene rimise gli occhiali sul naso e fissò Sweeney attraverso le lenti, con gli occhi tornati enormi. Sweeney decise che quei dollari erano stati ben spesi.
— Nel frattempo — disse Greene — Sweeney, prendetevi cura di voi.
— Lo farò. C’è qualche motivo speciale?
Greene sogghignò. — Sì, per il mio bene. Da quando l’altra sera ho perduto la pazienza e ho parlato chiaro, l’ispettore Bline mi tiene d’occhio: pare che abbia preso sul serio il mio piccolo sfogo.
— È nel giusto?
— Mah… sì e no. In quel momento mi avevate esasperato e credo di aver parlato con convinzione. Ma, naturalmente, dopo averci riflettuto a freddo, ho giudicato di essere stato uno sciocco. Parlando in quel modo, ho compiuto proprio l’atto che vi mette al sicuro da me. Se mai decideste di uccidere un uomo, Sweeney, non andatelo ad annunciare alla polizia sperando di farcela lo stesso.
— Allora perché mi avete avvertito di badare a me stesso?
— Come vi ho detto, per mia tranquillità. Bline mi ha detto, mi ha anzi promesso, che se vi accadrà qualcosa, dopo la mia infelice e stupida dichiarazione, mi arresterà e mi manderà al diavolo. Anche se avessi un alibi, sarebbe sempre certo della mia colpevolezza. Se succede qualcosa a voi, Sweeney, io sono spacciato.
Sweeney sorrise. — Voi mi spingete a uccidermi, Doc, senza lasciare il biglietto d’addio.
— Non fatelo, per favore. Non penso che voi lo fareste, ma mi avete messo in allarme con la rivelazione che farete domani. Potreste averlo detto a qualcun altro, che non desiderasse affatto vedere sui giornali una simile rivelazione, per paura delle conseguenze. Capite quel che voglio dire.
— Sì, capisco. Ma voi siete il primo a Chicago cui io ne parli. L’altro che lo sa, si trova a centinaia di chilometri di qui. A parte che invece voi potreste raccontarlo.
— Non pensateci neppure, Sweeney. La vostra sicurezza personale è diventata fondamentale per me. Vi ho spiegato il perché. — Scosse il capo. — Sono veramente stupito di me stesso, per aver detto una cosa così stupida, in una simile compagnia. Io, un esperto psichiatra… Avete qualche nozione di psichiatria? Dalla maniera abile con cui mi avete spinto a perdere il controllo di me stesso, direi di sì… Comunque, non ha importanza, se non vi accadrà nulla. Però, finché dura questa storia, se volete prendervi una guardia del corpo, sono pronto a pagare la metà del prezzo. Willie vi piacerebbe? Avete mai incontrato Willie Harris?
— Willie è magnifico — rispose Sweeney — ma non credo che Harry Yahn sia disposto a dividerlo con me. Grazie, Doc; che abbiate parlato seriamente o no, io corro i miei rischi senza guardie del corpo. E se dovessi assumerne una, non lo verrei a dire a voi.
Greene sospirò. — Non avete ancora fiducia in me, Sweeney. Bene, debbo andare a trovare un cliente in un altro locale. Badate a voi stesso.
Sweeney tornò al bar a farsi riempire il bicchiere. Lo bevve lentamente e occupò l’intervallo fino alla seconda parte dello spettacolo, preparando il pezzo per il “Blade” dell’indomani.
Nella seconda parte dello spettacolo c’era una differenza, minima, ma molto importante: Iolanda Lang aveva una rosa rossa appuntata alla vita, sull’abito nero. Le rose di Sweeney erano dunque arrivate, nell’intervallo tra i due tempi dello spettacolo.
E lei ne aveva preso una con sé. Era tutto quel che voleva sapere. Gli parve, senza esserne certo, che gli occhi di lei incontrassero i suoi nell’attimo in cui il cane le si drizzava alle spalle. Ma quello non contava: contava solo che la rosa era sul suo abito.
Dopo lo spettacolo non cercò di vederla né di parlarle, domandandosi se fosse veramente un astuto psicologo come lo aveva definito Greene. Intorno a lei ci dovevano essere i poliziotti e Doc, se anche fosse andato a trovarla. Forse la sera dopo i poliziotti non ci sarebbero stati più a farle la guardia. E Doc… be’, a Doc avrebbe pensato al momento opportuno. Se non altro, fino a quel momento non aveva nulla da temere da parte di Greene: di ciò era convinto. Doc si era fregato con le sue stesse mani, con quella aperta minaccia alla vita di Sweeney.
Non attese la terza parte dello spettacolo: l’indomani sarebbe stata una grande giornata ed era ormai mezzanotte passata. Andò a casa e a letto, dove restò sveglio a leggere fino alle due. La sveglia alle sette e mezzo: era lunedì.
Era lunedì, una giornata luminosa e allegra, con un sole forte ma non eccessivo, considerando che si era all’11 agosto. Nessuna nuvola in cielo, e una brezza fresca dal lago. Tutto appariva piacevole.
Fece un’ottima colazione e alle nove si presentò al “Blade”, puntualmente. Appese giacca e cappello, si diresse all’ufficio di Wally Krieg, prima che il redattore capo potesse chiamarlo. Sotto il braccio portava la statuetta in un pacco.
Wally alzò la testa al suo ingresso. — Salve, Sweeney. Già passato da Crawley?
— No. Prima voglio mostrarti qualcosa — e cominciò a disfare il pacco.
— Va bene, però dopo va’ da Crawley. Stanotte hanno rubato a un rappresentante di commercio in gioielleria i suoi campioni e vogliamo arrivarci subito. È…
— Taci — interruppe Sweeney, allontanando la carta dal pacco e posando la statuetta sulla scrivania, davanti al capo redattore. — Wally, ti presento «La statua che urla».
— Piacere. Adesso togli di mezzo quella roba e…
— Taci — lo interruppe di nuovo Sweeney. — «La statua che urla» ha una sorella gemella. Una sola in tutta Chicago.
— Sweeney, che cosa stai almanaccando?
— Lo Squartatore. È lui che possiede la sorella della «Statua che urla». Noi possediamo questa, e non credere che vada in conto spese per una cifra minore del suo effettivo prezzo di vendita. Questo, naturalmente, sempre che tu voglia mandarla alla sezione fotografica e pubblicarne un ritratto in prima pagina oggi.
— Dici che lo Squartatore ne ha una copia? Sei sicuro?
— Nei limiti del possibile lo sono. Ce n’erano due a Chicago e lo Squartatore ne ha comperata una da Lola Brent proprio prima di ucciderla. Ed è probabilmente essa stessa il motivo ultimo della sua mania omicida! Prova a guardarla!
— E questa è l’unica altra esistente a Chicago?
— Sì — rispose Sweeney — se non ti interessa, la riporrò nel cassetto della scrivania e mi presenterò a Crawley. — Prese la statuetta e si diresse alla porta.
— Ehi! — urlò Wally.
Sweeney si fermò in attesa. — Wally — disse — io sono stufo marcio di questa faccenda dello Squartatore. Faresti bene a lasciarmi fuori. Naturalmente posso farti tutto il servizio per la prima edizione di oggi, ma non posso darti la statuetta comunque, se la vuoi, e uno qualunque dei ragazzi può rintracciarne la storia, come ho fatto io, attraverso Raoul Reynarde, e può darti il pezzo per domani o per l’ultima edizione di stasera. Io veramente…
— Sweeney, piantala di vaneggiare. Chiudi la porta.
— Certo, Wally. Da che parte?
Wally si limitò per tutta risposta a guardarlo e Sweeney giudicò di aver toccato il limite consentito e chiuse la porta dall’interno. Wally stava parlando al telefono con la cronaca, e abbaiava che per il gioielliere andasse un altro, perché Sweeney aveva un servizio speciale. Poi telefonò alla sezione fotografica e fu apparentemente soddisfatto di quel qualunque primo venuto che gli aveva risposto, perché diede l’ordine di presentarsi immediatamente a lui.
Poi si volse a Sweeney. — Metti giù quell’affare e con attenzione, prima che ti caschi in terra e si rompa.
Sweeney appoggiò la statuetta sulla scrivania. Wally la fissò attento, poi guardò Sweeney.
— Che cosa stai aspettando? Un bacetto di addio? Fila a fare il pezzo. Aspetta un momento, non subito. C’è un mucchio di tempo per la prima edizione: siediti e raccontami tutto. Ci può essere qualcosa che può fare un altro, mentre tu lavori.
Sweeney sedette e raccontò quasi tutta la vicenda. Tutto ciò che aveva intenzione di rivelare nell’articolo. Fu interrotto dall’arrivo del fotografo, al quale Wally affidò la statuetta, con precise istruzioni e minacce di orribili punizioni se essa fosse andata rotta prima di essere stata fotografata. Il fotografo uscì, camminando con precauzione e reggendo la statuetta come fosse stata un guscio d’uovo. Poi Sweeney riprese il suo racconto e lo terminò.
Wally concluse: — Bene. Adesso va’ a scriverlo. Credo però che tu non abbia fatto un gran bene ad avvertire la Ganslen di fabbricare le copie subito; alla polizia non andrà nulla a genio, perché vorranno avere in tutta Chicago una sola statuetta, finché sarà possibile. E anch’io sono di questo parere: anzi, ordinerò che questa copia venga distrutta appena sarà stata fotografata chiaramente. Mettilo nell’articolo, perché restringe il campo delle ricerche. Ma cosa diavolo volevi fare con quella telefonata alla ditta, per avvertirli?!
Sweeney si sentì a disagio: era stato un errore, certo, ed egli non voleva spiegarne i veri motivi riguardanti Charlie Wilson. Protestò debolmente. — Pensavo di doverli in qualche modo ripagare del favore che mi avevano fatto nella prima telefonata, dicendomi di averne venduto solo due a Chicago. Senza quello, Wally…
— Va bene — ammise Wally — li chiamerò io mentre tu scrivi la storia. Ecco, tu scrivi pure che la statuetta è stata fabbricata dalla Ganslen Art Company di Louisville e non avranno bisogno di mandare nessun rappresentante e nessun campione a Chicago e nella zona. Saranno sommersi di ordini per telefono, solo con le tue poche righe e la fotografia sul giornale. Ogni commerciante della zona gliela chiederà. Perciò adesso li chiamo e glielo dico. Con chi avevi parlato tu?
— Il direttore generale, quel Burke.
— Benissimo, lo dirò a Burke e lo pregherò di accettare, ma di tenere in sospeso tutti gli ordini di questa zona finché gli sarà possibile temporeggiare. E gli ripeterò di seguire il tuo consiglio di mettere il marchio segreto su ognuna delle copie. Ma questo non dirlo nell’articolo. E quando hai finito, portamelo qui, voglio passarlo io stesso.
Sweeney assentì e si alzò in piedi, mentre Wally continuava: — E farò un’altra cosa: telefonerò a Bline. Se pubblichiamo questa storia senza avvertirlo prima, diventeremo il numero uno della lista nera del dipartimento. Gli racconterò tutto e lo avvertirò che la pubblicheremo oggi, dopo averlo comunicato a lui.
— E se lui ne informa gli altri giornali?
— Non credo che lo farebbe. Se farà così, non vedrà né la statuetta né una sua fotografia, e la storia senza la fotografia serve a poco. Io penso di metterla in mezzo alla prima pagina, su quattro colonne.
— Devo dire che pubblichiamo la fotografia a colori, dal vero… cioè in nero?
— Va’ all’inferno, fuori di qui!
Sweeney andò all’inferno fuori di lì e sedette alla sua scrivania. Mentre infilava il foglio nella sua vecchia Underwood, pensò che le idee di Wally erano state buone; raccontare la storia alla polizia due ore prima non avrebbe nociuto, né avrebbe nociuto alle vendite della Ganslen (e ai guadagni di Charlie) il non evadere gli ordini provenienti da Chicago per una settimana o poco più. Il racconto sarebbe rimasto sempre interessante e sarebbe migliorato se avesse dato come risultato la cattura dello Squartatore.
Guardando l’orologio, scoprì di avere un’ora a disposizione per scrivere il pezzo e partì a battere sui tasti. Il suo telefono suonò: era Wally.
— Hai abbastanza tempo? — domandò. — O vuoi uno stenografo per dettare e far più in fretta?
— No, ce la faccio da solo.
— Benone. Mandami il pezzo man mano che esce dalla macchina, una pagina per volta. Ti metto un fattorino alla scrivania. Intitola «La statua che urla».
Sweeney intitolò «La statua che urla» e attaccò a scrivere. Un minuto dopo, un ragazzino gli soffiava nel collo il suo respiro, ma Sweeney ci era abituato e non ne provava più fastidio. Spedì l’ultima cartella dieci minuti prima che l’edizione andasse in macchina.
Accese una sigaretta e finse di essere molto occupato, così che Crawley non gli trovasse qualche altro lavoro da fare. Quando il trambusto della chiusura dell’edizione fu cessato e giudicò che Wally dovesse essere libero di nuovo, tornò all’ufficio del direttore.
— Come sta la «Statua che urla»? — domandò.
— È una donna finita. Se non ci credi, guarda nel cestino della carta.
— Preferisco di no — replicò Sweeney.
Entrò un ragazzetto con un fascio di giornali, che depose sulla scrivania di Wally. Sweeney ne prese uno e guardò la prima pagina: c’era la statuetta, un poco più grande del vero. Quattro colonne per la fotografia, due di testo. Wally stesso aveva fatto i sottotitoli.
— Bella presentazione — disse Sweeney e Wally grugnì un’approvazione, leggendo. — È un bel pezzo — continuò Sweeney — grazie per avermi raccontato la storia. — Wally grugnì di nuovo. — E per il resto della giornata che faccio? — domandò Sweeney.
Questa volta Wally non grugnì; depose il giornale e si preparò a esplodere. — Sei impazzito del tutto? Sei stato via per due settimane, sei tornato a lavorare da due ore e…
— Sta’ calmo, Wally. Non uccidere un uomo morto! Da dove credi che sia uscita la storia? Dall’aria? Ci ho lavorato tre giorni per venti ore al giorno. Tre giorni delle mie vacanze. Sono arrivato qui che l’avevo pronta da scrivere. E ho portato la statuetta per farmi compagnia. E perché? Perché ho lavorato fino alle quattro di stamattina e ho dormito due ore, ecco perché. Son caduto dal letto mezzo addormentato per venire qui a scrivere il più grosso colpo dell’anno per te e tu…
— Piantala. Va bene. Vattene all’inferno, fuori di qui. Di tutti i maledetti ubriaconi…
— Grazie. Davvero, Wally, adesso vado a casa. Resterò in camera mia per tutto il giorno e mi puoi telefonare quando vuoi. Mi butterò sul letto senza nemmeno spogliarmi e, se succede qualcosa in questa storia, chiamami subito. Arriverò con la stessa velocità che se stessi a ciondolare qua in giro. D’accordo?
— D’accordo, Sweeney. Se succede qualcosa, ci vai. E, senti, che vada o no, è un bel pezzo e un bel colpo.
— Grazie. E grazie di mandarmi all’inferno e di avermi tenuto il posto, mentre ero…
— Questo colpo d’oggi cancella tutto. Sai, Sweeney, oggi ci sono ben pochi cronisti che sappiano il loro mestiere. Mentre tu…
— Basta — interruppe Sweeney — se no fra poco piangeremo insieme di commozione dentro i nostri bicchieri e non ne abbiamo a disposizione, qui.
Prese con sé una copia del giornale dalla scrivania di Wally, per non doverne cercare un’altra o aspettarla in strada, e se ne andò a casa. Chiamò un taxi, in parte perché era ancora in possesso di molto più denaro di quanto gliene occorresse, in parte perché si sentiva improvvisamente preso da una stanchezza invincibile. Forse era la reazione, ma soprattutto era perché, per il momento, non c’era nulla di sensato da fare, tranne che aspettare.
La rivelazione della statuetta avrebbe potuto condurre alla cattura dello Squartatore oppure no. Se sì, sarebbe accaduto nel pomeriggio o nella notte. Se no, pazienza. L’indomani mattina alle nove sarebbe tornato al lavoro e non credeva che Wally lo avrebbe ancora tenuto fuori dal caso dello Squartatore. Avrebbe dovuto dimenticare la statuetta e cercare da un’altra parte. Forse andando in giro, a indagare con maggior insistenza dove aveva già indagato.
A casa si sistemò comodamente e rilesse tutto l’articolo, con attenzione e calma. Wally lo aveva completato con brevi resoconti degli altri tre assassinii (la storia della statuetta riguardava in particolare soltanto Lola Brent che l’aveva venduta allo Squartatore), ma non aveva cambiato una parola del pezzo di Sweeney.
Questa volta lesse anche il seguito dell’articolo in un’altra pagina, poi ripiegò il giornale e lo pose in cima al mucchio degli altri che narravano le imprese dello Squartatore.
Si abbandonò cercando di rilassarsi completamente, ma gli era impossibile. Accese il giradischi che appariva nudo senza la statuetta nuda, e suonò la Quarta sinfonia di Brahms. Lo confortò un poco, ma non riuscì a concentrarvisi.
Alle due aveva fame, ma non volendo correre il rischio di perdere una possibile telefonata, scese dalla signora Randall a chiederle un panino col prosciutto. Aveva deciso però di non pensare più al telefono. In quel momento l’apparecchio suonò e Sweeney quasi si strangolò col boccone di sandwich che aveva appena addentato e quasi rotolò per le scale, precipitandosi a rispondere. Ma la chiamata era per un altro pensionante.
Ridiscese al pianterreno a finire il panino, poi tornò in camera. Mise sul giradischi i dischi di De Falla e, ascoltandoli, tentò di leggere le novelle brevi di una raccolta di Damon Runyon. Ma non arrivava né ad ascoltare né a leggere bene.
Il telefono squillò. Ci arrivò in un istante, sbattendo la porta della stanza, per non udire il suono del giradischi, impiegando così un secondo meno di quanto sarebbe occorso fermandosi a chiudere l’apparecchio.
Era Wally. — Salute, Sweeney. Va’ in State Street. L’indirizzo lo sai.
— Che cosa c’è?
— Hanno preso lo Squartatore. Stammi a sentire, noi abbiamo la notizia e un comunicato ufficiale nell’ultima edizione che va in macchina adesso, e non possiamo fermarla per i particolari. Abbiamo il succo, ma non tutta la storia, quella la metteremo domani. È un avvenimento della sera: noi battiamo quelli della mattina con il comunicato e la notizia, ma loro ci batteranno con i particolari. Comunque, ormai non c’è fretta. Va’ là e raccogli tutti i dati. Ma scriviti poi il pezzo con calma, quando vieni qua domani.
— Ma che cos’è successo, Wally? Ha attaccato un’altra volta la Lang? Lei sta bene?
— Pare di sì. Sì, ha provato un’altra volta e il cane l’ha preso, come era quasi riuscito la volta scorsa, quando invece lui ha sbattuto la porta…
— So benissimo com’è andata l’altra volta. Ti domando cosa è successo oggi.
— Ma te l’ho detto, maledizione. Lo hanno preso. È ancora vivo, ma non credo che durerà molto. L’han portato all’ospedale, ma non ci perdere tempo: non ti lascerebbero parlare. È caduto dalla finestra. Al posto della ragazza, credo. Buon lavoro, Sweeney. La tua storia ha avuto un bel successo: non solo aveva la statuetta, ma l’aveva con sé.
— Chi? Voglio dire, sapete il nome?
— Il nome? Naturale che sappiamo il nome. È Greene, James J. Greene. L’ispettore Bline ha detto che lo aveva sempre sospettato. E adesso smetti di interrogare me. Va’ là.
Il colpo del ricevitore che Wally riattaccava rimbombò nell’orecchio di Sweeney, ma per lungo tempo egli rimase immobile a fissare il nero apparecchio silenzioso, prima di deporre a sua volta il microfono.