Il giudizio delle Stelle

Kenniston strinse spasmodicamente i pugni sotto la tavola di lucente materia plastica, come per aggrapparsi a una realtà.

“Questo è vero, tutto questo è vero” diceva a se stesso, con­vulsamente. “Tutto questo sta proprio accadendo, e io non sono un pazzo. Io sono proprio John Kenniston. Solo poche settimane or sono mi trovavo a New York. Ora mi trovo in un posto che si chiama Centro di Vega. Sono sempre io, sono John Kenniston. Solo il mondo è cambiato. Ma è sempre realtà.”

Ma sapeva che non era così. Sapeva che quel Centro di Ve­ga e il vastissimo anfiteatro di marmo nel quale sedeva, era­no solo le ombre di un incubo spaventoso dal quale non riu­sciva a svegliarsi.

Con occhi incerti, guardò in alto. Sedevano tutti, silenzio­si, a migliaia e migliaia, in un cerchio smisurato ove risuona­va l’eco, in file innumerevoli che si elevavano verso la volta, perduta nella penombra. Migliaia e migliaia di occhi che lo guardavano, occhi umani e non umani. Migliaia e migliaia di occhi che lo fissavano curiosi, intenti.

Gli ospiti della Federazione delle Stelle! Il Comitato dei Governatori, in seduta plenaria!

Migliaia di esseri che venivano dai mondi lontanissimi di tutta la Galassia... Per loro, per tutti loro, egli doveva avere un aspetto altrettanto irreale. Doveva sembrare loro impossi­bile di stare realmente guardando un uomo che veniva dal più lontano, dal più dimenticato, da un quasi incredibile pas­sato.

La voce tranquilla, tagliente di Varn Allan interruppe i suoi pensieri turbinosi. In quel momento stava concludendo il suo rapporto su Middletown.

«Questa è una situazione molto complessa» diceva. «Nel trovare una soluzione per essa, vi chiedo di ricorda­re che questo popolo rappresenta un caso speciale, del qua­le non vi è alcun precedente nella storia. È mia convinzione che questo popolo abbia diritto a una speciale considera­zione.»

Vi fu una pausa, poi Varn Allan proseguì: «La mia racco­mandazione è perciò la seguente: che la proposta evacuazio­ne venga ritardata finché gli abitanti siano psicologicamente in grado di adattarsi all’idea di un trasferimento. Questo adattamento psicologico, a mio parere consentirebbe di ese­guire l’evacuazione senza difficoltà.»

Varn Allan guardò Norden Lund, che sedeva accanto a lei.

«Forse il viceamministratore Lund ha qualche cosa da aggiungere al mio rapporto.»

Lund sorrise.

«No. Mi riservo per più tardi il diritto di parlare.» I suoi occhi scintillavano di beffarda aspettativa.

Vi fu un momento di silenzio. Kenniston poteva udire il lieve e diffuso fruscio, il respiro e il fremito di quelle migliaia e migliaia di Governatori in ascolto.

Il Presidente, un uomo piccolo e dal viso intelligente, che rappresentava la voce del Comitato, l’interrogatore, e che se­deva alla medesima tavola con loro, disse allora: «Il Comi­tato dei Governatori riconosce a voi, Kenniston, il diritto di parlare in nome di Sol Tre.»

I Governatori di tutta la Galassia attendevano con impa­zienza che egli parlasse.

Anche gli altri attendevano. Attendevano nell’oscurità e nel gelo mortale di Sol Tre, il piccolo mondo il cui antico no­me di Terra era stato del tutto dimenticato in quella riunio­ne di governo. Attendevano gli operai, le massaie, i ricchi e i poveri, tutto il popolo di Middletown, pieno d’ansietà, at­tendeva.

Varn Allan lo guardò e gli sorrise con simpatia.

Kenniston respirò profondamente. Con uno sforzo enor­me di volontà si indusse a parlare. Si sforzò perché le parole gli venissero alle labbra, dagli oscuri meandri dell’anima, da quel terrore che aveva sentito palpitare nel cuore dei suoi, nella sua Terra lontana.

«Noi non abbiamo chiesto di venire nella vostra epoca. Essendoci venuti, ci troviamo sotto la legge della Federazio­ne, e non sfidiamo la vostra autorità come tale. Non voglia­mo far nascere guai. Il nostro problema è un problema psico­logico...»

Cercò di spiegare, a quegli uomini della Federazione, qualche cosa di ciò che era stata la loro vita, prima di quel fa­tale mattino di giugno. Cercò di far loro capire come il suo popolo fosse legato al suo mondo, e perché vi si aggrappasse tanto disperatamente.

«Comprendo i problemi tecnologici che rendono diffici­le continuare a vivere in un mondo come il nostro. Ma abbia­mo conosciuto anche prima, molte volte, la privazione e la sofferenza. Non ne abbiamo paura. E siamo convinti che, col tempo, riusciremo a risolvere i nostri problemi.» Si fermò un momento, poi concluse: «Non chiediamo nemmeno il vostro aiuto, benché vi saremo sempre grati, se vorrete dar­celo. Tutto ciò che chiediamo è di essere lasciati soli, per provvedere noi alla nostra salvezza!»

Tacque. Il silenzio, e quelle migliaia e migliaia di occhi che lo guardavano, lo opprimevano come un peso schiacciante.

Kenniston lottò per cercare una parola finale. Tante cose c’erano, che non aveva dette... tante cose che non avrebbero mai potuto essere formulate in parole.

Come spiegare, in una frase, la storia della razza degli uo­mini, l’orgoglio e il dolore del loro inizio nel tempo?

«La Terra è la madre dalla quale siete discesi» disse. «Non potete lasciarla morire!»

Ecco tutto! Era finito! Per il bene o per il male, aveva fini­to. Non vi era altro da aggiungere.

Jon Arnol, sbalordito, si piegò verso di lui dal posto dove sedeva, allo stesso tavolo.

«Magnifico!» bisbigliò. E ripeté: «Magnifico!»

Il Presidente domandò: «È con l’applicazione delle teorie di Jon Arnol, che sperate di riportare la vita su Sol Tre?»

Prima che Kenniston potesse rispondere, Arnol stesso gridò: «Su questo punto, domando la parola!»

Il Presidente fece un cenno di assenso.

Arnol si alzò. La fiera energia che lo spingeva non avrebbe potuto essere contenuta più a lungo. Parve che affrontasse di colpo tutto il Comitato dei Governatori, volgendo verso di lo­ro lo sguardo di sfida dei suoi occhi neri.

«Mi avete negato un’altra occasione di tentare il mio pro­cedimento... e ciò a onta del fatto che nessuno scienziato può impugnare le mie equazioni. Mi avete negato quella occasio­ne per considerazioni politiche che sono note a chiunque, qua dentro. Sono le stesse considerazioni che hanno fatto fallire deliberatamente la mia prima prova, scegliendo per essa un mondo troppo piccolo per lo scoppio di energia libe­rato nel suo interno.

«Ma la Terra non è un mondo come quello. Là, l’esperi­mento avrà successo. Vi chiedo di consentire che venga ten­tato. Questo procedimento non risolverà solamente il pro­blema che avete davanti a voi, ma qualsiasi futuro problema di mondi morenti. Voi credete che l’evacuazione, il trasferi­mento delle popolazioni, sia una soluzione migliore ma non potete continuare a trasferire delle popolazioni, per sempre!»

Fece una pausa. Poi la sua voce risuonò ancora, duramen­te: «E nemmeno potete voi, per preconcetti di filosofia po­litica, ritardare per sempre il progresso scientifico. Io affer­mo che non avete alcun diritto di negare ai popoli della Fe­derazione il bene incalcolabile che questo procedimento può rappresentare per loro. Vi domando quindi di permet­tere un nuovo esperimento, usando il pianeta Sol Tre come soggetto.»

Jon Arnol sedette. Un mormorio confuso si levò dalle file innumerevoli dei Governatori. Le teste si avvicinavano per scambiare impressioni. Kenniston osservava ansiosamente tutti quei visi. Impossibile dire...

«Credo» bisbigliò Jon Arnol «che questa volta daran­no il consenso!»

Il Presidente alzò la mano, per annunciare l’inizio della votazione.

Ma, in quel momento, Norden Lund disse: «Chiedo ora la parola!»

La parola gli fu concessa. E Kenniston sentì il cuore che gli batteva nel petto fino a scoppiare.

La voce di Lund risuonò per tutto l’anfiteatro: «Vi è un fatto che riguarda gli abitanti della città di Middletown, un fatto che non è stato menzionato... un fatto che il mio supe­riore diretto non ha nemmeno scoperto! Un fatto che è stato accertato dai registri della loro vecchia città, decifrati dall’e­sperto linguistico e storico della nostra missione.»

I nervi di Kenniston erano tesi fino allo spasimo. Così, si avvicinava il momento, il momento in cui avrebbe saputo ciò che Lund aveva scoperto per mezzo di Piers Eglin.

«Vi è stato detto che questi abitanti di Middletown sono brava gente, inoffensiva. Vi è stato chiesto di prenderli in spe­ciale considerazione, di concedere loro indulgenze speciali, di sorvolare sulle loro piccole violenze. E perché? Perché so­no patetiche creature, vittime innocenti di uno scherzo del destino che li ha scagliati fuori dal loro mondo e dalla loro epoca.»

La voce di Lund si indurì e tuonò, irosa: «Ma non è stato il capriccio del destino a scagliarli nella nostra epoca. È stato un atto di guerra!»

Si arrestò, per far ben capire ciò che aveva detto. Kenni­ston guardò il viso di Varn Allan. Varn Allan guardava Lund stupefatta.

Lund proseguì: «Kenniston smentisca, se può! Fu l’e­splosione di una bomba atomica che infranse la continuità del tempo e scaraventò la sua città nella nostra epoca. Que­gli uomini sono figli della guerra, nati e cresciuti in un’epo­ca di guerra!

«Considerate la violenza della folla, le minacce fatte contro i funzionari della Federazione, il rifiuto di accetta­re un’autorità pacifica! Considerate che, in questo mo­mento, i buoni abitanti di Middletown sono pronti a far fuoco sulla prima nave spaziale della Federazione che toc­chi la Terra!»

La voce di Lund si abbassò in un tono più drammatico e intenso.

«Vi avverto che quegli abitanti sono infetti dalla piaga della guerra. Per secoli, noi della Federazione abbiamo lotta­to per liberarci dalle guerre, e ce ne siamo liberati. Ora, la guerra è nuovamente apparsa tra noi. E noi, i sostenitori del­la legge della Federazione, indugiamo davanti a una intima­zione di forza!»

Kenniston era balzato in piedi. Jon Arnol lo aveva afferra­to, trattenendolo. Varn Allan si era curvata sulla tavola, bisbi­gliandogli, in tono disperato: «No, Kenniston! No! Cercate di padroneggiarvi!»

Il Presidente chiese a Lund: «Quale linea di condotta rac­comandate al Comitato dei Governatori?»

Lund, allora, gridò: «Dimostrate a quegli abitanti che non possono rendere vana un’autorità pacifica con una mi­naccia di guerra! Confinateli al più presto possibile in qual­che mondo lontano e isolato, alle frontiere della Galassia... un mondo tanto lontano che essi non possano infettare con la loro brutale psicologia le correnti di pensiero della Federa­zione!»

Kenniston si liberò con uno scatto dalla stretta di Arnol. Si precipitò davanti a Lund e lo afferrò al petto, curvando su di lui un viso così pallido e furente per la rabbia, che Lund, ve­dendolo, emise un gemito.

«Chi sei tu» ringhiò Kenniston «per emettere giudizi su di noi?»

La rabbia lo soffocava, gli impediva di parlare oltre. Allon­tanò Lund da sé con un gesto violento, scagliandolo lontano, cosicché Lund cadde sui ginocchi alcuni metri più in là, poi si rivolse all’assemblea dei Governatori.

«Sì, abbiamo combattuto le nostre guerre! Dovevamo farlo, perché il pensiero e il progresso e la libertà potessero sopravvivere nel nostro mondo. Voi, voi ci dovete tutto que­sto! Ci dovete tutto questo, per gli uomini che sono morti, perché vi potesse un giorno essere una Federazione delle Stelle. Anche la potenza atomica, ci dovete! Noi ne abbiamo fatto un cattivo uso, ma è la forza che ha costruito la vostra civiltà, e siamo noi che ve l’abbiamo data!

«Pensate a queste cose, voi, uomini del futuro! Dalla Terra siete venuti, e tutta la vostra civiltà ha le sue radici nel nostro sangue. Voi vivete in pace perché gli uomini della Terra sono morti nelle guerre. Ricordatevi di questo, quando sedete sui vostri scanni, per giudicare il passato!»

Rimase ritto, in silenzio, tremante, e Varn Allan gli si avvi­cinò, per ricondurlo al suo posto.

Lund, che si era rimesso in piedi, disse: «Lascio che il ge­sto violento di Kenniston parli da sé, come mio argomento fi­nale.» E sedette.

Il Presidente alzò di nuovo la mano e l’abbassò poi lenta­mente per indicare l’inizio della votazione.

Kenniston si accorse appena dell’operazione di voto. Lot­tava contro una marea sconvolgente di dubbi, di rabbia, di timori, in palpitante attesa delle parole del giudizio, che sareb­bero presto state pronunciate. E infine, il momento venne.

«È decisione definitiva del Comitato dei Governatori che la popolazione di Sol Tre venga evacuata in conformità all’or­dinanza ufficiale già emessa.

«Nessun esperimento del procedimento Arnol su scala planetaria può essere considerato cosa sicura, in questo mo­mento.

«È desiderio dei Governatori che la popolazione di Sol Tre sia pacificamente assimilata nella Federazione. Si spera che il suo atteggiamento, nel futuro, sia tale da rendere ciò possi­bile. In caso diverso, dev’essere loro dimostrata l’inutilità di una resistenza armata.

«La seduta è tolta.»

Kenniston capì che Arnol gli diceva di alzarsi. Si alzò, e uscì dall’anfiteatro con gli altri. Udì la voce di Varn Allan che parlava, con ira amara, a Norden Lund, ma questi sorrise e se ne andò.

Non si ricordò più chiaramente di altro, finché fu ritorna­to al suo alloggio, dove Gorr Holl gli mise in mano un bic­chiere. Magro e Lal’lor avevano atteso là il verdetto. Varn Al­lan era ancora con lui, e anche Arnol.

«Mi spiace molto, Kenniston» disse Varn Allan, e Ken­niston sapeva che diceva la verità. Ma Kenniston scosse il capo.

«È stata colpa mia. Non avrei dovuto perdere la pa­zienza...»

«Non biasimatevi, Kenniston. E scusatemi. Ma Lund aveva dalla sua parte quella verità, ed era una verità tale da fargli vincere la partita. Perché né voi né la vostra gente ci avete mai detto che vi trovavate in guerra, in quella vostra epoca?»

Kenniston scosse il capo.

«Perché non eravamo affatto in guerra. Non avete capi­to? La bomba che ci lanciò fuori dal nostro tempo cadde in tempo di pace! Qualsiasi cosa accadde dopo, non possiamo saperlo, perché non ci trovavamo più là!»

Varn Allan andò su e giù per la camera, con la fronte cor­rugata, poi disse: «Farò in modo che questo ordine di eva­cuazione sia eseguito il più lentamente possibile. Questo po­trà alleviare un poco il colpo, per la vostra gente. Avevo in passato un po’ d’influenza sui Coordinatori... Ora, non so, Lund mi ha colpita a fondo nella mia autorità.»

Kenniston capì in quel momento che quella giornata era stata una sconfitta anche per lei, e una sconfitta ingiusta. Era stato, sino ad allora, troppo sconvolto dalla sua stessa dispe­razione per accorgersene.

«Me ne dispiace molto» disse a sua volta.

Ella sorrise un poco e si volse per andarsene, fermandosi un attimo per appoggiare una mano sulla spalla di lui.

«Non prendetevela troppo» lo consolò. «Nessuno avrebbe potuto fare meglio di quanto avete fatto.»

Poi uscì. Rimasti soli, si guardarono allora in viso, i due uomini e i due umanoidi. Visi tristi, cupi, irosi...

«Ebbene» commentò Gorr Holl «è stato un ottimo tentativo. Io voto, ora, per una buona bevuta.»

«Sarà una brutta notizia anche per i nostri popoli, Gorr» osservò Magro. «Cominciavano a sperare anche loro.»

«Lo so» disse Gorr Holl. «Sta’ zitto!»

Porse un bicchiere a Kenniston e un altro a Jon Arnol, che se ne stava seduto fissando la parete.

«State allegro» lo rincuorò. «Il vostro procedimento è destinato a vincere la partita, un giorno o l’altro.»

«Può darsi» disse Arnol «ma questo non darà alcun sollievo al vostro popolo... a tutti i popoli umanoidi che han­no sostenuto e finanziato il mio lavoro e hanno posto in esso tante speranze. Vi ho dato una bella delusione!»

«Niente affatto!» ribatté Gorr Holl.

Kenniston pensava con amarezza alla sua gente, che aveva lasciata sulla Terra, in attesa ansiosa del suo ritorno. Pensava anche a Carol, e disse lentamente: «Non posso tornare sulla Terra! Non posso andare da loro e dire che ho fallito!»

«Si rimetteranno dal colpo» obiettò Gorr Holl, in un va­no tentativo rassicurante. «Dopo tutto, andare in un mondo sconosciuto è assai meno che essere scaraventati avanti nel tempo. Hanno resistito a ben peggiori sconvolgimenti.»

«Ma quella cosa è accaduta prima che essi lo sapesse­ro» disse Kenniston. «È molto diverso. E si trovavano sempre, in ogni modo, in un posto che conoscevano. No! Non si abitueranno a una cosa simile, ti dico. Combatteran­no fino all’estremo.»

Allargò le braccia, in un gesto di inutile rabbia.

«È proprio questo che non riesco a far capire, nemmeno a te!» disse, rivolgendosi a Gorr Holl. «Appartengono alla Terra. La Terra è come una parte del loro corpo. Affronteran­no qualsiasi pericolo, sfideranno qualsiasi minaccia, per ri­manere su di essa!»

Il suo sguardo cadde poi su Jon Arnol, sul suo viso amaro, cupo, rattristato dalla delusione. E, a un tratto, il cuore gli diede un balzo nel petto.

Ripeté, a bassa voce: «Qualsiasi pericolo... qualsiasi mi­naccia... Sì! Per tutti i diavoli, sì!»

Era tutto scosso da una terribile, disperata speranza. Si alzò e, attraversando la camera, si avvicinò a Jon Arnol.

«Mi avevi detto che avevi un piccolo incrociatore spazia­le di tua proprietà, con relativo equipaggio, non è vero?» gli domandò.

«Sì» confermò Arnol. «Lo tengo, di solito, nelle mie officine al di là delle montagne.» Poi aggiunse, amaramen­te: «Avevo avvertito i miei uomini, l’altra sera, di preparare l’incrociatore spaziale per un viaggio alla Terra. Ero così si­curo che il nostro momento era venuto, che...»

Kenniston gli domandò allora, a voce bassa: «Dimmi una cosa, Arnol. Credi veramente nel tuo procedimento?»

Arnol balzò in piedi. Aveva gli occhi sbarrati e sembrava quasi che volesse colpire Kenniston.

Ma Kenniston, imperterrito, aggiunse: «Ci credi abba­stanza, voglio dire, ci credi tanto da sfidare un ordine del Co­mitato dei Governatori?»

Arnol si irrigidì. Dopo un momento, disse: «Spiegati, Kenniston!»

E Kenniston spiegò ciò che aveva in mente. Tutto treman­te, parlò a lungo. E, gradualmente, gli occhi di Arnol risplen­dettero febbrili.

«È una cosa che si potrebbe sbrigare molto in fretta, là sulla Terra» mormorò. «Quelle antiche perforazioni, fatte per trarre il calore dal sottosuolo, eliminerebbero la neces­sità di eseguirne di apposite...»

Ma poi scosse il capo, con una specie di terrore dipinto sul viso.

«No! Significherebbe l’espulsione dal Collegio degli scienziati, l’esilio per tutto il resto della vita. Non posso farlo, Kenniston, non posso.»

«Hai lavorato e sperato per tanti anni» gli ricordò allora crudelmente Kenniston. «Un bel giorno rinuncerai anche a sperare, e il tuo procedimento sarà dimenticato e perduto.»

Arretrò di un passo, e aggiunse: «Non ti dirò altro... solo questo: che qui c’è un’occasione per te, se hai il coraggio di afferrarla. C’è la possibilità di tentare sulla Terra il tuo proce­dimento di ringiovanimento dei pianeti!»

Attese in silenzio, Gorr Holl e gli altri guardavano ansiosi, essi pure in silenzio. Gorr Holl aveva gli occhi scintillanti.

Arnol si mise le mani nei capelli, gemendo.

«Non posso, non posso! Eppure... non consentiranno mai lo so. Il lavoro di tutta una vita, perduto...»

Kenniston lo guardava soffrire in silenzio, tormentato fra il desiderio e la paura. Alla fine, Arnol si decise. Esitante, dis­se: «Dovrebbe essere il tuo popolo a decidere, Kenniston. Dovranno acconsentire ad accettare il rischio.»

«Li conosco, e so che acconsentiranno!» esclamò Ken­niston. «E se acconsentono?»

Gocce di sudore imperlavano la fronte di Arnol.

«Se acconsentono, lo farò» disse infine, con voce ferma.

Una grande eccitazione invase Kenniston. Una possibili­tà... un’ultima possibilità, dopo tutto!

Guardò Gorr Holl, Magro, e Lal’lor, e domandò: «Siete con noi, in tutto questo?»

Gorr Holl scoppiò in una grossa risata.

«Se siamo con voi?» Si avvicinò a Kenniston, e disse: «Noi, umanoidi, abbiamo combattuto questa battaglia per lungo tempo. Credi che vogliamo ritirarci ora?»

Gli occhi felini di Magro scintillavano. Non parlò nemme­no, ma si limitò a fare un cenno di assenso col capo.

Jon Arnol disse allora, eccitato: «Il mio incrociatore spa­ziale è ora attraccato al porto Sud, qui vicino. Non ci vorrà molto per giungere alle mie officine, nelle montagne.»

«Verrò anch’io...» disse Lal’lor.

«No» lo interruppe Gorr Holl «tu, vecchio mio, rimar­rai qui a fare da copertura. Dirai a chiunque che siamo anda­ti a far visitare la città a Kenniston.»

«Benissimo, Gorr» sospirò Lal’lor. «Ma cercate di es­sere prudenti... tutti voi.»

Lasciarono così l’alloggio di Kenniston. Mezz’ora più tar­di, l’incrociatore spaziale di Arnol fendeva la notte, diretto al­l’altra faccia di Vega Quattro.