Era esattamente mezzogiorno e due minuti quando Audrey Nardis usci dall’ascensore per entrare nell’atrio degli uffici Brunner. Su un vestito verde indossava una pelliccia marrone, troppo lussuosa se l’avesse pagata lei, e troppo modesta in caso contrario; sul suo viso era dipinta un’espressione ansiosa e guardinga. Casey attese che fosse arrivata all’arco della porta che dava sulla strada, prima di uscire da dietro una vicina colonna e afferrarla per un braccio.
— Cercate qualcuno? — le chiese.
Si volse di scatto e sbarrò gli occhioni castani. — Ah, siete voi!
— Allora vi ricordate di me?
— Se ricordo… A proposito, il signor Gorden vorrebbe vedervi.
Casey riuscì a spingerla in strada. Fuori c’era già la ressa del mezzogiorno, e, date le circostanze, gli garbava l’idea di essere in compagnia numerosa.
— Buffo — mormorò, mentre si avviavano senza una mèta particolare. — Non credevo proprio che gliene importasse.
— Altro che! Mi ha detto di chiamare subito la polizia, se avessi mai rivisto quel finto reporter.
— Non ve lo consiglio.
— Che cosa volete, in fin dei conti?
Dopo essersi fermato a scrutare la strada, Casey disse: — Far colazione. Dove si può andare? Sono affamato.
— Poche storie. O parlate o strillo.
Era un rischio che doveva per forza correre, e in quel momento la signorina Nardis pareva decisissima a mettere in atto la minaccia. Però era curiosa, qualità su cui Casey aveva contato molto. Strinse con maggior forza il braccio di lei e riprese a camminare, avviandosi verso un bar che aveva avvistato poco oltre. — Sono disposto a parlare appena ne avremo la possibilità — spiegò.
— Ecco perché vi ho telefonato, stamattina, per poter fare due chiacchiere in pace.
Quando vi entrarono, il bar era quasi pieno, ma Casey ebbe la meglio su un avventore irascibile e riuscì a occupare l’ultima nicchia in angolo, appartata e accogliente se pure circondata da un frastuono sufficiente a soffocare qualsiasi conversazione. La ragazza era in collera, questo era indubbio, ma anche perplessa, perché lui al telefono era stato molto misterioso.
“La mia identità non ha importanza” aveva detto. “Vi aspetterò al pianterreno quando uscirete per la colazione. Farete bene ad esserci, nel vostro interesse.”
La signorina Nardis stava tamburellando con le dita sul ripiano del tavolo e lo guardava di traverso, in modo tutt’altro che lusinghiero. — Sono pronta ad ascoltare — annunciò — ma per ora non ho sentito nulla.
— Dunque, Gorden vuole vedermi — fece Casey. — Non vi ha detto il perché?
— Ha detto che non siete un reporter, non so altro.
— A dire la verità, non lo sono — ammise Casey, tirando fuori di tasca il cartoncino su cui era incollata la fotografia.
— Che cos’è tutta questa storia? Perché mi avete trascinata qui?
— Per il vostro bene, credetemi.
Aveva posto sul tavolo il cartoncino e la signorina Nardis smise di lanciargli occhiatacce per guardare la fotografia. Parve un poco interdetta, ma non intimorita, e chiese: — Che vuol dire?
— Conoscete quest’uomo?
— Si direbbe, non vi sembra? È Barney.
— Barney?
— Barney Carter. E con questo? È un tizio.
— Sapete dov’è adesso?
Audrey pareva avere una difesa interna automatica, che entrava in azione al momento opportuno. Casey non poteva sapere quanto Gorden le avesse riferito sul loro breve ma cruento incontro, forse non più dello stretto necessario, comunque pareva che lei si rendesse conto di avere di fronte un avversario.
— Perché dovrei sapere dov’è? — tergiversò. — Non lo sto cercando.
— Sua moglie invece lo cerca.
— Sua moglie! — Casey l’aveva imbroccata giusta. — Non mi ha mai detto di essere sposato.
— Male — fece Casey — perché ora che ha visto la fotografia sta cercando anche voi.
— È assurdo! — Gli occhioni castani si sgranavano sempre più. — Quella fotografia non significa nulla.
Casey tacque per un momento, lasciando che il rancore penetrasse fino in fondo, per evitare che ammutolisse di punto in bianco. Se ne stava lì tranquillo, sorridendo del suo disagio, grato per una volta tanto che il servizio nel locale fosse lento. Quando la vide riprendere a tamburellare, chiese: — Dov’è Barney?
— Sentite un po’ — scattò Audrey — vi ho già detto che non è niente per me. Come posso sapere dove s’è cacciato? L’ho visto un paio di volte in tutta la mia vita.
— Un paio?
— Be’, tre o quattro. Non ricordo. Venne in ufficio un giorno a chiedere del principale, ma il signor Gorden era fuori, e allora provò a fissarmi un appuntamento. Quando tornò per la terza volta, accettai, ma soltanto per farla finita. Soddisfatto?
— Lui fu soddisfatto? — ribatté Casey, con un sorrisetto ironico.
— Non vi capisco.
— Lo rivedeste in seguito?
Dal suo volto Casey capì d’aver sfiorato il punto debole.
— Mi sembra che non vi riguardi — gli rispose.
— Perché non sapete quale sia il mio compito. A proposito, riuscì mai a vedere Gorden?
Ora lei taceva, ma Casey aveva ottenuto ciò che voleva. Non poteva ancora provare nulla, ma era sicuro in cuor suo dell’identità della persona sulla quale Groot aveva indagato e sul sistema usato da lui per penetrare nell’ufficio di Gorden.
Corteggiare la signorina Nardis era un’ottima scusa per ciondolare nelle vicinanze. Restava un mistero che cosa aveva visto o forse udito, ammesso che si fosse valso di un microfono, e Casey si rammaricava della sua colluttazione con Gorden. Se non fosse avvenuta, avrebbe potuto usare lo stesso sistema. Mentre rifletteva in cerca di un’altra mossa, arrivò una cameriera a prendere le ordinazioni, e l’interruzione fu utile per abbassare la pressione di Audrey.
Appena furono di nuovo soli, Casey rifletté ad alta voce: — Suppongo che vi capiti spesso d’imbattervi in tipi come Barney. Da quel poco che ho potuto vedere nel vostro ufficio, deve esserci un gran via vai di persone. Non manca certo il lavoro, a Gorden.
— Ma voi chi siete, si può sapere?
— Immagino che le sole attività della signora Brunner lo tengano in ballo continuamente. Ho sentito dire che lei non muove un dito senza chiedere il suo parete. Deve saperci proprio fare, Gorden. — Vedendo che la ragazza si raddolciva un poco, aggiunse: — Si occupa anche delle sue opere di beneficenza, vero? In capo a un anno chissà quanto denaro distribuisce quella donna.
— E perché non dovrebbe farlo? — esclamò la ragazza. — Non se li cava di tasca sua. Anche a me piacerebbe distribuire quattrini, se avessi per marito Darius Brunner.
C’era qualche nota falsa nelle sue parole. Casey riandò col pensiero allo sguardo di sfuggita che aveva dato alla signora Brunner, dal quale aveva riportato l’impressione di una donna abituata da generazioni alla ricchezza.
— Credevo che avesse un patrimonio personale — osservò.
— La signora? — Audrey cominciava a divertirsi tanto, che dimenticò perfino di essere in collera. — Non aveva il becco di un quattrino prima di sposare Brunner. Apparteneva a un’antica famiglia di Boston, o qualcosa di simile, ricca di tradizioni e d’ipoteche, e quanto le restò del patrimonio familiare fu inghiottito dalla crisi. — Si fece pensierosa, atteggiamento a lei insolito, e concluse: — Ero troppo piccola per potermene ricordare, ma la crisi dev’essere stata terribile. Perfino il signor Brunner perse quasi un milione di dollari.
— Brutto guaio — borbottò Casey. — La maggior parte se la cavò con perdite minori; mio padre, per esempio, ci rimise soltanto un impiego da trenta dollari la settimana, e la vita. Forse la generosità della signora dipende proprio dal fatto che anche lei ha avuto giorni duri.
Non c’era verso di accontentare Audrey, e Casey concluse che doveva avere un forte spirito di contraddizione. Infatti, non appena manifestò opinioni concordi a quelle di lei sulla signora Brunner, la ragazza cambiò tono.
— E perché noi — disse. — Del resto l’ha sopportato per vent’anni, mi sembra.
— Era proprio tanto difficile?
— Era un uomo!
A poco a poco i singoli pezzi cominciavano a incastrarsi l’uno nell’altro, Casey ne era convinto. A un certo momento, Darius Brunner s’insospettì di quell’avvocato troppo di fiducia, confidente e protetto di sua moglie, e assunse un investigatore di dubbia fama per raccogliere informazioni e tenere il becco chiuso. In seguito, con mezzi che per il momento restavano misteriosi, Gorden se n’era accorto. Casey doveva quindi trovare le prove scovate da Groot, ma le uniche basi su cui poteva agire erano alcune piste vaghe e una ragazza, in cui stava rapidamente riaffiorando una forte antipatia per lui.
— Non mi avete ancora detto chi siete o che cosa volete. — Audrey sferrò l’attacco. — Prima vi mettete a parlare di Barney, poi dei Brunner e del signor Gorden. Quando comincerete a parlare un po’ di voi?
— Vi ho detto fin dal principio ciò che voglio. Cerco Carter B. Groot.
Non fu un “lapsus linguae”. Groot era un investigatore e quindi pratico d’indagini, mentre Casey sapeva soltanto giocare a poker.
— Carter B. Grott — ripeté noto anche come Barney Carter. Non so che professione vi abbia detto di avere, ma è un investigatore privato, e Darius Brunner lo aveva assunto perché indagasse sulle attività del vostro principale, soprattutto riguardo alla sua maniera di amministrare gli affari della signora Brunner.
Quando ebbe ripreso fiato, Audrey ansimò: — Mentite!
— Chiedetelo a Gorden e, già che ci siete, chiedetegli anche che cosa ne è della copia del rapporto di Groot, rubata nel suo ufficio. Chiedetegli anche dov’è finito lo stesso Groot.
Pur non essendo dotato del fiuto professionale di Groot, Casey capì che era giunta l’ora di squagliarsi. Entro un minuto alla bionda sarebbe tornato in mente il poliziotto che avrebbe dovuto chiamare non appena si fosse imbattuta in Casey, e questi non era ancora pronto per uno sviluppo del genere. Si alzò in piedi e prima di allontanarsi lanciò il suo terzo dardo.
— Tra parentesi — disse — potreste informare il vostro bel principale che Groot non era il solo a occuparsi di questa faccenda. Non è l’unico a conoscere il contenuto del rapporto.
Uscì alla chetichella dal bar e si mescolò alla calca frettolosa del mezzogiorno. Voleva soprattutto allontanarsi il più possibile dalla signorina Nardis, la sbigottita, perplessa e furibonda signorina Nardis, che probabilmente stava già chiamando per telefono l’ufficio di Gorden. Ogni parola della conversazione intercorsa sarebbe giunta alle orecchie del suo principale, su questo Casey non nutriva dubbi. Già lo vedeva sudare, assillato dai dubbi. Poteva anche tradirsi, se si lasciava prendere dal nervosismo. Nel frattempo, quell’ultima geniale trovata avrebbe potuto agevolare la situazione di Carter Groot, a meno che l’investigatore non fosse ormai oltre qualsiaàl possibilità di venire agevolato. Giunto nella State Street, Morrow si sentì più al sicuro in mezzo alla folla resa più densa dalla gente previdente che anticipava le compere natalizie, e pensò che l’espressione ansiosa sul suo viso avrebbe potuto essere interpretata come il dubbio sull’oggetto da regalare a una vecchia zia. Il suo pensiero tornava senza sosta a Groot e, benché si trattasse forse soltanto del desiderio che così fosse, gli sembrava che la scomparsa di lui, se collegata all’assassinio di Brunner, potesse indurre le autorità a formulare interessanti congetture, più adatte a incriminare Lance Gorden che non gli sforzi di un segugio dilettante piuttosto allergico alla polizia. Di tanto in tanto si trastullava con l’idea di comunicare ai tutori dell’ordine le sue informazioni. Quel pensiero si era affacciato spesso alla sua mente, da quando Phyllis era apparsa in mezzo a una nebbia creata dal whisky, capovolgendo tutto il suo mondo, ma lo aveva sempre scartato. In fondo al suo animo si annidava un timore della polizia che non riusciva a soffocare né con la logica, né con la speranza, né con la disperazione. No, non poteva andare al commissariato, ma c’era un’altra strada.
Si recò al più vicino ufficio postale e comprò busta e francobollo. Il tenente Johnson della Squadra Omicidi non avrebbe prestato attenzione a una lettera anonima, avendone ricevute chissà quante in vita sua, ma poteva darsi che una certa pagina dell’agenda di Carter Groot risvegliasse il suo interesse.