Pareva tanto innocuo, con la fetta di prosciutto affumicato in una mano e un panino nell’altra, che Casey capì subito come i nodi stessero venendo al pettine. Non era forse un poliziotto? C’era da stare in guardia, trovandosi un poliziotto in cucina, tanto più se ci si chiamava Casimir Morokowski.

Unendo pane e prosciutto, Johnson osservò: — Comincia il freddo e dà appetito. Del resto, non ho ancora pranzato.

— State facendo gli straordinari? — domandò Casey.

Domanda sciocca. Johnson si limitò a guardarlo, e fu sufficiente.

— John mi dice che siete tornato dalla California venerdì.

— Venerdì? Non ricordo.

— Strano. — Il tenente s’interruppe per mordere il panino. — Avete una guida interna grigia, se non sbaglio? — aggiunse.

— Esistono anche in California.

— Però non hanno la targa dell’Illinois.

Adesso Casey capiva. Sabato sera Johnson non era venuto per caso in visita. Si era ricordato, eccome, dell’individuo scorto all’albergo prospiciente il lago. Come avesse trovato le sue piste era un mistero, ma non dubitava che gli sarebbe presto stato chiarito. Alla polizia, probabilmente, poiché la mossa successiva sarebbe stata quella. Attese, mentre Johnson andava a prendere la tazza di caffè lasciata sul tavolo, ma poi qualcosa nello sguardo di lui lo indusse a voltarsi. Mamma era ritta sulla soglia, con il vecchio scialle azzurro sulle spalle e le consunte pantofole di feltro ai piedi.

Disse: — Casimir…

Una sola parola che ne racchiudeva tante. “Sei tornato, sei qui, e un poliziotto ti aspetta, come avevo temuto. Sapevo che c’era qualche guaio.”

— Ciao, mamma — le rispose cercando di assumere un tono noncurante. — Che succede? La madre si mordicchiava il labbro inferiore, tenendo d’occhio il tenente, ma questo aveva il viso nascosto dalla tazza.

— Tua moglie…

Phyllis! Mio Dio! Per un pelo non esclamò ad alta voce quel nome. Attese che mamma finisse, non osando aprire bocca.

— … vuole vederti disopra.

Ormai toccava a Johnson dare ordini, e Casey esitò dopo avere mosso un passo verso le scale. — Andate pure — concesse il tenente — e ditele di scendere con voi. Vorrei conoscerla.

“Non ne dubito” pensava Casey, salendo le scale con quanta rapidità gli era permessa da mamma che lo precedeva con il suo passo strascicato. Se non fosse scesa, mettendosi a parlare di Phyllis, chissà, forse ce l’avrebbe fatta a recarsi alla polizia da solo. Adesso era troppo tardi, proprio mentre si delineava la soluzione.

Dopo aver aperto la porta della camera, mamma lo fece entrare e la richiuse, appoggiandovisi contro. Poi disse, con voce afona: — Mi avevi mentito. Avevi detto di non essere nei guai. Mentivi.

— Lascia perdere il predicozzo — sbottò Casey. — Dov’è mia moglie?

— È andata via.

La fissò per un attimo a bocca aperta, stentando a crederle. — Andata via? Dove? Quando?

Di fronte a quel fiotto di domande, mamma scrollò la testa. — Come posso saperlo? A me nessuno dice mai niente. Sono dovuta uscire, e al mio ritorno non c’era più. Se n’è andata nel primo pomeriggio, e ormai è quasi buio.

— Non ha detto niente?

— No.

— Non ha lasciato un biglietto?

Nessun biglietto. Nulla, come aveva detto mamma. Casey dimenticò l’uomo che aspettava in cucina, per un lungo momento dimenticò tutto: Gorden, Vanno, tutto quanto. La scomparsa di Phyllis era l’unica cosa importante al mondo. Non aveva detto nulla, era semplicemente andata via.

— Che cosa vuole quel poliziotto?

Mamma era sempre stata brava a tornare sul piano della realtà. — È qua da mezz’ora a chiedere di te. Sapevo che c’era qualche guaio; mio figlio se non è nei guai non torna a casa.

Il suo sguardo però non corrispondeva alle parole, e lei lo fissava in modo strano, imbarazzante. I suoi occhi non accusavano, come la sua voce, non erano proprio ironici, parevano quasi tradire la paura. A questo pensiero Casey si sentì serrare la gola.

Disse con voce strozzata: — Eppure hai detto che mia moglie voleva vedermi.

— Io volevo vederti, senza la presenza di quel poliziotto.

La udì chiudere a chiave la porta e restare in ascolto. Se Johnson avesse udito avrebbe fatto le scale a quattro gradini per volta, ma tutto taceva, quindi non aveva sentito.

— Sono guai grossi, Casimir?

— La polizia crede che io abbia ucciso un uomo.

— È vero?

— No.

Se non avesse urlato, forse gli avrebbe creduto. Del resto, dato come stavano le cose, stentava a credere a se stesso e per un attimo rimpianse di avere detto la verità. Sciocchezze, non occorreva dire certe cose a mamma, le sapeva già. Lo fissò a lungo, quindi riapri la porta senza voltarsi.

— Mamma! — Vedendo che esitava, Casey insistette: — Non l’ho ucciso, te lo giuro su Dio. Se avessi tempo potrei provarlo, soltanto un po’ di tempo…

Mamma non mutò espressione e, continuando a stringere la maniglia, si voltò verso la porta. — Vado a vedere se il tenente vuole dell’altro caffè. Il tempo non gli manca, perché a una ragazza come Paula occorre un bel po’ per prepararsi, prima di scendere… vero, Casimir?

Casey non riusciva a parlare. D’un tratto provava il desiderio di piangere, di posare il capo sulla spalla di mamma e piangere come un bambino, ma non c’era tempo. Le parole di lei significavano che doveva affrettarsi, scendere le scale esterne senza fare rumore, chinare la testa passando davanti alla finestra della cucina e soprattutto filare a grande velocità.

— Ti occorre denaro? — gli chiese.

— No, non mi occorre niente. Se Paula torna…

Parlava al muro, perché mamma si era già richiusa l’uscio alle spalle e scendeva le scale col suo passo strascicato.

Casey sapeva che era necessario andare via subito, ma prima doveva accertarsi. Tornò in camera da letto, ma di Phyllis erano rimasti soltanto gli abiti. Nessun biglietto. Se n’era andata, ma dove? La sera prima lo aveva supplicato di portarla via e adesso era scomparsa come se fosse stata spinta da un grande terrore. Casey fissava il vuoto e cercava di trovare una risposta, ma era necessario rimandare il problema a un altro momento. Ora si trattava di affrontare nel miglior modo quella scala sul retro.

Per andare dalla taverna di Big John, alla fattoria nei dintorni di Arlington Heights, il percorso era lungo, specie in una rigida notte di novembre, ma Casey non lo trovava affatto lungo, visto che arrivava a mani vuote. Nei pressi della Milwaukee Avenue si fermò per telefonare a Maggie, pur sapendo che non sarebbe servito a nulla. No, non aveva visto Phyllis e, per di più, non ci teneva affatto a vedere né lei né Casey Morrow, grazie! Eppure, mentre parlava una vaga inflessione della sua voce lasciava intendere che condivideva le sue ansie, e per Casey era già un conforto. Si sentiva meno solo.

Per il resto del viaggio poté riflettere e gli pareva di avere ormai un quadro chiaro della situazione. Doveva per forza essere stato Gorden — oppure Vanno, ma in fondo era lo stesso — a uccidere Brunner. Questi doveva in qualche modo avere scoperto che tipo fosse Gorden, mettendogli poi alle costole Groot per ottenere le prove. Casey lo trovava un modo di agire logico, perché sarebbero occorse prove di ferro per convincere la signora Brunner che Gorden non era una perla d’uomo. Appena questi si era accorto di quanto stava accadendo, doveva avere capito che occorreva ricorrere all’omicidio per salvare la possibilità di sposare il patrimonio Brunner.

Tutto collimava. Occorreva soltanto la dichiarazione della signora che Gorden non era stato con lei la notte del delitto. Questa affermazione, abbinata a quanto gli aveva raccontato sull’acquisto del terreno, avrebbe convinto anche un tipo ostinato come il tenente Johnson; però c’era un incaglio. La signora Brunner probabilmente non sarebbe stata d’umore adatto ad agevolarlo, vedendolo comparire senza Phyllis.

In questo turbinìo di pensieri aveva svoltato nel viale della villa cintata dalla palizzata bianca e si stava inoltrando nel sentiero inghiaiato per andare a suonare il campanello.

L’uomo che la volta precedente indossava calzoni di cotone e camicia a scacchi, ora vestiva di nero, ma a parte quello non era mutato. Aprì la porta, accigliato come sempre, e lo fece entrare. Evidentemente Casey era atteso, ma l’atmosfera non pareva troppo cordiale, e prima di entrare in biblioteca intuì che qualcosa non andava. Il suo presentimento non valse tuttavia a preparargli l’animo allo choc che l’attendeva oltre la soglia.

La stessa stanza chiara a lui già nota, un fuoco che crepitava allegramente nel camino, luci artisticamente diffuse, ambiente caldo e accogliente. Molto accogliente. La signora Brunner che si alzava dalla poltrona a fiorami per riceverlo. Lance Gorden sdraiato comodamente su uno dei larghi divani, e Phyllis, proprio Phyllis, rannicchiata in posa affettuosa contro il braccio di lui.

Accogliente e piacevole come un pugno nello stomaco.

Sarebbe stato difficile stabilire quanto durò il silenzio, e fu la signora Brunner che si decise a romperlo. (Casey aveva quasi dimenticato la sua presenza. Vedeva soltanto la posa da gatta di Phyllis contro il braccio di Gorden. Gli pareva quasi di sentirla fare le fusa.)

— Entrate, signor Morrow — disse. — Vi aspettavamo. Non credo che conosciate il fidanzato di mia figlia, il signor Gorden.

Mentre questi balzava in piedi, dal suo viso si capì che aveva riconosciuto l’uomo che gli stava di fronte. — Ah, siete voi! — esclamò. — Mi pareva…

Casey non si era ripreso a sufficienza per difendersi dall’attacco improvviso, ma l’ordine perentorio della signora Brunner fece il suo effetto. Ma forse non era stata soltanto la voce di lei a frenare Gorden, perché d’un tratto Casey vedeva chiaro, come se si fosse squarciato un velo. Dai suoi occhi traspariva tutto ciò che sapeva sul conto dell’altro, che per un attimo parve perfino essersi rimpicciolito.

— Scusa — disse — non è questo il luogo, capisco… ma dopo quello che ha fatto…

— A suo tempo il signor Morrow risponderà di quanto ha fatto. Credo anzi che dovrà rispondere di molte cose.

Stupito di possedere ancora una voce, Casey intervenne. — Non facciamo i ritrosi. Di che cosa dovrei essere incolpato?

La domanda non era rivolta a nessuno in particolare, ma i suoi occhi si erano posati su Phyllis. Per un attimo lo sguardo di lei si fece incerto, e Casey capì che non poteva sperare molto di più da lei. Era di nuovo Phyllis Brunner, la ragazza del bar Nuvola, dalla pelliccia di visone, dal profumo conturbante. Sì, anche il profumo non mancava, oltre il vestito parigino e la pettinatura complicata, e la stanzetta in casa di Big John apparteneva a un altro mondo.

Quando Gorden fece per avviarsi verso la porta, la signora Brunner tirò di nuovo il guinzaglio. — Dove vai? — chiese.

— Al telefono. È una questione che riguarda la polizia.

— Aspetta. Sentiamo il signor Morrow, prima.

Furbo, quel Gorden. Sapeva benissimo che lei l’avrebbe fermato. È sempre il gesto che conta.

— L’avete già sentito il signor Morrow — fece Casey. — Domenica mattina vi ho detto tutta la verità.

(“Sì, ero proprio qui domenica mattina. Lo sapevi, Phyllis, non è vero? È per questo che volevi scappare ieri sera. Invece non siamo scappati. Sei scappata soltanto tu, tra le braccia di Gorden. Perché?” La domanda non ottenne risposta. Neppure un cenno.)

Con tono calmo, la signora Brunner obiettò: — La versione di mia figlia è diversa. Dice che la tenete prigioniera fin dalla notte in cui mori mio marito.

Un sorriso grottesco torse le labbra di Casey. Ormai nulla lo coglieva più di sorpresa, si aspettava qualunque cosa. — C’è altro? — chiese.

— Non vi pare che basti? — Una vampata di rossore era salita al viso di Gorden. — Ad ogni modo, Phyllis può anche dare qualche informazione sul delitto.

— Non mi stupisce — osservò Casey, in tono asciutto. — Ma come mai avete bisogno d’informazioni? Soffrite di amnesie?

La stanza non era più tanto accogliente, e persino il fuoco sembrava freddo. “Parla, Casey Morrow, fai lo spiritoso, non aver l’aria di un uomo che si lascia prendere dal panico, perché è prossimo lo schianto.” Ma ormai sapeva già come sarebbero andate le cose, lo sapeva, adesso che era troppo tardi. Un bellissimo tranello, proprio bellissimo. Oppure no? Qui sorgevano i dubbi assillanti: d’accordo, Phyìlis mentiva, ma chi gli garantiva che non attribuissero a lui l’uccisione di Brunner? Da tempo non si era più abbandonato a tali pensieri, ma ora tutti i vecchi dubbi riaffioravano, e aveva paura. Quando si lasciava prendere dal panico, era soltanto capace di diventare aggressivo, quindi esclamò: — Non occorre che mi diate particolari, so bene che genere di favole vi ha raccontato. Le stesse che le servirono per minacciarmi, se non mi fossi schierato al suo fianco, aiutandola a coinvolgere voi nel delitto, Gorden.

— Mentite!

— Ma certo, mento. Tutti mentono. Forse non è mai esistito un omicidio, forse anche quello è una menzogna. Forse si tratta di una di quelle ingegnose fandonie che Phyllis ama raccontare al prossimo. Dimmi, tesoro, hai svelato la grande notizia a tua madre?

Priva dell’appoggio della spalla di Gorden, Phyllis pareva ancor più piccina. Rannicchiò le gambe sotto l’ampia sottana e lo fissava, cercando di lanciargli un incomprensibile messaggio, ma era tardi per lanciare messaggi.

— Notizia? — ripeté la signora Brunner. — Che notizia?

— Allora non le hai detto nulla? Via, amore, mi pare che mammina dovrebbe saperlo. Forse non approverà nozze tanto affrettate, forse non le garberà neanche quella dote di cinquemila dollari, ma comunque ha il diritto di saperlo.

Le parole gli uscirono dalle labbra proprio come aveva voluto, e tanto per cambiare restasse pure a bocca aperta qualcun altro. Il viso terreo di Phyllis, però, gli ripeteva che era una mossa sbagliata. La situazione sarebbe peggiorata, chiarito il punto.

Capì di avere visto giusto quando lei esclamò: — Nozze! Non capisco di che cosa stiate parlando, signor Morrow, ma comincio a sospettare che siate malato di mente.