Pionieri dell’infinito

PARTE PRIMA

La scoperta

1

Al suo ritorno a casa c’era la neve ad accoglierlo. La vide dal tassì e la detestò, gelida, farinosa neve di gennaio. Devan Traylor la conosceva bene la neve di Chicago. Pensate, si infilava dappertutto portando ondate di freddo, e si ammassava fin davanti alla porta delle case.

Mai la neve gli aveva suscitato sentimenti così esasperanti come adesso, che dalla Florida era stato richiamato a Chicago dall’urgente appello di una donna che annunciava qualcosa di grave. Aveva atteso tre anni una vacanza, e proprio quando l’aveva raggiunta e se ne stava nella sua casetta sul mare, gii era arrivata la chiamata.

La signorina Treat aveva ripetuto con insistenza che qualcosa non andava.

Forse quelli della “Inland Electronic” avevano aspettato deliberatamente che lei fosse via, per agire di testa loro? Non gli sembrava probabile. Li conosceva troppo bene. D’altra parte credeva di conoscere bene anche Beatrice Treat, la cui voce al telefono era singolarmente sommessa e circospetta. Gli aveva detto che non poteva arrischiarsi a parlare chiaramente, e tutto ciò non rientrava nel suo usuale modo di agire.

Non c’era via di scampo: aveva dovuto tornare.

Le aveva telefonato appena arrivato, dall’aeroporto, ma la risposta datagli con una freddezza incredibile, aveva confermato che lei non gli avrebbe detto niente fino a che non si fossero visti.

A quel punto, Traylor aveva perso la pazienza e riattaccato il ricevitore con forza. Poi aveva guardato fuori dai vetri della cabina telefonica, e osservando i primi volteggi della neve, si era sentito improvvisamente angosciato al pensiero che, anche quando fossero stati a faccia a faccia, lei potesse tacere ancora.

Ma aveva scartato subito tale idea. Oltre al suo regolare stipendio di segretaria, la signorina Treat riceveva un compenso a parte proprio per tenerlo informato dei fatti che avrebbero potuto sfuggirgli. Lo ammetteva, talvolta doveva separare ciò che era puro pettegolezzo dal lavoro d’ufficio, ma questo soltanto per un eccesso di zelo da parte sua.

— Volete ripetermi l’indirizzo? — L’autista del tassì si appoggiò un po’ all’indietro e curvò la testa da un lato per aspettare la risposta.

— Non ho dato indirizzi — disse Devan. — È una taverna due isolati a est della “Inland Electronic”, come ho detto prima.

Il tassì si fermò davanti alla “Taverna del Pavone”. Devan pagò e. tenendo forte il cappello contro il vento, percorse il breve tratto che lo separava dalla taverna ed entrò.

Non c’era mai stato prima e ora, guardandosi attorno, si domandava se aveva fatto bene a scegliere quel luogo. Gli scambi di confidenze tra lui e Beatrice Treat si svolgevano generalmente nel suo ufficio: ma a quell’ora, tanto più che lui avrebbe dovuto essere ancora a crogiolarsi al sole della Florida, il suo ufficio non sarebbe stato molto opportuno.

La taverna traeva il proprio nome da un vecchio e polveroso pavone imbalsamato esposto in vetrina, la cui effige era stata riprodotta più volte sulle pareti interne. Alcuni clienti che erano al bar, lo seguirono con occhi indifferenti e quindi ripresero le loro occupazioni. Riconobbe subito la signorina Treat attraverso la fitta cortina di fumo e si diresse senz’altro verso di lei. Notò subito l’espressione preoccupata dei suoi occhi.

— Signor Traylor! — esclamò alzandosi. — Sono così spiacente! — Non l’aveva mai vista così depressa.

— Smettete di scusarvi e sedetevi — rispose Devan ruvidamente, togliendosi il cappotto e appendendolo.

— Ma non potevo fare diversamente! — Stava per piangere e così Devan, sedendosi, dovette prenderle le mani per confortarla.

— Non sapevo se facevo bene o male a chiamarvi, ma dovevo pur decidermi. Non ho fatto che pensarci e…

Una cameriera emerse dall’aria densa che li circondava e Devan ordinò due cognac.

Beatrice Treat era una donna piuttosto robusta, aveva passato da un po’ la trentina, ma aveva conservato la grazia e l’avvenenza proprie di una ragazza.

Questa e altre sue qualità come lo zelo inesauribile, l’efficienza e la lealtà, l’avevano imposta agli occhi di Traylor nella scelta di una segretaria dopo l’arrivo alla “Inland Electronic”. Di tale scelta, Devan non ebbe a pentirsene. Spesso dovette ammettere che non avrebbe potuto fare in tre anni tutto quel lavoro senza di lei.

Beatrice era semplice e naturale e, quando si trattava del bene della “Inland” e di Devan Traylor, non aveva esitazioni di sorta, anche se ciò l’aveva spesso messa in situazioni difficili e imbarazzanti.

Era la prima volta che la vedeva con un eccentrico cappellino con una piuma rossa e la veletta; doveva inoltre riconoscere che l’abito di raso nero che indossava, le stava veramente bene. A dir la verità, quell’abbigliamento lo stupì un poco, abituato com’era a vederla in ufficio con abiti severi.

Era però così pallida e angustiata che il vederla arrossire mentre le dava piccoli colpetti affettuosi sulla mano gli fece piacere.

— E ora, su, cosa avete da dirmi?

— Non so come cominciare — disse. — È tutto così terribilmente confuso. Ho creduto opportuno farvi tornare prima della riunione del Consiglio. Hanno stabilito di spendere… fino a un milione di dollari.

Devan sussultò. — Un milione di dollari? Per che cosa?

— Voi siete partito la scorsa settimana, dopo la consueta riunione del Comitato. Ricordate?

Sì, ricordava. Normale amministrazione, il secondo martedì di ogni mese. Aveva firmato delle carte, stretto delle mani e infine si era diretto alla sua abitazione di Oak Park a prendere Beverly e i piccoli per andare all’aeroporto. Tutto sembrava normale.

— Ebbene, hanno convocato un’assemblea straordinaria. Non potevano mettersi in contatto con voi perché eravate partito. Del resto non ci hanno neanche provato.

— Se ho ben capito, state parlando del Comitato esecutivo, no?

La signorina Treat annuì. — La riunione è stata indetta da Holcombe, su richiesta del signor Orcutt. C’erano il signor Basher, il signor Holcombe, il signor Tooksberry e il signor Orcutt. Tutto qui.

Questo era il Comitato esecutivo, eccezion fatta per Orcutt. Glenn Basher, piuttosto giovane, già appartenente alla “Continental Electric”, per anni aveva acquistato materiale alla “Inland”; James Holcombe aveva come Devan un duplice incarico, per la parte elettronica e per l’amministrazione, ed era anche presidente del Consiglio, e Howard Tooksberry era un avvocato dal carattere ostinato che lavorava alla “Inland” sin da quando si era laureato.

— Che cosa hanno fatto? — Devan chiese, aspettando ansioso la risposta. Senza di lui, Basher e Holcombe potevano decidere qualunque cosa, anche se Tooksberry si fosse opposto, dal momento che in sua assenza essi costituivano la maggioranza. Più di una volta egli si era schierato con Tooksberry, obbligando il Comitato a piegarsi a più sagge decisioni.

— Vogliono spendere un milione di dollari, signor Traylor, un milione di dollari per un esperimento scientifico.

Devan cominciava a vederci chiaro.

Edmund G. Orcutt, presidente della “Inland Electronic”, era un uomo imponente, con folti capelli bianchi, grosse sopracciglia e ben curati baffi. La carica di presidente gli era stata affidata per la sua posizione preminente in una grossa organizzazione di materiale per radio. Per Devan era un tipo da tener d’occhio poiché aveva dimostrato di comportarsi con eccessiva libertà nei riguardi dei t’ondi della Compagnia. Su questo problema si erano scontrati diverse volte.

Da quanto traspariva dal racconto della donna, Orcutt aveva convocato una riunione straordinaria e aveva avanzato la proposta, che ora sarebbe passata alla Direzione, con una particolare raccomandazione del Comitato esecutivo. La Direzione, dopo questa trafila, avrebbe facilmente legalizzato tale proposta, come faceva sempre in simili casi.

— Un milione di dollari. Ma è un sacco di soldi. Di che esperimento si tratta?

— Non lo so.

— Non lo sapete? Ma non c’eravate?

La faccia di Beatrice Treat era tormentata. — Questo è il grave della faccenda, signor Traylor. Mi hanno chiesto solamente se avevate lasciato la città. Il verbale della seduta è stato successivamente stilato dalla signorina Faversgam.

— Chi ha chiesto se avevo lasciato la città?

— Il signor Orcutt.

— Le cose stanno così, dunque. Prima di tutto si assicurano che io sia via e poi indicono la riunione, facendo in modo però che voi non siate presente per non darvi la possibilità di riferirmi l’accaduto. Ma se non eravate là, come avete fatto a sapere quello che hanno detto?

— Be’…

Devan non insistette. Sapeva che sarebbe stato un er rore indagare sui suoi informatori. — A ogni modo, la faccenda si va facendo ogni minuto più interessante. Che cosa avete scoperto ancora?

— La riunione si è tenuta lunedì. Da quanto ho saputo, l’intera faccenda è segreta. Non so che altro sia successo, ma so che hanno approvato la spesa. Si interruppe un momento per bere un sorso di cognac. A Devan sembrò che le facesse molto piacere potergli dire quelle cose. Il cognac aveva su di lei un effetto energico: la rianimava e le ridava sicurezza. Devan la osservò con calma, lasciò che i lineamenti del suo volto si distendessero ulteriormente, cosciente che sarebbe stato inutile e inopportuno sollecitarla oltre misura.

— Ah. dimenticavo di dire che c’era anche Sam Otto.

— Così, eh? — Devan si batté la fronte. — Sam Otto! Quel dannato imbroglione! Non ditemi che hanno accettato uno dei suoi progetti!

— Non lo posso dire con certezza, ma so che spenderanno un milione di dollari e che Sam Otto era con loro.

— La situazione è più grave di quanto pensassi, Beatrice. Lasciar fare a un truffatore cóme Sam! — Accese una sigaretta mentre i suoi muscoli erano tutti tesi in una specie di dolorosa ribellione al solo pensiero di Sam Otto. Aveva messo il suo visto su una dozzina di progetti di Sam Otto, il piccolo Sam Otto dalla rotonda faccia innocente e dal sigaro sempre spento tra le labbra. Sam aveva di solito una provvigione del cinque per cento sull’affare concluso. Ciò significava che in quell’occasione avrebbe guadagnato cinquantamila dollari!

— Già, signor Traylor. Sam Otto era là prima del tempo.

— Non perde nessuna occasione, lui.

— Con Sam Otto c’era un certo dottor Costigan, lo scienziato cui andrà il denaro.

— Non parlate con tanta sicurezza, signorina Treat! Nessuno avrà il denaro. Abbiamo i nostri uomini e il nostro laboratorio. Orcutt deve essere impazzito! Mi domando persino se questo dottor Costigan esiste!

— Vi ho appena detto che era là.

— Lo so. Ma scommetto che è un qualunque Sam che Orcutt ha scovato chi sa dove, e a cui ha pagato una sommetta per la sua prestazione.

— Aveva un’aria per bene.

Devan sorrise. — Non conoscete Sam Otto e i suoi maneggi. Gli devo dar credito, sia che abbia aspettato fino a che io fossi fuori città o che abbia fatto aspettare Orcutt. È tutto quanto avete da dire?

La segretaria finì il cognac. Devan osservò con piacere che i suoi occhi grigi erano più luminosi del solito e le sue guance colorite.

— Non proprio — rispose. — In ufficio si mormora che questo dottor Costigan stia lavorando in una costruzione a sud del Loop. Dicono che si lamenti che i nostri laboratori non siano abbastanza grandi.

— Naturalmente. Per questo esperimento sballato possono spendere tutto quel denaro e togliersi di mezzo dalla “Inland”. Costigan… — Per un momento il nome gli restò sospeso nella mente. Dopo tutto ci poteva esser un dottor Costigan, ma non gli riusciva di ricordarlo nel campo della fisica elettronica.

— Che razza di esperimento si pensa che stiano organizzando?

Beatrice Treat guardò nel suo bicchiere vuoto. — A me sembra uno scherzo, ma ho sentito dire che prima ci fu una lunga discussione tecnica e quindi aprirono un disegno che sembra raffigurasse un’astronave.

— Un’astronave? E che cosa vuol farne la “Inland Electronic” di un’astronave?

— È quello che mi continuo a chiedere.

— Perché mai non mi avete parlato di queste cose al telefono?

— L’avrei voluto, signor Traylor, credetemi. Ma proprio non potevo parlare di quella astronave. È così sciocco. E per di più, non so se è vero.

— Del milione di dollari almeno potevate parlare.

— Ma voi mi avreste certamente chiesto a che cosa sarebbe servito e sarei stata costretta a parlarvi di astronavi. No, proprio non potevo farlo.

— Ho capito. — Si passò una mano fra i capelli. Stava cercando di vedere come si potesse dare un aspetto concreto alla questione, separando ciò che era realtà dall’invenzione.

— Che cosa farete?

— Non lo so. — La cosa era solamente arrivata al Comitato esecutivo. Si rallegrava di ciò. Certamente gli altri non avrebbero perso tempo per indire una riunione del Consiglio; e lui era arrivato giusto in tempo per questo. Non sapeva quale risultato potesse avere un suo ricorso scritto contro la decisione del Comitato esecutivo, anche se ne era membro. Ci sarebbe voluto un avvocato per spiegarlo. A ogni modo bisognava fare “qualcosa”. Doveva assolutamente assicurarsi che Sam Otto non venisse in possesso del denaro.

— Può darsi — disse — che faccia scoppiare una bomba in ufficio.

Lei lo guardò con aria così visibilmente preoccupata che Devan fu costretto a sorridere.

— Be’, non proprio. In fondo non penso che vogliano spendere un milione di dollari per un’astronave, non credete?

— Lo credo anch’io.

— E poi, per la costruzione di un’astronave ci vorrebbe anche più di un milione di dollari. È una faccenda sballata, signorina Treat. Domattina, per prima cosa, abborderò Orcutt.

2

Devan aveva appena chiuso dietro di sé la pesante porta del suo ufficio quando gli apparve il volto di Edmund Orcutt.

A Orcutt non sfuggiva quasi mai niente e Devan ebbe quindi la certezza che fosse già informato della sua presenza. Se lo vide venire incontro con un sorriso sincero sul viso amichevole e per nulla stupito, almeno apparentemente, di vederlo lì.

— Benone, Devan — esclamò il vecchio con calore, lasciandosi alle spalle il corridoio che portava ai vari uffici esecutivi e avvicinandosi a passi silenziosi per via del tappeto che copriva l’atrio. — Che sorpresa!

Devan lasciò che gli stritolasse la mano come se non si fossero visti da un anno. Era uno dei principi di Orcutt questo della mano, convinto com’era che non si può mai sapere il momento in cui la mano che voi stringete oggi può divenire la mano che vi aiuterà domani. E Devan, sia pure controvoglia, doveva ammettere che più di una volta questa tattica aveva funzionato a favore della “Inland”; non si poteva davvero criticare la cerchia di amici influenti di Orcutt.

— Credevo che foste in Florida e proprio l’altro giorno ho chiesto alla signorina Treat se eravate partito. Mi disse infatti di sì.

Mentre parlava mise un braccio intorno alle spalle di Devan, guidandolo verso il corridoio. Si girò per un momento verso la segretaria che era nell’ufficio esterno. — Il signor Traylor e io vogliamo essere lasciati in pace, signorina Templeton.

Quando furono entrati nell’ufficio tutto rivestito in noce, Orcutt chiuse la porta e disse: — Che diavolo vi ha preso di tornare, ragazzo mio? Col tempo orribile che fa! — Si lasciò andare nella sua poltrona di cuoio e sorrise amichevolmente a Devan, dondolandosi lievemente.

— Lo sapete maledettamente bene perché sono tornato, Ed!

Orcutt sospirò, si mosse in avanti e cominciò a riempire la pipa.

— Mi spiace tanto che abbiate deciso di tornare, Dev. Una volta mi diceste di non essere indispensabile. Non credete che si possa fare a meno di voi per un po’? — Mentre accendeva la pipa, studiava Devan da sotto le folte sopracciglia scure.

— Ma un milione di dollari sono tanti, Ed! E in mano a Sam Otto!

— Così sapete tutto. Un giorno o l’altro vedrò di scoprire chi è che vi procura queste informazioni, anche se credo di avere già un’idea in proposito. — Orcutt sorrise. — Doveva essere un segreto. Ma c’è sempre qualcosa che sfugge. Avrei dovuto immaginarlo. Non c’era bisogno che tornaste. Dovreste essere in Florida a spassarvela. Avete ben meritato questa vacanza!

— Per lasciare che la “Inland” perda un milione di dollari?

Orcutt continuava a sorridere confidenzialmente e ciò urtava maledettamente Devan. Invece di avanzare delle scuse o tutt’al più delle spiegazioni, sembrava a Devan che il vecchio si divertisse.

— La “Inland” non perderà un solo centesimo, Devan!

— Lo potete scommettere. E sapete perché? La “Inland” non investirà un centesimo in ricerche da farsi fuori di qui.

— Credete?

— Ne sono sicuro. — Devan, che era stato in piedi sino a quel momento, si sedette su di una sedia di pelle che scricchiolò nell’accoglierlo. Tirò a sé un’altra sedia e vi appoggiò i piedi.

— Quando è la riunione del Consiglio di amministrazione?

— Oggi pomeriggio. Ne sapete qualcosa? Davvero sorprendente come sappiate tante cose, dal momento che eravate lontano.

— Questo pomeriggio, eh? Non state un po’ forzando i tempi?

— A dire il vero, intendo procedere il più velocemente possibile.

— E che cosa fareste se io presentassi un ricorso per l’annullamento dell’accettazione del Comitato esecutivo?

— Sarebbe sciocco da parte vostra, dal momento che la decisione è già stata presa dal Comitato.

— Non ditemi comunque che Tooksberry ha votato a favore.

— No, questo non lo posso dire.

— Bene, allora l’assemblea dovrà ammettere che si tratta di un abuso, dal momento che la riunione si è tenuta in mia assenza.

— Ma ciò non conterà. Il fatto che voi foste fuori città ha costituito una sfortunata circostanza.

— Voi avete aspettato che io fossi via.

— Un momento, Devan! — Orcutt si tolse la pipa di bocca e le ceneri si sparsero fuori. Gli occhi erano freddi e gli angoli della bocca si erano irrigiditi. — Non è da voi dire queste cose, assolutamente. E poi non è vero — disse duramente.

— Ebbene, volete spiegarmi allora perché tutto ciò è accaduto subito dopo la mia partenza?

— Vorrei saperne quanto voi, per parlarci francamente. Nel caso voi non ne foste a conoscenza, vi dirò che si è trattato di una decisione improvvisa.

Devan rise senza allegria. — Mi par di vedere Sam Otto che aspetta che io sia partito per correre qui a vendervi una delle sue stupide idee.

Sentiva la rabbia aumentargli in corpo, così si alzò e si diresse verso i due oblò gemelli, premette il bottone che faceva girare gli schermi di polaroid e poté guardare nella sala di montaggio.

In questa stanza venivano montati piccoli intricati cervelli per proiettili comandati, parti per macchine calcolatrici; invenzioni sorpassate come il “radar” accanto a meccanismi elettronici che ancora il pubblico ignorava. Questa era solo una parte dell’impianto. C’erano altre parti in cui venivano costruiti pezzi catalogati per la vendita al pubblico. E c’era una stanza nella quale la “Inland” stava realizzando una macchina che incorporava il metallo radioattivo, secondo le specificazioni governative e neanche Orcutt aveva idea a che cosa potesse servire, se fosse completa in se stessa o parte di un meccanismo più complesso. Ciò era sul piano dove si svolgeva la massima parte delle ricerche.

Orcutt si schiarì la gola. — Capisco le vostre perplessità, Devan. Nemmeno io ho fiducia in Sam Otto. Ma potreste rendervi subito conto che non è un’idea stupida.

Orcutt non scherzava. Sembrava proprio convinto fino in fondo di quanto diceva. Devan pensò che vi dovesse essere un segreto accordo fra Edmund Orcutt e Sam Otto.

— Ascoltate — disse Devan, girandosi dalle finestre che si stavano oscurando. — Conosco Sam Otto meglio di voi. È da anni che lo conosco. Ha cercato di vendermi congegni, sorprese e “mirabilia” fin da quando entrai professionalmente nel campo dell’elettronica, nel 1940. Non mi ha mai perduto di vista, neanche quando ero sotto le armi, aspettando che tornassi per sottopormi questa o quell’altra idea. E assolutamente nessuno dei suoi strambi progetti è mai valso una cicca. Vi si appiccica addosso con un progetto, si piglia il cinque per cento, poi taglia la corda e si dà subito d’attorno per trovare qualcun altro da imbrogliare.

— Voi piacete a Sam Otto — disse Orcutt.

— Per lui sono sempre stato un potenziale lattante. Non si può permettere di non avermi in simpatia.

— Gli spiacque molto di non trovarvi alla riunione.

— Non lo metto in dubbio. — Devan fissò acutamente Orcutt. — Quale è stato il vostro prezzo in questa faccenda?

Orcutt sfoggiava ancora il suo sorriso. — In tutto e per tutto, Devan.

Devan alzò le mani: — Mi arrendo. Mi siete sempre piaciuto, Edmund. Ma adesso non vi capisco.

Orcutt aprì un cassetto. Ne tolse alcuni fogli di carta.

— Avete detto cinque per cento. Guardate un po’ questo contratto. Non è ancora firmato, ma lo sarà, dopo la riunione del Comitato, questo pomeriggio. Vi risparmierò tempo annunciandovi che non troverete il nome di Sam da nessuna parte. E sapete perché?

— Ne sono impaziente.

Orcutt si allungò attraverso il tavolo. — In questa faccenda non piglia un centesimo.

Devan prese i fogli, li scorse attentamente, esaminò tutti i paragrafi. Un uomo di nome Costigan doveva prendere un milione di dollari per un esperimento che lui stesso avrebbe diretto.

Devan gettò di nuovo le carte sul tavolo.

— Benissimo — disse. — E che cosa ci sta a fare allora Sam in questa faccenda?

— Sam crede in questo progetto. Come ci credo io.

Devan borbottò. — Devo vedere per crederci. Può darsi che questo dottor Costigan abbia venduto a lui qualcosa. Sarebbe divertente dopo tutti questi anni! Vendere a Sam un’astronave!

— Un’astronave? — Orcutt lo fissò un momento, poi sbottò a ridere così di gusto da avere le lacrime agli occhi.

— Questa è veramente grande. È la cosa più divertente che abbia sentito da anni. Il vostro informatore non è stato esatto, ma adesso capisco come ciò sia accaduto. Se solo sapeste, morireste dal ridere anche voi.

— E che cos’è allora? — chiese Devan, arrossendo.

Orcutt si ricompose. — Non posso proprio dirvelo, Devan. È una cosa segretissima e tutti ci siamo accordati di non parlarne in privato.

— Volete sapere allora la mia opinione? Per me questo dottor Costigan e Sam Otto vi hanno abbindolato. — Devan stava proprio seccandosi.

— Potete pensare quello che volete, Devan, ma desidero fare con voi un giretto.

— E dove?

— Nel laboratorio del dottor Costigan.

Devan non si mosse. — Ho grandissima stima per voi Ed, ma è veramente assurdo che non si possa parlare di un affare nel quale la compagnia è impegnata, nell’ufficio di questa compagnia e alla presenza di un membro del Comitato esecutivo. C’è dell’altro: perché non avete permesso alla signorina Treat di prendere lei gli appunti? Ve lo debbo dire io? Ebbene, non volevate che fosse in grado di mettermi al corrente delle vostre decisioni.

— Mi spiace, ma siete completamente fuori strada. Devan. Fu lei a non volere prendere le note, con l’intenzione di dare ai fatti una maggiore gravità, in modo di farvi ritornare immediatamente.

— Non vi credo. Perché mai la Treat avrebbe dovuto volere che tornassi? — Devan era veramente esasperato. — Dite cose prive di senso, Ed.

— Per amor del cielo, Dev. Ma siete cieco? Non capite che la ragazza è innamorata di voi? Ce ne siamo ormai accorti tutti e ci siamo resi conto della situazione.

— Beatrice Treat? — Devan rise. — Ma no, Ed, non può essere. Io sono sposato e ho due bambini.

— Forse che l’amore ragiona? Su, non siate così ingenuo, Dev. Non ha fatto che smangiarsi da quando siete partito per la Florida e ha fatto di tutto per farvi tornare.

— Ma ne ha avute tutte le ragioni, amore o no. Sapeva benissimo che l’idea di un milione di dollari gettati dalla “Inland” per un capriccio, non mi sarebbe andata.

— Dal momento che ci stiamo parlando francamente, Dev, vi voglio dire una cosa. Siete troppo sicuro di voi stesso, troppo convinto di sapere tutto. Ora vi dirò che il mio futuro dipende da questa avventura. — Scosse la cenere della pipa. — Potremmo andare subito da Jimmy e chiedergli la sua opinione su ciò. o da Glenn e vedreste subito la loro reazione. Ma meglio di tutto è che vediate la cosa con i vostri stessi occhi. Sapevo che sareste venuto e ho già disposto tutto. Su, venite.

Il caseggiato nel quale si trovava il congegno era una vecchia costruzione di mattoni che, secondo Devan, doveva essere rimasta inutilizzata per tre anni almeno. Fecero il giro della casa più volte nella Cadillac di Orcutt, che imprecava a bassa voce perché non c’era il pur minimo spazio per parcheggiare la macchina.

— C’è gente che mette la macchina qui e ha il proprio lavoro al Loop — disse Orcutt, girando con la macchina intorno a un altro angolo. — Quando verremo qui a lavorare, ci occorrerà dello spazio per parcheggiare le macchine della compagnia. Non vedo come.

Devan stava zitto. E, sebbene non volesse pregiudicare il progetto in corso, pure il suo intuito gli diceva che vedeva giusto. Anzitutto, di qualunque cosa si trattasse, non vedeva perché ci si dovesse allontanare così dalla “Inland”. C’era un sacco di spazio per le ricerche là, e non esistevano problemi di parcheggio. Bisognava ora vedere di che razza di progetto si trattasse.

Finalmente parcheggiarono a due isolati di distanza e si diressero su uno strato di neve indurita che ricopriva i marciapiedi. Avvicinandosi alla costruzione vuota, sorpassarono una taverna e un negozio di idraulico, nell’interno del quale si intravedevano attraverso luridi vetri, rubinetti, tubi e accessori vari ammucchiati in un disordine caotico. Vicino c’era una tipografia con la sua piccola mostra di campioni di stampa, quindi una nitida facciata dipinta di bianco portava la scritta “Missione per i derelitti (di Sudduth)”. In vetrina c’era una Bibbia aperta, e una piccola luce ne illuminava le pagine. La porta accanto era quella di una drogheria, la drogheria Hodge, illuminata a malapena, e dai cui vetri appannati non si riusciva a vedere l’interno.

Sotto il cornicione istoriato che sovrastava i cinque piani del palazzo accanto, spiccava la seguente scritta a lettere dorate, ben centrata nel senso della lunghezza: “Rasmussen — Stove Company”, il tutto su uno sfondo filigranato. Le lettere avevano un aspetto disordinato: la continua esposizione le aveva scolorite e smollate, erano l’una addosso all’altra, e mancava l’ultima lettera. Devan si chiese dove fosse andata a finire.

— Non mi risulta che facciano materiale da riscaldamento da vent’anni — disse Orcutt. — Durante la guerra vi si facevano strumenti da lavoro come pinze e ceselli. Andiamo!

Si avvicinò alla porta d’ingresso e bussò. Devan notò sulla vecchia porta una serratura nuova. Poi la porta si aprì di pochi centimetri dai quali fece capolino, osservandoli, un vecchio tutto intabarrato con sciarpa e copriorecchi.

— Sono Edmund Orcutt. Sono atteso dal dottor Costigan.

Il vecchio tolse la catena, aprì la porta e si pose davanti all’ingresso ostruendo il passaggio.

— Documenti di identità — disse.

— Documenti?

— Per essere ben sicuri — disse il vecchio, senza muoversi. — Il signor Otto ha detto di accertarsi.

— All’inferno Sam Otto — brontolò Orcutt, togliendo dalla tasca il suo biglietto di visita e mostrandolo all’uomo.

— E lui chi è? — disse il vecchio indicando Devan.

— È con me.

Il vecchio scosse la testa dubbiosamente. — Non so… Il signor Otto…

— Ma io sì. Dobbiamo entrare. Fuori fa freddo.

— Ma dentro non è più caldo. — Si fece da parte e quando i due furono scivolati dentro, disse: — Un momento. — Poi, dopo che ebbe richiusa la porta e rimessa a posto la catena, li invitò a salire con lui.

Nello stabile sembrava ancor più freddo che all’esterno, proprio per quel senso di gelo che si avverte nelle case non riscaldate. La piccola stufa a petrolio che il vecchio teneva accanto a sé non scaldava affatto. Il fiato dei due formava effetti bizzarri nell’aria, mentre essi proseguivano con il vecchio, camminando sopra un pavimento sconnesso, verso il cupo retro della casa. Qui salirono vecchie scale che scricchiolarono sotto il loro peso con un suono ingigantito dal vuoto che regnava intorno.

Al secondo piano c’era una specie di capannone in legno con nitide finestre e all’interno vibrava una luce fluorescente. Dal tetto partivano diverse serie di fili elettrici intrecciati. Devan non riuscì a vedere nessuno all’interno della costruzione, mentre seguendo il vecchio la fiancheggiavano; ma, giunti vicino alla porta, che era aperta, Devan scorse Sam Otto.

Era sempre lo stesso Sam Otto, tondo e panciuto, dall’espressione gioviale e con l’immancabile sigaro che gli pendeva dalle labbra. Stessi occhi brillanti, stessa cordialità e, si disse Devan, la stessa loquacità.

— Devan, Devan! — Sam lo accolse molto calorosamente, tributando nel contempo una festosa accoglienza anche a Orcutt. — Dottor Costigan, abbiamo visite — disse. — Entrate, c’è posto per tutti! Fa freddo fuori. — E al vecchio: — Bene Casey, andate pure.

Sam era eccitato e compreso. — Io vi conosco, Devan. Voi non ci crederete. Ma neanche il signor Orcutt ci credeva, vero Orcutt? — Rise e gli diede una gomitata d’intesa. — Stavolta ci sono. — Ma prima di continuare ritenne opportuno togliere Devan dal visibile imbarazzo in cui si trovava presentandogli l’altra persona che ancora non conosceva.

— Dottor Costigan, questo è Devan Traylor. Devan, voglio che conosciate il dottor Costigan. Sarebbe meglio chiudere. C’è un termosifone ma non si sente il caldo con la porta aperta.

Devan diede la mano a un uomo alto e sottile, dai radi capelli e dai lucici occhi grigi. La sua mano era molle e stava un po’ curvo, come se la sua altezza lo mettesse a disagio. Dimostrava sessant’anni circa.

— Molto lieto — disse il dottor Costigan. Aveva una voce bassa e garbata e tutto il suo contegno denotava un uomo timido. — Lavorate alla “Inland”, signor Traylor?

— Se è alla “Inland”? — Sam si alzò e diede a Devan un amichevole colpetto sulla spalla. — È solo uno dei direttori, dottore! E per di più un membro regolare del Comitato esecutivo.

Lo scienziato lo guardò con maggior interesse.

— Era in Florida — Orcutt spiegò, togliendosi il cappotto. — Tornò quando seppe del progetto.

— Oh, sì, l’assente — sul volto di Costigan comparve un fugace sorriso. — Mi ricordo infatti che ne mancava uno.

— Non avevate avvertito il dottor Costigan che saremmo venuti? — chiese Orcutt a Sam con aria un po’ seccata.

— Mai disturbare il dottore per cose da poco — disse Sam. Poi rise. — Non che Devan sia cosa da poco. Anzi. Ma il dottore ha già tante cose cui pensare. Così ha saputo della vostra venuta quando vi ha visto arrivare.

— Volevo solo vedere il dottore per fargli sapere le mie decisioni — disse Orcutt.

— Ma certo — rispose Sam. — Naturalmente. Il dottore lo sa, vero, dottore? — Il dottor Costigan si limitò ad alzare le sopracciglia e sembrò che stesse per dire qualcosa, quando Sam riprese: — Come siete stato, Devan?

— Meglio di così… — Devan rispose, avvertendo la penosa sensazione che stava perdendo del tempo. La cosa si stava facendo sempre più ridicola. Si pentiva di essere lì. — Sono dell’idea che sia il momento, Sam, di farmi vedere quel piccolo aggeggio che ha il potere di trasformare della carta bianca, con un semplice giro di manovella, in bigliettoni da venti dollari. Non credete? Si tratta di una fornace d’oro da cui escono diamanti autentici o mattoni d’oro?

— Sempre voglia di scherzare — rise Sam. — Il solito vecchio Devan. Grande burlone, sapete, dottore?

Sam tolse il sigaro di bocca e lo posò sul bordo della scrivania. — Come potevamo sapere che il signor Traylor sarebbe venuto, dottore? Così è la vita, imprevedibile. Una promessa è una promessa, lo so, ma non dobbiamo dimenticarci che il signor Traylor è un uomo importante alla “Inland”.

— Ma tutta questa gente! — Il dottore appariva preoccupato. — Ho detto che lo avrei fatto vedere una volta sola e voi eravate d’accordo.

— Ma dottore! Il signor Orcutt ha portato Devan fin qui per vederlo.

— Io non ce l’ho con voi, dottore — disse Devan. — Io stesso se avessi avuto qualcosa di molto importante e avessi deciso di non mostrarla, avrei agito ugualmente. Non ci sarebbe niente di male se non mi fossi già trovato molte volte in simili situazioni con Sam.

— Un momento, Devan — disse Orcutt. — Mi spiace di essere il colpevole di tutto questo. Io ho promesso a Devan che avrebbe potuto vedere la macchina. — Poi, con espressione decisa, continuò: — Ma la deve pur vedere se vogliamo avere l’approvazione del Consiglio oggi pomeriggio! — Guardò il suo orologio da polso: — Sono le undici, la riunione è all’una e trenta, e ci sono un sacco di cose da fare.

Devan si lasciò cadere su una sedia, accese una sigaretta e li guardò tutti e tre con aria disgustata. — Sentite — disse — sono in affari da un sacco di tempo. E mi sembra improbabile che ci sia qualcosa di così sensazionale da meritare tutte queste esitazioni, a meno che non si tratti di una nuova superbomba. Perciò, tirate fuori questa faccenda e fatela un po’ vedere, o dirò al Comitato che cosa penso di tutta questa macchinazione.

— Devan — disse Sam con voce ferita — non sapete cosa state dicendo.

— È meglio che lo lasciate vedere, dottore — disse Orcutt — altrimenti la cosa sembra realmente senza senso.

Per un momento il dottor Costigan non si mosse dal centro della stanza e i suoi occhi apparivano pieni di furia repressa. Poi si ricompose e si diresse verso una porta che si apriva sull’altro lato della stanza.

— E va bene — disse, togliendosi una chiave di tasca e infilandola nel lucchetto.

Devan aveva una tremenda voglia di ridere, ma si trattenne. Si volse verso Sam, poi verso Orcutt e, vedendo l’espressione sorridente di questi, si chiese quanta parte di quella commedia fosse a suo favore. Dopo che il dottore ebbe aperto la porta, Devan schiacciò il mozzicone della sigaretta e seguì gli altri nel locale.

Era una piccola stanza, approssimativamente di tre metri per tre e cinquanta, illuminata da parecchie lampade fluorescenti tutt’intorno alle pareti. Lungo una di esse c’era un banco e sul muro sovrastante erano disposti, bene in ordine, alcuni strumenti familiari agli studiosi di elettronica.

Dietro il banco erano ammassati pezzi per radio e materiale elettronico, tra cui vari strumenti di controllo, un oscillografo, un trasformatore, uno stabilizzatore di voltaggio e vari accessori del genere. Se non fosse stato per la parete situata a destra, tutta piena di strumenti di più grosse dimensioni e di luci, bottoni, prese e misuratori, lo si sarebbe potuto scambiare per il laboratorio di un radioamatore, seppure di un tipo un po’ fuori del comune.

In un angolo della stanza il dottor Costigan era curvo sulla cassaforte. Con gesti rapidi stabilì la combinazione e aprì il pesante sportello.

Sam Otto tentò di aiutarlo, ma il dottore gli fece segno di stare indietro. — Lo maneggerò io — disse.

Costigan introdusse le mani con cura nella cassaforte e ne estrasse un lungo corpo metallico, che aveva tutta l’apparenza di un lucido razzo argenteo, di un trenta centimetri di diametro. La base circolare era perforata da un’apertura ad arco che proseguiva per tutta la larghezza del corpo metallico.

Il dottor Costigan avanzò faticosamente con l’ordigno tra le mani e tutti gli altri gli fecero largo. Lo sistemò sul banco, provocando un rumore sordo, e quindi, afferrandolo per l’estremità, lo pose in posizione verticale. “Be’, almeno ha l’aspetto di un’astronave” si disse Devan divertito. Beatrice Treat aveva detto giusto. Era alto circa un metro, e le luci vi si riflettevano con guizzi luminosi.

Il dottore appariva molto indaffarato; aprì un cassetto del banco e ne tolse un certo numero di rotoli di corda, che agganciò a sostegni lungo il fuso e che poi tirò fino a un pannello di sostegno. Mentre lavorava, le sue dita lunghe e sottili si muovevano con abilità e tutta la lentezza che Devan gli aveva attribuito era sparita. Una volta, quando Costigan si volse verso il pannello di misura, Devan ebbe modo di scorgere, alla luce delle lampade abbaglianti, l’espressione fanatica del suo volto.

Tutti seguivano con i nervi tesi le diverse fasi dell’operazione.

— Forse bisognerebbe aprire — disse Sam. — L’aria qui dentro è pesante.

— Lasciate la porta chiusa, per favore — disse Costigan. — Sono quasi pronto. — I contatori cominciarono a funzionare, gli aghi a oscillare e si avvertì uno scatto all’interno del congegno. Quindi un motore entrò in funzione, sprigionando un rumore sordo.

— E ora… — disse finalmente il dottore.

— E ora che cosa? — chiese Devan con sarcasmo.

— Aspettate — disse Sam.

— Per amor del cielo — disse Orcutt — date un minimo di fiducia al dottore.

— Ora, signor Traylor, se volete avere la bontà, prego — fece Costigan.

Devan si avvicinò al banco e Orcutt e Sam gli fecero posto.

— Vedete questo buco in fondo? — e Costigan indicò l’apertura ad arco alla base del fusto a forma di proiettile. — Guardateci dentro. Metterò le mie dita dall’altra parte. Così.

Devan si curvò. — Che io sia dannato! — disse.

— Che cosa avete visto? — chiese Sam sorpreso.

— Ho visto le due dita dall’altra parte!

— Sam ha ragione. Siete un tipo spiritoso, Traylor. E ora — il dottore si schiarì la gola: — Mettete il vostro dito nell’apertura.

Orcutt e Sam si fecero vicini per vedere, ma Devan esitò a eseguire ciò che Costigan gli aveva ordinato.

— Anzitutto, ditemi che cosa succederà.

Il dottore scosse la testa: — Assolutamente niente di male. Su, su.

Devan esitava ancora, guardandoli tutti e tre in attesa della sua decisione. Infine scrollò le spalle e mise il dito nell’apertura. Non sentì nulla, e dopo un po’ lo tolse.

— Tutti contenti? — chiese.

— Non avete osservato il vostro dito mentre eseguivate — protestò il dottore.

— Avanti, Devan — fece Orcutt con impazienza. — Non fate storie.

Devan mise il suo dito di nuovo vicino al buco. C’era spazio abbastanza non solo per il dito ma per la mano intera, ma vi introdusse solo un dito e attese.

A poco a poco il dito scomparve alla sua vista. Stupitissimo, lo tolse via e lo guardò. Era sempre intero. Il suo cuore accelerò le pulsazioni. Introdusse di nuovo il dito nella macchina e lo vide ancora sparire. Provò l’impressione che il dito si raffreddasse e lo toccò con l’altra mano. Era infatti gelido.

“È uno scherzo” Devan pensò. “Tra un momento mi rideranno tutti in faccia”. Si volse per osservare i presenti. Gli occhi di Costigan erano chiaramente ironici. Sam Otto lo guardava con una smorfia benevola. Orcutt aveva gli occhi accesi. Era chiaramente eccitato.

Devan si curvò e guardò di nuovo le pareti di metallo, facendo scorrere il dito intorno al bordo dell’apertura. Si trattava di una lavorazione accurata. Il metallo era pregiato.

Chiuse il pugno, quindi l’avvicinò all’apertura, e ve lo infilò, fino a che il suo braccio fu completamente dentro la macchina fino alla spalla. Allungò l’altro braccio per incontrare la mano dall’altra parte.

Ma la sua mano non c’era. Solo una manica vuota.

Terrorizzato, piegò il braccio dentro il canale interno e non trovò altro che aria dove avrebbero dovuto esserci le pareti del tubo. Poi sentì il freddo, come se avesse fatto passare il suo braccio fuori della finestra, attraverso un buco.

Scosse il braccio con rabbia. Era gelato.

3

Devan fissava il cilindro appuntito d’argento, e la vista gli si confuse mentre il lungo fusto brillava alla luce. Ciò che era accaduto lo aveva profondamente colpito. La sua mente si rifiutava di credere all’evidenza, ma i suoi occhi e la sua mano non si erano ingannati.

Doveva credere alla sua mente, o a ciò che aveva sperimentato? Il sudore gl’imperlava la fronte, il cuore batteva rapido, e aveva i nervi tesi.

Non “voleva” credere a ciò che aveva visto e fatto, ma allora? Se fosse stato tutto un abile trucco, e pensava che avrebbe finito per rivelarsi tale, non si sarebbe mai perdonato di essere stato tanto sciocco da credervi. Ma come dimostrare che era un imbroglio bello e buono?

Eppure pochi minuti prima aveva infilato un braccio dentro il cilindro di metallo levigato, e dall’altra parte era uscita la manica vuota!

— Ebbene…? — La voce di Sam era trionfante.

“Va’ al diavolo” pensò Devan. “State proprio cercando di mettermi alle strette! Volete che mi arrenda, eh?”. Si volse lentamente, seccato che lo avessero messo in stato di inferiorità. “Non sarà così facile avermi” si disse.

— Dottor Costigan, volete far ruotare il vostro ordigno di novanta gradi? Lo potete fare senza tirare nessuno di quei fili? — domandò.

Il dottore lo guardò con attenzione, soffregandosi il mento. — Credo di sì. — Pose il cilindro più vicino ai pannelli, e lo mosse nel senso voluto da Devan.

— Avete una lampadina con un filo lungo abbastanza da arrivare fin qui, in modo che io possa guardare nella cavità?

Il dottore frugò in un cassetto e ne tolse una lampada schermata, con un lungo filo. Devan infilò la spina in una presa elettrica e accese.

— Ora, Ed, se non vi dispiace, infilate il braccio nel cilindro mentre io osservo l’operazione dall’altra parte.

Si curvò in modo di avere l’orecchio sul banco, e sistemò la luce davanti a sé, in modo che l’apertura del congegno fosse bene illuminata.

Orcutt si mise dall’altra parte del cilindro.

— Cominciate pure — disse Devan. Osservava con attenzione le dita distese di Orcutt che, illuminate, si avvicinavano alla cavità. Quando la mano entrò nel tubò, vide una cosa incredibile: le punte delle dita sparirono e, come se fossero state tagliate nette, si videro distintamente ossa, vene e muscoli. A mano a mano poi che la mano avanzava, l’effetto di sezione passò dalle nocche al palmo e quindi al polso. Contemporaneamente al procedere del braccio di Orcutt, la manica della giacca diventava flaccida e vuota, scivolando lungo la cavità, a mano a mano che Orcutt introduceva il suo braccio. Alla fine la manica uscì per pochi centimetri dalla parte di Devan, e quando Orcutt non poté continuare oltre, si fermò.

Devan spinse dentro a forza la manica.

— Ehi! — esclamò Orcutt, tirandosi indietro.

— Non togliete la mano!

— Fa freddo qui dentro.

— Un momento solo.

Devan lasciò andare la manica, mosse la lampada, la mise sul banco e quindi inserì la propria mano nell’apertura. Con l’altra mano tenne ferma la manica di Orcutt, inoltrando la mano fino a che ebbe trovato il braccio di Orcutt. Era nudo e freddo. Orcutt aveva piegato il gomito e anche Devan. e le loro mani si afferrarono come nel combattimento indiano.

Devan soddisfatto liberò la sua mano e tastò il braccio di Orcutt. prima il polso, poi l’avambraccio, tirandone i peli. Orcutt indietreggiò un poco.

— Che cosa avete in mente, Devan?

— Sto facendo semplicemente delle prove — disse Devan. Sorrideva divertito, nonostante tutto.

Spostò la sua mano lungo il braccio fino al gomito, e dal gomito fino a… la carne era finita, tagliata e perfettamente liscia all’altra estremità. Fece scorrere le sue dita sul moncone del braccio. La superficie era come ghiaccio, senza alcun palpito di vita.

— Sentite qualcosa? — Devan chiese.

— Vagamente.

— Benissimo — disse Devan, togliendo il suo braccio.

Orcutt estrasse a sua volta il suo e cominciò a massaggiarlo.

— Accidenti, se è freddo dentro là — disse.

— Siete convinto, ora, signor Traylor? — chiese Costigan.

Devan annuì. Non poteva negarlo per il momento.

— Bene, Devan? — fece Sam.

Devan stava osservando con attenzione il dottore che toglieva tutti i vari fili, e non rispose. Tutto era così terribilmente confuso nella sua mente, e così recente era stata l’esperienza che non c’era senso a parlarne. Era come assistere a una rappresentazione fantastica o leggere un libro talmente avvincente da non desiderarne mai la fine, per non trovarsi di nuovo a contatto con la realtà, realtà assai meno interessante; ma poi, sapendo bene che la fine ci deve essere per forza, una volta arrivati, ci si accorge che anche le cose trascurabili riprendono la loro importanza e si è obbligati a considerarle con la dovuta serietà.

— Mi sembra di avere fatto una certa impressione su Devan — disse Orcutt. — So che è difficile crederci, Dev, ma è vero. Quando arrivaste qui, non vi aspettavate di sicuro una cosa del genere. Ora avete visto l’incredibile e ne siete stupefatto.

Devan sospirò. — Avete ragione. È impossibile, e io l’ho visto coi miei occhi. — Tolse una sigaretta dal suo astuccio e la accese con aria assente. — Quanti altri hanno visto questo, Ed?

— Tutti gli altri del Comitato.

— E Tooksberry ha votato contro?

Orcutt annuì. — Non ci crede affatto. Non ci si è voluto avvicinare. Glenn e Jimmy ne sono stati conquistati di colpo.

Il dottore aveva di nuovo il congegno argenteo fra le sue braccia e lo ripose nella cassaforte. Devan non riusciva a staccarne gli occhi. Respirò sollevato quando finalmente la porta della cassaforte fu accostata e il dottore ne girò la chiusura.

— Andiamo nell’altra stanza — disse Sam, aprendo la porta.

Nella stanza entrò una folata di aria fresca, respirabile, che schiarì le idee a Devan.

Si sedettero mentre Devan si asciugava la fronte sudata con il fazzoletto.

— Penso proprio che la cosa vi abbia impressionato, Dev — disse Orcutt, ridendo. — Avete l’aria di chi ha urgente bisogno di qualcosa di forte.

— Cosa avete provato quando l’avete visto?

— Più o meno come voi. — Orcutt guardò il suo orologio. — È quasi mezzogiorno, e la riunione è all’una e mezzo. Dobbiamo andare.

— Potremmo mangiare qui — disse Sam. — Potrei telefonare per farci mandare qualcosa.

— Qualcuno ha parlato di bere? — chiese Costigan, rigidamente seduto sulla sua sedia.

Devan si guardò intorno e non vide né bottiglie né bicchieri. — Berrei volentieri un sorso, ma bisogna uscire per prenderlo?

— Un momento. — Il dottore si alzò e si diresse di nuovo verso la porta chiusa. Dopo un momento tornò con una bottiglia di whisky, al che gli altri gli chiesero dove la tenesse. Rispose secco: — Nella cassaforte.

— Proprio vicino al tubo di argento? — disse Sam mentre il dottore disponeva quattro bicchieri sulla scrivania. — Non so quale delle due cose ha più valore per lui.

— Il signor Otto mi conosce da troppo poco — disse Costigan quasi allegramente. — Nel mio carattere ci sono lati assai interessanti.

Devan si rallegrò che Costigan si fosse un po’ lasciato andare e pensò che ormai si era un po’ abituato alla sua presenza.

— Ecco il tubo del dottor Costigan — disse Sam Otto, alzando il bicchiere riempito a metà.

Mentre bevevano, Devan notò la disinvoltura con la quale Costigan inghiottiva il whisky a lunghi sorsi.

— Come funziona il tubo, dottore? — chiese Devan. — Nel campo elettronico ho veduto quasi tutto, ma questa è una novità per me.

Il dottore sorrise astutamente: — Vorreste che lo dicessi, no?

— Il dottor Costigan è molto riservato riguardo alle sue invenzioni — spiegò Sam, riprendendo il suo sigaro dalla scrivania e masticandone l’estremità. — All’inizio cercò di ottenere fondi da diverse società, senza neanche dir loro a che cosa servissero.

— A essere franco — disse Costigan — non sono fatto per gli affari, e sapevo che avrei avuto delle noie.

— Due settimane fa circa — disse Sam — incontrai per caso Joe Gordon al “National” e lo invitai a cena. Mentre mangiavamo, nominò il dottore, ma solo per dire che era uno degli uomini più imbroglioni che avesse mai conosciuto, scusatemi dottore, ma disse proprio così, perché, disse Joe, il dottore voleva i soldi senza neanche far vedere di cosa si trattasse, ma assicurando solo che era qualcosa di nuovo. Che ne dite?

Devan mugolò: — Conoscendovi, Sam, penso che non siete tipo da lasciar correre una cosa come questa. E così correste a piè sospinto a vedere il dottore.

— Naturalmente — ruggì Sam, con il sigaro tra i denti. — Se non l’avessi fatto, dove saremmo adesso? Certo che corsi da lui: l’interrato della sua casa dà su North Side. Pensate un po’ se il congegno fosse stato fuori, sul banco di lavoro.

— Ci sono posti migliori per metterlo — interruppe il dottore. — Nessuno poteva pensare che ci fosse nascosto qualcosa del genere.

— Bene, a ogni modo io lo convinsi a lasciarmelo vedere, poi ebbi da faticare non poco per farmene mostrare gli effetti. Quando introdussi il dito ne fui completamente sconvolto.

— Se ho ben capito — disse Devan — voi lo comprereste per un milione di dollari.

— No — rispose Orcutt — ciò verrà in seguito. Per ora ci limitiamo ad anticipare il denaro per l’esperimento.

— L’esperimento? Ci siamo di nuovo. E perché dobbiamo fare proprio noi questa prova?

Orcutt rise: — Proprio quello che volevo sapere anch’io, Dev. Sam disse che il dottore voleva circa un milione di dollari per fare le prove. Naturalmente io, che avevo già assistito alla dimostrazione, obiettai che il congegno era ormai completo così com’era. Per di più, non mi andava affatto di spendere un milione di dollari quando la cosa era già finita, e non ne vedevo, d’altra parte, alcuna possibilità di immediata applicazione. Ma il dottore aveva altre idee. Perché non gliene parlate voi, dottore?

Costigan si schiarì la gola e si appoggiò all’indietro con la sedia, fino a farle toccare il muro, proprio come, pensò Devan, un fattore che passasse l’intera giornata nella cooperativa locale.

— A che cosa serve il tubo? — Il dottore diede un’alzata di spalle. — Io stesso me lo sono chiesto un migliaio di volte senza potere, sulle prime, darmi una risposta ragionevole. Così cominciai a tirarne fuori delle possibilità. L’idea migliore è che può essere utilizzato per le diagnosi di malattie interne, tumori e mali consimili; voi vi sistemate un corpo e ne avete la sezione interna, così da poterne esaminare qualunque parte senza sobbarcarsi la spesa, il pericolo e tutto il disagio derivanti da un’operazione esplorativa. Vi sono modi di sistemarlo in maniera che un microscopio ne possa osservare le sezioni tagliate, ma la parte che sparisce dovrebbe essere concentrata in un sottile raggio a ventaglio. Voi comprendete, Traylor, che solo i tessuti viventi ne subiscono l’effetto, ma non i corpi inanimati, siano essi minerali o metalli.

— Ciò ha valore per la manica della giacca, dunque — disse Devan. — Ma allora, lo strato esterno di pelle e le unghie e i peli che io ho sentito sul braccio di Orcutt? È tutto tessuto morto?

Questa volta il sorriso del dottor Costigan, che mise in mostra dei denti ingialliti e qualche capsula d’oro, durò più del consueto.

— Vi risponderò fra breve. Ma continuando a esaminare la possibilità di impiego in medicina, ecco che si pone subito una domanda. Che ne è della parte che sparisce? — Le sopracciglia del dottore si alzarono, poi si abbassarono e si piegò verso Devan.

— Voi avete visto soltanto quello che è successo “qui” — disse in tono confidenziale. — Ma vi voglio dire che cosa accadde quando feci la scoperta. Mia moglie e io abitavamo in case diverse e stavo facendo nell’interrato della mia casa alcune prove con un congegno più piccolo di quello che avete visto. Bene, misi il dito nell’apertura e questo sparì, proprio come è successo ora, ma la differenza è che allora avvertii qualcosa di bagnato, sebbene il mio dito tornasse fuori asciutto.

“Incuriosito, volli costruire un tubo diverso per avere un buco più grande e mi ci volle più di un anno per costruire lo strumento che avete veduto. Quando per la prima volta introdussi il mio braccio nella cavità, avvertii dell’acqua che vi circolava. Eppure ne ritraevo il braccio sempre asciutto. Potete immaginare che cosa feci allora?”.

Il dottore li guardò con espressione di attesa, come aspettando che qualcuno rispondesse. Ma nessuno si sentì di azzardare un’ipotesi.

— Presi un topo bianco, lo tenni stretto, lo misi nel buco e lo sentii dibattersi, poi si acquietò. Tentai di tirar fuori la mano con il topo morto ma fu impossibile. Il topo era morto soffocato e scoprii che gli esseri senza vita non potevano oltrepassare la barriera. Fui costretto a lasciarlo cadere per poter tirar fuori la mano.

Devan accese una sigaretta, lanciò un’occhiata a Orcutt e questi sorrise.

— Andammo poi ad abitare sul North Side. Cominciai di nuovo i miei esperimenti. Questa volta la mia mano trovò aria e non acqua. Presi un altro topo, lo introdussi nel buco e lo tirai fuori, sano e salvo. Poi legai il topo a un’assicella, lo introdussi per metà nell’apertura e lo tirai fuori. Il topo era arrivato fino all’estremità che entrava per prima nell’apertura. I nodi vi erano ancora ma i piedini del topo non erano più legati.

— Allora ebbi un’idea migliore. Legai ancora il topo all’ingiù. Lasciai che la parte che si liberava all’altra estremità si muovesse nel buco, e iniettai del nembutal in un’arteria da questa parte dell’apertura. Il topo morì. Tentai di estrarlo di là, ma non si mosse. Quasi lacerai il suo corpo tentando di tirarlo fuori, ma la parte invisibile che era dentro la cavità si rifiutava assolutamente di oltrepassare la barriera. Potevo spingere la parte visibile nella cavità fino all’altra apertura ed essa rimaneva sempre visibile. Solo quando fermai la macchina ne uscì la parte morta da questa parte. Tagliata netta come da un rasoio. Così, vedete? Quindi ci sono leggi scientifiche ben precise che regolano questa macchina. Sto cercando di scoprire quali siano, ma ho ancora parecchio da fare a questo riguardo. Fintanto che il tessuto morto e attaccato al tessuto vivo e ne è parte integrante, può passare con esso; se invece l’intero organismo è morto, non si muoverà né in un senso né nell’altro. — Il dottor Costigan si interruppe un momento.

— La situazione presentata dal dottore è quindi la seguente — disse Orcutt. — Lo strumento potrebbe diventare parte indispensabile nell’attrezzatura ospedaliera, ma d’altra parte chi accetterebbe di usarla, se non si potesse sapere dove va a finire la parte del corpo che scompare?

— Potrebbe essere l’Afghanistan o il Mar Nero — disse Sam.

— Non importa dove — disse Orcutt — ma la gente vuol sapere “il punto esatto”.

— Ci ho pensato non so quanto — disse Costigan versandosi altro whisky. — Il tubo ha il potere di rendere invisibili le cose viventi? O va indietro nel tempo? O si spinge nel futuro? Forse su un altro pianeta? O in qualche altra dimensione? Supponete di mettere la vostra mano nella cavità e che esca nel vuoto dello spazio esterno?

Nella stanza, per qualche minuto ci fu silenzio, e ognuno pensò quale potesse essere la risposta. L’unico suono era il piccolo scatto intermittente di una luce fluorescente.

— Quindi l’esperimento di cui parlavate prima — chiese Devan — sarebbe di stabilire dove va a finire il corpo?

— Sarebbe tanto semplice se potessimo inserire un set televisivo nel buco — intervenne Orcutt — o un periscopio.

— Nessuno ha idea di come si possa arrivare alla conclusione esatta? — chiese Devan.

— Dobbiamo costruire un tubo nel quale si possa far passare un uomo, Dev — disse Orcutt — con tutto il corpo.

— Quest’uomo dovrà riferire ciò che avrà visto — disse Costigan.

— Ecco a cosa serve il milione di dollari.

— Chissà dove porterà il potere di questa cavità, e quali cose favolose si potranno vedere quando un uomo vi potrà entrare? Forse incontrerà esseri del futuro o del passato.

Gli occhi del dottore guardavano lontano. — Nessuno può immaginare ciò che quest’uomo vedrà, signori!

— Sarà un po’ difficile presentare la faccenda, senza raccontare tutto al Comitato — disse Orcutt, mentre la sua mano era incerta nella scelta di una pipa tra le tre infilate in una piccola rastrelliera posta sulla sua scrivania. — Ma penso che sarete d’accordo con me nel mantenere il più rigoroso segreto.

— Senz’altro — intervenne Sam — sono stato giornalista e so che cosa succederebbe se uno di quei tipi ne venisse a conoscenza.

Il telefono suonò e Glenn Basher rispose. — Grazie, signorina Treat — disse, riattaccando il ricevitore dell’apparecchio che stava sulla imponente scrivania di Orcutt. — Grady è qui. Lo possiamo senz’altro spuntare dal foglio. Ne mancano quattro e saremo al completo.

— Non dobbiamo preoccuparci del Comitato, Ed — disse Devan. — Da parte nostra non sapranno nulla.

Howard Tooksberry. che era seduto un po’ lontano dagli altri mugolò: — Non è giusto — sistemandosi gli occhiali sul naso. — Il Consiglio dovrebbe sapere tutto.

— Ma non lo potete fare assolutamente — esclamò Sam eccitatissimo.

— Avete torto, Howard — e James Holcombe alzò gli occhi dal diagramma del tubo osservando l’uomo con attenti occhi azzurri. — Non vi rendete conto che cosa succederebbe se la cosa diventasse di dominio pubblico? Sam Otto ha ragione. I reporter ci assalirebbero. No, se lo diceste al Consiglio non avremmo altro che nuove preoccupazioni.

— Tutto chiaro, no? — disse Orcutt guardandoli tutti con una occhiata circolare. Solo Tooksberry non ricambiò il suo sguardo. — Dobbiamo confermare che si tratta di un esperimento che aprirà, forse, nuove strade alla medicina interna, e del cui progetto il Comitato esecutivo ha incaricato il dottor Costigan.

— È un po’ confuso — intervenne Devan — a meno che non sappiate l’esatto significato delle parole.

— D’altra parte non so che cos’altro potreste dir loro — disse Sam. — Il dottore e io ci trovammo nell’identica situazione quando lo dicemmo a Orcutt. Non potevamo dire né troppo, né troppo poco.

— “Ultra vires” — interruppe Tooksberry e tutti lo . guardarono.

— Che cosa volete dire con queste parole, Howard? — chiese Orcutt.

— Semplicemente quello che ho detto. — Tooksberry li guardò gelidamente.

— “Ultra vires” significa che voi abusate della vostra autorità di pubblici funzionari e membri di un Consiglio tutelato da uno statuto che si estende alla collettività. Penso che quello che state facendo sia irregolare. Potreste essere citati in giudizio per questo.

— Sentite — disse Orcutt, rivolgendosi a lui attraverso la scrivania. — Avete visto lo strumento? Non ci credete?

Tooksberry scosse il capo.

— Ma si può sapere infine che cosa avete contro il dottore e me? Ci avete avversati sin dal principio.

— Ad Howard piace essere dalla parte contraria — insinuò Basher — e lo sta dimostrando. Anche se avessimo una macchina capace di trasformare il piombo in oro, si opporrebbe.

— E sta bene — disse Tooksberry, alzandosi, con un’espressione furiosa. — Me lo avete chiesto e io vi dirò che cosa ne penso. Innanzitutto, perché il dottor Costigan vuol fare questi esperimenti? Secondo, perché non ci spiega come questa macchina funziona? Terzo, supponiamo che la faccenda abbia un certo valore, che cosa impedirà al dottor Costigan di raccogliere i frutti del milione di dollari della “Inland” e di sistemarsi economicamente? In che parte siamo interessati nei suoi profitti? Il guaio è proprio questo: siete troppo curiosi nei confronti dell’esperimento e non abbastanza dell’uso del denaro.

Detto ciò, Howard Tooksberry si sedette pesantemente e, toltisi gli occhiali, prese a pulirli nervosamente.

Sam Otto, che era visibilmente impallidito a ogni parola di Tooksberry, saltò in piedi con i pugni serrati e i denti contratti sul solito sigaro. Avanzò di un passo verso Tooksberry.

— Sta’ seduto, Sam — gli gridò Orcutt e mentre quello si sedeva, si accese la pipa soffiando poi sul fiammifero. — Sono del parere che i vostri quesiti siano ineccepibili, Howard. Come al solito, avete apportato a una discussione che rischiava di essere troppo teorica e trascinata dall’entusiasmo, alcune idee di indole pratica.

“Il guaio è che, dal momento che non avete approvato il progetto sin dall’inizio, non avete poi partecipato alle discussioni informative. Pertanto desidero aggiornarvi e questo sarà utile anche a voi, Devan.

“Venerdì scorso vennero da me Sam Otto e il dottor Costigan e in grosso modo mi misero al corrente della scoperta, insistendo perché io vedessi lo strumento in questione. Diversamente, l’avrebbero passato o alla “Westinghouse” o alla “General Electric” o a un’altra grossa compagnia del genere. So per esperienza che queste cose non vanno trascurate “a priori”, avendo visto grosse organizzazioni andate in malora proprio per aver permesso che i loro concorrenti venissero in possesso di progetti che si rivelarono in seguito fonti di guadagno e di successo strepitosi.

“Voi. Devan, non c’eravate e così Glenn, Jimmy, Howard e io, sebbene si avessero altre cose da fare, volemmo renderci conto, di persona, della faccenda: tutti ne fummo impressionati, tranne Howard. Di comune accordo decidemmo di radunare il Comitato esecutivo il lunedì mattina, ciò che facemmo, fissando poi una riunione del Consiglio, al completo, per oggi pomeriggio.

“Nel frattempo, Glenn, Jimmy e io abbiamo avuto occasione di avere degli scambi di idee informative con Sam e Costigan. Se la macchina verrà perfezionata per uso medico e per tutte le altre applicazioni che venissero via via suggerite dagli esperimenti, il dottor Costigan avrà il quindici per cento dei profitti netti, Sam Otto il dieci per cento e il rimanente sarà per la ‘Inland’.

“Se vuole, Costigan può rivelare il segreto del suo strumento, ma ci ha chiesto di esserne l’esclusivo proprietario. Noi abbiamo accettato concordemente. Una copia sigillata del progetto dettagliato sarà custodita dalla ‘Inland’, in modo che, nel caso lui dovesse mancare, la ‘Inland’, potrà continuare gli esperimenti, nonostante il malaugurato evento. Costigan si impegna, secondo il contratto che verrà firmato oggi pomeriggio, a non diffondere il suo strumento per scopi industriali, per un periodo di almeno venticinque anni. Vi ritenete soddisfatto, ora, Howard?”.

— Sì — e il fatto di dover pronunciare questa parola, lo mise di pessimo umore. — È vero che io non sapevo tutto ciò, ma voterò ugualmente contro.

Gli occhi di Tooksberry guardavano tutti con aria di sfida. — Insisto nel dire che non è giusto che il dottor Costigan conduca gli esperimenti come pare a lui. Abbiamo tanti ingegneri, qui, che lo potrebbero assistere con profitto. E poi, non mi piace il modo col quale si svolge tutta questa faccenda.

Lo squillo del telefono li interruppe. Glenn Basher spuntò altri due nomi.

— Non ho intenzione di entrare in particolari personali, dottore — disse Devan — ma c’è qualcosa che vorrei chiedervi.

— Che cosa?

— Come siete arrivato a inventare questo tubo? Avete una laurea in fisica?

— Volete dire che non conoscete il dottore? — chiese stupitissimo Sam. — Il dottor Costigan è molto noto…

— Lasciate parlare il dottore, Sam.

Costigan, sorrise. — Sam è l’uomo più leale che io abbia mai conosciuto, signor Traylor, ma qualche volta si scalda troppo. Senza offesa per Sam. Per quanto riguarda il tubo, al momento opportuno ve ne racconterò la storia; sarà certamente interessante. Circa la mia laurea in fisica, la ottenni al Politecnico di Claybourne nel 1922. Insegnai a Dewhurst sino a due anni fa, cioè sino a quando i miei figli, ormai cresciuti, si furono sposati. Dopo non mi parve più necessario continuare a insegnare, così mia moglie e io partimmo da Dewhurst e ci trasferimmo qui a Chicago, dove risiedeva una sorella paralitica di mia moglie e ci sistemammo da lei. Da poco ho acquistato una casa più confortevole nel North Side, e mi è rimasto un piccolissimo reddito. D’altra parte era mia intenzione continuare le ricerche su questo strumento. Non mi restava altro che chiedere un’assistenza finanziaria. A questo punto entrò in scena Sam.

Sam annuì. — C’è qualche altra cosa che non sapete, Devan. Ho buttato tutto ciò che avevo in questa faccenda. Ho affittato lo stabile per un anno, ho costruito l’ufficio al secondo piano, comprato la cassaforte e assunto il vecchio Casey.

Il telefono cominciò a suonare e prima che avesse emesso uno squillo completo, Basher aveva già sollevato, rimettendo giù subito.

— Tutti in sala di riunione — disse.

— Le due meno un quarto — soggiunse Orcutt, guardando l’orologio. — Ci scommetto che tra mezz’ora sarà tutto fatto. — Guardò Tooksberry: — A meno che qualcuno non metta i bastoni fra le ruote.

— Non cambierò il mio voto — rispose Tooksberry. — La faccenda continua a non piacermi ma, se è questo che vi turba, state tutti tranquilli: non svelerò i vostri preziosi segreti.

4

Edmund Orcutt aveva avuto torto. Anziché in mezz’ora, la richiesta di fondi per il progetto del dottor Costigan fu approvata dal Consiglio direttivo della “Inland Electronic” in ventotto minuti, e molto del successo fu dovuto alla sua presentazione. Spiegò che il denaro doveva servire per ricerche nel campo fisico, si accalorò nell’enumerare le possibilità, per ora ipotetiche, del progetto, pur sottolineando a ciascun membro l’importanza che queste possibilità avrebbero avuto.

Il Consiglio si era lasciato suggestionare così facilmente che Devan comprese ora come un gruppetto di uomini potesse a volte rovinare una grossa organizzazione. Eppure i membri del Consiglio avevano tutte le ragioni di aver fiducia nel Comitato esecutivo, il quale non era mai venuto meno alle loro aspettative. Proprio per questa stessa ragione, ogni anno gli azionisti eleggevano le stesse persone, per questo e per i grossi assegni di dividendo. Ma Devan si chiedeva che cosa avrebbe fatto il Consiglio se avesse cercato di spiegare “esattamente” a che cosa serviva il denaro. Certo non si può andare a spiegare a persone sensate che si vuole infilare un uomo in un tubo che vale un milione di dollari e pretendere di essere capiti.

Nell’ufficio di Orcutt c’era da bere per tutti i componenti del Comitato esecutivo. Persino Tooksberry, sempre imbronciato, prese un bicchiere e si rilassò un momento. Devan si eclissò dopo aver bevuto due bicchieri e il dottor Costigan, che era già al quarto, gli strinse la mano con calore, mentre Sam Otto, al quale Devan riuscì a sfuggire, stava parlando a vanvera.

Nel suo ufficio, Devan disse a Beatrice Treat di andare a casa a preparare le valigie per il suo viaggio in astronave. Poi tirò fuori una bottiglia di gin e si preparò un drink che centellinò soddisfatto in completa solitudine.

Poteva tornare in Florida, si disse, con Beverly e i piccoli; sapeva di doverci tornare, ma l’idea del tubo e di ciò che sarebbe accaduto lo affascinava molto di più. Era preso dal brivido del “nuovo” e dall’idea che zone sconosciute alla mente umana stessero per essere scoperte da un fisico relativamente poco noto, un certo dottor Winfield Costigan.

Prese il ricevitore e chiese un’interurbana. In pochi minuti parlò con sua moglie.

— Che cosa succede, Dev? — gli chiese lei. — È qualcosa di veramente grave, come ha detto la Treat? Non ho fatto che aspettare, facendo mille ipotesi.

— La crisi è scongiurata — ripose Dev — tutto è a posto, sistemato.

— Allora torni?

Devan tossì. — Be’, non subito. Io…

— Allora “non” è tutto a posto!

— Ascolta, Beverly, c’è un nuovo progetto in aria. Una cosa grandiosa, assolutamente fuori del comune. Voglio aspettare un po’ per vedere come si mette la faccenda. Penso che sarà questione di pochi giorni, di una settimana. Poi piglierò l’aereo.

— Oh, Dev! — La voce si spezzò un momento. — Sono così sola da quando sei partito. Non conosco nessuno qui. Non so nulla senza di te!

Devan immaginava i suoi occhi azzurri pieni di lacrime, e ciò lo commuoveva.

— Ma i bambini! — obiettò debolmente.

— Anche loro sentono moltissimo la tua mancanza.

— E io la loro — disse in fretta — ma non starò via tutto l’inverno. C’è bisogno di me, qui. per un po’.

— E credi che non ce ne sia altrettanto bisogno qui, Dev?

— Vorresti ritornare con i bambini? — e il tono della sua voce era aspro.

— Sai benissimo che non sarebbe un bene far loro interrompere la scuola.

— No certo, Beverly, sarà questione di pochi giorni e poi verrò.

La sentiva piangere e mentre da un lato ciò lo inteneriva e lo faceva sentire colpevole per il suo mancato ritorno, dall’altro non poteva fare a meno di irritarsi per quelle lacrime che volevano essere un’arma di costrizione nei suoi riguardi.

— Beverly… sei sempre lì?

— Sì — essa singhiozzò — e tu sei sempre lì?

— Smettila di fare la bambina e ascoltami — gridò. — Mi fermerò qui il meno possibile e poi prenderò un aereo. Tra una settimana al massimo. Mi senti?

— Va bene. Ma presto, per favore.

Devan si fermò davanti allo stabile della “Rasmussen Stove Company” e notò che c’erano ancora molti lavori da fare, per almeno due mesi buoni.

A chi l’avesse osservato superficialmente, lo stabile poteva apparire tale e quale era stato negli ultimi vent’anni. Ma Devan sapeva che a un attento osservatore non sarebbero sfuggiti certi cambiamenti. Intanto i vecchi vetri erano stati tutti sostituiti con vetri smerigliati, e poi c’erano state altre modifiche.

Immaginava però che i vicini avessero assistito con molta curiosità a tali cambiamenti, tanto più che essi erano stati tutti apportati in sei giorni. I lavori dovevano essere stati febbrili, con carriole piene di calce che si alternavano all’ingresso secondario a intervalli regolari e gli operai avanti e indietro tre volte al giorno, mentre il fumo usciva ininterrottamente dal fumaiolo.

Per i lavoratori del Loop e gli abitanti del rione, lo stabile era ovviamente occupato di nuovo. E chi avrebbe potuto immaginare l’esistenza di un’altra costruzione in quella già esistente? E anche se lo avessero potuto immaginare, avrebbero forse potuto indovinare la ragione?

All’interno infatti era sorta una nuova costruzione, completamente rinforzata. Di questo era sicuro. I vecchi muri di mattoni all’esterno non erano che il guscio, la mimetizzazione dello stabile interno che era più piccolo di venti metri per ogni lato. Ma i vecchi piani che stavano tra la vecchia costruzione e i muri esterni erano stati conservati, altrimenti il guscio non avrebbe resistito: i piani formavano quindi un corridoio intorno al perimetro della casa.

Ci dovevano essere ancora un sacco di cose da finire, ma non aveva avuto modo di sapere come i lavori procedessero. Le lettere di Orcutt erano state troppo generali e le sue spiegazioni al telefono troppo controllate per essere chiare. Aveva desiderato ardentemente di tornare, per poter rendersi meglio conto.

Si calcò bene il cappello contro il vento insistente di marzo, attraversò la strada ed entrò nel palazzo.

— Signor Traylor! — Allo sportello delle informazioni c’era una ragazza di cui non ricordava bene il nome, che si alzò e gli sorrise. Osservò che il muro interno era disseminato di pannelli e che l’area esistente fra questo e la facciata dello stabile era occupata da diversi tavoli messi un po’ a caso.

— Siete il signor Traylor, vero?

— Già. — Le ricambiò il sorriso e oltrepassò il cancelletto divisorio. — Come va?

— Tutto bene — ma appariva un po’ a disagio. — Scusatemi ma debbo accertare la vostra identità.

— Naturalmente — disse Devan e tolse dal portafogli la patente. — Non mi ricordo come vi chiamate.

— Sono Dorothy Janssen — rispose la ragazza, prendendo la licenza di Devan con mani tremanti.

— Stavate nella parte est dell’impianto, no?

— Sì — essa rispose e apparve più sollevata dopo avergli reso il documento con un magnifico sorriso.

— Grazie, signor Traylor.

— E mi raccomando, continuate ad accertarvi dell’identità di quelli che entrano.

Indisturbato, oltrepassò poi la porta che conduceva a un corridoio della lunghezza dello stabile. A destra c’era il muro della vecchia costruzione, a sinistra la parete di cemento della costruzione interna.

Sul dietro c’erano le stesse scale che aveva salito con Orcutt per arrivare alla baracca di legno del secondo piano, baracca che ora non c’era più, sostituita da una stanza molto più grande.

Devan girò a sinistra e, attraversando il vecchio pavimento di legno, si diresse a una porta praticata sul muro interno. Lì vicino ci doveva essere un’entrata molto grande per il passaggio di mezzi di qualsiasi dimensione.

Premette un bottone rosso nel muro. La porta si aprì quasi subito e si trovò in un piccolo locale dalla luce bassa, mentre alle sue spalle la porta si richiuse con uno scatto metallico.

Fu interpellato da un apposito addetto che si affacciò al banco, dicendosi già informato del suo arrivo dalla signorina Janssen; gli consegnò un contrassegno da sistemare dietro il risvolto della giacca. Devan stupito riconobbe una sua vecchia foto e si chiese dove diavolo l’avessero pescata. Firmò poi il registro nella colonna che gli venne indicata e notò che, vicino a quella, ce n’era un’altra nella quale si doveva riportare l’ora di uscita dallo stabile interno.

L’agente addetto premette un altro bottone e così poté passare nell’enorme locale adibito a laboratorio. Notò come i lavori fossero stati condotti con grande alacrità e precisione. Molti strumenti erano in funzione e i loro rumori si fondevano in un assordante concerto di martelli, trapani e cento altre voci che non riusciva a distinguere. Nel centro della stanza troneggiava una impalcatura quasi completa, sulla quale venivano già montati i primi pezzi del gigantesco tubo di Costigan.

Alcuni operai stavano disponendo lungo i muri alla sua destra i pannelli di controllo, mentre a sinistra si staccavano dalla parete i box di cemento che costituivano gli uffici di ricerca. Su tutto dominava il vasto progetto che non rivelava, all’aspetto, la sua vera natura.

Si diresse verso gli uffici a sinistra dove, in fondo, ci doveva essere l’ufficio di Costigan. Vide facce nuove, in giro. A tratti qualcuno riconoscendolo lo salutava con la mano.

Entrato nell’ufficio di Costigan, completamente isolato dai rumori dell’esterno, notò con stupore che il dottore era assente.

— Il dottor Costigan non c’è. — Chi aveva parlato era una ragazza che sino a quel momento era stata china sul tavolo da disegno, manovrando un tiralinee in su e in giù. Con un gesto tipicamente femminile spostò una ciocca di capelli da un occhio. — Posso fare qualcosa per voi? — Era la prima volta che la vedeva e Devan si sorprese a fissare con vivo interesse i suoi occhi azzurri che lo osservavano, affascinato dal gesto pieno di grazia col quale si era ricacciata indietro i capelli ribelli. Poteva avere venticinque anni. La piccola testa aveva capelli neri lunghi sino alle spalle: sopra il vestito portava un camiciotto da pittore.

— È via da molto? — chiese Devan.

— Non tanto. Desiderate aspettarlo? — Lo esaminò con curiosità.

— Sentite — disse Devan — mi chiamo Devan Traylor. Arrivo in questo momento dalla Florida per vedere a che punto è il progetto. Credevo di trovare il dottor Costigan nel suo ufficio. Dove può essere?

— Ma… — Evidentemente non voleva parlare. — Non è lontano di qui. Lo posso rintracciare se si tratta di una cosa importante. Vi chiamate Traylor, vero?

— Sì. Ma prima di uscire, vi spiacerebbe dirmi dove si trova?

— Mi spiace, ma non posso.

Non insistette e ne osservò intanto i preparativi rapidi per uscire dall’ufficio, che consistettero nel togliersi il camiciotto e infilare un “cardigan”. Veramente attraente con quel golfino. “Chi può essere?” si chiese di nuovo.

La ragazza uscì, sorridendogli e assicurandogli che sarebbe tornata subito.

Devan fu tentato di seguirne i movimenti, ma si trattenne. Sperava solo vivamente che non fosse andata a. telefonare in qualche altro ufficio per scovare il dottore, magari, in una taverna. Rientrò dopo pochi istanti.

— Viene subito — disse. — Sarà questione di qualche minuto.

— Viene da lontano? — chiese Devan.

— Non proprio.

— Non parlate molto, direi.

— Dipende.

— Ottima cosa.

— Che cosa?

— Parlare solo all’occorrenza e non fuori luogo. Come vi chiamate?

— Betty Peredge.

— A quanto pare lavorate per il dottor Costigan.

— Infatti. Sono qui da un mese.

— Mai lavorato per la “Inland”, prima?

— No, sono venuta al posto della signora Tudor che lavorava per il dottor Costigan prima di me, ora è ammalata. Fu proprio per coincidenza che sia capitato a me di avere questo posto.

Devan aveva intanto notato due piante sulla finestra. Una aveva lunghe foglie strette orlate di giallo e l’altra era una pianta di violette, dalle foglie insolitamente carnose e dai fiori veramente stupendi.

— Sono vostre quelle piante o della signora Tudor? Immagino che non siano del dottor Costigan.

— Sono mie, infatti. Mi piacciono e il dottor Costigan mi ha permesso di tenerle qui. Quella fiorita è una qualità di violetta africana, l’altra ha strani nomi come “pianta del serpente” e “lingua della suocera”, oltre naturalmente quello botanico.

— Che cosa pensate del progetto, signorina Peredge?

Chiuse con il tappo la bottiglietta dell’inchiostro e si volse divertita verso di lui. — Sono piuttosto attaccata all’“Ago di Costigan”.

— L’Ago di Costigan?

— Be’ — rispose la ragazza — dovete ammettere che assomiglia stranamente a un ago con la cruna in fondo.

Infatti, a pensarci bene, ammise Devan, nonostante le enormi proporzioni, assomigliava veramente a un ago dalla cruna individuabile nella grossa cavità praticata alla base.

— E chi gli ha dato questo nome?

— Non lo so, ma non l’ho sentito chiamare con nessun altro nome. Anche il dottor Costigan lo chiama così, adesso.

— Siete la sua segretaria o qualcosa del genere?

— In un certo senso sì. Il mio lavoro consiste nel ricavare dai suoi schizzi disegni schematici che servono agli elettricisti per seguire il loro lavoro.

Mentre la ragazza si rimetteva al lavoro, Devan si avvicinò al tavolo di Costigan e ne esaminò con curiosità le carte. In cima c’erano diversi disegni di circuiti che lui stesso aveva senz’altro tracciato. Ne prese tre e li esaminò uno alla volta.

Si trattava di tre differenti sistemazioni di un circuito, importanti molto probabilmente tutte e tre, formati con molte parti unite insieme: lastre di solenoide, interruttori automatici, batterie, ecc.

Si sedette, concentrandosi sullo svolgimento di alcuni fili nel disegno in alto, fili che proseguivano sino al termine della pagina dove erano segnate le parole “alla cassetta N. 6”.

Invano cercò un diagramma con questo nome o qualunque altro disegno che vi facesse riferimento.

— Sentite, signorina Peredge — disse, indicando il disegno in alto. — Tutti questi fili vanno a una “cassetta N. 6”, ma non ne trovo il disegno. O forse è quello che state facendo?

La donna scosse il capo. — No, non lo sto facendo. Ma in quasi tutti i disegni i fili vanno a una cassetta — e lo mostrò sugli altri disegni. — Da quando sono qui non ho mai fatto disegni di “cassette”. — Si interruppe un momento: — Un’altra cosa — disse. — Sono la signora Peredge.

— Mi spiace.

Lei lo guardò seccata e Devan lasciò che attribuisse alle sue parole il significato che preferiva.

— Sapete a che cosa serve l’Ago?

— Gesù, no! Ma ho sentito che la gente ne parlava. Chi dice che si tratta di un proiettile radiocomandato e chi è in dubbio. Voi lo sapete?

— Non mi sembra che potrebbe essere un proiettile radiocomandato. Sarebbe sproporzionato dare tanta importanza e fare tanti preparativi per uno solo di questi proiettili. Io penso che abbia qualcosa a che fare con le ricerche atomiche, considerando tutto il segreto in cui si svolgono i lavori e le precauzioni prese per la sorveglianza dello stabile. Forse è un ciclotrone verticale. Di solito i ciclotroni sono rotondi e piatti, no? Ma forse vi sto divertendo con le mie ipotesi. Mi sono almeno avvicinato?

Improvvisamente si aprì la porta e un’ondata di suoni penetrò dall’esterno.

— Signor Traylor! — Il dottor Costigan gli strinse con effusione la mano. — Quando siete tornato?

— Proprio oggi.

— Che bella sorpresa. Mi era sembrato di sentire la signora Peredge annunciare che eravate qui, ma non ne ero ben sicuro. Non è possibile capire bene attraverso quella porta così spessa. Come vanno le cose in Florida? — Sistemò due sedie pieghevoli e continuò: — Sedetevi.

— Tutto bene, dottore. E qui come va?

— Come vedete, andiamo benissimo, siamo anzi in anticipo sul previsto. Un paio di settimane e tutto sarà a posto.

— Ne sono lieto.

— Mi chiedevo quando sareste tornato. Non volevate perdere il collaudo, vero? E starete qui per un po’?

— Credo che non me ne potranno staccare. Non ho fatto che pensarci in Florida.

— È il pensiero dominante di noi tutti.

— Ma dov’è Sam?

— Gli abbiamo affidato l’incarico degli acquisti, è molto in gamba. Riesce, non si sa come, a procurarsi materiale notoriamente introvabile. Adesso è fuori per questo.

— E Orcutt?

— Sempre in giro. Con Basher, Holcombe, Tooksberry, e…

— Tooksberry? Viene qui a curiosare?

— Pur non apprezzando ciò che stiamo facendo, viene anche lui ogni tanto. Non andiamo molto d’accordo lui e io!

— Neanch’io — aggiunse Devan e poi espresse al dottore la sua curiosità sulla porta che aveva nominata poco prima. — È la porta del mio laboratorio personale — rispose il dottore. — È in fondo al lato degli uffici, che sono stati costruiti tutti un po’ più stretti per far spazio a questa mia stanza.

— Non capisco, dottore: personale, avete detto? Ma non vi basta l’intero stabile per le vostre ricerche?

Il dottore apparve leggermente imbarazzato: — Vedete, ci sono diverse cassettine da costruire per l’Ago. Ne sono parti vitali e per me è estremamente importante che la loro costruzione rimanga segreta. Per questo le sto costruendo io stesso.

— Così la cassetta N. 6 è una di quelle alle quali state lavorando?

— Già, ce ne saranno dieci.

— Ma tutte le parti che avete indicato nel progetto, servono veramente per il funzionamento dell’Ago?

Il dottore sorrise: — Alcune sì e alcune no. Solo quelle che servono sono collegate al meccanismo funzionante. Le altre costituiscono una precauzione in più.

— Divertente, davvero; e così in due settimane sarà tutto pronto?

Costigan guardò Betty Peredge che comprese al volo il suo significato.

— So quando non sono desiderata — disse sorridendo, preparandosi rapidamente per uscire.

“Veramente attraente” pensò Devan “non una bellezza perfetta, ma così piena di vita, così incantevole, nel sorriso…” Si ricordò dopo tutto di essere sposato e cercò quindi di distogliere il suo pensiero dal golfino azzurro.

— Dicevo delle due settimane — riprese Devan, volgendosi al dottore.

— Già, ma c’è un problema — il dottore gli rispose, facendoglisi più appresso.

— Che problema?

— Evidentemente nessuno ha pensato a chi entrerà nell’Occhio dell’Ago. Ci avete riflettuto?

5

I sei uomini erano raggruppati nei pressi della grossa cavità, che Costigan chiamava Occhio dell’Ago. Erano vicini l’uno all’altro, in atteggiamenti che sembravano dettati da un bisogno di sentirsi reciprocamente protetti e sicuri. Il motivo vero era che solo così potevano comunicare tra loro velocemente, con brevi frasi e a voce bassa.

La notte del collaudo.

Il dottor Costigan stava sistemando alcuni fili sul fianco dell’Occhio, osservato con grande attenzione da Orcutt, seduto di sotto a gambe incrociate e con la pipa in bocca.

Gli altri, Sam Otto, Glenn Basher e Howard Tooksberry, parlavano con animazione di svariati argomenti, che affrontavano uno dietro l’altro, preoccupati solo di mantenere una conversazione disinvolta. James Holcombe parlava poco. Devan pensò che era ben strano parlare di calcio in aprile, quando si arrivò a questo argomento, dopo aver parlato del tempo, della Borsa e della situazione internazionale.

Il lavoro era stato completato a metà aprile, dopo di che Costigan s’era impegnato presso il Comitato esecutivo a fare una prova in loro presenza. Ciò poteva avvenire solo qualche ora dopo che erano state installate le cassettine segrete.

Prima del collaudo definitivo, il dottore aveva fatto tutti i collaudi con strumenti appositi, voltametri, indicatori, videometri e altre apparecchiature che sembravano a Devan molto elementari. Stavano in piccole cassette di legno con i soliti contatori all’esterno. A una delle cassette era collegata una cuffia che Costigan aveva messo in testa, registrando e apportando modifiche. L’apparecchio aveva la struttura di un contatore Geiger, ma non lo era.

Comunque, per esserne sicuro, Devan se ne fece prestare uno dal magazzino della “Inland” e lo usò per le sue indagini intorno all’Ago, ma non ne ricevette alcun indizio particolare: nel tubo non risultò la presenza di raggi gamma, né X, né di particelle radioattive, né di raggi cosmici. Per cui Devan non poté stabilire quale fosse il vero scopo delle prove di Costigan.

Ora, alle sette di sera, quelli del Comitato esecutivo erano tutti lì ad assistere ai preparativi di Costigan.

Anzitutto, il dottore aveva sistemato un grosso pannello di controllo di fianco all’Occhio dell’Ago. Questo era collegato ad altri pannelli di controllo lungo il muro, per mezzo di un grosso cavo di gomma.

Nessuno dei presenti osava chiedere al dottore se volesse essere aiutato e Costigan premendo bottoni e muovendo leve, iniziò le prime operazioni di messa in marcia della macchina.

Sulle porte intorno alla stanza i bottoni rossi indicavano che nessuno poteva né entrare, né uscire.

Finalmente il dottore indicò che tutto era pronto e, come era stato precedentemente deciso, tutti presero i posti loro assegnati. Sam Otto si fece vicino a una cassettina, Orcutt si sistemò accanto a una fessura in legno a forma di U dal lato della cruna dell’Ago. Dalla cassettina Sam tolse un grosso coniglio bianco e lo depose nel piccolo spazio davanti alla cruna. Il coniglio era, per il momento, al centro dell’attenzione generale. Sulle prime non si mosse di molto e, comunque, non si avvicinò all’apertura del tubo. Devan suggerì una carota che lo invogliasse a spostarsi, e Sam si ricordò di averla portata con sé proprio per quella ragione. Appena la carota fu sistemata a pezzettini nella cavità, il coniglio cominciò a dare segni di agitazione e annusando l’aria intorno a s,é entrò nella zona della cruna, scomparendo rapidamente nella cavità.

Passò qualche minuto e il coniglio non si fece vedere per niente. L’attesa si protrasse e cominciarono le congetture. — Forse non riesce più a trovare la strada per tornar fuori — disse Tooksberry — il povero coniglio deve essere confuso come lo siamo noi.

L’ipotesi di Costigan fu che il coniglio, non vedendo le carote, si fosse spinto fino all’altra estremità, ma che avrebbe finito comunque per tornare fuori. Decisero di provare con l’altro coniglio che avevano portato, il quale fece la medesima fine del primo.

— Sentite — disse a questo punto Orcutt — quello che dobbiamo fare è di entrare noi stessi, qualcuno di noi, a vedere e riferire ciò che un povero coniglio non può fare certamente.

— Ma è rischioso — protestò Costigan — potremmo non uscirne neanche noi.

— Ma noi abbiamo un cervello e potremo renderci conto di quello che succede lì dentro — insisté Orcutt.

— Ricordate — intervenne Costigan — cosa dissi dei miei esperimenti? Trovai acqua nel tubo. E se capitasse così anche questa volta?

Ma Orcutt era assolutamente deciso a far valere il suo punto di vista. Si avvicinò all’Occhio.

— Cosa fate, Ed? — intervenne Devan.

— Voglio solo sentire se c’è dell’acqua. — Rimosse la chiusura di legno e tutti gli si fecero attorno.

Quella superficie apparentemente innocente, ma decisamente piena di incognite, comunicava a Devan la stessa sensazione che provava guardando giù da una finestra situata molto in alto: buttarvisi per provare cosa succedeva. Pensava che questa sensazione potesse essere condivisa anche dagli altri e li osservò a uno a uno per scoprirlo.

Orcutt si era avvicinato completamente, invitando scherzosamente gli altri a non spingere. Infilò una mano nella cavità e la vide sparire, ricevendo subito una sensazione di freddo e intuendo che la sua mano si stava allontanando. — È ridicolo — disse — ma debbo seguire la mia mano ed entrare nella cavità. — Fece per infilarvisi, ma Costigan glielo impedì.

— L’invenzione è mia — disse — penso che dovrei avere l’onore di provarla per primo.

Devan, Basher e gli altri si opposero a questa sua proposta e ognuno di loro cercava di enumerare le ragioni per cui l’inaugurazione della macchina avrebbe dovuto essere propria.

— E sta bene — dise Orcutt — avete inventato la macchina, ma chi ha disposto le cose in modo che ne fosse possibile la costruzione?

Sam sorridendo angelicamente chiese d’altra parte agli astanti se si rendessero conto che era stato proprio lui a proporre loro l’idea di Costigan e che quindi il privilegio toccava a lui. Si avvicinò alla macchina, facendosi largo tra gli altri: — Mi sento come Colombo — disse, ma una semplice opposizione da parte del dottore, gli fece subito cambiare idea.

Era impossibile entrarci tutti, e d’altra parte il tempo trascorreva in queste discussioni, così si finì col decidere di tirare le buschette.

Tooksberry si incaricò di trovarle e infatti poco dopo ritornò con le pagliuzze prelevate da una scopa. Solo la sorte avrebbe deciso, in modo che qualcuno potesse entrare nel tubo, a contatto con quella piccola area misteriosa che poteva ben presentare, come aveva detto Sam, incognite tali da paragonarle al viaggio di Colombo.

La scelta fu fatta rapidamente: Glenn Basher era il predestinato. Appariva un po’ nervoso e si accese una sigaretta: — Prima di entrare — disse — vorrei fare alcune prove alle quali ho pensato.

Vista la sua sia pure impercettibile esitazione, Orcutt si offrì subito di sostituirlo, ma Basher rifiutò e aspirata con forza una boccata dalla sigaretta, la gettò per terra schiacciandola col piede. Pochi centimetri lo separavano dall’apertura del tubo. Si avvicinò e rapidamente infilò la testa, che sparì. Diversi pezzetti di metallo caddero tintinnando nell’interno della cruna.

Dopo pochi istanti, Basher uscì: — Fa freddo là dentro — sentenziò — c’era un’arietta pungente, ma non ho visto assolutamente nulla. Bisogna proprio che ci entri per capirne qualcosa.

All’improvviso smise di parlare e impallidì, muovendo al tempo stesso la bocca e passandosi la lingua intorno ai denti.

— Accidenti — urlò — mi si sono staccate tutte le capsule.

— Gli oggetti inanimati non possono passare nella mia macchina — spiegò Costigan, mentre gli altri si avvicinavano all’apertura dove giacevano i pezzettini metallici caduti dai denti di Basher.

Basher allungò la mano per raccoglierli e questa sparì. Improvvisamente sentì che gli mancava l’equilibrio e che stava cadendo in avanti. Lanciò un grido. Una dozzina di mani lo afferrarono per trattenerlo e ne ritrassero solo i suoi abiti. Vuoti.

Basher era scomparso nella cruna. Del tutto.

Attesero per un po’ che tutto si svolgesse come previsto nella cavità, e che Basher tornasse fuori. Niente.

L’attesa fu vana. L’unica cosa viva rimasta loro dell’amico scomparso in quel buio misterioso era l’eco dell’urlo lanciato da Basher.

Il primo a muoversi fu Sam che, con il volto contratto dall’orrore, e come se stesse scorgendo delle forme mostruose, guardò nella cavità.

— Non perdiamo la testa — intervenne Costigan, tirando Sam per un braccio. — Esaminiamo bene la situazione.

— Abbiamo i suoi abiti — continuò — e non potrà star là dentro molto a lungo, nudo com’è ora. Non c’è che da stare tranquilli ad aspettare.

L’attesa fu lunga e silenziosa. Orcutt accese la pipa. Holcombe e Devan una sigaretta. Sam Otto riprese il sigaro che gli era caduto nel parapiglia successo alla scomparsa di Basher.

Solo Costigan rimase in piedi a esaminare le indicazioni dei pannelli di controllo.

Devan si sentiva, a mano a mano che il tempo passava, sempre più a disagio. Si era parlato del freddo del tubo e pensava alla orribile condizione nella quale si doveva trovare Basher. Non avrebbe resistito, si disse. Ma dove era andato? Dove?

Riandò agli esperimenti precedenti che Costigan aveva effettuato e pensò che l’acqua trovata le prime volte e poi l’aria, sin da allora avvertita, indicavano la relazione esistente tra quella cavità e un mondo al di fuori di essa, simile al nostro, in quanto dotato degli stessi elementi naturali. Acqua e aria. Pensava, pensava e le idee gli si confondevano sempre più.

— Basher è morto. — Il silenzio fu rotto da queste crude parole pronunciate da Tooksberry e provocò le proteste unanimi.

— E perché non torna fuori, allora — insisté trionfante Tooksberry.

— Qualcuno deve entrare a vedere cosa è successo — disse Orcutt. — Da parte mia mi posso benissimo proporre per questo incarico.

— No, Ed — Devan lo pregò — nessuno lo deve seguire. Potremmo fare la stessa fine e scomparire misteriosamente uno dopo l’altro.

Il solito Tooksberry sottolineò che a lui ciò non sarebbe potuto succedere per il semplice fatto che non ci sarebbe entrato per niente.

— Qualcuno vi ci potrebbe ficcare — grugnì Sam.

Orcutt si lasciò infine convincere da Devan a non entrare nel tubo completamente, ma a metterci solo la testa come aveva fatto Basher in un primo tempo.

— E le capsule che avete in bocca?

— Basher è ben più importante — asserì Orcutt disponendosi quindi alla prova. Si stese anzitutto a terra e gli altri lo sollevarono lentamente, tenendolo in quella posizione fino alla cavità. Quando fu davanti a essa vi introdusse le dita, che scomparirono. Poi avvicinò la testa allo spazio vuoto e questa scomparve. Si udì il tintinnio delie capsule che aveva in bocca che cadevano, e dopo parecchio tempo uscì finalmente la sua testa. I suoi occhi esprimevano disperazione. — Non c’è segno alcuno di Basher là dentro — disse — solo molto freddo e umido. — I suoi capelli erano in disordine, cosa che aumentava il suo disperato atteggiamento. — Non ho visto niente, né sentito niente. Ho chiamato Basher, ma non ho avuto risposta alcuna. Neanche un’eco.

Quattro ore dopo sei uomini disperati mandarono a cercare la signora Basher. Quando lei arrivò in tassì, la nebbiolina del primo mattino di un aprile inoltrato si stava diradando a poco a poco, restituendo a Chicago i contorni netti dei suoi palazzi contro il cielo.

Devan se la ricordava una timida donnina, ma l’aveva vista solo di sfuggita come del resto i suoi colleghi: i Basher stavano evidentemente meglio soli.

Così aveva dimenticato i suoi capelli rossi che risaltavano ora sul suo viso pallido. La donna non credeva a quanto cercavano di spiegarle. I suoi occhi interrogavano ansiosi, ma si rifiutò recisamente di prestar fede al racconto di come Basher avesse scelto la pagliuzza e fosse entrato nel tubo. Orcutt peggiorò ulteriormente la situazione parlandole della sparizione della sua mano nella cavità.

La signora Basher, via via che le spiegazioni di ognuno cercavano di convincerla della verità, diveniva invece più sospettosa e alla fine urlò che le aprissero la porta.

— Ma perché? Non ci credete?

— No… È successo qualcosa a Glenn e voi cercate di… di… aprite, vi dico!

— Ma che cosa volete fare?

— Chiamare la polizia e sapere la verità.

Devan cercò di dissuaderla. La afferrò e la scosse ed essa urlò, offesa, di non toccarla.

— Ma non potete chiamare la polizia.

— Come, non posso?

— Rovineremo tutto!

— E allora ditemi la verità su mio marito. Che ne è di lui?

— Vi abbiano già detto la verità.

— Aprite — urlò lei di nuovo.

— Uscite pure — le disse Devan.

— Non ne ricaverete nulla — aggiunse Orcutt.

La porta si richiuse.

6

I sei uomini rimasero lì, scossi e sovrastati da quell’atmosfera e Devan li vide così, tornando dopo aver accompagnato la signora Basher. Non poté fare a meno di ridere.

Quella risata interruppe per un momento il lavorio mentale degli altri che si stavano facendo esami di coscienza per stabilire le proprie responsabilità nel fatto, anche se poi risultavano inesistenti.

— E che c’è da ridere? — sbottò Sam. — Ci ha guastato tutto il progetto.

— Non credo — rispose Devan — non c’è da preoccuparsi. Cosa può provare contro di noi?

— Svelerà alla polizia la natura dell’Ago — dichiarò Costigan — e il segreto cesserà immediatamente.

— Questa pubblicità fatta prematuramente ci rovinerà — aggiunse Sam.

Ma Devan si mostrò sicuro del contrario, in quanto la polizia avrebbe certamente avuto, di fronte al racconto della signora Basher, le stesse reazioni di incredulità che ciascuno di loro aveva avuto all’inizio. — Penseranno che è pazza — assicurò — e se insisterà, verranno qui a vedere di cosa si tratta veramente.

— Ma non vogliamo avere qui della gente a curiosare intorno alla nostra macchina — protestò Orcutt.

— Ma in fondo nessuno di noi ha visto Basher sparire nell’Ago — continuò Devan. — Basher si allontanò semplicemente e nessuno di noi lo vide più. Del resto il suo corpo è scomparso e mancano quindi le prove tangibili del fatto e poi ora che l’Ago non funziona, non si potranno rendere conto dei suoi effetti: vedrete che non staranno molto qui e finiranno per lasciarci in pace.

Comunque fu deciso di far sparire i vestiti di Glenn Basher mettendoli nel laboratorio segreto di Costigan e quindi di limitarsi ad affermare ciò che del resto era la verità. Basher era scomparso.

Tooksberry, a questo punto, scosse la testa dicendo: — Con tutta la nostra logica, non riusciremo a riavere Glenn Basher però…

— Sapete — intervenne Costigan — è meglio che faccia funzionare l’Ago ancora un po’. Basher potrebbe essere sulla via del ritorno proprio in questo momento.

Neanche un’ora dopo arrivarono il sergente Walter Peavine e l’agente. Timothy Griffin.

Il primo, massiccio e con occhi sporgenti, fece il punto della situazione e sembrò irritato che nessuno volesse ammettere che la scomparsa di Basher fosse da attribuirsi all’Ago di Costigan. L’agente Griffin, invece, si preoccupò di fare un giro perlustrativo in tutto lo stabile.

L’interrogatorio ebbe un esito veramente scoraggiante, in quanto con nessun metodo il sergente riuscì a convincere la reticenza degli interrogati.

— Lasciate che vi faccia io una domanda ora — intervenne Orcutt, squadrando il poliziotto con aria che appariva offesa. — Ebbene, ditemi francamente, voi lo credereste che Glenn Basher sia entrato in quella cavità e sia poi scomparso?

Il sergente Peavine osservò con occhio rispettoso l’Ago e quindi rispose: — No di certo. Mi credete pazzo?

— È allora perché volete che noi ve lo diciamo?

Il sergente sembrava affascinato sia dalla bellezza sia dalla linea e dalla simmetria dell’Ago e non riusciva quasi a staccarne gli occhi.

— Benissimo — disse. — Ammetto che è da pazzi pensarlo, ma io devo seguire la traccia indicatami dalla signora Basher.

— A proposito — chiese Devan — come sta? Si è calmata? Era molto agitata quando venne qui.

— Stava benissimo quando noi l’abbiamo lasciata, anche se al primo momento ci è sembrata pazza da legare. Non ho mai visto una donna tanto addolorata. — Tossì. — Ma, tornando alla questione di suo marito… Dunque, qualcuno di voi la chiamò e le disse di venire qui, no?

— Esatto, sergente — intervenne Holcombe. — Glenn Basher ci piantò in asso a metà di un esperimento e… — sorrise imbarazzato — pensammo che fosse tornato a casa.

— Era qui un minuto prima — spiegò Sam schioccando le dita — e dopo un minuto non c’era più. Pensavamo che la moglie ci potesse spiegare questa scomparsa, scomparsa, convenitene, molto misteriosa.

— Un rebus bell’e buono — commentò asciutto il sergente — porte e finestre chiuse, ventilatori fermi, ecc. Eppure, qualcuno scompare.

— Esatto, ispettore — disse Tooksberry.

— Sergente — rettificò Peavine.

— Già, scusatemi.

Tornò l’altro poliziotto spiegando che tutto era normale, tranne qualche porta chiusa.

— Andremo a verificare, Tim. — Il sergente prese una sedia e ci si mise a cavalcioni volgendosi verso i sei uomini. — Ma che diavolo facevate qui a quest’ora del mattino?

— Ve l’ho detto, sergente — spiegò Orcutt, accarezzandosi il mento. — Esperimenti spaziali, ma questa non è un’astronave.

— No? Ma lo sembra veramente. E che cos’è allora?

— Be’, tutto quello che vi posso dire è che è un problema.

— Non è una buona spiegazione.

— Intendo dire che questa macchina ci ha posto il problema dell’iperspazio e la sua correlazione con lo spazio intorno a noi.

— In questo momento — intervenne Devan — ci stavamo occupando della trasferibilità delle strutture di cellule viventi da qui e là e quindi di nuovo qui. Soprattutto del ritorno.

— Proprio così — disse Sam Otto.

— Già, già — mugolò il sergente — e chi è il vecchio là, intorno ai fili?

— È il dottor Winfield Costigan — spiegò Devan — inventore dell’Ago.

— Comunque — commentò il sergente — non riesco a vederci chiaro. Voi inventate una cosa e non sapete nemmeno a cosa serve.

— Volete conoscere il dottore? — gli chiese Devan.

Il sergente fu presentato a Costigan, intento a osservare alcuni cavi e un diagramma.

— Funziona?

— Non ora.

— E cosa succede quando va?

— Non l’ho ancora deciso del tutto. Vi spiacerebbe darmi quella carta? — e indicò il diagramma.

Il sergente lo raccolse e glielo porse. — E come si fa a sapere quando va, allora?

— Eccoci! — esclamò il dottore, lasciando cadere il foglio a terra. — Tenete — e mise in mano al sergente una pila che il sergente impugnò alzandosi sulla punta dei piedi per vedere meglio quello che succedeva. — Ah! — disse Costigan. — È una questione di regolarità di circuito. Pochi ohms in più o in meno possono rovinare il circuito. Ora la corrente è a posto. — Si staccò dal sergente, togliendogli la pila, che poi spense e rimise a posto. Quindi si fece indietro sforzandosi, quasi disperatamente, di vedere la parte superiore dell’Ago allungando il collo.

Intanto Devan, guardandosi intorno, notò che l’agente Griffin si stava dirigendo verso di loro, girando intorno all’Ago.

— Certo che è una cosa enorme — disse il sergente — proprio come nei libri di Randolph.

— Ascolta qui — disse Griffin, battendo con le nocche sul fianco della macchina. Ne uscì un suono sordo. Griffin si avvicinò, sempre tamburellando sul corpo metallico. Guardò infine nella cavità. — E questo che cos’è?

Si fermò a esaminare le capsule un po’ più da vicino.

Nello stesso momento Costigan urlò: — Ehi!

Tutti si volsero verso di lui e, notando l’orrore sul suo volto, cercarono l’oggetto di tale sgomento. Griffin spaventato dal tono del dottore e dalla sua espressione, aveva fatto un passo all’indietro non incontrando resistenza alcuna, dato che quello spostamento lo fece cadere proprio nella cruna dell’Ago.

Sotto lo sguardo impotente di tutti i presenti, Griffin fu visto cadere all’indietro nella galleria, lanciando un urlo di terrore.

Poi scomparve e le mani che si stesero per afferrarlo non riuscirono a raggiungerlo. Il suo abito cadde vuoto a terra. Le scarpe e le calze erano grottesche a vedersi, così vuote e affiancate.

Vi furono secondi che parvero lunghi minuti di sfibrante agonia. Si poteva avvertire l’atmosfera tesa e freneticamente ansiosa.

Il sergente Peavine si mosse verso l’Ago e Devan pensò che stesse per entrarvi anche lui, ma fortunatamente Costigan aveva interrotto il funzionamento della macchina.

Steso nella cavità stava Peavine, che afferrava i vestiti vuoti dell’amico, come a cercarvi un segno di lui, ma invano.

7

Il silenzio che avrebbe dovuto circondare il funzionamento della macchina di Costigan fu infranto. Primo anello della catena di congiunzione con l’opinione pubblica fu il sergente Peavine. A lui seguirono Devan, Orcutt, Sam Otto, Holcombe. Tooksberry e Costigan, che si trovarono nella necessità di rispondere a uomini in uniforme, i quali passarono poi la parola ai giornalisti.

Da questo momento, il piccolo gruppo di scienziati che aveva deciso di lavorare segretamente, vide crollare nel modo più clamoroso il proprio programma. Giornalisti, fotografi, operatori, poliziotti dappertutto. Prima in giro all’Ago e poi da loro a chiedere febbrilmente notizie sul funzionamento della macchina e sulla scomparsa delle due persone. Si doveva quindi ricominciare ogni volta daccapo a spiegare, a parlare, e i sei uomini erano stanchi, affranti, con la barba lunga. D’altra parte, era stato loro assolutamente proibito di allontanarsi dallo stabile.

Non avevano più un momento di pace, era un continuo susseguirsi di lampi al magnesio: fotografie accanto alla macchina, da soli, coi poliziotti e, sempre, con gli abiti di Griffin e Glenn Basher bene in vista.

Devan era fuori di sé e pensava che si dovevano trovare anche gli altri nella sua stessa condizione di fame, sonno e stanchezza.

— Avrete la colazione non appena terminata la prima parte dell’interrogatorio — rispose alle sue sollecitazioni il tenente Harold Johnson, compresissimo nella sua parte di poliziotto.

Fu Betty Peredge a cavarli d’impaccio. Arrivò alle nove per lavorare e riuscì a farsi strada sino a loro.

Aveva letto sui giornali ed era, naturalmente, preoccupatissima.

Dopo una discussione piuttosto accesa con Johnson, riuscì a farne capitolare la resistenza e a far portare la colazione ai sei uomini. Ne avevano un gran bisogno; si radunarono nell’ufficio di Costigan, dove poterono anche sbarbarsi col rasoio elettrico.

Le loro condizioni migliorarono subito e Costigan, esprimendo la propria momentanea soddisfazione per il piccolo benessere provato, desiderò anche di poter avere, nonostante l’ora mattutina, un buon sorso di brandy.

Betty, sopraggiunta, spiegò loro che il tenente desiderava avere una dimostrazione dell’Ago e che voleva si recassero tutti sul posto.

— Purché non ci siano altre domande! — esclamò Costigan.

— E non ditelo! — ribatté Sam Otto, con gli occhietti luccicanti e il sigaro, che Betty gli aveva procurato, penzolante dalle labbra. — Dopo tutto, è pubblicità.

— A spese di Glenn Basher e del poliziotto — ricordò Tooksberry. — Proibiranno di fare altri esperimenti dopo queste disgrazie e chiuderanno questo luogo.

— Al contrario — replicò Sam Otto. — Non sapete quale enorme richiamo costituirà per la gente questa macchina. Tutti vorranno vedere e rendersi conto. E qualcuno vorrà entrare per cercare di capire e per riportarci la giusta risposta ai nostri interrogativi. State un po’ a vedere.

— Certo, se avessi saputo che questo esperimento sarebbe costato la vita di due uomini…

— E chi dice che siano morti! — esclamò Devan. — Non potremo mai saperlo sino a che qualcuno non riuscirà a entrare e a uscire!

Quando giunsero vicino all’Ago trovarono ad attenderli poliziotti, giornalisti e fotografi. Dovettero spiegar loro che cosa esattamente era successo ai due uomini.

— Bisognerebbe che la macchina adesso funzionasse — incitò Orcutt. — Griffin e Basher potrebbero essere sulla strada del ritorno in questo momento.

— Desidero una dimostrazione — disse il luogotenente Johnson — ma non desidero che ci siano altre fatalità.

— Fatalità! — esclamò Sam Otto.

— Tutti lontani dalla macchina — ordinò Johnson — ora faremo una prova!

Non appena tutti si furono allontanati dalla macchina, Costigan eseguì tutte le varie manovre necessarie a farla funzionare. Infine si volse e annunciò che il congegno era in moto.

L’occhiata che gli lanciò il tenente Johnson era dubbiosa.

— Ma come, se ha lo stesso aspetto di prima, quando non funzionava!

— Già — replicò Costigan — ma metteteci una mano e vedrete cosa succede. Andateci piano.

Il tenente si avvicinò cautamente alla macchina, mettendo le mani proprio davanti alla cruna. Quando si fu avvicinato ancora di più, vide con enorme stupore sparire la punta delle sue dita. Si alzò un brusio dal gruppo dei presenti. Johnson ritirò velocemente le sue mani e le unì l’una all’altra, quasi per sincerarsi che fossero vive. Ripeté di nuovo l’esperimento e di nuovo, dopo aver visto sparire una parte delle sue mani, le ritrasse per vedere se erano ancora intere.

— Bene — disse — fermate la macchina, ora.

— Un momento — intervenne Devan — non potete fermare la macchina adesso. Come ha già detto Orcutt, l’agente Griffin e Glenn Basher stanno forse cercando di uscire e potranno riuscirvi solo se la macchina funziona.

— E voi pensate che siano vivi?

— Le vostre mani non sono morte, no?

— Be…

— Comunque, ci sarebbe un modo migliore e più rapido per farli uscire. Qualcuno dovrebbe entrare nell’Occhio e indicare loro la via da seguire.

— Questo no — il tenente scosse la testa in segno di diniego. — La macchina costituisce di per sé un pericolo. Qualcun altro potrebbe sparire.

— D’altra parte — intervenne Orcutt — credetemi, tenente, è l’unico sistema per riavere il vostro agente. Quindi se decidete di fermare la macchina, lo condannate per sempre.

Infine, dopo ripetute esortazioni, il tenente sottopose la proposta al capo della polizia, che la sottopose a sua volta al commissario, che la sottopose al sindaco, e finalmente fu deciso che l’Ago avrebbe funzionato. Per precauzione, tuttavia, fu eretta intorno allo strumento una palizzata di legno con un cancelletto per entrarvi e un poliziotto, che stazionava in permanenza, fu posto proprio davanti all’imboccatura della macchina. Nessuno doveva entrare; in caso di trasgressione, il poliziotto era armato.

— Non capisco perché non vi lascino entrare — stava dicendo Betty a Devan. Essi stavano seduti su di una cassa da imballaggio davanti all’ufficio di Costigan.

— Continuano a sperare che faremo saltar fuori l’agente Griffin da un momento all’altro, come un coniglio fuori da un cappello.

— Ma è possibile che Griffin possa uscire dall’Occhio?

— Certo che è possibile.

— È certo una cosa eccezionale questa macchina, ma come avete potuto, sapendone gli effetti, costruirla, per poi far sparire la gente?

— Già, quante grane di meno se non l’avessimo costruita.

— Sono tutti in subbuglio per questa invenzione e giornali e radio non parlano d’altro. Pensare che i circuiti che ho disegnato sono ora parte integrante dell’Ago! Ma infine ci deve ben essere stata qualche altra ragione valida per costruirla oltre a far sparire le cose.

— “Le cose” non spariscono, Betty. Solo la carne vivente. E non chiedetemi il perché…

— Vi siete chiesti dove questi elementi vadano a finire?

— Già — Devan asserì — ed è per questa ragione che è stato costruito questo colossale strumento. — Le spiegò quindi dei precedenti strumenti in scala minore e della possibilità da loro contemplata di usarli per diagnosi interne. D’altra parte chi avrebbe voluto usare tale apparecchio, non sapendo dove andasse a finire la parte che scompariva momentaneamente?

— Così costruimmo la macchina, grande abbastanza per poterci far entrare una persona che controllasse personalmente tutto quanto avvenisse all’interno. Abbiamo già fatto due errori e non ne vogliamo più un terzo per ora. Sarebbe stato meglio che fossi rimasto giù in Florida, anche se avrei dovuto ugualmente tornare su, ora, con questo can-can.

— Che c’è giù in Florida? — e Betty si volse con eccessiva animazione, così almeno gli sembrò.

— Un posto chiamato “Pelickan Rock”, rocca del pellicano. Lo comprai ma non ho avuto mai la possibilità di recarmici sino a quest’inverno. E una volta là, saltò fuori l’affare dell’Ago. Mia moglie e i piccoli sono ancora giù. Mai stata in Florida?

— No. Frank e io pensiamo che un giorno o l’altro ci andremo. O in Florida o in California. Non abbiamo ancora deciso.

— E state lavorando per quel giorno? Per questo avete preso questo impiego?

— No — Betty rispose. — Io ho un bambino, Jimmy, che ho seguito per sei anni. Ora è a scuola e io non ho niente da fare. Be’, non è che non troverei da fare in casa. Ci sono sempre mille cose. Ma c’è mia suocera, la madre di Frank. Abita con noi e prepara a Jimmy la colazione. Sa che a me piace lavorare e così abbiamo fatto una specie di contratto. Lei fa il lavoro di casa e io mi porto a casa un assegno lavorando fuori. E così, lavorando tutti e due, Frank e io siamo riusciti a mettere qualcosa da parte.

— So cosa significa avere una famiglia. Io ho due bambini che hanno qualche anno più del vostro Jimmy e costano un sacco di soldi.

— Avete l’aria stanca.

Improvvisamente si udirono alcune voci, assai concitate, provenire dalla parte dell’Ago.

Si trattava di tre persone, un omone, un omino e una donna, che Devan non aveva mai visto prima d’ora. Stavano là a discutere col poliziotto addetto alla sorveglianza della macchina, il quale faceva cenni in direzione dell’ufficio d’ingresso e scuoteva la testa.

— Ho visto quando entravano — Betty disse — approfittando dell’assenza momentanea dell’agente addetto all’entrata.

Devan chiese: — E dove sono tutti gli altri?

— Non vedo nessuno all’infuori di un agente. Anche i giornalisti sono scomparsi.

Lanciò un’occhiata nell’ufficio di Costigan e vide Sam Otto che guardava fuori, in direzione dei tre sconosciuti.

— Vorrei uscire un momento — disse Devan — a prendere un po’ d’aria.

Salì i gradini che conducevano alla porta dell’ufficio di Costigan. Il dottore era addormentato, con la testa fra le braccia. Orcutt si volse a lui e a Betty con occhi pieni di sonno, anche lui stava disteso in una comoda poltrona.

— Nessuno viene al tennis? — chiese Devan.

— E va’ al diavolo — Sam Otto rispose dalla finestra. — Non che io a tennis abbia mai giocato.

Orcutt si alzò e si stirò. — Bene, Dev, che cosa accadrà del progetto, ora?

— Non ci ho pensato, mi sto invece chiedendo cosa accadrà a noi.

— Tutti in prigione — intervenne Tooksberry. — Ho chiamato mia moglie che credeva ci fossi già.

— Abbiamo visite — disse Sam.

— Spero che non vengano per altre domande — ribatté Orcutt.

— C’era fuori della gente che stava discutendo col poliziotto di guardia; adesso sta venendo dalla nostra parte.

Poco dopo infatti comparvero sulla porta i tre accompagnati da un poliziotto. — Dicono che hanno un messaggio dal vostro capo — spiegò l’agente. — Li conoscete?

I tre a fianco a fianco furono oggetto di un esame. L’uomo alto aveva un’aria eccessivamente piena di sé, pensò Devan. Tutto nel suo atteggiamento confermava questa impressione; il mento volitivo e volto in alto e le labbra tra cui stava un grosso sigaro. Gli occhi erano pieni di fuoco, il suo cappotto scuro era “démodé” e il cappello frusto, ma pulito.

Al suo fianco stava una donna che aveva un naso molto sporgente, occhi rotondi e capigliatura nera che usciva disordinatamente da un vecchio cappello scuro. Teneva le labbra strette, con espressione dura.

Il terzo uomo stava completamente rigido, coi piedi che formavano una V, le spalle indietro, l’abito ben stirato, almeno da quanto Devan poteva vedere dal cappotto aperto. Il suo viso era comune, ma aveva negli occhi qualcosa di fanatico.

— Mai visti prima d’ora nel mio ufficio — disse Devan.

— Neanch’io — confermò Orcutt. E gli altri annuirono a loro volta.

— Chi è il capo, qui? — chiese l’uomo grosso con voce cavernosa.

— E che volete? — sbottò Devan, irritato dai suoi modi.

— Chi è mai questo capo? — chiese Sam Otto, incuriosito.

— Chi altri se non Dio? — spiegò l’omone. — E noi siamo i suoi figlioli. Io sono Eric Sudduth della “Missione Sudduth”, giù nella via, e questa — indicò la donna — è Sorella Abigail, Direttrice del lavoro di Assistenza e Rendenzione delle donne. Orvid Blaine, l’Eminente Fratello qui accanto, è l’Assistente Direttore del Lavoro.

Devan si presentò a sua volta. — E che volete da noi?

— Dovete fermare la macchina — Sudduth disse. — Dio ci ha fatto sapere che state interferendo con il Suo lavoro, e il Suo volere. Le due persone sacrificate sono state un Suo avvertimento. La macchina dev’essere distrutta.

— Amen — pronunciò Sorella Abigail.

— Vi conviene fare come dice lui — l’Assistente Direttore bofonchiò fra i denti. — Non vogliamo che il volere di Dio venga disprezzato in questo modo.

— Mi spiace averli fatti entrare — si scusò il poliziotto. — Quest’uomo disse…

— Fermate la macchina e ci sarà gloria per voi e gloria per me — disse Sorella Abigail, rivelando nel sorriso lunghi denti aguzzi.

Devan scrutò Orcutt e nei suoi occhi lesse il disagio. Ci fu un lungo silenzio penoso che Devan accomunò mentalmente a un altro silenzio del genere cui aveva assistito, quando a una recita di dilettanti uno degli attori aveva perso il filo del discorso, che era assolutamente indispensabile ai fini di quanto gli altri avrebbero detto, impedendo loro di superare quella sua amnesia.

— Ehi, voi tre — uscì infine il poliziotto — andate via, su.

— Un momento — intervenne Devan — sono sicuro che questi signori hanno le migliori intenzioni e sono in assoluta buona fede nell’insistere sulla loro posizione.

— È meglio che fermiate la macchina — replicò minacciosamente Blaine. — Avete udito quanto ha detto il Gran Direttore.

— Io non ho udito il volere di Dio, ma so che dobbiamo far funzionare la macchina fin che ci sia speranza di riavere quei due indietro.

— Nessuno tornerà indietro — disse Sudduth — inutile sperare di riparare all’errore compiuto.

Orcutt si ribellò con violenza a queste parole, facendo intervenire in difesa di Sudduth il Fratello Blaine.

— Sta’ calmo, Orvid! — esortò Eric Sudduth, rivolgendosi quindi a Orcutt: — È chiaro — egli disse — che non avete ricevuto dal vostro intelletto il dono di una più intima e profonda visione di questo mondo tribolato, quale ci è stata concessa. La crisi attuale in cui il mondo versa è causata da uomini come voi ed è nostro compito raddrizzarvi…

— E che c’entra con l’Ago? — sollecitò Sam Otto.

— Anzi ciò che ho detto è proprio a proposito — replicò Sudduth. — I due uomini che così sconsideratamente avete anullato con la vostra macchina, avrebbero potuto forse arrivare un giorno a vedere questa luce di cui noi predichiamo.

— Volete dire — chiese Devan — che prima o poi si sarebbero uniti alla vostra Missione?

— Noi non possiamo per forza di cose avere gli occhi sul mondo intero — spiegò Sudduth — ma cerchiamo nei nostri limiti di agire nel piccolo mondo che ci circonda. Le forze della legge e dell’ordine potrebbero anche permettervi di condurre delle persone a una cosa grave quale il loro annullamento completo, ma io, come Gran Direttore del nostro Lavoro di Salvezza degli uomini, proprio non posso permetterlo, tanto più così vicino alla mia Missione.

— Fermate la macchina nel nome del Gran Direttore — rincarò Sorella Abigail.

— Nel nome del Capo Supremo! Nel nome della Gloria!

— Basta, Sorella — disse Sudduth.

— Non possiamo fermarla — Devan insistette.

— Per di qui! — Il poliziotto si riscosse e aprì la porta.

— Il Gran Direttore ha ordinato di fermarla — continuò Blaine, con gli occhi lampeggianti e il viso sconvolto. Si incamminò dietro a Devan.

— Ehi, voi, venite qui — lo richiamò l’agente prendendolo per un braccio e sospingendolo verso la porta.

— Male ve ne incorrerà — furono le ultime parole di Sudduth.

— Non potete disobbedire al Capo! — gridò istericamente la donna.

— Amen! — urlò Blaine.

Il poliziotto li spinse fuori.

8

Sfortunatamente per il Dipartimento di polizia di Chicago, le ammissioni fatte circa la possibilità di riavere indietro le due persone scomparse, scaricarono sulle spalle del gruppo di ricercatori tutta la responsabilità derivante da questa situazione.

Ma che cosa si può fare quando un uomo scompare in un colossale ordigno? Non c’erano precedenti del genere a suggerire loro il da farsi.

Comunque, per prima cosa, la polizia aveva cercato di avere tutti i ragguagli possibili sull’Ago, prendendo appunti su appunti, per cui Devan pensava che sapessero ormai tutto sullo strumento, eccettuato il segreto della sua costruzione.

Mentre la polizia indagava e il pubblico aspettava, la macchina era sempre in funzione sotto l’occhio vigile di Costigan.

Nessuno parlava della morte di Glenn Basher e dell’agente Griffin, per quanto molti ne fossero assolutamente sicuri.

L’avvenimento aveva avuto naturalmente molte ripercussioni all’esterno, e il traffico nella zona era stato deviato. Migliaia e migliaia di persone giungevano da ogni parte della città davanti allo stabile nel quale si trovava l’Ago, con la speranza di potergli dare almeno un’occhiata, ma naturalmente non tutti potevano entrare. Oltre agli addetti all’ordine, ai funzionari della “Inland”, ai giornalisti e ai cronisti della radio c’era una lunga lista di eminenti scienziati, esperti della Marina e dell’Esercito, studiosi di problemi elettronici, e grosse personalità dei più importanti centri di ricerca medica degli Stati.

Ognuno di essi volle tentare l’esperimento con l’Ago infilando la mano nella cavità e ognuno ne fu completamente sconvolto. Si intrecciarono le supposizioni più svariate e furono fatte circolare voci assurde, come quella che diceva che altri erano quasi riusciti a realizzare uno strumento simile a quello di Costigan. Il dottor Costigan era assillato da continue interviste e domande e, a un certo punto, si rifiutò di continuare, rimandando persino i suoi conterranei di Claybourne o quelli di Dewhurst, l’ultimo istituto nel quale aveva insegnato.

Gli altri finirono col seguire il suo esempio.

Tre giorni dopo Sam Otto ebbe l’idea. Fu la vista di un poliziotto in uniforme che tirava indietro dall’Ago una donna (una biologa) che gli suggerì d’un tratto un espediente veramente sensazionale.

Corse difilato ad annunciare la sua scoperta a Devan e agli altri, radunati nell’ufficio di Costigan, e le sue parole furono sulle prime così confuse, che nessuno riusciva a vederci chiaro.

— Ma che dite? — gli chiese Devan. — Cosa state cercando di spiegare?

— La guardia che trascinava via la donna — insistette — ma, ditemi un po’, cos’è che noi desideriamo maggiormente?

— Riavere Basher e Griffin — rispose Devan per tutti.

— Infatti, ma non sappiamo ancora come — e li guardò sorridendo e lasciandoli in sospeso per un po’. — Di sicuro non possiamo fare entrare un individuo legato a una corda per poterlo tenere collegato, dal momento che gli oggetti inanimati come una corda non possono passare là dentro.

— Ma sì, in nome del cielo…

— E facciamo allora una corda di esseri umani — Sam aggiunse trionfalmente — possiamo prenderci per mano, il primo dà la mano al secondo e il secondo al terzo e così via fino a raggiungere un numero di persone che riteniamo opportuno.

— Ma è formidabile — commentò Betty.

— È davvero sorprendente; nessuno ci aveva ancora pensato.

Questa, che fu chiamata l’“Operazione Otto” sembrò avere sulle prime tutte le premesse per una facile realizzazione. Da una parte della catena umana ci sarebbero stati Costigan, Sam Otto, James Holcombe, Devan Traylor, Edmund Orcutt e Howard Tooksberry e dall’altra i volontari che si fossero offerti di ricondurre indietro Glenn Basher e l’agente.

Ma la polizia, venuta a conoscenza del progetto, mise condizioni ben precise, per cui non sarebbe stato assolutamente permesso ai funzionari della “Inland” di entrare nello strumento, ma avrebbero dovuto essere scelti tra i volontari del corpo di polizia coloro che, dopo un rigoroso esame medico, fossero risultati assolutamente sani, senza capsule in bocca e denti riparati (eccezion fatta per piccolissime riparazioni da risistemare dopo l’uscita dall’Ago). Inoltre, dovevano essere sotto i trent’anni e privi di impegni familiari. Venne disposto che l’“Operazione” si sarebbe svolta tra tre giorni, alle otto di sera.

Non appena la notizia trapelò negli ambienti giornalistici e della radio, il rumore che ne derivò fu enorme. Maree di gente si riversarono in continuazione nei pressi della costruzione, e le automobili vi stazionavano in permanenza.

All’interno i giornalisti e i cronisti radiofonici assediavano Costigan e gli altri con continue domande, mettendoli tutti nella condizione di dichiarare che ormai la gente sapeva tutto della faccenda, e che non c’era più niente da svelare.

Nell’imminenza dell’avvenimento fu tolta la palizzata intorno allo strumento e furono disposte pedane per il pubblico e una tribuna per le autorità.

Si sarebbe detto che si stava allestendo uno spettacolo colossale e l’atmosfera che regnava nell’ambiente aveva tutte le caratteristiche proprie di una “prima” di Hollywood. All’ingresso furono messi in vendita i biglietti con l’avvertimento che le porte si sarebbero chiuse alle otto meno un quarto. Naturalmente, questa ultima parte del programma fissata dalle autorità, divertì molto Orcutt e i suoi collaboratori.

Quelli della polizia, il cui ingresso avvenne alle otto meno un quarto, ebbero, considerando la parte che essi avevano ormai assunto nello svolgimento degli avvenimenti, i posti d’onore, accanto ai pezzi grossi della politica e della scienza.

Devan e i suoi amici, nonché i membri del Consiglio di amministrazione, sedevano in una piccola sezione, alla destra dei poliziotti volontari. Mentre Orcutt e gli altri avevano ormai assunto una certa indifferenza nei riguardi dello strumento, e si limitavano a osservare ciò che la città aveva fatto di questa invenzione che doveva rimanere segreta, i membri del Consiglio erano tutti molto eccitati e non certo insensibili a questa particolare atmosfera da circo. Persino la signora Petrie aveva abbandonato, per l’occasione, il suo abituale lavoro a maglia, per starsene tutta intenta a osservare; mentre gli altri apparivano tutti chiaramente divisi tra la curiosità, l’agitazione e un po’ di timore per ciò che sarebbe successo.

Alle otto in punto, il sindaco salì sulla piccola piattaforma a destra della cavità della macchina e rivolse un sentito discorso ai dodici volontari, esaltando il loro coraggio e la loro generosità, doti che dimostravano offrendosi di aiutare i due scomparsi. Terminato il discorso si inchinò agli applausi e si rivolse quindi verso le camere della televisione.

Prima di ritirarsi dalla pedana, il sindaco presentò il tenente Johnson, che a sua volta presentò un sergente, a nome Spencer, il quale impartì istruzioni ai dodici volontari.

Essi si spogliarono, eccezion fatta per un paio di pantaloncini corti e scarpe da tennis e calzini. Quando furono pronti si misero in fila e, agli ordini del sergente, mossero verso l’apertura dell’Ago. Dopo essersi presi per mano. Fu un momento di grande tensione quello che segnò l’entrata del primo uomo nella macchina, a mento alto e petto in fuori.

Immediatamente il secondo uomo lanciò un grido e si piegò sulle ginocchia, facendo un enorme sforzo per non entrare subito nell’Ago. Gli altri lo trattenevano consci del suo malessere, ma lui fece intendere che sarebbe entrato.

— Lo tengo ancora — disse riferendosi al compagno al quale era unito — ma lo sento abbassarsi.

Quindi entrò.

Avanzò poi il terzo poliziotto, drammaticamente teso in ogni suo muscolo, col corpo coperto di sudore. Senza una parola, procedette lentamente a piccoli passi finché la misteriosa cavità lo inghiottì.

Fino a quel momento la catena era stata mantenuta, ma dopo l’entrata del terzo poliziotto accadde un fatto molto drammatico.

Il quarto uomo si arrestò prima di entrare, sbigottito e tremante, cadde a terra al livello dell’apertura con gli occhi fuori dell’orbita, la bocca spalancata e un colorito che da rosso si fece via via sempre più scuro, fino a diventare violaceo.

Quando i suoi compagni tentarono di allontanarlo dall’apertura, tutti videro, con orrore, che la sua mano destra era vuota: non era unito a nessuno davanti a sé. Si alzò un mormorio di sgomento al quale seguì un silenzio vasto e tragico.

9

— È stato orribile — disse la signorina Treat. — Ho visto tutto alla televisione.

— Voi e un altro milione di persone — rispose Devan appendendo il suo cappotto in ufficio. In cuor suo non desiderava altro che di rimanere solo in quel momento. Si lasciò cadere nella sedia davanti alla scrivania, e il suo viso allucinato non lasciò dubbi a Beatrice. — State male — gli disse.

— Sì e no — rispose Devan. — Ho bevuto.

— Capisco — disse la donna. — Posso farvi portare un po’ di caffè?

— Ottima idea. — Parve apprezzare moltissimo l’offerta, ma in realtà più che di caffè aveva bisogno di star solo e così le disse di andar pure, ma che facesse le cose con calma.

Mille pensieri confusi si agitavano nella testa che gli doleva: tre uomini erano entrati nell’Ago e non ne erano più usciti, come gli altri. Era tremendo pensare che dopo quei clamorosi preparativi, quello fosse stato il triste bilancio dell’esperimento. Ecco, dopo tutti quei suoni, le fanfare e le voci eccitate, quel terribile silenzio.

Rimase a lungo così e. quel giorno, fu uno degli ultimi a uscire.

Sapeva che non avrebbe potuto né mangiare né dormire quella sera e così decise di ficcarsi in una taverna e cercare di dimenticare in altro modo.

Si recò al Loop più tardi e anche là le prime parole che sentì al bar riguardavano l’Ago, e le parole erano, come c’era da aspettarsi, di scetticismo e sfiducia nei riguardi di una macchina tanto mostruosamente congegnata.

Devan decise così di comprarsi una bottiglia e di andarsela a scolare nella sua stanza. Più tardi riuscì anche a chiamare sua moglie urlando come un ossesso per tutto il tempo della conversazione.

Incubi lo perseguitavano: cinque ragazzi entrano in un grosso “Ago”. Con un grosso “Occhio”. Gli ultimi tre cercano di riprendere gli altri due. E ora sono là tutti e cinque.

Bisognava che quei cinque ragazzi tornassero, ma come, come?

Lo scosse il suono del telefono.

Orcutt era preoccupatissimo, non avendolo trovato da nessuna parte. Lo rassicurò dicendogli che nessuno di loro era stato accusato di qualche colpa. La città voleva solo che facessero tornare i cinque scomparsi.

— Sui giornali ce l’hanno più con la polizia che con noi — disse. — Dicono pure che l’Ago è una curiosità puramente scientifica e che la polizia non ha niente a che fare con questo genere di cose.

— E la relazione pubblica? — si preoccupò Devan.

— Migliaia di telefonate stamattina. La metà per dirci di distruggere la macchina e tutti i suoi progetti. L’altra metà per incoraggiarci a trovare una soluzione per riavere gli uomini entrati nell’Ago.

Quando Orcutt ebbe riattaccato, Devan si consolò un poco al pensiero che la città non ce l’avesse con loro. Erano gentili a far questo, si disse. Fu interrotto nel suo fantasticare questa volta da Beatrice Treat, che entrò sorridendo con una tazza di caffè fumante e profumato, che depose sulla scrivania.

— Mezzo cucchiaino di zucchero e un po’ di crema.

— Benissimo, grazie.

— Me ne ricordavo…

La osservò, pensando con un po’ di rimpianto alla felicità che avrebbe potuto avere da lei e… La donna stava anche lei pensando a qualcosa.

— Avete detto poco fa che non volevate che vi si parlasse della scorsa notte — lei disse.

— Infatti — Devan confermò. — Avete qualcosa da dirmi?

— Già — lei arrossì leggermente. — Volete che gli uomini tornino fuori, vero?

— Naturale.

— Sentite, vi sembrerà sciocco, ma mi è venuta una strana idea.

Devan era talmente disperato che si dichiarò pronto ad ascoltarla e magari a sperarvi.

— Conoscete, signor Traylor, il gioco delle “Venti Domande”?

— Certo, ma dove volete arrivare?

— Si dividono in tre classi, no? Animali, vegetali e minerali. Capite quello che voglio dire? — continuò animatamente. — In realtà le classi potrebbero essere due; esseri animati e inanimati, ma nel gioco delle “Venti Domande”, voi dovete specificare bene la classe, suddividendo quella degli esseri animati.

Un’idea luminosa passò nella mente di Devan, un’idea che lo riscaldò tutto, per un momento, e gli distese i nervi.

— Tanto gli animali “che” i vegetali sono viventi — proclamò Beatrice trionfalmente.

Devan prese il telefono, formò un numero e, mentre aspettava che gli si rispondesse dall’altra parte, ringraziò la donna dell’idea, sperando che si sarebbe potuto arrivare a una soluzione. Poi: — Siete voi, Betty? Avete ancora le piante sulla finestra? Bene, sentite, prendete la sempreviva, mettetela su una lunga asse e introducetela nell’Ago. Poi tiratela fuori e ditemi che cosa succede. Richiamatemi subito. Se la faccenda funziona, dovremo ringraziare Beatrice Treat, la mia segretaria, che è qui al mio fianco. Bene, aspetto una vostra chiamata.

Pochi minuti dopo il telefono squillò.

— Devan?

— Sì.

— Betty.

— Sì, ho capito, che c’è?

— Il vaso di fiori esce intatto, ma i fiori rimangono dentro.

Alla prova fornita da Betty Peredge che non solo gli esseri umani potevano entrare nell’Ago, Devan non esultò pensando alla nuova possibilità di risolvere il problema, essendo già rimasto scottato dall’esperimento, apparentemente destinato al successo, di Sam Otto.

Si limitò a chiedere a Betty se nessuno avesse osservato le sue manovre con i fiori. Il poliziotto, gli rispose, l’aveva osservata da vicino, ma era sicurissima che non aveva capito bene cosa stesse facendo.

Si precipitò poi con la signorina Treat nell’ufficio di Orcutt. Questi si entusiasmò alla nuova idea, ma Devan provvide a frenarlo per non commettere un altro errore, come nella prima prova.

A metà del pomeriggio una dozzina di operai, ai quali era stata fissata una ricompensa molto alta, sradicò un enorme pioppo di Lombardia dal terreno di un tale che non seppe rifiutare, davanti all’offerta altissima fattagli.

Caricato su un grosso rimorchio, l’albero venne trasportato attraverso la città fino allo stabile del laboratorio, dove fu introdotto dalla porta secondaria.

Non passò molto che la notizia della introduzione di questo nuovo elemento divenne di dominio dei giornalisti che se ne stavano sempre in agguato. Le interviste si orientarono quindi in tal senso e le risposte precise fornite loro sull’argomento acuirono l’aspettativa per quanto sarebbe avvenuto nel momento in cui la pianta sarebbe stata introdotta nella macchina.

Anzitutto Orcutt decise di provare se l’albero passasse dall’apertura e, insieme agli altri, sollevò il pioppo che venne fatto entrare nella cavità. Betty assisteva all’operazione, segnalando a quale punto fosse il grosso tronco. Finalmente entrò tutto e gli uomini ripresero fiato per un momento.

— Chi si offre di entrare, questa volta? — chiese Tooksberry.

— Vi offrite voi? — gli chiesero.

— No, certo — rispose lui.

In quel momento, Betty si avvicinò a Devan e gli chiese sottovoce: — Quanti giornalisti avete detto che c’erano prima? Dodici, no?

— Infatti — confermò Devan.

— Ne manca uno, ora.

Venne espresso il dubbio che il dodicesimo giornalista avesse voluto entrare nell’Ago, per quanto, date le palesi e scarse probabilità di uscirne, questa ipotesi non sembrasse del tutto attendibile.

Comunque, quando si trattò di entrare, saltò fuori un giovanotto che era stato in disparte fino a un momento prima, offrendosi di fare lui la prova: — Sono Jed Houston del “Sun-Times” — si presentò.

Tooksberry gli fece notare il pericolo di questa impresa, ma Jed si dichiarò convinto che tutto sarebbe andato bene, dal momento che si trattava di frapporre tra sé e la superficie dell’Ago una pianta.

— E poi se riesco — disse con un lampo di malìzia Jed — ricaverò dalla faccenda un servizio sensazionale.

All’unanimità fu deciso che Jed sarebbe entrato nella cavità arrampicandosi sulla pianta.

Jed Houston cominciò a spogliarsi e, sebbene sapesse che avrebbe perso tutti gli indumenti nell’Ago, pure, per rispetto alle due donne presenti, si tenne indosso la camicia e un paio di pantaloncini corti.

Dopo aver sorriso a tutti con aria estremamente sicura di sé, Jed si aggrappò ai rami e si inoltrò lungo la pianta nel tratto che lo separava dall’apertura.

Stava per entrarci, quando un grido si alzò proveniente da un luogo imprecisato della stanza.

— Fermo! Non entrare!

Tutti gli occhi si volsero in quella direzione dove, issato in cima a un alto pannello di controllo, stava Orvid Blaine.

— Il Gran Direttore della Missione ordina che nessuno entri in quella macchina — disse. — Ora sta in preghiera con Sorella Abigail e venti uomini, implorando pietà per voi che avete violato il volere di Dio e avete provocato la morte di cinque uomini!

Jed Houston che si era fermato un momento per osservarlo, si volse nuovamente verso la macchina.

— Fermatevi — urlò Blaine brandendo un lungo tubo di ferro — o getterò giù questo tubo in mezzo a tutti quei fili. Così la finirete.

— Capisco — disse Betty — perché c’erano dodici giornalisti — e indicò l’uomo là in cima.

— Avrei dovuto riconoscerlo — disse Devan.

Orcutt si rivolse a Blaine con tutta la sua autorità.

— Sentite, Blaine, noi crediamo che voi agiate in buona fede e, in questo caso, non diremo niente se scenderete e ve ne andrete tranquillamente per i fatti vostri.

— Blaine — soggiunse Devan — se lasciate cadere quel tubo, sarete la causa della morte di cinque uomini distruggendo ogni loro possibilità di ritornare.

— Dite allora a quell’uomo di non entrare — insistette Blaine.

— E smettetela — urlò Johnson. — Venite giù e vi faremo accompagnare alla porta. State interrompendo un importante esperimento. O venite giù, o verrò su io.

— Voi non verrete per niente — urlò Blaine e come vide che Johnson stava disponendosi a salire, lanciò un urlo stridulo. — Vi avevo avvisati — e scaraventò con forza il tubo.

L’Ago ebbe una scossa spaventosa. Circoli colorati, che da rosso scuro si facevano via via di un rosso acceso e quindi arancio, si levarono intorno alla macchina. Si udiva lo sfrigolio del metallo che si fondeva e si contraeva.

La stanza era piena di fumo. Non si sentiva alcun suono.

Tutti gli esseri viventi, compresi nel raggio di due isolati intorno all’Ago di Costigan erano spariti. Entrati nell’Occhio, un “Occhio” diventato incredibilmente grande, dopo che una carica di elettricità ad alto voltaggio, provocata da cause accidentali, era passata attraverso alcuni dei suoi solenoidi.

Delle persone scomparse, erano rimasti solo i piccoli mucchi di capsule dei denti, dentiere, occhiali, e tanti altri accessori artificiali, alcuni dei quali ovvi, altri che erano sempre stati accuratamente nascosti.

E non solo di esseri umani, ma c’erano tracce manifeste anche di animali. Vicino agli abiti di coloro che erano stati in preghiera nella Missione di Sudduth, si vedevano distintamente le impronte di tre cani che erano stati sorpresi dal cataclisma mentre stavano baruffando a un isolato di distanza dall’Ago.

Intorno allo stabile, le macchine rimaste improvvisamente senza guida sbandavano e si scontravano, mentre all’interno stavano ammucchiati in ordine sparso gli abiti dei loro proprietari e degli altri passeggeri.

Complessivamente trecentonovantacinque persone avevano passato la barriera dell’Ago.

PARTE SECONDA

Il Passaggio

10

Le luci si spensero e la sedia su cui stava seduto fu spinta via. Devan trattenne il fiato e questo gli fu utile quando, respirando, si trovò completamente sommerso dall’acqua. La sensazione che ne ebbe fu di terrore. Come in un incubo si sentiva mancare e non riusciva a venire a galla. Alla fine la ragione gli suggerì di stare calmo e di non dibattersi freneticamente. A poco a poco riuscì a venire a galla e a respirare aria fresca.

Quando si fu un po’ riavuto, si rese conto di quanto stava succedendo intorno a lui, sentendo urli di uomini e donne e i cupi singulti di coloro che andavano sotto. Sforzandosi di rimanere quanto più possibile sollevato dall’acqua, gli parve di scorgere lontano un lembo di terra.

In quel momento si sentì afferrare alla spalla da una mano, mentre un braccio gli stringeva spasmodicamente il collo e un respiro roco si faceva sempre più vicino al suo orecchio. Cercò di calmare l’essere accanto a sé, sentendosi tirare sotto e, quando i suoi occhi si furono un po’ abituati al buio che lo circondava, vide che la persona che gli si avvinghiava era Betty Peredge. Sentendo che lo stringeva convulsamente, la schiaffeggiò. Infine riuscì a calmarla, incitandola a rilassarsi.

Ogni tanto Betty si irrigidiva istintivamente e lo afferrava, poi, ricordandosi degli schiaffi, mollava la presa, abbandonandosi il più possibile.

Era terribile. Nuotavano verso una direzione imprecisata e Devan non poteva nemmeno rendersi conto di dove stessero andando, non potendosi sollevare a causa del peso di Betty.

Gli parve si sentire il rumore di onde che si frangevano contro una riva e intravide un cane che si dirigeva verso quella direzione.

Cercava di mettere in pratica il più scientificamente possibile tutti i movimenti del nuoto, affinché le sue forze durassero più a lungo. “Braccio, inspira, gambe, espira. L’altro braccio, espira. Dio, non abbandonarmi”.

Quanti secoli passarono prima che sentisse sotto i suoi piedi morbida e benedetta sabbia? Non lo sapeva. Spinse Betty da un lato e si abbandonò sfinito a stomaco in giù, le mani affondate nella rena, spossato, incapace di fare qualsiasi movimento per rialzarsi. Poi Betty si sentì male.

Devan era troppo debole per poterla aiutare. Lentamente si sentiva invadere da un senso di torpore, quasi di benessere. Dormire, ecco, desiderava dormire. Ma riuscì a imporsi di non farlo. Sarebbe stato fatale.

Così riuscì ad alzarsi un poco, spingendo Betty per un breve tratto.

Di colpo si rese conto che la donna era nuda. Poi vide che anche lui lo era. Seduti sulla spiaggia essi stavano immobili e ancora non avevano forza per parlare. Non si sentiva nessun altro suono, oltre lo sciabordare delle onde contro la riva.

Poi Betty sussurrò: — Che cosa è accaduto?

Devan mugulò: — Vorrei saperlo.

Si rialzarono, deboli e malsicuri. Betty lo circondò con un braccio per sostenersi, e Devan le cinse la vita.

Così uniti, si incamminarono lentamente lungo la spiaggia e giunsero in vista degli altri.

Alcuni si trovavano già sulla spiaggia, altri venivano sbattuti dalle onde sulla riva.

Proseguirono attraverso la spiaggia che si trasformò presto in una distesa di erba grassa. Vi si addentrarono con fatica, data l’altezza dell’erba, e si trovarono, poco dopo, in un piccolo bosco. Qui si fermarono. L’unico suono era quello del vento tra le foglie.

Betty rabbrividì.

— Freddo?

La ragazza annuì.

— Mettetevi giù.

Lo guardò preoccupata per un momento.

— Vi coprirò di erba sino a che sarete ben riparata.

— E voi?

— Mi arrangerò.

Betty gli si avvicinò con gli occhi spaventati e i capelli sciolti sulle spalle e sul seno, e prendendolo per un braccio: — Non lasciatemi sola — disse.

— Starò qui vicino.

— Ma io desidero che stiate accanto a me; morirò di paura se non potrò toccarvi per sentirmi sicura.

Così si stesero vicini, scaldandosi sotto uno spesso strato di erba grassa. Devan invidiò il sonno di Betty, per quanto gli facesse piacere sentire che lei aveva fiducia in lui.

Devan non riuscì a prendere sonno. Pensava che gli uomini lasciati, prima o poi li avrebbero trovati e allora…

Per tenersi sveglio, si costrinse a pensare. Dove si trovavano? E se tutta la gente passata attraverso l’Ago si trovava lì, ci dovevano essere anche Basher e i quattro poliziotti. Ma dov’erano? E l’Ago era una macchina che portava nel tempo? In quello passato o in quello futuro? E se era una macchina del tempo, che periodo del tempo era questo? Migliaia di domande gli si affacciavano alla mente, mentre stava disteso accanto a Betty, ma a nessuna riusciva a dare una risposta. Forse, si disse, si era a migliaia di anni prima di Chicago e dell’Uomo Bianco, ma che dire dell’Età Glaciale? I laghi erano formati dai ghiacciai. Non poteva essere questo il Lago Michigan in tutta la sua primitiva enormità, ridottosi poi, col passare degli anni, alle dimensioni che aveva nell’età da cui veniva?

A poco a poco questi pensieri gli conciliarono il sonno, mentre il giorno avanzava e il sole si rifletteva nelle onde che maestosamente si infrangevano a riva.

11

Si svegliarono che il sole era già alto, riacquistando, con una sensazione dolorosa alle ossa, l’intera coscienza della realtà da affrontare. Si destarono vicini e si guardarono a lungo con gli occhi spalancati, mentre la luce filtrava negli strati d’erba. Non si stava male.

Devan fu colpito dall’azzurro così profondo degli occhi di Betty, molto più intenso di quelli di Beverly. Inoltre negli occhi di Betty c’era sempre come una scintilla di segreta ironia. Mai aveva visto il suo volto così da vicino e rimase colpito dalla sua pelle liscia e dalle sue labbra così morbide anche al solo vederle. Mentre la guardava, Betty gli sorrise.

— Siete reale, non è vero? — lei gli sussurrò.

— Lo spero. Anche voi avete creduto a un sogno?

Betty annuì. — Avete cercato di muovervi?

— Sì, ma non ci sono riuscito, non sento le estremità.

— Forse staremmo più al sicuro standocene qui. — Socchiuse gli occhi che brillarono.

Era tiepida e lo guardava attentamente. Gli si avvicinò e lo baciò dolcemente sulla bocca. Poi si mise a sedere.

Lui la guardò rimanendo disteso, con una sensazione di calore sulle labbra.

— Come si sta? — chiese.

— Non è certo una giornata estiva — rispose, rabbrividendo al freddo del mattino. — Non vedo nessuno — aggiunse — non che ne provi desiderio.

Pure l’uomo si alzò a sedere.

Il cielo era azzurro e il sole più caldo di quanto pensasse. Poteva vedere il lago e il dolce pendio di una collina erbosa.

— Dove sono andati tutti? — chiese Devan.

— Forse sono tornati dall’altra parte dell’Ago.

Devan si sentiva intirizzito e non poté fare a meno di battere i denti, mentre osservava che le donne hanno uno strato supplementare di grasso che le ripara. Pensò che doveva essere proprio così.

— Cosa non darei per una buona tazza di caffè — disse lei.

— Io vorrei uova al prosciutto e pane tostato…

— Vi prego, Dev. Piuttosto, se dobbiamo muoverci, io penso che be’… potremmo incontrare qualcuno e…

Devan divise il suo imbarazzo per la totale mancanza dei vestiti. Durò pochi secondi. — Ho tutto alla lavanderia — disse — ma vedrò di fare qualcosa. — Raccolse delle foglie e quando tornò, Betty si stava intrecciando una gonnellina di erbe che fissò con un ramo attorno alla sua vita, chiudendone i lati con dei fili ben tirati.

Anche Devan si preparò una specie di gonna che lei approvò: — L’ultimo grido della moda maschile — disse allegramente.

Quando raggiunsero la china che scendeva alla spiaggia, si fermarono a osservare. C’erano diversi corpi abbandonati e privi di vita. La spiaggia era coperta di impronte di piedi, ma non c’era alcun segno di persone viventi.

Scesero alla spiaggia e Devan indicò il corpo di un uomo che stava abbandonato nell’acqua. — Spencer Grady, un membro del Consiglio. Troppo vecchio per farcela.

— Chissà se il dottor Costigan e gli altri ce l’hanno fatta?

Scorsero, nello stesso istante, del fumo che si alzava al di là di una collina. — Ci dev’essere qualche boy-scout — disse Betty. — Forse stanno preparando la colazione e noi arriviamo proprio in tempo.

Si incamminarono in quella direzione. Giunti in cima alla collina, se ne trovarono di fronte un’altra simile, ma non c’era alcun segno di esseri umani.

Improvvisamente, Betty gli strinse un braccio, indicando un punto sull’erba. Devan guardò in giù credendo di vedere un serpente o qualcosa del genere. Ma Betty si era già chinata al suolo, il volto vicino a un fiore. — Ma è fantastico — essa esclamò — una “claytonia virginica” con sei petali, mentre questi fiori ne hanno sempre cinque.

Devan non fu particolarmente colpito, sostenendo che c’erano ben trifogli a quattro petali, ma lei fu irremovibile nel dichiarare che questo fiore era veramente una cosa eccezionale. — Ciò mi dà veramente la sensazione di un luogo “estraneo” alla terra — disse.

Continuarono il cammino e a un tratto sentirono un rumore indistinto e voci. Devan si mise davanti a Betty, pronto, all’occorrenza, a difenderne la vita. Ma, giunti in cima alla collinetta, videro venire correndo verso di loro, su per il pendio, Beatrice Treat, vestita di rami e d’erba.

Sembrava un albero di Natale.

Finalmente in preda a viva emozione, riuscì a esclamare: — Signor Traylor! In nome del cielo!

Poi vide che lei guardava dietro le sue spalle e intuì che stava confrontando rapidamente il suo improvvisato abbigliamento con quello di Betty, trovando il proprio meno riuscito.

— Questa — presentò — è la signora Peredge. Beatrice Treat.

Le ragazze si scambiarono complimenti.

— La signora Peredge — spiegò lui — è, anzi era, la segretaria del signor Costigan. Da dove venite? — le chiese.

Beatrice indicò un punto sulla collina. — Siamo tutti là, o meglio, lo eravamo. Molti sono in giro a eseguire gli ordini loro affidati. Ci stiamo organizzando. Non è meraviglioso?

— Ordini?

— Sì — rispose — mi devo sbrigare. Devo andare a raccogliere bulbi. Gli indiani se ne cibavano. Lo sapevate? — Quindi corse via.

— Le cose non sono poi così brutte come sembrava. A quanto pare, c’è una specie di organizzazione.

Si incamminarono, ma prima di raggiungere la cima dell’altura, Devan si fermò e rivolgendosi a Betty: — Ancora una cosa — disse.

— Sì?

— Non so cosa succederà, ma qualunque cosa accada voglio che stiamo vicini. Non so se e quando potremo tornare, ma fino a quel momento staremo uniti.

— Desideravo che tu me lo dicessi — rispose lei, e non disse nulla quando Dev le prese il volto fra le mani e la baciò.

Giunti in cima alla collina, videro giù il piccolo gruppo vicino al fuoco volgersi verso loro.

— Devan Traylor — uno degli uomini gridò, andandogli incontro.

Devan riconobbe Orcutt, privato dei suoi costosi abiti di tweed e della pipa, ma sempre imponente, anche nel succinto abbigliamento di frasche. Altri del gruppo lo seguirono.

— Dove siete stati? — chiese Orcutt, afferrandogli e stringendogli con forza la mano. — Pensavamo che non ce l’avreste fatta. — Guardò Betty Peredge. — Come state, signora Peredge? Felice di vedervi.

Betty arrossì vivamente e stava per dire qualcosa quando sopraggiunsero gli altri. — Homer Parret, Costigan, James Holcombe, Howard Tooksberry ecc. — e dovettero stringere la mano a tutti.

Devan fu colpito vedendo Basher tra loro. — Ehi, Basher, come va?

— Credevo proprio di restar solo — gli rispose — e invece eccovi qui tutti quanti. E l’agente Griffin?

— È qui in giro.

— Non perdiamo altro tempo — disse Orcutt. — Venite dobbiamo discutere sul da farsi. Innanzitutto, dalle informazioni raccolte, ci risulta che l’Ago ha agito nel raggio di due isolati. C’era gente in macchina, altri erano a letto, o nel bagno, o in preghiera, o immersi nel sonno; o si stavano facendo la barba; dalle più svariate attività a una caduta generale nel lago.

— Ditegli di Eric Sudduth — disse Basher. — Si divertirà.

Orcutt dapprima sorrise, poi si fece serio. — Non c’è molto da ridere. Quella è gente che prende le cose molto sul serio.

— È indecente, ecco cos’è. — Devan si volse per vedere da dove partisse la voce ed ebbe la grottesca visione della signora Petrie in gonnellina di frasche e piccola stola analoga, abbigliamento che riusciva solo a mettere in evidenza le parti da nascondere.

— Moriranno di freddo — lei continuò — ma come possono vivere in quel modo?

— Parla di Eric Sudduth e compagni — spiegò Tooksberry con aria disgustata.

— Quando la notte scorsa uscimmo dall’acqua e ci gettammo infine sulla spiaggia — disse Orcutt — vedemmo un fuoco in lontananza. Così ci dirigemmo tutti da quella parte.

— Tenevamo il fuoco sempre pronto da accendere — intervenne Basher — nel caso avessimo avuto l’impressione che qualcuno stesse arrivando. Così stanotte, quando ci rendemmo conto che era successo un fatto nuovo, accendemmo il nostro fuoco e attendemmo.

— Fu tremendo in principio — disse Orcutt. — Ognuno cercava di accaparrarsi i posti migliori vicino al fuoco e ci fu chi quasi vi fu spinto dentro. Poi il tenente Johnson e i quattro poliziotti presero le redini della situazione e ristabilirono l’ordine. Tutti quanti si misero a sedere, in un grande circolo, e ci fu calore per tutti.

— Dopo di ciò, c’era un altro problema da risolvere con urgenza: il mal di denti in seguito alla perdita delle capsule e delle otturazioni. Trovammo anche un dentista tra la gente, un certo dottor Van Ness. Molti lo conoscevano, a quanto sembrava. A ogni modo, lui consigliò di riempire i vuoti nei denti con dell’argilla. Così facemmo e ciò ci tolse il dolore. Ora il dottor Van Ness è in giro a cercare della cera d’api. Dice che ci darà un sollievo più prolungato. Questo per quanto riguarda i denti. Dopo di ciò, abbiamo avuto un consiglio di guerra, guerra contro eventuali elementi estranei trovati qui in giro, ma finora non ci è capitato niente di particolare. Non abbiamo trovato niente.

— Io invece ho trovato qualcosa — disse Betty a voce alta — un meraviglioso fiore a sei petali, ma forse voi non vi trovereste niente di meraviglioso.

— Volete dire che sulla terra da cui veniamo, questo tipo di fiore non ha sei petali?

— Solo cinque. E forse attorno c’è qualche altra fantastica scoperta da fare.

— Sarà ciò che vedremo — disse Orcutt — ma, ritornando all’argomento di prima, abbiamo cercato di suddividere il lavoro in gruppi. Infatti abbiamo bisogno di gente che raccolga la legna, di altri che facciano programmi per il giorno dopo, e così via.

“Avevamo già iniziato questa nostra organizzazione quando saltò fuori Eric Sudduth a recriminare contro la nostra trasgressione al ‘Volere di Dio’, che se noi non Gli avessimo disubbidito, non saremmo qui. E continuò su questo tono, proclamandosi messo di Dio e incitando i presenti a seguirlo. Rimase lì coi suoi adepti sino a sera, attorno al fuoco e quindi se ne andò trascinando con sé una trentina di persone. Credo che non ne avremo nessuna noia, almeno fino a che Eric Sudduth e i suoi accoliti non saranno affamati o vinti dal freddo. Ma sentite, Dev, non c’è nulla che possiate fare per noi? Pescare o cacciare?”.

— Ma io non ho visto alcun animale qui in giro, finora — rispose Devan. — Siete sicuri che ve ne siano?

— Sono tutti fuggiti — disse Basher — quando mi videro apparire, ma torneranno. Vi stupiranno, quando li vedrete.

— E perché?

— I conigli non sono proprio conigli. Le loro orecchie non sono così lunghe e le loro code così corte. Più simili a code di gatto.

— Ma si potranno cacciare?

— È quello che vedremo.

— Basher è vissuto cibandosi di muschio e licheni. Non è riuscito a pescare nulla. Adesso che siamo organizzati, vedrete che riusciremo a far tutto.

— Abbiamo veduto Beatrice Treat correre a cercare bulbi. Ci ha detto che gli indiani li mangiavano.

— Non lo so — rispose Orcutt. — Abbiamo qui anche due ragazzi e la sanno molto lunga sugli indiani. Ci sono pure due o tre persone della Marina e dell’Esercito e ci sono stati utilissimi per i salvataggi. Siamo organizzati, come vedete. C’è un gruppo incaricato di seppellire i morti, un altro di pescare nel lago, cercando di afferrare il pesce con le loro stesse mani, un altro gruppo incaricato di tessere reti da pesca con lunghi giunchi. Ognuno ha scelto di unirsi al gruppo verso il quale si sentiva più affine. Sono stati avvistati anche scoiattoli, a quanto dice Basher.

— Sì — confermò Basher — bianchi, e ne ho visti tre, questo nel caso che qualcuno lo voglia sapere.

— Poi — continuò Orcutt — ci sono altri in giro a cercare sassi di varia forma e misura e altri legna con cui costruire baracche. Non moriremo di noia, a quanto vedete.

— Si direbbe che abbiamo la situazione sotto controllo.

— È così, Dev. Per ora la nostra necessità più essenziale è il cibo. Appena sistemata questa questione, inizieremo la fase di progettazione e costruzione, di assistenza medica e dentistica, e così via. C’è molto lavoro. Cosa volete fare? Vorrei che rimaneste con me. Per voi avrei il lavoro più importante.

— Più importante? E cos’è?

— Siete ingegnere, no?

— Già, ma non credo che servano gli ingegneri, qui.

— Forse non ora, ma più avanti senz’altro.

— Non capisco ancora. La costruzione di rifugi rudimentali non richiederà certo l’opera di ingegneri, soprattutto elettronici, credo.

— Voi volete tornare di là, no?

— Sicuro, ma questo cosa vuol dire?

— Non possiamo tornare attraverso l’Ago che ci ha condotto qui.

— Infatti — intervenne il dottor Costigan — il tubo che Blaine scagliò giù ha rovinato tutti i circuiti.

— E allora?

— E allora, costruiremo un altro Ago, Devan — gli rispose Orcutt.

12

Il pensiero di poter costruire uno strumento come l’Ago in quella landa selvaggia, lece sorridere Devan.

— Anzitutto — chiese a Orcutt — dove pensate di procurarvi il ferro?

— Al momento, io stesso non sono in grado di rispondervi — disse Orcutt. — Tutto quello che posso dire, è che desidero tornarmene a casa, come tutti coloro che hanno avuto la sfortuna di passare nell’Ago.

— Ma come pensate di fare a procurarci il ferro?

— Non siamo dei selvaggi, ne converrete, Devan. Tutto quello che ci occorre è un altoforno, ferro e fuoco, no?

Devan rise di nuovo. Poi improvvisamente il fatto stesso di ridere di questa impossibilità, lo rattristò e il suo pensiero corse a Beverly e ai bambini tanto lontani. Da molto non si sentiva così disperatamente solo. Mentre pensava con struggente nostalgia ai visi familiari, alla sua casa, alle strade della sua città e a come avrebbe travato tutto cambiato, se pure un giorno avrebbe potuto tornarvi, vide che Betty lo stava guardando con la sua stessa espressione. Almeno erano insieme e andavano d’accordo.

Questo pensiero gli diede coraggio.

Più tardi, mentre raccoglievano conchiglie che avrebbero potuto servire per la loro particolare forma, Betty disse che Orcutt aveva ragione di voler trovare il ferro. — Non tanto per tornare — disse lei — quanto per nostro uso qui.

Devan la informò dell’immenso valore del ferro in quel momento, e non solo qui a pensarci bene, ma anche a casa. Senza oro si poteva vivere, ma non senza ferro. La civiltà sarebbe crollata senza il ferro. Non più acciaio, forbici, automobili, motori, aeroplani, coltelli, fucili, case. Era una lista infinita di cose alle quali l’umanità non avrebbe potuto rinunciare. E le disse anche di come il ferro fosse meravigliosamente duttile, come lo si potesse rendere sottile e flessibile e come massiccio e indistruttibile, a seconda delle leghe e della lavorazione.

— Da come parli di queste cose si sente che sei un ingegnere — Betty concluse — e si sente che ami il tuo lavoro.

— Certo — disse lui — come tu ami i fiori, e credo che farò di tutto per poter costruire questo nuovo Ago, anche se ci vorranno anni.

D’un tratto, Betty si chinò e raccolse le spine di un pesce. Rise. — Ecco degli ottimi spilli, meglio di quelli che ho adottato nel mio nuovo vestiario ricavandoli dalle piante. Potrei fare un rapporto comparativo sulla qualità degli spilli.

— Comunque — Devan rispose — non è più necessario che qualcuno inventi le spille di sicurezza, ci hai pensato?

Poi Betty gli chiese: — Hai osservato le donne che sono arrivate sino a qui? Alcune attendono un bambino.

— Le ho notate — le rispose Devan — una in particolare. — Le fece una smorfia affettuosa. Betty era deliziosa e minuscola, ritta sulla spiaggia, con i capelli neri sciolti sulle spalle. Piccola, ma non fragile. E nel suo sguardo e in tutta la sua grazia, c’era un invito che Devan raccolse, prendendola tra le braccia.

Più tardi, seduti sugli scogli, parlarono di nuovo di tutte le difficoltà che li attendevano.

Verso mezzogiorno, almeno pareva quell’ora, si radunarono tutti intorno al fuoco e Devan notò che le donne avevano seguito l’esèmpio della signora Petrie allestendosi gonne e stole di erbe, che erano già migliori di quelle improvvisate al mattino.

Sull’erba c’erano molti pesci che gli uomini incaricati alla pesca avevano preso, parte con le mani e parte con le piccole reti di giunco. Beatrice Treat sciorinò tutti i bulbi e le radici che aveva raccolto e fu palesemente toccata dai complimenti che Tooksberry le fece al riguardo. Johnson e alcuni dei suoi uomini avevano catturato una ventina di conigli, che ora venivano preparati per lo spiedo con conchiglie e sassi acuminati. Un gruppo di ragazzini aveva trovato un bel po’ di noci e vi danzavano intorno, impazienti di mangiarle.

La scena ricordò improvvisamente a Devan i quadri primitivi esposti al Museo dell’Agricoltura di Chicago.

Il pasto, quanto mai frugale, consisteva solo di un pezzo di coniglio, un piccolo pesce, qualche noce e della lattuga. Il tutto senza pane, né sale, né pepe e innaffiato solo dall’acqua fresca di una fonte che sfociava al lago. Eppure Devan e gli altri furono ristorati da questo pasto.

Più tardi, Orcutt parlò a tutti, issato su di una pedana fatta di pezzi di legno. Nonostante la barba lunga e l’abbigliamento sommario, la sua figura era sempre imponente e autoritaria.

Devan pensò che era riposante avere a capo un uomo come Orcutt, mentre questi spiegava che, essendo stato raccolto più cibo del necessario, evidentemente per il numero eccessivo della gente addetta a questo compito, era opportuno ridurre il gruppo, assegnando alcuni dei suoi componenti, sempre dietro prestazione volontaria, alla costruzione di imbarcazioni, alla ricerca della canna da zucchero e ad altri lavori. In quanto alle donne, avrebbero dovuto occuparsi in parte di far prove con l’argilla per la costruzione di piatti e tazze, e altre trovare il sistema di tessere. Gli uomini che si erano occupati della ricerca del materiale da costruzione dovevano preparare capanne di varie dimensioni, a seconda del numero dei componenti di ogni famiglia.

Tra le persone raccolte intorno a Orcutt, Devan cercò di individuare gli uomini che aveva incontrato la notte precedente sulla spiaggia, ma non li vide; pensò che fossero tra quelli passati dalla parte di Eric Sudduth.

Quando scese la notte, il gruppo degli scienziati che avrebbero cercato di ridar vita all’Ago, si sistemarono vicino a loro, mentre la maggior parte delle famiglie era occupata ad accender fuochi davanti alle proprie capanne.

— È proprio lo stesso cielo — stava dicendo Orcutt. — Ecco l’Orsa Maggiore e la Via Lattea e…

— Sì — confermò Basher — ma che anno è?

— Credo migliaia di anni fa — mugolò Sam Otto, girandosi verso il fuoco per scaldarsi. — Altrimenti ci dovrebbero essere in giro degli indiani.

— Nessuno qui conosce qualcosa delle stelle? — Orcutt urlò quasi la domanda, per farsi sentire anche da quelli che stavano in disparte.

Un uomo si staccò da un gruppo e venne avanti. Era alto e curvo, senza denti, con un’aria veramente sofferente.

— Mi chiamo Elmo Hodge. Ero il proprietario della drogheria in fondo alla strada dove voi avevate il palazzo. Il mio “chiodo” è l’astronomia. — Si sedette. — Abbiate un po’ di pazienza mentre parlo. Ho perso i denti strada facendo. Cosa volete sapere delle stelle?

— Le stelle si muovono, non è vero? — chiese Orcutt. L’uomo assentì. — Per quanto insensibilmente.

— Ma abbastanza per dirci quanto siamo andati indietro nel tempo, passando nell’Ago?

Il signor Hodge guardò Orcutt a lungo e quindi si volse verso gli altri con un’espressione di stupore genuino sul volto.

— Volete dire che non lo sapete?

— Che cosa? — La mano di Betty si strinse a quella di Devan.

— Solo un giorno è trascorso da quando siamo passati nell’Ago.

Le speranze di Orcutt di avere un’informazione precisa svanirono. Evidentemente l’uomo non aveva capito di cosa stessero parlando. D’altra parte nessuno si sentì di muovere obiezioni al vecchio. Così non gli dissero che era in errore.

— So — aggiunse lui — che cosa state pensando, ma non è proprio così. — Puntò il dito a nord. — Vedete l’Orsa Maggiore? Ora, partendo dalle stelle nelle sbarre del Carro, la prima stella si muove verso il basso, la seconda si muove a sinistra, come fanno tutte le altre, eccettuata quella al bordo del Carro. Quella si muove verso il basso proprio come la prima. Ora, se fossimo in un altro tempo, il Gran Carro dell’Orsa sarebbe tutto spostato. È molto meglio così come appare adesso, no?

— Un migliaio d’anni — si alzò la voce di Clarence Gleckman. — Non farebbe nessuna differenza se si trattasse di un migliaio d’anni.

Hodge si agitò, poi mosse la testa in senso affermativo. — Avete ragione. Un migliaio d’anni non farebbe molta differenza. Per esserci una differenza gli anni dovrebbero essere cento.

— E come potete allora essere sicuro di avere ragione? — chiese Orcutt.

— E sta bene — disse Hodge. — Guardate Saturno. Proprio all’estremo limite della Vergine e vicino alla Bilancia. — Studiò le stelle per qualche minuto, poi: — Scommetto che troverete la Stella del Nord. Ancora la Stella del Nord. Qualche migliaio di anni fa, la prima stella della Costellazione del Drago era la Stella Polare, come la stella più luminosa della Costellazione della Lira, detta “Vega”, sarà la Stella del Nord tra dodicimila anni.

— Di una cosa possiamo essere sicuri — commentò Devan — conoscete bene le vostre stelle.

— Mi pare di aver sentito già parlare di queste cose da qualche parte — disse Holcombe. — Credo che siano giuste.

— Anch’io — aggiunse Tooksberry.

— Io non mi curo affatto delle stelle — soggiunse la signora Petrie — me ne curavo abbastanza quando ero una ragazza. Quello che desidero in questo momento è un po’ di lana per lavorare ai ferri.

Hodge si schiarì la gola. — Un’altra cosa. Se avremo la ventura di ottenere un po’ di vetro, molerò qualche lente per un telescopio. Ne ho fatte centinaia. Con la prima che sarà pronta darò un’occhiata a Castore. È una stella doppia e se il tempo non è cambiato, le due stelle gemelle saranno più vicine. Ma il tempo non è cambiato, ne sono sicuro. Ci sono tante prove là — disse, indicando il cielo.

— Così non è passato del tempo — il dottor Costigan disse fra sé guardando il fuoco.

— Bene. — Beatrice Treat si fece sentire in un modo che nessuno potesse ignorarla. Devan osservò con piacere che stava con Tooksberry. — Se pure si tratta dello “stesso” tempo e non di un altro… È una domanda sciocca, vero?

— Per niente, mia cara — la rassicurò Tooksberry, sorridendole e ricevendone in cambio un’identica manifestazione di simpatia. — È una domanda sensata. Se non si tratta di “allora”, come può essere “ora” e non Chicago?

— È una domanda sensata — confermò Orcutt.

— Una volta — affermò Basher — lessi un articolo in cui si parlava di mondi identici esistenti nello spazio contemporaneamente. L’idea era che potesse esistere un numero infinito di mondi e che passando dall’uno all’altro ci si troverebbe in un luogo uguale ma diversamente ambientato.

— Fantastico — disse Tooksberry.

— Invece di star lì a preoccuparvi di dove siamo — interloquì la signora Petrie — accontentiamoci di sapere che siamo qui e cerchiamo di trovare il mezzo per tornare a casa.

— Costruiremo un altro Ago — disse Devan — ma ci vorrà del tempo. Dobbiamo trovare del ferro, costruire un altoforno e preparare tutto quanto è necessario per questa impresa.

— Sarà un lavoro tremendo — rispose il dottor Costigan.

— E dobbiamo prepararci a un’altra eventualità. Se non dovessimo riuscire a costruire una nuova macchina? Immaginate che non potessimo ricostruire, al momento, processi chimici industriali e che non ci fosse nessuno fra noi in grado di risolverli. Che cosa accadrebbe allora?

— Lavoreremo finché ci riusciremo — disse Basher. — Ci siamo trovati in situazioni disperate anche durante la guerra e ce la siamo sempre cavata.

— E sta bene: immaginiamo allora di riuscire a costruire un altro Ago. Come possiamo sapere con certezza che ci riporterà indietro? Può darsi, come ha detto Basher, che ci trasporti in un altro mondo, diverso dal nostro e diverso da questo, dove possono vivere individui diversi da noi.

— Ci ho pensato — disse Costigan — e credo di avere la risposta giusta. Se noi costruiamo un altro Ago, sarà tale e quale quello che abbiamo costruito. Noi siamo stati spinti qui da una forza creata dalla corrente diretta. Io credo che se invertiamo la polarità creeremo un campo di azione nel senso contrario, per cui dovremmo poter tornare là dove siamo venuti.

La signora Petrie si congedò per andare a dormire.

— Una sigaretta — disse il tenente Johnson dopo che la donna se ne fu andata. — Una sigaretta mi ci vuole. Non potreste inventare qualcosa che annulli questa necessità? — chiese.

— Una brutta abitudine — rispose Devan riferendosi al fumo — pure adoro questa abitudine.

Betty si fece sentire. — Anch’io — aggiunse — l’adoro.

— Può darsi che si riesca a trovare delle foglie di tabacco da qualche parte — disse il dottor Costigan.

— Personalmente, io vorrò una pipa — intervenne Orcutt. — E voi le vostre sigarette.

— Non sapete cosa state dicendo — si inserì Sam Otto — le sigarette sono roba per signorine. Sigari ci vogliono.

— Vorrei sapere che gusto ci provate — gli disse Devan — non ne accendete mai uno.

Il dottor Costigan ristabilì il silenzio. — Signori — gridò. — C’è qualcosa di più importante di cui discutere del tabacco. L’acquavite. Spero di trovare una vite selvaggia da qualche parte. Che cosa sarebbe mai la vita senza questa soddisfazione?

Era solo un piccolo rifugio di tronchi e d’erba. Anche il suolo era coperto d’erba, e una certa quantità di questa serviva pure per coprirli, dando loro, unitamente al piccolo fuoco acceso, un po’ di benessere.

— Devan, torneremo indietro un giorno?

Betty stava distesa con lo sguardo rivolto al fuoco. Spirava una brezza primaverile, piena di promesse. Intorno non si udiva altro rumore che lo scoppiettio dei ceppi accesi.

— Non so, Betty, non abbiamo ancora cominciato. Ci sono molti problemi da risolvere, oltre a quelli per l’esistenza che ci si presentano giorno dopo giorno, tanto più ardui per noi, gente di città, della soluzione di quelli posti dalla costruzione dell’Ago.

— Per esempio?

— Abbiamo bisogno di carta su cui annotare i nostri problemi, il dottor Costigan ne ha bisogno per i diagrammi. Inoltre, cosa succederebbe se lui morisse? Non potremmo più tornare.

— Non ci avevo pensato.

— E l’elettricità? Come potremo ottenerla?

— Ci riusciremo.

— E poi la cosa finale.

— La cosa finale?

— È giustissimo quello che Costigan dice di invertire la polarità e, in linea di massima, dovremmo tornare da dove siamo venuti; ma supponiamo di andare a finire invece in qualche altra parte?

Betty sospirò. — Forse Sudduth ha ragione dopo tutto. L’unica cosa che dovremmo fare ora è di abbandonarci nelle mani di Dio, che si prenda cura di noi. Forse tutto quello che stiamo facendo non creerà altro che preoccupazioni e dolori.

Devan scosse il capo. — Non credo che Sudduth abbia ragione. C’è anche l’ammonimento che Dio aiuta coloro che si aiutano. E se noi non ci dessimo da fare, e non ci creassimo occupazioni, la vita qui sarebbe molto più penosa. Cosa sarebbe accaduto se Orcutt non avesse preso in mano le redini della situazione, dandoci così uno scopo?

— Sarebbe stato spaventoso.

13

Il caldo sole di giugno inondava di luce le rocce e un venticello tiepido passava tra le foglie nuove e i fiori che oscillavano dolcemente; e dappertutto sulla spiaggia, nei boschi, sulla distesa di erba, fino a poca distanza dalla riva del lago, si lavorava intensamente. C’era ancora molto da fare, lavoro per tutta l’estate.

Anche gli uccelli sui rami erano in movimento, come lo erano i loro lontani parenti, le galline e i galli, nei prati. I castori uscivano dai loro rifugi e scrutavano l’acqua. I tacchini intorno si dondolavano, e anche per le volpi e i lupi la fame del lungo inverno era finita.

Dalle costruzioni di legno e mattoni si alzavano verso il cielo colonne di fumo che uscivano dai camini, segno che era appena stato preparato il pranzo. Ora gli uomini erano tornati fuori al lavoro, nei campi, nei boschi, a costruire, mentre le donne, rigovernata la cucina, tornavano alle loro occupazioni particolari, agli arcolai, ai telai, agli asili, alle scuole.

C’era solo una grossa colonna di fumo che non proveniva dai camini, ma si alzava da una costruzione a nord, nella quale Devan Traylor, sudato e col volto annerito dal fumo, azionava con energia disperata un mantice.

Vicino a lui si dava da fare un uomo biondo e robusto, i cui muscoli si alzavano e si abbassavano con ritmica regolarità, senza che apparentemente sembrasse fare alcuna fatica. — Non dobbiamo poi ammazzarci — stava dicendo quest’ultimo. — Riusciremo ad avere abbastanza aria, attraverso questi condotti di argilla, vedrete.

— Benone, Gus — disse Devan — non vogliamo che il ferro diventi così caldo da scendere da solo. Dovresti sapere quello che stai facendo.

— Io non lavoravo molto vicino ai forni a Gary — rispose — ma ne sapevo più di quanto si immaginassero. Sino a che il ferro non diventa troppo caldo, noi siamo a posto. Lasciate che regga io i due mantici.

Devan si fermò di buon grado a riprendere fiato, osservando con occhio attento il forno. — Ci vorrà altro carbone, Gus, che ne pensi?

— Non credo — rispose il grosso uomo — magari solo un pochino, una sola palatina.

Devan prese con la pala un po’ di carbone e lo gettò nella pila incandescente. Quindi si offrì di sostituire per un momento Gus ai mantici, ma lui scosse la testa e sorrise.

Il ferro che stavano lavorando era il migliore che Devan e Gus avessero ottenuto sinora. All’inizio Devan aveva richiesto dei volontari che cercassero una cava di minerale grezzo; molti interruppero ciò che stavano facendo e si divisero a gruppi in tutte le direzioni per cercare. I primi rapporti riguardavano solo gli animali che erano stati avvistati, alcuni orsi fuggiti nel sottobosco al loro apparire, qualche volpe e qualche lupo (un uomo disse di aver visto un bufalo e qualche cerbiatto).

Un altro uomo avvistò la colonia degli accoliti di Sudduth sistemata a circa venti miglia a sud del lago, in cave calcaree. Disse, pur non essendosi avvicinato di molto, che i “Sudduthiti” avevano preso assai seriamente la faccenda del nudismo, nel quale Sudduth aveva visto, dopo il passaggio dall’Ago e la perdita generale degli abiti, un segno del volere di Dio. Anzi questo improvvisato reporter fu poi preso in giro dagli amici, insospettiti dalle dichiarazioni su cose viste — stando a quanto lui stesso disse — a distanza. Lo scherzò finì in rissa.

Infine alcuni uomini trovarono il rosso minerale dove meno si aspettavano di trovarlo, vicinissimo al campo e quasi in superficie. Cominciarono a lavorarlo nel vecchio modo, caricandolo dapprima su traini di legno, che trascinavano poi lungo il terreno, fin tanto che non si poté fabbricare un vero carro con le ruote.

Devan fece il primo tentativo di estrarre il ferro, da solo, in una fornace allestita all’aperto, mentre soffiava un vento gelido e Betty gli stava accanto per incoraggiarlo. Dopo diversi giorni fu possibile spegnere il fuoco e Devan con orgoglio poté presentare la massa di ferro estratto. Era soffice e malleabile e senz’altro sproporzionato all’enorme fatica fatta da Devan, ma era all’inizio.

Un mattino, un uomo che sino a quel momento si era occupato della caccia e della pesca, si fermò a osservare i lavori. Era Gus Nelson. — Perché non cercate di costruire un altoforno? — aveva chiesto a Devan.

— È quello che penso di fare — aveva risposto Devan — ho voluto però fare alcune prove per vedere cosa si potesse concludere con un’attrezzatura così elementare.

Poi, osservando la possente muscolatura dell’uomo, le sue larghe spalle e l’onesto azzurro dei suoi occhi, chiese al giovane: — Ehi ragazzo, perché invece di star lì a dar consigli non mi dai una mano?

— Preferisco pescare — rispose con un sorriso luminoso.

— Piacerebbe anche a me. Ma abbiamo bisogno di ferro. Com’è la pesca?

— Abbastanza buona.

— Potrebbe anche andar meglio.

— E in che modo?

— Con gli uncini. Di ferro. — Devan vide che il ragazzo appariva interessato e continuò: — Ci occorrono arpioni. Punte d’acciaio per le frecce. Coltelli per scorticare. Perché non ci stai anche tu? Traylor Nelson, il più vicino concorrente all’acciaio U.S.A. da questa parte dell’Ago.

L’idea piacque al ragazzo e si unì a Devan. Fabbricarono mantici con la pelle di animali, fecero entrare l’aria nel deposito del minerale, e del carbone attraverso canali appositi. Gus Nelson consigliò anche il calcare, che riduceva più in fretta il minerale. Iniziata la lavorazione del ferro, Devan avrebbe voluto affidarla interamente a Gus dato che c’erano altre cose da fare, di cui avevano un bisogno estremo, il vetro, l’elettricità, a esempio. Ma il ferro era fondamentale, essenziale.

Essenziale. Devan pensò divertito al valore che le donne davano a questa parola riferendosi ai cosmetici, cosa di cui non avrebbero dovuto preoccuparsi minimamente in questa nuova vita selvaggia. Ma invece per loro il rosso per le guance e quello per le labbra erano veramente indispensabili, avevano trovato depositi di polvere rossastra quasi in superficie, polvere che, lavorata, dava un buon rosso.

Ciò avvenne prima che gli uomini scoprissero i depositi di minerale che risultarono in definitiva la stessa cosa, per cui il merito della scoperta poteva andare alle donne. Niente si prestava maggiormente per il trucco di questa polvere che, nella gradazione più scura, dava, mescolata al grasso degli animali, un rosso per le labbra di tono cupo che alcune, tuttavia, non riuscivano a usare per il sapore cattivo.

Essenziale. Per parte loro, gli uomini impiegarono un mucchio di tempo a cercare la pianta di tabacco. E quando finalmente riuscirono a trovarla, riempirono le pipe di argilla, già pronte.

Così. Devan concluse, la vita dall’altra parte dell’Ago non si annunciava poi molto diversa dalla solita.

Devan e Gus osservavano con attenzione il fumo che si alzava nel condotto circolare di argilla.

— Ricordo una volta — disse Gus, sempre con gli occhi fissi alla rossa massa di minerale. — Ci fu una perdita di ossido di carbonio e fecero allontanare tutti dal forno fino a che non fu riparato.

— Può darsi che anche in questo momento, si stia sprigionando ossido di carbonio, proprio qui, ma credo che non potrebbe far male a nessuno. Siamo così all’aperto — rispose Devan.

— Come vanno i miei fabbri? — Betty si era avvicinata ai due uomini. — Non riesco a capire come possiate starvene lì così vicino al forno.

— Ci siamo abituati — rispose Devan. — Come mai sei venuta qui?

— Volevo sapere come devono essere grandi le scatole di argilla.

— Sarebbe meglio che tu aspettassi sino a che abbiamo tirato fuori il ferro e gli abbiamo dato una forma.

Betty infilò un braccio sotto quello di lui: — Viene meglio dell’ultimo?

— Questo sarà un vero record, signora Traylor — rispose Gus. — Ora faremo un nuovo esperimento, nel quale entreranno anche le scatole che state preparando. Non appena la fornace si sarà un po’ raffreddata, ma il ferro sarà ancora caldo, lo tireremo fuori e lo batteremo per toglierne quanto più possibile le scorie. Poi gli daremo la forma che vorremo. Introdurremo i vari pezzi nelle scatole di argilla, le scalderemo e lasceremo che il ferro assorba il carbonio formando così una nuova lega molto più resistente del normale. Semplice, no?

— Sembra semplice — Betty disse — ma è proprio il sistema esatto di lavorarlo?

— È quanto Gus assicura. — Devan rispose e osservò intanto un uomo che si stava avvicinando, facendo loro cenni con il capo. Riconobbe il dottor Van Ness.

— Nessun paziente, oggi, dottore? — gli chiese Betty.

Il dottore si esaminò le unghie, alzò le sopracciglia. — Non voglio accusare nessuno — disse infine — ma da quando abbiamo cominciato a somministrare vino per le estrazioni, abbiamo tanto di quel lavoro da non poter accontentare tutti. È un povero sostituto degli anestetici, è vero, ma da quando Costigan ha messo in vigore questa disposizione, la gente preferisce farsi togliere i denti, anziché curarli.

— Io dovrei farmi fare qualche otturazione — disse Devan. — Quando posso passare da voi?

Il dentista si sedette su un ceppo di legna. — Dovete sentire la signora Anderson, che vi fisserà un appuntamento. Ma, a dire il vero, non sono venuto qui a cercare lavoro, ma a lamentarmi.

— E di che?

— Dovrò smettere le otturazioni, sino a che non sarò meglio attrezzato.

— Così, la sostanza che vi ho preparato, non va bene?

— È piuttosto imbarazzante. — Il vecchio appariva esitante. — Neanche ai pazienti piace. Il fatto è che il metallo non va bene. Dopo aver ripulito la cavità e introdotta la sostanza metallica, questa si sbriciola o si schiaccia. È successo per tutto il metallo che avete preparato.

— Stiamo ora preparando una nuova sostanza — disse Devan. — Anzitutto dovremo ridurla nella forma esatta e lasciare quindi che si impregni di carbonio. Vedrete la differenza.

— Così andrà meglio. — Il dentista si rischiarò.

— Lavorate da solo, dottore?

— Ho preso un paio di aiutanti che sto addestrando. Non vivrò in eterno, lo sapete. Sono ridotto a dar loro lezioni soprattutto di notte. — Dalla tasca della sua giubba di pelle tolse un pezzo di pergamena. — Ho disegnato nuovi strumenti. — Li indicò. — Un bisturi, se lo potete fare, una piccola bilancia, altre pinze, degli scalpellini, infine una serie di pinze come vedrete di varie forme e misure, non possedendo un trapano.

— Come farete — gli chiese Devan — quando avrete finito le otturazioni? Potrete fare denti falsi?

— Ci sarebbe lavoro per due o tre dentisti qui — rispose il medico. — Solo ho bisogno di più oro. Enormi quantità di oro.

— Perché non riempite i denti con altre sostanze provvisorie?

— “Altre” sostanze provvisorie? — Il dentista appariva sinceramente stupito. — Questo dimostra quanto poco la gente se ne intenda del nostro lavoro. L’oro è la sostanza migliore che vi sia, è eterna. I dentisti userebbero solo oro per avere risultati soddisfacenti, ma oltre al tempo impiegato per riempire le cavità, bisogna tener conto dei prezzi, che sarebbero troppo alti. L’oro non si appanna e non si corrode. È una sostanza senza pari. Quando io riempio un dente, anzitutto pulisco la cavità, la lascio asciugare e quindi ci introduco un sottile rotolino di oro, poi prendo i miei attrezzi, e sono pronto per il resto del lavoro.

— Magnifico, dottore — disse Devan.

— Troveremo del gesso — continuò il dottore — e ne faremo il cosiddetto “impasto di Parigi”, poi fonderemo una dentiera d’oro con punte arrotondate al posto dei denti, e mi occorreranno pochi stampi per l’impressione che io userò con la malta per avere la forma dell’arco alveolare… — La sua faccia sprizzava entusiasmo. — Mi sembra di vederle. Dentiere d’oro!

— Ma per quanto riguarda i denti?

— Li ricaverò dai denti degli animali. Ci sono capre in giro, no? — Rise e poi: — Vi rendete conto che una dentiera d’oro costerebbe normalmente cinquecento dollari? — Si fregò le mani allegramente. — Sarà un esperimento. Solo un esperimento. Spero solo che si possa trovare molto oro.

“Che magnifico aspetto ha Orcutt” Devan pensò. “Non è mai stato così bene da quando lo conosco. È abbronzato e snellito. E la barba gli dà un aspetto profetico”.

— Ottimo pranzo — stava dicendo Orcutt spingendo indietro la sedia, assemblata da bande di cuoio che scricchiolavano un po’. Stava fumando con visibile soddisfazione.

— Buono davvero — fece eco Renthaler. Renthaler, o più precisamente Walter Renthaler, era un ragazzo sui venticinque anni al massimo, grassoccio, allegro, dall’espressione vivace e dai capelli rossicci. Orcutt l’aveva condotto con sé a pranzo. Diceva di avere qualcosa da discutere con Devan.

Certamente qualcosa che riguardava la chimica, Devan si immaginò. Renthaler aveva risolto il problema del sapone, rendendosi benemerito presso tutte le donne. Era un chimico industriale e si era trovato per caso nel quartiere dell’Ago, dove era andato a trovare un amico.

Se ne stavano seduti fuori, respirando un’aria profumata, mentre la luce delle candele, proveniente dall’interno, creava strane ombre sul pavimento. Betty lavava i piatti dietro la casa.

— Siamo stati fortunati ad avere Walter con noi — disse Orcutt — risolverà la faccenda.

— Vi prego, Orcutt — si schermì Renthaler — io ero specializzato nel campo dei dolci. E so solo un po’ di chimica elementare.

— Ben più di un po’ — ribatté Orcutt. Si volse a Devan: — Desidero che sentiate quello che Walter deve dire. Da principio, potreste non arrivare subito al punto, così ve ne parlerò io. Abbiamo considerato il problema del vetro, vero?

— Già. Il vetro e le batterie, le radio, le ghiacciaie, i motori a benzina, le macchine elettriche…

— Okay. — Orcutt batté leggermente la sua pipa di argilla sui sandali di cuoio. — E perché tornare ai vecchi sistemi? Certo, noi faremo del vetro, ma non ci specializzeremo in questo campo. È del tutto inutile ritornare all’Età del Bronzo, quando abbiamo qualcosa di meglio del bronzo.

— Dobbiamo parlare dell’Ago — lo richiamò Devan.

— Certo. So che l’Ago viene in prima linea. Ma ci vorranno anni.

— Non torneremo mai se Costigan non la pianta di bere e non si mette a buttar giù qualche diagramma.

— Costigan vi sta aspettando — disse Orcutt. — E adesso il nostro Walter sta fabbricando materie plastiche. Pensateci! Siamo dei pionieri e siamo già arrivati alle materie plastiche! Parlategli, Walter. Devan vi darà tutto il suo appoggio per l’acciaio che vi occorre.

— Gus Nelson si metterà a vostra disposizione — disse Devan — io penso di affidargli l’officina, non appena le cose saranno organizzate definitivamente. Ma cosa desiderate, Walter?

— Be’, probabilmente avrete un’idea delle quantità di materiale che gli uomini hanno sempre gettato via per anni e che è tutto materiale buono.

— Volete dire roba come residui di carbone, sottoprodotti del grano, e così via?

— Proprio. Bene, noi possiamo fabbricare piatti, tazze, bicchieri e un’infinita quantità di altre cose, signor Traylor. — Renthaler era un po’ timido. La sua voce era bassa, i suoi modi gentili.

— E come pensate di fabbricare materie plastiche, qui, nei boschi? — Il tono di Devan era volutamente provocatorio, e Renthaler gli diede un’occhiata acuta.

— Vado a prendere una candela — disse Orcutt, sparendo all’interno.

— La caseina — disse Renthaler — si può ottenere dal latte acido e dalla formaldeide. E l’acetato cellulosico dalle fibre residue dei semi di cotone con acido acetico, trattati alla presenza di un catalizzatore-acido solforico. La miglior prova potrebbe essere la resina di fenolo-formaldeide, che è il prodotto più facile da ottenere.

— E — domandò Devan — dove troveremmo il fenolo?

— Dalla distillazione frazionata del carbone.

— Ma vi occorre del vetro per questo processo.

— Non è il metodo migliore. Ce ne sono molti.

— E per quanto riguarda la formaldeide?

— La si ottiene dall’ossidazione dell’alcool metilico.

— Benissimo. E l’alcool metilico?

— Dal legno. Bisogna scaldare il legno, noi abbiamo il faggio e la betulla che sono i legni più indicati, in ambiente privo d’aria.

— Ancora distillazione, eh?

Renthaler scrollò le spalle. — Oh, non sarà facile, ma c’è più senso a lavorare in questo campo che in altri. I vantaggi delle materie plastiche sul vetro dovrebbero essere abbastanza palesi.

— Ne sono sicuro.

— Vostra moglie avrebbe diritto di poter avere dei piatti di plastica!

Devan rise. — Che anacronismo, pensate! Allo stato primitivo in cui siamo, pensare alle materie plastiche!

— Se possiamo avere semi di soia, grano e cotone, siamo a posto, signor Traylor.

— In più modi, vorrei dire, Walter.

— Sto progettando il polistirene, il cloruro, il rayon, la gomma sintetica. Sarà meraviglioso poterli lavorare!

Negli occhi di Renthaler, Devan scoprì la stessa espressione che aveva vista negli occhi del dottor Van Ness. Espressione fatta di ottimismo, di curiosità, di interesse e di pazienza. Sì, fintanto che c’erano uomini simili, si poteva sperare nell’Ago. Devan ne era sicuro.

Orcutt uscì con una candela e i due uomini accesero le pipe.

— Vi aiuterò per quanto potrò — disse Devan. — Ditemi che cosa vi occorre. Conto di mettermi a lavorare per il vetro con Glenn Basher e sarò felice se mi vorrete aiutare: potrebbe essere utile anche per i vostri progetti.

Orcutt guardò lontano, pensosamente.

— Voglio che tutti scrivano tutto ciò che hanno sperimentato. Desidero che rimanga la nostra testimonianza, in caso non dovessimo più tornare.

— Scherzate — disse Renthaier. — Ritorneremo. Abbiamo l’uomo che ha inventato la macchina, no? Ci ricondurrà indietro.

— Vedremo — disse Orcutt. — Speriamo di poterci riuscire.

14

Eric Sudduth e i suoi seguaci, che pure si tenevano molto rintanati nelle loro cave, continuavano a costituire, nondimeno, un argomento spesso ricorrente nelle conversazioni. Dopo tutto, l’area serviva per ricavarne pietra calcarea per i vari lavori in corso ed era inoltre l’abitazione degli unici vicini dei cittadini della Nuova Chicago.

Quando gli uomini della Nuova Chicago andavano nei dintorni a cacciare i daini, si limitavano a costeggiare la zona sudduthita, non tanto però da non riuscire ad accertarsi se erano state fatte innovazioni o cambiamenti. I vari rapporti erano fatti a Orcutt; generalmente confermavano che i seguaci di Sudduth non avevano cambiato idea riguardo all’abbigliamento, che avevano fuochi e che avevano costruito armi primitive contro le bestie feroci.

Ma le descrizioni fatte dai cacciatori non erano mai così chiare e dettagliate come quelle che si riusciva occasionalmente ad avere da coloro che disertavano il campo di Sudduth — per lo più coppie nelle quali la donna era incinta — e che non potevano perciò sopportare di veder nascere i propri figli in un clima così primitivo. Sudduth aveva ordinato che i disertori venissero uccisi se trovati nei dintorni ed essi venivano quindi a chiedere rifugio agli abitanti della Nuova Chicago.

Le coppie che avevano disertato erano, sino a metà giugno, tre e i sei profughi erano stati accolti cordialmente nella comunità ed erano stati utilizzati in base alle loro capacità e desideri. In cambio tre piccoli “cottage” li ospitarono e le nuove famiglie si conformarono ben presto alle abitudini della nuova comunità.

Da quanto essi narrarono, gli uomini di Orcutt ebbero una idea della reale situazione esistente al campo di Sudduth. Sudduth e Blaine, narrarono i profughi, erano i capi del gruppo, dirigevano tutte le attività e sovraintendevano a tutti i lavori. A Devan spiacque di sentire che i due tenevano i loro seguaci in stato di schiavitù, tenendo per se stesso il cibo migliore e non alzando neanche un dito per lavorare.

Per di più, avevano emesso un nuovo ordine in base al quale Sudduth, come capo spirituale del gruppo, poteva avere ogni donna che desiderasse e i suoi argomenti per ottenere questo privilegio furono così convincenti che ben presto i mariti e le mogli si accordarono anche su questo. Senonché la prima donna che lui desiderò fu la moglie di Blaine, che si rifiutò di accordargliela e, dopo una lotta tra i due in cui Blaine ebbe la meglio, Sudduth considerò il suo piano fallito.

Devan notò la preoccupazione di Orcutt quando seppe che i seguaci di Sudduth si erano ridotti a ventiquattro, oltre lui e Blaine, e che Sudduth avrebbe fatto di tutto per riavere i disertori.

— Farà certamente qualcosa — concluse Orcutt. — Non vorrà starsene immobile e lasciare che i suoi taglino la corda e vengano qui.

Per cui, quando a metà dell’estate, Eric Sudduth e il suo assistente si presentarono al cancello della Nuova Chicago, questa visita non stupì nessuno.

— Nessuno in casa? — udirono la voce tonante di Sudduth chiedere con impazienza. Non c’erano dubbi: Sudduth aveva una personalità notevole e con lui non c’erano mezzi termini. O piaceva subito istintivamente o era odioso, sentimento che ispirava a Devan e ai suoi amici.

Dopo che diversa gente era corsa ad avvisarlo che Sudduth era al cancello, Orcutt si mosse per andargli incontro, pur avendolo udito arrivare. Strada facendo si imbatté in Devan e in Sam Otto che lo seguirono.

Quando i battenti furono spalancati, i tre furono stupiti di trovarsi di fronte Sudduth e Blaine completamente nudi.

Infatti avevano per un momento scordato il precetto abbracciato dai Sudduthiti. I loro corpi erano bianchi e flaccidi in contrasto con la pelle abbronzata di quelli della Nuova Chicago.

La ragione, Devan pensò, era probabilmente che quei due se ne erano stati in ozio, e quasi sempre rinchiusi. Pensò a come dovevano essere ridotti i loro seguaci, a lavorare per i loro capi e a procurare loro tutto quel benessere di cui la grossa pancia di Sudduth era una prova. Blaine appariva magro per cui, o aveva mangiato meno, oppure non era ancora giunto all’età in cui il ventre tradisce.

Alla vista dei cittadini della Nuova Chicago in giacche di cuoio, pantaloni al ginocchio e visi sbarbati, i due uomini apparvero visibilmente imbarazzati di essere nudi e con barbe lunghe sino al petto. Apparivano un po’ ridicoli, ora che la loro sicurezza si era un po’ attenuata.

Eric Sudduth si scosse e gettando indietro le spalle, cercò di riprendere un po’ di dignità. Si schiarì la gola. — Avete sei dei miei qui — disse. — Blaine e io siamo venuti a riprenderli.

Orcutt sorrise con un’aria così sicura del fatto suo che Devan provò una crescente sensazione di stima per lui, sempre così deciso e all’altezza della situazione.

— Entrate — disse poi Orcutt, tendendo la mano a Sudduth. — Lieto che siate venuti a farci una visita.

— Già — disse Sam Otto. — Ben felici di avervi qui. Come siete stato in tutto questo tempo, Blaine? — Sam gli strinse la mano con calore, ma la mano di Blaine rimase inerte e il viso senza espressione.

Sudduth eliminò ogni tentativo di familiarità. — Ci renderete subito i nostri uomini. Dobbiamo tornare al campo prima del calar della notte. Non si sa mai cosa si può incontrare nei boschi.

— Noi non abbiamo trovato niente di feroce — disse Orcutt — tranne altri esseri umani.

— Cosa volete insinuare, signore?

— Su, su. Orvid — tagliò corto Sudduth. — Il signor Orcutt non voleva insinuare proprio niente, ne sono sicuro.

— E Sorella Abigail, dov’è? — chiese Devan. — Non è con voi?

— L’onnipotente Iddio l’ha voluta con sé — spiegò Sudduth gravemente.

— Polmonite — aggiunse Blaine tristemente.

— Una donna meravigliosa, una guida valorosa, uno strumento ricco della Grazia di Dio, strumento che ci avrebbe dovuto aiutare nell’Età d’Oro, ma di cui Egli aveva più bisogno di noi.

— Amen — disse Blaine.

— E ora i disertori, prego. — Sudduth appariva deciso, gli occhi imperiosi, le mani dietro la schiena. Una folla si stava raccogliendo al cancello.

Orcutt scosse la testa. — Sono venuti qui di loro spontanea volontà, Eric. Sono dolente di dirvi che se si allontaneranno lo faranno di loro volontà.

— Volete dire che non li porterete qui?

— Tranquillo, Orvid, ora metterò tutto a posto.

— Ho saputo che c’è la pena di morte per loro. Perché mai dovrei mandarli a morire?

— Ma non è esatto — disse Sudduth. — L’ho fatto solo per evitare che fuggissero. Abbiamo tanto bisogno di gente.

— Un modo veramente simpatico di tenere il gruppo unito.

— Potete entrare a prenderveli voi stesso — disse Orcutt. — Cercate, cioè, se riuscite a convincerli a seguirvi.

I due uomini si guardarono perplessi. Poi acconsentirono a entrare.

Una volta dentro, tutta la loro sicurezza residua sparì e si aggirarono nelle vie della Nuova Chicago con aria imbarazzatissima, guardandosi intorno per vedere che nessuno li stesse osservando. Ma sul loro cammino incontrarono sorrisi ironici, risolini divertiti e risate decisamente aperte, che non fecero che accrescere la loro confusione.

Un codazzo di bambini e di cani abbaianti li seguiva schiamazzando, per cui Sudduth, a un certo punto, non poté fare a meno di chiedere a Orcutt se non avesse degli abiti da prestare loro, per evitare di essere al centro di quella insistente curiosità.

— Ma non sarebbe contro il volere di Dio, indossare qualcosa, Sudduth? Finora avete dato prova di seguire così fedelmente i vostri principi che questa improvvisa trasgressione sembra quanto mai discutibile.

— Sono sicuro — rispose Sudduth — che in questo caso ciò non avrebbe importanza.

— Vorrei proprio avere un abito da darvi, ma purtroppo è da poco che siamo riusciti ad avere una giacca e un paio di pantaloni per ciascuno. Se però volete aspettare la settimana prossima allora avremo qualcosa anche per voi.

Mentre i ragazzini e i cani li seguivano indisturbati, Orcutt tolse di tasca la pipa e la borsa del tabacco e si mise a riempirla. Sudduth seguì le sue azioni con occhi carichi di invidia. Devan quasi gli rise in faccia, ricordando come il vecchio amasse i sigari; e si divertì molto pure al pensiero che c’erano parecchi vestiti in più, che Orcutt avrebbe potuto comodamente prestar loro.

— Dove trovate il tabacco?

— Be’, ci sono delle piante non lontano da qui.

— Dove?

— Eh, no — disse Orcutt — non possiamo dirvelo. Su, venite, vi farò visitare la città.

— Sentite — disse Sudduth — non potreste dirmi come siete riusciti a fabbricarvi questi sigari?

— Certo. Perché lo chiedete?

— Io… fumavo, prima.

— Scusatemi se non ci sono arrivato prima. — Poi, rivolto a Sam: — Non avete un sigaro che vi cresce per il nostro ospite?

Sam tirò fuori due sigari che porse ai due uomini ma, mentre Sudduth prese il suo con visibile soddisfazione, Blaine scosse la testa in segno di diniego. Appena Sam gli ebbe acceso il sigaro, Sudduth fu colto da un accesso di tosse, spiegando di non essere più abituato a fumare. Poi improvvisamente, colto da un pensiero sorprendente: — Ma voi avete i “cerini”!

— Ma certo — rispose Orcutt. — Dove credete che li abbiamo presi? Non siamo mica tornati al di là dell’Ago a prenderli. Li abbiamo fatti noi.

— E come?

— Con fosforo, cera, colla e stecchini.

— E credete che non sappia queste cose? — tuonò Sudduth. — Ho fatto l’Alto Istituto di Chimica e conosco bene il fosforo. So anche che non potete trovarlo dappertutto. Dov’è allora?

— È tutto intorno a voi, il fosforo — rispose Devan.

— Lo volete far passare per scemo?

— No, Blaine.

— Su, su — Sudduth tagliò corto impaziente. — Voglio questa spiegazione.

— Bene, avete chiesto una spiegazione e l’avrete — Devan gli rispose. — Prendete le ossa di animali e le bruciate. Le ceneri che rimangono consistono di fosfato di calcio puro. Lo scaldate con sabbia e coke e il distillato è il fosforo.

— Semplice, no? — disse Orcutt.

— Dovete farmelo vedere.

— Ci avevamo pensato. Venite.

Proseguirono il loro cammino, oltrepassando il negozio di terraglie, il laboratorio dove si stava studiando il vetro e dove Basher, affaccendatissimo, li salutò con la mano dall’interno.

Quindi passarono davanti a una piccola costruzione dalla quale usciva un odore caratteristico, familiare a Devan ma, pensò lui, non certamente altrettanto a Sudduth.

— È la nostra cantina per la distribuzione di vino e alcoolici. A capo ne è il dottor Costigan.

— Molto interessante — rispose Blaine semplicemente, facendo eco a quanto Sudduth aveva detto sino a quel momento.

— Per nulla interessante — si scagliò invece questa volta Sudduth. — L’alcool è il nemico dell’uomo, il distruttore del suo corpo, lo sfacelo della sua mente.

— Costigan non sarebbe certo d’accordo con voi — disse Sam Otto — e io gli do ragione.

— Del resto — disse Orcutt — abbiamo qui anche due dottori.

— Due dottori? — Sudduth lo guardò con espressione incredula, quindi disse acidamente: — Non ci state conducendo dai nostri sei?

Il giro che Orcutt fece loro fare incluse l’area di fabbricazione della carta, dei fiammiferi, i telai che lavoravano il lino e un po’ di cotone che si era trovato, e il laboratorio di falegnameria.

— Ehi! — esclamò Sudduth, vedendo un uomo che vi lavorava. — Ha un “martello”!

— Già — rispose Devan — gliel’ho fatto io.

— Voi?

— Sì, abbiamo impiantato una piccola acciaieria e ci stiamo ingrandendo un po’ per volta.

Sudduth scosse la testa. — Se il nostro buon Signore ci avesse concesso queste cose, avrebbe lasciato che passassero di qui con noi.

— Ma ci ha lasciato portare le nostre teste — disse Orcutt — con le quali ci siamo dati da fare costruendo tutte queste cose. Se continueremo ad averle, tra un po’ impianteremo una piccola tessitura che darà vestiti a tutti noi. C’è una donna che prima filava e ci ha assicurato che in un giorno può fabbricare la stoffa giusta per un vestito. Tra le donne abbiamo poi numerose sarte, che taglieranno gli abiti. Figuratevi che stiamo costruendo anche un laboratorio chimico. C’è un giovane chimico tra noi che si dedicherà alle materie plastiche. Come vedete, stiamo modernizzandoci né più né meno di quando eravamo “là”.

— Ah! — urlò Sudduth — ma la vendetta di Dio scenderà su tutti noi a causa vostra e ci saranno sciagure per tutti!

— Amen — fece Blaine.

— Quante cose meravigliose faremo! — seguitò Devan. — E non ripeteremo più gli errori dei nostri padri. Vi posso fare qualche esempio. Gli indiani per intenerire la carne la mettevano tra le foglie dell’albero detto “paw-paw”. Quando l’uomo bianco scoprì questa loro usanza pensò che si trattasse solo di un rito, mentre invece c’è realmente qualcosa in queste foglie che ammorbidisce la carne. Perché non farlo ora? Abbiamo il vantaggio di tutto un passato, vedete.

“Secondo, pensate un po’ al monosodio glutammato, il sale che rende migliori i nostri cibi. Noi eravamo così sciocchi da gettarlo via quando estraevamo lo zucchero dalle barbabietole, pensando che fosse solo un inutile sottoprodotto. Questo, fintanto che non ci rendemmo conto del nostro sbaglio. E qui lo possiamo utilizzare benissimo. E poi, abbiamo trovato, oltre a queste, alcune cose diverse da come erano sul nostro mondo: conigli con una lunga coda e scoiattoli bianchi e i fiori cosiddetti ‘bellezze di primavera’ a sei petali, ma in definitiva suppergiù è sempre la stessa cosa. Possiamo quindi rendere questo luogo come lo desideriamo”.

— Sì, Traylor. Sono d’accodo con voi. Noi possiamo fare ciò che voi volete o fare ciò che dovrebbe essere fatto. Scegliete.

— Amen — fece eco Blaine.

Terminato il loro giro d’ispezione, Orcutt li condusse alla più grande costruzione del campo, la sala di riunione. Era una struttura semplice con le pareti di mattoni e il soffitto di legno ricoperto d’erba.

— E qui cos’è? — chiese Sudduth, camminando verso la tavola che era nel centro di una parete.

— È il nostro luogo di riunione o, all’occorrenza, la nostra sala da ballo.

— “Da ballo”? — Sudduth pronunciò le due brevi parole con enorme disgusto.

— Già, alcuni dei nostri ragazzi stanno mettendo insieme un’orchestrina, per ballare. Non volete sedervi? — Indicò la panca in prima fila. — Voi conoscete il signor Tooksberry, vero? — Fece segno verso un uomo seduto a un tavolo un po’ più in là. — Sta scrivendo la nostra costituzione. Tooksberry era un avvocato e ricorda molto bene il codice. Prima di essere avvocato, univa la gente in matrimonio.

Tooksberry stava industriandosi con una cannuccia. — Darei qualunque cosa per una penna, anche a sfera. È già abbastanza duro lavorare senza i miei occhiali.

— Dov’è la vostra segretaria? — Devan chiese.

— Ricordate Beatrice Treat. Ora è sua moglie e sua segretaria.

— Si è allontanata per ovvie ragioni prima che voi entraste. — Tooksberry sorrise e fece un ampio gesto che comprendeva tutte le carte sparse sul tavolo. — È la mia grande occasione. Posso riunire tutte le leggi che mi sembrano giuste e posso escludere le ingiuste. Proprio una tremenda responsabilità. Naturalmente molte leggi non le ricorderò neanche, come quelle sul traffico. Ma comunque gli statuti che adotteremo saranno sempre suscettibili di revisioni.

— Molto edificante — commentò acidamente Sudduth. — Volete ricondurmi qui i miei sei seguaci, o no?

— Volete dire se essi accettano.

In quel momento entrò un ragazzo di sedici anni. — Signor Orcutt — disse — quella gente dice che non vuol venire a parlare né col signor Sudduth né col signor Blaine.

— Eccovi la loro risposta Eric — disse Orcutt, mentre il ragazzo correva fuori.

— Pensate che la beva così facilmente? Come se non aveste imbeccato il ragazzo su quello che doveva dire!

— Vi sbagliate. Diceva la verità, che io già conoscevo, ma di cui volevo aveste una prova. Ci è voluto tanto tempo per trovarli tutti e sei, dato che stanno lavorando in luoghi diversi. Tutti tranne uno, che aveva un appuntamento dal dentista.

— Appuntamento dal dentista? — le sopracciglia di Sudduth si alzarono lentamente, il suo volto si calmò e i suoi occhi persero il fuoco di prima. — Vuol dire che avete anche un dentista?

— Una conclusione logica, la vostra — Orcutt disse ridendo. — Certo sapevate che durante il passaggio, tutte le capsule e i denti falsi andarono perduti, no?

— Certo. Abbiamo usato argilla e cera. Che trattamento pratica questo vostro dentista?

— Adopera l’oro. Guardate — disse Devan aprendo la bocca per mostrare le otturazioni fattegli.

— Magnifico lavoro! — Sudduth era impressionato. Sospirò. — È un buon dentista.

— Il migliore — disse Sam.

— Riportatevi indietro i vostri uomini nelle cave, allora — disse Devan.

— È un peccato però che quando ripasseremo nell’Ago perderemo queste meravigliose capsule.

— Di nuovo nell’Ago? — Sudduth lo guardò stupito. — E quando avverrà ciò?

— Quando il secondo Ago sarà pronto.

Per un po’ ci fu pesante silenzio nella stanza. Lontano si sentivano voci di bambini, rumore di martelli sul metallo e tanti suoni che indicavano lavoro fecondo.

Eric Sudduth aveva le labbra strette e la fronte corrugata. Quindi scuotendo il capo urlò: — Lo proibisco!

— Ma è l’unico modo di tornare indietro — osservò Devan.

— Voi non lo farete! — Sudduth era furibondo. — Non vi basta quello che è successo con la prima di queste macchine infernali? Il segno di Dio non vi ha colpito abbastanza? Questo è il vostro inferno, non capite? E anche il nostro perché non vi abbiamo impedito di mettere in esecuzione i vostri piani.

— Ma voi ci mandaste Orvid Blaine.

— Sì, ma non riuscì a convincervi. E ora non potete fare un altro Ago. Il castigo di Dio, la seconda volta, sarebbe terribile!

— E state calmo!

— Nessuno può dire al signor Sudduth di stare calmo!

— Piantala, Orvid — urlò Sudduth. — Ce ne andiamo; e voi, tenetevi pure i sei. Mi rifiuto di avere a che fare con gente cieca al segno di Dio.

L’indignazione di Sudduth fu coronata dal solito “Amen” di Blaine.

15

Ai primi di ottobre, Devan riuscì ad avere la sua parte di vetri per le finestre della casetta. Durante il giorno l’aria non dava molto fastidio, ma le notti erano già fresche. Così si diede da fare per avere il vetro, pensando che se questo Illinois del Nord assomigliava all’altro, presto si sarebbero avuti temporali e venti gelidi anche di giorno.

Gli venne annunciato, una domenica pomeriggio, che il suo vetro era pronto e con Betty si recò al negozio di Basher a prenderlo. Betty e lui furono tra gli ultimi nel campo ad avere il vetro, e questo perché Devan non voleva assolutamente approfittare della sua privilegiata situazione, in quanto amico di Orcutt, e per di più c’erano famiglie che ne avevano maggior bisogno di loro, famiglie con gente anziana, bebé e malati, sebbene di questi ultimi ce ne fossero pochissimi. Veramente pochi, pensò Devan, per quanto avessero per ogni evenienza un ospedale che era stato una delle loro prime realizzazioni.

Il primo vetro ottenuto era fragilissimo, verde, quasi opaco e Basher stava cercando di migliorarlo, quando Elmo Hodge, l’astronomo dilettante, seppe dei suoi tentativi e gli diede utilissimi consigli tra i quali come correggere il colore con l’aggiunta di sostanze chimiche che ne avrebbero creato uno complementare, eliminando ogni tinta non desiderata. Sapeva tutto ciò perché, per il suo lavoro intorno ai telescopi, era venuto a contatto con lenti e ottici. Hodge si interessò molto della cosa e si affiancò a Basher aiutandolo a costruire dapprima semplici vetri per finestre, ma progettando però la costruzione di lenti per telescopi, binocoli e microscopi.

— Se ben ricordo — disse Hodge — dovete sostituire il potassio per avere un vetro solido, e un po’ di calcio con del piombo per ottenere il vetro adatto alle lenti. — Si fregò le mani: — Dopo di ciò, potremo dedicarci a diversi tipi di vetro, tra cui il Pyrex e le lenti affumicate. Ci vorrà del tempo, ma ne varrà la pena. — Queste ultime parole Devan, ultimamente, le aveva sentite spessissimo e lui stesso le aveva dette mille volte.

Il vetro che Devan e Betty si portarono a casa era già migliore rispetto al primo: infatti aveva solo una traccia di verde ed era quasi del tutto trasparente. Le finestre erano state costruite in base a una misura standard, adottata dal campo, i vetri fabbricati secondo questa misura, uguale per tutte le finestre, potevano essere inseriti con la massima facilità.

Devan prese ogni precauzione nel sistemarli al loro posto e Betty insisté per aiutarlo e così mentre Devan sparse il mastice tutt’intorno al legno che formava l’intelaiatura della finestra, il compito di Betty fu quello di inserire i vetri nello spazio apposito e di far sì che aderissero perfettamente al mastice. Poi si preoccupò di aggiungere il mastice anche esternamente.

Quando Devan ebbe finito il lavoro alla prima finestra, Betty era solo a metà del suo. Non perché fosse più lenta, ma perché aveva altro da fare per la casa. Così Devan girò intorno al “cottage” e la trovò intenta a curare i suoi fiori.

— Siete il capo? — chiese lei.

— Già. Ci andate un po’ piano col lavoro.

— Se non mi aumentate la paga, certo.

— Avete una ricompensa più che sufficiente.

— Bene, mi dimetto da questo momento.

Betty gli sorrise. Era rimasta sempre la stessa che aveva conosciuto nello stabile della “Rasmussen”. Nonostante il molto lavoro da lei svolto nella Nuova Chicago, l’intensa espressione dei suoi occhi pervinca era quella di allora e sull’occhio cadeva sempre la stessa ciocca ribelle. Betty era abbronzata e certo, Devan decise, era la più bella donna del campo.

Ricambiò il suo sguardo. — A che cosa stavi pensando?

— A te.

— Non lo devi dire se non è vero.

— Non lo direi, se non fosse vero.

Gli sorrise di nuovo con una espressione così meravigliosa che lo costrinse a baciarla.

— Facciamo male, Devan?

— Che cosa? — Devan sapeva quello che Betty intendeva e, come lei non rispose, lui disse a bassa voce: — Non credo che facciamo male.

Tutti e due pensavano ai bambini che avevano lasciato là e di cui non parlavano mai, per non fare riferimento alcuno alle loro precedenti famiglie. Quando parlavano di bambini, lo facevano molto genericamente e vagamente. Ora avevano una ragione di parlarne apertamente, specificatamente.

Tutt’a un tratto, sentirono un insolito trambusto lungo la strada principale, chiamata Orcutt Street, strada che attraversava tutta la città fino al cancello che avevano costruito nei primi giorni, ma che non era mai chiuso.

— C’è qualcuno che urla fuori — disse Betty. — La gente sta uscendo dal cancello.

Capitava così di rado qualcosa, che tutti e due si precipitarono fuori a vedere. Quando si furono avvicinati, Devan e Betty videro un uomo nudo, nel quale riconobbero Eric Sudduth, disteso su una barella rudimentale fatta di canne e rami. Era pallidissimo in volto, il suo respiro era rapido, il suo corpo sudato e ansante, si guardava in giro con occhi sbarrati.

— Datemi una mano — disse Devan, sollevando la barella da un lato. — Portiamolo all’ospedale.

— Lasciatemi morire — urlò Sudduth. — Lasciatemi morire. Dio vuole che io muoia.

Mentre si dirigevano all’ospedale, i portatori della barella si imbatterono in Orcutt. — Cosa succede? — chiese, poi vide l’uomo disteso.

— L’hanno portato sino al cancello e l’hanno lasciato lì — gli spiegarono.

— Lasciatemi morire — ripeté Sudduth. — Dite loro di lasciarmi morire.

All’ospedale, dopo un rapido esame, gli fu riscontrata una appendicite e venne perciò portato subito in sala operatoria. — Pensate un po’: verrà anestetizzato con etere che Renthaler ha ricavato dall’alcool distillato di Costigan.

— Sarebbe molto meglio non farglielo sapere.

— E sarà operato con strumenti fatti di acciaio carbonico, lavorati da Gus Nelson che pure ama bere.

— Di una cosa sono sicura — disse Betty. — Non potrebbe essere in mani migliori di quelle dei due dottori che lo stanno operando.

— Erano interni al “Cook County Hospital” solo sette mesi fa, e non sapevano quali sviluppi avrebbe preso la loro carriera. Ora, hanno in mano la salute di tutta la Nuova Chicago.

Si trovavano al capezzale di Sudduth la notte seguente nel momento in cui riprese conoscenza.

— Andatevene — disse con un fiato ancora carico di etere.

— Non parleremo se non lo volete — disse Devan — e non vi daremo alcun fastidio.

Era una atmosfera lugubre quella della rustica stanza in cui tremolava la luce di una candela. Sudduth stava abbandonato senza forza alcuna e fissava il soffitto con occhi gonfi che spiccavano nel volto devastato.

— Me ne voglio andare — disse finalmente.

— Starete qui tutto il tempo necessario — gli disse Devan.

— Chi siete voi, il dottore?

— Indovinato.

— Quanto devo restare ancora?

— Ancora una settimana, e a letto.

— Il vostro campo è così lontano, Eric — disse Betty — che non potete certo pensare di tornarvi molto presto. Pensate a tutta la strada che c’è.

Sudduth emise una specie di rantolo: — Orvid Blaine mi ha portato qui. E quei cretini di uomini mi hanno trasportato per tutta la strada. Ma Dio voleva che morissi. Perché non mi avete lasciato morire?

— Forse sarebbe stata una buona idea quella di lasciarvi morire. Almeno non avremmo a che fare con una persona così ingrata.

— Il fatto che si lamenti — disse Betty — indica che sta migliorando.

Infatti, durante la convalescenza, Eric Sudduth migliorò sensibilmente. Betty riuscì persino a convincerlo che, dal momento che si trovava all’ospedale, tanto valeva che si lasciasse riparare anche i denti.

Devan era felice di riconoscere che la causa di questo mutamento andava ricercata in Betty, che aveva chiesto di occuparsi di persona di Sudduth avendo compreso che il vecchio aveva bisogno di un po’ di affetto. Così lo andava sempre a trovare, portandogli buone cose da mangiare. Ai primi di novembre, Sudduth stava già decisamente meglio e spesso trascorreva ore e ore nella veranda, sulla sedia a sdraio, con un buon sigaro in bocca, contento di parlare con tutti quelli che lo andavano a trovare.

Ma la seconda settimana di novembre, a detta di Betty, le cose cambiarono.

— Eric guarda di traverso la gente — raccontò Betty a Devan — di notte non dorme bene, me lo ha detto l’infermiera.

La terza settimana dichiarò che voleva tornare dalla sua gente. Betty pregò Devan di andare da lui e di parlargli.

Devan lo trovò seduto nella veranda con un’aria preoccupata.

— È il mio dovere — spiegò a Devan, dopo che questi gli ebbe parlato in proposito. — Dio vuole che torni dalla mia gente.

— Ma quella vita non fa per voi — rispose Devan. — Non siete ancora guarito completamente.

— Non sono mai stato così in gamba — disse Sudduth, percuotendosi il petto, il che però, con suo visibile imbarazzo, lo fece tossire. — Comunque, ho deciso di andarmene.

— Fuori sta venendo l’inverno e, per giunta, un inverno molto rigido. Siete sicuro di desiderare veramente di andarvene?

— Quello che io desidero non ha importanza. Devo fare il mio dovere. Questo è tutto. — Guardò fuori dalle finestre le foglie che cadevano e: — Dio mi darà la forza.

— Ne avrete bisogno.

— Domani parto. Fatelo sapere per favore ai dottori e alle infermiere.

Il giorno dopo Devan gli portò all’ospedale una scatola di sigari e gli disse che lo avrebbe accompagnato fino all’uscita della città.

Quando furono fuori dall’ospedale, un vento gelato li accolse e furono obbligati a stringere bene i mantelli addosso.

Giunti al cancello, Sudduth porse a Devan il suo mantello e Devan fu sbalordito di vedere che sotto era completamente nudo.

— Non fate lo sciocco! — gli urlò. — Morirete di freddo!

— Non voglio che la mia gente si lamenti di una simile ingiustizia!

Quindi si allontanò, grottesca figura con una scatola di sigari sotto il braccio, procedendo a piedi nudi sul terreno.

Devan sapeva che non si sarebbe allontanato di molto. Infatti dopo un po’ lo vide ritornare. Era paonazzo per il freddo.

— Non sono più abituato a camminare — disse — ritenterò un’altra volta.

Devan gli tese il mantello e insieme ritornarono all’ospedale, dove Devan si affrettò a fargli bere qualcosa.

Per un po’ l’uomo fu scosso dai brividi, poi sollevando un braccio: — La mia scatola, per favore — disse, indicando la scatola di sigari — ho bisogno di un sigaro.

PARTE TERZA

La decisione

16

I tre bambini si rincorrevano in riva al mare, tra gli spruzzi d’acqua sollevati dai loro piedi nudi. La bambina stava davanti e i due maschietti dietro. Ridevano e correvano lasciando le loro impronte sulla spiaggia.

Infine, stanchi, si diressero verso il prato e vi si abbandonarono ansimando, senza però smettere di ridere.

— Ho corso troppo — disse Don. — Avresti dovuto lasciarti prendere, Sally, e non avresti dovuto farci correre in questo modo.

— Vorrei che Don e io si potesse volare — disse Ralph — allora sì che ti avremmo preso, non è vero, Don?

— Però non è entrata nell’acqua. Le ragazze non sanno nuotare bene.

— Ma io sì — ribatté Sally — potrei farvelo vedere subito.

— Non farti sorprendere da papà, Sally — disse Ralph.

— Certamente — disse Don — ne sono convinto.

— Donny Tooksberry e tu, Ralph, smettetela ora e vi racconterò una storia.

— Che razza di storia?

— Una che parla di cosa c’è là dietro? — e il braccio di Don indicava l’orizzonte.

— Voglio sentire qualcosa di nuovo. Sally. So già tutto dell’Ago e di quando papà incontrò mamma e come…

— Lascia che racconti…

— Non volevo parlarvi di questo — disse Sally.

— A ogni modo non è vero. È una fiaba.

Sally si volse verso Ralph e lo fissò. — Ralph, come osi dire queste cose? Sai benissimo che è vero! Vuoi che papà e mamma ci dicano bugie?

— Senti — disse Don — nemmeno io ci credo molto. Come fai a credere quello che dicono delle costruzioni?

— Ma mio padre è “ingegnere” — disse Sally — e per diventare ingegnere si studia anni e anni, dopo uno è capace di fare delle costruzioni come quella che papà fa ora o… o come quell’Ago che sta fabbricando.

— Ho sentito mamma raccontare a Sally tutte queste cose, Donny.

Don piegò le labbra: — Avete mai visto una costruzione come quella di cui parlano?

— Non è necessario — disse Sally. — E allora cosa dire delle automobili, della televisione, dei fonografi e dei gelati? Abbiamo solo visto alcuni quadri con queste cose, al museo d’arte.

— Io le ho imparate a scuola quelle cose lì.

— Hai anche imparato altre cose, Don?

— Stavo scherzando — Don sorrise.

Sally stava distesa sull’erba, e guardava lontano verso l’orizzonte. — Noi siamo venuti da là — disse.

— Cosa non darei per vedere un aeroplano — disse Don — uno piccolo piccolo, ma vero.

— Cosa ne diresti di uno a reazione? — chiese Ralph, emettendo un sibilo e muovendo le mani come se fossero aeroplani.

— Oh, un giorno o l’altro, anche noi avremo tutte queste cose — rispose Don.

— Quando torniamo?

— Torneremo, dice il mio papà — fece eco Ralph.

Tutti e tre guardarono la grande distesa d’acqua.

— Staremo sempre insieme, da qualunque parte si vada, vero? — chiese Don.

— Certo. Io voglio provare ad andare in aeroplano. Uno a reazione; forse riuscirò a volarci.

— Mi chiedo — disse Sally, tenendosi il mento tra le mani — come sarà “là”.

Don si alzò e mise le mani a visiera sugli occhi.

— Che fai? — gli chiese Sally.

— Guardo.

Anche Sally guardò, ma non vide niente.

— Là — disse Don, indicando un punto sull’acqua.

— Cos’è?

— Andiamo giù a vedere?

— No — urlò Ralph — non andiamo laggiù.

— Avanti, vieni — gli disse Don — ti terremo d’occhio noi.

Scesero verso la spiaggia e arrivarono in riva all’acqua, dove galleggiava una piccola cosa pelosa. Don si avvicinò e la sollevò dall’acqua.

— È un coniglio — disse Ralph.

— Già — disse Don.

— Un momento — Sally esaminò più attentamente la bestiola. — Non vedete niente di strano in questo coniglio?

Don guardò, poi disse: — Qualcuno gli deve aver tagliato la coda.

— Un buffo coniglio — disse Ralph — senza coda.

Gli azzurri occhi di Sally erano pieni di curiosità. — No, non è che gli abbiano tagliato la coda. Sembra che, invece della solita lunga coda dei conigli, questo qui abbia solo questa cosa rotonda in fondo.

— E come mai?

— Ma, non lo so.

— Be’, andiamocene a casa — disse Ralph. I tre si allontanarono dando un’ultima occhiata al coniglio.

— I bambini sono a casa? — chiese Devan, entrando. Quindi posò il foglio delle “Notizie” della Nuova Chicago su un tavolo e si avvicinò a Betty per darle un bacio. Si sedette poi nella sua poltrona e accese una sigaretta.

— Credevo che fossero loro che stavano rientrando — disse Betty, dando un’occhiata fuori dalla finestra. — Sono stati via quasi tutto il pomeriggio con Don Tooksberry, giù alla spiaggia. Che notizie ci sono?

Devan diede una rapida scorsa ai titoli del giornale e concluse: — Niente di sensazionale. Ho avuto molto da fare oggi.

— Allora la prova è per domani notte?

— Siamo pronti già adesso. Ci sono solo gli ultimi tocchi da dare.

Sul volto di Betty calò un’ombra di tristezza e di preoccupazione e si allontanò verso la cucina seguita con gli occhi da Devan. Lui sapeva che cosa stava pensando Betty.

— Ricordi l’ultima volta? — gridò lei dalla cucina.

Devan sospirò. Come avrebbe potuto dimenticarsi di quando Basher era entrato nell’Ago anche se erano passati dieci anni? E per associazione di idee si ricordò della signora Basher che non voleva credere che Basher fosse entrato nella macchina, e quindi era andata alla polizia. Aveva parlato a Basher di questo?

— Ma non succederà come l’ultima volta, vero Dev, quando la prova fallì?

— No certo, o almeno la persona che ci passerà dentro non andrà a finire nel lago.

— Ne sei sicuro, Dev?

— Ti ricordi il piccolo Ago che abbiamo costruito?

— Quello in cui potevi solo introdurre la tua mano?

— Proprio. Se avessimo potuto capire qualcosa da quello piccolo, ci saremmo accontentati di quello. E non ci saremmo messi in questo guaio, se pure si può chiamare guaio. — Devan spense la sigaretta e andò in cucina a versarsi qualcosa da bere, mentre Betty preparava il pranzo. — Anche qui, per cominciare, il dottor Costigan ne costruì un modello ridotto, dove poteva passarci un braccio, ma questa volta non ha funzionato.

— E perché?

— Non te l’avevo detto?

— Forse me ne sono dimenticata.

— Trovammo qualcosa di solido. E così la mano non poteva passare. Poi ci accorgemmo che dall’altra parte dell’Ago c’era il sottosuolo. Allora spostammo, un po’ per volta, l’Ago con tutta l’attrezzatura elettrica sulla collina. Ci volle un po’ di tempo, ma trovammo che, infilando una mano, si poteva sentire la terra. Questa volta quindi non ci sarà pericolo di finire in un lago, ma potremo passare dall’Ago e poi tornare indietro.

— Sei molto ottimista, tu, Dev — disse Betty.

— Cosa te lo fa pensare? — chiese Devan.

— Perché pur non essendo ancora passato nessuno nell’Ago, tu sei perfettamente convinto che tutto andrà per il meglio.

— Ci abbiamo lavorato dieci anni e, questa volta, il frutto delle nostre ricerche e della nostra esperienza non andrà perduto.

— Mi vuoi spiegare una cosa, allora? Devan finì di bere. — Che cosa?

— Come farai a sapere di essere a Chicago?

Devan arrossì leggermente e si agitò. Aveva toccato il punto dolente, si disse, ma non voleva lasciarle intuire un minimo di sfiducia da parte loro…

— La tua faccia mi dice che ho quasi colpito nel segno.

— Mi vergogno che mia moglie, unica tra tutti, non conosca i fatti essenziali. È dieci anni che mi occupo di questa faccenda e tu ti sei scordata come è stata risolta.

— Dimmelo, allora.

— Invertendo la polarità. Come per un motore elettrico. Se viene invertita la polarità, questa cammina al contrario. Così faremo per l’Ago. Ma non ti avevo già detto queste cose?

— Sì, Dev. Le avevo dimenticate. Ma questa volta voglio essere ben sicura di quello che stai dicendo.

— Perché sei così preoccupata tutto a un tratto?

— Tutto a un tratto? Questa idea non mi è venuta un momento fa, ma mi tormenta da molto tempo.

Non aveva mai visto Betty così. — Per amore del Cielo, cosa c’è?

— Ti assicuro, Dev, non c’è niente. Volevo solo dire che sono un po’ in pensiero per questo secondo Ago. Ora siamo noi a dover decidere di passarci, mentre la prima volta il passaggio avvenne senza la nostra volontà.

— Ma questa volta siamo ben preparati — disse Devan, ancora poco convinto di quelle spiegazioni — e non ci saranno Sudduthiti a provocare disastri.

— A meno che Eric non si riscuota.

— Non lo farà. Ha troppo da fare con la Bibbia.

Mentre attendevano i bambini per il pranzo, Betty mise il cibo nel forno e uscì con Devan davanti alla casa.

— Sai, Dev — disse Betty aspirando una boccata di fumo dalla sua sigaretta — i Sudduthiti non sono mica stati molto cattivi, in fondo.

— Curioso pensare che molte delle donne che si sono unite a loro fossero nel mio club. Chi avrebbe mai pensato che un giorno decidessero di andare a vivere in grotte, completamente nudi?

— Quando noi saremo tornati, tutte le cose ridiventeranno normali, vedrai.

Mentre se ne stavano fuori, seduti tranquillamente nella luce del tramonto, Devan rifletteva quale poca differenza ci fosse ormai tra questa loro città e qualunque parte di Chicago. Le voci amiche, le risa, le discussioni che sentiva intorno a sé, gli parlavano di gente tranquilla, serena, unita. E con una stretta al cuore pensò alle vecchie strade, ai vecchi volti, alle vecchie cose che lo aspettavano a Chicago. Ricordava le anonime case grigie, gli squallidi cortiletti interni che si intravedevano passando con il treno, la carta abbandonata sulla ghiaia del “Grant Park”, come la si trovava al lunedì mattina, e la gente che si spingeva, i negozi l’uno accanto all’altro, l’aria impregnata di fumo e gli sguardi estranei. Non desiderava tornare. E perché farlo, allora?

Questo suo improvviso pensiero fu subito allontanato. Doveva tornare perché tutti gli altri tornavano e lì non ci sarebbe rimasto nessuno. Sì, doveva tornare.

Vide i bambini che venivano verso casa e questo lo riempì di gioia, tanto li amava. Aveva più tempo per i bambini da questa parte dell’Ago, si disse.

— Papà — gridò Sally volandogli fra le braccia. — Donny dice che non si torna là. Dimmelo babbo, per favore.

— Ma certo, cara, ci si ritorna.

— E ci sono case molto grandi?

— Certo.

— E perché le fanno tanto grandi?

— Perché tutti ci possano lavorare dentro.

— Ma non potrebbero lavorare fuori?

— Vedi — Devan si schiarì la gola. Era un po’ difficile a dirsi. — Perché le hanno fatte così alte? Sally, c’è così tanta gente e tanto poco spazio, che se ognuno se ne stese fuori a lavorare, non ci sarebbe posto più per nessuno. Invece in questo modo ci sono uffici in palazzi che toccano il cielo e così, stando l’uno sopra l’altro, ecco che lo spazio non manca.

— E come vanno in cima?

— Ascensore. Tu lo conosci.

Ralph che gli stava accanto ai pantaloni chiese: — Quanta gente vive a Chicago?

— Milioni. Tre o quattro milioni, credo.

— MILIONI! — Sally era esterrefatta. — E lavorano tutti nelle case?

— Su, Sally — disse Betty — di sicuro hai imparato tutte queste cose a scuola, no?

— Be’, proprio queste no. Ho imparato l’esistenza degli aeroplani, delle automobili, degli indiani. A proposito, ci sono indiani?

— Vivono in gruppi separati.

— Bene, li andremo a trovare, papà.

— Vedrò un aereo a reazione? — chiese Ralph.

— Cos’è un grande magazzino, papà?

— Potreste chiedere a vostro padre cos’è un night-club, o qual è la sua posizione in borsa. E vi risponderebbe a tutto, sono sicura.

17

Devan procedeva sul selciato, svelto, energico, sentendo con piacere il sottile venticello notturno che proveniva dal lago. Vide la parte superiore dell’Ago II che emergeva dalla costruzione in legno e tra sé le disse: “Dieci anni della mia vita, dieci anni di cui non saprò il valore sin che non saprò se tu funzioni”.

Rise al pensiero che dapprincipio avevano creduto di poter ricostruire l’Ago in pochi anni, cinque al massimo.

L’impresa si era invece rivelata molto più difficile, sia per la ricerca delle materie prime, sia per l’arrovellato studio fatto intorno ad alcuni processi di cui non avevano le formule esatte e che nessuno ricordava alla Nuova Chicago.

A un certo punto era sembrato che l’Ago non avrebbe mai potuto diventare realtà e, ora che lo era, sorgeva una nuova pressante questione: avrebbero potuto tornare a Chicago? La risposta gli sarebbe stata data all’indomani notte.

— Quel dannato Ago! — Quante volte la gente aveva pronunciato queste parole in quei dieci anni! E questo perché l’Ago, a poco a poco, assorbiva tutte le nuove risorse della città, fili, tubazioni e altri accessori necessari alla costruzione della macchina, oltre alla mano d’opera del personale più specializzato, che aveva dovuto abbandonare il lavoro accanto a motori, refrigeratori, impianti ausiliari utili per la città, al fine di dedicarsi a questo mostro eternamente insoddisfatto.

C’erano altri problemi. Nel caso che si fosse riusciti ad arrivare a Chicago, quale sarebbe stata la reazione di quei cittadini nel trovarsi di fronte, sbucati da non si sa dove, uomini completamene nudi?

Immerso sempre nei suoi pensieri, salì i gradini di legno della costruzione che ospitava l’Ago II. Che differenza nell’illuminazione modesta di questo loro laboratorio con la dovizia di luce che regnava alla “Rasmussen Stove Company”!

Del resto tutto l’ambiente era nettamente inferiore e per qualità e per dimensioni. Tutto era stato sacrificato per dar vita alla macchina, che era essa pure un po’ in scala ridotta rispetto alla prima, ma non tanto piccola da non permettere il passaggio delle persone.

Il dottor Costigan lavorava intorno allo strumento toccando qua e là. — Ancora al lavoro? — gli chiese Devan, sedendosi in disparte a osservarlo mentre manovrava alcuni fili collegati a una delle cassettine, la cui funzione era importantissima agli effetti del funzionamento. Nonostante fossero passati tanti anni, Costigan non aveva rivelato il segreto di quelle parti che lui stesso, come l’altra volta, aveva eseguito.

— Ho sistemato tutti i circuiti. Sono a posto, tranne un collegamento da completare.

Costigan era rimasto quello di dieci anni prima, si disse Devan, forse solo un pochino più pesante, ma per il resto assolutamente uguale.

— Pensate che si potrebbe provarlo stanotte?

Il dottore si girò lentamente. — Certamente. Il collaudo generale è per domani notte, però. Ma se credete, possiamo fare una prova di controllo.

— Ma abbiamo fatto già tanti di quei controlli. Con l’Ago piccolo, voglio dire. E già sappiamo che dall’altra parte non fa più caldo né più freddo di così e che la superficie è dura e cede solo leggermente.

— Lo so. Ma può darsi che si tratti del tappeto di qualche stanza di soggiorno o dell’asfalto di una strada. Ò un cortile in cui dei ragazzini giochino a baseball. Lo vedremo comunque domani definitivamente.

— Potremmo vederlo stasera.

— E chi si offrirebbe per la prova? Chi entrerebbe? — Il dottore si volse subito verso Devan.

— Io potrei farlo.

— Voi? — Il dottore rimase a bocca aperta. — Oh, non voi, Devan!

Devan rise. — So quello che pensate. Ma ci ho riflettuto bene. — Fissò l’Ago illuminato da tutti e due i lati, molto più piccolo del primo, ma con aspetto altrettanto efficiente. — Per lo meno non ci si cadrà dentro. La gente dovrà fare una certa fatica per entrarci.

— Anch’io ci ho pensato — disse il dottore brevemente. — Non lo volevo dire ma vedete, questa volta non abbiamo fatto nemmeno la prova con il coniglio. Solo con le nostre mani. E io ho ormai troppe capsule in bocca per provare a infilarci la testa.

Devan accese una sigaretta e si avvicinò al dottore. — Mi domando se ci porterà a Chicago. E se non fosse Chicago, ma qualche altro luogo simile a questo? O magari diverso?

— È possibile — disse il dottore. — Non voglio negarlo.

— Ma non ci pensate?

Devan quasi gli stritolò il braccio nell’angoscia di questo interrogativo.

Il dottore glielo fece notare e poi aggiunse che avrebbe acceso un momento la macchina per dare una guardatina.

Il cuore di Devan batteva all’impazzata. Stava combattendo una lotta interna, diviso tra il desiderio e il dubbio di fare una scoperta che facesse crollare tutti i loro calcoli di tanti anni.

— Mettete in marcia la macchina — disse infine — daremo un’occhiata.

Il dottore fece di no col capo. — Le vostre capsule. Le perderete tutte di nuovo.

— Non ha importanza — disse Devan — la prova generale è comunque domani e perderle oggi o domani è la stessa cosa.

— Visto che siete deciso, sarete prudente, vero? — gli chiese il dottore, attenuando il consiglio con un sorriso.

Mezz’ora dopo, il dottor Costigan premette il pulsante principale che dava luce ai tubi e li metteva in moto. Con Devan controllò importanti parti con un voltametro e prese alcune annotazioni.

Devan infilò la sua mano nell’Ago e con soddisfazione notò che spariva. — Funziona magnificamente.

— Siete sempre sicuro di volerlo, Dev? — chiese Costigan con la voce resa acuta dalla preoccupazione. — Cosa accadrà se non tornerete?

— Tornerò. — Spinse la sua mano nella parte inferiore dell’Ago e sentì la dura superficie poco al di sotto dell’apertura. Poi si sedette sul bordo dell’Ago e il suo piede vi sparì. Sentì sotto della terra. Guardò il dottore e lo salutò.

— Buona fortuna — gli disse Costigan.

Devan scivolò dentro.

Vide grosse nuvole che si accalcavano nel cielo in un mondo di pietra e di erba. Sopra la luna, alta e lucente, la cui luce faceva risaltare colline rocciose e cespugli uno dietro l’altro.

Non faceva freddo, ma Devan rabbrividiva all’aria che pareva sospingerlo un poco.

“Questa non è Chicago”.

Aveva cercato di essere preparato all’eventualità, ma ciononostante la scoperta lo annientò: “Non è Chicago”.

Non c’era segno di vita all’intorno.

Si chinò e toccò la roccia. Era dura, ma non tanto da non cedere un pochino. Non si fidò di allontanarsi da lì per non perdere di vista l’Occhio nel quale avrebbe potuto infilarsi in fretta, qualora fosse successo qualcosa.

Gridò. La sua voce fu portata via dal vento e nessuno gli rispose. Nulla si muoveva; solo il vento che agitava un poco l’erba. Non era alcun luogo che lui conoscesse.

Dieci anni di lavoro perduto. Ora si sarebbe dovuto cercare di correggere o di rifare tutto. Guardò ancora per un momento il luogo deserto, poi retrocesse. Il dottor Costigan era là, in attesa. La stanza illuminata gli parve, per contrasto, allegra.

— Ebbene? — Gli occhi del dottore erano ansiosi.

— Non è Chicago — Devan disse. — Solo una landa deserta e sassosa. Credo che non ci sia nulla. Almeno da quanto ho potuto vedere.

Il dottore lo guardò a lungo, prima di fermare la macchina. — Raccogliete le vostre capsule.

Devan si curvò e nello stesso tempo sentì le cavità nei denti toccandole con la lingua. Quando le ebbe raccolte, il dottore gli porse un bicchiere.

— Beviamo — disse il dottore. — Beviamo per commemorare ciò che voi probabilmente considerate dieci anni di lavoro sprecati.

— Non dico nulla — rispose Devan, lasciando che il dottore gli riempisse di vino il bicchiere. — Abbiamo l’Ago per fare altre prove. Possiamo trovare qualche altra via.

Il dottore scosse il capo con gravità. — Non ci sono altre vie.

Devan lo guardò acutamente. — Nessun altro mezzo? Cosa volete dire?

— Esattamente ciò che ho detto. Non possiamo farci niente.

— Possiamo invertire la polarità e vedere cosa succede. È già una cosa.

— Ma non potrà servire a niente.

— E perché?

— Lo feci con il primo Ago — disse Costigan, guardando nel suo bicchiere semivuoto. — Per caso cambiai la polarità e ciò non portò a nessun cambiamento. Infatti Basher ci entrò quando essa era in un senso, e il poliziotto quando era nell’altro. E tutti e due finirono qui.

Devan sentì di aver bisogno di un altro bicchiere, e si versò ancora da bere. Il dottore lo imitò.

— No, Devan, credo che non torneremo più a Chicago. Potremmo ora andare in un altro universo e poi in un altro ancora, sempre diverso, passando dall’Ago, e quindi siamo fortunati di esserci stabiliti qui.

— Penso — disse Devan — che se, come voi dite, noi ci mettessimo a peregrinare da un universo all’altro, alla fine troveremo quello da cui proveniamo.

— È solo una supposizione. E poi dovremmo passare attraverso un numero infinito di questi universi.

Devan finì di bere e osservò: — E poi non potreste mai più fabbricare un altro Ago dall’altra parte. A meno di farlo di rocce e d’erba.

— Sono solo un vecchio scienziato — rispose pensosamente Costigan. — Quando venimmo qui, avevamo tutti terribilmente bisogno di un motivo che ci tenesse uniti. E Orcutt ci diede il tesoro e la sua organizzazione. E io diedi la speranza del ritorno con questa macchina. Era semplice dire “inverti la polarità e il resto verrà da sé”. Ma in realtà nemmeno allora io ero sicuro che saremmo riusciti a tornare.

— Maledizione!

— Berrò ancora, non posso farne ameno — disse il dottore. — Il pensiero che mi ha perseguitato per dieci anni, e che non ho mai confidato a nessuno, si è purtroppo avverato e davanti a questa rivelazione è necessario un po’ di conforto, e dove lo trovo, se non nell’alcool?

18

— Deve essere presto — disse Sam Otto, chiudendo la porta dietro di sé e Basher. — Dove sono gli altri?

— Staranno arrivando — disse Devan, porgendo loro sedili improvvisati.

— Di sicuro non vorranno perdersi la prova — disse Sam. Poi con tono ironico: — Ma l’essere arrivato in anticipo mi dà modo di presentarvi, signor Basher, l’uomo che si offrirà come volontario per passare nell’Ago stanotte.

— Vattene all’inferno — disse Basher. — Mi è bastato fare il volontario una volta, è stato veramente abbastanza, ti giuro. Stavolta voglio solo assistere.

Intanto arrivavano gli altri. Orcut, Tooksberry, un po’ invecchiato, ma col volto molto più disteso di una volta; Holcombe che era più o meno lo stesso e un giovane in cui Devan riconobbe Johnny Selden, un operano della fonderia. Aveva circa sedici anni.

— Se non fosse per la presenza di Johnny, potremmo benissimo credere di essere ritornati a dieci anni fa.

— Speriamo che non finisca nello stesso modo — disse Basher.

Devan si toccò le otturazioni provvisorie di cera, ricordandosi cosa c’era dall’altra parte dell’Ago e sperando nello stesso tempo che i cinque uomini non rimanessero troppo sconcertati scoprendo che la macchina non li avrebbe, come credevano, riportati a Chicago.

Aveva esaminato il problema per ogni verso, ma la risposta era sempre la stessa: non poteva dir loro nulla Sino a che non fossero entrati e avessero constatato di persona.

— Cosa c’è Devan?

Devan sussultò nel sentirsi chiamare.

— Avete un’aria così assente e triste — gli stava dicendo Orcutt. — Coraggio! È la grande notte. Ce ne torniamo tutti a Chicago. Allegro. Avete una tale aria da funerale!

— Dovremmo fare un brindisi — disse Otto, guardando il dottore. — Avrete certamente la materia prima.

— Infatti — commentò asciutto Costigan.

— È il pensiero di tornare dopo dieci anni che mi rende nervoso — disse Devan.

— Sono molti dieci anni — Orcutt si alzò e pose il suo braccio intorno alle spalle di Devan. — Tutti noi della Nuova Chicago dovremo molto a voi e al dottore se l’Ago funzionerà o no. Se comunque riusciremo a ritornare a Chicago e alla civiltà, tanto maggiore sarà la nostra riconoscenza per voi che ce lo avrete permesso, l’uno col ricordarsi tante cose che noi avevamo dimenticato, e Costigan col suo duro lavoro anche materiale.

— Tutti ci hanno lavorato — precisarono Devan e Costigan — tutti ci hanno messo mano.

— Comunque, ciò è servito a tenerci uniti — disse Orcutt. — È tutto a posto?

— Sono pronto — disse Costigan — ma chi vuole entrarci?

Orcutt pose una mano sul capo di Johnny Selden. — Ecco, dottore. Il ragazzo arrossì.

— Ma non potete mandare un ragazzo!

— Non ha capsule da perdere!

— Cosa pensano i suoi genitori, Ed? — domandò Devan.

— Gli hanno lasciato completa libertà di decisione e lui ha confermato che ci vuole andare. Non ha che un vago ricordo di Chicago. Comunque non entrerà completamente; solo con la testa. Sei pronto, marmocchio?

Orcutt accompagnò il ragazzo all’Ago, mentre Costigan mise in marcia la macchina.

— Infilati dentro solo fino alle spalle, Johnny — disse Orcutt — noi ti terremo fermo. E lascia la tua mano da questa parte, per poterti aiutare a uscire in caso di pericolo.

Il ragazzo si inumidì le labbra. Inghiottì un paio di volte, e quindi si distese sul pavimento rivolto verso l’Ago, al quale si avvicinò a poco a poco, mentre Orcutt e Holcombe gli tenevano una gamba e Johnson e Basher l’altra.

— Buona fortuna — disse Sam Otto.

Il capo del ragazzo sparì a poco a poco, prima i capelli, poi le orecchie, fino alle spalle. Dapprima le sue mani furono rigide e sudate, poi sembrò rilassarsi e tutti, che lo osservavano con ansia, videro che si girava prima in un senso, poi nell’altro.

— Ma quando uscirà, per amor del cielo? — chiese Holcombe.

— È appena entrato — gli ricordò Costigan.

Devan poteva immaginare cosa il ragazzo stesse vedendo. Un cielo nuvoloso, la luna, il vento, pietre ed erba, a meno che il tempo, se pure tempo era, non fosse nel frattempo cambiato. Poteva piovere, o essere solo buio, senza vento e col cielo pulito, oppure la notte era luminosa, immobile con una grossa luna e i segni di una giornata calda…

Il ragazzo finalmente uscì, aiutandosi con le mani, poi si sedette e rimase con gli occhi chiusi, come stremato. Gli uomini gli si fecero intorno curiosi, ma pazienti. Costigan spense la macchina. I nervi di Devan erano tesi, in attesa della rivelazione e dei suoi effetti.

— Ebbene? — disse Sam Otto che non riuscì a controllarsi più a lungo.

— Non so — disse il ragazzo.

— Cos’è che non sai, figlio?

— Non so cosa ho visto.

— Be’, cerca di descrivercelo come puoi.

— C’era buio…

Sam mugolò.

— …e umido.

— Così non è Chicago — disse Tooksberry.

— Ma potrebbe benissimo essere Chicago. Ci sono parti scure e umide anche là. Dipende dai posti.

— Lasciate parlare il ragazzo — disse Sam — non ha potuto dire altro che faceva freddo e buio.

— C’è un odore diverso — disse Johnny. — Ma c’era solo buio e non sono riuscito a vedere niente in giro.

E Devan pensava: “Potrei dirti io dove eri, piccolo”.

— Una fogna — disse Orcutt — potrebbe essere una fogna. Che ridere se fosse così!

— C’è odore cattivo?

— Non buono.

Devan non si ricordava dell’odore. Non ne era stato colpito particolarmente.

— Può darsi che fosse una cantina.

— Non c’era aria là dentro.

— Al diavolo — disse Orcutt. — Vado a dare un’occhiata e vuol dire che il dottor Van Ness mi sistemerà i denti. — Johnny a questo punto gli lanciò un’occhiata mortificata e Orcutt cercò di rimediare: — Oh, non è che io non mi fidi di quello che tu dici, mio caro. È solo perché tu non hai mai visto una città e può darsi che non ne distingui bene i suoi aspetti, di modo che ti è difficile interpretare quello che hai visto.

— Ma io non ho visto niente — protestò il ragazzo.

“Devo parlare?” si chiese Devan. Ma prima che potesse aprir bocca, Tooksberry disse: — Che senso c’è a infilarci la testa, uno dopo l’altro, se si sa che non c’è niente da vedere! — Si tolse gli occhiali e li pulì. — Il ragazzo ha buoni occhi!

— Potrebbe essere Chicago durante un oscuramento — disse Sam.

— Un’altra guerra, Sam? Oh, no!

— Quello che voglio dire — disse Tooksberry — è che qualcuno deve entrarci e vedere se è Chicago o no.

“Ci siamo di nuovo. Avrei dovuto parlare” pensò Devan.

Basher scherzò. — Mi volete indicare qual è la via per uscire?

— Scherza pure Glenn — disse Orcutt — ma Howard ha ragione. Si deve fare così.

— Tutti ci stiamo chiedendo chi entrerà nell’Ago questa volta — disse Tooksberry guardandosi in giro.

— Il ragazzino qui — disse Orcutt — è l’unico senza capsule in bocca. Ma non possiamo far fare a un ragazzino ciò che deve essere fatto da un uomo.

— E poi abbiamo promesso ai suoi di non farlo entrare completamente — soggiunse Holcombe.

Devan si decise finalmente a farsi avanti per dire qualcosa che li facesse smettere, ma l’espressione che vide sul volto di Tooksberry lo fermò. Aveva un’aria molto divertita.

— Signori, osservate per piacere — disse e si tolse le due parti che componevano la dentiera, la superiore e l’inferiore.

— Ma non potete entrare voi, Howard — disse Orcutt.

— E perché no? Se è Chicago, state sicuri che parlerò. E me ne tornerò molto in fretta.

— Ma se non è Chicago… se non tornate…

— Avanti, dottore — continuò Tooksberry a Costigan — sono pronto.

Il dottore lo guardò e alla fine si decise, dopo aver scambiato uno sguardo con Devan, ad accendere lo strumento.

Tooksberry si avvicinò e, prima di entrare, si tolse gli occhiali. — Li uso solo quando leggo — disse — sarò capace di vedere anche senza.

Un momento dopo, provocando un leggero rumore, entrò lasciando dietro di sé i suoi abiti.

— Spero e prego che torni — disse Basher.

— Andrà tutto bene — rispose Orcutt.

— Howard è veramente cambiato — osservò Holcombe — prima era sempre intrattabile.

Orcutt, che si stava accendendo la pipa commentò: — Il merito è di Beatrice Treat.

Era giustissimo. Non c’era, nel campo, coppia più felice di Beatrice e Howard. Tutto il cinismo e l’amaro di Tooksberry erano spariti, a poco a poco, dopo il matrimonio e il grosso lavoro di formazione della Costituzione che era stata adottata, con formula piena, dai cittadini della Nuova Chicago.

La conversazione languì, erano tutti silenziosi e preoccupati, con gli occhi fissi sull’Ago. Devan non poteva immaginare che cosa Tooksberry stesse facendo su quelle rocce desolate e immaginava che stesse cercando disperatamente la via per tornare.

Dopo quindici minuti, quindici minuti che furono una lenta agonia per tutti, si vide finalmente apparire una testa nell’Ago.

— Congratulazioni — disse Tooksberry emergendo.

Quindi raccolse i suoi abiti sparsi.

— È Chicago?

— Cosa hai visto?

— Avanti, Howard, non tenerci in ansia!

Non avrebbe parlato prima di essere completamente vestito. Infine, dopo essersi sistemato gli occhiali, si guardò in giro e sorrise. Era di scena e nessuno lo volle ostacolare nell’interpretazione del ruolo di cui si sentiva interprete eccezionale.

— Era Chicago!

“Chicago!”

Devan era allibito.

Gli altri si affollarono intorno a Tooksberry chiedendo precisazioni.

“Impossibile!” si disse Devan. Lui pure era entrato nell’Ago e non aveva visto che deserto e roccia. Forse che Tooksberry mentisse? Comunque, fin che gli altri rumoreggiarono, tacque.

Quando si ristabilì il silenzio, parlò: — Era Chicago. Non appena entrato nell’Ago, ho visto ciò che Johnny aveva descritto. Buio e freddo. Me ne sono rimasto là un po’, cercando di capire dove fossi capitato, tastando il terreno sotto di me. Conclusi infine che si trattava di terreno argilloso, ammollato dalla pioggia.

“Mi sono seduto per un po’, poi mi sono alzato. Sentivo un’arietta leggera. I miei occhi si sono abituati un poco al luogo in cui mi trovavo, riuscivo a percepire i leggeri rumori che sentivo intorno a me, rumori che mi facevano temere che prima o poi uno dei topolini palesemente presenti mi venisse a passeggiare sui piedi. Così mi sono allontanato di pochi passi e scorsi alla mia destra un ingresso. Ho compiuto sette passi e mezzo, sino a raggiungere il centro di questa entrata. Dopo di che ho tirato un sospiro di sollievo, dal momento che potevo tornare nell’Ago (questa volta!) se solo lo desideravo. Tutto quello che mi proponevo di fare era di fissare la porta che mi stava davanti come punto di riferimento.

“Dall’altra parte, c’era più luce. Al livello del mio occhio ho visto alcune finestre senza vetri. Ho pensato che si trattasse di uno stabile abbandonato, perché da una delle finestre potevo vedere le stelle e, dalle altre, i muri delle case vicine.

“Dall’altra parte dello scantinato c’era una scala che ho percorso, camminando su un alto strato di rifiuti e carta straccia. Saliti i gradini cigolanti, mi son trovato in uno spiazzo deserto dietro la costruzione, e da qui, attraverso il passaggio tra due case, sono giunto nella strada, di fronte al luogo da cui ero uscito.

“Non ho visto nessuno e sono proprio sicuro che nessuno mi ha visto perché, se fosse successo, avrebbero certamente chiamato qualcuno, conciato come ero, nudo come un verme.

“Ma fuori di lì, era tutto diverso. Le macchine schizzavano via, tanto in fretta quanto me ne ero dimenticato. E avevo anche dimenticato cosa possono fare dieci anni di progresso. E stando lì, in ombra, vidi la gente che passava, e alla luce dei fanali vedevo le loro facce, facce preoccupate, nervose e tese, per nulla simili a noi. E pallidi. Camminavano tutti molto in fretta, o almeno così mi parve.

“Rischiando per un momento di farmi vedere, mi sono piegato in avanti e ho raccolto una pagina. Era del ‘Chicago Tribune’. Il foglio degli annunci economici. Portandomi alla luce ne ho letto qualcuno. Le solite vecchie cose. Molto richieste le lavatrici, tale e quale come un tempo, come se quel tempo fosse ieri, solo che la data era quella di questa mattina.

“Sapevo che dovevo tornare, ma prima sono corso fuori sul marciapiede e ho dato un’occhiata verso il Loop. Si vedevano riverberi rossi in cielo: le luci al neon. Era Chicago, senz’altro. Poi le macchine cominciarono a rallentare, ho sentito gente che urlava e ho capito che ero stato scorto. Mi sono precipitato in salvo, dopo aver evitato una banda di ragazzini, che mi si è parata davanti all’improvviso”.

Tooksberry tacque e sorrise. — Inutile che vi spieghi come. Semplicemente mi son lasciato scivolare in una delle finestre dello scantinato, ho trovato la porta e mi son ficcato qui dentro, come vedete.

Devan non poteva credere a quanto aveva udito e vide la stessa espressione di dubbio anche in Costigan.

Tutti se ne stettero zitti per un po’. Poi Orcutt chiese: — È tutto quello che avete visto, Howard? Proprio tutto?

— Sì — rispose.

— E com’erano le macchine? — chiese Basher.

— Be’, non facevano il solito rumore che noi conoscevamo. E mi parvero più basse, più slanciate e più veloci.

— Insomma — disse Sam Otto — quello che ci resta da fare ora è di mettere in marcia l’Ago e farci passare tutti.

— È tutto sistemato — intervenne Orcutt, osservando con attenzione Tooksberry. — Il Consiglio ha già stabilito il da farsi in questo caso. Domattina alle dieci i cittadini della Nuova Chicago si riuniranno tutti qui. Nel frattempo, provvederemo a stabilire un ordine di precedenza e a far sì che i componenti di una stessa famiglia possano passare uno dietro l’altro.

— Datemi da bere — disse Costigan. — Per combinazione, ho qui un numero sufficiente di bicchieri per tutti.

— E qualche cosa da metterci dentro? — chiese Sam Otto.

— È proprio il momento di bere per festeggiare — disse Basher.

— Come faremo ad avvisare la gente, Orcutt? — chiese Holcombe.

— Ne è incaricato Johnson che passerà con i suoi uomini da tutte le case, spiegando a ognuno il da farsi.

Venne fatto girare il vino e per un po’ tutti rimasero zitti. Avrebbero forse dovuto essere allegri e spensierati, ma invece si rendevano conto della gravità della situazione.

— Sarà diverso — disse Otto — tornare a Chicago. Mi chiedo se i miei amici avranno sentito la mia mancanza.

— Sembrerà molto strano, non vi pare?

— Abbiamo passato bei momenti, qui — disse Tooksberry. — Solo qui ho trovato la felicità.

— Posso andare a raccontarlo ai miei? — chiese il ragazzo che sino a quel momento era stato zitto.

— Va’ pure — gli disse — a raccontarlo — e lui corse fuori.

Poi Tooksberry, sbadigliando, manifestò il desiderio di andare a dormire.

— Domani è una gran giornata — disse.

— Verrò subito anch’io — soggiunse Orcutt.

— Vi posso parlare? — chiese Devan a Tooksberry lasciando Orcutt e il dottore. Tooksberry annuì e uscirono nell’aria fresca della notte.

— Vi devo dire qualcosa, Howard.

— Che c’è? — Tooksberry lo fissò di traverso.

— Sono entrato nell’Ago la scorsa notte.

— Davvero?

— E non vidi altro che roccia, roccia desolata fin dove l’occhio poteva spaziare. E l’unica cosa viva che vidi fu l’erba.

— Visione deprimente.

— Non avete visto la stessa cosa?

— Non dirò a nessuno che siete entrato nell’Ago, Dev.

— Perché avete detto loro che è Chicago?

— E perché voi non avete detto che non lo era, Dev?

— Avete visto la stessa cosa che ho visto io, allora?

— È Chicago — disse Tooksberry. — Deve essere Chicago, dovete crederci, Dev.

19

Uno degli uomini di Johnson svegliò Devan al mattino, con un energico colpo alla porta per ricordare che la riunione era alle dieci nel laboratorio di Costigan.

— Scusate, signore — disse, quando Devan fu di fronte a lui, in pigiama. — Dobbiamo chiamare tutti. Voi capite.

— Naturalmente.

— Avete avvisato la signora Traylor?

— Non ancora. — Poi, vedendo che il poliziotto stava sempre lì: — Ma lo farò — aggiunse.

Quando Devan era tornato a casa la sera prima, era ben deciso a parlare. Ma più ci pensava, domandandosi che cosa volessero significare le parole di Tooksberry e il suo comportamento così strano, più si convinceva che doveva star zitto. Se il campo avesse saputo che non si poteva tornare a Chicago, sarebbe successo uno scompiglio generale. Ma non sarebbe stato peggio radunare là tutta la gente e poi annunciare che non si poteva tornare?

Sperò che Tooksberry sapesse quello che faceva e, pur ritenendo che il suo comportamento fosse per lo meno strano, tuttavia si guardò bene dal dire a Betty che la sperata via per ritornare non esisteva.

Mentre preparava la colazione, Betty era pallida e Devan pensò che anche il suo viso dovesse essere uguale. Una cosa sapeva: la sua mente era troppo ossessionata dal pensiero dell’Ago, della gente, di Tooksberry e se dire o no la verità a Betty. Il risultato fu che la colazione gli rimase sullo stomaco.

Quando fu pronto per scendere al laboratorio, Devan disse, come per caso: — Devo andare ora. Mi raggiungi là?

Betty lo accompagnò alla porta. Aveva quasi le lacrime agli occhi. Lui la baciò leggermente, Betty gli buttò le braccia al collo.

— Devan.

— Che cosa c’è?

— Devan. — Non lo voleva lasciar andare. — Siamo stati molto felici insieme in tutti questi anni.

Il suo cuore ebbe uno spasimo di tenerezza che gli salì in una sensazione confusa alla testa, lasciandolo come stordito.

— Lo so — riuscì a dire.

— E, Devan — le sue braccia lo cingevano ancora, le sue labbra stavano appoggiate al suo orecchio — non cessiamo di essere felici. Restiamo qui. Non voglio tornare. E tu?

La strinse forte, con gioia.

— Io non voglio tornare, Betty. — Era meraviglioso scoprire così semplicemente la verità che si era nascosto per tanto tempo. — Non ho mai realmente desiderato di tornare.

Betty lo prese sottobraccio e lo guardò con espressione radiosa. — Anche se rimarremo soltanto in quattro: tu, io e i bambini.

— Staremo sempre insieme — disse Devan — qui.

Il mattino era fresco e splendeva un sole luminoso. Il lago era quasi un completamento del cielo. Riverberi di luce danzavano sulle onde che si infrangevano a riva.

Se non ci fossero state cose tanto importanti in aria, certamente qualcuno vi si sarebbe tuffato. I bambini che di solito giocavano sulla riva non c’erano. L’intera popolazione della Nuova Chicago si era data convegno al laboratorio dell’Ago.

La gente arrivava a gruppi, alcune persone isolate e nessuno aveva portato le proprie cose con sé, ben sapendo che dall’Ago non poteva passare nulla. Orcutt era là davanti a un grosso recipiente, una specie di bacheca, nel quale erano ammassate striscioline di carta con dei numeri. Devan aiutava Johnson nell’elenco dei nomi, che erano cinquecentotrentuno, compreso quello dell’ultimo nato, che aveva visto la luce quella mattina stessa.

Johnson disse che i suoi uomini erano stati in tutte le case e che mancava poca gente: qualcuno che stava a caccia nei dintorni e altri due che erano partiti per un mese in giro di esplorazione.

Gli uomini ora parlavano e facevano domande.

Come avrebbero potuto passare nell’Ago i degenti dell’ospedale? Orcutt spiegò che sarebbero passati in un secondo tempo e che, pertanto, bisognava che qualcuno si fermasse ad attenderli. In quanto a quelli fuori in esplorazione si sarebbe fatto qualcosa.

Ma Devan non stava pensando ai vari problemi sollevati in quel momento. Pensava a quello che Betty gli aveva detto e il suo cuore esultava constatando che Betty, che pur non sapeva che a Chicago non si sarebbe tornati mai, desiderava comunque restare lì. Ciò gli dava una sensazione di libertà e di distacco da tutto il resto, come non provava da anni. Fu allora che si rese conto che l’Ago, nel caso suo e di Betty, non era stato altro che un benevolo strumento di felicità.

Per delle ragioni assolutamente imponderabili, che nemmeno quelli che provano questi sentimenti riescono a spiegare, Devan sentì che Betty era lì, in mezzo alla gente e, volgendosi, la vide.

Si sorrisero.

La sua felicità di rimanere fu solo offuscata dal pensiero che tutti coloro che stavano lì in attesa, fossero convinti di poter tornare a Chicago. Cosa sarebbe accaduto quando avrebbero scoperto che a Chicago non si poteva mai più tornare?

Devan alzò gli occhi e vide Costigan al suo fianco. — Circa Tooksberry… — cominciò il dottore sottovoce.

Devan sorrise e disse: — Più tardi, dottore.

— Signore e signori di Chicago — Orcutt stava in piedi su un tavolo — e bambini. — Qualcuno rise. Orcutt appariva come al solito sicuro di sé. e come sempre padrone della folla. Ma cosa sarebbe stato della sua personalità magnetica, quando lui pure avrebbe scoperto che stava dicendo menzogne?

— Finalmente è arrivato il giorno da noi tanto atteso. Per la costruzione di questa macchina abbiamo dovuto fare a meno di tante cose e Devan Traylor, qui, e il dottor Costigan, avanti dottore, fatevi vedere, non hanno perso tempo (non parlo di spese perché qui non abbiamo denaro), per condurre a termine i preparativi. La notte scorsa i vostri rappresentanti si sono riuniti qui, nella costruzione dell’Ago, e Howard Tooksberry, qualcuno ha visto Howard?, è entrato nell’Ago ed è riuscito a trascorrere qualche momento a Chicago. Non ha potuto dare dettagli molto ampi perché era notte, ma assicura che si tratta di Chicago. Anzi, per provarlo, lesse un pezzettino del “Chicago Tribune”, che naturalmente non poté portare con sé.

“Qualche tempo fa, il Consiglio, sapendo che la macchina era quasi finita, studiò il problema del passaggio e della precedenza da assegnare nell’entrarvi. Penso che siate tutti d’accordo nel considerare che è praticamente impossibile entrare tutti insieme. Per cui abbiamo scritto tanti bigliettini, numerati da 1 a 250, con l’idea che la persona cui verrà assegnato il numero, passi, naturalmente in ordine progressivo rispetto agli altri, nell’Ago, solo o con l’intera famiglia per chi ne ha una. Ora potete venire qui tutti in fila a prendere il vostro numero. Ci sono domande?

Si alzò una mano: era Gus Nelson.

— Sì, Gus.

— Signor Orcutt — disse — la persona che ha il numero uno entra subito nell’Ago o aspetta che gli altri abbiano i loro numeri?

— Deve aspettare, Gus — gli rispose Orcutt. — Cominceremo a sfilare non appena ognuno avrà il suo numero e si sarà stabilito un ordine. Altre domande?

Un uomo nella folla desiderò sapere com’era la Chicago che Tooksberry aveva visto.

— Howard dice che è la stessa che conobbe allora.

— È quello che temevo — disse l’uomo.

La gente rise.

— Benissimo — disse Orcutt — siamo tutti pronti? Venite tutti con ordine a prendere i vostri numeri.

“Ormai” pensò Devan “non potrà succedere altro che tutti verranno a prendersi i loro numeri e scopriranno che al di là dell’Ago non c’è nessuna Chicago”.

Orcutt tolse dalla bacheca il primo numero. Nessuno si mosse.

La gente stessa era stupita.

Orcutt tornò al tavolo. — Non mi avete sentito? Non volete prendere i biglietti e poi entrare nell’Ago? È per tornare a Chicago.

Ora la gente sorrideva e alcuni ridevano.

— Gus! — disse Orcutt. — Gus Nelson. Prima hai chiesto se si può entrare nell’Ago subito. Non vuoi il tuo bigliettino?

Nelson scosse il capo. — No, signor Orcutt. Domandavo solo per curiosità che cosa potesse succedere alla persona che aveva il “numero uno”. Sapevo che io non avrei preso né quello né nessun altro numero, dal momento che non mi allontanerò da qui.

— Tu stai qui? E perché?

— Ho il mio lavoro. Lavorare l’acciaio è importante, tanto più che sto studiando un nuovo tipo di acciaio carbonioso. Non posso proprio abbandonarlo.

Poi sorrise timidamente: — Inoltre c’è un’altra ragione: una donna. Abbiamo parlato a lungo di ciò e abbiamo deciso che resteremo qui.

Mormorii passarono tra la folla.

Poi ci fu un lungo applauso che aumentò sino a che tutti vi si unirono. Quindi si calmò.

— Vi posso dire perché non vogliamo tornare?

La voce che si alzò era quella del dottor Van Ness. Tutti si volsero dalla sua parte.

— Se torno a Chicago sarò finito, senza più lavoro. Sono troppo vecchio. Ho passato i sessantacinque e la gente già allora mi diceva: “Perché non ti ritiri e lasci il posto a qualche nuovo elemento?”. Persino i colleghi me lo dicevano. Così lo feci. Mi ritirai e la vita divenne allora per me triste e senza scopo. E ora, qui, ho trovato una nuova ragione di vivere. Ho lavorato molto, ho curato i denti di tutti, e ne sono orgoglioso. Anzi mi spiace proprio che tutte le otturazioni vadano perdute nel passaggio dall’Ago.

“Inoltre ho tre assistenti giovani che fanno un buon lavoro. Spero che restino qui. Cureremo i denti di quelli che si fermeranno. E, come per il passato, ciò non costerà nulla”.

— Se pensate che torni alla lurida Chicago — disse la signora Petrie — vi sbagliate. Tutto quello che facevo là era di lavorare a maglia, sentire la radio e partecipare a riunioni di dirigenti. Lo sapete, Orcutt, non mi accadde mai nulla di interessante prima di entrare nell’Ago, e per me questa è stata un’esperienza meravigliosa: lavorare al telaio la stoffa di cui sono fatti tutti i vostri abiti. Ora ho iniziato un nuovo tipo di tessuto e non posso proprio abbandonarlo, e ne ho altri in mente. Quelli che pensano che pianti qui tutto per tornare ai ferri da calza e alla radio sono matti.

Ci fu un applauso interminabile.

Devan era molto commosso. Salì sul tavolo e cercò Betty con gli occhi. Lei lo vide e si salutarono felici.

Quindi un uomo si alzò, tendendo le braccia per chiedere silenzio.

— Molti di voi mi conoscono. Mi chiamo Elmo Hodge. Se non mi conoscete troppo bene, è perché sono stato sempre occupatissimo a costruire telescopi e a fare cartine. Al diavolo ora la drogheria! Rimango qui.

La gente rise e lui continuò:

— Vedo qui gente che a Chicago mi domandava dei soldi. Si viveva in un terribile periodo di inflazione, ricordate? Bene, non è solo per fare i telescopi che voglio restare qui, ma perché sono stufo di riempire moduli e presentare esposti allo stato e al governo, in duplicato, triplicato, quintuplicato. E voi volete tornare a tutto ciò?

La gente urlò: — No.

Hodge si sedette.

Orcutt si rivolse allora a Eric Sudduth: — E voi, Eric, non volete tornare?

— Non ho ancora finito il mio lavoro. La Bibbia non è ancora completa. Mancano ancora poche cose che voglio finire, prima di tornare, se pure tornerò.

— Non ci serve più l’Ago — urlò qualcuno.

— Senza l’Ago possiamo fare tante altre cose.

— Lasciateci usare i pezzi dell’Ago per ciò che ci occorre.

— Bruciatelo!

— Fatelo a pezzi!

La voce di Orcutt si levò al di sopra di tutto.

— No — disse — non lo romperemo. Ci occorrono i suoi pezzi. Lo smonteremo e lo utilizzeremo. Dobbiamo ancora costruire molte cose: una stazione radio, un aeroplano. E non abbiamo automobili. Abbiamo ancora molte ricerche da fare. E ora che l’Ago non occupa più il nostro tempo, potremo studiare meglio il posto in cui ci troviamo. E faremo mappe, carte geografiche. Abbiamo tanto da fare.

Costigan tirò fuori bottiglie di vino e bicchieri.

Ora che la tensione era passata, la gente rideva, parlava serenamente, e faceva progetti per il futuro.

Una volta Devan guardò Orcutt e si chiese se sapesse. Ma non poteva saperlo, perché solo Tooksberry, Costigan e lui erano al corrente. Solo ora Devan comprese cosa Tooksberry avesse voluto dire con “credere in Chicago”. La gente doveva arrivare da sé a rinnegarla, e capire che là non c’era felicità. Ma doveva credere anche di avere la possibilità di tornare.

— Perché mi avete guardato? — chiese Orcutt. — Non rispondetemi. Credo di saperlo. Come può un uomo lasciare i suoi occhiali da vista da una parte dell’Ago e leggere il “Chicago Tribune” dall’altro? È questo che pensate?

— Qualcosa del genere.

— Era deserto di là — disse Tooksberry. Beatrice gli stava alle spalle. — Rimasi a lungo su quella distesa di rocce. C’era solo pace e silenzio. Così pensai a quello che avrei potuto dire. Era l’unica cosa da fare, non credete?

— Sì — rispose Devan — ne sono convinto.

Betty, che stava seduta accanto a lui, gli strinse la mano e insieme guardarono i bambini che si allontanavano correndo nel sole.

Improvvisamente la loro attenzione fu attratta da grida che provenivano dal lago.

Devan pensò: “Qualcuno ci è caduto dentro”.

Molti salivano in cima alla piccola collina sabbiosa e guardavano giù, indicando un punto sull’acqua.

Un uomo nuotava al largo della spiaggia. Le sue braccia bianche colpirono particolarmente i cittadini della Nuova Chicago, abbronzatissimi.

Quando si fu avvicinato, cominciò lentamente a camminare fuori dall’acqua.

Era nudo. Sorrideva.

Faceva cenni di saluto alla gente che stava lì, sulla collina.

FINE