I TRE MOSCHETTIERI
VOL. IV.
DI Alessandro Dumas
VERSIONE DI ANGIOLO ORVIETO.
VOL. IV.
Napoli, GIOSUÈ RONDINELLA EDITORE Strada Trinità Maggiore nº 27 1853
TIPOGRAFIA DI G. PALMAINDICE
CONTINUAZIONE DEL CAPITOLO XLVIII.
Ma come lo abbiamo detto, Bazin non aveva, col suo felice ritorno, tolto che una parte della inquietudine che agitava i quattro amici. I giorni dell'aspettativa sono lunghi, e d'Artagnan soprattutto avrebbe scommesso che in quell'epoca i giorni avevano quarant'otto ore. Egli dimenticò la lentezza obbligata della navigazione, esagerò la potenza di milady, assegnava a questa donna che gli compariva come un demonio, degli ausiliari soprannaturali come lei: al più piccolo rumore egli s'immaginava che venivano ad arrestarlo, e che conducevano Planchet per confrontarlo con lui, e i suoi amici. Vi è di più, la sua confidenza, altra volta così grande pel degno Piccardo, diminuiva di giorno in giorno. Questa inquietudine era così forte che si comunicava a Porthos ed Aramis, e non vi era che Athos che rimaneva impassibile, come se nessun pericolo si agitasse intorno a lui, e che egli respirasse la sua atmosfera abituale.
Il sedicesimo giorno particolarmente, erano così manifesti questi segni di agitazione in d'Artagnan, e nei suoi due amici, ch'essi non potevano stare un momento nello stesso posto, ma erravano come ombre sulla via per la quale doveva giungere Planchet.
— Davvero, diceva Athos, voi non siete uomini, ma siete ragazzi: se una donna vi può fare una sì gran paura. Ebbene! di che si tratta? di essere imprigionati? e noi saremo da qualcuno tolti alla prigione; ne è stata cavata la signora Bonacieux? Di essere decapitati? ma tutti i giorni, nella trincea, noi andiamo allegramente ad esporci a molto peggio di ciò, mentre una palla può fracassarci una gamba, ed io sono persuaso che faccia maggiormente soffrire un chirurgo nel tagliare una gamba, di quello che il boia a tagliarci la testa. State dunque tranquilli; fra due, fra quattro, fra sei ore al più tardi Planchet sarà qui; egli ha promesso di esservi, ed io ho grandissima fede nelle promesse di Planchet, che ha la ciera di essere un bravo giovinetto.
— Ma s'egli non giunge? disse d'Artagnan.
— Ebbene! se egli non giunge, è segno che sarà stato ritardato sulla strada, ecco tutto. Può essere caduto da cavallo, può aver fatto una capriola per di sopra un ponte, può aver corso così forte da aver guadagnato un mal di petto. Eh! signori, pensiamo agli avvenimenti possibili. La vita è una gran corona di piccole miserie che il filosofo sgranella ridendo. Siate filosofi come me, signori, mettetevi a tavola e beviamo; niente fa comparire l'avvenire color di rosa, come l'osservarlo a traverso un bicchiere di chambertin.
— Va benissimo rispondeva d'Artagnan, ma io sono stanco di dover temere, bevendo fresco, che il vino non sorta dalla cantina di milady.
— Voi siete molto difficile! disse Athos; una donna così bella.
— Una donna da bollo! disse Porthos con un grossolano sorriso.
Athos fremette, posò la sua mano sulla sua fronte per asciugarne il sudore, e si alzò a sua volta mosso da un movimento nervoso che egli non potè comprimere.
Il giorno passò, e la sera giunse più lentamente; ma finalmente venne; le bettole si empirono di bevitori. Athos, che aveva intascata la sua parte del diamante, non lasciava più il Farfallone; egli aveva trovato il signore de Busigny, che, del resto, loro aveva dato un magnifico pranzo, un bevitore degno di lui. Essi giuocavano dunque assieme come d'ordinario, quando suonarono sette ore: s'intesero passare le pattuglie che andavano a raddoppiare i posti. A sette ore e mezzo battè la ritirata.
— Siamo perduti, disse d'Artagnan all'orecchio di Athos.
— Volete dire che abbiamo perduto, disse tranquillamente Athos cavando con flemma dieci luigi dalla sua saccoccia, e gettandoli sulla tavola. Andiamo, signori, continuò egli, batte la ritirata; andiamo a dormire.
E Athos uscì dal Farfallone seguito da d'Artagnan. Aramis veniva loro dietro dando il braccio a Porthos, ed accozzava dei versi, e Porthos si strappava di tratto in tratto qualche pelo dai suoi baffi in segno di disperazione.
Ma ecco ad un tratto, nella oscurità, si disegna una ombra la di cui ombra e famigliare a d'Artagnan, ed una voce ben conosciuta gli dice:
— Signore, io vi porto il vostro mantello, perchè questa sera fa fresco.
— Planchet! gridò d'Artagnan ebbro di gioia.
— Planchet! gridarono Porthos ed Aramis.
— Ebbene! sì Planchet, disse Athos; che cosa vi è di meraviglioso? egli aveva promesso di essere di ritorno a otto ore ed ecco che suonano le otto. Bravo! Planchet, voi siete un giovine di parola, e se mai aveste a lasciare il vostro padrone, io vi riserbo un posto al mio servizio.
— Ohi no, giammai, disse Planchet, io non lascerò giammai il signor d'Artagnan.
E nello stesso tempo d'Artagnan sentì che Planchet gli faceva scorrere in mano un piccolo biglietto.
D'Artagnan aveva una gran volontà di abbracciare Planchet; ma egli ebbe paura che questo segno di effusione, dato al suo lacchè in mezzo alla strada, non sembrasse straordinario a qualche passaggiero, e si contenne.
— Io ho il biglietto, disse egli ad Athos ed ai suoi amici.
— Sta bene, disse Athos, entriamo nelle vostre camere, e lo leggeremo.
Il biglietto bruciava la mano di d'Artagnan; egli voleva affrettare il passo, ma Athos gli prese il braccio e lo passò sotto il suo, e fu mestieri al giovane di regolare la sua corsa con quella del suo amico.
Finalmente si entrò negli alloggi, fu acceso un lume, e mentre che Planchet stava sulla porta affinchè i quattro amici non fossero sorpresi, d'Artagnan con mano tremante ruppe il sigillo, e aprì la lettera tanto aspettata.
Ella conteneva una mezza riga di scritto in inglese, e di una concisione tutta spartana:
«Thank you: be easy.»
Ciò che voleva dire: «Grazie; siate tranquillo.»
Athos prese la lettera dalle mani di d'Artagnan, raccostò al lume, e vi appiccò il fuoco, non lasciandone un pezzo che non fosse ridotto in cenere.
Quindi, chiamando Planchet,
— Ora, bravo giovane, gli disse, tu puoi reclamare le settecento lire; ma tu non arrischiavi gran cosa con un biglietto come questo.
— Ciò non è per mancanza di non avere inventato modi per custodirlo, disse Planchet.
— Ebbene! disse d'Artagnan, raccontaci come è andato.
— Diamine, ciò è lungo, signore.
— Tu hai ragione, Planchet, d'altronde la ritirata è battuta, e noi saremmo rimarcati se conservassimo il lume acceso più degli altri.
— Sia, disse d'Artagnan, andiamo a letto; dormi bene, Planchet.
— In fede mia, signore, questa sarà la prima volta dopo sedici giorni.
— Ed io pure! disse d'Artagnan.
— Ed io pure! disse Porthos.
— Ed io pure! disse Aramis.
— Ebbene! volete che vi confessi la verità? ed io pure! disse Athos.
CAPITOLO XLIX. FATALITÀ
Frattanto milady, ebbra di collera, ruggendo sul cassero del bastimento come una lionessa che venga imbarcata, aveva tentato di gettarsi in mare per riguadagnare la costa, poichè non poteva farsi un'idea ch'ella era stata insultata da d'Artagnan, minacciata da Athos, e che lasciava la Francia senza vendicarsi di loro. Ben presto quest'idea era divenuta per essa talmente insopportabile, che col rischio di ciò che poteva accaderle di terribile per se stessa, aveva supplicato il capitano di gettarla sulla costa; il capitano, sollecito di sfuggire alla sua falsa posizione, posto fra le crociere francesi ed inglesi, come un pipistrello fra i sorci e gli uccelli, aveva gran fretta d'approdare in Inghilterra; rifiutò dunque ostinatamente di obbedire a ciò che egli prendeva per un capriccio di donna, promettendo alla sua passaggiera, che, del resto, gli era stata raccomandata in modo particolare dal ministro, di gettarla, se il mare ed i francesi lo permettevano, in un qualche porto della Brettagna, sia a Loirent, sia a Brest. Ma frattanto, il vento era contrario, il mare cattivo: si bordeggiava, e si correvano piccole bordate. Nove giorni dopo la uscita dalla Charente, milady, pallida pei suoi dispiaceri e per la sua rabbia, vedeva comparire soltanto le coste azzurre di Finistère.
Ella calcolò che per traversare questa parte della Francia, e per ritornare vicino al ministro, le abbisognavano almeno quattro giorni; aggiungete questi quattro giorni agli altri nove già trascorsi, erano tredici, durante i quali potevano accadere tanti avvenimenti importanti a Londra. Ella pensò che, senza alcun dubbio, il ministro diventerebbe furioso pel suo ritorno, e che per conseguenza sarebbe più disposto a dare ascolto ai reclami che venissero fatti contro di lei, di quello che a quelli che poteva far essa contro degli altri, e per conseguenza lasciò passare Loirent e Brest senza insistere col capitano, che dal canto suo, si guardava bene dall'avvisarla. Milady continuò dunque la sua strada, e il giorno stesso in cui Planchet s'imbarcava a Portsmouth per la Francia, la messaggiera di Sua Eccellenza entrava trionfante nel porto.
Tutta la città era agitata da un movimento straordinario: quattro gran vascelli recentemente costrutti erano stati lanciati in mare. In piedi, sopra uno di questi ricoperto d'oro abbagliante, secondo il suo solito, pei diamanti e le pietre preziose, col suo cappello ornato di una piuma bianca che gli cadeva sopra una spalla, si vedeva Buckingham circondato da uno stato maggiore quasi brillante quanto lui.
Era una di quelle belle e rare giornate di estate in cui l'Inghilterra si ricorda che vi è un sole. L'astro pallido, ma pure splendido ancora, era al suo tramonto, imporporando e cielo ad un tempo e mare, con strisce di fuoco, e gettando sulle torri e le vecchie case della città un raggio d'oro che faceva sfavillare i vetri, come il riflesso d'un incendio. Milady respirando quest'aria del mare più viva e più balsamica all'avvicinarsi della terra contemplando tutta la potenza di questi preparativi, ch'essa era incaricata di distruggere, tutta la forza di quest'armata, che doveva combattere da se sola con qualche sacco d'oro, si paragonò mentalmente a Giuditta, la terribile Ebrea, quando penetrò nel campo degli Assirii, e che vide la massa enorme di carri, di cavalli, di uomini ed armi che un gesto della sua mano doveva dissipare come nube di fumo.
Entrarono in rada, ma mentre si apprestavano a gettar l'ancora, un piccolo cutter, formidabilmente armato, si avvicinò al bastimento mercantile, annunziandosi come guarda coste, fece mettere in mare la sua lancia, che si diresse verso la scala. La lancia conteneva un ufficiale e otto rematori. L'ufficiale solo montò a bordo, ove fu ricevuto con tutta la deferenza che inspira l'uniforme.
L'ufficiale si trattenne alcuni istanti col capitano, gli fece leggere alcune carte di cui era portatore, e dietro un ordine del capitano mercantile, tutto l'equipaggio del bastimento, marinari e passeggieri, fu chiamato sul ponte.
Dopo che fu fatto questo appello, l'ufficiale s'informò ad alta voce del punto di partenza del brick, della sua strada, delle sue fermate, ed a tutte le domande, il capitano soddisfece senza esitazione e senza difficoltà. Allora l'ufficiale cominciò a passare la sua rivista di tutte le persone, le une dopo le altre, e fermandosi a milady, la considerò con grande attenzione ma senza indirizzarle una sola parola.
Quindi ritornò al capitano, gli disse ancora alcune parole, e come se fosse stato a lui che d'ora innanzi doveva obbedire il bastimento, comandò una manovra che l'equipaggio tosto eseguì. Allora il bastimento si rimise in via, sempre scortato dal piccolo cutter, che vogava d'accordo con lui, minacciando il suo fianco colla bocca dei suoi cinque cannoni, nel mentre che la barca lo seguiva nel solco del naviglio, debole punto dietro una così enorme massa.
Durante l'esame che l'ufficiale aveva fatto di milady, milady, come si crederà bene, lo aveva dal canto suo divorato con lo sguardo. Ma, per quanto fosse grande l'abitudine che questa donna dagli occhi di fuoco aveva per leggere nel cuore di coloro dei quali aveva bisogno d'indovinare i segreti, ella questa volta ritrovò un viso di una tale impassibilità, che alle sue investigazioni non ne seguì alcuna scoperta. L'ufficiale che si era fermato davanti a lei, e che l'aveva silenziosamente studiata con tanta cura, poteva avere l'età di venticinque a ventisei anni, era bianco di viso, aveva gli occhi blu chiari un poco infossati; la bocca sottile e ben disegnata, restava immobile nelle sue corrette linee; il suo mento vigorosamente pronunciato, dinotava che la forza di volontà, nel tipo volgare britannico, non è ordinariamente che ostinazione; una fronte un poco fuggente, come si addice ai poeti, agli entusiasti e ai soldati, era appena ombrata da una capigliatura corta e chiara, che come la barba che copriva l'estremità inferiore del viso, era di un bel color castagno scuro.
Quando rientrarono nel porto, era già notte; la nebbia inspessiva ancora l'oscurità, e formava intorno ai fanali ed alle lanterne un cerchio, simile a quello che circonda la luna quando il tempo minaccia di diventar piovoso. L'aria che si respirava era trista, umida e fredda.
Milady, quella donna così forte, si sentiva premere suo malgrado.
L'ufficiale si fece insegnare quali erano i pacchi di milady, fece portare il suo bagaglio nella lancia, e quando fu fatta questa operazione, la invitò a discendere, presentandole egli stesso il braccio.
Milady guardò quest'uomo ed esitò.
— Chi siete voi! signore, domandò ella, che avete la bontà di occuparvi in un modo così particolare di me?
— Voi dovete vederlo, signora, dal mio uniforme. Io sono un ufficiale della marina inglese, rispose il giovane.
— Ma in fine, è forse di abitudine che gli ufficiali della marina inglese si mettano sotto gli ordini dei loro compatrioti quando approdano in un porto della Gran-Brettagna, e spingano la galanteria fino a condurli a terra?
— Sì milady, questo è l'uso, non già per galanteria, ma per prudenza, che in tempo di guerra gli stranieri sieno condotti in un albergo designato, affinchè, fino a perfetta informazione su di essi, restino sotto la sorveglianza del governo.
Queste parole furono pronunciate con la gentilezza la più squisita e la calma la più perfetta. Però esse non ebbero il dono di convincere milady.
— Ma io non sono straniera, signore, disse ella coll'accento più puro che fosse mai risuonato da Portsmouth a Manchester; io mi chiamo lady de Winter, e questa misura...
— Questa misura è generale, milady, e voi tentereste invano di sottrarvici.
— Io dunque vi seguirò, signore.
E, accettando la mano dell'ufficiale, cominciò a discendere la scala, in fondo alla quale l'aspettava la lancia. L'ufficiale la seguì: un gran mantello era steso a poppa, l'ufficiale la fece sedere sul mantello e si assise vicino a lei.
— Vogate, diss'egli ai marinari.
Gli otto remi caddero in mare formando un sol colpo, non battendo che con un sol colpo, e la lancia sembrò volare sulla superficie delle acque.
In capo a cinque minuti si toccò terra.
L'ufficiale saltò sullo scalo e offrì la mano a milady.
Una carrozza aspettava.
— Questa carrozza è per noi? domandò milady.
— Sì, milady, rispose l'ufficiale.
— L'albergo è molto lontano di qui?
— All'estremità opposta della città.
— Andiamo, disse milady.
Ella salì risolutamente in carrozza.
L'ufficiale vegliò affinchè gli equipaggi fossero solidamente attaccati dietro la cassa, e terminata questa operazione prese posto vicino a milady e chiuse lo sportello.
Tosto, senza che fosse dato alcun ordine, e senza che vi fosse stato bisogno d'indicare la destinazione, il cocchiere partì al galoppo e s'internò nelle strade della città.
Un ricevimento così strano doveva essere per milady un'ampia materia di riflessione; così, vedendo che il giovane ufficiale non sembrava menomamente disposto ad attaccare conversazione, ella si appoggiò in un angolo della carrozza, e passò in rivista le une dopo le altre tutte le supposizioni che si presentavano al suo spirito.
Frattanto, in capo ad un quarto d'ora, meravigliata della lunghezza della strada, si accostò verso lo sportello per vedere da che parte era condotta. Non si vedevano più case; fra le tenebre comparivano soltanto degli alberi, come fantasmi neri, che corressero gli uni dopo gli altri.
Milady rabbrividì.
— Ma noi non siamo più in città, signore, disse ella.
Il giovine ufficiale osservò il silenzio.
— Io non anderò più avanti se voi non mi dite dove mi conducete, ve ne prevengo, signore.
Questa minaccia non ottenne veruna risposta.
— Ah! questa è troppo forte! grido milady. Soccorso! soccorso!
Nessuna voce rispose alla sua; la carrozza continuava a correre con rapidità. L'ufficiale sembrava una statua.
Milady lo guardò con una di quelle terribili espressioni, particolari al suo viso, e che mancavano tanto raramente del loro effetto. La collera faceva scintillare i suoi occhi nelle tenebre.
Il giovane rimase impassibile.
Milady volle aprire lo sportello per precipitarvisi.
— Fate attenzione, signora, disse freddamente l'ufficiale, voi vi ucciderete saltando.
Milady si riassise colla schiuma alla bocca. L'ufficiale si accostò, e la guardò a sua volta, e parve sorpreso di vedere questa figura non ha guari così bella, sconvolta per la rabbia e divenuta quasi schifosa. L'astuta creatura capì che si perdeva lasciando vedere in tal modo l'interno dell'anima sua; ella rasserenò i suoi lineamenti, e con una voce gemebonda:
— In nome del cielo, signore, ditemi se è a voi, se è al vostro governo, se è ad un qualche nemico che io debbo attribuire la violenza che mi viene fatta.
— Non vi si fa alcuna violenza, signora, e ciò che vi accade è il risultato di una misura semplicissima che siamo costretti di prendere con tutti quelli che sbarcano in Inghilterra.
— Allora voi non mi conoscete, signore?
— È la prima volta che ho l'onore di vedervi.
— E, sul vostro onore, voi non avete alcun soggetto di rancore contro di me?
— Alcuno: ve lo giuro.
E vi era tanta serenità e sangue freddo, ed anche dolcezza nella voce di questo giovane, che milady si rassicurò.
Finalmente, dopo un'ora circa di cammino la carrozza si fermò davanti un cancello di ferro che chiudeva una via scavata, conducente ad un castello di forma severa, massiccio ed isolato. Allora, siccome le ruote giravano sopra una sabbia fina, milady intese un vasto muggito che riconobbe pel rumore del mare che viene ad infrangersi contro una costa scoscesa.
La carrozza passò sotto due vôlte, finalmente si fermò in un cortile tetro e quadrato. Quasi subito la portiera si aprì, il giovane saltò leggermente a terra, presentò la sua mano a milady che si appoggiò e discese a sua volta con molta calma.
— Io dunque sono sempre prigioniera, disse milady guardando intorno a se e riportando i suoi occhi sul giovane ufficiale col più grazioso sorriso; ma io non lo sarò lungamente, ne sono sicura, aggiunse ella. La mia coscienza e la vostra gentilezza, signore, me ne sono garanti.
Per quanto fosse lusinghiero il complimento, l'ufficiale non rispose una parola; ma cavando dalla sua cinta un piccolo fischietto d'argento simile a quello che si servono per dare il comando sui bastimenti da guerra, fischiò tre volte sopra diverse ondulazioni; tosto comparvero parecchi uomini, staccarono i cavalli fumanti, e posero la carrozza nella sua rimessa.
L'ufficiale, sempre con la stessa tranquilla cortesia, invitò la sua prigioniera a entrare in casa. Questa, sempre col massimo viso sorridente, lo prese pel braccio, ed entrò con lui sotto una porta bassa, illuminata soltanto nel fondo che conduceva ad una scala di pietra a chiocciola; si fermarono quindi davanti ad una porta massiccia che, dopo l'introduzione di una chiave che il giovane portava seco, girò pesantemente sui suoi cardini, e dette apertura alla camera destinata a milady. Con un solo sguardo la prigioniera abbracciò l'appartamento nelle sue più piccole parti.
Era una camera il di cui mobiglio era molto proprio per una prigione, ma nello stesso tempo molto rigido per un uomo in libertà. Però le sbarre alle finestre, e i chiavistelli all'esterno della porta decidevano il pensiero sul conto di una prigione.
Per un istante tutta la forza d'animo di questa creatura, sebbene temperata alle sorgenti le più rigorose, l'abbandonò. Ella cadde sopra una sedia, incrociò le braccia, abbassando la testa, ed aspettando ad ogni istante di vedere entrare un giudice per interrogarla.
Ma non entrò alcuno, se non che due o tre soldati di marina che portarono il suo equipaggio, lo deposero in un canto e si ritirarono senza dir parola.
L'ufficiale presiedeva a tutti questi particolari con quella stessa calma che milady gli aveva costantemente veduta, non pronunciando una parola, e facendosi obbedire con un gesto della sua mano, o con un soffio del suo fischietto.
Si sarebbe detto che fra quest'uomo e i suoi inferiori la lingua parlata non esisteva o era divenuta inutile.
Finalmente milady non potè contenersi più lungamente, e ruppe il silenzio.
— In nome del cielo, signore, gridò essa, che vuol dire tuttociò che accade? fissate le mie irresoluzioni: io ho coraggio per ogni pericolo che prevedo, per ogni disgrazia che comprendo. Dove sono io, e che cosa sono io? sono io libera? e perchè queste sbarre e queste porte? sono io prigioniera? qual delitto ho io commesso?
— Voi siete qui nell'appartamento che vi è destinato, signora. Ho ricevuto l'ordine di venirvi a prendere in mare, e di condurvi in questo castello. Io credo di avere adempito a quest'ordine con tutto il rigore di un soldato, ma nello stesso tempo con tutta la cortesia di un gentiluomo. Qui termina, almeno per ora, l'incarico che mi era stato imposto di compiere vicino a voi; il resto spetta ad un'altra persona.
— E quest'altra persona, chi è? domandò milady, non potete voi dirmi il suo nome?
In questo momento s'intese per le scale un gran rumore di speroni; alcune voci passarono e si estinsero, ed il rumore di un passo isolato si avvicinò fino alla porta.
— Questa persona, eccola qui, signora disse l'ufficiale sgombrando il passo, e ponendosi nell'attitudine del rispetto e della sommessione.
Nello stesso tempo la porta si aprì. Un uomo comparve sulla soglia.
Egli era senza cappello, portava la spada al fianco e contorceva il fazzoletto.
Milady credè riconoscere fra l'ombre quest'ombra; si appoggiò con una mano sul sostegno del suo seggio, ed innoltrò la testa come per andare incontro ad una certezza.
Allora lo straniero si avvicinò lentamente, e a misura che s'innoltrava, entrando nel cerchio luminoso proiettato dalla lampada, milady indietreggiava involontariamente.
Quindi allorchè ella non ebbe più alcun dubbio.
— E che! fratello mio, gridò essa al colmo dello stupore, siete voi?
— Sì, bella dama, rispose lord de Winter facendo un saluto per metà cortese, e per metà ironico, io stesso.
— E allora questo castello...?
— È mio.
— Questa camera....
— È la vostra.
— Io sono dunque vostra prigioniera?...
— Presso a poco.
— Non diciamo grandi parole; sediamo, e parliamo tranquillamente come convien di fare tra un fratello ed una sorella.
Quindi voltandosi verso la porta, e vedendo che il giovane ufficiale aspettava gli ultimi suoi ordini.
— Sta bene, diss'egli, io vi ringrazio; ora lasciateci sig. Felton.
CAPITOLO L. CIARLATA TRA FRATELLO E SORELLA
Durante il tempo che lord de Winter mise a chiudere la porta, a spingere un catenaccio e ad avvicinare una sedia al seggio di sua cognata, milady, distratta, immerse il suo sguardo nella profondità del possibile, e scuoprì tutta la trama che non avea potuto neppure intravedere fino a che ignorava in quali mani era caduta. Ella conosceva suo cognato per un gentiluomo, franco cacciatore, giuocatore, intraprendente con le donne, ma di una forza al disotto della mezzana per gl'intrighi. Come aveva egli potuto scuoprire il suo arrivo? farla arrestare e perchè la riteneva egli?
Athos le aveva detto qualche parola che provava che la conversazione che aveva tenuta col ministro era stata udita da orecchie straniere, ma non poteva ammettere che le fosse stata scavata una contromina così pronta e ardita. Ella temè ben più, che le sue precedenti operazioni in Inghilterra fossero state scoperte. Buckingham poteva avere indovinato ciò che essa era, e che era stata essa che gli aveva tagliati di dosso i due puntali, e che per vendicarsi di questo piccolo tradimento... Ma Buckingham era incapace di portarsi ad un eccesso contro una donna, particolarmente se questa donna poteva essere scusata coll'agire per un sentimento di gelosia.
— Sì, parliamo, fratello mio, disse ella con una specie di rassegnazione, decisa come era di cavare da questa conversazione tutti gli schiarimenti di cui poteva aver bisogno in seguito, ad onta di tutte le dissimulazioni che avesse potuto presentare lord de Winter.
— Voi dunque vi siete decisa a ritornare in Inghilterra, disse lord de Winter, malgrado la risoluzione che mi avete così spesso manifestata a Parigi di non rimettere più mai il piede sul territorio della Gran-Brettagna.
Milady rispose a questa domanda con un'altra domanda.
— Prima di tutto, diss'ella, ditemi in che modo avete potuto tenermi gli occhi addosso, e ciò tanto severamente da essere in antecedenza prevenuto non solo del mio arrivo, ma ancora del giorno, dell'ora e del porto dove arriverei?
— Ma ditemi voi stessa, mia cara cognata, riprese egli, ciò che venite a fare in Inghilterra.
— Io vengo a vedervi, riprese milady, senza sapere quanto essa aggravava con questa risposta i sospetti che aveva fatti nascere nello spirito di suo cognato la lettera di d'Artagnan, e volendo soltanto cattivarsi la benevolenza del suo uditore con una menzogna.
— Ah! per veder me, disse sardonicamente de Winter.
— Senza dubbio, per vedervi. Che cosa vi è di meraviglioso?
— E voi nel venire in Inghilterra non avete altro scopo che quello di vedermi?
— No.
— Così è per me solo che vi siete data la pena di traversare la Manica?
— Per voi solo.
— Peste! che tenerezza, sorella mia!
— Ma non sono io la vostra più prossima parente? domandò milady con un tuono della più commovente ingenuità.
— Ed anche la mia sola ereditiera, non è vero? disse a sua volta lord de Winter, fissando i suoi occhi su quelli di milady, vale a dire per mezzo di vostro figlio.
Qualunque fosse la possanza ch'ella avesse su di se stessa, milady non potè esimersi dal fremere, e siccome, nel pronunciare le ultime parole che lord de Winter aveva dette, egli posò la mano sul braccio di sua cognata, così questo fremito non gli sfuggì.
In fatti il colpo era diretto e profondo. La prima idea che venne allo spirito di milady, fu che era stata tradita da Ketty; e che questa aveva raccontato al barone l'interessata avversione di cui essa aveva lasciato sfuggire imprudentemente i segni davanti alla sua servente, e si ricordò pure la furiosa ed imprudente uscita ch'essa aveva fatta contro d'Artagnan, quando questi aveva salvata la vita di suo cognato.
— Io non capisco, milord, diss'ella, per guadagnar tempo e far parlare il suo avversario, che volete dire? vi è forse qualche senso nascosto sotto le vostre parole.
— Oh! mio Dio, no, disse lord de Winter con una apparente bonarietà. Voi avete il desiderio di venirmi a vedere, e venite in Inghilterra. Io apprendo questo desiderio, o piuttosto io dubito che voi lo proviate, e per risparmiarvi tutte le noie di un arrivo notturno in un porto, tutte le fatiche di uno sbarco, invio uno dei miei ufficiali incontro a voi, io metto una carrozza sotto i suoi ordini, ed egli vi trasporta qui in questo castello, di cui io sono il governatore, ove vengo tutti i giorni, e dove, affinchè il nostro desiderio di vederci sia soddisfatto, vi faccio preparare una camera. Che cosa vi è di meraviglioso in tutto ciò che vi dico più che in quello che voi avete detto a me?
— No, ciò che io trovo di straordinario, si è che voi siete stato prevenuto del mio arrivo.
— Eppure è la cosa più semplice, mia cara cognata: non avete voi veduto che il capitano del vostro piccolo bastimento, entrando in rada, per ottenere il suo ingresso nel porto, ha mandato avanti una lancia che portava il libro ossia il registro delle persone a bordo? io sono comandante del porto, mi è stato presentato questo libro, vi ho riconosciuto il vostro nome. Il cuore mi ha detto ciò che or ora mi ha confirmato la vostra bocca, vale a dire, con quale scopo voi vi siete esposta ai pericoli di un mare pieno di rischi, o per lo meno tanto faticoso in questo momento, e vi ho inviato incontro il mio cutter. Voi sapete il resto.
Milady capì che lord de Winter mentiva, e ciò non fece che spaventarla sempre più.
— Fratello mio, non è stato, continuò essa milord Buckingham che ho veduto sul varo questa sera nel giungere?
— Egli stesso. Oh! capisco che la sua vista deve avervi colpita, riprese Lord de Winter; voi venite da un paese che si deve occupare molto di lui, e io so che i suoi armamenti contro la Francia preoccupano molto il ministro vostro amico.
— Mio amico il ministro! gridò milady, vedendo che su questo punto come sull'altro milord de Winter sembrava istrutto di tutto.
— Non è egli dunque vostro amico? rispose negligentemente il barone. Ah! perdono, io lo credeva. Ma noi ritorneremo a milord duca più tardi. Non ci allontaniamo dalla piega sentimentale che aveva presa la nostra conversazione. Voi venite, dunque, per vedermi?
— Sì.
— Ebbene! io vi ho risposto che sarete servita a seconda dei vostri desiderii, e che noi ci vedremo tutti i giorni.
— Debbo io dunque rimanere eternamente qui? domandò milady con un certo spavento.
— Vi trovereste forse male alloggiata, sorella mia? domandate ciò che vi manca, e io mi affretterò di farvelo dare.
— Ma io qui non ho nè la mia cameriera, nè la mia servitù.
— Voi avrete tutto, signora; ditemi su qual piede il vostro primo marito aveva montata la vostra casa, e quantunque io non sia che vostro cognato, ve la monterò sullo stesso piede.
— Il mio primo marito? gridò milady guardando Lord de Winter con occhi spaventati.
— Sì, il vostro marito francese; io non parlo di mio fratello. Del resto, se voi lo avete dimenticato, siccome egli vive ancora io potrò scrivergli, ed egli mi farà rimettere le informazioni su questo argomento.
Un sudor freddo stillò dalla fronte di milady.
— Voi scherzate diss'ella con voce sorda.
— Ne ho fors'io l'aspetto? domandò il barone alzandosi, e facendo un passo indietro.
— O piuttosto voi m'insultate, continuò ella stringendo colle sue mani convulse i due bracciali del seggio, e sollevandosi sui pugni.
— Insultarvi! io? disse Lord de Winter con disprezzo, in verità, signora, credete voi che sia possibile?
— Signore, disse milady, voi siete ubriaco, o insensato. Uscite, e inviatemi le mie donne.
— Le donne sono poco secrete, sorella mia; non potrei farvi io da cameriere? in questo modo tutti i nostri segreti resterebbero in famiglia.
— Insolente, gridò milady.
E come mossa da una molla balzò verso il barone, che l'aspettò con impassibilità, ma però con una mano sulla guardia della spada.
— Eh! eh, diss'egli so bene che avete l'abitudine di assassinare la gente: ma io mi so difendere, ve ne prevengo, fosse anche contro di voi.
— Oh! avete ragione, disse milady e voi mi fate l'effetto di essere abbastanza vile per portare la mano sopra una donna.
— Se ciò accadesse, avrei la mia scusa. La mia mano, d'altronde non sarebbe la prima mano di uomo che si sarà posata sopra di voi, m'immagino:
E il barone indicò con un gesto lento ed accusatore la spalla sinistra di milady, che egli quasi toccò colla punta del dito. Milady mandò un ruggito sordo, e rinculò fino all'angolo opposto della camera, come una pantera che si accovaccia per slanciarsi
— Oh! ruggite pure quanto volete! gridò Lord de Winter, ma non tentate di mordere, poichè ve ne prevengo, la cosa ricadrebbe in vostro pregiudizio: qui non vi sono regalatori che regalino in antecedenza le successioni; qui non vi sono cavalieri erranti che vengono a muovermi lite per la bella dama che ritengo prigioniera: ma io ho già pronti dei giudici che disporranno di una donna abbastanza svergognata per venire ad introdursi, bigama, nella famiglia di Lord de Winter, mio fratello maggiore, e i suoi giudici, vi rimanderanno al carnefice che vi farà le due spalle uguali.
Gli occhi di milady mandavano tali lampi che, quantunque Lord de Winter fosse uomo, e armato davanti ad una donna disarmata, egli sentì il freddo della paura penetrargli fino al fondo dell'anima; egli però non tralasciò, che anzi con un furore sempre crescente;
— Sì, capisco dopo avere ereditato da mio fratello, vi sarebbe stato dolce l'ereditare anche da me; ma sappiatelo in antecedenza, voi potete uccidermi, o farmi uccidere, le mie precauzioni sono di già state prese: neppure uno scellino di quanto io possedo passerà nelle vostre mani, nè in quelle di vostro figlio. Non siete voi già abbastanza ricca, voi che possedete quasi un mezzo milione? e non potevate voi fermarvi su la vostra strada fatale, se non facevate il male per la sola gioia infinita e suprema di farlo? Oh! sentite, io ve lo dico, se la memoria di mio fratello non mi fosse sacra, voi andreste a imputridire in un carcere di stato, o a rallegrare a Tyburn la curiosità dei marinari! Io mi tacerò ma voi sopportate tranquillamente la vostra cattività. Fra quindici o venti giorni io partirò per la Rochelle coll'armata; ma, il giorno innanzi della mia partenza, verrà e prendervi un vascello, che io vedrò partire, e che vi condurrà nelle vostre colonie del Sud, e siate tranquilla, io vi darò un compagno che vi brucerà le cervella al tentativo che arrischiate per ritornare in Inghilterra o sul continente.
Milady ascoltava con un'attenzione che dilatava i suoi occhi infiammati.
— Ma fino a quell'ora, continuò Lord de Winter, voi rimarrete in questo castello; le mura ne sono grosse, le porte ne sono forti, i catenacci sono solidi, e la vostra finestra sbarrata dà a picco sul mare. Gli uomini del mio equipaggio, che mi sono affezionati per la vita e per la morte, montano la guardia intorno a questo appartamento e sorvegliano tutti i passaggi che conducono al cortile; poi, giunta al cortile, vi resterebbe ad attraversare tre cancelli di ferro. La consegna è precisa: un passo, un gesto, una parola che simuli una evasione, e si farà fuoco contro di voi. Se vi si trova morta, sono persuaso che la giustizia inglese mi sarà obbligata di avere risparmiato a lei questa briga. Ah! i vostri lineamenti riprendono la loro calma, il vostro viso ritrova la sua sicurezza! dieci giorni, quindici giorni, dite voi; bah! di qui a là, io ho lo spirito inventore, mi verrà una qualche idea; io ho lo spirito infernale, e ritroverò qualche vittima. Di qui a quindici giorni, voi vi dite, io sarò fuori di qui. Ebbene! provatevici.
Milady, vedendosi indovinata, si cacciò le unghie nelle carni per domare ogni movimento che avesse potuto dare alla sua fisonomia un significato qualunque, oltre quello dell'angoscia.
Lord de Winter continuò:
— In quanto all'ufficiale che solo qui comanda in mia assenza, voi lo avete veduto, dunque lo conoscete di già: egli sa, come voi vedete, osservare una consegna, poichè voi non siete venuta da Portsmouth a qui senza aver tentato di farlo parlare. Che ne dite? una statua di marmo avrebbe potuto essere più impassibile e più muta? voi avete già esperimentato il potere delle vostre seduzioni su molti uomini, e disgraziatamente vi siete sempre riuscita: ma tentate su quello, perdinci! se voi ci venite a capo, io vi dichiaro essere il demonio.
Quindi andò verso la porta e l'aprì in fretta.
— Che si chiami il signor Felton, diss'egli. Aspettate anche un momento, ed io vi raccomanderò a lui.
Fra questi due personaggi successe uno strano silenzio, durante il quale s'intese il rumore di un passo lento e regolare che si avvicinava. Ben presto nell'ombra del corridoio, si vide a designarsi una forma umana, e il giovane sottotenente, col quale noi abbiamo già fatto conoscenza, si fermò sul limitare della porta, aspettando gli ordini del barone.
— Entrate, mio caro John, disse lord de Winter; entrate, e chiudete la porta.
Il giovane uffiziale entrò.
— Ora disse il barone, guardate questa donna: ella è giovane, ella è bella, ella possiede tutte le seduzioni della terra: ebbene! questo è un mostro che ha venticinque anni, si è reso colpevole di tanti delitti quanti se ne possono leggere negli archivi dei nostri tribunali. La sua voce previene in suo favore, la sua bellezza serve di esca alle vittime; ella tenterà di sedurvi, fors'anche potrà tentare di uccidervi. Io vi ho tolto dalla miseria, vi ho fatto nominare sottotenente, vi ho salvato una volta la vita, voi sapete in quale occasione; io sono per voi non solo un protettore, ma un amico; non solo un benefattore, ma un padre. Questa donna è venuta in Inghilterra per cospirare contro la mia vita; io tengo questo serpente fra le mani: ebbene! io vi faccio chiamare e vi dico: «amico Felton John, figlio mio, difendimi, e soprattutto difenditi da questa donna. Giura sulla tua salute di conservarla pel gastigo che ella ha meritato! John Felton, io mi affido alla tua parola; John Felton io credo alla tua lealtà».
— Milord, disse il giovane ufficiale caricando il suo sguardo con tutto l'odio che poteva ritrovare nel suo cuore; milord: io vi giuro che sarà fatto ciò che desiderate.
Milady ricevette questo sguardo colla rassegnazione di una vittima: era impossibile di vedere un'espressione più sottomessa e più dolce di quella che allora regnava nel suo bel viso. Lord de Winter stesso appena vi avrebbe riconosciuta la tigre che un momento prima si preparava a combattere.
— Ella non uscirà mai da questa camera, intendete, John, continuò il barone; ella non corrisponderà con alcuno, ella non parlerà che con voi, se pure voi vorrete farle l'onore d'indirrizzarle la parola.
— Basta, milord, ed io ho giurato.
— Ed ora, signora, disse il barone, cercate di fare la vostra pace con Dio, poichè dagli uomini siete già stata giudicata.
Milady lasciò cadere la sua testa come s'ella si fosse sentita schiacciare sotto il peso di questo giudizio. Lord de Winter uscì facendo un gesto a Felton, che uscì dietro di lui, e chiuse la porta.
Un istante dopo si sentì nel corridoio il passo pesante di un soldato di marina, che colla mannaia a cintola, e il moschetto alla spalla, faceva la sentinella.
Milady per qualche minuto restò nella stessa posizione, poichè pensò che forse era guardata dal buco della serratura; quindi rialzò lentamente la testa, che aveva ripreso una formidabile espressione di minaccia e di sfida; corse ad ascoltare alla porta, guardò per la finestra, e ritornando a raggrupparsi del suo vasto seggio, si mise a pensare.
CAPITOLO LI. L'UFFICIALE
Frattanto il ministro Richelieu aspettava le notizie d'Inghilterra, ma non giungeva alcun'altra notizia se non che dispiacente e minacciosa. Abbenchè la Rochelle fosse investita, abbenchè potesse sembrar certo il successo, mercè le precauzioni prese, e soprattutto per l'azione della diga, che non lasciava penetrare nessuna barca nella città assediata, il blocco poteva ancora durare lungamente, e questo era un grande affronto per le armate del re, e un grande incomodo pel ministro che aveva non più a intorbidare fra il re Luigi XIII e la regina Anna, la cosa essendo già fatta, ma a riaccomodare il signor de Bassompierre che si era intorbidato col duca Angouleme!
La città, ad onta della incredibile perseveranza del suo governatore, aveva tentato una specie di ammutinamento per arrendersi. Il governatore aveva fatto impiccare gli ammutinati. Questa esecuzione calmò le teste più calde, che allora si decisero a lasciarsi morire di fame; questa morte loro sembrava più lenta, e meno sicura che il trapasso per istrangolazione.
Dal canto loro, di tempo in tempo gli assedianti prendevano dei messaggieri, che i Roccellesi inviavano a Buckingham, o delle spie che Buckingham inviava ai Roccellesi. Nell'uno, e nell'altro caso il processo era presto fatto. Il ministro diceva una sola parola: Impiccate! s'invitava il re a venire a vedere questa funzione. Il re veniva languidamente, si metteva in buon posto per vedere l'operazione in tutte le sue minuzie: ciò lo distraeva sempre un poco, e gli faceva tollerare l'assedio con pazienza; ma ciò non gl'impediva di annoiarsi mortalmente, e di parlare tutti i momenti del suo ritorno a Parigi; di modo che, se i messaggieri, o i spioni fossero mancati, Sua Eccellenza, ad onta di tutta la sua immaginazione, si sarebbe ritrovato molto imbarazzato.
Ciò non ostante il tempo passava, i Roccellesi non si arrendevano, l'ultimo spione che era stato preso aveva una lettera. Questa diceva bene a Buckingham che la città era agli ultimi estremi, ma invece di soggiugnere: «Se il vostro soccorso non giugne prima di quindici giorni, noi ci arrenderemo», soggiungeva semplicemente «Se il vostro soccorso non giugne prima di quindici giorni, quando arriverà, noi saremo tutti morti dalla fame».
I Roccellesi non avevano dunque altra speranza che in Buckingham; Buckingham era il loro salvatore. Era evidente che se un giorno essi sapevano in modo sicuro che non potevano più contare su Buckingham, il loro coraggio sarebbe caduto colla loro speranza.
Il ministro aspettava dunque con grande impazienza le notizie d'Inghilterra che gli annunziassero che Buckingham non verrebbe più.
La quistione di prendere la città di viva forza era stata più d'una volta dibattuta nel consiglio del re, ma era sempre stata ributtata. Primieramente la Rochelle sembrava impenetrabile; quindi il ministro, che che ne dicesse, sapeva bene che l'orrore del sangue sparso in questo incontro, in cui i Francesi dovevano battersi contro i Francesi, era un movimento retrogrado di sessant'anni, impresso alla politica, e il ministro era in quell'epoca ciò che in oggi si chiama un uomo di progresso. In fatti, il saccheggio della Rochelle, e il massacro di tre o quattro mila ugonotti che si fossero fatti uccidere, rassomigliava troppo, nel 1628, al massacro del San Bartolomeo nel 1572. Finalmente, oltre a tuttociò, questo mezzo estremo al quale il re, quantunque buon cattolico, non ripugnava menomamente, veniva sempre a vuoto contro l'argomento dei generali assedianti che dicevano! «La Rochelle non si può prendere in altro modo che con la fame».
Il ministro non poteva allontanare dal suo spirito il timore in cui lo gettava il suo terribile emissario: poichè aveva compreso, egli pure, le strane proposizioni di questa donna, ora serpente, ora lionessa. L'aveva ella tradito? era ella morta? In ogni caso egli la conosceva abbastanza per sapere che agendo per lui, o contro lui, amica o nemica essa non rimarrebbe immobile senza grandi impedimenti: ma donde venivano questi impedimenti? era ciò che non poteva sapere.
Del resto egli contava, e con ragione, sopra milady, poichè aveva indovinato, negli antecedenti di questa donna, delle cose così terribili che appena il suo alto grado poteva coprire; e sentiva che per una causa, o per l'altra, questa donna era a lui venduta, non potendo ritrovare che in lui un appoggio superiore al pericolo che la minacciava.
Risolse dunque di fare la guerra egli solo, e di non aspettare nessun estraneo soccorso che come una eventualità favorevole. Continuò a far lavorare la famosa diga che doveva affamare la Rochelle, e frattanto gettò gli occhi su questa disgraziata città che racchiudeva tante profonde miserie, e tante eroiche virtù, e ricordandosi il motto di Luigi XI, suo predecessore politico, come egli fu il predecessore di Robespierre, si ricordò questa massima del compare di Tristan: «Dividere per regnare».
Enrico IV assediando Parigi faceva gettare per di sopra alle mura del pane e dei viveri. Il ministro fece gettare dei piccioli biglietti nei quali rappresentava ai Roccellesi come la condotta dei loro capi era ingiusta, egoista e barbara. Questi capi avevano del grano in abbondanza, e non lo dividevano; essi adottavano per massima, poichè essi pure avevano delle massime, che poco importava che le donne, i fanciulli ed i vecchi morissero, purchè gli uomini che dovevano difendere le mura, fossero forti e ben nutriti. Fin là, sia attaccamento sia impotenza di reagire contro essa, questa massima, senza essere generalmente adottata, era però passata dalla teoria alla pratica; ma i biglietti vennero a portarvi del danno. I biglietti ricordavano agli uomini che questi fanciulli, che questi vecchi, che queste donne che si lasciavano morire, erano i loro figli, le loro mogli, i loro padri; che sarebbe più giusto che ciascuno fosse ridotto alla comune miseria affinchè una stessa posizione facesse prendere risoluzioni unanimi.
Ma al momento in cui il ministro vedeva già fruttare il suo espediente, e si applaudiva di averlo messo in uso, un abitante della Rochelle, che era potuto passare attraverso le file dei realisti, Dio sa come, tanto era grande e triplicata la sorveglianza di Bassompierre, di Schomberg, e del duca d'Angouléme, sorvegliati essi stessi dal ministro; un abitante della Rochelle, dicevamo, entrò in Città venendo da Portsmouth, dicendo che aveva veduta una flotta magnifica pronta a mettere alle vele prima di otto giorni. Di più, Buckingham annunziava al governatore, che la gran lega contro la Francia stava per dichiararsi, e che il regno stava per essere investito nello stesso tempo dalle armate inglesi, spagnole, ed imperiali. Questa lettera fu letta pubblicamente su tutte le piazze, ne fu affissa una copia agli angoli delle strade, e quelli che tentavano di aprire delle trattative, risoluti di aspettare questo soccorso così prontamente annunziato, le interruppero.
Questa impreveduta circostanza ridestò in Richelieu le sue primiere inquietudini, e lo forzò a rivoltare di nuovo i suoi occhi dall'altra parte del mare.
In questo mentre, eccetto le inquietudini del suo solo e vero capo, l'armata realista menava gioconda vita; i viveri non mancavano al campo, e neppure il danaro. Tutti i corpi rivalizzavano d'audacia e di allegria. Prendere degli spioni e impiccarli, fare delle spedizioni azzardate sulla diga, o sul mare, immaginare delle follie, eseguirle freddamente, tale era il passatempo che faceva trovar corti all'armata questi giorni così lunghi, non solamente per i Roccellesi, che erano corrosi dalla fame e dall'ansietà, ma ancora pel ministro che li bloccava così strettamente.
Qualche volta quando il ministro, cavalcando sempre come l'ultimo gendarme dell'armata, girava il suo sguardo pensieroso sopra queste operazioni così lente a seconda del suo desiderio, che elevavano sotto i suoi ordini gl'ingegneri che faceva venire da tutti gli angoli della Francia; se si incontrava in un moschettiere della compagnia di Tréville, egli si avvicinava a lui, e lo guardava in modo singolare, e non lo riconoscendo per uno dei nostri quattro compagni, lasciava andare altrove il suo sguardo profondo, e il suo vasto pensiero.
Un giorno in cui divorato da una noia mortale, senza speranze di trattative con la città, senza notizie dell'Inghilterra, il ministro era uscito col solo scopo di uscire accompagnato soltanto da Cahusac e da Houdinière lungo la spiaggia, unendo l'immensità delle sue idee colla immensità dell'Oceano, giunse, al piccolo passo del suo cavallo, sopra una collina, di dove scoprì dietro una siepe, sdraiati sull'erba, e al sicuro da un troppo gran sole, sotto l'ombra di un gruppo di alberi, sette uomini circondati da bottiglie vuote. Quattro di questi uomini erano i nostri moschettieri, intenti ad ascoltare la lettura di una lettera che uno di essi aveva ricevuta; questa lettera era così importante, che aveva fatto abbandonare sopra un sasso le carte e i dadi. Gli altri tre erano occupati a levare il tappo ad una enorme damigiana di vino di Collioure; erano i lacchè di questi signori.
Il ministro, come abbiamo detto, era di cattivo umore, e quando era in questa situazione di spirito, niente raddoppiava più il suo malo umore, quanto la allegria degli altri. D'altronde egli aveva una singolare preoccupazione, ed era quella di creder sempre che le stesse cause della sua tristezza, cagionassero la allegria degli altri. Facendo segno a Houdinière e a Cahusac di fermare, discese da cavallo, e si avvicinò a questi allegri sospetti, sperando che la sabbia avesse coperto il rumore dei suoi passi, e mercè la siepe che velava il suo cammino, poter sentire qualche parola di questa conversazione che gli sembrava tanto interessante. A dieci passi soltanto dalla siepe riconobbe la pronunzia guascona di d'Artagnan, e siccome egli sapeva già che questi uomini erano moschettieri, non dubitò più che gli altri tre fossero quelli che venivano nel campo chiamati gl'inseparabili, vale a dire Athos, Porthos ed Aramis.
Si penserà facilmente se il suo desiderio di sentire la conversazione si aumentò per questa nuova scoperta; i suoi occhi presero una strana espressione e con un passo di tigre si avanzò verso la siepe, ma non aveva ancora potuto afferrare che vaghe sillabe e senza alcun senso positivo, allorquando un grido sonoro e corto lo fece fremere, e attirò l'attenzione dei moschettieri.
— Ufficiale! gridò Grimaud.
— Voi parlate, io credo, disse Athos sollevandosi sopra un gomito e affascinando Grimaud col suo sguardo fiammeggiante.
Per questo Grimaud non aggiunse parola, e si contentò di stendere il dito indicatore verso la direzione della siepe, denunziando con questo gesto il ministro e la sua scorta.
Con un solo sbalzo i quattro moschettieri furono in piedi e salutarono con rispetto.
Il ministro sembrava esser furioso.
— Sembra che i sig. moschettieri si facciano guardare? diss'egli. Forse che gl'Inglesi vengono per terra, o sarebbe forse che i moschettieri si considerano come ufficiali superiori?
— Mio-signore, riprese Athos, poichè, in mezzo al generale spavento, egli solo aveva conservata la calma e quel sangue freddo da gran Signore, che non lo abbandonavano mai; Mio-signore, i moschettieri, quando non sono di servizio o che il loro servizio è terminato, giuocano ai dadi, bevono e sono ufficiali più che superiori pei loro lacchè.
— Dei lacchè, brontolò il ministro, dei lacchè che hanno la consegna di avvertire i loro padroni quando passa qualcuno; questi non sono lacchè, sono sentinelle!
— Sua Eccellenza vede bene, frattanto, che se non avessimo presa questa precauzione, noi saremmo stati esposti a lasciarla passare senza presentargli i nostri rispetti, e offrirgli i nostri ringraziamenti per la grazia che ci ha fatta di riunire a noi d'Artagnan, continuò Athos. D'Artagnan, voi che poco fa desideravate questa occasione di esprimere la vostra gratitudine a Sua Eccellenza, eccola giunta, approfittatene.
Queste parole furono pronunciate con quella flemma imperturbabile che distingueva Athos nelle ore di pericolo, e quella eccessiva gentilezza che in certi momenti faceva di lui un re più maestoso che i re di nascita.
D'Artagnan s'avvicinò e balbettò alcune parole di ringraziamento, che ben presto sparirono sotto il torbido sguardo del ministro.
— Non importa, signori, continuò il ministro senza sembrare menomamente sviato dalla sua prima intenzione, per l'incidente che Athos aveva sollevato; non importa, io non amo che dei semplici soldati, perchè hanno il vantaggio di servire in un corpo privilegiato, facciano tutti i gran signori, la disciplina è uguale a tutti.
Athos lasciò il ministro terminare compiutamente la sua frase, e inchinandosi in segno di assentimento, riprese a sua volta.
— La disciplina, Mio-signore, non è stata in alcun modo, io spero, dimenticata da noi. Noi non siamo di servizio e abbiamo creduto, non essendo di servizio di potere impiegare il nostro tempo come meglio ci pareva. Se siamo abbastanza fortunati perchè Vostra Eccellenza abbia qualche ordine particolare da darci, siamo pronti ad obbedire Vostra Eccellenza; Vostra Eccellenza vede, continuò Athos aggrottando il sopracciglio, perchè questa specie d'interrogazione cominciava a fargli perdere la pazienza, che per esser pronti al più piccolo segnale noi siamo usciti con le nostre armi.
E col dito mostrò al ministro i quattro fucili in fascio vicino al luogo sul quale erano le carte e i dadi.
— Che vostra Eccellenza voglia credere, che noi ci saremmo posti davanti ad essa, aggiunse d'Artagnan, se avessimo potuto supporre che ella veniva a questa parte con così piccola scorta.
Il ministro si morse i baffi, e un poco ancora le labbra.
— Sapete voi di chi avete l'aspetto, sempre insieme come in questo momento, armati come voi siete, e vegliati dai lacchè? disse il ministro, voi avete l'aria di quattro cospiratori.
— Oh! in quanto a questo, Mio signore, è vero, disse Athos, e noi cospiriamo, come l'altra mattina Vostra Eccellenza ha potuto vederlo; soltanto però contro i Roccellesi.
— Eh! signori politici, riprese il ministro aggrottando a sua volta il sopracciglio, si potrebbe forse ritrovare nei vostri cervelli il segreto di molte cose se vi si potesse leggere, come voi leggevate in quella lettera, che avete nascosta quando mi avete veduto venire.
Il rossore montò al viso di Athos; egli fece un passo verso Sua Eccellenza.
— Si direbbe, che voi ci sospettate in realtà, Mio-Signore, e che subiamo un vero interrogatorio. Se la cosa è così, che Vostra Eccellenza si degni spiegarsi, e noi sapremo almeno a qual partito appigliarci.
— E quando questo fosse un vero interrogatorio, riprese il ministro, altri più di voi lo hanno subito, signor Athos, e vi hanno risposto.
— Per questo, Mio signore, io ho detto a Vostra Eccellenza che non aveva che ad interrogarci, e che noi eravamo pronti a rispondere.
— Che cosa è quella lettera che stavate leggendo, sig. Aramis, e che avete nascosta?
— Una lettera di donna, Mio-Signore.
— Oh! capisco, disse il ministro; bisogna essere discreto per questa specie di lettere, ma però si possono mostrare ad un confessore, e voi sapete che io...
— Mio-Signore, disse Athos con una calma tanto più terribile, in quanto che sapeva di giuocare la sua testa nel fare questa risposta, Mio-Signore la lettera è di una donna, ma però non è sottoscritta nè da Marion Delorme, nè dalla sig. de Combalet, nè dalla sig. de Chaulnes.
Il ministro divenne pallido come la morte. Un lampo giallo uscì dai suoi occhi. Egli si voltò come per dare un ordine a Cahusac, e a Houdinière. Athos vide il movimento, fece un passo verso i moschetti, su i quali i suoi amici avevano già fissati gli occhi, come uomini mal disposti a lasciarsi arrestare. Il ministro era il terzo; i moschettieri, compresivi i lacchè, erano sette: giudicò che la partita, quand'anche fosse stata uguale, Athos e i suoi compagni avrebbero allora realmente cospirato; e con uno di quei rapidi cambiamenti che teneva sempre a sua disposizione, tutta la sua collera terminò in un sorriso.
— Andiamo, andiamo, diss'egli, voi siete bravi giovanotti, fieri al sole, fedeli nell'oscurità, e non vi è nessun male di farsi sorvegliare quando si sorveglia così bene gli altri. Signori, io non ho dimenticata la notte in cui mi serviste di scorta per andare al Colombaio Rosso. Se vi fosse qualche pericolo da temere nella strada che debbo percorrere, io vi pregherei accompagnarmi; ma siccome non ve ne è alcuno, restate dove siete, terminate le vostre bottiglie, la vostra partita e la vostra lettera. Addio, signori.
E rimontando sul suo cavallo che Cabusac gli aveva condotto li salutò con la mano e si allontanò.
I quattro giovani in piedi ed immobili lo seguirono cogli occhi, senza dire una sola parola fino a che fu scomparso.
Si guardarono quindi tutti in viso.
Avevan tutti la faccia costernata, poichè, ad onta dell'amichevole addio di Sua Eccellenza, essi capivano che il ministro se n'andava colla rabbia nel cuore.
Athos sorrideva con un sorriso sdegnoso.
Quando il ministro fu fuori della voce e della vista.
— Questo Grimaud ha gridato troppo tardi, interruppe Porthos, che aveva conservato una gran volontà di far cadere il suo cattivo umore sopra qualcuno. Grimaud voleva rispondere per scusarsi; Athos, alzò il dito, e Grimaud tacque.
— Avreste voi data la lettera, Aramis? disse d'Artagnan.
— Io, disse Aramis con la voce la più melodiosa, io era deciso, se egli esigeva che gli avessi consegnata la lettera, io gli presentava la lettera con una mano, e coll'altra gli trapassava la mia spada attraverso il corpo.
— Me lo aspettava bene, disse Athos; ecco perchè mi sono gettato fra voi e lui. In verità, quest'uomo è bene imprudente a parlare in tal guisa ad altri uomini. Si direbbe che non ha mai avuto che fare che con donne e con dei ragazzi.
— Mio caro Athos, disse d'Artagnan, io ammiro; ma frattanto, dopo tutto, noi eravamo dalla parte del torto.
— Come, dalla parte del torto! disse Athos. E di chi è dunque quest'aria che noi respiriamo? di chi è questo Oceano sul quale estendiamo i nostri sguardi? di chi è questa lettera della vostra amica? forse del ministro? Sull'onor mio, quest'uomo si immagina che tutto il mondo sia suo. Voi eravate là, balbettanti, stupefatti, annientati; si sarebbe detto che la Bastiglia si erigeva avanti a voi, e che quella gigantesca Medusa vi cambiava in pietra. Forse che si chiama cospirare, sentiamo, l'essere innamorato? voi siete innamorato di una donna che il ministro ha fatta imprigionare, voi volete toglierla dalle mani del ministro; questa è una partita che giocate con Sua Eccellenza. Questa lettera, è il vostro giuoco. Perchè mostrate voi il vostro giuoco al vostro avversario? che egli lo indovini, alla buona ora! noi parimente indoviniamo il suo.
— Infatti, disse d'Artagnan, ciò che voi dite è pieno di buon senso.
— In questo caso, non si parli più di ciò che è accaduto, e che Aramis riprenda la lettura della lettera di sua cugina al punto in cui è stata interrotta dal ministro.
Aramis cavò la lettera di saccoccia; i tre amici si riavvicinarono a lui, e i tre lacchè si raggrupparono di nuovo intorno alla damigiana.
— Voi non avevate lette che due righe, disse d'Artagnan; riprendete adunque la lettura dal suo principio.
— Volentieri, disse Aramis:
«Mio caro cugino, io credo bene che mi deciderò a partire per Béthune, ove mia sorella ha fatto entrare la piccola servente nel convento delle carmelitane. Questa povera giovinetta si è rassegnata, ella sa che non può vivere in altro luogo senza che sia in pericolo la salute della sua anima. Però se gli affari della nostra famiglia si accomoderanno nel modo che desideriamo, io credo che ella correrà il rischio di dannarsi, e che ritornerà vicino a coloro che la desiderano, tanto più che sa che si pensa sempre a lei. Frattanto, essa non è troppo disgraziata, tutto ciò che le resta a desiderare, è una lettera del suo pretendente. Io so bene che questa specie di derrata passa difficilmente fra le inferriate, ma oltre a tutto, come ve ne ho date pruove, mio caro cugino, io non sono molto mal destra e m'incarico della vostra commissione. Mia sorella vi ringrazia della vostra buona e continua rimembranza: per un istante ella ha avuto grandi inquietudini, ma finalmente ora si è alcun poco tranquillizzata, avendo inviato un suo commesso laggiù affinchè non accada niente di imprevisto.
«Addio, mio caro cugino: dateci le vostre notizie il più spesso che potete, vale a dire tutte le volte che credete poterlo fare con sicurezza. Vi abbraccio.
Maria Michon»
— Oh! quanto vi devo, Aramis! gridò d'Artagnan. Cara Costanza! finalmente ho avuto le sue notizie! ella vive, ella è al sicuro in un convento; ella è a Béthune; dove credete voi che sia Béthune, Athos?
— Sulle frontiere dell'Artois e della Fiandra; una volta che sia tolto l'assedio, noi potremo andare a fare un giro da quella parte.
— E non vi vorrà molto, bisogna sperarlo, disse Porthos: questa mattina pure è stata impiccata una spia, che ha dichiarato che i Roccellesi sono ridotti a mangiare il cuoio delle loro scarpe. Supponendo che, dopo aver mangiato il cuoio, mangino la suola, io non vedo più che cosa loro rimanga dopo, a meno che non si mangino gli uni gli altri.
— Poveri stupidi! disse Athos vuotando un bicchiere di eccellente vino di Bordeaux, che, senza avere in quell'epoca la riputazione che gode oggi giorno, non meritava però meno: poveri stupidi! come se la Religione Cattolica non fosse la più vera avvantaggiosa, e la più aggradevole di tutte le religioni? riprese egli dopo aver fatto sbattere la sua lingua contro il palato, però sono brava gente. Ma che diavolo fate dunque, Aramis? continuò Athos, voi richiudete questa lettera in saccoccia?
— Sì, disse d'Artagnan, Athos ha ragione, bisogna bruciarla. Ed ancora se basta, il ministro potrebbe forse avere qualche segreto per esplorare le ceneri.
— Ma che volete voi fare di questa lettera? domandò Porthos.
— Vieni qui, Grimaud, disse Athos.
Grimaud si alzò ed obbedì.
— Per punirvi di aver parlato senza permesso, amico mio, voi mangerete questo pezzo di carta, poi, per ricompensarvi del servizio che ci avete reso, beverete dopo questo bicchiere di vino. Ecco prima la lettera. Masticate con energia.
Grimaud sorrise, e tenendo gli occhi fissi sul bicchiere che Athos aveva riempito colmo, masticò la lettera e la inghiottì.
— Bravo! padron Grimaud, disse Athos, ora prendete questo. Bene. Io vi dispenso dal dire grazie.
Grimaud bevè silenziosamente il bicchiere di vino di Bordeaux, ma i suoi occhi alzati al cielo parlavano, durante il tempo che percorse in questa operazione, un linguaggio, che per esser muto, non era però meno espressivo.
— Ed ora, disse Athos, ammenocchè il ministro non abbia l'ingegnosa idea di fare aprire il ventre a Grimaud, io credo che possiamo essere presso a poco tranquilli.
In questo mentre Sua Eccellenza continuava la sua melanconica passeggiata, e mormorava sotto i suoi baffi.
— Decisamente bisogna che questi quattro diventino del mio partito.
CAPITOLO LII. PRIMO GIORNO DI PRIGIONIA
Ritorniamo a milady, che uno sguardo gettato sulle coste di Francia ci ha fatto perdere di vista un istante.
Noi la ritroveremo nella stessa disperata posizione ove l'abbiamo lasciata, scavandosi un abisso di cupe riflessioni, innanzi alla porta del quale ella ha quasi lasciato la speranza, poichè per la prima volta ella dubita, per la prima volta ella teme.
In due occasioni la sua fortuna le aveva mancato, in due occasioni ella si vedeva scoperta e tradita, e in queste occasioni essa aveva urtato contro il suo genio fatale; che senza dubbio le era inviato dal signore per combatterla, per attaccarla. D'Artagnan l'ha vinta, essa, genio possente del male.
Egli abusò del suo amore, l'umiliò nel suo orgoglio, la deluse nella sua ambizione, ed ora, che la perde nella sua fortuna, che la colpisce nella sua libertà, che la minaccia ancora nella sua vita. Che più, egli ha alzato un canto della sua maschera, questa egida con cui ella si cuopre e che la rende così forte.
D'Artagnan ha sviato da Buckingham, che essa odia, come odia tutto ciò che ha amato, la tempesta di cui lo minacciava Richelieu nella persona della regina. D'Artagnan si è fatto passare per de Wardes, pel quale ella aveva un ardente trasporto da tigre, indomabile, come lo hanno tutte le donne di questo carattere. D'Artagnan conobbe quel fatal segreto che ha giurato che niun uomo avrebbe mai conosciuto senza morire. Finalmente, al momento in cui essa aveva ottenuto una firma in bianco da Richelieu, col mezzo della quale essa poteva vendicarsi del suo nemico, la firma in bianco le viene strappata dalle mani, ed è d'Artagnan che la tiene prigioniera, e che è sul punto di farla inviare in qualche immondo Botany-bay, in qualche Tyburn infame dell'oceano indiano.
Perchè tutto ciò le viene senza dubbio da d'Artagnan; e da chi altro potrebbero venirle tante onte ammassate sulla sua testa, se non da lui? Egli solo ha potuto trasmettere a Lord de Winter tutti questi terribili segreti, che ha scoperti gli uni dopo gli altri per una specie di fatalità. Egli conosceva suo cognato, doveva avergli scritto.
Quando odio essa distillava! là, immobile e cogli occhi ardenti e fissi, nel suo deserto appartamento, come gli scoppi dei suoi sordi ruggiti, che qualche volta le sfuggono dal fondo del suo petto, accompagnano il rumore della ondata, che sale, rumoreggia, mugisce, e viene ad infrangersi come una disperazione eterna ed imponente contro gli scogli sui quali è fabbricato questo castello, tetro ed orgoglioso! come al chiarore dei lampi che la sua collera tempestosa fa brillare nel suo spirito, ella concepisce contra la signora Bonacieux, contro Buckingham, e soprattutto contro d'Artagnan, dei magnifici progetti di vendetta perduti nel remoto! Sì, ma per vendicarsi bisogna esser libero, quando si è prigioniere bisogna sapere aprire una serratura, rompere dei chiavacci, smurare delle sbarre, scavare un pavimento; tutte imprese che possono condurre al suo scopo un uomo paziente e forte, ma davanti alle quali devono andare a vuoto le febbrili irritazioni di una donna.
D'altronde, per far tutto ciò, bisogna avere il tempo, dei mesi, degli anni, ed ella non ha che dieci o dodici giorni, per quanto le ha detto lord de Winter, suo fratello e terribile carceriere.
Eppure se essa fosse un uomo tenterebbe tutto, e forse riuscirebbe: e perchè dunque il cielo si è in tal modo sbagliato mettendo quest'anima ardente in questo corpo debole e delicato?
Fu per questo che i primi momenti della prigionia riuscirono terribili: alcune convulsioni di rabbia che essa non potè sormontare, pagarono il suo debito di femminile debolezza alla natura. Ma a poco a poco sormontò la foga della sua pazza collera, disparvero i fremiti nervosi che avevano agitato il suo corpo, e si ripiegò su se stessa come un serpente stanco che ha bisogno di riposo.
— Andiamo, andiamo, io era folle di lasciarmi in tal modo trasportare, disse ella, fissandosi sullo specchio che riflettè ai suoi occhi il suo avvampante sguardo, col quale sembrava che interrogasse se stessa. Non usiamo violenza! la violenza è una pruova di debolezza; e per primo, io non sono mai riuscita a niente con questo mezzo. Forse, se io usassi della mia forza contro delle donne, potrei avere la combinazione di ritrovarne anche più deboli di me, e per conseguenza di vincerle; ma è contro ad uomini che io mi batto; e per essi io non sono che una donna. Combattiamo adunque da donna. La mia forza è nella mia debolezza.
Allora, come per render conto a se stessa dei cambiamenti che poteva imporre alla sua fisonomia così espressiva e così immobile, essa le fece assumere successivamente tutte le espressioni, da quella della collera che corrugava i suoi lineamenti, fino a quella del più dolce, del più affettuoso e del più seducente sorriso. Quindi i suoi capelli sotto le sue sapienti mani presero quelle ondulazioni che ella credè potere aiutare le grazie del suo viso. Finalmente, contenta di se stessa, mormorò:
— Andiamo, non vi è ancora niente di perduto, io sono sempre bella.
Erano circa le otto della sera. Milady scoperse un letto, e pensò che il riposo di alcune ore rinfrescherebbe non solo la sua testa e le sue idee, ma ancora il suo colorito. Però, prima di andare in letto, le venne un idea anche migliore: essa aveva inteso parlare di cena, essendo già da un'ora in quella camera non potevano tardar molto a portarle il vitto. La prigioniera non volle perder tempo e risolse di far fin da quella prima sera alcuni tentativi per acquistare terreno, studiando i caratteri delle persone alle quali era stata confidata la sua custodia.
Un lume apparve sulla porta; questo lume annunciava il ritorno dei suoi carcerieri. Milady, che si era alzata, si rigettò prestamente sulla sua poltrona, colla testa rovesciata indietro, i suoi bei capelli snodati e sparsi, la sua gola per metà nuda sotto i suoi merletti scomposti, con una mano sul cuore e l'altra pendente.
Furono tolti i catenacci, la porta cigolò sopra i suoi cardini, alcuni passi rintronarono nella camera, e si avvicinarono.
— Ponete là questa tavola, disse una voce che la prigioniera riconobbe per quella di Felton. L'ordine fu eseguito.
— Voi porterete dei lumi e cambierete la sentinella, continuò Felton.
E questo doppio ordine che diede ai medesimi individui il sottotenente, provò a Milady che i suoi servitori erano quegli stessi uomini che erano i suoi guardiani, vale a dire soldati.
Gli ordini di Felton erano, del resto, eseguiti con una silenziosa rapidità, che dava una buona idea dello stato florido nel quale egli manteneva la disciplina.
Finalmente Felton, che non aveva ancora guardata Milady, si voltò verso di lei.
— Ah! ah! disse egli, ella dorme; sta bene, al suo svegliarsi cenerà.
E fece alcuni passi per uscire.
— Ma, mio tenente, disse un soldato meno stoico del suo capo, e che si era avvicinato a milady, questa donna non dorme.
— Come ella non dorme? disse Felton, e che fa essa allora?
— Essa è svenuta. Il suo viso è pallidissimo, ed io ho un bell'ascoltare, non sento la sua respirazione.
— Avete ragione disse, Felton dopo aver guardato milady dal posto in cui era, senza fare un passo verso di lei. Andate a prevenire lord de Winter che la sua prigioniera è svenuta, poichè non so che farle, non essendo stato preveduto il caso.
Il soldato uscì per obbedire agli ordini del suo ufficiale. Felton si assise sopra una sedia, che per caso si trovava vicina alla porta, e aspettò, senza dire una parola, senza fare un gesto. Milady possedeva quella grand'arte tanto studiata dalle donne di veder tutto coll'aiuto di uno specchio, di un riflesso, di un'ombra. Ella vide Felton che le voltava le spalle; continuò a guardarlo per dieci minuti circa, e in questi dieci minuti, l'impassibile guardiano non si voltò neppure una volta.
Essa pensò allora che lord de Winter sarebbe venuto ad aumentare, colla sua presenza, una nuova forza nel suo carceriere. Fallita la prima pruova, essa prese un altro partito, come donna che conta sulle proprie risorse; in conseguenza, alzò la testa, aprì gli occhi e sospirò debolmente.
A questo sospiro, Felton finalmente si voltò.
— Ah! eccovi risvegliata, disse egli; io non ho adunque più nulla da fare qui. Se voi avrete bisogno di qualche cosa, chiamerete.
— Oh! mio Dio! quanto ho sofferto, mormorò milady con quella voce armoniosa che, simile a quella delle incantatrici, incantava tutti quelli che voleva perdere.
E nel raddrizzarsi nel suo seggio, assunse una posizione la più graziosa e più abbandonata di quella che aveva quando era svenuta.
Felton si alzò.
— Voi sarete servita in questo modo, tre volte il giorno, signora, disse egli; la mattina a nove ore, nel giorno a un'ora, e la sera a otto ore. Se ciò non vi accomoda, potete indicare le vostre ore in vece di quelle che vi ho proposte, e su questo punto noi ci conformeremo ai vostri desiderii.
— Ma dovrò dunque sempre restare sola in questa grande e trista camera? domandò milady.
— Una donna delle vicinanze è stata prevenuta, e quando prima sarà al castello, essa verrà tutte le volte che desidererete la sua presenza.
— Io vi ringrazio, signore, rispose umilmente la prigioniera.
Felton fece un leggiero saluto e si diresse verso la porta. Al momento in cui stava per oltrepassare il limitare, lord de Winter comparve nel corridoio, seguito dal soldato che era stato a portare la notizia dello svenimento di milady, egli teneva in mano una boccetta di sali.
— Ebbene! che cosa è che, accade qui? disse egli con voce beffarda, vedendo la sua prigioniera in piedi e Felton in atto di partire. Questa morta è adunque risuscitata? Perdinci! Felton, figlio mio, e non ti sei accorto che ti hanno preso per un novizio e che ti giuocano il primo atto di una commedia, di cui avremo senza dubbio il piacere di seguire tutto lo sviluppo?
— L'ho pensato anch'io, milord, disse Felton; ma siccome la prigioniera è una donna, così ho voluto avere i riguardi che ogni uomo ben nato deve ad una donna, se non per essa, almeno per se stesso.
Milady fremette in tutte le parti del suo corpo. Queste parole di Felton passavano come un diaccio in tutte le sue vene.
— Così, riprese de Winter ridendo, questi bei capelli saggiamente snodati, questa pelle bianca e questo languido sguardo, non ti hanno ancora sedotto cuore di pietra?
— No, milord, rispose l'impassibile giovane, e credetemi bene, vi vuol altro che degli artifizii e delle civetterie di donne per corrompermi.
— In questo caso mio bravo tenente, lasciamo milady pensare ad altre astuzie, e noi andiamo a cena. Oh! siate tranquillo, ella ha l'immaginazione feconda, e il secondo atto della commedia non tarderà a seguitare il primo.
A queste parole lord de Winter passò il suo braccio sotto quello di Felton, e lo condusse via ridendo.
— Oh! troverò ben io ciò che ti abbisogna, mormorò milady fra i denti, povero monaco fallito, povero soldato convertito, che ti sei tagliato il tuo uniforme in una cocolla.
— A proposito, riprese de Winter fermandosi sulla porta, milady questo scacco non deve togliervi l'appetito. Assaggiate questo pollo e questi pesci che, sulla mia parola d'onore non ho fatti avvelenare. Io sono molto contento del mio cuoco, e siccome egli non deve ereditar nulla da me, ho in lui una piena ed intera confidenza. Fate voi dunque come faccio io. Addio cara sorella. A rivederci al vostro prossimo svenimento.
Questo era quanto poteva sopportare milady; le sue mani si contraevano sul seggio, i suoi denti stridevano sordamente, i suoi occhi seguivano il movimento della porta che si chiudeva dietro a lord de Winter e Felton, e quando si vide sola, fu invasa da una nuova crisi di disperazione; essa gettò gli occhi sulla tavola, vide brillare un coltello, si slanciò e lo afferrò, ma il suo disinganno fu crudele, la lama era rotonda, e di argento flessibile.
Uno scoppio di risa rumoreggiò dietro la porta mal chiusa e che si riaprì.
— Ah! Ah! gridò lord de Winter, ah! ah! vedi tu bene, mio bravo Felton, vedi tu ciò che io ti aveva detto! Questo coltello era per te, figlio mio, ella ti avrebbe ucciso; vedi tu questa è una delle sue risorse per sbarazzarsi così, in un modo o nell'altro, delle persone che la incomodano. Se io ti avessi dato ascolto, il coltello sarebbe stato appuntato e d'acciaio; allora era finita per te, o Felton, ella ti avrebbe sgozzato, e dopo te avrebbe scannato tutti noi. Guarda, vedi Felton, come ella sa tener bene un coltello?
Infatti, milady teneva ancora in mano l'arme inoffensiva; queste ultime parole, quest'ultimo insulto sciolsero le sue mani, le sue forze, e perfino la sua volontà.
Il coltello cadde per terra.
— Avete ragione, milord, disse Felton con un accento di profondo disgusto che si ripercuotè fino nel fondo del cuore di Milady, avete ragione, ed io aveva torto.
Ed entrambi uscirono di nuovo.
Ma questa volta, milady prestò il suo orecchio più attento della prima volta, ed intese i loro passi allontanarsi e perdersi nel fondo del corridoio.
— Io son perduta mormorò essa; eccomi in potere di gente sulle quali io non avrò più presa, e che saranno per me come statue di bronzo e di granito, essi mi sanno a memoria e si sono armati dell'egida contro tutte le mie armi. Però è impossibile, riprese dopo un momento, che la cosa finisca come essi hanno deciso.
Infatti, come l'indicava quest'ultima riflessione, questo ritorno instintivo alla speranza, il timore ed i sentimenti deboli non galleggiavano lungo tempo in quell'anima profonda. Milady si mise a tavola, si cibò di diverse vivande, bevè un poco di vino di Spagna, e sentì ritornarsi tutta la sua risoluzione.
Prima di andare a letto, essa aveva già comentato, analizzato, rivoltato in tutti gli aspetti, esaminato su tutti i punti, le parole, i passi, le gesta, i segni e perfino il silenzio dei suoi carcerieri; da questo studio profondo, abile e sapiente, ne era risultato che Felton era il meno invulnerabile di tutti.
Una parola particolarmente ritornava al pensiero della prigioniera:
— «Se io ti avessi ascoltato» aveva detto lord de Winter a Felton.
Dunque Felton aveva parlato in suo favore, poichè lord de Winter non aveva voluto ascoltare Felton.
— Debole o forte, ripeteva milady, questo uomo dunque ha avuto un lampo di pietà nell'animo suo. Da questo lampo farò nascere un incendio che lo divorerà. In quanto all'altro, egli mi teme, e sa ciò che deve aspettarsi da me, se io posso fuggire dalle sue mani; è dunque inutile il tentar niente su lui; ma Felton, questa è un'altra cosa, egli è un giovane ingenuo, puro, e che sembra virtuoso. Quello là vi è mezzo da prenderlo.
E milady se ne andò a letto e si addormì col sorriso sulle labbra; se qualcuno l'avesse veduta dormente, avrebbe creduto vedere una giovinetta che sognasse la corona di fiori che doveva mettersi sulla fronte nella prossima festa.
CAPITOLO LIII. SECONDO GIORNO DI PRIGIONIA
Milady sognava che alfine aveva nelle mani d'Artagnan, che assisteva al suo supplizio, ed era la vista del suo odioso sangue che colava sotto la mannaia del carnefice, quello che delineava quel grazioso sorriso sulle sue labbra.
Ella dormiva come dorme un prigioniero assorto nella sua prima speranza.
L'indomani, quando entrarono nella camera, ella era ancora in letto. Felton si era fermato nel corridoio; egli conduceva la donna di cui aveva parlato la sera innanzi, e che allora era giunta. Questa donna entrò e si avvicinò al letto di milady offrendole i suoi servigi.
Milady era abitualmente pallida: il suo colorito poteva ingannare una persona che la vedeva per la prima volta.
— Ho la febbre diss'ella; non ho dormito un istante in questa lunga notte. Io soffro orribilmente; sareste voi più umana di quello che non lo sono stato ieri con me? Tutto ciò che io chiedo, del resto, è il permesso di poter rimanere in letto.
— Volete che si mandi a chiamare un medico? disse la donna.
Felton ascoltava questo dialogo senza dire una parola.
Milady rifletteva che più sarebbe circondata da gente, e più avrebbe avuto gente da impietosire, e per conseguenza verrebbe raddoppiata la sorveglianza di lord de Winter. D'altronde il medico poteva dichiarare che la malattia era finta; e milady, dopo aver perduta la prima partita, non voleva perdere anche la seconda.
— Andare a cercare un medico diss'ella, e a che pro? questi signori hanno ieri dichiarato che il mio male era una commedia. Oggi accadrebbe senza dubbio lo stesso, perchè da ieri sera in qua hanno avuto tutto il tempo di prevenire il dottore.
— Allora, disse Felton impazientandosi, dite voi stessa signora che cura volete seguire.
— E lo so io? mio Dio! io sento che sto male, ecco tutto. Che mi si dia tutto ciò che si vuole, poco m'importa.
— Andate a cercare lord de Winter, disse Felton, stancato da queste continue lamentazioni.
— O no, no, gridò milady, no signore, non lo chiamate, ve ne scongiuro, io sto bene; non lo chiamate, non ho bisogno di niente.
Ella mise una veemenza così soprannaturale in questa esclamazione, che Felton, trascinato, fece alcuni passi nella camera.
Egli è commosso, pensò milady.
— Però, signora, disse Felton, se voi realmente soffrite, si manderà a cercare un medico, e se vi burlate di noi, ebbene ciò sarà tanto peggio per voi, ma almeno dal canto nostro non avremo niente da rimproverarci.
Milady non rispose, ma, rovesciando la sua bella testa sull'origliere, si strusse in lacrime ed in singhiozzi.
Felton la guardò un istante con la sua impassibilità ordinaria, quindi accorgendosi che la crisi minacciava di prolungarsi, uscì. La donna lo seguì, lord de Winter non comparve.
— Io credo, che comincio a veder chiaro, mormorò milady con una gioia selvaggia, cacciandosi sotto i lenzuoli, per nascondere agli occhi di chi poteva spiarla questo slancio d'interna soddisfazione.
Passarono così due ore.
— Ora è tempo che la malattia cessi, disse ella leviamoci, e oggi otteniamo qualche successo. Io non ho che dieci giorni da disporre, e questa sera ne saranno trascorsi due.
Entrando la mattina nella camera di milady le persone di servizio, le avevano portata la colezione. Ora ella aveva pensato che non avrebbero tardato a venirla a portar via, e che in questo momento rivedrebbe Felton.
Milady non s'ingannava. Felton ricomparve, e senza fare attenzione se milady aveva o no toccato i cibi della colezione, fece un cenno perchè portassero fuori la tavola che ordinariamente apportavano già servita.
Felton uscì per ultimo, egli teneva la chiave in mano.
Milady stesa sopra un seggio vicino al camminetto, bella, pallida e rassegnata, sembrava una santa vergine che aspettasse il martirio.
Felton si avvicinò a lei e disse:
— Lord de Winter, che è cattolico come voi, signora, ha pensato che la privazione dei riti e delle cerimonie della vostra religione, potesse forse esservi penosa; egli acconsente adunque che voi leggiate ogni giorno l'ordinario della vostra messa, ed eccovi un libro che contiene il rituale.
All'aria con cui Felton depose questo libro sulla piccola tavola vicino alla quale era milady, al tuono con cui pronunciò queste due parole vostra messa, al sorriso sdegnoso con cui le accompagnò, milady alzò la testa e guardò l'ufficiale più attentamente.
Allora, alla seria pettinatura, all'abito di esagerata semplicità, a quella fronte pulita come il marmo, ma dura ed impenetrabile come il medesimo, essa riconobbe uno di quei cupi Puritani che aveva sì spesso incontrati, tanto alla corte del re Giacomo, che a quella del re di Francia, ove malgrado la rimembranza del S. Bartolomeo, essi qualche volta venivano a cercare un rifugio.
Essa ebbe dunque una di quelle subitanee inspirazioni, come soltanto ne ricevono le persone di grande spirito nelle grandi crisi, nei momenti supremi che devono decidere della loro vita o della loro fortuna.
Queste due parole: vostra messa, e un semplice colpo d'occhio gettato a Felton, le avevano infatti rivelato tutta l'importanza della risposta che stava per fare.
Ma con quella rapidità d'intelligenza che le era particolare, essa non formulò la risposta; ma le si presentò spontanea sulle labbra.
— Io? diss'ella, con un accento di sdegno accordato all'unisono di quello che aveva rimarcato nel giovine ufficiale, io, signore, la mia messa! Lord de Winter, il cattolico corrotto, sa bene che io non sono della sua religione, e che questo è un laccio che vuol tendermi.
— E di qual religione siete, voi dunque, signora? domandò Felton con una meraviglia, che, ad onta del suo impero su se stesso, egli non potè interamente nascondere.
— Io lo dirò, gridò milady con una finta esaltazione, il giorno in cui avrò sofferto abbastanza per la mia fede.
Lo sguardo di Felton scoprì a milady tutta l'estensione dello spazio che le si era aperto con questa risposta.
— Io sono nelle mani dei miei nemici, continuò ella con quel tuono di entusiasmo che sapeva essere familiare ai Puritani. Ebbene! che il mio Dio mi salvi o che io perisca pel mio Dio! ecco la risposta che vi prego di fare a lord de Winter. E in quanto a questo libro, aggiunse ella mostrando il rituale con la punta del dito, ma senza toccarlo, come se avesse temuto di imbrattarsi con questo tocco, potete riportarlo, e servirvene anche voi stesso, poichè senza dubbio voi siete doppiamente complice di lord de Winter, complice nella sua persecuzione, complice nella sua eresia.
Felton non rispose, prese il libro con lo stesso sentimento di ripugnanza che aveva già manifestato, e si ritirò pensieroso.
Lord de Winter venne verso le cinque ore di sera. Milady aveva avuto il tempo di combinarsi un piano di condotta; essa lo ricevette come una donna che avesse ripresi tutti i suoi vantaggi.
— Sembra, disse il barone sedendosi sopra una seggiola dirimpetto a quella che occupava milady, e stendendo senza alcun riguardo i suoi piedi verso il camminetto, sembra, disse egli, che noi abbiamo fatto una piccola apostasia?
— Che volete voi dire signore?
— Voglio dire che dall'ultima volta in cui ci siamo veduti, voi avete cambiata religione. Avreste forse per caso sposato un terzo marito protestante?
— Spiegatevi, milord, riprese la prigioniera con maestà, poichè vi dichiaro che ascolto le vostre parole ma che non le comprendo.
— Allora è perchè voi non avete alcuna religione; amo meglio così, riprese beffeggiando lord de Winter.
— Certamente ciò sarebbe più a seconda dei vostri principii, riprese freddamente milady.
— Oh! io vi confesso che ciò mi è del tutto lo stesso.
— Oh! voi non avete bisogno di fare questa confessione sulla vostra indifferenza in materia di religione, milord, le vostre scostumatezze o i vostri delitti ne fanno fede.
— Per bacco! voi parlate di scostumatezze, signora Messalina? voi parlate di delitti, lady-Macbeth? o io ho male inteso, o voi per bacco siete molto imprudente!
— Voi parlate così perchè siamo ascoltati, signore, rispose freddamente milady, e perchè volete interessare i vostri carcerieri e i vostri agozini contro di me.
— I miei carcerieri! i miei agozini! Eh! eh! signora, voi la prendete in tuono poetico, e la commedia di ieri sera, questa sera si volta in tragedia. Del resto, fra otto giorni voi sarete dove dovete essere, e il mio impegno sarà terminato.
— Impegno infame! impegno empio! riprese milady colla esaltazione di una vittima che provoca il suo giudice.
— Io credo sulla mia parola d'onore! disse de Winter alzandosi, che l'astuta divenga pazza. Andiamo, andiamo, calmatevi, signora puritana, o vi farò mettere in segreto. Perdinci! è il mio vino di Spagna che vi sale alla testa, non è vero? ma siate tranquilla, questa ebrietà non avrà conseguenze.
E lord de Winter si ritirò dicendo parolacce, cosa che, in quell'epoca, era un'abitudine affatto cavalleresca.
Felton infatti era dietro la porta e non aveva perduto una parola di tutta questa scena. Milady aveva indovinato giusto.
— Sì, va! va! disse ella a suo cognato, le conseguenze, al contrario, si avvicinano: ma tu non le saprai, imbecille, che allorquando non sarà più tempo di evitarle.
Il silenzio si ristabilì: scorsero due ore; fu portata la cena, e si trovò milady occupata a fare le sue preghiere, preghiere che ella aveva imparate da un vecchio servitore del suo secondo marito, che era uno dei più austeri puritani. Ella sembrava in estasi, e parve che non facesse attenzione a quanto accadeva intorno a lei. Felton fece segno perchè non fosse disturbata, e quando tutto fu in ordine, uscì senza far rumore coi suoi soldati.
Milady sapeva che poteva essere spiata, essa continuò dunque le sue preghiere sino alla fine, e le sembrò che il soldato che era di sentinella alla sua porta non camminasse più dello stesso passo, e stesse ad ascoltarla.
Pel momento ella non desiderava di meglio, si rialzò, si mise a tavola, mangiò poco, e non bevè che acqua.
Un'ora dopo vennero a portar via la tavola; ma milady rimarcò che questa volta Felton non accompagnava i soldati.
Egli dunque temeva di vederla troppo spesso.
Ella si rivoltò per sorridere, perchè in questo sorriso vi era una tale espressione di trionfo che questo solo sarebbe bastato per denunziarla.
Essa lasciò ancora scorrere una mezz'ora, e siccome in questo momento tutto era silenzio nel vecchio castello, siccome non si sentiva che l'eterno rumore dell'ondata, quella respirazione immensa dell'oceano, colla sua voce pura, armoniosa e vibrante, essa cominciò il primo versetto di quel salmo allora in favore presso i puritani.
— « Oh! signore, tu ci abbandoni, per giudicare se noi siamo forti, ma in seguito sei tu che dài, colla tua celeste mano, la palma ai nostri sforzi.
Mentre cantava, milady ascoltava; il soldato di guardia alla sua porta si era fermato come se fosse stato tramutato in pietra. Milady potè dunque giudicare dell'effetto che aveva prodotto.
Allora essa continuò il suo canto con un fervore e un sentimento inesprimibile; le sembrò che i suoni si spandessero di lontano sotto le volte, e che andassero come un incantesimo a raddolcire il cuore dei suoi carcerieri. Però sembrava che il soldato in sentinella, senza dubbio zelante cattolico, scotesse l'incanto, poichè attraverso il finestrello della porta che egli aprì:
— Tacete dunque, signora, diss'egli, il vostro canto è tristo come un De profundis e se oltre il diletto di stare qui di guarnigione, è ancora necessario l'ascoltare simili cose, sarà da non poter più resistere.
— Silenzio! disse allora una voce grave, che milady riconobbe per quella di Felton, e di che cosa vi immischiate voi? vi è forse stato ordinato di impedire a questa donna di cantare? no. Vi è stato detto di custodirla, e di far fuoco sopra di lei se tentasse di fuggire. Custoditela; ma non aggiungete niente alla consegna.
Un'espressione di indicibile gioia illuminò il viso di milady; ma questa espressione fu fuggitiva come il riflesso di un lampo, e senza sembrare di avere inteso il dialogo, di cui non aveva perduto una parola, essa riprese, dando alla sua voce tutta la grazia, tutta la estensione e tutta la seduzione che il demonio vi aveva messa:
— « Per tanti pianti, tanta miseria, per il mio esilio e per i miei ferri, io ho la mia gioventù, la mia preghiera, e Dio che conterà i mali che ho sofferti.
Questa voce, di una inaudita estensione e di una sublime passione, dava alla poesia rozza ed incolta di questi salmi una magia ed una espressione che i Puritani più esaltati ritrovavano raramente nei canti dei loro fratelli, e che erano costretti di ornare con tutte le risorse della loro immaginazione. Felton credè sentire cantare l'angelo che consolava i tre Ebrei nella fornace.
« Ma, il giorno della liberazione verrà per tutti noi Dio è giusto e forte! e se illude la nostra speranza, ci resta sempre il martirio e la morte.
Questa strofetta, nella quale la terribile incantatrice mise tutta l'anima sua, finì di portare il disordine nel cuore del giovane ufficiale; aprì improvvisamente la porta, e milady lo vide comparire pallido come sempre, ma con gli occhi ardenti e quasi stravolti.
— Perchè cantate voi in tal modo, disse egli, e con una simile voce?
— Perdono, signore, disse milady con dolcezza, dimenticava che i miei canti non sono d'uso in questa casa. Io forse vi ho offeso nelle vostre credenze, ma ciò è senza volerlo, ve lo giuro. Perdonatemi adunque un fallo che può esser grande, ma che certamente è involontario.
Milady era così bella in questo momento, l'estasi religiosa nella quale si trovava immersa dava una tale espressione alla sua fisonomia; che Felton, abbagliato, credè vedere l'angelo che poco prima gli era sembrato di ascoltare soltanto.
— Sì, sì, rispose egli, sì, voi disturbate, voi agitate le persone che abitano il castello.
E il povero, insensato non si accorgeva egli stesso della incoerenza dei suoi discorsi, nel mentre che milady immergeva il suo occhio di lince nel più profondo del suo cuore.
— Io mi tacerò disse milady abbassando gli occhi, con tutta la dolcezza che poteva dare alla sua voce, con tutta la rassegnazione che potè imprimere al suo portamento.
— No, no, signora, disse Felton, soltanto cantate più sommessa, particolarmente la notte.
A queste parole Felton, sentendo che non avrebbe potuto conservare più lungamente il suo tuono severo colla prigioniera, si slanciò fuori dell'appartamento.
— Avete fatto bene, tenente, disse il soldato, questi canti sconvolgono l'anima; però si finisce coll'assuefarcisi: la voce è così bella!
CAPITOLO LIV. IL TERZO GIORNO DI PRIGIONIA
Felton era venuto, ma vi era ancora un passo da fare; bisognava trattenerlo, o piuttosto bisognava che egli da se solo restasse, e milady non vedeva che oscuramente il mezzo che doveva condurla a questo risultato.
Era necessario ancora di più: bisognava farlo parlare, per potergli parlare; poichè milady sapeva bene, che la sua maggiore seduzione stava nella sua voce, che percorreva con tanta abilità tutta la gamma dei tuoni, dalla parola umana fino al linguaggio celeste.
Eppure, ad onta della sua seduzione, milady poteva fallare, poichè Felton era prevenuto, e ciò contro la più piccola combinazione. D'allora, essa sorvegliò tutte le sue azioni, tutte le sue parole, fino al più semplice moto dei suoi occhi, fino al suo gesto, fino alla sua respirazione che si poteva interpetrare come un sospiro. Finalmente studiò tutto come fa un abile comico, al quale viene data una parte nuova da rappresentare in un genere che non è assuefatto di recitare.
In faccia a lord de Winter, la sua condotta era più facile, e questa era stata fissata fin dalla sera innanzi. Restar muta e sostenuta alla sua presenza, di tempo in tempo irritarlo con una parola di disprezzo, spingerlo alle minacce ed alle violenze che fossero in opposizione colla sua rassegnazione; tali erano i suoi progetti. Felton forse vedrebbe, non direbbe niente, ma vedrebbe.
La mattina Felton venne, come negli altri giorni; ma milady lo lasciò presiedere a tutti i preparativi della colezione senza indirizzargli la parola. Così, al momento in cui egli stava per ritirarsi, essa ebbe un lampo di speranza, perchè credeva che fosse sul punto d'indirizzarle la parola, ma le di lui labbra si mossero senza che uscisse verun suono dalla sua bocca, e facendo uno sforzo su se stesso, richiuse nel di lui cuore le parole che stavano per sfuggirgli dalle labbra, e partì.
Verso mezzogiorno entrò lord de Winter.
Era una bella giornata d'estate, un raggio del pallido sole d'Inghilterra, che illumina ma non riscalda, passava attraverso le sbarre.
Milady guardava dalla sua finestra, e faceva sembiante di non sentire la porta che si apriva.
— Ah! ah! disse lord de Winter, dopo aver fatta la comica, dopo aver fatta la tragica, ora fa la malinconica!
La prigioniera non rispose.
— Sì, sì, continuò lord de Winter, capisco; voi amereste molto d'essere in libertà su queste spiagge; voi vorreste, sopra un buon naviglio, fendere i flutti di questo mare verde come lo smeraldo, voi vorreste, sia per terra sia per mare, tendermi un'imboscata, nel modo che sapete così bene combinare. Pazienza! pazienza! fra quattro giorni vi sarà permesso l'andare a bordo, il mare vi sarà aperto, più aperto forse di quello stesso che vorreste, poichè fra quattro giorni l'Inghilterra si sarà sbarazzata di voi.
Milady congiunse le mani, alzò gli occhi verso il cielo:
— Signore, Signore, diss'ella con un'angelica soavità di gesto o d'intonazione: perdonate a quest'uomo come io stessa perdono a lui.
— Sì, prega, maledetta! gridò il barone, la tua preghiera è tanto più generosa, in quanto che tu sei in potere di un uomo che non ti perdonerà mai.
Ed egli uscì.
Al momento in cui usciva uno sguardo penetrò fra la porta socchiusa, ed essa scoperse Felton, che si ritirava prestamente per non essere veduto da lei.
Allora essa si gittò in ginocchio e si mise a pregare.
— Mio Dio! mio Dio! diss'ella, voi sapete per qual santa causa io soffro; datemi dunque la forza di soffrire.
La porta si aprì dolcemente, la bella oratrice finse di non sentirne il rumore, e, con una piena di lagrime, continuò:
— Dio vendicatore! Dio di bontà! lascerete voi compiersi gli orribili progetti di quest'uomo?
Allora soltanto essa finse di sentire il rumore dei passi di Felton, e, sorgendo rapida come il pensiero, arrossì, come se avesse avuto vergogna di essersi fatta sorprendere in ginocchio.
— Io non voglio disturbare quelli che pregano, signora, disse Felton, non v'incomodate dunque per me, ve ne scongiuro.
— Come sapete voi ch'io pregava, signore? disse milady con voce soffocata dai singhiozzi: v'ingannate signore io non pregava.
— Credete dunque, signora, rispose Felton con la sua solita voce grave, quantunque un poco più addolcita, che io mi creda d'avere il diritto di proibire ad una creatura di prosternarsi davanti al suo Creatore? D'altronde il pentimento sta bene ai colpevoli, qualunque sia il delitto che abbiano commesso, un colpevole ai piedi di Dio mi è sacro.
— Colpevole, io! disse milady con un sorriso che avrebbe disarmato l'angelo punitore. Colpevole! oh! mio Dio! tu sai se io lo sono!... Dite che io sono condannata, signore, alla buon'ora!... ma, voi lo sapete, Dio, che ama i martiri, permette che qualche volta sieno condannati anche gl'innocenti.
— Foste voi condannata, foste voi innocente, foste voi martire, ragione di più, rispose Felton per pregare, io stesso vi aiuterò colle mie preghiere.
— Oh! voi siete un giusto; gridò milady precipitandosi ai suoi piedi: io non posso più contenermi lungamente, perchè temo di mancare di forza al momento in cui mi abbisognerà sostenere la lotta, e confessare la mia fede; ascoltate dunque la preghiera di una donna alla disperazione. Voi siete ingannato, signore! Ma non si tratta di ciò; io non vi domando che una grazia, e se voi me l'accorderete, io vi benedirò continuamente in questo mondo e nell'altro.
— Parlate al padrone, signora, disse Felton; fortunatamente io non sono incaricato nè di perdonare, nè di punire, ed è al più alto che Dio ha rimesso questo potere.
— No: a voi, a voi solo. Ascoltatemi, piuttosto che contribuire alla mia perdita, piuttosto che contribuire alla mia ignominia...
— Se avete meritata quest'onta, signora, se avete meritata questa ignominia, fa d'uopo subirla offerendola a Dio.
— Che dite mai? oh! voi non mi capite; quando parlo d'ignominia, voi credete che io parli di un gastigo qualunque, della prigione, o della morte? Piacesse al cielo! che importa a me la prigione o la morte?
— Sono io che non vi capisco più, signora, disse Felton.
— O che fate sembiante di non capirmi più, signore; rispose la prigioniera con un sorriso di dubbio.
— No, signora, sul mio onore da soldato, sulla mia fede da cristiano!
— Come! voi ignorate la mente di lord de Winter a mio riguardo?
— Io l'ignoro.
— Impossibile, voi siete il suo confidente.
— Io non mento mai, signora.
— Oh! eppure si nasconde troppo poco, perchè non si abbia a indovinarlo.
— Non cerco d'indovinar niente, signora, aspetto che mi sieno fatte le confidenze, e, fuori di ciò che mi ha detto alla vostra presenza, lord de Winter non mi ha confidato niente.
— Ma, gridò Milady con un incredibile accento di verità, voi dunque non siete il suo complice? voi dunque non sapete ch'egli mi destina ad un'onta, che tutti i gastighi della terra non saprebbero uguagliare in orrore?
— V'ingannate, signora; disse Felton arrossendo; lord de Winter non è capace di un tal delitto.
— Buono! disse milady fra se stessa; senza sapere di che si tratta, egli lo chiama delitto.
Poi ad alta voce:
— L'amico dell'infame è capace di tutto!
— Chi chiamate voi infame? disse Felton.
— Vi sono forse in Inghilterra due uomini cui possa convenire questo titolo?
— Voi volete parlare di Giorgio Villiers? disse Felton a cui si infiammarono gli occhi.
— Che i pagani, i gentili, gl'infedeli chiamano duca di Buckingham, riprese milady; non avrei creduto che vi fosse un inglese in tutta l'Inghilterra che avesse avuto bisogno di una così lunga spiegazione per riconoscere quello di cui voleva parlarvi.
— La mano del Signore è stesa su di lui, egli non sfuggirà al gastigo che merita.
Felton, sul conto del duca, non faceva che esprimere il sentimento di esecrazione che tutti gl'Inglesi avevano votato a colui, che i cattolici stessi chiamavano l'esattore, il concussionario, il libertino, e che i Puritani chiamavano semplicemente Satanasso.
— Oh! mio Dio! mio Dio! io vi prego d'inviare a questo uomo il gastigo che gli è dovuto, voi sapete che questa non è la propria vendetta che proseguo, è la liberazione di tutto un popolo che imploro.
— Lo conoscete voi dunque? domandò Felton.
— Finalmente egli m'interroga! disse fra se stessa milady al colmo della gioia, per essere giunta così presto ad un così gran risultato.
— Oh! s'io lo conosco! oh! sì per mia disgrazia, per mia disgrazia eterna!
E milady si contorse le braccia, come accade nel parossismo del dolore.
Felton sentì senza dubbio che la sua forza lo abbandonava, fece alcuni passi verso la porta; la prigioniera, che non lo perdeva di vista, gli balzò dietro e lo fermò.
— Signore, siate buono, siate clemente, ascoltate una mia preghiera! quel coltello, che la fatai prudenza del barone mi ha tolto, perchè sa l'uso che io voleva farne,... ho! ascoltatemi fino alla fine! quel coltello restituitemelo per un solo minuto secondo, per grazia, per pietà! abbraccio le vostre ginocchia, vedete! Voi chiuderete la porta... Non sarà già contro di voi che me ne servirò,... Dio! odiar voi che siete il solo uomo giusto che sia qui, buono, misericordioso, e forse anche il mio salvatore! un minuto quel coltello; un minuto, un sol minuto, e ve lo renderò pel finestrino della porta! nient'altro che un minuto, e mi avrete salvato l'onore!
— Uccidervi! gridò Felton con terrore, dimenticando di togliere le sue mani dalle mani della sua prigioniera; uccidervi!
— Io ho detto, signore, mormorò milady abbassando la voce, e lasciandosi cadere prosternata sul pavimento, io ho detto il mio secreto! egli sa tutto, mio Dio! io sono perduta!
Felton rimaneva in piedi immobile ed indeciso.
Egli dubita ancora, pensò milady; ma ho finto abbastanza la verità.
Si sentì camminare nel corridoio; milady riconobbe il passo lento di lord de Winter.
Felton pure lo riconobbe, e fece un passo verso la porta.
Milady si slanciò:
— Oh! non una parola, diss'ella con voce concentrata: non una parola di tutto ciò che vi ho detto, a quest'uomo, o io son perduta; o siete voi... voi...
Quindi siccome i passi si avvicinavano, ella si tacque per timore che la sua voce fosse intesa, appoggiando con un gesto d'infinito terrore la sua bella mano sulla bocca di Felton.
Felton respinse dolcemente milady, che andò a cadere sopra una poltrona.
Lord de Winter passò davanti alla porta senza fermarsi, e s'intese il rumore dei suoi passi che si allontanavano.
Felton pallido come la morte, rimase alcuni istanti coll'orecchio teso ad ascoltare; poi, quando il rumore fu estinto del tutto, respirò come un uomo che esce da un sogno, e si slanciò fuori dell'appartamento.
— Ah! disse milady, ascoltando a sua volta i passi di Felton, che si allontanavano nella direzione opposta a quelli di lord de Winter, finalmente il tutto è mio!
Poi la sua fronte si oscurò.
— S'egli parla al barone, diss'ella, io sono perduta; poichè il barone, che sa bene che io non mi ucciderei, mi metterà un coltello fra le mani in faccia sua ed allora s'accorgerà che tutta questa grande disperazione non era che un giuoco.
Essa andò a mettersi davanti al suo specchio, e si guardò; giammai non era stata così bella.
— Oh! sì, diss'ella sorridendo, ma costui non parlerà!
La sera lord de Winter accompagnò la cena.
— Signore gli disse milady, la vostra presenza è essa un accessorio obbligato alla mia prigionia, e non potreste risparmiarmi l'aumento di torture che mi cagionano le vostre visite?
— Come mai, cara sorella, disse de Winter, non mi avete voi sentimentalmente annunciato con quella bocca oggi così crudele per me, che siete venuta in Inghilterra col solo scopo di vedermi con tutto il vostro comodo? godimento di cui mi dicevate, voi risentiste così fortemente la privazione, che avete tutto arrischiato per questo, mal di mare, tempesta, prigionia? Ebbene! eccomi, siate soddisfatta; d'altronde questa volta la mia visita ha un motivo.
Milady fremette, ella credè che Felton avesse parlato; giammai in sua vita, forse, questa donna che aveva provate tante emozioni possenti e opposte, non aveva sentito battersi così violentemente il cuore.
Essa era seduta; lord de Winter prese una scranna, la tirò vicino a lei, e le si assise da presso; quindi, prendendo dalla saccoccia un foglio che spiegò lentamente:
— Prendete, le disse, io voleva mostrarvi questa specie di passaporto, che da ora in avanti vi servirà di numero d'ordine nella via che io acconsento a lasciarvi.
Poi riportando il suo sguardo da milady sul foglio, egli lesse:
«Ordine di condurre a...
— Il nome è in bianco interruppe de Winter; se voi avete qualche preferenza indicatemela, e per poco che sia un migliaio di leghe da Londra, sarà esaudita la vostra domanda. Io dunque riprendo:
«Ordine di condurre a... la nominata Carlotta Backson, col marchio della giustizia del regno di Francia, ma liberata dopo la punizione; ella dimorerà in codesta residenza, senza mai allontanarsi più di trenta leghe. In caso di tentativo di evasione, le sarà applicata la pena di morte. Le saranno dati cinque schellings il giorno pel suo alloggio e nutrimento.»
— Quest'ordine non mi concerne, disse freddamente milady, poichè porta un nome che non è il mio.
— Un nome! avete voi forse un nome?
— Ho quello di un vostro fratello.
— V'ingannate; mio fratello non è che il vostro secondo marito. Il primo vive ancora. Ditemi il suo nome, ed io lo metterò invece del nome di Carlotta Backson. No, voi non lo avete... voi mantenete il silenzio. Sta bene; sarete registrata sotto il nome di Carlotta Backson.
Milady restò silenziosa, solamente, questa volta non era più per terrore. Essa credè l'ordine pronto per essere eseguito, pensò che lord de Winter avesse sollecitata la sua partenza; credè di essere condannata a partire la stessa sera; nel suo spirito era tutto perduto per un istante, quando ad un tratto s'occorse che l'ordine non era fornito di alcuna firma.
La gioia, che provò per questa scoperta, fu così grande, che non potè nasconderla.
— Sì, sì, disse Lord de Winter che aveva rimarcato ciò che in lei accadeva, sì, voi cercate le firme, e dite fra voi stessa: «Tutto non è ancora perduto, poichè quest'atto non è ancora firmato: mi si mostra per spaventarmi, ecco tutto». V'ingannate, domani quest'atto sarà inviato a lord Buckingham; dopo domani ritornerà firmato di suo proprio pugno, e munito del suo sigillo, e ventiquattr'ore dopo, sono io che ve lo garantisco, esso riceverà il suo principio di esecuzione. Addio, signora; ecco quanto io aveva a dirvi.
— Ed io risponderò, signore, che questo è un abuso di potere, che questo esilio sotto un nome supposto è una vera infamia.
— Amate voi meglio di essere impiccata col vostro vero nome, milady? Voi lo sapete, le leggi inglesi sono inesorabili sull'abuso che si fa del matrimonio; spiegatevi francamente. Quantunque il mio nome, o piuttosto quello di mio fratello, si trovi mischiato in questo affare, io arrischierò lo scandalo di un pubblico processo, per essere sicuro che con un sol colpo io sia sbarazzato di voi.
Milady non rispose, ma divenne pallida come un cadavere.
— Oh! vedo bene che voi amate molto la peregrinazione. A meraviglia, signora, evvi un proverbio che dice che i viaggi formano la gioventù. In fede mia, voi non avete torto del tutto, e il vivere è sempre una buona cosa. È per questo che io non mi curo punto che me la togliate. Resta ora a regolare l'affare dei cinque scellini; io mi mostro un poco parsimonioso; non è vero? Ciò è perchè temo che voi corrompiate i vostri guardiani. D'altronde vi resteranno sempre le vostre grazie per sedurli, a meno che i vostri scacchi con Felton non vi abbiano disgustata coi tentativi di questo genere.
— Felton non ha parlato, disse fra se stessa milady; allora niente è ancora perduto.
— E adesso, a rivederci, signora: domani ritornerò ad annunziarvi la partenza del mio messaggiero.
Lord de Winter si alzò, salutò ironicamente milady e uscì.
Milady respirò; essa aveva ancora quattro giorni per se, quattro giorni le basterebbero per sedurre Felton.
Però le venne una terribile idea; ed era che lord de Winter avrebbe forse mandato Felton stesso per far vidimare l'ordine da Buckingham; in questo modo Felton le veniva tolto, poichè per riuscire nel suo progetto abbisognava alla prigioniera la magia di una continua seduzione.
Frattanto una cosa sola la tranquillizzava come abbiamo detto: Felton non aveva parlato.
Essa non volle sembrare commossa dalle minacce di lord de Winter, si mise a tavola e mangiò.
Poi, come aveva fatto il giorno innanzi, si mise in ginocchio, e disse le sue preghiere ad alta voce. Come nel giorno innanzi, il soldato si fermò dal camminare e porse ascolto.
Ben presto essa sentì dei passi più leggieri di quelli della sentinella, che venivano dal fondo del corridoio, e si fermarono davanti alla sua porta.
— È lui, diss'ella.
E allora cominciò lo stesso canto religioso che la sera innanzi aveva tanto esaltato Felton.
Ma quantunque la sua voce dolce, piena e sonora, fosse vibrata più armoniosa e toccante che mai, la porta rimase chiusa. Parve a milady di doverne augurar bene; in uno degli sguardi furtivi ch'essa lanciava al piccolo finestrino, scoperse a traverso il socchiuso sportello, gli occhi ardenti del giovane; ma fosse realtà o visione, questa volta egli ebbe su se stesso la forza di non entrare.
Soltanto, alcuni minuti dopo che milady ebbe terminato il suo canto religioso, essa credè sentire un profondo sospiro; poi, gli stessi passi ch'essa aveva intesi avvicinarsi, li sentì pure allontanarsi lentamente, e come con dispiacere.
CAPITOLO LV. QUARTO GIORNO DI PRIGIONIA
L'indomani, quando Felton entrò da milady, la ritrovò in piedi sopra una sedia, che teneva fra le mani una corda formata con alcuni fazzoletti di tela battista, stracciati in istrisce, intrecciate le une con le altre, e legate tutte insieme. Al rumore che fece Felton nell'aprire la porta, milady saltò leggermente giù dalla sedia, e cercò di nascondere dietro a se questa corda improvvisata che teneva in mano.
Il giovane era ancora più pallido dell'ordinario, e i suoi occhi, rossi per la veglia, indicavano che avevano passata una notte febbrile.
Però la sua fronte era armata di una serenità più austera che mai.
Egli si avanzò lentamente verso milady, che si era seduta, e prendendo una estremità della treccia mortifera, che, suo malgrado, e forse avvedutamente, essa aveva lasciata uscire.
— Che cosa è questo, signora? domandò egli freddamente.
— Questo? niente, disse milady sorridendo con quella dolorosa espressione che sapeva tanto bene dare al suo sorriso. La noia, voi non lo ignorate, è il più mortale nemico dei prigionieri. Io mi annoiava, e mi sono divertita ad intrecciare questa corda.
Felton portò lo sguardo al disopra del luogo ove aveva veduto milady in piedi sulla seggiola, e a quello ove essa allora si trovava seduta, e vide, al disopra della di lei testa, nel muro un arpione che serviva ad attaccarvi delle picche o delle armi.
Egli fremette, e la prigioniera vide questo fremito, perchè, quantunque avesse gli occhi abbassati, non le sfuggiva niente.
— E che facevate voi in piedi su questa seggiola? domandò egli.
— Che v'importa? rispose milady.
— Ma, rispose Felton, io desidero saperlo.
— Non m'interrogate, disse la prigioniera; voi sapete bene che a noi veri cristiani ci è proibito il mentire.
— Ebbene, disse Felton, ve lo dirò io quello che facevate, o piuttosto che volevate fare. Voi stavate per compiere l'opera fatale che meditate nel vostro spirito. Pensatevi, signora; se il vostro spirito proibisce la menzogna, proibisce pure severamente il suicidio.
— Sì, lo credo, ma quando una delle sue creature, perseguitata ingiustamente, è posta fra il suicidio ed il disonore, credetemi, signore, rispose milady con un suono di profonda convinzione, a me pare che possa scegliere il suicidio e il martirio.
— Voi dite troppo, o troppo poco; parlate, signora, in nome del cielo spiegatevi!
— Che io vi racconti i miei infortunii, perchè voi li riteniate per favole! che io vi dica i miei progetti, perchè li andiate a denunziare al mio persecutore! No, signore; D'altronde che v'importa la vita o la morte di una infelice condannata? Voi non garantite che del mio corpo, non è vero? e, purchè presentiate un cadavere che sia riconosciuto pel mio, non vi verrà chiesto di più, e fors'anche avrete una doppia ricompensa.
— Io! signora, io! gridò Felton; supporre che io accattassi mai il prezzo della vostra vita, oh! voi non pensate a quello che dite?
— Lasciatemi fare, Felton, lasciatemi fare, disse milady esaltandosi. Ogni soldato deve essere ambizioso, non è vero? voi siete tenente; ebbene! voi seguirete il mio convoglio col grado di capitano.
— Ma che vi ho dunque fatto? disse Felton costernato; perchè voi mi carichiate di una simile risponsabilità in faccia a Dio e agli uomini? Fra qualche giorno sarete mandata lungi di qui; signora, la vostra vita non sarà più sotto la mia custodia, e aggiunse egli con un sospiro, allora... voi ne farete ciò che vorrete.
— Così, gridò milady, come se non avesse potuto resistere ad una santa indignazione, voi uomo pietoso, voi che siete chiamato un giusto, voi non domandate che una cosa, ed è di non essere incolpato, inquietato per la mia morte?
— Io debbo vegliare sulla vostra vita, signora, e vi veglierò.
— Ma capite voi bene la missione che adempite? sarebbe crudele se io fossi colpevole; qual nome le dareste voi, qual nome le darebbe il Signore se fossi innocente?
— Io sono soldato signora, e adempio gli ordini che ho ricevuti.
— Credete voi che nel giorno dell'ultimo giudizio, Dio separerà i carnefici ciechi dai giudici iniqui? voi non volete che si uccida il mio corpo, e vi fate l'agente di quello che vuole uccidere l'anima mia!
— Ma, io ve lo ripeto, disse Felton oppresso, non vi minaccia nessun pericolo, ed io rispondo di lord de Winter come di me stesso.
— Insensato! gridò milady, povero insensato che osa rispondere di un altro uomo, quando i più saggi, quando i più timorosi dell'ira celeste non osano neppure rispondere di se stessi, e che si associa al partito più forte e più fortunato per opprimere il più debole e lo più sventurato!
— Impossibile! signora; impossibile, mormorò Felton, che sentiva nel fondo del suo cuore l'aggiustatezza di questo argomento; prigioniera, voi non ricupererete per mezzo mio la libertà; viva, voi non perderete per mezzo mio la vita.
— Sì, ma io perderò bene ciò che mi è mille volte più caro della vita; io perderò l'onore, Felton, e siete voi, che io farò responsabile davanti a Dio e davanti agli uomini della mia onta e della mia infamia!
Questa volta per quanto fosse impassibile, o simulasse di esserlo, non potè resistere all'influenza secreta che si era già impadronita di lui. Vedere questa donna, così bella, bianca come la più candida visione, vederla volta a volta disperata o minacciosa, subire ad un tempo l'ascendente del dolore e della bellezza, era troppo per un cervello minato dai sogni ardenti della fede estetica, era troppo per un cuore corroso ad un tempo dall'amore pel cielo, che arde, dall'odio degli uomini, che divora.
Milady vide il turbamento, sentì per induzione la fiamma delle ardenti passioni opposte che ardevano col sangue nelle vene del giovane fanatico, e a guisa di un abile generale, che vedendo il nemico pronto a rinculare, cammina su di lui mandando un grido di vittoria, essa si alzò, bella come un'antica sacerdotessa, come una vergine inspirata, coi capelli sparsi, tenendosi con una mano la veste, pudicamente riportata sul suo petto, collo sguardo illuminato di quel fuoco che aveva già portato il disordine nel giovane puritano, si avanzò verso di lui, gridando con tutta la veemenza della sua voce così dolce, alla quale, nell'occasione, essa sapeva dare un accento così terribile.
— « Abbandona Abaal la sua vittima, getta ai leoni il martire. Dio ti farà pentire! io grido a lui dall'abisso. »
Felton rimase come petrificato.
— Chi siete voi! chi siete voi! gridò egli giungendo le mani; siete voi un angelo ovvero un demonio? vi chiamate voi Eloa o Astart?
— Non mi hai tu ancora riconosciuta Felton? io non sono nè un angelo nè un demonio; io sono una figlia della terra, io sono una sorella della credenza, ecco tutto.
— Sì, sì, disse Felton, io ne dubitava ancora, ma adesso lo credo.
— Tu credi, e frattanto sei complice di questo figlio di Belial che si chiama lord de Winter! tu credi, e frattanto mi lasci nelle mani dei miei nemici, del nemico dell'Inghilterra, del nemico di Dio! tu credi, e frattanto mi abbandoni a colui che riempie e lorda il mondo colle sue eresie e col libertinaggio, a questo infame Sardanapalo che i ciechi chiamano il duca di Buckingham e che i credenti chiamano l'Anticristo!
— Io, abbandonarvi a Buckingham, io! che dite voi mai?
— Essi avranno gli occhi, gridò milady, e non vedranno, essi avranno orecchi e non udiranno.
— Sì, sì, disse Felton passando le sue mani sulla sua fronte coperta di sudore, come per strappare il suo ultimo dubbio, sì, io riconosco la voce che mi parla nei miei sogni, sì, io riconosco i lineamenti dell'angelo che mi appare ogni notte, gridando all'anima mia che non può dormire: «colpisci, salva l'Inghilterra, salva te stesso perchè tu morrai senza aver disarmato Dio!» parla, parla! gridò Felton, ora io posso comprenderti.
Un lampo di gioia terribile, ma rapido come il pensiero sguizzò dall'occhio di milady.
Per quanto fosse fuggitivo questo lampo omicida, Felton lo vide e rabbrividì come se questo lampo avesse illuminato gli abissi del cuore di questa donna.
Felton si ricordò ad un tratto gli avvertimenti di lord de Winter, le seduzioni di milady, i suoi primi tentativi al momento del suo arrivo; egli rinculò di un passo, abbassò la testa, ma senza cessare di guardarla, come se, affascinato da questa strana creatura i suoi occhi non avessero potuto staccarsi da lei...
Milady non era donna da sbagliarsi sul senso di questa esitazione. Sotto queste emozioni apparenti, il suo sangue freddo agghiacciato non l'abbandonava punto. Prima che Felton le avesse risposto, e che essa fosse stata costretta di riprendere quella conversazione, così difficile a sostenersi sul medesimo punto di esaltazione, essa lasciò ricadere le sue mani, come se la debolezza della donna riprendesse il di sopra sull'entusiasmo della inspirata.
— Ma, no, disse essa, non sta a me l'essere la Giuditta che libererà Betulia da questo Oloferne. La spada dell'Eterno è troppo pesante pel mio braccio. Lasciatemi dunque fuggire il disonore colla morte, lasciatemi rifugiare nel martirio. Io non vi chiedo nè la libertà, come farebbe un colpevole, nè la vendetta come farebbe una pagana. Lasciatemi morire, ecco tutto. Io vi supplico, io vi imploro in ginocchio: lasciatemi morire, e il mio ultimo sospiro sarà una benedizione al mio salvatore.
A questa voce dolce e supplichevole, a questo sguardo timido ed abbattuto, Felton si rimproverò. A poco a poco, l'incantatrice aveva rivestito quella sembianza magica che assumeva e lasciava a volontà, vale a dire, la bellezza, la dolcezza, le lagrime, e soprattutto l'irresistibile attrattiva della voluttà mistica, la più divorante delle voluttà.
— Ahimè! disse Felton, io non posso che una cosa sola, compiangervi se mi provate che siete una vittima. Ma lord de Winter ha delle note crudeli contro di voi. Voi siete cristiana, voi siete mia sorella in religione; io mi sento strascinato verso di voi, io che non ho mai amato che il mio benefattore, io che nella mia vita, non ho ritrovato che dei traditori e degli empii. Ma voi, signora, voi così bella in realtà, voi così pura in apparenza, perchè lord de Winter vi perseguita in tal modo, voi avete dunque commesso delle grandi iniquità?
— Essi avranno gli occhi, ripetè milady con un accento di indicibile dolore, e non vedranno; essi avranno le orecchie e non udranno.
— Ma allora, gridò il giovane ufficiale, parlate dunque.
— Confidarvi la mia onta, gridò milady col rosso del pudore sul viso, poichè spesso il delitto dell'uno è l'onta dell'altro. Confidare la mia onta a voi uomo, io donna! Oh! continuò essa riportando pudicamente le sue mani sui suoi begli occhi, oh! giammai! giammai io lo potrei!
— A me, ad un fratello! gridò Felton.
Milady lo guardò lungamente con una espressione che il giovane ufficiale prese per un dubbio, ma che però non era che una penetrante osservazione, e soprattutto una viva volontà di affascinarlo.
Felton, a sua volta supplicante congiunse le mani.
— Ebbene! disse milady, io mi affido al mio fratello, io oserò...
In questo momento si sentì il passo di lord de Winter ma questa volta il terribile cognato di Milady non si contentò, come aveva fatto la sera innanzi, di passare avanti la porta, e di allontanarsi: egli si fermò, due parole con la sentinella, quindi aprì la porta e comparve.
Durante queste due parole, Felton aveva vivamente indietreggiato, dimodochè quando comparve lord de Winter egli era lontano dalla prigioniera.
Il barone entrò lentamente, e portando il suo sguardo scrutatore dalla prigioniera al giovine ufficiale.
— È scorso lungo tempo John, disse egli, che voi siete qui. Questa donna vi ha forse raccontato i suoi delitti? allora capirei la durata di questa conversazione.
Felton fremette, e milady sentì che sarebbe stata perduta se non veniva in aiuto del giovane puritano sconcertato.
— Ah! voi temete che la vostra prigioniera vi sfugga? disse essa. Ebbene! domandate al vostro carceriere qual grazia io sollecitava momenti sono.
— Voi domandavate una grazia? disse il barone sospettoso.
— Sì, milord, riprese il giovane confuso.
— E qual grazia? sentiamo, aggiunse lord de Winter.
— Un coltello che essa mi avrebbe restituito dal finestrino della porta un minuto dopo averlo ricevuto, rispose Felton.
— Dunque vi è qualcuno nascosto qui, che la nostra graziosa prigioniera vuole scannare? replicò lord de Winter colla sua voce irrisoria e beffarda.
— Vi sono io, rispose milady.
— Io vi ho dato la scelta fra l'America e Tiburn, riprese lord de Winter; scegliete Tyburn, milady: la corda, credetemi, è anche più sicura del coltello.
Felton impallidì e fece un passo in avanti, pensando che, al momento in cui egli era entrato, milady aveva in mano una corda.
— Avete ragione, disse questa, ed io vi aveva già pensato.
Poi soggiunse con voce sorda:
— E vi penserò ancora.
Felton sentì scorrere un fremito fin dentro le midolla delle sue ossa. Probabilmente lord de Winter si accorse di questo movimento.
— Non ti fidare, John, disse egli; John amico mio, mi sono riposato su te; sta in guardia, io ti ho avvisato. D'altronde abbi coraggio, figlio mio fra tre giorni, noi saremo liberati da questa creatura, ed ella non potrà più nuocere ad alcuno nel luogo ove la invio.
— Voi lo sentite! gridò milady con una forte esclamazione, dimodochè il barone credè che essa si indirizzasse al cielo, e Felton comprese che si indirizzasse a lui. Felton abbassò la testa e diventò astratto.
Il barone prese l'ufficiale per le braccia girando la testa sulla sua spalla, per non perdere di vista milady, fino a che fu uscito.
— Andiamo, andiamo, disse la prigioniera quando fu chiusa la porta, io non sono ancora così avanzata quanto credeva. De Winter ha cambiato la sua ordinaria stolidezza in una sconosciuta prudenza; che cosa è il desiderio di vendetta, e come questo desiderio forma l'uomo! quanto a Felton, egli esita. Ah! questo non è un uomo risoluto come quel maledetto d'Artagnan.
Frattanto milady aspettò con impazienza, poichè dubitava bene che non sarebbe scorsa la giornata senza che rivedesse Felton. Finalmente, un'ora dopo la scena che abbiamo raccontata, essa intese che qualcuno parlava a bassa voce alla porta, quindi ben presto la porta si aprì e riconobbe Felton.
Il giovine si avanzò rapidamente nella camera; lasciando la porta aperta dietro di se, e facendo segno a milady di tacere. Egli aveva il viso sconvolto.
— Che volete da me? diss'ella.
— Ascoltate, riprese Felton a bassa voce; io ho allontanata la sentinella per poter restar qui senza che si possa sentire ciò che vi dico. Il barone mi ha raccontato una storia spaventosa.
Milady prese il suo sorriso di vittima rassegnata e scosse la testa.
— O voi siete il demonio, continuò Felton, o il barone mio benefattore, mio padre, è un mostro. Io vi conosco da quattro giorni, ed amo lui da dieci anni; posso dunque esitare fra voi due; non vi spaventate di ciò che vi dico; io ho bisogno di essere convinto; questa sera, dopo mezzanotte io verrò a vedervi, e voi mi convincerete.
— No, Felton, no, fratello mio, diss'essa, il sacrificio è troppo grande, ed io capisco ciò che vi costa. No, io sono perduta, non vi perdete con me. La mia morte sarà più eloquente della mia vita, e il silenzio del cadavere vi convincerà anche meglio che le parole della prigioniera.
— Tacete, signora! gridò Felton, e non mi parlate in tal guisa; io sono venuto perchè mi promettiate sull'onore, perchè mi giuriate su quanto avete di più sacro, che non attenterete alla vostra vita.
— Io non vi posso promettere niente, disse milady, poichè nessuno più di me rispetta un giuramento; e se io promettessi mi abbisognerebbe mantenere.
— Ebbene! disse Felton, impegnatevi soltanto fino al momento in cui mi avrete riveduto. Se, dopochè mi avrete riveduto persisterete ancora, allora sarete libera, ed io stesso vi darò l'arme che mi avete domandata.
— Sì, disse milady, per voi aspetterò.
— Giuratelo.
— Lo giuro pel nostro Dio, siete voi contento?
— Bene, disse Felton. A questa notte.
E si slanciò fuori dell'appartamento, chiudendo la porta, aspettando di fuori coll'arme del soldato alla mano, come se avesse montata la guardia.
Il soldato ritornò, Felton gli rese la sua arme.
Allora, attraverso il finestrino a cui essa si era accostata, milady vide il giovane segnarsi con un delirante fervore e andarsene pel corridoio con un trasporto di gioia.
In quanto ad essa, ritornò al suo posto con un sorriso di selvaggio disprezzo sulle labbra e ripetè bestemmiando quel nome terribile di Dio, pel quale essa aveva giurato, senza aver mai imparato a conoscerlo.
CAPITOLO LVI. QUINTO GIORNO DI PRIGIONIA
Frattanto milady era giunta ad un mezzo trionfo, e l'ottenuto successo raddoppiava le sue forze.
Non era difficile il vincere, come aveva fatto fino allora, degli uomini pronti a lasciarsi sedurre, e che la galante educazione della corte trascinava presto in un laccio; milady era assai bella per allettare i sensi, ed era abbastanza destra per superare tutti gli ostacoli dello spirito.
Ma questa volta, essa aveva a lottare contro una natura selvaggia, concentrata, insensibile a forza di austerità; la religione e la penitenza avevano ridotto Felton un uomo inaccessibile alle ordinarie seduzioni; egli ravvolgeva nella sua testa, esaltava dei piani talmente vasti, dei progetti talmente tumultuosi, che non vi restava più luogo per l'amore, sentimento che si nutrisce negli ozi, e ingrandisce colla corruzione.
Milady aveva dunque fatto breccia, colla sua falsa virtù nell'opinione di un uomo prevenuto contro essa; e con la sua bellezza, nel cuore e nei sensi di un uomo candido e puro. Finalmente essa erasi data la misura di quei mezzi sconosciuti da essa stessa fino allora, con quella esperienza fatta sopra un individuo il più ribelle che la natura e la religione possono sottomettere al suo studio.
Ben molte volte, ciò nonostante, durante la serata, essa aveva disperato della sorte di se stessa; non invocava Dio, lo sappiamo, ma aveva fede nel genio del male, in quella immensa sovranità che regna in tutte le circostanze della vita umana, e alla quale, come nella favola araba, un seme di granato bastò per ricostruire un mondo perduto.
Milady, ben preparata a ricevere Felton, potè drizzare le sue batterie per la notte, essa sapeva che non aveva più che due giorni, e che una volta segnato l'ordine da Buckingham (e Buckingham lo avrebbe firmato tanto più facilmente che questo ordine era redatto con un nome supposto, e non avrebbe potuto riconoscere la donna di cui si trattava) una volta dato quest'ordine, il barone la farebbe imbarcare sul momento, e sapeva altresì che le donne condannate alla deportazione usano delle armi assai meno possenti nelle loro seduzioni, che le pretese donne virtuose, la di cui bellezza è illuminata dal sole della società, di cui la voce della moda vanta lo spirito e che un riflesso d'aristocrazia indora con la sua ingannevole luce. Essere una donna condannata ad una pena miserabile ed infamante, non è un impedimento a esser bella, ma è un ostacolo a divenir possente. Come tutte le persone di un genio reale, milady conosceva il mezzo che conveniva alla natura ed ai suoi mezzi. La povertà le ripugnava, l'abiezione la diminuiva di due terzi della sua grandezza. Milady non era regina; era necessario alla sua dominazione il piacere dell'orgoglio soddisfatto. Comandare agli esseri inferiori era per essa piuttosto un'umiliazione che una soddisfazione.
Certamente, essa sarebbe ritornata dal suo esilio, e non ne dubitava neppure un solo istante; ma quanto tempo sarebbe durato questo esilio? per una natura attiva ed ambiziosa come quella di milady, i giorni che non vengono occupati a salire, sono giorni infausti. Come chiamare dunque i giorni che vengono impiegati a discendere! Perdere un anno, due anni, è quanto a dire una eternità; ritornare dopo la disgrazia e dopo la morte di Richelieu; ritornare quando d'Artagnan e i suoi amici, felici e trionfanti, avessero ricevuto dalla regina la ricompensa da loro bene acquistata pei servigi che le avevano resi: queste erano tali idee divoratrici, che una donna come milady, non poteva sopportare. Del resto, l'uragano che rumoreggiava intorno a lei raddoppiava la sua forza. Ella avrebbe fatto scoppiare i muri della sua prigione se per un momento solo il suo corpo avesse potuto assumere le proporzioni del suo spirito.
Quindi, ciò che ancora più che la tormentava in mezzo a tutto ciò era la rimembranza del ministro, che doveva egli mai pensare, che doveva egli mai dire del suo silenzio, diffidente, inquieto, sospettoso come egli era? Il ministro, non solamente suo unico appoggio, non solamente suo unico protettore nel presente, ma ancora il principale istrumento della sua vendetta per l'avvenire! Essa lo conosceva; e sapeva che al suo ritorno, dopo un viaggio inutile, essa avrebbe un bell'aringare sulla sua prigionia, un bell'esaltare le subìte sofferenze, il ministro risponderebbe con quella calma irrisoria dello scettico possente ad un tempo per la forza e pel genio «non bisognava lasciarsi prendere!»
Allora milady riuniva tutta la sua energia, mormorando nel fondo del suo pensiero il nome di Felton, il solo raggio di luce che penetrava fino a lei nell'infimo ove era piombata, e come un serpente che avvolge e scontorce i suoi anelli per convincere se stesso della propria forza, essa avviluppava in antecedenza Felton nelle mille pieghe della sua inventiva immaginazione.
Frattanto il tempo passava, le ore, le une dopo le altre, sembravano risvegliare la campana così di fuga, ciascun colpo del battente di bronzo ripercuotevasi nel cuore della prigioniera.
A nove ore, lord de Winter fece la sua consueta visita, guardò la finestra e le sbarre, esplorò il pavimento e i muri, visitò il camminetto e le porte, senza che, durante questa lunga e minuta visita, nè egli nè milady pronunciassero una sola parola.
Senza dubbio entrambi capivano che la situazione era troppo grave per perdere il tempo in parole inutili o in collere senza effetti.
— Andiamo, andiamo, disse il barone nel lasciarla, anche per questa notte non potrete fuggire.
A dieci ore, Felton venne a porre una sentinella. Milady riconobbe il di lui passo, essa ora lo indovinava, come una innamorata indovina quello dello amante del suo cuore, e frattanto milady detestava e disprezzava questo debole fanatico.
Non era ancor giunta l'ora convenuta; Felton non entrava.
Due ore dopo, quando suonò mezzanotte, la sentinella fu cambiata, questa volta era giunta l'ora. Da quel momento milady aspettò con impazienza.
La nuova sentinella cominciò a passeggiare nel corridoio.
Dopo dieci minuti, venne Felton.
Milady si mise in ascolto.
— Ascolta, disse il giovane alla sentinella, non ti allontanare da questa porta sotto verun pretesto, perchè tu sai che nella notte scorsa è stato punito un soldato per aver lasciato un istante il suo posto; eppure sono stato io, che durante questa corta assenza ho fatto la guardia in sua vece.
— Sì, lo so, disse il soldato.
— Ti raccomando adunque la più esatta sorveglianza... Io aggiunse egli, entro per visitare una seconda volta la camera di questa donna, che, ho timore, abbia dei sinistri progetti su se stessa, e che ho ricevuto l'ordine di sorvegliare.
— Buono, mormorò milady, ecco l'austero puritano che non mente.
In quanto al soldato si contentò di sorridere.
— Per bacco! mio tenente, disse egli, voi non siete disgraziato nel dovere eseguire una simile commissione.
Felton arrossì. In tutt'altra circostanza avrebbe rimproverato il soldato che si permetteva un simile scherzo, ma la sua coscienza mormorava troppo altamente perchè la sua bocca osasse parlare.
— Se io chiamo, disse egli, vieni; nello stesso modo che se qualcuno si avanza, chiamami.
— Sì, mio tenente, disse il soldato.
Felton entrò da milady, ed essa si alzò.
— Ah! eccovi? disse essa.
— Io vi aveva promesso di venire, disse Felton e sono venuto.
— Voi mi avete promesso pur anche un'altra cosa.
— E che dunque, mio Dio! disse il giovane, che ad onta del suo impero su se stesso, si sentiva le ginocchia tremare e il sudore inondare la fronte.
— Voi avete promesso di portarmi un coltello, e di lasciarmelo dopo il nostro colloquio.
— Non mi parlate di ciò, signora, disse Felton; non vi è situazione, per quanto sia terribile, che autorizzi una creatura di Dio a darsi la morte. Io ho riflettuto, che non doveva mai rendermi colpevole di un simil peccato.
— Ah! voi avete riflettuto? disse la prigioniera ritornando a sedere sul seggio con un sorriso di disprezzo, io pure ho riflettuto!
— A che?
— Che non aveva niente da dire ad un uomo che non mi mantiene la sua parola.
— Oh! mio Dio! mormorò Felton.
— Voi potete ritirarvi, disse milady; io non parlerò.
— Ecco il coltello, disse Felton cavando di saccoccia l'arme che secondo la sua promessa, egli aveva portata, ma che esitava a consegnare alla sua prigioniera.
— Vediamolo, disse milady.
— Per fare che?
— Sul mio onore, io ve lo restituirò sull'istante. Voi potrete metterlo su questa tavola e vi porrete fra quello e me.
Felton stese l'arma a milady che ne esaminò attentamente la tempra e ne provò la punta sulla estremità di un dito.
— Bene, disse essa, rendendo al giovine ufficiale il coltello, questo è un bello e buono acciaio... Felton, voi siete un amico fedele.
Felton riprese l'arma e la posò sulla tavola, come era stato convenuto fra lui e la sua prigioniera.
Milady lo seguì con gli occhi, e fece un gesto di soddisfazione.
— Ora, disse essa, ascoltatemi.
La raccomandazione era inutile, il giovine ufficiale stava in piedi davanti a lei, aspettando le sue parole per divorarle.
— Felton, disse milady con una solennità piena di malinconia, Felton se vostra sorella, la figlia di vostro padre vi dicesse: «Giovine ancora, assai bella per disgrazia, mi si fece cadere con un laccio; io resistei: mi si moltiplicarono intorno le imboscate, le violenze; io resistei: si bestemmiò la religione che io servo, il Dio che adoro, perchè chiamai in mio soccorso questo Dio e questa religione; io ho resistito: allora mi furono prodigati gli oltraggi, e, siccome non potevano perdere l'anima mia, hanno voluto diffamare per sempre il mio corpo; finalmente...»
Milady si fermò, e un amaro sorriso passò sopra le di lei labra.
— Ma infine, disse Felton, che vi hanno fatto?
— «Una sera finalmente fu risoluto di paralizzare questa resistenza che non si poteva vincere; una sera fu mischiato nella mia acqua un possente narcotico; appena ebbi terminata la mia cena, che mi sentii a poco a poco cadere in uno sconosciuto torpore. Quantunque fossi senza diffidenza, un vago timore mi prese, e cercai di lottare contro il sonno. Mi alzai, volli correre alla finestra, chiamare soccorso, ma le gambe si rifiutarono di portarmivi. Mi sembrava che il soffitto si abbassasse e mi schiacciasse sotto il suo peso; stendeva le braccia, cercava di parlare, non potei mandare che suoni inarticolati; un torpore irresistibile si impadroniva di me; mi appoggiai ad un divano, sentendo di essere vicina a cadere: ma ben presto questo appoggio fu insufficiente per le deboli braccia, e caddi sopra un ginocchio, poi sopra entrambi; volli pregare, ma la mia lingua era agghiacciata.... caddi sul pavimento in preda ad un sonno che rassomigliava alla morte.
«Io non ho conservata alcuna rimembranza di tutto il tempo che durò questo sonno; la sola cosa che mi ricordo è che mi risvegliai trasportata in una camera rotonda, il di cui mobilio era sontuoso, e nella quale la luce non penetrava che da una apertura praticata nel soffitto. Del resto non appariva nessuna porta che desse accesso a questo ambiente: si sarebbe detta una sontuosa prigione.
«Passò lungo tempo prima che potessi rendermi conto del luogo ove mi ritrovava e di tutti i particolari che racconto. Il mio spirito sembrava lottare invano per iscuotere le pesanti tenebre di questo sonno, dal quale io non poteva strapparmi; aveva delle vaghe percezioni di uno spazio percorso, di un rotolio di carrozza, ma tutto ciò era così cupo, e così confuso nel mio pensiero, che questi avvenimenti sembravano appartenere a tutt'altra vita che alla mia, ma però ammalgamata alla mia da un fantastico accoppiamento.
«Per qualche tempo, lo stato nel quale mi ritrovava mi sembrò così strano, che mi parve di sognare. A poco a poco mi si presentò la realtà piena di terrore: non era più nella casa che io abitava; per quanto poteva giudicare dalla luce del sole, il giorno era già passato di due terzi; ed il giorno innanzi era già sera avanzata quando mi addormentai; il mio sonno era dunque durato circa vent'ore. Che cosa era dunque accaduto durante questo lungo sonno?
«Mi alzai vacillante. Tutti i miei movimenti, lenti e intorpiditi, attestavano che l'influenza del narcotico non si era ancora del tutto dissipata. Del resto, questa camera era ammobiliata per ricevere una donna, e la civetta più consumata non poteva avere nessun desiderio che non fosse stato soddisfatto in un volgere d'occhi intorno a questa camera.
«Certamente non era io la prima detenuta che fosse stata racchiusa in questa splendida prigione, ma voi lo capirete. Felton, più la prigione era bella, e più io aveva di che spaventarmi.
«Sì, era una prigione, perchè tentai invano di uscirne; esplorai tutti i muri per giungere a scoprire una porta, dappertutto i muri rispondevano con un suono cupo e sordo.
«Feci circa venti volte il giro di quella camera, cercando un'uscita qualunque; non ve ne erano. Caddi spossata dalla fatica e dallo spavento sopra un sofà.
«Frattanto la notte veniva a grandi passi, e colla notte si aumentavano i miei terrori. Io non sapeva se doveva rimanere ove mi ritrovava, mi sembrava di essere circondata da sconosciuti pericoli, nei quali stava per cadere ad ogni passo. Quantunque non avessi mangiato niente dal giorno innanzi, il mio spavento mi impediva di sentire fame.
«Nessun rumore dall'esterno, che mi permettesse di misurare il tempo, giungeva fino a me; io presumeva soltanto che potessero essere sette ad otto ore di sera, perchè eravamo nel mese di ottobre e faceva notte intera.
«Ad un tratto il cigolìo di una porta che girava sopra i suoi gangheri mi fece rabbrividire; un globbo di fuoco che apparve dall'alto dall'invetriata dell'apertura del soffitto, gettando una viva luce nella camera, mi fece accorta con ispavento che un uomo stava in piedi nel mezzo della camera, a pochi passi da me.
«Una tavola preparata per due apparecchiata con un abbondante cena, era sorta come per incanto nel mezzo dell'appartamento.
«Quest'uomo era colui che mi perseguitava da più di un anno, che aveva giurato il mio disonore, e che, dalle prime parole che uscirono dalla sua bocca, mi fece comprendre che non mi restava alcuna speranza di essere resa alla libertà.
— Infame mormorò Felton.
— Oh! sì, infame! gridò milady, vedendo l'interesse che il giovane ufficiale, la di cui anima sembrava sospesa alle sue labbra, prendeva a questo racconto; oh! sì, infame! egli credè che fosse bastato il farmi rapire dalla mia casa perchè tutto fosse detto, e non veniva sperando che io avessi accettata la mia onta, poichè la mia onta era consumata, ma veniva ad offrirmi la sua fortuna in compenso del mio amore.
«Tutto ciò che il cuore di una donna può contenere di superbo disprezzo, e di parole sdegnose, lo versai su quest'uomo; senza dubbio egli era assuefatto a simili rimproveri, mi ascoltò calmo, sorridente e colle braccia incrociate sul petto; poi, quando credè che io avessi detto tutto, si avanzò per afferrarmi la mano; balzai verso la tavola, presi un coltello, e ne volsi la punta contro il mio petto.
« — Fate un passo di più, gli dissi, ed oltre al mio disonore, voi avrete ancora la mia morte da rimproverarvi.
«Senza dubbio nel mio sguardo, nella mia voce, in tutta la mia persona spiccò quella verità di gesto, di attitudine, di accento, che porta la convinzione anche nelle anime le più perverse, poichè si fermò.
« — La vostra morte? mi diss'egli, oh! no, voi siete una troppa graziosa prigioniera perchè io acconsenta a perdervi così. Addio, mia bella, aspetterò per farvi una visita che vi ritroviate in migliori disposizioni.
«A queste parole, mandò un fischio; il globo di luce che illuminava la camera risalì, e disparve. Io mi ritrovai di nuovo immersa nelle tenebre. Si riprodusse il rumore di una porta che si apre e si chiude, ed un istante dopo ricomparve il globo fiammeggiante, discese, e mi ritrovai sola.
«Questo momento fu spaventoso; se avessi avuto ancora qualche dubbio pel mio infortunio, questi dubbi si sarebbero svaniti in una disperante realtà; io era in potere di un uomo che non solo io detestava, ma che disprezzava; di un uomo che mi aveva già data prova fatale di ciò che poteva osare.
— Ma chi era dunque quest'uomo? domandò Felton.
Milady non rispose a questa interrogazione, e continuò in questi termini.
— Io passai la notte sopra di una poltrona, fremendo al più piccolo rumore, perchè circa la mezzanotte la lampada si spense, mi ritrovai nella oscurità; ma la notte trascorse senza alcuna nuova apparizione del mio persecutore; venne il giorno, la tavola era scomparsa; io aveva conservato soltanto il coltello in mano.
«Questo coltello era tutta la mia speranza.
«Era oppressa dalla fatica, la veglia faceva bruciare i miei occhi, non aveva osato di dormire un solo istante. La luce del giorno mi tranquillizzò; andai a gettarmi sul mio letto, non senza il mio coltello liberatore che nascosi sotto il cuscino.
«Quando mi svegliai, una nuova tavola era apparecchiata.
«Questa volta a dispetto dei miei terrori, a dispetto delle mie angosce, mi si fece sentire una fame divoratrice; erano quarantotto ore che io non aveva toccato cibo; mangiai nel pane ed alcune frutta, poi, ricordandomi il narcotico misto nell'acqua che aveva bevuta, non accostai la bocca a quella che si ritrovava preparata sulla tavola, ed andai a riempiere il mio bicchiere ad una fontana di marmo scavata nel muro al di sopra della toletta.
«Però, ad onta di questa precauzione, non rimasi meno in angoscia per qualche tempo; ma questa volta i miei timori non erano fondati: passai la giornata senza provar nulla di ciò che temeva..
«Ebbi la precauzione di vuotare per metà la bottiglia affinchè non si accorgessero della mia diffidenza.
«Venne la sera, ma per quanto fosse profonda l'oscurità, i miei occhi cominciarono ad abituarvisi; vidi in mezzo alle tenebre la tavola sprofondarsi nel pavimento; un quarto d'ora dopo essa ricomparve portando la mia cena, un istante dopo, mercè la solita lampada a globo, la mia camera tornò ad essere illuminata.
«Io ero risoluta di non mangiare che cibi nei quali fosse impossibile immischiarvi nessun sonnifero; due uova ed alcune frutta composero il mio pasto, quindi andai ad attignere l'acqua alla mia fontana protettrice e la bevetti.
«Alle prime sorsate, mi parve che non avesse più lo stesso gusto di prima; mi prese un rapido sospetto; mi fermai, ma ne aveva già bevuto un mezzo bicchiere.
«Gettai il rimanente, ed aspettai col sudore dello spavento sulla fronte.
«Senza fallo qualche invisibile testimonio mi aveva veduto prendere l'acqua a questa fontana, ed aveva approfittato della mia stessa confidenza per meglio assicurare la mia perdita, così freddamente risoluta, così crudelmente proseguitata.
«Non era ancora trascorsa una mezz'ora, che si riprodussero gli stessi sintomi, soltanto questa volta, che io non aveva bevuto che un mezzo bicchiero d'acqua lottai più lungo tempo, e invece di addormirmi del tutto, caddi in uno stato di sonnolenza, che mi lasciava tutto il sentimento di ciò che accadeva intorno a me, mentre mi toglieva la forza di fuggire.
«Mi trascinai verso il mio letto per cercarvi la sola difesa che mi restava, il mio coltello salvatore, ma non potei giungere fino al capezzale, caddi in ginocchio, aggruppata ad una delle colonne da piedi.»
Felton impallidì spaventosamente, e un fremito convulso corse per tutte le sue membra.
— E ciò che vi era di spaventoso, continuò milady colla voce alterata, come se essa provasse ancora la stessa angoscia di quel terribile momento, era che in quella volta io aveva la conoscenza del pericolo che mi minacciava; era che la mia anima, se posso dirlo, vegliava sul mio corpo addormentato; era che vedeva, che sentiva, è vero, come se fosse stato in sogno, ma ciò era ancor più spaventoso.
«Vidi la lampada che risaliva e mi lasciava a poco a poco nella oscurità.
«Quindi intesi il cigolìo ben conosciuto della porta, quantunque quella porta non si fosse aperta che due volte.
«Sentii istintivamente che qualcuno si avvicinava a me; si narra che i disgraziati perduti nei deserti dell'America sentono collo stesso istinto l'avvicinarsi del serpente.
«Volli fare uno sforzo, tentai di mandare un grido, mi rialzai pure, ma per subito ricadere.»
— Ma ditemi dunque, chi era il vostro persecutore? gridò il giovane ufficiale.
Milady vide con un sol colpo d'occhio tutto il soffrire che essa ispirava a Felton calcando sopra ciascun particolare del suo racconto. Quanto più essa gli avesse dilaniato profondamente il cuore, più sicuramente egli la vendicherebbe. Essa continuò adunque questa volta come se non avesse inteso la sua esclamazione, o come se avesse pensato che non era ancor giunto il momento di rispondere.
— Io lo intesi esclamare nello scorgermi: «Questi miserabili puritani! sapeva bene che stancano i loro carnefici, ma non li credeva così forti coi loro seduttori».
Felton l'ascoltava senza far intendere altra cosa che una specie di sordo ruggito: soltanto il sudore grondava dalla sua fronte di marmo, e colla sua mano nascosta sotto l'abito, s'internava nel petto le unghie.
— Il primo movimento, ritornando in me, riprese milady, fu di cercare sotto il capezzale il coltello che non avea potuto arrivare a prendere. Se non aveva potuto servire alla difesa, poteva almeno servire alla espiazione.
«Ma nel riprendere il mio coltello, Felton, mi venne una terribile idea. Vi ho giurato di dirvi tutto, e vi dirò tutto: vi ho promesso la verità, io la dirò, dovesse essa perdermi.»
— Vi venne l'idea di vendicarvi di questo uomo, non è vero? gridò Felton.
— Ebbene! sì, disse milady; questa idea non è da cristiano, lo so; senza dubbio l'eterno nemico della nostra anima me la soffiava nello spirito, finalmente che vi dirò, Felton? continuò milady col tuono di una donna che si accusa di un delitto, mi venne questa idea, e non mi lasciò più. Forse è quel pensiero omicida di cui oggi sconto la pena.
— Continuate, continuate, disse Felton; ho fretta di vedervi giungere alla vendetta.
— Oh! risolsi che l'avrei compiuta il più presto possibile; non dubitava punto ch'egli sarebbe ritornato la notte vegnente. Nella giornata io non aveva nulla a temere.
«Così, quando venne l'ora della colezione, non esitai a mangiare e bere; aveva risoluto di far sembiante di cenare, ma di non prendere niente; doveva dunque col nutrimento della mattina combattere il digiuno della sera.
«Nascosi un bicchier d'acqua della colezione, essendo stata la sete quella che mi aveva fatto soffrire di più quando era rimasta quarantott'ore senza nè mangiare nè bere.
«La giornata trascorse senza avere altra influenza su me che confermarmi nella presa risoluzione; ebbi soltanto cura che il mio viso non tradisse in alcun modo il pensiero del mio cuore, perchè non dubitava di non essere continuamente spiata; molte volte ancora sentii un sorriso sulle mie labbra, Felton, io non oso ridire a quale idea io sorrideva, voi mi prendereste in orrore.»
— Continuate, continuate, disse Felton, voi vedete che io ascolto, e smanio di giungere alla fine.
— Venne la sera, continuò milady, si compirono gli ordinari avvenimenti; durante l'oscurità, come d'ordinario fu imbandita la mia cena, poi si accese la lampada, e io mi misi a tavola.
«Mangiai soltanto alcune frutta, feci sembiante di versare dell'acqua della bottiglia, ma non bevei che quella che aveva conservata nel mio bicchiere; la sostituzione del resto fu fatta con abbastanza di sveltezza perchè i miei spioni, se ne aveva, non concepissero alcun sospetto.
«Dopo cena, detti i medesimi segni di torpore della sera innanzi; ma questa volta, come se soccombessi alla fatica, o come mi fossi famigliarizzata col pericolo, feci sembiante di addormirmi.
«Questa volta aveva ritrovato il mio coltello, e mentre io fingeva di dormire, la mia mano stringeva convulsivamente la impugnatura.
«Scorsero due ore senza che accadesse nulla di nuovo. Questa volta, oh mio Dio! chi me lo avrebbe detto la sera innanzi? cominciai a temere ch'egli non venisse.
«Finalmente vidi la lampada alzarsi lentamente e scomparire nel soffitto: la mia camera si riempì di tenebre, ma feci uno sforzo per fendere con lo sguardo l'oscurità.
«Per circa dieci minuti non intesi altro rumore che quello dei battiti del mio cuore.
«Implorava il cielo perchè egli venisse.
«Finalmente intesi il ben conosciuto cigolio della porta che si apriva e si chiudeva; intesi, ad onta della grossezza del tappeto, un passo che faceva scrocchiare il pavimento; vidi; ad onta dell'oscurità, un'ombra che si avvicinava a me.»
— Affrettatevi, affrettatevi! interruppe Felton: non vedete che ciascuna delle vostre parole mi brucia come piombo fuso?
— Allora, continuò milady, allora riunii tutte le mie forze, mi ricordai che il momento della vendetta o piuttosto della giustizia era suonato, mi riguardai come un'altra Giuditta, e teneva il mio coltello in mano, e quando io lo vidi vicino a me, allora, coll'ultimo grido del dolore e della disperazione, lo colpii nel bel mezzo del petto.
«Miserabile! egli aveva preveduto tutto, il suo petto era ricoperto da una maglia d'acciaio, il coltello si spuntò.
«Ah! ah! gridò egli afferrando il braccio e strappandomi l'arma che mi aveva così mal servito, voi volete prendervela con la mia vita, mia bella puritana; ma questo è qualche cosa più che odio, questa è ingratitudine. Andiamo, andiamo, calmatevi, mia bella fanciulla; avrei creduto che vi foste addolcita. Io non sono di quei tiranni che custodiscono le donne per forza. Voi non mi amate? io ne dubitava colla mia ordinaria fatuità; ne sono convinto. Domani voi sarete libera.
«Io non aveva altro desiderio che quello che mi uccidesse.
« — State in guardia, gli dissi, poichè la mia libertà è il vostro disonore.
« — Spiegatevi, mia bella Sibilla..
« — Sì, poichè appena uscita di qui, dirò tutto: dirò la violenza che avete usata verso di me; dirò la mia prigionia: denunzierò questo palazzo d'infamia! voi siete posto troppo in alto, milord, ma tremate! al di sopra di voi vi è il re! al di sopra del re vi è Dio.
«Per quanto il mio persecutore sembrasse padrone di se stesso, lasciò sfuggirsi un movimento di collera. Io non potei vedere l'espressione del suo viso, ma sentii fremere il suo braccio, sul quale io aveva posta la mia mano.
« — Allora voi non uscirete più di qui, disse egli.
« — Bene! bene! gridai; allora il luogo del mio supplizio sarà pure il luogo della mia tomba. Bene! io morirò qui, e voi vedrete se un fantasma che accusa sia ancor più terribile di un vivo che minaccia.
« — Non vi sarà lasciata alcun'arme.
« — Ve ne è una che la disperazione ha messo alla portata di ogni creatura che ha il coraggio di servirsene, io mi lascerò morire di fame.
« — Vediamo, disse il miserabile, la pace non val meglio di una simile guerra? io vi rendo la libertà sull'istante, vi proclamerò la stessa virtù, vi soprannominerò la Lucrezia d'Inghilterra.
« — Ed io dirò che voi ne siete il Sextus, io vi denunzierò a Dio, e se fa d'uopo che, come Lucrezia, io sottoscrivi la mia denunzia col mio sangue, la sottoscriverò.
« — Ah! ah! disse il mio nemico in tuono derisorio, allora è un'altra cosa. In fede mia, in fin dei conti, voi state bene qui, non vi mancherà niente, e se vi lascerete morire di fame, sarà colpa vostra.
«A queste parole egli si ritirò, intesi aprirsi e chiudersi la porta, rimasi inabissata, meno ancora, ve lo confesso, dal dolore, che dall'onta di non essere stata vendicata.
«Egli mantenne la sua parola; tutta la giornata, tutta la notte dell'indomani passò senza che comparisse; io pure però gli mantenni la mia parola, e non mangiai nè bevvi nulla, ed era, come gli avea detto, risoluta di lasciarmi morire di fame.
«Passai il giorno e la notte pregando, poichè sperava che Dio mi avrebbe perdonato il mio suicidio.
«La seconda notte la porta si aprì; io era stesa sul pavimento, le forze cominciavano ad abbandonarmi.
«Al momento mi sollevai, sorreggendomi sopra una mano.
« — Ebbene! mi disse una voce che suonava in un modo troppo terribile al mio orecchio, perchè non la riconoscessi tosto: ebbene! siamo noi un poco raddolciti, e pagheremo la nostra libertà con una semplice promessa di silenzio? Sentite, io sono un buon principe, aggiunse egli, e quantunque non ami i Puritani, io rendo loro giustizia; egualmente che alle Puritane, quando sono belle. Andiamo, fatemi un piccolo giuramento sulla croce, io non vi domando di più.
« — Sulla croce! gridai rialzandomi, perchè al suono di questa voce aborrita, io aveva ritrovate tutte le mie forze: sulla croce giuro che nessuna promessa, nessuna minaccia, nessuna tortura mi chiuderà mai la bocca. Sulla croce giuro di denunziarvi ovunque come un assassino, un ladrone d'onore, un vile; sulla croce giuro, se mai giungerò ad uscire di qui, di domandare vendetta contro voi a tutto il genere umano.
« — State all'erta, disse la voce con un tuono di minaccia che io non aveva per anche inteso, poichè ho un mezzo supremo, che non impiegherò che agli ultimi estremi, per farvi chiudere la bocca, o almeno per impedire che si creda ad una sola parola di quanto sarete per dire.
«Io raccolsi tutte le mie forze per rispondere con uno scoppio di risa.
«Egli si accorse che oramai fra di noi si era aperta una guerra a morte.
« — Ascoltate, disse egli, io vi lascio ancora il rimanente di questa notte e tutto il giorno di domani: riflettete. Promettete di tacere, e la ricchezza, gli onori, ed anche la considerazione vi circonderanno; minacciate di parlare, ed io vi condannerò all'infamia.
« — Voi? gridai io, voi!
« — All'infamia perpetua, incancellabile!
« — Voi! ripetei... oh! Felton, ve lo assicuro, io lo credeva insensato.
« — Sì, io, riprese egli.
« — Ah! lasciatemi, gli dissi, uscite, se non volete che io m'infranga la testa contro i muri, e sotto gli occhi vostri.
« — Sta bene! diss'egli, voi lo volete? A dimani sera.
« — A dimani sera, risposi lasciandomi ricadere, e mordendo il tappeto per la rabbia.»
Felton si appoggiava ad un mobile, e milady vedeva con gioia che forse sarebbe mancato la forza al giovane uffiziale prima della fine del racconto.
CAPITOLO LVII. UN MEZZO DI TRAGEDIA CLASSICA
Dopo un momento di silenzio, impiegato da milady a contemplare il giovane che l'ascoltava, essa continuò il suo racconto:
« — Erano quasi tre giorni che io non aveva nè mangiato, nè bevuto, diss'ella, e soffriva atroci torture; qualche volta mi sembrava che alcune nubi mi chiudessero la fronte, che mi velassero gli occhi: era il delirio.
«Venne la sera: io era così debole che ad ogni istante sveniva, ed ogni volta che sveniva ringraziava Dio, perchè credeva di morire.
«Nel mezzo di uno di questi svenimenti, intesi aprirsi la porta, il terrore mi richiamò alla vita.
«Il mio persecutore entrò seguito da un uomo mascherato, egli pure si era mascherato, ma lo riconobbi al suo passo, lo riconobbi alla sua voce, lo riconobbi a quell'aspetto imponente che l'inferno ha dato alla sua persona per disgrazia pell'umanità.
« — Ebbene, mi diss'egli, vi siete voi decisa a farmi il giuramento che vi ho chiesto?
« — Voi lo avete detto, i Puritani non hanno che una parola; la mia, l'avete intesa: essa è di perseguitarvi sulla terra al tribunale degli uomini, in cielo al tribunale di Dio!
« — Voi dunque persistete?
« — E lo giuro innanzi a quel Dio che mi ascolta; io prenderò il mondo tutto intero a testimonio del vostro delitto, e ciò fino a che abbia ritrovato un vendicatore.
« — Voi siete una prostituta, diss'egli con voce tonante, e subirete il supplizio delle prostitute! Infamata davanti agli occhi degli uomini che voi invocherete, cercate di provar prima a questo mondo che non siete nè colpevole, nè pazza.
«Quindi volgendosi all'uomo che lo accompagnava:
« — Carnefice, fa il tuo dovere!»
— Oh! il suo nome, il suo nome! gridò di nuovo Felton; il suo nome! ditemelo!
— Allora malgrado le mie grida, malgrado la mia resistenza, perchè cominciai a capire allora che si trattava di qualche cosa peggiore della morte, il carnefice mi afferrò, mi rovesciò per terra, mi strinse colle sue funi, e, soffocata, quasi fuori dei sensi invocando Dio, mandai ad un tratto uno spaventevole grido di dolore e di vergogna, un ferro rovente, un ferro rosso, il marchio del carnefice si era posto sopra una mia spalla.
Felton mandò un ruggito.
— Osservate, disse milady alzandosi con una maestà da regina, osservate, Felton, vedete come si è inventato un nuovo martirio per la giovinetta pura, e non pertanto vittima della brutalità di uno scellerato. Imparate a conoscere il cuore degli uomini, e d'ora innanzi fatevi meno facilmente l'istrumento delle loro ingiuste vendette.
Milady con un gesto rapido aprì la sua veste, stracciò la fina battista che cuopriva la sua spalla, e arrossendo per una finta collera, e per una ben giuocata vergogna, mostrò al giovane l'impronta incancellabile che disonorava una così bella spalla.
— Ma, gridò Felton, è un giglio quello che io vedo!
— Ed ecco precisamente dove sta l'infamia, rispose milady. Col marchio dell'Inghilterra, sarebbe stato necessario provare qual'era stato il tribunale che mi aveva condannata, ed io avrei fatto un pubblico appello a tutti i tribunali del regno; ma col marchio di Francia... ah! con esso, io sono stata seriamente infamata.
Questo era troppo soffrire per Felton.
Pallido, immobile, atterrito da questa rivelazione orribile, abbagliato dalla bellezza sovrumana di questa donna che si svelava a lui con una impudenza che ritrovò sublime, finì per cadere in ginocchio innanzi a lei, come cosa santa; il marchio d'infamia disparve, rimase soltanto la beltà.
— Perdono, perdono, disse Felton, oh! perdono!
Milady lesse nei suoi occhi: amore, amore!
— Perdono di che? domandò essa.
— Perdono di essermi unito ai vostri persecutori.
Milady gli stese la mano.
— Così bella! così giovane! gridò Felton coprendo questa mano di baci.
Milady lasciò cadere sopra di lui uno di quegli sguardi che di uno schiavo fanno un re.
Felton era puritano, così lasciò la mano di questa donna per baciarle i piedi.
Egli già non l'amava più, ma l'adorava.
Quando questa crisi fu passata, quando milady sembrò aver ripreso il suo sangue freddo, che non aveva mai perduto:
— Ah! ora non ho più che una sola cosa a chiedervi, ed è il nome del vostro vero carnefice; poichè per me non ne vedo che uno, l'altro era soltanto un istrumento.
— E che, fratello, ho io ancora bisogno di nominartelo? tu non l'hai ancora indovinato?
— Che? riprese Felton, lui!... sempre... sempre lui!.. Che! il vero colpevole?...
— Il vero colpevole, disse milady, è il distruttore dell'Inghilterra, il persecutore dei veri credenti, il vile rapitore dell'onore di tante donne, colui che, per capriccio del suo cuore corrotto, sta per far versare tanto sangue all'Inghilterra, che oggi protegge i protestanti, ma che domani li tradirà.
— Buckingham! è dunque Buckingham! gridò Felton esasperato.
Milady nascose il suo viso fra le mani, come se non avesse potuto sopportare la vergogna che le cagionava questo nome.
— Buckingham! il carnefice di questa angelica creatura! gridò Felton. E tu non l'hai fulminato, o giusto cielo! e tu lo hai lasciato nobile, onorato, potente per la nostra perdita comune!
— Dio abbandona quelli che si abbandonano da se stessi, disse milady.
— Ma egli dunque vuole aggravare sul suo capo il gastigo riservato ai maledetti, continuò Felton con una crescente esaltazione. Vuole dunque che la vendetta umana prevenga la vendetta celeste!
— Gli uomini lo temono, e lo risparmiano.
— Ah! io disse Felton, io non lo temo, e non lo risparmierò...
Milady sentì l'anima sua cospergersi di una gioia infernale.
— Ma in qual modo lord de Winter, mio protettore, mio padre, trovasi immischiato in tutto ciò?
— Ascoltate, Felton, riprese milady, perchè a fianco degli uomini vili e dispregevoli vi sono delle nature grandi e generose; io aveva un fidanzato un uomo che io amava, e ch'egli amava me; un cuore come il vostro, Felton, un uomo come voi. Andai da lui, e gli raccontai tutto; egli mi conosceva, e non pose alcun dubbio sulla verità del racconto. Era un gran signore; era un uomo sotto tutti i rapporti uguale a Buckingham. Egli non disse una parola, cinse soltanto la spada, si avviluppò nel suo mantello, e si portò sulla piazza Buckingham.
— Sì, sì capisco, disse Felton, quantunque con simili uomini non sia la spada che si deve adoprare ma il pugnale.
— Buckingham era partito il giorno innanzi, inviato come ambasciatore in Ispagna, dove andò a chiedere la mano della infante pel re Carlo I., che allora non era che principe di Galles. Il mio fidanzato ritornò.
— Ascoltate, mi disse, quell'uomo è partito, ed in conseguenza si è involato pel momento alla mia giusta vendetta; ma frattanto, siamo uniti come dobbiamo esserlo, poi fidatevi a lord de Winter per vendicare il suo onore e quello di sua moglie.
— Lord de Winter! gridò Felton.
— Sì, disse milady, ed ora dovete capire tutto, non è vero? Buckingham rimase assente quasi un anno; otto giorni prima del suo arrivo, lord de Winter morì improvvisamente, lasciandomi sua sola erede. Da qual parte veniva il colpo? Dio solo che sa tutto, lo sa senza dubbio; io non accuso nessuno.
— Oh! quale abisso! quale abisso! gridò Felton.
— Lord de Winter morì senza dir niente a suo fratello. Il segreto terribile doveva esser nascosto a tutti fino a che scoppiasse come un fulmine sul capo del colpevole; il vostro protettore aveva veduto con pena questo matrimonio con suo fratello con una giovinetta senza fortuna. Sentii che non poteva aspettarmi alcun appoggio da un uomo disingannato nelle sue speranze di eredità. Passai in Francia, risolsi di restarvi il rimanente della mia vita; ma tutti i miei beni sono in Inghilterra; chiuse le comunicazioni per la guerra, fui privata di tutto, e mi fu forza di ritornarvi; sono sei giorni che approdai a Portsmouth.
— Ebbene? disse Felton.
— Ebbene, Buckingham seppe senza dubbio il mio ritorno, ne parlò a lord de Winter, di già prevenuto contro di me; gli disse che sua cognata era una prostituta, una donna bollata. La voce nobile e pura di mio marito non era più là per difendermi. Lord de Winter credè tutto ciò che gli fu detto con tanta maggiore facilità, in quanto che ha interesse a crederlo. Egli mi fece arrestare e condurre qui, e mi mise sotto la vostra custodia. Voi sapete il resto: dopo domani sarò bandita, sarò deportata; dopo domani sarò relegata fra le donne infami! Oh! la trama è bene ordita, andate! il complotto è abile, e il mio onore non vi sopravviverà. Voi vedete bene che è necessario che io muoia, Felton; Felton, datemi quel coltello.
E a queste parole, come se tutte le sue forze fossero spossate, milady si lasciò cadere debole e languente fra le braccia del giovane uffiziale.
— No, no, disse egli, no, tu vivrai, tu vivrai onorata e pura, tu vivrai per trionfare dei tuoi nemici.
Milady lo respinse lentamente con la mano, attirandolo con lo sguardo.
— Oh! la morte! la morte! disse ella velando la sua voce e le sue palpebre, oh! la morte piuttosto che la vergogna. Felton, fratello mio, amico mio, io te ne scongiuro.
— No, gridò Felton, no, tu vivrai e sarai vendicata.
— Felton, io porto disgrazia a tutti quelli che mi si avvicinano. Felton, abbandonatemi; Felton, lasciatemi morire.
— Ebbene! noi moriremo dunque insieme! gridò egli.
Diversi colpi rintronarono alla porta.
— Ascolta, diss'ella, noi siamo stati intesi. Essi vengono, è finita per noi, noi siamo perduti.
— No, disse Felton, è la sentinella che mi previene che sta per passare la ronda.
— Allora correte alla porta e aprite voi stesso.
Felton obbedì; questa donna era già tutto il suo pensiero, tutta la sua anima.
Egli si trovò in faccia un sergente che comandava una pattuglia di sorveglianza.
— Ebbene! che cosa c'è, domandò il giovine tenente.
— Voi mi avete detto di aprire la porta se avessi inteso chiamare soccorso, disse il soldato, ma vi siete soltanto dimenticato di consegnarmi la chiave. Vi ho inteso gridare senza capire ciò che dicevate; volli aprire la porta, essa era chiusa al di dentro, allora ho chiamato il sergente.
— Ed eccomi qua, disse il sergente.
Felton, sconvolto, quasi pazzo, rimase senza voce.
Milady capì che stava a lei di impadronirsi della situazione; ella corse alla tavola e prese il coltello che vi aveva deposto Felton.
— E con qual dritto volete voi impedirmi di morire? diss'ella.
— Gran Dio! gridò Felton vedendo il coltello luccicare nella di lei mano.
In questo momento uno scroscio d'ironico riso si fece sentire nel corridoio.
Il barone, attirato dal rumore, in veste da camera, colla sua spada sotto il braccio stava in piedi sulla soglia della porta.
— Ah! ah! diss'egli eccoci all'ultimo atto della tragedia; voi lo vedete Felton, il dramma ha seguìto tutte le fasi che io aveva indicate, ma siate tranquillo, il sangue non colerà.
Milady capì che ella era perduta se non dava tosto a Felton una pruova immediata e terribile del suo coraggio.
— V'ingannate milord, diss'ella, il sangue scorrerà, e possa questo ricadere sopra quelli che lo fanno scorrere.
Felton gettò un grido e si precipitò verso di lei; ma era troppo tardi, milady si era colpita.
Ma il coltello aveva fortunatamente incontrato (noi dovremmo dire destramente) la stecca di ferro che in quell'epoca difendeva come una corazza il petto delle donne; esso vi era strisciato sopra, stracciando la veste, ed era penetrato a fior di pelle fra la carne e le coste.
La veste di milady rimase però tosto macchiata di sangue.
Milady era caduta rovescioni e sembrava svenuta.
Felton strappò il coltello.
— Vedete, milord, disse egli, con aria tetra, ecco una donna che stava sotto la mia custodia e che si è uccisa.
— State tranquillo, Felton, disse lord de Winter, ella non è morta, i demonii non muoiono così facilmente; state tranquillo e andate ad aspettarmi nella mia camera:
— Ma, milord...
— Andate, io ve l'ordino.
A questa ingiunzione del suo superiore, Felton obbedì, ma nell'uscire nascose il coltello sul suo petto.
In quanto a lord de Winter egli si contentò chiamare la donna che serviva milady, e quand'essa fu venuta, dopo averle raccomandata la prigioniera sempre svenuta, la lasciò sola con lei.
Però siccome poteva darsi, ad onta dei suoi sospetti, che la ferita potesse essere grave, inviò sull'istante medesimo un uomo a cavallo per cercare un medico.
CAPITOLO LVIII. EVASIONE
Come lo aveva pensato lord de Winter, la ferita di milady non era pericolosa; così come si trovò sola con la donna che il barone aveva fatta chiamare e che si disponeva a spogliarla, riaprì gli occhi.
Però bisognava rappresentare la parte della debolezza e del dolore, ciò non era cosa difficile per una commediante come milady. Così la povera servente fu compiutamente ingannata dalla sua prigioniera, che, ad onta delle sue istanze, essa si ostinò a vegliare tutta la notte.
Ma la presenza di questa donna non impediva a milady di pensare.
Non vi era più alcun dubbio, Felton era convinto, Felton era suo. Un angelo se fosse apparso al giovane per accusare milady, nella disposizione d'animo in cui egli si ritrovava, lo avrebbe certamente preso per un inviato del demonio. Milady sorrideva a questo pensiero poichè Felton era oramai la sua sola speranza, il suo solo mezzo di salute.
Ma lord de Winter poteva averlo preso in sospetto; Felton ora poteva essere esso stesso sorvegliato.
Verso le quattro ore del mattino, giunse il medico; ma dal momento in cui milady si era colpita, la ferita si era di già chiusa. Il medico non potè dunque misurarne la direzione, nè la profondità; riconobbe soltanto dal polso della malata che il caso non era grave.
La mattina milady sotto il pretesto che non aveva dormito nella notte e che aveva bisogno di riposo, rimandò la donna che vegliava vicino a lei.
Essa aveva una speranza, ed era che Felton venisse all'ora della colezione, ma Felton non venne.
I suoi timori eransi forse realizzati? Felton preso in sospetto dal barone, le sarebbe forse mancato nel momento decisivo? Essa non aveva più che un giorno. Lord de Winter le aveva annunziato il suo imbarco pel 23, e si era già alla mattina del 22.
Ciò nonostante essa aspettava ancora pazientemente l'ora del pranzo.
Quantunque ella non avesse mangiato la mattina, il pranzo fu portato nell'ora solita: milady vide allora con spavento che l'uniforme dei soldati che la guardavano era cambiato.
Allora si azzardò di domandare ciò che fosse accaduto di Felton.
Le fu risposto che Felton era montato a cavallo un'ora innanzi e che era partito.
S'informò se il barone era sempre al castello; il soldato rispose di sì, e che aveva l'ordine di prevenirlo se la prigioniera desiderasse parlargli.
Milady rispose che si trovava troppo debole pel momento, e che il solo suo desiderio era di rimaner sola.
Il soldato uscì lasciando il pranzo apparecchiato.
Felton era stato allontanato, i soldati di marina erano stati cambiati; dunque si diffidava di Felton.
Quest'era l'ultimo colpo portato alla prigioniera.
Rimasta sola ella si alzò: quel letto in cui si teneva per prudenza e perchè fosse creduta gravemente ferita la bruciava come un braciere ardente. Essa gettò uno sguardo sulla porta; il barone aveva fatto inchiodare un asse nel finestrino; egli temeva senza dubbio che mercè quest'apertura essa giungesse ancora, con qualche diabolico mezzo, a sedurre le guardie.
Milady sorrise di gioia; dunque poteva abbandonarsi ai suoi trasporti senza essere osservata: Ella percorse le camere colla esaltazione di una pazza furiosa o di una tigre racchiusa nella gabbia di ferro.
Certamente se le fosse rimasto il coltello, avrebbe pensato, non già ad uccidere se stessa, ma questa volta ad uccidere il barone.
A sei ore lord de Winter entrò, ed era armato fino ai denti. Quest'uomo, nel quale fino allora milady non aveva veduto che un gentiluomo elegante e civile, era divenuto un ammirabile carceriere. Sembrava preveder tutto, prevenire tutto.
Un solo sguardo vibrato sopra milady lo fece accorto di ciò che passava nella di lei anima.
— Sia diss'egli, ma per oggi non potrete uccidermi, voi siete senz'armi, e d'altronde io sono in guardia. Voi avevate incominciato a pervertire il mio povero Felton; egli subiva di già la vostra infernale influenza, ma io ho voluto salvarlo, e voi non lo vedrete più. Tutto è finito: riunite le cose vostre; domani partirete. Aveva fissato d'imbarcarvi il 24, ma ho riflettuto che più la cosa sarebbe stata vicina, e più sarebbe stata sicura: Domani a mezzogiorno avrò l'ordine del vostro esilio, firmato da Buckingham. Se voi direte una sola parola a chiunque siasi, prima che siate salita sulla nave, il mio sergente vi farà saltar le cervella; egli già ne ha l'ordine. Se sulla nave direte una parola a chiunque siasi, prima che il capitano ve n'abbia dato il permesso, egli vi farà gettare in mare; ciò è di già convenuto fra noi. A rivedervi; ecco quanto per oggi ho a dirvi; domani vi rivedrò per dirvi addio.
Dette queste parole, il barone uscì.
Milady aveva ascoltata tutta questa tirata col sorriso dello sdegno sulle labbra, ma colla rabbia nel cuore.
Fu servita la cena: milady sentì che aveva bisogno di forze; ella non sapeva ciò che poteva accadere nel corso di quella notte che si avvicinava minacciosa, poichè grossi nuvoloni si ravvolgevano in cielo, e continui lampi annunziavano un uragano.
L'uragano scoppiò verso le dieci ore della sera; milady provava una specie di consolazione nel vedere la natura armonizzarsi col disordine del suo cuore. Il fulmine rimbombava per l'aria come la collera nel suo pensiero; le sembrava che la bufèra passando scarmigliasse la sua fronte come gli alberi di cui curvava i rami, e svelleva le frondi; essa urlava come l'uragano, e la sua voce si perdeva nella gran voce della natura, che pure sembrava gemere e disperarsi.
Di tratto in tratto ella guardava un anello che portava al suo dito. Sotto la pietra di questo anello vi stava un veleno sottile e violento; questa era l'ultima sua risorsa.
Ad un trattò intese battere ad un vetro, e al chiarore di un lampo, vide il viso di un uomo comparire dietro le sbarre.
Essa corse alla finestra e l'aprì.
— Felton! gridò ella, io sono salva!
— Sì, disse Felton, ma silenzio! mi necessita il tempo per segare le sbarre della vostra inferriata; guardate soltanto di non essere osservata dal finestrino della porta.
— Oh! questa è una pruova che il cielo è per noi, Felton, riprese milady, hanno chiuso il finestrino con un asse.
— Sta bene! Dio li ha resi insensati, disse Felton.
— Ma che cosa debbo fare io? domandò milady.
— Niente; richiudete soltanto la finestra, andate a riposarvi e stendetevi sul letto vestita; quando avrò finito, batterò ai vetri. Ma potrete voi seguirmi?
— Oh! sì.
— La vostra ferita?...
— Mi fa soffrire, ma non m'impedisce di camminare.
— Tenetevi dunque pronta al primo segnale.
Milady richiuse la finestra spense il lume, e andò, come gli era stato raccomandato da Felton, a stendersi sul letto. Tra il fragore dell'uragano, ella sentiva lo stridore della lima sulle sbarre, ed al chiarore di ciaschedun lampo vedeva l'ombra di Felton dietro i vetri.
Essa passò un'ora senza respirare, anelante, col sudore sulla fronte, ed il cuore stretto da spaventevole angoscia, ad ogni piccolo movimento che sentiva nel corridoio.
Vi sono delle ore lunghe quanto un anno.
In capo ad un'ora Felton battè di nuovo.
Milady balzò dal suo letto e andò ad aprire; erano state tolte due sbarre e presentavano un'apertura sufficiente per passarvi un uomo.
— Siete voi pronta? domandò Felton.
— Sì; debbo io portar meco qualche cosa?
— Dell'oro, se ne avete.
— Fortunatamente mi hanno lasciato tutto quello che io aveva.
— Tanto meglio, perchè ho impiegato tutto il mio a noleggiare il naviglio.
— Prendete, disse milady mettendo nelle mani di Felton un sacco pieno d'oro.
Felton prese il sacco e lo gettò ai piedi del muro.
— Ora, diss'egli volete venire?
— Eccomi.
Milady montò sopra una sedia e passò tutto il suo tronco fuori della finestra; essa vide allora il giovane ufficiale sospeso al disopra dell'abisso da una scala di corde.
Per la prima volta un movimento di terrore le ricordò che era donna.
Il vuoto la spaventò.
— Io lo aveva dubitato, disse Felton.
— Non è niente, disse milady, io discenderò cogli occhi chiusi.
— Avete confidenza in me? disse Felton.
— Voi me lo domandate?
— Ravvicinate le vostre due mani, incrociatele. Sta bene.
Felton le legò i due polsi con un fazzoletto, e, al disopra del fazzoletto con una corda.
— Che fate? domandò milady con sorpresa.
— Passate le vostre braccia intorno al mio collo, e non temete di niente.
— Ma io vi farò perdere l'equilibrio, e precipiteremo entrambi.
— State tranquilla, io sono marinaro.
Non vi era un secondo da perdere; milady passò le due braccia intorno al collo di Felton, e si lasciò scivolare fuori della finestra.
Felton si mise a discendere i gradini lentamente, ad uno ad uno. Malgrado il peso dei due corpi, il soffio dell'uragano li dondolava nell'aria.
Ad un tratto Felton si fermò:
— Che c'è, domandò milady.
— Silenzio disse Felton, odo dei passi!
— Noi siamo scoperti!
Per alcuni istanti fu fatto silenzio.
— No, disse Felton, non è niente.
— Ma infine questo rumore!
— È quello della pattuglia che passa sul sentiero di ronda?
— E dov'è questo sentiero di ronda?
— Precisamente al di sotto di noi.
— Ella dunque ci scoprirà.
— No, se non fanno lampi.
— Essa urterà all'estremità della scala?
— Fortunatamente è più corta di sei piedi.
— Eccoli! mio Dio!
— Silenzio!
Entrambi rimasero sospesi, immobili e senza tirare il fiato a venti piedi dal suolo; frattanto i soldati passavano loro di sotto ridendo e parlando.
Vi fu pei fuggitivi un momento terribile.
La pattuglia passò; s'intese il rumore dei passi che si allontanavano, e il mormorio delle voci che andava indebolendosi.
— Ora, disse Felton, noi siamo salvi!
Milady mandò un sospiro e svenne.
Felton continuò a discendere. Giunto in fondo alla scala, e quando non sentì più appoggio per i suoi piedi, si aggrappò colle sole mani, finalmente, giunto all'ultimo scalino, si lasciò pendere sulla forza dei suoi pugni, e toccò terra, si abbassò, raccolse il sacco d'oro, e lo prese fra i denti.
Sollevò milady fra le braccia, e si allontanò prestamente dalla parte opposta a quella che aveva presa la pattuglia. Ben presto lasciò il sentiero di ronda, discese a traverso gli scogli, e, giunto sulla riva del mare, fece sentire un leggiero fischio.
Un segnale uguale gli rispose, e cinque minuti dopo vide comparire una barca montata da quattro uomini.
Questa si avvicinò alla riva tanto quanto potè, ma non vi era abbastanza fondo perchè potesse toccare l'approdo.
Felton si gettò nell'acqua fino alla cinta, non volendo consegnare a nessuno il prezioso fardello.
Fortunatamente la tempesta cominciava a calmarsi, e frattanto il mare era ancora violento: la piccola barca trabalzava sui flutti come un guscio di noce.
— Allo sloop! disse Felton, e remate con vigore.
I quattro uomini si misero a remare; ma i flutti erano troppo grossi perchè i remi vi avessero molta presa al di sopra.
Tuttavolta si allontanavano dal castello, questa era la cosa principale. La notte era profondamente tenebrosa, ed era oramai impossibile il poter distinguere la barca dalla riva.
Un punto nero fluttuava sull'alto mare.
Questo era lo sloop.
Nel mentre che la barca si avvicinava dal canto suo con tutta la forza dei suoi quattro remi, Felton slegava la corda ed il fazzoletto dalle mani di milady.
Quindi, quando le mani furono slegate, prese dell'acqua la spruzzò sul di lei viso.
Milady mandò un sospiro ed aprì gli occhi.
— Ove sono io? diss'ella.
— Salvata! rispose il giovane ufficiale.
— Oh! salvata! salvata! gridò essa. Sì, ecco il cielo, ecco il mare! Quest'aria che io respiro è quella della libertà ah! grazie, Felton, grazie!...
Il giovane la strinse contro il suo cuore.
— Ma che cosa mi sento io dunque nelle mani? domandò milady, mi sembra che mi abbiano infranti i polsi fra una morsa.
Infatti, milady sollevò le sue braccia; essa aveva i polsi intorpiditi.
— Ahimè! disse Felton guardando quelle belle mani e scuotendo dolorosamente la testa.
— Ah! non è niente, non è niente! gridò milady, ora mi ricordo.
Milady girò gli occhi intorno a se.
— Ecco qui, disse Felton, mostrandole il sacco d'oro.
— Che cosa è questo bastimento? domandò milady.
— Quello che ho noleggiato per voi.
— E dove mi condurrà?
— Dove voi vorrete, purchè prima mi gettiate a Portsmouth.
— E che cosa andate a fare a Portsmouth? domandò milady.
— A compiere gli ordini che ho ricevuti da lord de Winter, disse Felton con un cupo sorriso.
— Quali ordini? domandò milady.
— Voi dunque non mi capite, disse Felton.
— No, spiegatevi, ve ne prego.
— Siccome egli diffidava di me, ha voluto sorvegliarvi da se stesso, e mi ha inviato in sua vece a far firmare da Buckingham l'ordine della vostra deportazione.
— Ma s'egli diffidava di voi, come mai vi ha confidato quest'ordine?
— Era io obbligato a sapere ciò che io portava, mentre non mi aveva detto niente, ed il segreto l'ho saputo soltanto da voi?
— È giusto. E voi andate a Portsmouth?
— E non ho tempo da perdere. È domani il 23, e Buckingham parte dopo domani colla flotta.
— Egli parte dopo domani! e per dove?
— Per la Rochelle.
— Fa d'uopo ch'egli non parta! gridò milady, dimenticando per un momento la sua ordinaria presenza di spirito.
— State tranquilla, rispose Felton, egli non partirà.
Milady fremette di gioia: essa lesse nel più profondo del cuore del giovane che la morte di Buckingham vi era scritta a chiari caratteri.
— Felton, diss'ella voi siete un uomo grande come Giuda Maccabeo! se voi morrete, io morrò con voi, ecco tutto ciò che posso dirvi.
— Silenzio! disse Felton siamo giunti.
Infatti toccarono lo sloop.
Felton montò pel primo la scala, e prese la mano a milady, nel mentre che i marinari la sostenevano, perchè il mare era ancora grosso.
Un istante dopo; essi erano sul ponte.
— Capitano, disse Felton, ecco la persona di cui vi ho parlato e che bisogna condurre sana e salva sulle coste di Francia.
— Pel prezzo di mille doppie.
— Io ve ne ho già date cinquecento.
— È giusto, disse il capitano.
— Ecco le altre cinquecento, riprese milady portando la mano sul sacco d'oro.
— No, disse il capitano, io non ho che una parola, e questa l'ho impegnata con questo giovane; le altre cinquecento doppie non mi sono dovute che giungendo a Boulogne.
— E vi giungeremo noi?
— Sani e salvi, quanto è vero che io mi chiamo Giacomo Butter.
— Ebbene! disse milady, se voi manterrete la vostra parola, non saranno cinquecento, ma mille doppie che vi darò al nostro arrivo.
— Evviva voi! allora, mia bella dama, gridò il capitano, e possa Dio inviarmi spesso degli avventori come Vostra Signoria.
— E frattanto, disse Felton, conduceteci nella piccola baia di Chichester, davanti a Portsmouth: voi sapete che è convenuto che ci dovete condurre là?
Il capitano rispose soltanto comandando la manovra necessaria, e verso le sette ore del mattino il piccolo bastimento gettava l'ancora nella baia designata.
Durante questa traversata, Felton aveva raccontato tutto a milady: in qual modo invece di andare a Londra, aveva noleggiato il piccolo bastimento, in qual modo era ritornato, come aveva scalato il muro, piantando negli interstizii delle pietre, a misura che saliva, dei ramponi per assicurare i suoi piedi, e come finalmente, giunto alle sbarre, aveva attaccata la scala. Milady sapeva il resto.
Dal canto suo, milady cercò d'incoraggiare Felton nel suo progetto; ma, alle prime parole che uscirono dalla sua bocca, ella s'accorse bene che il giovane fanatico aveva piuttosto bisogno di essere moderato che di essere incoraggiato.
Fu convenuto che milady aspetterebbe Felton fino a dieci ore; se a dieci ore egli non fosse di ritorno, essa partirebbe.
Allora, supponendo ch'egli fosse libero la raggiungerebbe in Francia al convento delle Carmelitane di Bèthune.
CAPITOLO LIX. CIÒ CHE ACCADDE A PORTSMOUTH IL 23 AGOSTO 1628
Felton prese congedo da milady, come un fratello da una sorella quando va a fare una semplice passeggiata, baciandole la mano.
Tutta la sua persona sembrava nello stato della calma la più ordinaria: solamente una luce straordinaria brillava dai suoi occhi, simili al riflesso della febbre. La sua fronte era più pallida dell'ordinario; i suoi denti erano serrati e la sua parola aveva un accento breve e conciso, che indicava che qualche gran progetto tenebroso si agitava nella sua mente.
Fino a che rimase sulla barca che lo conduceva a terra, restò col viso voltato verso milady, che, in piedi sul ponte, lo seguiva collo sguardo. Entrambi erano abbastanza tranquilli sul timore di essere perseguitati. Nessuno entrava mai nella camera di milady prima delle nove ore, e vi abbisognavano almeno tre ore per venire dal castello a Londra.
Felton mise piede a terra, salì lo scalo che mette sull'alto della spiaggia, salutò milady un'ultima volta, e prese la sua corsa verso la città.
Dopo cento passi, siccome il terreno si andava abbassando, non poteva più vedere che l'albero dello sloop.
Corse tosto nella direzione di Portsmouth, di cui vedeva a se di faccia, fra la nebbia matutina ad un mezzo miglio circa di distanza, innalzarsi le torri e le case.
Al di là di Portsmouth il mare era coperto di vascelli; i di cui alberi, simili ad una foresta di pioppi sfrondati dall'inverno, si libravano sotto il soffio del vento.
Felton, nella rapida sua corsa, si ripeteva alla memoria tutto ciò che, due anni di meditazioni ascetiche e un lungo soggiorno in mezzo ai Puritani, gli avevano somministrato di accuse vere o false contro il favorito di Giacomo VI. e di Carlo I.
Quando paragonava i pubblici delitti di questo ministro, delitti massimi, rumorosi, europei, se si poteva dir così, coi delitti privati e sconosciuti di cui lo aveva incolpato milady, Felton ritrovava che il più colpevole dei due uomini che riuniva Buckingham, il pubblico ed il privato, era quello di cui il popolo non conosceva la vita. Ciò era perchè il suo amore, così strano, così nuovo, così ardente, gli faceva vedere le infami accuse immaginarie di lady de Winter, come si vede a traverso di una lente che ingrandisce, allo stato di mostri spaventosi, degli atomi impercettibili in realtà in confronto di una formica.
La rapidità della corsa accendeva ognor più il suo sangue, l'idea che lasciava dietro a se, esposta ad una spaventosa vendetta, la donna che amava, o piuttosto che adorava come cosa santa, l'emozione passata, la fatica presente, tutto esaltava ognor più l'anima sua al di sopra dei sentimenti umani.
Entrò in Portsmouth verso le otto ore del mattino. Tutta la popolazione era in piedi. Il tamburo batteva per le strade e sul porto; le truppe d'imbarco discendevano verso il mare.
Felton giunse al palazzo dell'ammiragliato, coperto di polvere e grondando sudore. Il suo viso, ordinariamente pallido, era color di porpora pel calore e la collera. La sentinella volle respingerlo, ma Felton chiamò il capo posto, e, cavando di saccoccia la lettera di cui era il latore:
— Messaggio pressante per parte di lord de Winter, diss'egli.
Al nome di lord de Winter, che si sapeva uno dei più intimi di Sua Grazia; il capo posto ordinò che fosse lasciato passare Felton, che del resto portava egli stesso l'uniforme di ufficiale di marina.
Felton si slanciò nel palazzo.
Nel momento in cui entrava nel vestibolo, un uomo entrava pure polveroso ed anelante lasciando alla porta un cavallo di posta, che appena fermato cadde sui ginocchi.
Felton ed egli si indirizzarono contemporaneamente a Patrick, il cameriere di confidenza del duca. Felton nominò il barone de Winter, lo sconosciuto non volle nominare nessuno, e pretendeva ch'era al solo duca ch'egli poteva farsi riconoscere. Entrambi insistevano per passare uno innanzi l'altro.
Patrick che sapeva che lord de Winter era in affari di servizio ed in relazioni d'amicizia col duca, dette la preferenza a quello che veniva in suo nome. L'altro fu obbligato di aspettare, e fu facile l'accorgersi quanto malediva questo ritardo.
Il cameriere fece traversare a Felton una gran sala, nella quale aspettavano i deputati della Rochelle, condotti dal principe di Soubise, e lo introdusse nel gabinetto ove Buckingham, che usciva dal bagno, compiva la sua toaletta, alla quale, quella volta come sempre, impiegava una straordinaria attenzione.
— Il tenente Felton, disse Patrick, per parte di lord de Winter.
— Per parte di lord de Winter, ripetè Buckingham: fatelo entrare.
Felton entrò. In questo momento, Buckingham gettava sopra un canapè una ricca veste da camera ricamata in oro per indossare una casacca militare di velluto cremisi tutta ricamata in perle.
— E perchè il barone non è venuto egli stesso? domandò Buckingham. Questa mattina io lo aspettava.
— Mi ha incaricato di dire a Vostra Grazia, rispose Felton, che gli dispiaceva moltissimo di non poter venire per la guardia che è costretto di fare al suo castello.
— Sì, sì, disse Buckingham, lo so, egli ha una prigioniera.
— È precisamente per questa prigioniera che io veniva a parlare a Vostra Grazia, riprese Felton.
— Ebbene! parlate.
— Ciò che debbo dirvi non deve essere inteso che da voi milord.
— Lasciateci, Patrick, disse Buckingham, ma tenetevi pronto al suono del mio campanello; vi chiamerò quanto prima.
Patrick uscì.
— Noi siamo soli, signore, disse Buckingham, parlate.
— Milord, disse Felton, il barone de Winter vi ha scritto ultimamente per pregarvi di firmare un ordine d'imbarco relativo ad una giovine donna chiamata Carlotta Backson.
— Sì, signore, ed io gli risposi di portarmi o d'inviarmi quest'ordine, che lo avrei firmato.
— Date, disse il duca.
E, prendendo dalle mani di Felton, gettò sopra il foglio uno sguardo rapido. Allora accorgendosi ch'era ben quello che gli era stato annunziato, lo pose sulla tavola, prese una penna, e si accingeva a firmarlo.
— Perdono, milord, disse Felton arrestando il duca, ma, Vostra Grazia sa ella che il nome di Carlotta Backson non è il vero nome di questa donna.
— Si, signore, lo so, riprese il duca bagnando la penna nel calamaio.
— Allora, Vostra Grazia conosce il suo vero nome? domandò Felton con voce corta.
— Lo conosco.
Il duca avvicinò la penna alla carta, Felton impallidì.
— E conoscendo il suo vero nome, riprese Felton, Vostra Grazia segnerà egualmente?
— Senza dubbio, disse Buckingham, e piuttosto due volte che una.
— Io non posso credere, continuò Felton con una voce che diveniva sempre più espressiva e marcata, che Vostra Grazia sappia che si tratta di lady de Winter.
— Lo so perfettamente; sono però meravigliato che lo sappiate anche voi.
— E Vostra Grazia firmerà quest'ordine senza rimorsi?
Buckingham guardò questo giovane con mala faccia.
— E che, signore! sapete voi che le interrogazioni che mi fate sono strane, e che io sono ben buono a rispondervi?
— Rispondeteci, milord, disse Felton; la situazione è forse più grave di quello che credete.
Buckingham pensò che il giovane, venendo per parte di lord de Winter, parlasse senza dubbio in nome suo, e si raddolcì.
— Senza alcun rimorso, diss'egli, ed il barone sa, al pari di me, che lady de Winter è una gran colpevole, e che è quasi un farle grazia il limitare la sua pena alla deportazione.
Il duca pose la penna sulla carta.
— Voi non firmerete quest'ordine, milord, disse Felton facendo un passo verso il duca.
— Io non firmerò quest'ordine, disse Buckingham; e perchè?
— Perchè voi discenderete in voi stesso, e farete giustizia a milady.
— Le si renderebbe giustizia inviandola a Tyburn, disse il duca; milady è un'infame.
— Mio-signore, milady è un angelo voi lo sapete bene, ed io vi domando la sua libertà.
— E che! disse Buckingham, siete voi un pazzo per parlarmi in tal guisa!
— Milord, scusatemi, io parlo come posso; io mi contengo. Però, milord, pensate a quello che siete per fare, e temete di oltrepassare la misura.
— Come sarebbe a dire?... Dio mi perdoni, gridò Buckingham, ma io credo ch'egli minacci!
— No, milord, io prego ancora, e vi dico; che una goccia di acqua basta per fare andare di fuori il vaso pieno colmo, uno sbaglio leggero basta ad attirarsi sul capo il gastigo risparmiato fino a questo giorno, ad onta di tanti delitti.
— Signor Felton, disse il duca, uscite tosto di qui, e andatevi sul momento a consegnare agli arresti.
— E voi, mi ascolterete fino alla fine, milord; voi avete sedotto questa giovane, voi l'avete oltraggiata, lordata; riparate i vostri falli verso di essa, lasciatela partire liberamente, e non esigerò altra cosa da voi.
— Voi non esigerete altro, disse Buckingham guardando Felton con meraviglia, e calcando sopra ciascuna sillaba di queste quattro parole che aveva pronunciate.
— Milord, continuò Felton, esaltandosi a misura che parlava, state in guardia; tutta l'Inghilterra è stanca delle vostre iniquità; milord, voi avete abusato del potere reale che avete quasi usurpato; milord, voi siete in orrore agli uomini e a Dio. Dio vi punirà più tardi, ma io vi punirò oggi stesso.
— Ah! questo è troppo, gridò Buckingham facendo un passo verso la porta.
Felton gli sbarrò la strada.
— Io vi domando umilmente, signore, l'ordine che sia messa in libertà lady de Winter; pensate che questa è la donna che avete disonorata.
— Ritiratevi, signore, disse Buckingham, altrimenti io chiamerò e vi farò scacciare dai miei servi!
— Voi non chiamerete, disse Felton gettandosi tra il duca ed il tiratoio del campanello tutto incrostato d'argento, guardatevene, milord, voi siete qui fra le mani di Dio.
— Fra le mani del diavolo, vorrete dire! gridò Buckingham alzando la voce per attirare gente, senza però chiamare direttamente.
— Firmate, signore, firmate la libertà di lady de Winter, disse Felton presentando un foglio al duca.
— Per forza? voi vi sbagliate, olà! Patrick!
— Firmate; milord!
— Giammai!
— Giammai?
— Gente, a me! gridò il duca.
E nello stesso tempo saltò alla sua spada.
Ma Felton non gli dette il tempo di cavarla; egli teneva già aperto sotto il suo vestito il coltello con cui si era ferita milady; con uno sbalzo fu sopra al duca.
In questo momento Patrick entrava nella sala gridando:
— Milord, una lettera di Francia.
— Di Francia, gridò Buckingham dimenticando tutto nel pensare da chi gli veniva quella lettera.
Felton approfittò di quel momento e gl'immerse fino al manico il coltello nel fianco.
— Ah! traditore, gridò Buckingham, tu mi hai ucciso!
— All'assassino! urlò Patrick.
Felton girò lo sguardo intorno a se per fuggire, e, vedendo la porta libera, si slanciò nella camera vicina, che era quella, come abbiamo detto, ove aspettavano i deputati della Rochelle; la traversò correndo, e si precipitò verso la scala; ma sul primo gradino incontrò lord de Winter, che, vedendolo pallido, stravolto, livido, e con una mano macchiata di sangue, gli saltò al collo gridando:
— Io lo sapeva! Io aveva indovinato! troppo tardi di un minuto. Ah! disgraziato che sono!
Felton non fece alcuna resistenza; lord de Winter lo rimise fra le mani delle guardie, che lo condussero, aspettando nuovi ordini, sopra una piccola terrazza che dominava il mare, ed egli si slanciò nel gabinetto di Buckingham.
Al grido mandato dal duca, alla chiamata di Patrick, l'uomo che Felton aveva incontrato nell'anticamera si precipitò nel gabinetto.
Ritrovò il duca steso sopra un sofà, stringendosi la sua ferita con mano convulsa.
— Laporte, disse il duca con voce moribonda, Laporte vieni tu per parte sua.
— Sì, Mio-signore, rispose il servo fedele della regina Anna, ma forse troppo tardi.
— Silenzio! Laporte, potreste essere inteso. Patrick, non lasciare entrare nessuno. Oh! io non saprei ciò che ella mi fa dire... Mio Dio! io muoio!
E il duca svenne.
Frattanto lord de Winter, i deputati, i capi della spedizione, gli ufficiali della casa del duca avevano fatto irruzione nella sua camera: ovunque si sentivano grida di disperazione. La notizia che riempiva il palazzo di pianto, di gemiti ne uscì ben presto, e si sparse per tutta la città.
Un colpo di cannone annunziò ch'era accaduto qualche cosa di nuovo e di inatteso.
Lord de Winter si strappava i capelli.
— Troppo tardi di un minuto! gridava egli. Troppo tardi di un minuto! mio Dio! mio Dio! che disgrazia!
Infatti alle sette del mattino erano andati a dirgli che una scala di corda fluttuava ad una delle finestre del castello. Egli era corso subito nella camera di milady, aveva ritrovata la camera vuota, la finestra aperta e le sbarre segate; si era ricordato la raccomandazione verbale che gli aveva trasmesso d'Artagnan col mezzo del suo messaggiero, aveva tremato pel duca, e correndo alle scuderie, senza perdere il tempo di fare insellare il suo cavallo, era montato sul primo che aveva trovato era corso volando, era balzato abbasso il cortile, aveva salilo precipitosamente la scala, e sul primo scalino, come abbiamo detto, incontrò Felton.
Il duca però non era morto; egli ritornò in se, riaprì gli occhi, e la speranza rientrò nel cuore di tutti.
— Signori, diss'egli, lasciatemi solo con Patrick e Laporte... Ah! siete voi, de Winter? Voi mi avete inviato questa mattina un pazzo singolare! vedete lo stato in cui mi ha messo!
— Ah! milord, gridò il barone, milord, io non ne avrò più pace!
— E tu avrai torto, mio buon de Winter disse Buckingham stendendogli la mano. Io non conosco un uomo che meriti di essere compianto per tutta la vita di un altro uomo. Ma lasciateci, ve ne prego.
Il barone uscì singhiozzando.
Non rimase nel gabinetto che il duca, Laporte e Patrick. Ovunque si cercava un medico e non si poteva rinvenire.
— Voi vivrete, milord, voi vivrete, ripeteva in ginocchio davanti al sofà del duca il messaggero della regina Anna.
— Che cosa mi scriveva essa? disse debolmente Buckingham, mandando a rivi il sangue, e vincendo i suoi atroci dolori per sentire parlare di quella ch'egli amava; che mi scriveva essa? leggetemi la sua lettera.
— Oh! milord! fece Laporte.
— Ebbene! Laporte, non vedi tu che io non ho tempo da perdere?
Laporte ruppe il sigillo e mise la pergamena davanti agli occhi del duca, ma Buckingham tentò invano di distinguere la scrittura.
— Leggi, dunque, leggi, diss'egli, io non ci vedo più, ben presto non potrò più neppure sentire, e dovrò morire senza sapere ciò che essa mi ha scritto.
Laporte non fece più alcuna difficoltà e lesse:
«Milord.
«Per tutto ciò che ho sofferto da che vi conosco, da voi, e per voi, vi scongiuro, se vi sta a cuore il mio riposo, d'interrompere i grandi armamenti che fate contro la Francia, e di cessare da una guerra, di cui ad alta voce si dà per causa visibile la religione, e di cui si dice a bassa voce che il solo vostro amore per me ne è la causa nascosta. Questa guerra può cagionare non solo per la Francia e per l'Inghilterra grandi catastrofi, ma anche per voi, milord, delle disgrazie di cui non saprei mai consolarmi.
«Vegliate sulla vostra vita, che viene minacciata, e mi sarà più cara ancora dal momento che io non sarò più obbligata di vedere in voi un nemico.
« Vostra affezionata « Anna »
Buckingham raccolse tutti i residui della sua vita per ascoltare questa lettera; quando fu finita, come se egli si fosse ritrovato in un amaro disinganno:
— Non avete voi nient'altro da dirmi a viva voce, Laporte? domandò egli.
— Sì, milord; la regina mi ha incaricato di dirvi che vegliate su voi, perchè era stata avvisata che sareste assassinato.
— È tutto qui! tutto! ripetè Buckingham con impazienza.
— Mi aveva pure incaricato dirvi ch'essa vi ama sempre.
— Ah! fece Buckingham, lodato il cielo! la nuova della mia morte non le giungerà dunque come quella di un estraneo.
Laporte si struggeva in lagrime.
— Patrick, disse il duca, portatemi il bauletto ove erano i puntali di diamanti.
Patrick portò l'oggetto domandato, che Laporte riconobbe per aver appartenuto alla regina.
— Ora la borsa di seta bianca ove sono le sue cifre ricamate in perle.
Patrick obbedì.
— Prendete, Laporte, disse Buckingham ecco i soli regali che io ebbi da lei, questo bauletto d'argento, e queste due lettere. Voi restituirete il tutto a Sua Maestà; e per ultimo ricordo... (egli cercava intorno a se qualche oggetto prezioso.)... vi aggiungerete...
Egli cercava ancora; ma i suoi sguardi appannati per la vicina morte non si abbatterono che sopra il coltello caduto dalle mani di Felton, e fumante ancora del sangue vermiglio di cui era ricoperta la lama.
— E vi aggiungerete questo coltello, disse il duca stringendo la mano di Laporte.
Potè ancora mettere la borsa nel fondo del bauletto d'argento, vi lasciò cadere il coltello, facendo segno a Laporte che non poteva più parlare; quindi, in un'ultima convulsione, che questa volta non ebbe la forza di combattere, cadde dal sofà sul pavimento.
Patrick mandò un gran grido.
Buckingham volle sorridere un'ultima volta, ma la morte arrestò il suo pensiero che rimase impresso sulle labbra e sulla fronte, come un ultimo addio d'amore.
In questo momento giunse il medico del duca tutto affannato; egli era già a bordo del vascello ammiraglio; furono obbligati di andarlo a ritrovare là.
Si avvicinò al duca, prese la sua mano, la tenne per alcuni istanti fra le sue e la lasciò ricadere.
— Tutto è inutile, diss'egli; è morto!
— Morto! morto! ripete Patrick.
A questo grido tutta la folla rientrò nella sala, e dappertutto non fu più che costernazione e tumulto.
Tosto che lord de Winter vide Buckingham spirato, corse a Felton che i soldati custodivano sempre sulla terrazza del palazzo.
— Miserabile diss'egli al giovane, che dopo la morte di Buckingham aveva ritrovata quella calma e quel sangue freddo che non dovevano più abbandonarlo. Miserabile! che hai tu fatto?
— Io mi sono vendicato, diss'egli.
— Taci? disse il barone, dì, che tu hai servito d'istrumento a quella maledetta donna: ma io te lo giuro, questo delitto sarà il suo ultimo delitto.
— Io non so che cosa v'intendete di dire, riprese tranquillamente Felton; ignoro di che volete parlare, milord; io ho ucciso il duca di Buckingham perchè ha rifiutato due volte a voi stesso di nominarmi capitano; io l'ho punito della sua ingiustizia, ecco tutto.
De Winter stupefatto guardava i soldati che legavano Felton, e non sapeva che pensare di una simile insensibilità.
Una sola cosa spandeva una nube sulla fronte di Felton; ad ogni passo, ad ogni voce che udiva, l'ingenuo puritano credeva riconoscere il passo e la voce di milady che venisse a gettarsi nelle sue braccia per accusarsi e perdersi con lui.
Ad un tratto egli fremette, il suo sguardo si fissò sopra un punto del mare che, dalla altezza ove era, ei dominava per intero; con quello sguardo da aquila del marinaro, egli aveva riconosciuto là, ove qualunque altro non avrebbe veduto che una barchetta fluttuare sulle onde, la vela dello sloop, che si dirigeva verso le coste di Francia.
Egli impallidì, portò la mano sopra il suo cuore che si spezzava, e comprese tutto il tradimento.
— Un'ultima grazia, diss'egli al barone.
— E quale? domandò questi.
— Che ora è?
Il barone cavò l'orologio.
— Nove ore meno dieci minuti, diss'egli.
Milady aveva affrettata la sua partenza di un'ora e mezzo: tosto che si fece sentire il colpo di cannone che annunziava il fatale avvenimento, essa aveva ordinato di levare l'ancora.
La barca vogava sotto un cielo azzurro ad una grande distanza dalla costa.
— Dio lo ha voluto! disse Felton colla rassegnazione di un fanatico, ma però senza poter staccare gli occhi da quello schifo, a bordo del quale credeva senza dubbio distinguere il bianco fantasma di quella alla quale aveva sacrificata la vita.
De Winter seguì il suo sguardo, esaminò il suo soffrire e indovinò tutto.
— Ora sarai punito solo, miserabile disse il lord a Felton, che si lasciava trasportare con gli occhi sempre rivolti al mare; ma io ti giuro sulla memoria di mio fratello, che ho tanto amato, che la tua complice non sarà salvata.
Felton abbassò la testa senza pronunciare una sillaba.
Quando a de Winter, discese rapidamente le scale e corse al porto.
CAPITOLO LX. IN FRANCIA
Il primo timore del re d'Inghilterra, Carlo I, nel sapere questa morte, fu che una così terribile notizia non scoraggiasse i Roccellesi. Egli tentò, dice Richelieu nelle sue memorie, di nasconderla loro il più lungamente possibile, fece chiudere tutti i porti del regno, e prendendo somma cura che non uscisse alcun vascello fino a che l'armata che Buckingham aveva preparata non fosse partita, e in mancanza di Buckingham, s'incaricò egli stesso di sorvegliare la partenza.
Egli spinse il rigore di quest'ordine fino a ritenere in Inghilterra l'ambasciatore di Danimarca che aveva preso congedo, e l'ambasciatore ordinario d'Olanda, che doveva ricondurre nel porto di Flessigna le navi delle Indie, che Carlo I, aveva fatto restituire alle Provincie unite.
Ma siccome non pensò a dare quest'ordine se non che cinque ore dopo l'avvenimento, vale a dire dopo le due pomeridiane, due navigli erano già partiti dal porto: l'uno conduceva, come noi sappiamo, milady, la quale, dubitando dapprima dell'avvenimento, fu poscia confermata nella sua credenza vedendo la bandiera nera sventolare all'albero del vascello.
In quanto al secondo bastimento, noi diremo più tardi chi portava e come partì.
Frattanto non accadeva nulla di nuovo al campo della Rochelle. Il re soltanto, che si annoiava fortemente, come, ma forse anche un poco più di prima, risolse di andare incognito a passare la festa di S. Luigi al castello di S. Germano, chiese al ministro di fargli preparare una scorta di venti moschettieri. Il ministro che qualche volta era preso dalla stessa noia, accordò con gran piacere questo congedo al suo reale tenente, il quale promise di essere di ritorno verso il 13 di settembre.
Il sig. de Tréville, prevenuto da Sua Eccellenza preparò la sua scorta, e siccome, senza conoscerne la causa egli sapeva il vivo desiderio ed anche l'imperioso bisogno che i suoi amici aveano di ritornare a Parigi, li designò per far parte della scorta.
I quattro giovani seppero la notizia un quarto d'ora dopo dal sig. de Tréville, perchè furono i primi ai quali la comunicò. Fu allora che d'Artagnan apprezzò il favore, che gli era stato accordato dal ministro facendolo passare ai moschettieri. Senza questa circostanza, egli sarebbe stato costretto di restare al campo quando partivano i suoi compagni.
Si vedrà più tardi che questa impazienza di ritornare verso Parigi aveva per causa il pericolo che doveva correre la sig. Bonacieux, nell'incontrarsi al convento di Béthune con milady sua mortale nemica. Così, come da noi si disse, Aramis aveva scritto immediatamente a Maria Michon, quella imbiancatrice di Tours, che aveva tante belle conoscenze, affinchè ottenesse dalla regina l'autorizzazione alla signora Bonacieux di uscire dal convento e di ritirarsi sia in Lorena sia nel Belgio. La risposta non si era fatta aspettare, e otto o dieci giorni dopo Aramis aveva ricevuto la seguente lettera:
«Mio caro cugino, ecco, l'autorizzazione di mia sorella per ritirare dal convento di Béthune la piccola servente per la quale pensate che l'aria di quei luoghi non faccia bene alla sua salute; mia sorella v'invia questa autorizzazione con gran piacere, perchè ama moltissimo questa giovane, alla quale si riserva di essere utile per l'avvenire.
«Vi abbraccio.
« MARIA MICHON »
A questa lettera era congiunta l'autorizzazione conceputa in questi termini.
«La superiora del convento di Béthune rimetterà nelle mani della persona che le presenterà questo biglietto la novizia che era entrata nel suo convento dietro una mia raccomandazione.
«Dal Louvre li 10 Agosto 1628.
« ANNA »
Si capirà facilmente, come queste relazioni di parentela fra Aramis e una lavandaia, che chiamava la regina sua sorella, avevano divertito le conversazioni dei nostri giovanotti; ma Aramis, dopo avere arrossito due o tre volte fino nel bianco degli occhi, per i grossolani scherzi di Porthos, aveva pregato i suoi amici di non ritornare più sopra questo argomento, dichiarando che, se gli fosse stata detta una sola parola di più, non avrebbe più impegnata sua cugina in questa specie di affari.
Non si parlò dunque più di Maria Michon fra i quattro moschettieri, che d'altronde avevano ciò che volevano, vale a dire l'ordine di levare la signora Bonacieux dal convento delle Carmelitane di Béthune. È vero che quest'ordine non serviva loro gran cosa fintantochè erano al campo della Rochelle. D'Artagnan era sul punto di domandare al sig. de Tréville un congedo, confidandogli bonariamente l'importanza della sua partenza, quando gli fu trasmessa unitamente a' tre suoi compagni, la notizia che il re stava per partire con una scorta di venti moschettieri alla volta di Parigi, e che essi avrebbero fatto parte di questa scorta.
La gioia fu grande. Si mandarono innanzi i lacchè coi bagagli, e si partì il sedici alla mattina.
Il ministro accompagnò Sua maestà da Surgéres a Mauzes, e là, il re ed il suo ministro presero congedo l'uno dall'altro colle più grandi dimostrazioni di amicizia.
Frattanto il re, che cercava distrazioni, mentre camminava il più presto che gli era possibile, poichè desiderava di essere a Parigi il 23, si fermava di tempo in tempo per veder volare le gazze, distrazione il di cui gusto gli era stato in altri tempi ispirato da Luynes, primo marito della signora de Chevreuse, e pel quale aveva sempre conservata una grande predilezione. Sopra i venti moschettieri, sedici si rallegravano ogni volta che accadeva questo bel passatempo; ma quattro brontolavano alla meglio. D'Artagnan particolarmente soffriva di continui rumori alle orecchie, che Porthos spiegava in questo modo:
— Una gran dama mi ha imparato che ciò vuol dire che si parla di voi in qualche luogo. Finalmente la scorta traversò Parigi il 22 nella notte; il re ringraziò il signor de Tréville e gli permise di distribuire dei congedi per quattro giorni, a condizione che nessuno dei favoriti si presentasse in luogo pubblico, sotto pena della Bastiglia.
I quattro primi congedi che furono accordati, come ciascuno può ben pensare, furono ai nostri quattro amici; vi fu di più, Athos ottenne dal signor de Tréville sei giorni invece di quattro, e fece mettere nei sei giorni due notti di più; poichè partirono il 24 nella sera, e per compiacenza pure del signor de Tréville il congedo, con una post-data, era segnato il 25 nella mattina.
— Eh! mio Dio, diceva d'Artagnan, che come ognun sa non dubitava mai di niente, mi sembra che noi ci prendiamo bene molti imbarazzi per una cosa semplicissima: in due giorni, e facendo crepare due o tre cavalli (poco m'importa, io ho del danaro), io sarò a Béthune, io rimetterò la lettera della regina alla superiora, e ricondurrò il caro tesoro che vado a cercare, non già nella Lorena, non già nel Belgio, ma a Parigi, ove sarà meglio nascosto, particolarmente fino a tanto che il ministro sarà alla Rochelle. Poi, una volta di ritorno dalla campagna, metà per la protezione di sua cugina, metà in favore di ciò che abbiamo fatto personalmente per essa, otterremo dalla regina tutto ciò che vorremo. Restate dunque qui, non vi stancate con inutili fatiche, io e Planchet bastiamo per una spedizione così semplice.
A queste parole Athos rispondeva tranquillamente:
— Noi pure abbiamo del denaro, perchè io non ho ancora bevuto del tutto il residuo del diamante, e Porthos ed Aramis non ne hanno ancora mangiata tutta la loro parte. Noi dunque faremo crepare tanto bene quattro cavalli quanto uno. Ma pensate d'Artagnan, aggiunse egli con voce così cupa che il suo accento fece fremere il giovane, pensate che Béthune è una città ove il ministro ha dato appuntamento ad una donna che, ovunque ella va, porta seco disgrazie. Se voi non aveste a che fare se non che con quattro uomini, d'Artagnan, io vi lascerei andar solo. Ma voi avete che fare con questa donna, andiamoci tutti e quattro, e piaccia a Dio che, con i nostri servi, noi possiamo essere in un numero sufficiente.
— Voi mi spaventate, Athos, gridò d'Artagnan; che cosa temete voi dunque?
— Tutto, rispose Athos.
D'Artagnan esaminò il viso dei suoi compagni che, come quello di Athos, portavano la impronta di una profonda inquietudine, e fu continuata la strada al passo forzato dei loro cavalli, senza aggiungere una sola parola.
La sera del 25, mentre entravano in Arras, d'Artagnan appena aveva messo piede a terra davanti all'albergo dell'Orso d'oro per bere un bicchiere di vino, un cavaliere uscì dal cortile della porta, ove aveva cambiato il cavallo, partendo al gran galoppo e con un cavallo fresco alla volta di Parigi. Al momento in cui passava dalla gran porta nella strada, il vento aprì alquanto il mantello in cui era avviluppato, quantunque fosse il mese di agosto, e alzò la falda del suo cappello, che il viaggiatore ricalcò prestamente sulla sua fronte.
D'Artagnan che aveva lo sguardo fisso su quest'uomo, divenne pallidissimo e lasciò cadere il suo bicchiere.
— Che avete, signore? disse Planchet. Oh! signori, accorrete; il mio padrone si sente male.
I tre amici accorsero e ritrovarono d'Artagnan che invece di sentirsi male, correva al suo cavallo. Essi lo fermarono sulla soglia della porta.
— Ebbene! dove diavolo vai tu dunque così? gli gridò Athos.
— È lui! gridò d'Artagnan pallido per la collera e col sudore alla fronte, lasciatemi, che io lo raggiunga.
— Ma chi? gli domandò Athos.
— Lui! quell'uomo!
— Qual uomo?
— Quell'uomo maledetto, il mio cattivo genio, che ho sempre veduto quando sono stato minacciato da qualche disgrazia, colui che accompagnava l'orribile donna quando la incontrai per la prima volta, colui che cercava quando provocai l'amico Athos, colui che ho veduto la mattina stessa del giorno in cui la sig. Bonacieux fu rapita, l'uomo di Méung infine; io l'ho veduto, è lui! l'ho riconosciuto quando il vento ha mezzo aperto il suo mantello.
— Diavolo? disse Athos pensieroso.
— In sella! signori, in sella perseguitiamolo, e lo raggiungeremo.
— Mio caro, disse Aramis, pensate che egli va alla parte opposta a quella ove andiamo noi, che egli ha un cavallo fresco e che i nostri sono stanchi, che per conseguenza noi faremo crepare i nostri, senza neppure aver la fortunata combinazione di raggiungerlo.
— Eh! signore gridò uno stalliere correndo dietro lo sconosciuto, eh, signore, eh!
— Amico mio, disse d'Artagnan, una mezza doppia per quel pezzo di foglio.
— In fede mia, signore, con tutto il piacere; eccolo.
Lo stalliere, contento della buona giornata che aveva fatta, rientrò nel cortile dell'albergo.
D'Artagnan spiegò il foglio.
— Ebbene? domandarono i suoi amici accostandosi a lui.
— Niente altro che una parola! disse d'Artagnan.
— Sì, disse Aramis, ma questa parola è il nome di una città.
— «Armentières» lesse Porthos, Armentières? non so che cosa sia.
— Questo è il nome di una città ed è scritto di sua mano! gridò Athos.
— Andiamo, andiamo, custodiamo gelosamente questo foglio, disse d'Artagnan; forse non ho male spesa la mia ultima doppia. A cavallo, amici miei, a cavallo!
E i quattro compagni si slanciarono al galoppo sulla strada di Béthune.
CAPITOLO LXI. IL CONVENTO DELLE CARMELITANE DI BÉTHUNE
I grandi delinquenti portano seco una specie di predestinazione che loro fa sormontare tutti gli ostacoli e scampare da tutti i pericoli, fino a che giunge il momento, in cui la Provvidenza stancata ha designato lo scoglio contro cui debbono infrangersi.
Era così di milady. Ella passò attraverso i navigli delle due nazioni che incrociavano i mari, e giunse a Boulogne senza alcun accidente.
Sbarcando a Portsmouth, milady era un'Inglese che le persecuzioni della Francia scacciavano dalla Rochelle. Sbarcando a Boulogne, dopo due giorni di traversata, essa si fece credere una Francese che gl'Inglesi perseguitavano per l'odio che avevano contro la Francia.
Milady d'altronde aveva il più efficace dei passaporti, la bellezza e la generosità con la quale spendeva le sue doppie. Superate le formalità di uso per mezzo di un sorriso affabile e di maniere eleganti presso un governatore che le baciò la mano, essa non si fermò a Boulogne se non che il tempo necessario per mettere alla posta una lettera così concepita.
A Sua Eccellenza il duca di Richelieu, al campo davanti la Rochelle.
«Vostra Eccellenza si tranquillizzi, Sua Grazia, il duca di Buckingham, non partirà più per la Francia.
«Boulogne 25 la sera.
« Milady di *** »
«P. S. secondo il desiderio di Vostra Eccellenza, io mi porto al convento delle Carmelitane di Béthune, ivi aspetterò i suoi ordini.»
Effettivamente, la stessa sera, milady si mise in viaggio; la notte la sorprese; si fermò e dormì in un albergo, poi l'indomani a cinque ore del mattino partì, e tre ore dopo giunse a Béthune.
Essa si fece indicare il convento delle Carmelitane e tosto vi entrò. La superiora le venne incontro, milady mostrò l'ordine del ministro, l'abbadessa le fece dare una camera e la fece servire della colezione.
Tutto il passato si era cancellato agli occhi di questa donna, e collo sguardo fisso verso l'avvenire, essa, non vedeva che l'alta fortuna che le riserbava il ministro, che era stato così fortunatamente servito, senza che il suo nome fosse mischiato in niente in questo sanguinoso affare. Le passioni sempre nuove che la consumavano davano alla sua vita l'apparenza di quelle nubi che salgono al cielo, riflettendo ora l'azzurro, ora il fuoco, ora il nero della tempesta e che non lasciano altre tracce se non che le devastazioni e la morte.
Dopo la colezione, l'abbadessa venne a farle la sua visita. Nel chiostro vi sono poche distrazioni, e la buona superiora aveva fretta di fare la sua conoscenza colla nuova pensionaria.
Milady voleva piacere all'abbadessa. Ciò era cosa facile a questa donna effettivamente superiore: essa tentò di essere amabile, e fu graziosa, seducendo la superiora colla sua conversazione così variata e colle sue grazie sparse in tutta la persona.
L'abbadessa, che era di nobilissima famiglia, amava soprattutto le storie di corte, che tanto difficilmente giungevano fino all'estremità del regno, e che soprattutto hanno tanta pena a superare i muri dei conventi, sulle soglie dei quali vanno a spirare tutti i rumori del mondo.
Milady, al contrario, era molto al corrente di tutti gli intrighi aristocratici, in mezzo dei quali, da cinque o sei anni, essa viveva costantemente: si mise dunque a raccontare alla buona abbadessa le consuetudini mondane della corte di Francia, miste alle esagerate devozioni del re. Le fece la cronaca scandalosa dei signori e delle signore della corte, che l'abbadessa conosceva perfettamente di nome, toccò leggermente gli amori della regina e di Buckingham, parlando molto, perchè si parlasse poco.
Ma l'abbadessa si contentò di ascoltare e di sorridere senza rispondere. Però tostochè milady si accorse che questo genere di racconto la divertiva, continuò e fece cadere le conversazione sul ministro.
Era però molto imbarazzata; ignorava se l'abbadessa era realista o ministeriale. Essa si tenne in un prudente mezzo. Ma l'abbadessa dal canto suo, si mantenne in una riserva anche più prudente, si contentò di fare un profondo inchino con la testa, tutte le volte che la viaggiatrice pronunciava il nome di Sua Eccellenza. Milady cominciò a credere che si sarebbe grandemente annoiata in questo convento. Risolse dunque di arrischiar qualche cosa per saper subito a qual partito attenersi. Volendo vedere fin dove giungerebbe la discrezione dell'abbadessa, essa si mise a dir male con dissimulazione sul principio, quindi molto circostanziatamente del ministro, raccontando i suoi amori con la signora d'Aiguillon, con Marrion de Lorme e con qualche altra donna galante.
L'abbadessa ascoltò più attentamente, a poco a poco si animò e sorrise.
— Buono! disse milady, essa prende gusto al mio discorso. Se essa non è ministeriale, però non vi mette fanatismo.
Allora cominciò a raccontare le persecuzioni esercitate dal ministro sopra i suoi nemici. L'abbadessa si contentò di segnarsi, senza approvare nè disapprovare.
Ciò confermò milady nella sua opinione, che la religiosa era piuttosto realista di quello che ministeriale. Milady continuò riscaldandosi sempre più.
— Io sono molto ignorante sopra tutte queste materie, disse finalmente l'abbadessa, ma per quanto noi siamo allontanate dalla corte, per quanto siamo poste al di fuori degli interessi del mondo, abbiamo dei tristissimi esempi delle verità che mi raccontate, e una delle nostre pensionate ha sofferto molto per le vendette e le persecuzioni del ministro.
— Una delle vostre pensionate! disse milady. Oh! mio Dio, quanto la compiango, povera donna!
— E avete ragione, poichè essa è bene da compiangersi. Prigionia, minacce, cattivi trattamenti, essa ha sofferto di tutto, ma dopo tutto ciò, riprese l'abbadessa, il ministro forse avrà avuto dei motivi plausibili per agire in tal modo, e quantunque essa abbia le sembianze di un angelo, non bisogna sempre giudicare le persone dall'apparenza.
— Buono, disse milady a se stessa, io forse sto per scuoprire qualche cosa in questo luogo, io sono in vena.
E si studiò di dare al suo viso l'espressione del più perfetto candore.
— Pur troppo! disse milady, io lo so; si dice che non bisogna credere alle fisonomie; ma a che cosa dunque si dovrà credere, se non si crede alla più bell'opera del Signore? In quanto a me, io forse sarò ingannata per tutta la mia vita, ma mi fiderò sempre ad una persona il di cui viso mi inspiri simpatia.
— Voi dunque sareste tentata di credere, disse l'abbadessa, che questa giovane è innocente?
— Il ministro non punisce sempre i soli delitti, disse milady; vi sono certe virtù che egli perseguita più severamente che i vizi.
— Permettetemi, signora, di esprimervi la mia sorpresa, disse l'abbadessa.
— E su che cosa? domandò milady con ingenuità.
— Sul linguaggio che voi tenete.
— Che cosa ritrovate, dunque di maraviglioso nel mio linguaggio? domandò sorridendo milady.
— Voi siete amica del ministro, mentre è desso che vi manda qui, eppure.
— Eppure io ne dico male, riprese milady compiendo il pensiero della superiora.
— Per lo meno, voi non ne dite bene.
— E perchè io non sono amica, ma soltanto sua vittima, disse sospirando milady.
— Però, questa lettera colla quale vi raccomanda a me...
— È per me un ordine di rinserrarmi in una specie di prigione, da cui mi farà togliere per mezzo di qualcuno de' suoi satelliti.
— E perchè dunque non siete fuggita?
— E dove dovevo andare? Credete che vi sia un angolo sulla terra ove non possa arrivarvi il ministro, se si vuol dare la pena di stendere la mano?... Se fossi stata un uomo, a tutto rigore sarebbe stato possibile, ma una donna!... Che volete che faccia una donna? La giovane pensionata che avete qui ha mai tentato di fuggire?
— No è vero, ma essa è un'altra cosa; io credo che sia trattenuta in Francia da qualche amore.
— Allora, disse milady con un sospiro, se ella ama, non è del tutto infelice.
— Così, disse l'abbadessa guardando milady con un crescente interesse, debbo considerare in voi un altra povera perseguitata.
— Pur troppo sì! disse milady.
L'abbadessa guardò un istante milady con inquietudine, come se scorgesse nel suo spirito un nuovo pensiero.
— Voi non siete nemica della nostra santa fede? diss'ella balbettando.
— Io! gridò milady, io, protestante? oh! no: io attesto a Dio, che ci sente, che sono al contrario una fervente cattolica.
— Allora, signora!, disse l'abbadessa sorridendo, tranquillizzatevi, la casa ove siete non vi sarà una prigione molto dura, e noi faremo tutto ciò che si potrà per alleggerire la vostra prigionia. Vi è di più, voi ritroverete qui questa giovane perseguitata, senza dubbio per qualche intrigo di corte; essa è amabile graziosa, e vi piacerà.
— Come la chiamate voi?
— Ella mi è stata raccomandata da qualcuno di rango elevato sotto il nome di Ketty, io poi non ho cercato di sapere se questo sia il suo vero nome.
— Ketty! gridò milady; che! ne siete voi ben sicura?...
— Che si faccia chiamare così? sì, signora; la conosceste voi?
Milady sorrise all'idea che le era venuta, che questa giovane potesse essere la sua antica cameriera. A questa giovane si attaccava una rimembranza... una rimembranza di collera, e un desiderio di vendetta aveva sconvolti i lineamenti di milady, che però tosto ripresero la loro espressione calma e benevola, che questa donna, dai cento visi, loro aveva momentaneamente tolta.
— E quando potrò io vedere questa giovane dama, per la quale sento già una così gran simpatia? domandò milady.
— Questa sera, disse l'abbadessa, forse anche nella giornata. Ma voi mi diceste che viaggiate da quattro giorni, come pure, che questa mattina vi siete alzata alle cinque; voi dunque dovete aver bisogno di riposo; andate in letto e dormite, all'ora di pranzo vi sveglieremo.
Quantunque milady avesse benissimo potuto fare a meno di dormire; sostenuta da tutte le eccitazioni che una nuova passione, che una nuova avventura faceva provare al suo cuore avido d'intrighi, essa non accettò meno l'offerta della superiora. Da dodici o quindici giorni, ell'era passata a traverso a sempre nuove emozioni, che il suo corpo di ferro ne poteva ancora sostenere la fatica ma l'animo suo aveva bisogno di riposo.
Ella dunque prese congedo dall'abbadessa, e si coricò dolcemente cullata dalle sue idee di vendetta, alle quali era stata naturalmente ricondotta dal nome di Ketty. Si rammentava la promessa quasi illimitata che le aveva fatta il ministro, qualora fosse riuscita nella sua intrapresa. Essa vi era riuscita, essa poteva vendicarsi di d'Artagnan.
Una sola cosa spaventava milady, ed era la rimembranza di suo marito, il conte della Fère, che aveva creduto morto o almeno espatriato, e che lo ritrovava in Athos, l'amico migliore di d'Artagnan.
E così, s'egli era l'amico di d'Artagnan, doveva dunque averlo assistito in tutte le mine, per mezzo delle quali la regina aveva sconvolti ed annullati i progetti di sua Eccellenza; se egli era l'amico di d'Artagnan, doveva essere nemico del ministro, ed essa contava di poterlo avvolgere nella vendetta, fra le pieghe della quale contava di soffocare il giovane moschettiere.
Tutte queste speranze erano aggradevoli pensieri per milady, così cullata da queste, si addormì ben presto.
Essa fu svegliata da una voce dolce che risuonò ai piedi del suo letto. Aprì gli occhi e vide l'abbadessa, accompagnata da una giovinetta coi capelli biondi, di colorito delicato, che fissava sovr'essa uno sguardo pieno di benevolenza e di curiosità.
Il viso di questa giovane le era del tutto sconosciuto; entrambi si esaminavano con scrupolosa attenzione, ricambiandosi i complimenti d'uso. Entrambe erano bellissime, ma due bellezze del tutto diverse. Frattanto milady sorrideva, riconoscendo di vincerla di molto sulla giovane pel portamento maestoso, e pei modi aristocratici. Vero è però che l'abito da novizia che portava la giovane, non era molto favorevole per sostenere questo confronto.
L'abbadessa le presentò l'una all'altra: poi quando fu compiuto questa formalità, siccome i suoi doveri la chiamavano alla chiesa, lasciò le due giovani sole.
La novizia, vedendo milady in letto, voleva seguire la superiora, ma milady la trattenne.
— Come, signora, le diss'ella, appena vi ho veduta, e volete già privarmi della vostra presenza, sulla quale, ve lo confesso, io contava alcun poco, pel tempo che avrò qui da passare?
— No, signora, rispose la novizia; temeva soltanto di avere scelto male il tempo; voi dormivate, voi siete affaticata.
— Ebbene! disse milady, che cosa possono desiderare le persone che dormono? un buono svegliarsi; e voi me lo avete fornito, permettetemi di goderne a tutto comodo.
E stendendole una mano, l'attirò sopra una sedia ch'era vicina al letto.
La novizia si assise.
— Mio Dio, diss'ella, quanto sono disgraziata! Ecco sei mesi che sono qui senza l'ombra di una distrazione; voi giungete, la vostra presenza poteva essermi di una graziosissima compagnia, ed ecco che secondo tutte le probabilità, da un momento all'altro io sto per lasciare il convento.
— Come! disse milady, voi dunque uscirete presto?
— Almeno, lo spero disse la novizia con una espressione di gioia che ella non si curava di nascondere menomamente.
— Mi pare che mi sia stato detto che voi avete sofferto per opera del ministro, continuò milady. Questo sarebbe stato un motivo di più di simpatia fra di noi.
— È dunque vero, quanto mi ha detto la buona superiora, che voi pure siete una vittima del ministro.
— Zitto, disse milady, anche fra queste mura non parliamo così di lui: tutte le mie disavventure provengono solo dall'aver detto presso a poco lo stesso davanti ad una donna che credeva mia amica e che mi ha tradita. Siete pure vittima di un tradimento?
— No, disse la novizia, ma per il mio affetto ad una donna che amava e per la quale avrei data e darei la mia vita.
— Vi ha ella forse abbandonata?
— Fui abbastanza ingiusta per crederlo; ma da due o tre giorni ho avuto la pruova del contrario, e ringrazio Iddio. Mi sarebbe costato troppo il credere che ella mi avesse abbandonata. Ma voi, signora, continuò la novizia, mi sembra che siate libera e che se voleste fuggire non dipenderebbe che da voi.
— E dove volete che io vada, senza amici, senza danaro, in una parte della Francia che non conosco, ove...?
— Oh! gridò la novizia, in quanto agli amici ne avrete ovunque vorrete, voi sembrate così buona, e siete così bella.
— Ciò non impedisce, aggiunse milady addolcendo il suo sorriso in modo tale da dargli un'espressione angelica, che io sia sola e perseguitata.
— Ascoltate, disse la novizia, bisogna avere una viva speranza nel cielo; vedete voi, viene sempre il momento in cui il bene che si è fatto perora la vostra causa davanti a Dio, e osservate, forse questa è una fortuna per voi, per quanto io sia umile e senza potere, l'avermi qui incontrata, poichè se io esco di qui, posso avere qualche amico possente che dopo essersi messo in campagna per me, potrà mettersi pure in campagna per voi.
— Oh! quando io ho detto di esser sola, disse milady sperando di far parlare la novizia, parlando essa stessa, non è già che io non abbia pure qualche conoscenza di alto bordo; ma queste conoscenze tremano avanti al ministro. La regina stessa non osa sostenere la lotta contro il terribile ministro, ed io ho la pruova che Sua Maestà, ad onta del suo cuore eccellente, è stata costretta più di una volta di abbandonare alla collera di sua Eccellenza le persone che l'avevano servita.
— Credetemi, signora, la regina può far sembiante di abbandonare qualcuno, ma non bisogna credere alle apparenze; più le persone a lei devote sono perseguitate, e più ella pensa ad esse; e spesso, nel momento in cui esse credono che ella meno pensi a loro, hanno la pruova di un buon ricordo.
— Ah! disse milady, lo credo, la regina è così buona.
— Oh! voi dunque la conoscete questa bella e nobile regina, poichè ne parlate in tal guisa? gridò la novizia con entusiasmo.
— Cioè, riprese milady respinta nelle sue trincee, io non ho l'onore di conoscerla personalmente, ma conosco un buon numero dei suoi amici i più intimi. Io conosco il signor de Putange, ho conosciuto in Inghilterra il signor Dujart; conosco il signor de Tréville.
— Il signor de Tréville? gridò là novizia, voi conoscete il signor de Tréville?
— Sì, perfettamente, ed anche molto.
— Il capitano dei moschettieri del re?
— Il capitano dei moschettieri del re.
— Oh! ma, voi vedrete, disse la novizia, che in breve compiremo la nostra conoscenza, e che saremo per diventare amiche. Se conosceste il signor de Tréville, voi dovete essere andata in casa sua?
— Spesso, disse milady che, entrata una volta in via e accorgendosi che la menzogna riusciva, voleva spingere le cose all'estremo.
— In casa sua, voi dovete aver veduto qualcuno dei suoi moschettieri?
— Tutti quelli che egli riceve abitualmente, rispose milady per la quale questa conversazione cominciava a prendere un interesse reale.
— Nominatemi qualcuno di quelli che conoscete, e voi vedrete che sono miei amici.
— Ma, disse Milady imbarazzata, io conosco il signor de Ferruassac.
La novizia la lasciò dire, poi vedendo che si fermava.
— Non conoscete voi diss'ella, un gentiluomo chiamato Athos?
Milady divenne così pallida come le lenzuola del suo letto, e per quanto fosse padrona di se stessa, non potè trattenersi dal mandare un grido afferrando la mano della sua interlocutrice, e divorandola con lo sguardo.
— Che avete voi? Ah! mio Dio! domandò questa povera giovane, ho forse detto qualche cosa che vi abbia offesa?
— No ma questo nome mi ha colpita, perchè io pure ho conosciuto questo gentiluomo, e mi sembrava strano di ritrovare qualcuna che non lo conoscesse molto.
— Oh! sì molto, molto, e non solamente lui, ma ancora i suoi amici, Porthos ed Aramis.
— In verità, io conosco essi pure, gridò milady che si sentì il freddo penetrare fino al fondo del cuore.
— Ebbene! se voi li conoscete, dovete sapere che sono buoni e bravi compagni. Perchè non vi indirizzate ad essi, se avete bisogno d'appoggio?
— Per vero dire, non sono strettamente legata in amicizia con nessuno di essi, io li conosco per averne sentito parlare da uno dei loro amici, il sig. d'Artagnan.
— Voi conoscete il sig. d'Artagnan! gridò la novizia, afferrando a sua volta le mani di milady, e divorandola con gli occhi.
Quindi rimarcando la strana espressione del viso di milady.
— Perdono, signora, diss'ella, voi lo conoscete, ed in che titolo?
— Ma, riprese milady imbarazzata, col titolo d'amico.
— Voi m'ingannate, signora, disse la novizia, voi siete stata sua innamorata?
— Siete voi che lo siete stata, disse milady.
— Io? disse la novizia.
— Sì, voi; ora vi riconosco, voi siete la signora Bonacieux.
La giovane indietreggiò per la sorpresa ed il terrore.
— Oh! non negate, rispondete, riprese milady.
— Ebbene! sì, signora: io l'amo disse la novizia; siamo noi rivali?
La faccia di milady si accese di un fuoco talmente selvaggio, che in tutt'altra circostanza la signora Bonacieux sarebbe fuggita per lo spavento; ma in allora si trovava tutta in preda alla gelosia.
— Vediamo, dite, signora, riprese la Bonacieux con una energia di cui non si sarebbe creduta capace: siete voi stata sua innamorata?
— Oh! no! gridò milady con un accento che non ammetteva alcun dubbio sulla verità, mai! mai!
— Vi credo, disse la signora Bonacieux, ma perchè allora avete gridato in tal modo?
— Come! voi non capite ancora? disse milady, che si era già rimessa del suo turbamento ed aveva ripreso il suo sangue freddo.
— Che cosa volete che io capisca? io non so niente.
— Voi non capite che il signor d'Artagnan, essendo mio amico, mi aveva per sua confidente?
— Davvero!
— Voi non capite che io so tutto; il vostro rapimento dalla piccola casa di San Germano, la sua disperazione, quella dei suoi amici, le loro ricerche da quel momento; e come volete che io non mi meravigli quando, senza pensarci, mi ritrovo vicino a voi, di cui abbiamo tanto spesso parlato assieme? di voi, che egli mi aveva fatta amare prima ancora che vi vedessi? ah! cara Costanza, io dunque vi trovo! io dunque finalmente vi vedo!
E milady stese le sue braccia alla signora Bonacieux, che, convinta da ciò che le aveva detto, non vide più in questa donna, che un momento prima aveva creduta sua rivale, se non che un'amica sincera ed affezionata.
— Ah! perdonatemi! diceva ella stringendola al petto, io l'amo tanto!
Queste due donne si tennero così per un istante abbracciate. Certamente, se le forze di Milady fossero state della portata del suo odio, la signora Bonacieux non sarebbe uscita che morta da questo abbraccio.
Ma non potendola soffocare, le sorrise.
— Oh! bella cara, bella cara piccola, disse Milady, quanto sono felice di vedervi! lasciatemi guardarvi.
E dicendo queste parole, effettivamente la divorava con lo sguardo.
— Sì, siete voi. Ah! dopo di ciò ch'egli mi ha detto, ora vi riconosco bene.
La povera giovane non poteva dubitar di ciò che passava di spaventosamente crudele dietro il baluardo di quella pura fronte, dietro quegli occhi così brillanti, ov'ella non leggeva che interessamento e compassione.
— Allora voi sapete ciò che ho sofferto, poichè egli vi ha detto quello che ha sofferto lui, disse Costanza. Ma soffrire per lui è una felicità.
Milady ripetè macchinalmente.
— Sì, è una felicità.
Ella pensava a tutt'altra cosa.
— E poi, continuò la signora Bonacieux, il mio supplizio tocca il suo termine; domani, fors'anche questa sera, io lo rivedrò, e allora il passato non esisterà più.
— Questa sera? domani? gridò Milady, strappata dalla sua distrazione con queste parole; che volete dire? aspettate forse qualche sua notizia?
— Io aspetto lui stesso.
— Lui stesso? d'Artagnan, qui!
— Sì, lui stesso.
— Ma, è impossibile! egli non ritornerà a Parigi che dopo la presa della città.
— Voi credete così: ma vi è forse qualche cosa di impossibile al mio d'Artagnan, nobile e leale gentiluomo?
— Oh! ma io non posso credere...
— Ebbene! leggete! disse nell'eccesso dal suo orgoglio e della sua gioia la disgraziata giovane, presentando una lettera a Milady.
— Lo scritto della signora de Chevreuse! disse fra se stessa Milady. Oh! era ben sicura ch'essi aveano delle intelligenze con questo mezzo.
Ella lesse avidamente queste poche linee.
«Mia cara fanciulla, tenetevi pronta; il nostro amico verrà ben presto, e non verrà che per togliervi dalla prigione, ove la vostra sicurezza esigeva che steste nascosta; preparatevi dunque alla partenza, e non disperate mai di noi.
«Il nostro coraggioso Guascone si è mostrato bravo e fedele come sempre; ditegli che da certo luogo gli si serba riconoscenza pel dato avviso.»
— Sì, sì, disse milady, la lettera è precisa: e sapete voi che cosa sia questo avviso?
— No. Io credo che avrà prevenuta la regina di qualche nuova macchinazione del ministro.
— Sì, sarà questo senza dubbio, disse milady restituendo la lettera alla sig. Bonacieux, e lasciandosi ricadere sul petto la sua testa pensierosa.
In questo mentre s'intese il galoppo di un cavallo.
— Oh! gridò la signora Bonacieux slanciandosi alla finestra sarebbe egli di già?
Milady era rimasta nel suo letto, pietrificata dalla sorpresa; le giungevano ad un tratto tante cose inaspettate, che per la prima volta la sua testa la venne meno.
— Lui! lui! mormorò ella; sarebbe lui?
E si rimaneva nel suo letto con gli occhi fissi.
— Ah! no, disse la sig. Bonacieux, è un uomo che non conosco; sembra che venga qui. Si rallenta la sua corsa, si ferma alla porta, suona.
Milady balzò fuori del suo letto.
— Siete voi ben sicura che non sia lui? disse ella.
— Oh! sì, sicurissima.
— Voi forse avrete veduto male.
— Se vedessi anche solo la piuma del suo cappello, e l'estremità del suo tabarro, lo riconoscerei.
Milady frattanto si vestiva.
— Non importa, quest'uomo viene qui, dite voi?
— Sì, è entrato.
— Sarà per voi, o per me?
— Oh! mio Dio quanto sembrate agitata!
— Sì, lo confesso, non ho la vostra confidenza, io temo tutto dal ministro.
— Zitto, disse la sig. Bonacieux, qualcuno viene.
Effettivamente la porta si aprì, ed entrò la superiora.
— Siete voi che giungete da Boulogne? domandò ella a milady.
— Sì, sono io rispose.
E cercando di ricuperare il suo sangue freddo:
— Chi mi domanda?
— Un uomo che non vuol dire il suo nome, viene per parte del ministro.
— E che vuole parlarmi? domandò milady.
— Che vuole parlare ad una dama giunta da Boulogne.
— Allora, fatelo entrare, signora, ve ne prego.
— Oh! mio Dio! mio Dio! signora sarebbe questa qualche cattiva notizia?
— Ne ho timore.
— Vi lascio con questo straniero, ma subito dopo la sua partenza, ve lo prometto, ritornerò.
— Sì, davvero! ve ne prego.
La superiora e la sig. Bonacieux uscirono.
Milady rimase sola, con gli occhi fissi sulla porta. Un istante dopo s'intese il rumore degli speroni che risuonavano per le scale, quindi si avvicinavano al passo, poscia la porta si aprì, e comparve un uomo[1].
Milady mandò un grido di gioia; quest'uomo era il conte di Rochefort, l'anima dannata di Sua Eccellenza.
CAPITOLO LXII. DUE VARIETÀ DI DEMONII
— Ah! gridarono assieme Rochefort e milady: siete voi!
— Sì, sono io.
— E giungete? domandò Milady.
— Dalla Rochelle. E voi?
— Dall'Inghilterra.
— Buckingham?
— Morto, o ferito mortalmente. Siccome io partiva senza aver potuto ottenere nulla da lui, un fanatico puritano lo ha assassinato.
— Ah! fece Rochefort con un sorriso, ecco una combinazione ben fortunata che soddisferà grandemente Sua Eccellenza. L'avete voi prevenuto?
— Gli ho scritto da Boulogne. Ma voi come vi ritrovate qui?
— Sua Eccellenza, inquieto, mi ha mandato in traccia di voi.
— Io sono giunta soltanto ieri.
— E che cosa avete fatto da ieri?
— Non ho perduto il mio tempo.
— Io non ne dubito.
— Sapete voi chi ho incontrato qui?
— No.
— Indovinatelo.
— E come volete?
— Quella giovane che la regina ha fatto togliere di prigione.
— L'amica del piccolo d'Artagnan?
— Sì, la sig. Bonacieux, di cui il ministro ignorava il ritiro.
— Ebbene! ecco ancora un'altra combinazione che può andare del pari coll'altra. Davvero che il ministro è un uomo privilegiato.
— Capirete la mia meraviglia quando mi sono ritrovata a testa a testa con lei?
— Vi conosce essa?
— No.
— Allora vi considera come un'estranea.
Milady sorrise.
— Io sono la sua migliore amica.
— Sul mio onore non vi siete che voi, mia cara contessa, disse Rochefort, per operare simili prodigi.
— Ed è stato bene: sapete voi che cosa sta per accadere?
— No.
— Domani o dopo domani verranno a prenderla con un ordine della regina.
— Davvero! e chi verrà?
— D'Artagnan e i suoi amici.
— In verità ne faranno tante che saremo obbligati di mandarli alla Bastiglia.
— E perchè ciò non è già stato fatto?
— Che volete! perchè il ministro ha per costoro una debolezza che non capisco.
— Davvero? Ebbene! Rochefort, riferitegli questo: ditegli che la nostra conversazione all'albergo del Colombaio rosso è stata intesa da questi quattro uomini; ditegli che dopo la sua partenza, uno di essi è salito nella mia camera e mi ha strappato il salvo-condotto che mi aveva dato. Ditegli ch'essi hanno prevenuto lord de Winter della mia partenza per l'Inghilterra; che, questa volta ancora, poco è mancato che non sia andato fallita la mia missione, come essi hanno fatto andar fallita quella dei puntali, ditegli che fra questi quattro, due soli sono da temersi, d'Artagnan e Athos; ditegli che il terzo, Aramis, è l'amante della signora di Chevreuse; bisogna lasciar viver costui, egli ci può esser utile, si sa il suo segreto; in quanto al quarto, Porthos, è un imbecille, un vanaglorioso, una nullità, che non se ne occupi neppure.
— Ma in questo momento questi quattro uomini debbono ritrovarsi all'assedio della Rochelle.
— Io lo credeva al par di voi; ma una lettera che la sig. Bonacieux ha ricevuto dalla sig. de Chevreuse, e ch'essa ha avuta l'imprudenza di comunicarmi, mi fa credere che questi quattro uomini ora trovansi in cammino per venir qui.
— Diavolo! e come fare?
— Che vi ha detto il ministro sul conto mio?
— Di prendere i vostri dispacci o scritti o verbali, e di ritornare per la posta. Quando saprà ciò che avete fatto, penserà a quello che dovete fare.
— Io dunque debbo restar qui?
— Qui, o nelle vicinanze.
— E non potete condurmi con voi?
— No, l'ordine è formale; nelle vicinanze del campo potreste essere riconosciuta, e la vostra presenza, voi lo sapete, comprometterebbe Sua Eccellenza, particolarmente ora, dopo quello che è accaduto laggiù. Soltanto, ditemi prima, dove aspetterete le notizie del ministro, affinchè io possa sempre sapere ove potervi ritrovare;
— Ascoltate, è probabile che non potrò restare qui.
— Perchè?
— Dimenticate che i miei nemici possono giungere da un momento all'altro?
— È vero, ma allora questa piccola donna sfuggirà a Sua Eccellenza.
— Bah! disse milady con un sorriso che non apparteneva che a lei sola: voi dimenticate che io sono la sua migliore amica.
— Ah! è vero: io posso dunque dire al ministro, in rapporto di questa donna...
— Ch'egli sia tranquillo.
— E nient'altro? egli saprà cosa vuol dire?
— Egli lo indovinerà.
— Ora, vediamo, posso io far nulla?
— Ripartire sull'istante; mi sembra che le notizie che vi ho date meritino bene la pena di sollecitare.
— La mia carrozza si è rotta entrando a Lilliers.
— A meraviglia!
— Come, a meraviglia?
— Sì, io ho bisogno della vostra carrozza.
— E come potrò io allora...?
— A cavallo.
— Voi ne parlate con facilità, ma sono ottanta leghe!
— E che cosa sono?
— Ebbene! si faranno. E poi?
— Nel passare da Lilliers mi manderete la vostra carrozza, con ordine al vostro cocchiere di mettersi a mia disposizione.
— Bene.
— Voi senza dubbio avete nel portafogli qualche ordine del ministro?
— Io ho il mio Pieno-Potere.
— Voi lo mostrerete all'abbadessa, e le direte che oggi o domani verrà qualcuno a cercarmi, e che io debba seguire la persona che si presenterà in vostro nome.
— Benissimo! non dimenticate di trattarmi con durezza, parlando di me con l'abbadessa.
— E a che pro?
— Io sono una vittima del ministro. Io debbo inspirare confidenza a questa buona e piccola Bonacieux.
— È giusto. Ora volete voi farmi un rapporto di tutto ciò che è accaduto?
— Vi ho raccontati gli avvenimenti, voi avete buona memoria, ripetete le cose come ve le ho raccontate; un foglio si può perdere.
— Avete ragione; che io sappia soltanto dove ritrovarvi, affinchè non abbia da correre inutilmente nelle vicinanze.
— È giusto, aspettate.
— Volete voi una carta geografica?
— È inutile, io conosco questi paesi a meraviglia.
— E quando dunque vi siete stata?
— Vi sono stata allevata.
— Davvero!
— Vedete che è buono a qualche cosa l'essere stata allevata in queste parti.
— Voi dunque mi aspetterete?...
— Lasciatemi riflettere un istante... ah! ecco ad Armentières.
— E che cosa è Armentières.
— Una piccola città posta sulle rive della Lys. Io non avrò che a traversare il fiume per essere in paese straniero.
— A meraviglia; ma è ben inteso che voi non traverserete il fiume se non che in caso di pericolo.
— Ciò s'intende bene.
— E in questo caso, come saprò io dove siete?
— Voi, non avrete bisogno del vostro lacchè?
— No.
— È uomo sicuro?
— A tutte prove.
— Datemelo; nessuno lo conosce, io lo lascerò nel luogo da cui parto, ed egli vi condurrà dove sarò.
— E voi dite che mi aspetterete ad Argentières.
— No, ad Armentières.
— Scrivetemi questo nome sopra un pezzo di carta, affinchè io non l'abbia a dimenticare. Il nome di una città non può compromettere, non è vero?
— Eh! chi lo sa? Non importa, disse milady scrivendo il nome sopra un mezzo foglio di carta, io mi comprometto.
— Bene, disse Rochefort prendendo dalle mani di milady il foglio, ch'egli piegò e nascose nella fodera del cappello. D'altronde siate tranquilla, io farò come fanno i fanciulli, ripeterò lungo la strada questo nome, pel caso in cui dovessi perdere il foglio. Ora abbiamo detto tutto?
— Credo.
— Esaminiamo bene; Buckingham morto o gravemente ferito, la vostra conversazione col ministro udita dai quattro moschettieri; lord de Winter prevenuto del vostro arrivo in Inghilterra; d'Artagnan e Athos alla Bastiglia; Aramis l'amante della sig. de Chevreuse; Porthos un imbecille; inviarvi la carrozza il più presto possibile; mettere il mio lacchè a vostra disposizione; fare di voi una vittima del ministro, acciò l'abbadessa non abbia da concepire alcun sospetto; Armentières sulle rive del Lys. Sta, bene così?
— In verità, mio caro cavaliere, voi siete un miracolo di memoria. A proposito, aggiungete una cosa...
— E quale?
— Ho veduto dei bellissimi boschi che confinano col giardino del convento. Dite che mi è permesso di passeggiare in questi boschi; chi sa forse avrò bisogno di uscire da una porta di dietro.
— Voi pensate a tutto.
— E voi dimenticate una cosa.
— E quale?
— Di chiedermi se ho bisogno di danaro.
— È giusto, quanto volete?
— Tutto ciò che avete in oro.
— Io ho circa cinquecento doppie.
— Io ne ho altrettante, con mille doppie si fa fronte a tutto. Vuotate le vostre saccocce.
— Ecco fatto.
— Sta bene. E voi partite?
— Fra un'ora, il tempo per mangiare qualche cosa, nel mentre che manderò a cercare un cavallo di posta?
— A meraviglia. Addio, conte.
— Addio, contessa.
— Raccomandatemi al ministro.
— Raccomandatemi a Satanasso.
Milady e Rochefort si cambiarono un sorriso e si separarono.
Un'ora dopo, Rochefort partiva al gran galoppo del suo cavallo; cinque ore dopo egli passava per Arras.
I nostri lettori sanno già come esso era stato riconosciuto da d'Artagnan, e come questo riconoscimento inspirando dei timori ai quattro moschettieri, aveva data una nuova attività al loro viaggio.
CAPITOLO LXIII. UNA GOCCIA D'ACQUA
Non appena Rochefort fu uscito, che la sig. Bonacieux rientrò. Ella ritrovò milady col viso ridente.
— Ebbene! disse la giovane, ciò che voi temevate è accaduto: questa sera o domani il ministro vi manderà a prendere.
— E come lo sapete voi?
— L'ho inteso dalla bocca stessa del messaggiero.
— Venite a sedervi qui presso a me, disse milady.
— Eccomi.
— Aspettiamo che mi assicuri che non siamo intese da alcuno.
Milady sì alzò, andò alla porta, l'aprì, guardò da una parte e dall'altra nel corridoio, richiuse la porta e ritornò a sedere presso la sig. Bonacieux.
— Allora, diss'ella, ha sostenuto bene la sua parte.
— Chi.
— Colui che si è presentato all'abbadessa come un inviato del ministro.
— Era dunque una parte finta che sosteneva?
— Sì figlia mia.
— Quest'uomo non è dunque...?
— Quest'uomo, disse milady abbassando la voce, è mio fratello.
— Vostro fratello! gridò la sig. Bonacieux.
— Non vi è che voi che sappia questo segreto, figlia mia; se voi lo confidaste a chiunque siesi al mondo, io sarei perduta, forse anche voi.
— Oh! mio Dio!
— Ascoltate: ecco ciò che accade: mio fratello che veniva in mio soccorso per togliermi di qui a viva forza, se faceva d'uopo, ha incontrato l'emissario del ministro che veniva a cercarmi. Egli lo ha seguito. Giunto in un luogo della strada solitario e fuor di mano, ha impugnata la spada, e ha intimato al messaggiero di rimettergli i fogli che portava. Il messaggiero ha voluto difendersi, mio fratello lo ha ucciso.
— Oh! fece la sig. Bonacieux fremendo.
— Era il solo mezzo, pensateci. Allora mio fratello risolse di sostituire la furberia alla forza; ha preso i fogli, e si è presentato qui come lo stesso emissario del ministro, e, fra un'ora o due, verrà con una carrozza a prendermi per parte di Sua Eccellenza.
— Capisco, è vostro fratello che vi manderà questa carrozza.
— Precisamente: ma questo non è tutto, quella lettera che voi avete ricevuta e che credete che sia della sig. de Chevreuse...
— Ebbene?
— Essa è falsa.
— In che modo?
— Sì, è falsa: è un laccio che vi è stato teso affinchè non opponiate resistenza quando si verrà a cercarvi.
— Ma è d'Artagnan quello che verrà.
— Disingannatevi. D'Artagnan e i suoi amici sono trattenuti all'assedio della Rochelle.
— Ma come lo sapete voi?
— Mio fratello ha incontrato degli emissari del ministro in abito da moschettieri. Sareste stata chiamata alla porta, avreste creduto di aver che fare con amici, e vi avrebbero rapita per ricondurvi a Parigi.
— Ah! mio Dio! la mia testa si perde in questo caos d'iniquità. Io sento che se ciò dura, riprese la signora Bonacieux portando le mani alla sua fronte, diverrò pazza.
— Aspettate.
— Che?
— Sento i passi di un cavallo; è quello di mio fratello che riparte, voglio dargli un ultimo addio; venite.
Milady aprì la finestra e fece segno alla signora Bonacieux di venirla a raggiungere; la giovane vi andò.
Rochefort passava al galoppo.
— Addio, fratello, gridò milady.
Il cavaliere alzò la testa, vide le due giovani, e, correndo, fece un segno amichevole colla mano.
— Ah! che buon Giorgio! diss'ella richiudendo la finestra, con una espressione di fisonomia piena di affezione e di malinconia.
Ed ella ritornò a sedersi al suo posto, come se fosse stata immersa in riflessioni del tutto personali.
— Cara signora! disse la Bonacieux, perdono se vi interrompo, ma, che cosa mi consigliereste di fare? Mio Dio! voi avete più esperienza di me; parlate, io vi ascolto.
— Primieramente, disse milady, può darsi che io sbagli, e che d'Artagnan e suoi amici vengono realmente in vostro soccorso.
— Oh! sarebbe stata una cosa troppo bella, gridò la signora Bonacieux, e tanta felicità non è per me.
— Allora, voi capirete, questa non sarebbe che una quistione di tempo, una specie di corsa a chi arriverà il primo: se sono i vostri amici che la vincono in rapidità, voi sarete salva; se sono i satelliti del ministro, voi sarete perduta.
— Oh! sì! sì, perduta senza misericordia! che fare dunque? che fare?
— Vi sarebbe un mezzo molto semplice, e molto naturale.
— Quale? dite.
— Sarebbe quello di aspettare nascosta alle vicinanze, e assicurarsi in tal modo chi sono gli uomini che verranno a demandare di voi.
— Ma dove aspettare?
— Oh! questa non è domanda da farsi; io pure mi fermo e mi nascondo a qualche lega di qui, aspettando che venga mio fratello a raggiungermi; ebbene! io vi condurrò meco, noi ci nasconderemo e aspetteremo assieme.
— Ma non mi si lascerà partire, io sono qui quasi prigioniera.
— Siccome si crede che io parta dietro un ordine del ministro, così non si crederà che voi abbiate molta premura a seguirmi.
— Ebbene?
— Ebbene! la carrozza è alla porta, voi mi direte addio, salirete sul montatoio per stringermi fra le vostre braccia un'ultima volta, il domestico di mio fratello che viene a prendermi è prevenuto; egli farà un segnale al postiglione e partiremo al galoppo.
— Ma se d'Artagnan venisse?
— E non lo sapremo noi?
— In che modo?
— Niente di più facile; noi rimarremo a Bèthune questo domestico di mio fratello, del quale ve l'ho detto, noi possiamo fidarci; prenderà un travestimento e si pianterà dirimpetto al convento. Se verranno gli emissarii del ministro, egli non si muoverà; se sarà d'Artagnan con i suoi amici, li condurrà nel luogo ove saremo.
— Egli dunque li conosce?
— Senza fallo; e non ha veduto d'Artagnan in casa mia? Avete ragione. Così, tutto va bene, tutto è per lo meglio; ma noi ci allontaneremo di qui?
— Di sette o otto ore tutto al più; noi ci porremo sulla frontiera, per esempio, ed al primo segnale, usciremo dalla Francia!
— E di qui a là, che fare?
— Aspettare.
— Se frattanto arriveranno?
— La carrozza di mio fratello giungerà prima di loro.
— E se io mi troverò lontana da voi quando verranno a cercarvi, per esempio a pranzo, o a cena?
— Fate una cosa?
— E quale?
— Dite alla vostra buona superiora che, per lasciarci il meno possibile, voi le chiedete il permesso di fare il vostro pasto con meco.
— Lo permetterà ella?
— E che inconveniente vi può essere?
— Benissimo! in questo modo noi non ci lasceremo più un istante.
— Ebbene discendete da lei per esporle la vostra domanda; io mi sento la testa pesante, e vado a fare una passeggiata in giardino.
— Andate; e dove vi ritroverò io?
— Qui fra un'ora.
— Qui fra un'ora! oh! quanto siete buona, io vi ringrazio.
— E come potrei non interessarmi a voi? quand'anche non foste bella e graziosa, non siete voi l'amica di uno dei miei migliori amici?
— Caro d'Artagnan! oh! quanto vi ringrazierà.
— Lo spero bene. Andiamo, tutto è convenuto; discendiamo.
— Voi andate in giardino?
— Sì.
— Seguite questo corridoio, una piccola scala vi ci condurrà.
— A meraviglia, grazie.
E le due donne si lasciarono contraccambiandosi un grazioso sorriso.
Milady aveva detto la verità, ella si sentiva le testa pesante, poichè i suoi progetti mal classificati si cozzavano come in un caos. Essa aveva bisogno di restar sola, per mettere un poco d'ordine alle sue idee alquanto confuse, una forma distinta, e un piano stabilito.
Ciò che vi era di più pressante, era di rapire la signora Bonacieux, di metterla in un luogo di sicurezza e là ad ogni evento farsene un ostaggio. Milady cominciò a dubitare della riuscita di questo duello terribile, in cui i suoi nemici impiegavano tanta perseveranza, quanto ella usava di accanimento.
D'altronde, essa sentiva, come si sente venire un uragano, che questo esito era vicino, e non poteva a meno di essere terribile.
La cosa dunque principale per lei, come abbiamo detto, era di custodire la sig Bonacieux fra le sue mani; la signora Bonacieux era la vita di d'Artagnan; era più della sua vita, era quella della donna ch'egli amava. Era, nel caso di avversa fortuna, un mezzo di trattare e di ottenere buone condizioni.
Ora questo punto era stabilito. La signora Bonacieux, senza diffidenza la seguiva; una volta nascosta con lei ad Armentières, era facile farle credere che d'Artagnan non era venuto a Béthune. In quindici giorni al più Rochefort sarebbe stato di ritorno. In questi quindici giorni d'altronde, essa avrebbe pensato a ciò che doveva fare per vendicarsi dei quattro amici. Quindi, grazie al cielo, non si sarebbe annoiata, perchè avrebbe avuto il più dolce passatempo che gli avvenimenti avrebbero accordato ad una donna di questo carattere: una buona vendetta da perfezionarsi.
Mentre essa sembrava distratta, girava gli occhi intorno e si fissava in testa la topografia del giardino. Milady era come un buon generale che prevede tutto, la vittoria assieme e la sconfitta, e che è disposto, a seconda degli eventi della battaglia, a camminare in avanti o a battersi in ritirata.
In capo ad un'ora, intese una dolce voce che la chiamava: era la signora Bonacieux. La buona abbadessa aveva naturalmente acconsentito a tutto; e per incominciare, esse avrebbero cenato assieme.
Giungendo nel cortile, intesero il rumore di una carrozza che si fermava alla porta.
Milady ascoltò.
— Sentite voi? disse ella.
— Sì, il rumore di una carrozza.
— È quella che ci manda mio fratello.
— Oh! mio Dio!
— Su via, coraggio!
Fu suonato alla porta del convento, milady non si era ingannala.
— Salite nella vostra camera, disse ella alla signora Bonacieux, forse avrete qualche gioiello che desiderate portare con voi?
— Io ho delle lettere.
— Ebbene? andate a cercarle; e venite a raggiungermi nella mia camera, noi ceneremo in fretta; forse viaggeremo una parte della notte, bisogna mettersi in forze.
— Gran Dio! disse la signora Bonacieux mettendosi una mano sul petto, il mio cuore batte in modo da soffocarmi, io non posso camminare!
— Coraggio! andiamo, coraggio! pensate che fra un quarto d'ora siete salva, e pensate che quello che siete per fare lo fate per lui.
— Oh! sì, tutto per lui. Voi mi avete reso il mio coraggio con questa sola parola. Andate, io vi raggiungerò.
— Milady salì precipitosamente nella sua camera; essa vi trovò il lacchè di Rochefort, e gli dette le sue istruzioni.
Egli doveva aspettare alla porta; se per caso i moschettieri comparivano, la carrozza partiva al galoppo faceva il giro del convento e andava ad aspettare milady in un piccolo villaggio che era situato all'altra parte di quel bosco.
In questo caso, milady avrebbe traversato il giardino e sarebbe giunta al villaggio a piedi; noi lo abbiamo già detto, milady conosceva perfettamente questa parte della Francia.
Se i moschettieri non comparivano, le cose sarebbero andate come era stato convenuto. La sig. Bonacieux montava in carrozza sotto il pretesto di dirle addio, ed era rapita così.
La sig. Bonacieux entrò, e per togliere ogni sospetto, se pure essa ne aveva, milady ripetè avanti a lei al lacchè l'ultima parte delle sue istruzioni.
Costei fece alcune interrogazioni sulla carrozza; ad essa erano attaccati tre cavalli, condotti da un postiglione; il lacchè di Rochefort doveva fare da corriere, precedendola a cavallo.
Era a torto che Milady credeva che la sig. Bonacieux avesse dei sospetti; la povera giovane era troppo pura per sospettare in un'altra donna una simile perfidia: d'altronde, il nome della contessa de Winter, che essa aveva sentito pronunciare dall'abbadessa, le era affatto sconosciuto, ed ignorava egualmente che una donna avesse potuto avere una parte così grande e così fatale alle disgrazie della sua vita.
— Voi lo vedete, disse milady quando il lacchè fu uscito, tutto è pronto. L'abbadessa non dubita di niente, e crede che mi sieno venuti a cercare per parte del ministro. Quest'uomo va a dare le ultime disposizioni; prendete qualche piccola cosa, bevete un dito di vino e partiamo.
— Sì, disse macchinalmente la sig. Bonacieux, sì, partiamo.
Milady le fece segno di sedere davanti ad essa, le versò un piccolo bicchiere di vino di Spagna e le presentò il petto di un pollo.
— Vedete diss'ella, che tutto ci seconda; ecco la notte che sopraggiunge; alla punta del giorno arriveremo al luogo del nostro ritiro, e nessuno potrà sospettare dove siamo. Vediamo, coraggio, prendete qualche cosa.
La sig. Bonacieux mangiò macchinalmente qualche boccata, e bagnò le sue labbra nel bicchiere.
— Andiamo adunque, disse milady portando il proprio bicchiere alle sue labbra, fate come me.
Ma al momento in cui essa avvicinava il bicchiere alle labbra, la mano rimaneva sospesa, perchè aveva inteso il lontano rumore di cavalli messi al galoppo che si avvicinavano; poi, quasi nello stesso tempo, le sembrò di sentire il nitrito di questi.
Un tal rumore la tolse dalla sua gioia, come il rumore di un uragano sveglia da un bel sogno; essa impallidì, corse alla finestra, nel mentre che la sig. Bonacieux alzandosi tutta tremante, si appoggiava alla sedia per non cadere.
Non si vedeva ancor niente: si sentiva soltanto il galoppo più distintamente.
— Oh! mio Dio! disse la sig. Bonacieux, che è questo rumore?
— Quello dei nostri amici o dei nostri nemici, disse milady con un terribile sangue freddo. Restate qui dove siete, io anderò a vedere.
La signora Bonacieux rimase in piedi, muta, immobile e pallida come una statua.
Frattanto il rumore diveniva più forte; i cavalli non parevano più essere che alla distanza di cento passi; se non si distinguevano ancora, ciò era perchè la strada formava un gomito. Tuttavolta il rumore era così distinto che si sarebbero potuti contare dal battere dei loro ferri.
Milady guardava con tutta la potenza della sua attenzione: faceva precisamente abbastanza chiaro perchè potesse distinguere quelli che venivano.
Ad un tratto, alla voltata della strada, vide rilucere i cappelli gallonati e ondeggiare le piume; essa contò due, poi otto cavalieri. Uno di essi precedeva gli altri per la distanza di due cavalli.
Milady mandò un ruggito. In quello che stava alla testa riconobbe d'Artagnan.
— Oh! mio Dio! mio Dio! gridò la sig. Bonacieux, che cosa è dunque?
— È l'uniforme delle guardie del ministro; non c'è un istante da perdere, gridò milady. Fuggiamo, fuggiamo.
— Sì, sì, fuggiamo, ripetè la sig. Bonacieux, ma senza poter fare un passo, ritrovandosi inchiodata dal terrore nel posto ove era.
S'intesero i cavalli che passavano sotto la finestra.
— Venite dunque, ma venite dunque! gridava milady, cercando di trascinare la giovine pel braccio. Per mezzo del giardino, noi possiamo ancora fuggire, io ne ho la chiave; ma affrettiamoci, fra cinque minuti sarà troppo tardi.
La sig. Bonacieux tentò di camminare, fece due passi, e cadde in ginocchio.
Milady tentò di sollevarla, e di portarla, ma non vi riuscì.
In questo momento s'intese il rotolio della carrozza, che, alla vista dei moschettieri partiva al galoppo. Poi rintronarono tre o quattro colpi di fucile.
— Un'ultima volta, volete voi venire? gridò milady.
— Oh! mio Dio! mio Dio! voi vedete bene che mi mancano le forze fuggite sola.
— Fuggir sola, lasciarvi così! no, no, giammai! gridò milady.
Ad un tratto un livido lampo brillò nei suoi occhi, corse alla tavola, versò nel bicchiere della Bonacieux ciò che contenevasi nella legatura del suo anello, che aperse con una prontezza singolare.
Era un grano rossastro che si sciolse sul momento.
Poi prendendo il bicchiere con mano ferma:
— Bevete, disse ella, questo vino vi darà le forze, bevete.
Ed avvicinò il bicchiere alle labbra della giovine; che bevve macchinalmente.
— Ah! non è così, che io voleva vendicarmi, disse milady con un sorriso infernale, rimettendo il bicchiere sulla tavola, in fede mia! si fa quello che si può.
E tosto si slanciò fuori dell'appartamento.
La sig. Bonacieux la guardò fuggire senza poter seguirla; essa era come quelle genti che sognano di essere perseguitate e tentano invano di camminare.
Passarono alcuni minuti, un rumore spaventevole rintronò; ad ogni istante la sig. Bonacieux si aspettava di vedere ricomparire milady, che non ritornava.
Molte volte, forse dal terrore, un freddo sudore colò dalla sua fronte ardente.
Finalmente, s'intese il rumore della porta che si apriva; quindi quello degli stivali e degli speroni che salivano le scale; successe un gran mormorio di voci che andavano avvicinandosi, in mezzo alle quali le sembrava di sentir pronunciare il suo nome.
Ad un tratto gettò un gran grido di gioia, e si slanciò verso la porta: essa aveva riconosciuto la voce di d'Artagnan.
— D'Artagnan! d'Artagnan! gridò ella, siete voi? per di qui!
— Costanza! rispose il giovane, dove siete voi? mio Dio!
Nello stesso momento la porta della cella cedè all'urto, anzichè aprirsi. Molti uomini si precipitarono nella camera, la sig. Bonacieux era caduta sopra una sedia, senza poter fare un movimento.
D'Artagnan gettò una pistola che aveva ancor fumante in mano, e cadde in ginocchio davanti alla sua innamorata. Athos rimise la sua alla cintura; Porthos e Aramis, che tenevano le spade nude, le rimisero nel fodero.
— Oh! d'Artagnan, mio diletto d'Artagnan, tu dunque vieni finalmente! tu non mi avevi ingannata; sei veramente tu!
— Sì, sì. Costanza. Finalmente siamo riuniti!
— Oh! ella aveva un bel dire che tu non saresti venuto, io sperava sordamente; io non ho voluto fuggire.
— Oh! come ho fatto bene! come sono felice!
A questa parola ella, Athos, che si era seduto tranquillamente, si alzò ad un tratto.
— Ella? chi ella? domandò d'Artagnan.
— La mia compagna quella che per amicizia voleva sottrarmi ai miei persecutori; quella che, prendendovi per guardie del ministro si è data alla fuga.
— La vostra compagna, gridò d'Artagnan diventando più pallido del velo bianco della sua amica; di qual compagna volete voi parlare?
— Di quella la di cui carrozza stava alla porta; di una donna che si dice vostra amica, d'Artagnan; di quella donna a cui avete raccontato tutto.
— Il suo nome! gridò d'Artagnan; mio Dio! non sapete voi il suo nome?
— Lo sapeva! fu pronunciato avanti a me; aspettate; ma che cosa è questo... mio Dio! la testa si confonde, io non ci vedo più.
— A me! amici miei, a me! le sue mani sono di gelo, gridò d'Artagnan; ella sta male. Gran Dio, ella perde i sentimenti.
Nel mentre che Porthos chiamava soccorso in tutta la forza della sua voce, Aramis corse alla tavola per prendere un bicchier d'acqua, ma si fermò vedendo l'orribile alterazione del viso di Athos, che in piedi, davanti alla tavola, coi capelli irti, i lineamenti agghiacciati per lo stupore, guardava uno dei bicchieri, e sembrava in preda al dubbio il più orribile.
— Oh! diceva Athos, oh! no! è impossibile! Dio non permetterà un simile delitto!
— Dell'acqua! dell'acqua! gridava d'Artagnan, dell'acqua!
— Oh! povera donna! oh! povera donna! mormorava Athos con voce dolorosa.
La signora Bonacieux riaprì gli occhi sotto i baci di d'Artagnan.
— Essa ritorna in se! gridò il giovane, oh! mio Dio! mio Dio! io ti ringrazio!
— Signora, disse Athos, signora, in nome del cielo, chi ha bevuto in questo bicchiere vuoto?
— Io, signore, rispose la giovane con voce moribonda.
— Ma chi ha versato il vino che era in questo bicchiere?
— Ella.
— Ma, chi era questa ella?
— Ah! ora mi sovvengo, disse la sig. Bonacieux: la contessa de Winter.
I quattro amici mandarono un solo ed unico grido ma quello di Athos dominò sopra gli altri.
In quel momento il viso della sig. Bonacieux divenne livido, un dolor sordo l'atterrò, e cadde fra le braccia di Porthos e d'Aramis.
D'Artagnan afferrò le mani di Athos con una angoscia impossibile a descriversi.
— E che! diss'egli tu credi?...
La sua voce si estinse in un singulto.
— Io credo tutto, disse Athos mordendosi le labbra fino al sangue.
— D'Artagnan, d'Artagnan, gridò la signora Bonacieux, ove sei tu? non mi lasciare, tu vedi bene che io muoio!.
D'Artagnan lasciò le mani di Athos e corse ad essa.
Il suo viso, così bello, era tutto sconvolto, i suoi occhi vitrei non avevano più lo sguardo, un tremito convulsivo agitava tutto il suo corpo, il sudore grondava dalla sua fronte.
— In nome del Cielo, correte, chiamate Porthos, Aramis, chiamate soccorso!
— Inutile, disse Athos, inutile, il veleno che essa versa non ha contravveleno.
— Si, sì, soccorso! soccorso! mormorava la sig. Bonacieux; soccorso!
Poi, riunendo tutte le sue forze, prese la testa del giovane moschettiere fra le sue mani, la guardò un istante, come se l'anima sua fosse passata per quello sguardo, e, con un grido, singhiozzando, appoggiò le sue labbra su quelle dell'amico.
— Costanza! Costanza! gridò d'Artagnan.
Un sospiro sfuggì dalla bocca della signora Bonacieux, sfiorando quella di d'Artagnan; questo sospiro era quello di quell'anima così casta e così innamorata, che saliva al cielo.
D'Artagnan non stringeva più fra le sue braccia che un cadavere.
Il giovane mandò un grido e cadde vicino alla sua bella, tanto pallido ed agghiacciato, quanto essa.
Porthos pianse: Athos mostrò il pugno al cielo: Aramis si fece il segno della croce.
In questo momento comparve un uomo sulla porta, quasi tanto pallido quanto lo erano quelli che stavano in camera; egli guardò intorno a se, vide la sig. Bonacieux morta e d'Artagnan svenuto.
Egli comparve in quell'istante di stupore, che segue le grandi catastrofi.
— Io non mi sono ingannato, disse colui; egli è il sig. d'Artagnan, e voi sarete i suoi amici, i signori Athos, Porthos ed Aramis.
Quelli, i di cui nomi erano stati pronunziati, guardarono lo straniero con meraviglia; sembrava a tutti e tre di riconoscerlo.
— Signori, riprese il nuovo venuto, voi siete senza fallo come me alla ricerca di una donna che, aggiunse egli con un terribile sorriso, deve essere passata per di qui, poichè vi vedo un cadavere.
I tre amici rimasero muti; soltanto alla voce ed al viso si ricordavano di un uomo; che avevano già veduto, ma non potevano ricordarsi in quale circostanza.
— Signori, continuò lo straniero, poichè non potete, o non volete riconoscere un uomo, che probabilmente vi deve per due volte la vita; bisogna bene che io mi nomini: io sono lord de Winter, il cognato di quella donna.
I tre amici gettarono un grido di sorpresa.
Athos si alzò e gli stese la mano.
— Siate il ben venuto, milord, diss'egli, voi siete dei nostri.
— Io sono partito cinque ore dopo di essa da Portsmouth, disse lord de Winter, sono giunto tre ore dopo di essa a Boulogne; l'ho fallita di venti minuti a Saint-Omer; finalmente, a Lilliers, ho perduto le sue tracce. Io andava a caso, informandomi presso tutti, quando vi ho veduti passare al galoppo; ho riconosciuto il signor d'Artagnan, vi ho chiamati; voi non mi avete risposto; volli seguirvi, ma, il mio cavallo era troppo stanco per andare colla stessa corsa dei vostri, e frattanto sembra che, ad onta della fretta che avevate, siate giunti ancora troppo tardi.
— Voi lo vedete, disse Athos mostrando a lord de Winter la signora Bonacieux morta e d'Artagnan svenuto, che Porthos ed Aramis cercavano di richiamare in vita.
— Sono dunque essi morti entrambi? domandò freddamente lord de Winter.
— No, fortunatamente, rispose Athos, d'Artagnan non è che svenuto.
— Ah! tanto meglio! disse lord de Winter.
Infatti, in quel momento d'Artagnan riapriva gli occhi.
Egli si sciolse dalle braccia di Porthos e di Aramis, e si gettò come un insensato sul corpo della sua innamorata.
Athos si alzò, andò verso il suo amico con passo lento e solenne, lo abbracciò teneramente, e, siccome egli dava in singulti, gli disse con la sua voce così nobile e così persuasiva:
— Amico, sii uomo: le donne piangono i morti, gli uomini li vendicano.
— Oh! sì, disse d'Artagnan, sì, se è per vendicarla, io sono pronto a seguirvi.
Athos approfittò di questi momenti di forza, che la speranza della vendetta rendeva al suo disgraziato amico, per far segno a Porthos e ad Aramis di andare a cercare la superiora.
I due amici la incontrarono nel corridoio, ancora tutta turbata e spaventata da tanti avvenimenti; essa chiamò alcune religiose, che, contro tutte le regole monastiche vennero alla presenza di cinque uomini.
— Signora, disse Athos passando il braccio di d'Artagnan sotto il suo, noi abbandoniamo alle vostre pietose cure il corpo di questa disgraziata donna. Essa fu un angiolo sulla terra, prima di andare ad essere un angiolo in cielo. Trattatela come una delle vostre sorelle: noi ritorneremo un giorno a pregare sulla sua tomba.
D'Artagnan nascose il suo viso contro il petto di Athos fondendosi in lagrime.
— Piangi, disse Athos, piangi, cuore pieno di amore, di gioventù, di vita. Ah! io vorrei pianger come te!
E trascinò il suo amico, come un padre affettuoso, come un prete consolatore, come un grand'uomo che ha molto sofferto.
Tutti e cinque, seguiti dai loro lacchè che tenevano i cavalli per le redini, si avanzarono allora verso la città di Béthune, di cui scorgevasi il sobborgo, e si fermarono davanti al primo albergo che ritrovarono.
— Ma, disse d'Artagnan, non perseguiteremo noi quella donna?
— Più tardi, disse Athos; debbo prendere prima alcune misure.
— Essa ci sfuggirà, riprese il giovane, essa ci sfuggirà, Athos, e sarà colpa tua.
— Io rispondo di lei, disse Athos.
D'Artagnan aveva una tal confidenza nella parola del suo amico, che abbassò la testa, entrò nell'albergo senza risponder niente.
Porthos e Aramis si guardavano, non comprendendo niente sulla assicurazione di Athos.
Lord de Winter credeva che egli parlasse così, per calmare il dolore di d'Artagnan.
— Ora, signori, disse Athos, allorquando si fu assicurato che vi erano cinque camere libere nell'albergo, ritiriamoci ciascuno nella nostra. D'Artagnan ha bisogno di restar solo per piangere, e voi per dormire. Io mi incarico di tutto, siate tranquilli.
— Mi sembra però, disse lord de Winter che, se vi è qualche misura da prendere contro la contessa, ciò debba riguardare me pure; essa è mia cognata.
— Ed essa è mia moglie! disse Athos.
D'Artagnan fremette, poichè comprese che Athos era sicuro della sua vendetta, mentre rivelava un tal secreto; Porthos ed Aramis si guardarono impallidendo, lord de Winter pensò che Athos fosse pazzo.
— Ritiratevi dunque, disse Athos, e lasciatemi fare; voi vedete bene che, nella mia qualità di marito, ciò mi riguarda. Soltanto, d'Artagnan, se non lo avete perduto, rimettetemi quel foglio che è sfuggito dal cappello di quell'uomo, e sul quale sta scritto il nome di una città.
— Ah! disse d'Artagnan, ora comprendo; questo nome scritto di sua mano...
— Vedi bene, disse Athos, che vi è un Dio nel Cielo!
CAPITOLO LXIV. L'UOMO DAL MANTELLO ROSSO
La disperazione di Athos aveva dato posto ad un dolore concentrato, che rendeva ancor più chiare e più brillanti le qualità di questo uomo.
Tutto intento ad un solo pensiero, quello della promessa che aveva fatta e della responsabilità che aveva presa, egli si ritirò per ultimo nella sua camera, pregò l'albergatore di procurargli una carta della provincia, vi si curvò sopra, studiò le linee tracciate, riconobbe che quattro strade differenti si portavano da Béthune ad Armentières. E fece chiamare i quattro lacchè.
Planchet, Grimaud, Mousqueton e Bazin si presentarono e ricevettero gli ordini chiari, puntuali e gravi di Athos. Essi dovevano partire alla punta del giorno dell'indomani, e portarsi ad Armentières, ciascuno per una strada differente. Planchet, il più intelligente dei quattro, doveva seguir quella che aveva presa la carrozza, sulla quale i tre amici avevano tirato, e che era accompagnata, si ricorderà, dal domestico di Rochefort.
Athos mise i lacchè in campagna, primieramente perchè, dal momento che questi erano entrati al servizio suo e dei suoi amici, si era riconosciuto in loro delle qualità differenti ed essenziali; poi de' lacchè che interrogano, inspirano sempre nei paesani minor diffidanza dei loro padroni, e trovano maggior simpatia presso quelli ai quali s'indirizzano.
Finalmente, milady conosceva i padroni nel mentre ch'essa non conosceva i servitori. Al contrario i servitori conoscevano tutti perfettamente milady.
Tutti e quattro dovevano ritrovarsi alle undici antimeridiane in un punto indicato. Se avevano scoperto il luogo di ritirata di milady, tre rimanevano a guardarla, e il quarto ritornava a Béthune, per prevenire Athos, e servir di guida ai tre amici.
Prese queste disposizioni, anche i servi si ritirarono.
Athos allora si alzò dalla sedia, cinse la spada, si avviluppò nel mantello, e uscì dall'albergo; erano circa dieci ore di sera; si sa, in provincia le strade sono poco frequentate. Athos visibilmente cercava però qualcuno a cui potere indirizzare la parola. Finalmente incontrò un passaggiero ritardato, si avvicinò a lui e gli disse alcune parole. L'uomo al quale si era indirizzato indietreggiò con terrore; però rispose alle parole del moschettiere per mezzo di una indicazione. Athos offerse a questo uomo una mezza doppia per accompagnarlo; ma questi si rifiutò.
Allora s'internò nelle strade che l'indicatore aveva designate col dito; ma giunto ad una croce-via si fermò di nuovo visibilmente imbarazzato; nella lusinga però che quivi passasse più facilmente qualcuno, si fermò. Di fatto, dopo pochi minuti passò un vigile della notte. Athos gli ripetè la stessa interrogazione che aveva già fatta alla prima persona incontrata. Il vigile lasciò scorgere lo stesso terrore, rifiutò egli pure di accompagnare Athos, e gli mostrò colla mano la via che doveva seguire.
Athos camminò nella direzione mostrata, giunse al sobborgo indicato, nell'estremità opposta della città e del luogo ov'era alloggiato, in compagnia dei suoi amici. Là, parve di nuovo inquieto ed imbarazzato, e per la terza volta si fermò.
Fortunatamente passava un mendicante, che si accostò ad Athos per dimandargli l'elemosina. Athos gli offerse uno scudo per accompagnarlo ove voleva andare; il mendicante esitò un istante, ma alla vista della moneta di argento che brillava nell'oscurità, si decise e camminò davanti ad Athos.
Giunto all'angolo di una strada, gli mostrò di lontano una piccola casa, isolata solitaria e trista. Athos si avvicinò ad essa, nel mentre che il mendicante, il quale aveva ricevuto il suo salario, si allontanava a tutte gambe.
Egli vi girò attorno per poter distinguere la porta in mezzo al color rossastro di cui era dipinta tutta quella casa. Nessun lume appariva attraverso le fenditure delle gelosie, nessun rumore poteva far supporre che questa casa fosse abitata; essa era muta e cupa come una tomba.
Tre volte Athos battè senza che gli fosse risposto. Al terzo colpo, però, s'intesero dei passi avvicinarsi; finalmente la porta fu mezza aperta, e un uomo di alta statura, di colorito pallido, coi capelli e la barba nera, comparve.
Athos e lui si cambiarono alcune parole a voce bassa, quindi l'uomo di alta statura fece segno al moschettiere che poteva entrare.
L'uomo che Athos era venuto a cercare, e che aveva ritrovato con tanta pena, lo fece entrare in un laboratorio, in cui era occupato al legare con dei fili di ferro le ossa di uno scheletro. Tutto il corpo era già legato, la sola testa stava sopra la tavola.
Tutto il resto del mobilio indicava che quest'uomo si occupava di scienze naturali; vi erano dei vasi di vetro pieni di serpenti, coi loro bigliettini indicanti le specie; delle lucertole diseccate, risplendenti come gli smeraldi, e attaccate sopra una tavola nera. Finalmente dei fasci di erbe selvatiche, odorifere, e senza dubbio dotate di virtù sconosciute al volgare degli uomini, erano attaccati al soffitto, e discendevano negli angoli dell'appartamento.
Del resto nessun individuo di famiglia, nessun servitore: l'uomo di alta statura abitava solo in quella casa.
Athos gettò un colpo d'occhio freddo ed indifferente su tutti gli oggetti che abbiamo descritti, e dopo l'invito di quello che era andato a ritrovare, si assise vicino a lui.
Allora gli spiegò la causa della sua visita ed il servigio che reclamava: ma appena egli ebbe esposta la sua domanda, che lo sconosciuto, che era rimasto in piedi davanti al moschettiere rinculò pel terrore e si rifiutò. Allora Athos cavò di saccoccia un piccolo pezzo di carta su cui erano scritte due righe, accompagnate da una firma e da un sigillo, e lo presentò a quello che dava troppo prematuramente dei segni di ripugnanza. L'uomo dall'alta statura, appena ebbe lette le due linee, vista la sottoscrizione, e riconosciuto il sigillo, s'inchinò in segno di non avere altra obbiezione a fare, e di essere pronto ad obbedirlo.
Athos non chiese di più, si alzò, uscì, riprese andandosene, la strada che aveva fatta nel venire, rientrò nell'albergo, e si chiuse nella sua camera.
Alla punta del giorno d'Artagnan entrò da lui, e gli chiese che cosa si doveva fare.
— Aspettare, rispose Athos.
Alcuni istanti dopo, la superiora del monastero fece prevenire i moschettieri che i funerali della vittima di milady avrebbero avuto luogo nel mezzogiorno. In quanto alla avvelenatrice, non se ne erano ricevute notizie, soltanto ch'essa aveva dovuto fuggire dal giardino, nella sabbia del quale si erano riconosciute le impronte dei piedi di milady, e del quale si era ritrovata la porta chiusa: quanto alla chiave, era scomparsa.
All'ora indicata, lord de Winter ed i quattro amici si portarono al convento; le campane suonavano a tutta tratta, la cappella era aperta, la sola gelosia del coro era chiusa. Il corpo era esposto nel mezzo del coro, vestito degli abiti di novizia. Da ciascun lato di esso, e dietro le gelosie che comunicavano col convento, era tutta la comunità delle Carmelitane che di là ascoltava l'ufficio divino, e univa il suo canto al canto dei preti, senza vedere i profani e senza essere veduta.
Alla porta della cappella d'Artagnan sentì venirgli meno il coraggio, si voltò per cercare Athos, ma Athos era scomparso.
Fedele alla sua missione di vendetta; si era fatto accompagnare in giardino, e là, sulla sabbia seguiva il passo leggiero di questa donna, che aveva lasciata una traccia sanguinosa ovunque era passata; si avanzò fino alla porta che metteva nel bosco, se la fece aprire, si internò nella foresta.
Allora tutti i suoi dubbi si confermarono; la strada per la quale era passata la carrozza fuggendo, circondava la foresta. Athos seguì questo sentiero con gli occhi fissi al suolo; alcune piccole macchie di sangue, sparse o dall'uomo che serviva la carrozza come postiglione, o da uno dei cavalli, tracciavano qua e là la strada. In capo a tre quarti di lega a cinquanta passi circa da Festubet, compariva una macchia di sangue più grande. Il suolo era coperto di impronte di ferri di cavalli. Fra la foresta e questo luogo denunciatore, un poco più addietro delle peste dei cavalli, si scopriva la stessa traccia di piede che fu ritrovata in giardino.
La carrozza si era qui fermata.
In questa direzione milady era uscita dal bosco ed era salita in carrozza.
Soddisfatto di questa scoperta, che confermava tutte le sue congetture, Athos ritornò all'albergo, e ritrovò Planchet che lo aspettava con impazienza.
Tutto era avvenuto come lo aveva preveduto Athos.
Planchet aveva seguita la stessa strada, aveva rimarcate le stesse tracce di sangue, come Athos; aveva riconosciuto il luogo ove si erano fermati i cavalli; ma era andato più avanti di Athos, di modo che, nel villaggio di Festubert, bevendo in un'osteria, e senza bisogno d'interrogare nessuno, aveva saputo che circa alle otto e mezzo della sera innanzi, un uomo ferito, che accompagnava una dama che viaggiava in legno di posta, era stato obbligato di fermarsi, non potendo andare più avanti. L'accidente veniva attribuito ai ladri che avevano voluto fermare la carrozza nel bosco. L'uomo era rimasto nel villaggio, e la dama aveva cambiati i cavalli e aveva continuata la sua strada.
Planchet si mise in cerca del postiglione che aveva condotta la carrozza, e lo ritrovò. Egli aveva condotta la dama fino a Fromelles e da Fromelles era partita per Armentières. Planchet prese una strada traversa e a sette ore del mattino egli era ad Armentières.
Non vi era che un albergo, quello della posta. Planchet andò a presentarvisi come un lacchè senza padrone, che cercava un posto. Non erano dieci minuti che parlava coi servi dell'albergo, che sapeva giù che una donna sola era arrivata alle undici di sera, aveva presa una camera, aveva fatto venire il padrone dell'albergo, e gli aveva detto che desiderava di dimorare per qualche tempo nelle vicinanze.
Planchet non aveva bisogno di saperne di più. Corse al luogo dell'appuntamento, trovò gli altri tre lacchè, esatti al loro posto, li condusse, li situò in sentinella a tutte le uscite dell'albergo e ritornò da Athos, che terminava di ricevere le informazioni di Planchet, quando rientrarono i suoi amici.
Tutti i visi erano tetri, perfino il dolce viso di Aramis.
— Che cosa dobbiamo fare? domandò d'Artagnan.
— Aspettare, rispose Athos.
Ciascuno si ritirò, nella sua camera.
Alle otto ore di sera, Athos dette l'ordine d'insellare i cavalli, fece prevenire lord de Winter e i suoi amici di tenersi pronti per la spedizione.
In un istante tutti e cinque furono all'ordine; ciascuno visitò le sue armi e le preparò. Athos discese per ultimo e trovò d'Artagnan di già a cavallo, che si impazientava.
— Pazienza, disse Athos, ci manca ancora qualcuno.
I quattro cavalieri si guardarono intorno con meraviglia, poichè cercavano inutilmente nel loro spirito chi era quello che poteva mancare.
— Aspettatemi, diss'egli, io ritornerò subito.
E partì al galoppo.
Un quarto d'ora dopo ritornò effettivamente accompagnato da un uomo mascherato, avvolto in un gran mantello rosso.
Lord de Winter ed i tre moschettieri s'interrogarono con lo sguardo. Nessuno di loro potè informare gli altri, perchè tutti ignoravano chi era quest'uomo. Tutti però pensarono che la faccenda dovesse andare così: poichè la faccenda era diretta da Athos.
A nove ore, guidati da Planchet, la cavalcata si mise in viaggio prendendo il cammino che aveva seguito la carrozza.
Era un tristo spettacolo quello di questi sei uomini, che correvano in silenzio, immersi tutti nei proprii pensieri, cupi come la disperazione, tetri come il gastigo.
CAPITOLO LXV. IL GIUDIZIO
Era una notte tempestosa e oscura; grossi nuvoloni percorrevano il cielo, velando la chiarezza delle stelle. La luna non doveva alzarsi che alla mezzanotte.
Alcune volte, al chiarore dei lampi che rischiaravano l'orizzonte, si scorgeva la strada che si presentava bianca e solitaria, quindi spento il chiarore, tutto ritornava nell'oscurità.
Ad ogni tanto, Athos invitava d'Artagnan a mettersi in fila, perchè andava sempre qualche passo avanti, ma dopo un istante di obbedienza, ritornava nuovamente avanti. Non aveva che un pensiero, ed era quello di andare avanti, e vi andava.
Traversarono in silenzio il villaggio di Festubert, ove era rimasto il domestico ferito: poscia traversarono il bosco di Rochebourg. Giunti ad Herlier, Planchet, che dirigeva sempre la colonna, prese a sinistra.
Diverse volte, sia lord de Winter, sia Porthos, sia Aramis tentarono di attaccare il discorso coll'uomo dal mantello rosso; ma ad ogni interrogazione che gli veniva fatta, si era inchinato senza rispondere. I viaggiatori avevano capito allora che vi doveva essere qualche ragione perchè lo sconosciuto conservasse il silenzio, e cessarono dal volgergli il discorso.
D'altronde, l'uragano ingrossava, i lampi si succedevano rapidamente, il tuono cominciava a rumoreggiare, e il vento precursore del temporale, fischiava a più potere.
La cavalcata prese il gran trotto.
Un poco al di là di Formelles; l'uragano scoppiò. Furono spiegati i mantelli; restavano ancora tre leghe da farsi; furono fatte sotto un torrente di pioggia.
D'Artagnan si era tolto il cappello, e non aveva spiegato il mantello; trovava piacere a lasciarsi irrigare la fronte ardente e il corpo agitato dai brividi della febbre.
Al momento in cui la piccola truppa aveva oltrepassato Coskal, e stava per giungere alla posta, un uomo addossato ad un albero si staccò dal tronco col quale era stato confuso nell'oscurità, e si avanzò fino in mezzo alla strada, mettendosi il dito sulle labbra.
Athos riconobbe Grimaud.
— Che vi è dunque! gridò d'Artagnan, avrebb'ella lasciato Armentières?
Grimaud fece colla testa un segno affermativo. D'Artagnan ruotò i denti.
— Silenzio d'Artagnan! disse Athos. Sono io che mi sono incaricato di tutto; sta dunque a me l'interrogare Grimaud. Dov'è essa? domandò a Grimaud.
Grimaud stese la mano nella direzione della Lys.
— Lungi di qui? domandò Athos.
Grimaud presentò al suo padrone il suo indice piegato.
— Soltanto? domandò Athos.
Grimaud fece segno di sì.
— Signori, disse, Athos, essa è una mezza lega di qui nella direzione del fiume.
— Sta bene disse d'Artagnan: conduceteci Grimaud.
Grimaud si mise ad attraversare i campi, e servì di guida alla cavalcata.
In capo a cinquecento passi, si ritrovò un ruscello che fu traversato a guado.
Al chiarore di un lampo, fu scoperto il villaggio d'Erquinhein.
— È forse là? domandò d'Artagnan.
Grimaud scosse la testa in segno negativo.
— Silenzio dunque! disse Athos.
E la truppa continuò il cammino.
Balenò un altro lampo; Grimaud stese le braccia, ed al chiarore rossastro di un serpente di fuoco, si distinse una piccola casa isolata, vicina al fiume, a cento passi dal battello di traghetto.
Una finestra era illuminata.
— Noi ci siamo, disse Athos.
In questo momento, un uomo nascosto in un fosso si alzò: era Mousqueton, il quale mostrò col dito la finestra illuminata.
— Essa è là, diss'egli.
— E Bazin? domandò Athos.
— Nel mentre che io guardava la finestra, egli guardava la porta.
— Bene! disse Athos, voi siete tutti fedeli servitori.
Athos saltò da cavallo e consegnò le redini a Grimaud; quindi si avanzò sotto la finestra, dopo aver fatto segno al resto della sua truppa di girare dalla parte della porta.
La piccola casa era circondata da una siepe foltissima, alta circa tre piedi. Athos l'oltrepassò, giunse fino alla finestra priva di sportelli al di fuori, ma le di cui mezze tendine erano esattamente tirate.
Egli montò sul suo parapetto di pietra affinchè il suo occhio potesse oltrepassare l'altezza delle mezze tendine.
Al chiarore di una lampada, egli vide una donna avviluppata in un gran manto di colore scuro, seduta sopra uno sgabello, vicino ad un fuoco quasi spento. I suoi gomiti erano appoggiati sopra una cattiva tavola, ed, essa appoggiava la sua testa sopra ambe le mani, bianche come l'avorio.
Non si poteva distinguere il suo viso, ma un sorriso sinistro passò sulle labbra di Athos. Non vi era da ingannarsi: quella era la donna che egli cercava.
In questo momento, un cavallo nitrì. Milady alzò la testa, vide dietro ai vetri il pallido viso di Athos, e mandò un grido.
Athos capì che era stato riconosciuto, spinse la finestra col ginocchio e colla mano; questa cedè, i vetri si ruppero, e Athos, simile allo spettro della vendetta, saltò nel mezzo della camera, milady corse alla porta e l'aprì. Più pallido e più minaccioso ancora di Athos, d'Artagnan stava sulla soglia.
Milady indietreggiò mandando un grido; d'Artagnan, credendo ch'essa avesse qualche mezzo di evasione, e temendo che loro non fuggisse, levò una pistola dalla sua cintola. Ma Athos alzò la mano:
— Rimettete quell'arme al suo posto, d'Artagnan, disse egli; è necessario che questa donna sia giudicata e non assassinata. Aspettate ancora, d'Artagnan, e tutti sarete soddisfatti!
— Entrate, o signori.
E d'Artagnan obbedì, perchè Athos aveva la voce solenne e il gesto possente di un giudice supremo. Dietro a d'Artagnan, entrarono Porthos, Aramis, Lord de Winter, e l'uomo dal mantello rosso.
I quattro servitori guardavano la porta e le finestre.
Milady era ricaduta sul suo seggio colle mani stese, come per scongiurare questa terribile apparizione. Scorgendo suo cognato, essa gettò un grido terribile.
— Chi domandate voi? gridò milady.
— Noi domandiamo, disse Athos, Anna de Breuille, che prima si è chiamata la contessa della Fère, poi lady de Winter baronessa de Souffield.
— Sono io, mormorò essa al colmo dello stupore, che volete da me?
— Vogliamo giudicarvi secondo i vostri delitti, disse Athos, voi sarete libera di difendervi; giustificatevi, se potete. Signor d'Artagnan, spetta a voi di accusarla pel primo.
D'Artagnan si avanzò.
— Davanti a Dio e davanti agli uomini, disse egli io accuso questa donna di avere avvelenata Costanza Bonacieux, morta ieri sera.
Egli si voltò verso Porthos ed Aramis.
— Lo attestiamo, dissero con un sol movimento i due moschettieri.
D'Artagnan continuò:
— Davanti a Dio e davanti agli uomini, io accuso questa donna di avere voluto avvelenarmi col vino, che mi aveva inviato da Villeroy con una falsa lettera, come se il vino mi fosse stato mandato dai miei amici; Dio mi salvò, ma un uomo è morto in mia vece che si chiamava Brisemont.
— Lo attestiamo, dissero colla stessa voce Porthos ed Aramis.
— Davanti a Dio e davanti agli uomini, proseguì d'Artagnan, io accuso questa donna di avermi spinto all'uccisione del barone de Wardes, e siccome non vi è alcuno per attestare la verità di quest'accusa, l'attesto da me stesso. Ho detto.
E d'Artagnan passò dall'altra parte della camera, con Porthos ed Aramis.
— A voi, milord, disse Athos.
Il barone si avvicinò a sua volta.
— Davanti a Dio e davanti agli uomini, disse egli, io accuso questa donna di aver fatto assassinare il duca di Buckingham.
— Il duca di Buckingham assassinato? gridarono ad una voce tutti gli assistenti.
— Sì, disse il barone, assassinato: dietro la lettera di avviso che mi avete scritta, io aveva fatto arrestare questa donna, e l'aveva data in custodia ad un leale servitore; essa ha corrotto quest'uomo, gli ha messo il pugnale in mano, e gli ha fatto uccidere il duca, e in questo momento forse, Felton paga colla sua testa il delitto di questa furia.
Un fremito percorse per mezzo i giudici alle rivelazioni di questi delitti sconosciuti.
— Ma questo non è tutto, riprese lord de Winter, mio fratello, che l'aveva fatta sua erede, è morto in tre ore di una strana malattia, che lasciò delle macchie livide su tutto il corpo. Cognata, in che modo è morto vostro marito?
— Orrore! gridarono Porthos ed Aramis.
— Assassina di Buckingham, assassina di Felton, assassina di mio fratello, io domando giustizia contro di voi, e dichiaro che se non mi verrà fatta, me la farò da me!
E lord de Winter andò a mettersi vicino a d'Artagnan, lasciando il posto libero ad un altro accusatore.
Milady lasciò cadersi la fronte fra le sue mani, e tentò richiamare le sue idee confuse da una vertigine mortale.
— A mia volta, disse Athos, tremando egli stesso, come trema il leone all'aspetto di un serpente; a mia volta io sposai questa donna quando era giovinetta; la sposai malgrado l'opposizione di tutta la mia famiglia le detti i miei beni, le detti il mio nome, e un giorno; m'accorsi che era infamata; questa donna è marchiata con un giglio sulla spalla sinistra.
— Oh! disse milady alzandosi, io sfido di ritrovare il tribunale che ha pronunziato sopra di me questa infame sentenza, io sfido di ritrovare colui che l'ha eseguita.
— Silenzio! disse una voce. A questo aspetta a me il rispondere.
E l'uomo dal mantello rosso si avvicinò a sua volta.
— Chi è quest'uomo? chi è quest'uomo? gridò milady soffocata dal terrore, i di cui capelli si snodarono e si dirizzarono sulla sua testa livida, come se fossero stati vivi.
Tutti gli occhi si voltarono su quest'uomo, poichè egli era sconosciuto a tutti, eccetto che ad Athos. Athos pure lo guardava con tanto stupore quanto gli altri, ignorando il come poteva trovarsi immischiato in qualche cosa al dramma che si sviluppava in quel momento.
Dopo essersi avvicinato a milady con passo lento e solenne, ed in modo che la sola tavola lo separasse da lei, lo sconosciuto si tolse la maschera.
Milady guardò per qualche tempo, con un terrore crescente, questo pallido viso inquadrato da capelli e da barba nera, la di cui espressione era una impassibilità glaciale; poi ad un tratto:
— Oh! no, no, disse ella alzandosi e indietreggiando fin contro il muro; no, questa è una apparizione infernale! non è lui! a me! a me! gridò essa con voce rauca, voltandosi verso il muro, come se avesse potuto aprirvi un passaggio con le sue mani.
— Ma chi siete voi dunque? gridarono tutti i testimoni a questa scena.
— Domandatelo a questa donna, disse l'uomo dal mantello rosso, poichè, vedete, bene, ella mi ha riconosciuto.
— Il carnefice di Lille! il carnefice di Lille, grido milady in preda ad un insensato terrore, aggrappandosi con le mani al muro per non cadere.
Tutti si allontanarono, e l'uomo dal mantello rosso restò solo in piedi in mezzo alla sala.
— Oh! grazia! grazia! perdono, gridò la miserabile cadendo in ginocchio.
Lo sconosciuto lasciò che si ristabilisse il silenzio.
— Io ve lo diceva bene che ella mi aveva riconosciuto; riprese egli. Sì, io sono l'esecutore di giustizia della città di Lille, ed ecco la mia storia.
Tutti gli occhi erano fissi su quest'uomo, di cui si udivano le parole con avida ansietà.
— Questa giovane era altra volta una giovinetta tanto bella quanto lo è adesso. Essa era educanda in un convento di Templemard. Un giovine, di cuor semplice e credente, serviva la chiesa di questo convento; ella si accinse a sedurlo e vi riuscì. E chi non avrebbe ella sedotto?
«Ma troppa distanza passava tra la condizione dell'uno e dell'altra; e però i loro legami non potevano durare lungamente senza perdersi tutti e due. Ella ottenne da lui che fuggirebbero dal paese, ma per fuggire dal paese, per involarsi assieme, per andare in un'altra parte della Francia, ove essi potessero vivere tranquilli, perchè sarebbero stati sconosciuti, vi voleva del danaro; nè l'uno nè l'altra ne avevano. Il giovane per far danaro commise un furto. Gli oggetti derubati furono venduti; ma, mentre si apprestavano a partire, furono entrambi arrestati.
«Otto giorni dopo, ella aveva sedotto il figlio del carceriere e si era salvata. Il giovine fu condannato a dieci anni di ferri e al marchio. Io era l'esecutore della città di Lille, come disse questa donna. Fui obbligato di marchiare il colpevole; signori, egli era mio fratello.
«Giurai allora che questa donna, che lo aveva perduto, che era più che sua complice poichè essa lo aveva spinto al delitto, dividerebbe almeno la punizione. Immaginai il luogo ove doveva essersi nascosta, la rinvenni, l'afferrai, la legai, e le impressi il medesimo marchio che io aveva impresso a mio fratello.
«L'indomani del mio ritorno a Lille, mio fratello pervenne anch'egli a fuggire; fui accusato di complicità, e condannato a rimanere in prigione nel suo posto, fino a che non fosse ritornato a costituirsi prigioniero. Il mio povero fratello ignorava questo giudizio, egli raggiunse questa donna, fuggì con lei nel Berry, e là visse alcun tempo facendola passare per sua sorella.
«Il signore di quel luogo, ove erano andati ad abitare questi pretesi due fratelli, divenne innamorato di lei al punto che le propose di sposarla. Allora essa lasciò quello che aveva perduto, per quello che voleva perdere, e divenne la contessa della Fère;
Tutti gli occhi si voltarono verso Athos, di cui questo era il vero nome, il quale fece segno colla testa, che tutto ciò che aveva detto il carnefice era vero.
— Allora, riprese questi, mio fratello pazzo disperato, deciso a sbarazzarsi di una esistenza alla quale aveva tolto tutto, onore e fortuna, il mio povero fratello ritornò a Lille, e sentendo il decreto che mi aveva condannato invece sua, si costituì prigioniero, e si impiccò la stessa sera all'inferriata della sua prigione. Del resto, bisogna che io renda giustizia a chi di dovere; quelli che mi avevano condannato mi mantennero la parola. Appena fu constata l'identità del cadavere, che fui rimesso in libertà. Ecco il delitto per cui l'accuso, ecco la causa per cui l'ho marchiata.
— Sig. d'Artagnan, disse Athos, qual è la pena che voi reclamate per questa donna?
— La pena di morte! rispose d'Artagnan.
— Milord de Winter, continuò Athos, qual è la pena che reclamate contro questa donna?
— La pena di morte! riprese lord de Winter.
— Signori Porthos ed Aramis, riprese Athos, voi che siete i suoi giudici, qual è la pena che pronunciate contro questa donna?
— La pena di morte! risposero con voce sorda i due moschettieri.
Milady mandò un urlo spaventoso, e fece alcuni passi verso i suoi giudici, trascinandosi ginocchioni.
Athos stese la mano verso di lei.
— Anna de Breuille, contessa della Fère, milady de Winter, diss'egli, i vostri delitti hanno stancato gli uomini sulla terra e Dio in cielo. Se sapete qualche preghiera, recitatela, poichè siete condannata, e state per morire.
A queste parole, che non le lasciavano alcuna speranza, si raddirizzò per quanto era alta, e volle parlare; ma la voce le mancò. Elle sentì che una mano possente ed implacabile l'afferrava per i capelli, e la trascinava così irrevocabilmente. Essa dunque non tentò pure di far resistenza e uscì dalla casa.
Lord de Winter, d'Artagnan, Athos, Porthos, ed Aramis, ne uscirono dietro di lei; i servi seguirono i loro padroni, e la camera rimase solitaria con la sua finestra rotta, la porta aperta, e la lampada che ardeva tristamente sulla tavola.
CAPITOLO LXVI. L'ESECUZIONE
Era circa mezzanotte, la luna era in decrescenza, ed il color sanguigno era l'ultima traccia dell'uragano; la luna si alzava dietro la piccola città di Armentières, che staccava sopra l'orizzonte i neri profili delle case, della chiesa, del campanile traforato a giorno; dirimpetto il fiume Lys scorreva le sue acque simile ad un rivo di stagno fuso, nel mentre che, sull'altra riva, si vedeva la massa nera degli alberi, che si profilava sopra un cielo tempestoso, investito da grossi nuvoloni color di rame, che facevano una specie di crepuscolo nel mezzo della notte.
A sinistra si alzava un vecchio molino abbandonato con le ali immobili; tra le rovine del quale una civetta faceva sentire il suo grido acuto, periodico e monotono. Qua e là, nella pianura, a diritta e a sinistra della stradella che percorreva il lugubre corteggio, apparivano alcuni alberi bassi o troncati, che sembravano spettri deformi, aggruppati per osservare gli uomini in quell'ora sinistra.
Di tratto in tratto un largo lampo apriva l'orizzonte in tutta la sua larghezza, serpeggiava al di sopra della massa nera degli alberi, e veniva come una enorme scimitarra, a spaccare il cielo e l'acqua in due parti. Non un soffio di vento agitava l'atmosfera appesantita; un silenzio di morte opprimeva tutta la natura, il suolo era umido per la pioggia caduta, e gli alberi rianimati mandavano i loro profumi con maggiore energia.
Due lacchè trascinavano milady, che tenevano ciascuno per un braccio, il carnefice camminava dietro. Lord de Winter, d'Artagnan, Athos, Porthos, ed Aramis camminavano dietro al carnefice. Planchet e Bazin venivano gli ultimi.
I due lacchè condussero milady dalla parte del fiume; la sua bocca era muta, ma i suoi occhi parlavano con la loro inesplicabile eloquenza, supplicando or l'uno or l'altro ch'essa guardava. Siccome si trovava alcuni passi avanti, disse ai lacchè:
— Mille doppie per ciascuno di voi se proteggete la mia fuga; ma se mi abbandonate ai vostri padroni, ho qui vicino dei vendicatori che vi faranno pagar cara la mia morte.
Grimaud esitava, Mousqueton tremava con tutte le sue membra.
Athos, che aveva intesa la voce di milady, si avvicinò prestamente; lord de Winter fece altrettanto.
— Rimandate questi servi, disse egli; essa ha parlato loro, costoro non sono più sicuri.
Si chiamò Planchet e Bazin, che presero il posto di Grimaud e Mousqueton.
Giunti sulla riva del fiume, il carnefice si avvicinò a milady, e le legò i piedi e le mani.
Allora essa ruppe il silenzio, per gridare:
— Voi siete vili, siete miserabili assassini, vi mettete in dieci per sgozzare una povera donna; state in guardia, se io non sono soccorsa, sarò vendicata!...
— Voi non siete una donna, disse freddamente Athos; voi non appartenete alla specie umana, voi siete un demonio fuggito dall'inferno, e noi vi ci faremo ritornare.
— Oh! signori uomini virtuosi, disse milady, state attenti, perchè colui che toccherà un solo capello della mia testa è a sua volta un assassino.
— L'esecutore può uccidere, senza per questo essere un assassino, signora, disse l'uomo dal mantello rosso battendo sulla sua larga spada; questo è l'ultimo giudice, ecco tutto. Nachrichter, come dicono i nostri vicini alemanni.
E siccome egli la legava dicendo queste parole, milady mandò due o tre gridi selvaggi, che produssero un tetro e strano effetto, spandendosi per la notte e perdendosi nella profondità dei boschi.
— Ma se io sono colpevole, se ho commessi i delitti di cui mi accusate, urlava milady, conducetemi avanti di un tribunale; voi non siete giudici per condannarmi.
— Io aveva proposto Tyburn, disse lord de Winter, perchè non avete voluto accettarlo?
— Perchè io non voglio morire, gridò milady dibattendosi, perchè sono troppo giovane per morire.
— La donna, che avete avvelenata a Béthune, era più giovane ancora di voi, signora, eppure essa è morta, disse d'Artagnan.
— Io entrerò in un chiostro, mi farò religiosa, disse milady.
— Voi eravate in un chiostro, disse il carnefice, e ne siete uscita per perdere mio fratello.
Milady mandò un grido di spavento e cadde in ginocchio.
Il carnefice la sollevò fra le sue braccia, e volle portarla verso il battello.
— Oh! mio Dio! gridò essa, mio Dio! volete voi annegarmi?
Queste grida avevano qualche cosa di straziante, dimodochè d'Artagnan, che sulle prime era il più accanito contro milady, si lasciò andare contro un albero e vi appoggiò la testa, chiudendosi le orecchie con le palme delle mani, e ciò nonostante, ad onta di questo, sentiva ancora minacciare e gridare.
D'Artagnan era il più giovine di tutti quegli uomini, e il cuore gli mancò.
— Oh! io non posso vedere questo orribile spettacolo, disse egli; io non posso acconsentire che questa donna muoia così.
Milady aveva intese queste parole, e si era attaccata ad un raggio di speranza.
— D'Artagnan! d'Artagnan! gridò essa, sovvienti che ti ho amato!
Il giovine si alzò e fece un passo verso di lei.
Ma Athos cavò la sua spada, e gli tagliò il sentiero.
— Se voi fate un passo di più, d'Artagnan, disse egli, noi incrocieremo le spade assieme.
D'Artagnan cadde in ginocchio e pregò.
— Andiamo, andiamo, continuò Athos, esecutore di giustizia, fa il tuo dovere.
— Volentieri, signore, disse il carnefice, perchè, tanto è vero che io sono un buon cattolico, che credo fermamente essere io giusto nei compiere le mie funzioni sopra questa donna.
— Sta bene.
Athos fece un passo verso milady.
— Io vi perdono, disse egli, il male che mi avete fatto; vi perdono il mio avvenire troncato, il mio onore perduto, il mio amore lordato e la mia salute per sempre compromessa, per la disperazione in cui mi avete gettato. Morite in pace!
Lord de Winter si avvicinò egli pure.
— Io vi perdono, diss'egli, l'avvelenamento di mio fratello, l'assassinio di Sua Grazia lord de Buckingham, vi perdono la morte del povero Felton, vi perdono tutti i vostri tentativi sulla mia persona. Morite in pace!
— Ed io, disse d'Artagnan, perdonatemi, signora, di avere con una furberia indegna di un gentiluomo, provocata la vostra collera; e in compenso, vi perdono l'uccisione della mia povera amica e i vostri crudeli tentativi di vendetta sopra di me. Vi perdono e vi compiango. Morite in pace!
— I am lost! mormorò in inglese milady, I must die.
Allora ella si alzò da sè, girò intorno sguardi luminosi che sembravano scaturire da un occhio di fiamme.
Essa non vide niente.
Essa ascoltò, e non intese niente.
Ella non aveva intorno a se che dei nemici.
— Ove vado a morire? domandò essa.
— Sull'altra riva, rispose il carnefice.
Allora egli la fece trascinare nella barca, e mentre stava per mettersi in piede per seguirla, Athos gli consegnò una somma di danaro.
— Prendete, disse, ecco il prezzo della esecuzione, che si veda bene che noi agiamo da giudici.
— Sta bene, disse il carnefice, ed ora questa donna sappia essa pure che io non eseguisco il mio mestiere, ma il mio dovere.
E gettò il denaro nel fiume.
— Vedete! disse Athos, questa donna ha un figlio, eppure ella non ha detto una parola di suo figlio!
Il battello si allontanò verso la riva sinistra della Lys, portando la colpevole e l'esecutore. Tutti gli altri rimasero sulla riva destra, caduti in ginocchio, pregando per la condannata.
Il battello scorreva lentamente lungo la corda del traghetto sotto il riflesso di una pallida nube, che in quel momento passava a piombo sull'acqua.
Fu visto approdare all'altra riva, i personaggi si disegnavano in nero sull'orizzonte rossastro.
Milady, durante il tragitto, era pervenuta a staccare la corda che le legava i piedi. Giungendo all'altra riva, saltò leggiermente a terra, e prese la fuga.
Ma il suolo era umido: e giungendo sull'alto dell'argine, scivolò e cadde in ginocchio.
Fu colta senza dubbio da un'idea superstiziosa: essa capì che il cielo le rifiutava il suo soccorso, e rimase nell'attitudine in cui si ritrovava, colla testa inchinata e le mani giunte.
Allora fu visto dall'altra riva il carnefice alzare lentamente le due braccia, un raggio della luna riflettè sulla lama della larga sua spada, le due braccia ricaddero; s'intese il fischio della scimitarra e il grido della vittima, quindi una massa tronca si piegò sotto il colpo.
Allora il carnefice si tolse il mantello rosso, lo stese per terra, vi trascinò sopra il corpo, vi gettò la testa, lo annodò ai quattro angoli lo caricò sulla sua spalla e rimontò nel battello.
Giunto in mezzo alla Lys, fermò la banca, e sospendendo il suo fardello al disopra del fiume:
— Lasciate passare la giustizia di Dio! gridò egli ad alta voce.
E lasciò cadere il cadavere nel più profondo dell'acqua, che si richiuse sopra di esso.
CAPITOLO LXVII. UN MESSAGGIO DEL MINISTRO
Tre giorni dopo i quattro moschettieri rientravano a Parigi; essi erano rimasti nei limiti del loro congedo, e la stessa sera andarono dal sig. de Tréville, a fargli la solita visita di uso.
— Ebbene! signori, domandò il loro capitano, vi siete voi divertiti nella vostra escursione?
— Prodigiosamente! rispose Athos in nome suo e in quello dei suoi compagni.
Il sei del successivo mese, il re mantenendo la promessa che aveva fatta al ministro di ritornare alla Rochelle, lasciò Parigi tutto stordito ancora dalla novella che vi si era sparsa che Buckingham era stato assassinato.
Quantunque prevenuta, che l'uomo che essa amava tanto, correva un forte pericolo, la regina, quando le fu annunziato questa morte, non volle crederla; e giunse perfino a gridare imprudentemente.
— È falso! egli mi ha scritto...
Ma l'indomani bisognò bene prestar fede all'annunzio. Laporte, trattenuto come tutti gli altri in Inghilterra per ordine del re Carlo I, arrivò portatore dell'ultimo funebre regalo, che Buckingham inviava alla regina.
La gioia del re era stata vivissima; non si dette alcuna pena di dissimularla, anzi la dimostrò con affettazione davanti alla regina; Luigi XIII, come tutti i cuori deboli mancava di generosità.
Ma ben presto egli ritornò cupo e pensieroso; la sua fronte non era di quelle che si mantengono lungamente ilari; sentiva che ritornando al campo, andava a riprendere la sua schiavitù e ciò non ostante vi ritornava.
Il ministro era per lui il serpente affascinatore, ed egli era l'uccello che saltellava di ramo in ramo senza potere sfuggirgli.
Per questo il ritorno alla Rochelle era profondamente tristo. I quattro amici particolarmente formavano la meraviglia dei loro camerati, essi viaggiavano assieme uniti coll'occhio tetro e la testa bassa. Athos solo rialzava di tratto in tratto la sua fronte, un lampo balenava dai suoi occhi, un amaro sorriso passava sulle sue labbra; quindi simile ai suoi camerati, si lasciava nuovamente andare alle sue meditazioni.
Appena giunta la scorta in una città, dopo che avevano condotto il re al suo alloggio, i quattro amici si recavano o al loro quartiere o in qualche osteria appartata, ove non giuocavano nè bevevano; parlavano soltanto a bassa voce, osservando con attenzione di non essere ascoltati da nessuno.
Un giorno che il re aveva fatto alto sulla strada, per dar la caccia alla gazza, che i quattro moschettieri, secondo il loro costume, invece di seguire la caccia, si erano ritirati in una osteria posta sulla strada maestra; un uomo che veniva dalla Rochelle a tutta briglia, si fermò alla porta per bere un bicchiere di vino e penetrò il suo sguardo nell'interno della camera, ove stavano a tavola i quattro moschettieri.
— Olà! signor d'Artagnan, non siete voi che vedo laggiù?
D'Artagnan alzò la testa e mandò un grido di gioia; quell'uomo che lo chiamava era il suo fantasma, era lo sconosciuto di Méung, della strada Fossoyeurs, e di Arras.
D'Artagnan cavò la spada e si slanciò verso la porta.
Ma questa volta invece di fuggire, lo sconosciuto saltò giù del suo cavallo, e s'avvanzò incontro a d'Artagnan.
— Ah! signore, disse il giovane, finalmente vi ho raggiunto. Questa volta non mi fuggirete.
— Non era questa neppure la mia intenzione, perchè questa volta io vi cercava. In nome del re, io vi arresto.
— Come! che dite voi? gridò d'Artagnan.
— Io vi dico, signore, che dovete cedermi la vostra spada, e senza alcuna resistenza. Vi avverto che ne va della vostra testa.
— Chi siete voi? gridò d'Artagnan abbassando la sua spada, senza però renderla ancora.
— Io sono il cavaliere de Rochefort, rispose lo sconosciuto, scudiero di Sua Eccellenza il ministro Richelieu, ed ho l'ordine di condurvi a Sua Eccellenza.
— Noi ritorniamo presso Sua Eccellenza, signor cavaliero, disse Athos avanzandosi, e voi vorrete accettare la parola del signor d'Artagnan che si recherà in linea retta alla Rochelle.
— Io debbo consegnarlo nelle mani delle guardie, che lo ricondurranno al campo.
— Faremo noi le loro veci, signore, sulla nostra parola da gentiluomini! Ma sulla nostra parola da gentiluomini pure, aggiunse Athos aggrottando il sopracciglio, il signor d'Artagnan non ci lascerà.
Il signor Rochefort gettò un colpo d'occhio indietro, e vide che Porthos ed Aramis, si erano posti fra lui e la porta; egli capi che si trovava interamente a loro discrezione.
— Signori, diss'egli, se il signor d'Artagnan mi cede la spada, e unisce la sua parola alla vostra, mi contenterò della vostra promessa di condurlo all'alloggio di Sua Eccellenza il ministro.
— Voi avete la mia parola, signore, ed ecco la mia spada.
— Ciò mi accomoda, tanto più, disse Rochefort, che debbo continuare il mio viaggio.
— Se è per raggiungere milady, disse freddamente Athos, è inutile, voi non la ritrovereste.
— Che cosa è dunque avvenuto di lei? domandò premurosamente Rochefort.
— Ritornate al campo e lo saprete.
Rochefort rimase un istante pensieroso; ma siccome non erano più che una giornata distanti da Surgéres, fin dove il ministro doveva venire incontro al re, risolse di seguire il consiglio di Athos e di ritornare con loro.
D'altronde, questo ritorno gli offriva il vantaggio di sorvegliare da se stesso il suo prigioniero.
Si rimisero in viaggio.
L'indomani, a tre ore dopo il mezzogiorno, giunsero a Surgéres; il ministro vi aspettava Luigi XIII. Il ministro ed il re si cambiarono una quantità di carezze; si felicitarono della fortunata combinazione che sbarazzava la Francia del nemico accanito che ammutinava l'Europa contro di lei. Dopo di che, il ministro, ch'era stato prevenuto da Rochefort che d'Artagnan era arrestato, e che aveva fretta d'interrogarlo, prese congedo dal re, invitandolo di venire il giorno dopo a vedere i lavori della diga che erano stati terminati.
Ritornando la sera al suo quartiere, al Ponte di Pierre, il ministro ritrovò in piedi, davanti alla porta della casa che egli abitava, d'Artagnan disarmato, e i tre moschettieri armati.
Questa volta, siccome egli si ritrovava in forza, li riguardò severamente, e fece segno, coll'occhio e colla mano, a d'Artagnan di seguirlo.
D'Artagnan obbedì.
— Noi ti aspettiamo d'Artagnan, disse Athos abbastanza forte perchè il ministro lo sentisse.
Sua Eccellenza aggrottò il sopracciglio, si fermò un istante, poi continuò il suo cammino, senza pronunciare una parola.
D'Artagnan entrò dietro al ministro, e Rochefort dietro a d'Artagnan: alla porta furono messe le sentinelle.
Sua Eccellenza si portò nella camera che gli serviva da gabinetto e fece segno a Rochefort d'introdurre il giovane moschettiere.
Rochefort obbedì e si ritirò.
D'Artagnan rimase solo in faccia al ministro: era la seconda conferenza con Richelieu: ed egli, confessò dopo, credeva che fosse stata l'ultima.
Richelieu rimase in piedi appoggiato al camminetto, e vi era una tavola fra lui e d'Artagnan.
— Signore, disse il ministro, voi siete stato arrestato per ordine mio.
— Mi è stato detto, Eccellenza.
— Sapete voi perchè.
— No, Mio-signore, poichè la sola colpa per la quale io potrei essere arrestato, è ancora ignorata dal ministro.
Richelieu guardò fissamente il giovane.
— Olà! diss'egli, che volete dire con ciò?
— Se Vostra Eccellenza vuol prima farmi conoscere i delitti di cui vengo imputato, io gli dirò in seguito i fatti che ho operati.
— Voi siete imputato di delitti che hanno fatto cadere delle teste più alte della vostra, disse il ministro.
— E quali, Eccellenza? domandò d'Artagnan con una calma che fece meraviglia allo stesso ministro.
— Voi siete imputato di avere avuto corrispondenza coi nemici del regno, siete imputato di avere sorpreso i segreti dello stato, siete imputato di aver tentato di fare andare a vuoto i piani del vostro generale.
— E chi è che m'imputa di tutto ciò, Eccellenza? disse d'Artagnan, che non si dubitava che l'accusa non venisse da milady, una donna marchiata dalla giustizia del suo paese, una donna che ha sposato un uomo in Francia e un altro in Inghilterra, una donna che ha avvelenato il suo secondo marito, e che ha tentato di avvelenare me pure.
— Che dite voi dunque! signore!, gridò il ministro meravigliato, e di qual donna v'intendete voi parlare in tal guisa?
— Di milady de Winter, rispose d'Artagnan; sì, di milady de Winter, di cui senza dubbio Vostra Eccellenza ignorava i delitti, quando la onorava della sua confidenza.
— Signore, disse il ministro, se milady de Winter ha commesso i delitti che voi dite, ella sarà punita.
— Essa lo è già, Eccellenza.
— E chi l'ha punita?
— Noi.
— Essa dunque è in prigione?
— Essa è morta.
— Morta! ripetè il ministro che non poteva credere quanto udiva: morta!... non avete voi detto ch'essa è morta?
— Tre volte essa ha tentato di uccidermi, ed io le ho perdonato, ma però ha ucciso la donna che io amava; allora i miei amici ed io l'abbiamo presa, giudicata e condannata.
D'Artagnan raccontò allora l'avvelenamento della sig. Bonacieux nel convento delle Carmelitane di Béthune, il giudizio nella casa isolata, e la esecuzione sulle rive della Lys.
Un fremito percorse tutto il corpo del ministro, eppure non fremeva tanto facilmente. Ad un tratto, come subendo l'influenza di un tacito pensiero, la fisonomia del ministro, cupo fino allora, si rischiarò a poco a poco, e giunse alla più perfetta serenità.
— Così, diss'egli con una dolcezza che contrastava colla severità delle sue parole, voi vi siete costituiti giudici senza pensare che quelli che non hanno missione di punire, e puniscono, sono considerati assassini.
— Eccellenza, io vi giuro che neppure per un momento, non ho mai avuto intenzione di difendere la mia testa contro di voi; io subirò il gastigo che Vostra Eccellenza vorrà infligermi. Non sono abbastanza attaccato alla vita per temere la morte.
— Sì, lo so, voi siete un uomo di cuore, signore, disse il ministro con una voce quasi affettuosa; io posso dirvi pure in anticipazione che voi sarete condannato.
— Un altro potrebbe rispondere a Vostra Eccellenza, che ha la sua grazia in saccoccia; ma io mi contento di dirvi ordinate, io sono pronto.
— La vostra grazia? disse Richelieu sorpreso.
— Sì, Eccellenza, disse d'Artagnan.
— Firmata da chi? dal re forse?
Il ministro pronunciò queste parole con una singolare espressione di disprezzo.
— No da Vostra Eccellenza.
— Da me! voi siete pazzo, signore.
— Vostra Eccellenza riconoscerà senza dubbio il carattere.
E d'Artagnan presentò al ministro il prezioso foglio che Athos aveva strappato a milady, e che aveva dato a d'Artagnan per salvaguardia.
Il ministro prese il foglio, lo lesse lentamente, calcando la voce sopra ciascuna sillaba.
«È per ordine mio e per il bene dello stato, che il portatore del presente ha fatto quello che ha fatto.
«Dal campo della Rochelle li 3 agosto 1628.
« Richelieu »
Il ministro, dopo aver letto queste due linee, cadde in una profonda meditazione, ma non rese il foglio a d'Artagnan.
— Egli medita il genere di morte che mi farà subire, diceva fra se il Guascone. Ebbene! in fede mia, vedrà come muore un gentiluomo.
Il giovane moschettiere si ritrovava in eccellente disposizione per morire eroicamente.
Richelieu pensava sempre, avvolgeva e svolgeva il foglio fra le mani. Finalmente alzò la testa, fissò il suo sguardo d'aquila su quella fisonomia leale, aperta, intelligente, lesse su quel viso, solcato dalle lagrime, i patimenti che da un mese aveva dovuto soffrire, e pensò, per la terza o quarta volta, quale avvenire aveva questo giovane di vent'anni, e quante risorse, colla sua attività ed il suo spirito, poteva offrire ad un buon padrone.
Da un altro canto, i delitti, la potenza, il genio infernale di milady, lo aveva più di una volta spaventato. Egli provava una specie di gioia secreta, per essere stato sbarazzato per sempre da quel pericoloso complice.
Stracciò lentamente il foglio che d'Artagnan gli aveva generosamente rimesso.
— Io sono perduto, disse fra se d'Artagnan.
E s'inchinò profondamente davanti al ministro, come uomo che dice: «Signore, sia fatta la vostra volontà».
Il ministro si avvicinò alla tavola, e, senza sedere, scrisse alcune linee sopra una pergamena ch'era già per due terzi scritta, quindi vi appose il sigillo.
— Questa è la mia condanna, diceva sempre fra se d'Artagnan; egli mi risparmia la noia della Bastiglia e la lentezza di un giudizio. Questa pure è un'amabilità per parte sua.
— Prendete, signore, disse il ministro al giovane, io vi ho preso un foglio segnato in bianco, e ve ne rendo un altro. Manca il nome su questo brevetto; lo scriverete voi stesso.
D'Artagnan prese la pergamena esitando, e vi gettò sopra lo sguardo.
Era un brevetto di tenente nei moschettieri.
D'Artagnan cadde ai piedi del ministro.
— Eccellenza, diss'egli, la mia vita è vostra; disponetene d'ora innanzi; ma non merito il favore che mi accordate: io ho tre amici che sono più degni....
— Voi siete un bravo giovane, interruppe il ministro, battendogli famigliarmente la mano sulla spalla, contento come era di aver domato questa natura ribelle; fate di quel brevetto ciò che più vi piacerà, poichè il nome è in bianco; ricordatevi soltanto che sono stato io che ve l'ho dato.
— Io non lo dimenticherò mai, rispose d'Artagnan, Vostra Eccellenza può esserne certa.
Il ministro si voltò e disse ad alta voce.
— Rochefort!
Il cavaliere, che senza dubbio stava dietro la porta, entrò subito.
— Rochefort, disse il ministro, voi vedete il signor d'Artagnan; io lo ricevo nel numero dei miei amici. Così dunque abbracciatevi e siate saggi, se avete cura a conservare la testa.
Rochefort e d'Artagnan si baciarono coll'estremità delle labbra, ma il ministro era là che li osservava col suo occhio vigilante.
Essi uscirono dalla camera nello stesso tempo.
— Noi ci ritroveremo in altro luogo, signore, non è vero? si dissero.
— Quando vi piacerà, fece d'Artagnan.
— Non mancherà l'occasione, rispose Rochefort.
— Hum! fece Richelieu aprendo la porta.
I due uomini si sorrisero, si strinsero la mano e salutarono Sua Eccellenza.
— Noi cominciavamo ad impazientirci, disse Athos scorgendo d'Artagnan.
— Eccomi, amici miei, rispose egli.
— Libero?
— Non sono libero ma in favore.
— Voi ci racconterete....
— Questa sera; ma, pel momento separiamoci.
Infatti la sera, d'Artagnan andò all'alloggio di Athos, che ritrovò in vena di vuotare la sua bottiglia di vino di Spagna, occupazione cui si dava religiosamente tutte le sere.
Gli raccontò quanto era avvenuto fra il ministro e lui, e cavando di saccoccia il brevetto:
— Prendete, mio caro Athos, ecco, diss'egli, ciò che vi viene naturalmente.
Athos sorrise col suo dolce e grazioso sorriso:
— Amico, diss'egli, per Athos è troppo; pel conte della Fère è troppo poco; conservate questo brevetto, esso è vostro; pur troppo! mio Dio! voi lo avete acquistato assai caro.
D'Artagnan uscì dalla camera di Athos ed entrò in quella di Porthos.
Egli lo ritrovò vestito con un magnifico abito, coperto di splendidi ricami, che stava osservando allo specchio.
— Ah! ah! disse Porthos, siete voi, caro amico; come trovate che mi stia questo vestito?
— A meraviglia, ma io vengo a proporvene un altro, che vi starà ancor meglio.
— E quale?
— Quello di tenente dei moschettieri.
D'Artagnan raccontò a Porthos il suo dialogo col ministro, e cavando il brevetto di saccoccia:
— Prendete, mio caro, diss'egli, scrivetevi il vostro nome, sopra, e siatemi un buon superiore.
Porthos gettò gli occhi sul brevetto lo restituì, con gran meraviglia del giovane.
— Sì, diss'egli, ciò mi lusingherebbe molto, ma io non potrei godere lungamente di questo favore. Durante la spedizione di Bèthune, il marito della mia duchessa è morto, dimodochè lo scrigno del defunto mi stende le braccia, ed io sposerò la vedova. Osservate, per l'appunto, io stava provando il mio abito di nozze. Ritenete la tenenza per voi, mio caro, ritenetela.
E la restituì a d'Artagnan.
Il giovane entrò da Aramis.
Lo ritrovò in ginocchio colla fronte appoggiata sul libro delle ore aperto.
Gli raccontò la sua conversazione col ministro, e cavando per la terza volta il brevetto di saccoccia:
— Voi, nostro amico, nostro lume, nostro protettore invisibile, diss'egli, accettate questo brevetto voi lo avete meritato più che ognun altro, colla vostra saggezza ed i vostri consigli, sempre seguiti da così felici risultati.
— Ah! caro amico, disse Aramis, le nostre ultime avventure mi hanno disgustato del tutto colla vita dell'uomo d'armi. Questa volta il mio partito è preso irrevocabilmente: dopo l'assedio, io entrerò in un ritiro religioso. Conservate questo brevetto, d'Artagnan; il mestiere delle armi vi sta bene, voi siete un bravo ed avventuroso capitano.
D'Artagnan coll'occhio umido di riconoscenza, e splendente di gioia, ritornò da Athos, che ritrovò sempre a tavola, guardando il suo ultimo bicchiere di malaga a traverso il chiarore che mandava la lampada.
— Ebbene! diss'egli, essi pure lo hanno rifiutato.
— Perchè nessuno, amico caro, ne è più degno di voi, disse Athos.
Egli prese una penna scrisse sul brevetto il nome di d'Artagnan, e a lui lo rese.
— Io non avrò più dunque amici, disse il giovane. Ahimè! più niente, se non che triste rimembranze.
E lasciò cadere la sua testa fra le sue due mani nel mentre che due grosse lagrime scorrevano lungo le sue guance.
— Voi siete giovane riprese Athos, e le vostre amare rimembranze hanno il tempo di cambiarsi in dolci ricordi.
EPILOGO
La Rochelle, privata del soccorso della flotta inglese e della diversione promessa da Buckingham, si arrese, dopo l'assedio di un anno. Il 28 ottobre 1628 fu firmata la capitolazione.
Il re fece la sua entrata in Parigi il 23 dicembre dello stesso anno. Gli fu fatto un trionfo, come se ritornato fosse da una vittoria riportata sopra nemici e non sopra Francesi. Entrò pel sobborgo San Germano, passando sotto archi di verdura.
D'Artagnan prese possesso del suo grado.
Porthos lasciò il servizio e sposò nel successivo anno la sig. Coquenard. Lo scrigno desiderato conteneva trecentomila lire.
Mousqueton ebbe una livrea magnifica e godè della sodisfazione tanto sospirata in tutta la sua vita, di poter montare, cioè, dietro una carrozza dorata.
Aramis dopo un viaggio nella Lorena, disparve ad un tratto e cessò di scrivere ai suoi amici. Si seppe in seguito dalla sig. de Chevreuse che si era ritirato in un collegio di Nancy.
Bazin divenne sagrestano.
Athos restò moschettiere sotto gli ordini di d'Artagnan fino al 1633: epoca nella quale, in seguito ad un viaggio che fece a Boussilion, lasciò egli pure il servizio sotto il pretesto che doveva andare a raccogliere una eredità nel Bloisois.
Grimaud seguì Athos.
D'Artagnan si battè tre volte con Rochefort, e lo ferì tre volte.
— Vi ucciderò probabilmente alla quarta, gli disse stendendogli la mano per rialzarlo.
— È dunque meglio, per voi e per me, che ci fermiamo qui, rispose il ferito. Per bacco! io sono vostro amico più di quello che non credete; poichè, fino dal primo incontro, avrei potuto farvi mozzare la testa, dicendo una sola parola al ministro.
Questa volta si abbracciarono di buon cuore, obliando il passato.
Planchet ottenne da Rochefort il grado di sergente nel reggimento di Piemonte.
Ii signor Bonacieux viveva molto tranquillamente, ignorando perfettamente ciò che era accaduto a sua moglie, senza punto inquietarsene. Un giorno ebbe l'imprudenza di ricordarsi alla memoria del ministro: il ministro gli fece rispondere, che avrebbe tosto proveduto perchè d'ora innanzi non gli mancasse più niente.
Di fatti, l'indomani, il signor Bonacieux, essendo uscito alle sette di sera per portarsi al Louvre, non ricomparve più nella strada Fossoyeurs. Il parere di quelli che si credevano meglio informati fu, ch'egli fosse nutrito ed alloggiato in un qualche castello reale, a tutte spese della Sua Generosa Eccellenza.
Le più circostanziate informazioni di tutti gli attori di questo romanzo si avranno nell'altro che vi fa seguito col titolo — VENTI ANNI DOPO.
FINE DE' TRE MOSCHETTIERI.
INDICE DELLE MATERIE.
( Vol. IV. )
Continuazione del Capitolo XLVIII. 5
CAP. XLIX. Fatalità. 9
CAP. L. Ciarlata tra fratello e sorella. 19
CAP. LI. L'ufficiale. 28
CAP. LII. Primo giorno di prigionia. 41
CAP. LIII. Secondo giorno di prigionia. 50
CAP. LIV. Il terzo giorno di prigionia. 59
CAP. LV. Quarto giorno di prigionia. 69
CAP. LVI. Quinto giorno di prigionia. 79
CAP. LVII. Un mezzo di tragedia classica. 97
CAP. LVIII. Evasione. 104
CAP. LIX. Ciò che accadde a Portsmouth il 23 agosto 1628. 115
CAP. LX. In Francia. 127
CAP. LXI. Il convento delle carmelitane di Béthune. 134
CAP. LXII. Due varietà di demonii. 150
CAP. LXIII. Una goccia d'acqua. 156
CAP. LXIV. L'uomo dal mantello rosso. 173
CAP. LXV. Il giudizio. 180
CAP. LXVI. L'esecuzione. 189
CAP. LXVII. Un messaggio del ministro. 195
Epilogo. 207
NOTE:
1 . Onde non faccia meraviglia ad alcuno il vedere con tanta facilità entrare gli uomini in questo convento di Carmelitane, è bene l'avvertire, che in quell'epoca, tutti i monasteri e conventi avevano un quartiere di foresteria, e che non si negava in esso ospitalità ai viaggiatori. (T.)