1897
RISERVATI I DIRITTI DI AUTORE
Proemio
Questa è la quinta volta che il sottoscritto, fa stampare a breve distanza l'uno dall'altro, libricciuoli, per dimensione e valore, modesti. Un principio di monomania qualunque da potersi tollerare.
Oggi abbiamo fatto un piccolo Romanzo: ma ahimè! già comprendo che….. « Andrem raminghi e poveri, ove il destin ci porta » (Duetto Luisa Miller ).
Pur troppo, anche il sottoscritto, spintovi da istintiva prepotenza del pensiero, o per dire più giusto da riscaldata fantasia, la quale, a guisa dei vulcani, esige spazio all'intorno, onde eruttarvi la incandescente lava, non ha potuto resistere alla rude tentazione, col rischio di perire asfissiato dalla inesorabile critica.
Parecchi in questa epoca non per anco tramontata, hanno scritto Romanzi a profusione. Perciò confidando pure lo scrivente di poter camminare per la stessa via sebbene con forza e lena minori, e quando fantasia lo soccorra, si accinse all'opra.
Sappiamo, che dei Romanzi di sommi autori antichi d'ogni nazione, con Manzoni alla testa, si è smarrita la traccia, ma lo scrivente vi giura, e tutti lo credono, che non sogna trovarla. Quegli Egregi Romanzieri erano intesi certamente, coi loro Libri, al migliore andamento sociale, sotto la forma di immaginosi avvenimenti, ma si teme abbiano al pari di tanti altri, toccata la delusione.
Causa della incompleta riescita, potrebbe essere la legge di natura, perocchè se è positivo, come il progresso scientifico non abbia confine, è pur vero che il progresso sociale, giunto al suo apogèo deve o rovesciarsi o quanto meno retrocedere. Su ciò dica la storia.
E per quanto sopra, o lettori gentili, vogliate armarvi di indulgenza, mentre il sottoscritto di speranza si corazzerà, affinchè il suo libro non venga bruciato in piazza, siccome ai tempi della Santa Inquisizione.
A. BIANCHI ARTURO
PARTE 1.ª
CAPITOLO I
I Ladri della Pace.
Trentacinque anni or sono, vale a dire al tempo della Epopea Garibaldina, memorabile nella storia di questo secolo per le patriottiche audaci imprese, e per le vittoriose battaglie, la gioventù che vi aveva preso parte valida, restituitasi al domestico focolare, si abbandonava con diritto, a qualcun ozio di Capua, e naturalmente, onde non degenerare dai comuni progenitori, Adamo ed Eva, faceva, come suol dirsi, all'amore, anche senza paradiso terrestre.
Ciò premesso, noi faremo la presentazione, come è d'uso nella buona Società, dei signori Ladri della Pace, secondo il titolo del libro odierno.
I principali, i più pericolosi, sono l'Amore e la Gelosia di lui sorella germana.
Per quanto riflette poi ai due Protagonisti del nostro Romanzo (più di uno stavolta, per il melius est abundare quam deficere ) si trova inutile di osservare troppi dettagli. Questi seguiranno il corso degli avvenimenti che noi svolgeremo, basterà quindi avvertire intanto, che uno dei protagonisti era Blandis pittore nullatenente; celibe, l'altra la signorina Giacinto benestante; giovane il primo, più giovane la seconda, capo esenziale secondo la legge universale—Simpatici assai, buoni educati, intelligenti, e della poesia e della musica, entrambi amanti—Alfredo e Violetta, bei nomi accolti anche dal sommo Verdi nella sua Traviata. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Alfredo, dopo parecchi mesi di semplice candida amistà verso Violetta, amistà nudrita soltanto da Apollo, il Dio della Musica, della Poesia e delle Arti, il Principe delle Muse, venne ferito in cavità, da Cupido, il Dio dell'amore, e Violetta, parea volesse seguirne le traccie, ricordando la Psiche voluttuosa, rivale, per bellezza, di Venere.
Ma Alfredo, ingenuo e timido quanto una gazzella,¹ era stato un immenso illusionista. Non potea trattarsi semplicemente degli effetti della buona musica, eseguita con impegno a mezzo dei due scelti istrumenti, che sono il Violoncello e l'Arpa? Oh! le Romanze!……. le sirene di terra ferma!
¹ Gazzella = Leggiadra Capretta Selvatica.
Violetta invece, meno aerea di Alfredo, un giorno gli era gentile, espansiva, affettuosa, e l'altro indifferente forse per pura questione meteorologica, e di tale indifferenza, da ammazzare non solo un Cristiano, ma anche un Toro.
Però la maschile fierezza, aveva tentato di venire in soccorso del ferito Pittore, ma egli che poco prima, si era confortato di Apollo, di Minerva e di Marte, abbandonò quei suoi primi auspici, per seguire a capofitto Venere, non conoscendo bene ancora il proprio labirinto amoroso, dal quale, ad onta de' suoi sforzi, non sarebbe escito, se non colle ossa sconquassate.
Oh! la indimenticabile Francesca da Rimini, esclamava tante volte, fra le sue veglie, Alfredo, oh! il verso splendido « Amor che al cor gentil ratto s'apprende» (DANTE— Inf. Canto V) trascurando poi il successivo = «Amor che a nullo amato amar perdona» molto docente¹.
¹ Amore che non consente che chi è amato, non riami = (Dalle note esplicative).
Noi presumiamo di avere, sebbene forse precocemente, compreso, siccome l'amore di Alfredo per Violetta, dovesse essere fra i soprannaturali, e fra gli incurabili, quanto le malattie croniche…………. Se non che appena il misero Alfredo s'ebbe in petto la freccia amorosa, sviluppossi in lui una complicazione da impensierire qualunque medico curante, vogliam dire, la gelosia, raramente dal vero amore scompagnata, quel mostro che fece diventare l'innamorato Otello, strangolatore. La gelosia di Alfredo, non era tale da farlo assassino, perchè di carattere mite, che, in ogni caso, in luogo di strangolare, si sarebbe strangolato. Ma appunto perchè di mite indole, egli soffriva dippiù. E di chi e di quali cose geloso? Di tutto e di tutti, senza un punto sicuro, quindi geloso dell'ignoto, e sprovvisto di qualsiasi diritto. In conclusione quel povero Alfredo, per colpa della sua testa vulcanica, o della sua tenerezza di cuore, o perchè infine, fosse troppo artista; provava già da tempo le pene dell'inferno, nella bolgia riservata, prima ancora, di scendervi. La sua consueta giocondità, la quiete, il sonno, la pace, perduti!
E chi oserà dunque negare, che l'amore e la gelosia, non sieno i principali ladri della pace?
Suicidarsi? No, perchè sebbene infelici, bisogna avere il coraggio di vivere per gli altri che di noi vivono.
Alfredo trascinava pertanto, da lunga stagione, una misera vita, piena di tristi presentimenti. Egli, ne' suoi frequenti soliloqui, si chiedeva cos'è la vita? E tosto risovvenivasi di avere letto questi bei versi:
« Il passato non è, ma ce lo pinge La dolce rimembranza, « Il futuro non è, ma ce lo finge La credula speranza « Il presente solo è, ma in un baleno Passa del nulla in seno; « Dunque la vita è appunto Una memoria, una speranza, un punto …..»
Sì, ma, del resto, abbiamo un bel dire noi filosofi. Quell'innamorato Pittore, ad onta dei mille proverbi, dei quali aveva dovizia, non sapeva cessare un solo istante, del dì e della notte, dal pensare a Violetta, dal vedersela dinnanzi agli occhi, siccome un raggio di luce ardente, vivificatore.
Oh! almeno sorgesse in favore del nostro tribolato artista, qualche straordinario avvenimento, tale da compensarlo del suo dolore, o da guidarlo in più fortunato calle! Noi, del resto, che conoscemmo la peregrina di lui costanza, negli affetti più caldi, avremmo dei dubbi, su qualsiasi cambiamento.
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Ma ahimè, il nostro esaltato, a quanto pare, pretendeva talora l'istesso amore di Beatrice, per Dante, il quale, si narra, sia stato più puro di quello degli Angioli,¹ talora l'amore furente della desolata Didone, vittima del tradimento di Enea, e talora finalmente sarebbesi accontentato della via di mezzo, dell'amore della Francesca da Rimini pel suo Paolo, quando s'ebbe il bacio tremante…….»
«Questi che mai da me non fia diviso La bocca mi baciò tutto tremante» (DANTE— Inf. Canto V).
¹ « Io son Beatrice che ti faccio andare Vegno di loco, ove tornar disio, Amor mi mosse che mi fa parlare»
(DANTE— Inf. Canto II).
Nè mai il caro artista, voleva piegarsi, per Iddio, all'amore dei tempi moderni, così ragionevole, e dagli altari, e dal Sindaco benedetto. E per quel suo malaugurato istinto delle mele proibite, caddero sul di lui capo malanni pubblici e privati, oltre alla censura della odierna imperante, concreta società . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
—Lugete Veneres, Cupidinesque— (piangete o Veneri, piangete o amori)
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« Il matrimonio è la tomba dell'amore » scrisse un romanziere illustre = « Il matrimonio lega i nomi e le sostanze, non il cuore » e quegli per prudenza, soggiungeva, che, il matrimonio «poteva essere la culla dell'amicizia » Sarà bene, del resto, che noi non ne facciamo il nome, onde non esporre lo scrittore di buona fede, alla spietata vendetta delle nubende e consorteria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Era il mattino del 19 Marzo 18.., giorno di S. Giuseppe, nome del defunto padre di Alfredo, ma questi, contro il suo costume, non si era per anco svegliato, nè pel vicino cinguettio dei passeri, nè per quello di due rondini, allor allora giunte sul suo verone.
Egli era assopito, siccome accade a persona stanca sì, ma afflitta da recente cordoglio. Egli aveva vegliato tutta la notte a scrivere, a gesticolare, a parlare fra se. Le di lui buone sorelle, ritratti parlanti della loro madre esemplare, poco tempo addietro defunta, erano già entrate due volte in punta di piedi, nella cameretta del fratello, onde porgergli l'usato Caffè, ma due volte se ne erano subito ritirate, per non turbare il riposo al loro diletto, accorte dalla quasi esaurita candela, come egli si fosse coricato da pochi istanti. Se non che Lord, il bracco bianco, affezionato al suo padrone, non volendo saperne di quella novità, che ritardava la sua passeggiata alla caccia, a forza di guaire e di saltargli sul letto, finì, il bestione, col destare Alfredo. Questi siccome uomo che abbia smarrita la tramontana, fissò intorno lo sguardo attonito, nascose sospettoso sotto le coltri, un oggetto che teneva fra le mani sudate, e si riassopì.
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CAPITOLO II
Le solite monomanie di persecuzione e di grandezza.
Sogna tesori l'infelice ormai sospetto di monomania di grandezza, tanto per consolarsi, non avendo avuto mai a propria disposizione intera, una moneta da cinque lire. Il positivismo è la comune teoria sociale, quindi avverso, per sua legge al sentimentalismo, da cui la falsa interpretazione di quel naturalissimo desiderio. Non è strano, non è contro natura, che un disgraziato, sospetto di monomania di persecuzione, si lagni della nequizia altrui, quando quella è realmente sussistita, e dopochè ne ha sopportati i danni. Egli per giusta reazione diffida di tutto e di tutti e spera poi liberarsi del suo cattivo prossimo coi milioni che ritiene di incassare quanto prima. Anche i deboli di mente, o come tali giudicati, sanno che il denaro fa tutto— argent fai tout! Ma che direste voi se quel misero sospettato delle due monomanie in parola, fosse, pro bono pacis, consegnato, senza preavviso, al manicomio, da' suoi affezionatissimi, tranquilli finalmente del grazioso alloggio, conferito tanto filantropicamente al loro raccomandato? Gli affezionatissimi in buona fede avranno pensato, alla spaventevole impressione che il loro caro avrà subita, in modo da farlo peggiorare, anzichè guarire, massime perchè ammalato non lo fu mai quanto si credeva? Noi sappiamo già cosa rispondereste….. Fatalità, caso innocente….. Ah! miei Signori di buona fede….. tali fatti non sono mai abbastanza stigmatizzabili perchè ricolmi di lagrimevoli conseguenze…. Lo dica la storia…..
Tal fiata l'accusa di simili monomanie, è comoda a talun interessato, che speriamo sia raro, onde non inciampare forse in processi indigesti. Ne conseguono pertanto or qua, ora colà fallaci giudizi, per parte di individui poco psicologici, o trascuranti le rispettive qualità dei molteplici ventricoli del cervello umano, i quali dai popolani si denominano abusivamente ruotelle, probabilmente perchè dai medesimi si crede, abbiano un lento moto ondulatorio o ruotatorio, o perchè alcune forti impressioni avute in tempo lontano, si riproducono perfettamente ed alternativamente, ad epoche quasi fisse d'ogni anno. I profani della scienza speciale, credono perciò, che il rinnovarsi costante di quelle antiche impressioni dipenda dal passaggio o movimento dell'una o dell'altra ruotella, o dell'uno o dell'altro ventricolo come sopra. Un'altra delle cause delle sunnominate incerte diagnosi o tecniche o profane sullo stato del cervello umano, sospetto di infermità, è la sciocchezza, o la malignità degli informatori attinenti al malato. Ignoranza o scelleretezza, stoicismo od avarizia, possono essere intervenuti, e non è cosa nuova. Non si gridi dunque al pessimismo, se Tizio, che l'ha realmente toccato, sospetta ancora sempre il male…. Quando un fatto è, non si dee strozzarlo in fasce, o capovolgerlo, o contorcerlo, o quanto meno larvarlo per mal inteso ottimismo, interesse, o farisaica brama di quiete….. Ohimè quanti Caifa e quanti Pilati dopo quelli del nuovo Testamento!….
Le nostre Nonne dicevano spesso, che il Diavolo insegna a fare le pentole e non i coperchi….. Oh! ma vi sono dei furbi che sanno fare anche i coperchi, infischiandosi del diavolo che hanno veduto soltanto dipinto su dei brutti quadri. Guai se tutto, tutto si potesse scoprire guaggiù, laddove la nostra perspicacia non è arrivata. Noi intanto, onde confortarci, dovere la verità se non contemporanea al fatto, almeno postuma, sorgere a galla, siccome hanno sempre creduto i nostri buoni vecchi, reciteremo, per chi forse non la conosce, quella famosa ottava dell'Ariosto, la quale, ci sembra, al caso nostro sia adatta.
«Miser chi mal oprando si confida Ch'ognor star debbia il malefizio occulto, Chè, quando ogn'altro taccia, intorno grida L'aria e la terra istessa, in che è sepulto; E Dio fa spesso che il peccato guida Il peccator, poi ch'alcun dì gli ha indulto; Chè, se medesmo senza altrui richiesta, Inavvedutamente manifesta.»
Ed ora ritornando al nostro capitale argomento e ad onta dei bellissimi versi dell'Ariosto nel suo Orlando Furioso, Canto VI, noi dobbiamo ripetere anche senza volerlo, che qualche mistero serpeggiasse intorno alla mente di Alfredo onde renderlo infelice. Potea realmente dubitarsi, secondo la sua squisita perspicacia, che qualche tristo, sciocco od invidioso, avesse sparlato di Lui a Violetta, o che la di Lei famiglia avesse antipatia contro il Pittore, pel di lui modo di pensare. Certamente qualcuno ripeteva in suo cuore Alfredo avrà introdotto fra le ruote del Carro-Amore, un'asta maligna. Così egli tanto sincero, ne riportava cordoglio profondo, logorando lentamente anzi tempo, la sua costituzione una volta fortissima. Egli bruciava senza tregua, di gelosia, egli era desolato trovando l'adorata fanciulla un giorno buona, un giorno cattiva, verso di lui, ma ad onta di quella incostanza, Violetta era sempre un idolo per Alfredo. Cose solite dei grandi innamorati.
«L'amore fu dato all'uomo affinchè egli abbia la misura di quanto possa soffrire». E non perdeva mai la speranza di conquistare quel tesoro nascosto. Nè osava punto lagnarsi della sua Diva, e se un istante solo l'avesse fatto in cuor suo, tosto sentiva rimorso profondo. Per l'artista leale, Violetta era giovane piena di sentimento, bella, buona, gentile, educata, innocente. E non sarebbe stata fors'anco saggia?… Alfredo in una parola era uomo infelice, perchè d'aureo cuore, ma di cervello d'un metallo inferiore, e tale da pigliar granchi sulla qualità degli altri metalli in genere. Quel caro poeta non si era mai accorto che a trovare un essere simile a lui, era cosa impossibile o quasi.
CAPITOLO III
La Lettera di Alfredo
«Il pensiero è la prima facoltà dell'uomo (1) «L'esprimerlo, uno de' suoi primi bisogni; «Divulgarlo, la sua libertà più cara!…»
N. B. Trascritto dal G. il S., nel titolo Bricciole d'esperienza.
Quale oggetto avrà mai nascosto Alfredo sotto le coltri, nel mattino del 19 Marzo 18.. dopo una notte per lui tanto burrascosa?…. Era una lettera lunga a Violetta. Un dolce-brusco a quanto pare, un tragico-sentimentale, un quid da impressionare sfavorevolmente, piuttostochè innamorare Violetta, siccome sarebbe stata lodevole intenzione dell'estensore.
Eccola:
Lago Sebino—il 18.. Marzo 18.. Venerdì Santo.
MADONNA MIA!….
Stanotte non ebbi un momento di quiete….. Mi ritrassi a casa esaltato, per la serata musicale, che passai insieme a Voi, mia Regina! Mi fu siccome cosa di cielo!.. La Capinera, romanza che io vi feci, e che il noto amico mio egregiamente musicò, ebbe da Voi interpretazione sì meravigliosa sull'arpa, da lasciarmi estatico!…. L'arco del mio violoncello rimase paralizzato, quando il vostro delizioso arpeggio accompagnava:
Declina il Sol morente Cade dal Ciel la sera, Canta soavemente Allor la Capinera: Nel cor, beato ascolto Di quella mesta il canto, Tutto é in quel suon raccolto Di voluttà l'incanto: Limpida, peregrina Nota vibrar io sento, É l'onda mia Sebina Un sol Divo concento: Il flebil canto in core Scende e le fibre scuote, Sull'onde il Pescatore S'arresta a quelle note!…
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I vostri begl'occhi cilestri scintillanti, dimentichi ad un punto della musica, due volte fissarono i miei, ed un lieve rossore colorì le candide vostre gote. Ed il vostro sorriso incantatore vi fece adorabile! Mi parve allora di essere trasportato lentamente in Cielo dagli Angioli, fra vaporose nubi! Quanto felice mi sentii in quell'istante! Sperai che voi mi amaste, siccome già da tempo io vi amava in segreto! Ah se mai fosse stata illusione la mia! Se la vostra fosse stata sensazione magnetica che talvolta produce la musica sentimentale! Allora il vostro sorriso sarebbe stato colpevole, perchè mi avrebbe ingannato! E null'altro in quell'istante ha germogliato nel vostro cuore? Deh! siatemi pietosa, non mi illudete, non mi abbandonate, io ne sarei troppo desolato, mi uccidereste e Dio vi punirebbe!…. E non riederà più un giorno simile a quello in cui vi traghettai colla mia barca dall'una all'altra sponda del Lago natio, insieme alle vostre due sorelline tanto graziose? Voi allora, lo so, foste aspramente ripresa in famiglia, e quando sentii, da quel bigliettino, che avete pianto, provai un'angoscia orribile…. E non ricordate più di quei due mazzolini di violette datemi con bel garbo dalle vispe sorelline, fiori che mi obbligaste di accettare coll'accento— Supponete che ve li abbia dati io.—E per quale mistero, sembrami essere io poco simpatico ai vostri. Talvolta essi mi dileggiano. So di essere povero, e di essere inoltre inferiore ai vostri meriti. Ma non si può permettere che un cuore sincero si illuda lungamente. Ditelo. Non mi rubate la pace del cuore. Un altro sguardo domani come quello di ieri e mi avrete reso felice. Ah non mutate, vi scongiuro, il vostro antico contegno verso di me! Ma io non voglio credere che Dio ci voglia scontenti, non voglio credere che quella luce brillante che ieri ha fatto battere con tanta violenza il mio cuore, voglia oscurarsi in avvenire, causa la vostra indifferenza perchè vedete, io già sperimentai, che un giorno voi mi siete espansiva e l'altro ritrosa. Che fosse ambizione, capriccio? non lo crederò mai! Che fosse d'altri occupato il vostro cuore, ma allora toglietemi da questo mio celeste sogno. Consolatemi alfine Violetta con una vostra affettuosa parola. Essa sarà per me rugiada vivificatrice «L'amore è sì dolce in un cuore ben nato e gentile, che fa d'ogni cosa, d'ogni luogo un paradiso, purchè possa dividerlo coll'oggetto che adora» Queste soavi frasi, io lessi fin da fanciullo, quando sviluppavansi in me gli arcani desii. Non si avveri per me il verso di Dante «Amor che a nulla amato amar perdona.» Guardatevi, o mia adorabile creatura, dall'ambizione o dall'egoismo, e pensate che il cuore, siccome il Sole, nè si compra nè si vende. L'amore non va imposto nè da superbia nè da avarizia, egli dev'essere semplice, indipendente, spontaneo, franco; desso può nascere e crescere anche in un solo istante.
Ma ormai, un nero presentimento mi ripete che io mi sono illuso, e perciò la mia pace sará irreparabilmente perduta! E se mai qualche estraneo, per suo mal'animo avversasse l'armonia Celeste del mio cuore innocente, ditegli Voi, che «Chi ferisce di spada perisce di spada.»
Sempre V.^o ALFREDO.
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Ecco, per verità, noi che non abbiamo i calori di Alfredo, nè gli stessi suoi interessi, dobbiamo per la quiete della coscienza, osservare in primo luogo, essere stata la sua lettera troppo, troppo lunga, tanto da sembrare un Panegirico di Santi, e le cose lunghe diventan serpi; in secondo luogo colle sue apostrofi enfatiche, e coi suoi dubbi, avrà forse fatto paura a Violetta anzichè intenerirla; in terzo luogo da ultimo, lo avremmo consigliato, se fossimo allora stati in tempo, a preferire quattro forti accenti a voce ed in fretta, a dei monumenti di sentimentalità? Perciò noi lo raccomanderemo alla vostra pietà o signorine dell'epoca nostra, e voi dal canto vostro lo raccomanderete alla Provvidenza, onde il misero, possa districarsi dal crudele suo Labirinto.
Ai dì nostri gli amanti da Medio Evo sono una rarità, ed anzi crediamo che non ne esistano assolutamente più. Non sarebbe, del resto, inopportuna la loro ricomparsa, « in questa inferma e mercantile età,» onde riaccendere in alcune anime troppo tiepide, la semispenta lampada dell'amor vero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
E dopo tutto quanto si è detto in argomento, come si potrebbe non accordare indulgenza al povero Alfredo, se egli in una notte di grave eccitamento nervoso, ha scritto una lettera meridionale?
Pensiamo intanto che egli era in perfetta buona fede, e nel concetto della sua Epistola amorosa, stante il suo carattere fu anche troppo discreto, perchè non fece le frasi a sensation per esempio. Io ti amo, ti amo, ti amo, e vado superbo che nessuno potrà mai amarti, quanto io ti amai.
Se non che noi crediamo sia ormai tempo, di dire una parola, anche sull'Essere morale ed intellettuale della nostra seconda Protagonista, di cui al Capitolo I.º di questo Libro.
Violetta, dunque, esimia suonatrice d'arpa, e rara volta cantatrice, secondo l'umore, era una giovane gentile, tanto da renderla simpaticissima. Di molto sentimento, ma non fantastica. Talvolta parea che avesse gli istinti delle ardenti andaluse, e talora la calma inglese. Non appena fuori del Collegio monastico, aveva avuti i suoi ideali, che col tempo si dileguarono in lei, non avendo forse, colpito nel segno, o non essendo stati al livello del di lei nobile pensare. La scuola del sopradetto Collegio, l'aveva, insieme alle altre alunne, abituata alla perfetta calma, alla sommessione ai Superiori, alla dissimulazione di ogni forte aspirazione, mentre ella, per natura, sentiva molta vivacità, bisogno di espansione e di libertà, che là entro, per sistema, venivano limitate. E da quella prima educazione, che può mettere radici sull'avvenire della gioventù, dal passaggio brusco della quiete, dell'apatia del chiostro al turbinio sociale, sorse un carattere nervoso, dubitoso, impressionabile per qualsiasi anche semplice contrarietà. Per quanto sopra, Violetta, figura sceltissima morale e fisica, vedea i suoi tardi ideali meno coloriti dei primi, e scemata la sua nativa giocondità e l'indole affabile.
CAPITOLO IV.
Una conversazione alla moda.
Nel paese di X… passava la primavera del 18….. la signora Tullia Albicocchi, vedova di un agiato diplomatico, donna sui 40, sebbene ne confessasse soli 35. Anche troppo discreta, sapendo di dimostrarne appena 30.—Si vedeva chiaro che dessa era stata una bella creatura, un pezzo da sessanta, ed in giornata era ancora elegante ed abbastanza conservata. Ed in caso che qualcuno le facesse anche un po' di corte, non ne era permalosa; debolezze comuni tollerate. La Domenica sera teneva circolo, ed era piuttosto larga di rinfreschi cogli habitué. Nessuno si era dato lo spasso di frugare nella di lei vita intima passata. Perciò, siccome quisque tenetur bonus donec probetur malus (ciascuno ha diritto di essere considerato buono, fino a tanto che non si provi il contrario) così quella signora godeva tutta la stima del paese di X…..
Gli abitanti dei piccoli centri sono di pasta frolla, vanno alla buona. Si accontentano di passare la sera, più o meno allegramente in case agiate, ospitali, giocando a briscola, calabrache, tombola e simili, e tagliando, senza prava intenzione, confortevolmente i panni al loro prossimo assente. In tale palestra, la bandiera toccava quasi sempre al caro Telesforo Balena, degno agricoltore del contado, uomo di media età, di scarsa coltura letteraria, ma in compenso, di molto buon senso. Talvolta aveva dei motti spiritosi. Un celibatario impenitente, onestissimo del resto, ma sventurato nei rapporti del fisico, avendo un ventre pronunciatissimo che lo rendeva troppo lento nel moto.
La padrona di casa dilettavasi tanto del sale arcadico di Balena, ma quale un maestro di Cappella, sapeva a tempo moderare i crescendo e spingere gli adagio, mostrandosi poi avversa alle stonature, che inesorabilmente riprendeva. Tutto quanto sopra veniva inaffiato da legittimo Polesella, accompagnato a castagne al forno, a pasticcini, a biscotti. Di fumare non se ne parlava, essendo uggioso alla padrona il fumo del tabacco di seconda. Tra gli habituè si contava il giovanotto ben inquartato Sig. Brichetti Galeno istitore, e vice farmacista di quel paese, in sussidio del Titolare sempre infermo. Il vice speziale, come sopra, mostravasi entusiasta della signora Tullia (non parente della Tullia Romana) e lo si poteva comprendere subito per talune occhiate languide che egli tratto tratto mandava all'indirizzo della padrona di casa.
Forse un esperto cacciatore di doti? A completare in fine il circolo, trovavansi in casa Albicocchi, tre signorine di primo, di secondo e di terzo pelo, vogliamo dire di diverse età, cioè una di 18, una di 23 e la terza di 29 anni. Cortesi, belline, e tutte ammodo. Vi aggiungi, (pei paesi), l'indispensabile abatino, che discorreva colla signorina di terzo pelo, Merope Linosi, essendo essa una donna piuttosto di chiesa. Mancava in detta sera, per caso, il Coadjutore Don Barnaba Pancetti, surnomato palla di gomma: ed infine quale guarnizione, sebbene molto stantìa, tre parrucconi che tossivano qualche volta assai forte, ma non parlavano mai. Le loro più calde aspirazioni riguardavano la scattola del rapè ed i biscotti. Poniamo che quei tre sommassero in gruppo a due secoli e mezzo. Tutta brava gente però, che ancora volentieri restava a questo mondo, essendovi il posto. In complesso, una conversazione abbastanza assortita e numerosa; dalle dieci alle dodici persone. In tredici, mai. Se, per caso, fosse ciò accaduto anche una sola volta, sarebbe toccato subito ad altro dei tre vecchioni il partirsene siccome sta scritto nel barbaro destino.
Le signorine, parea non avessero molte simpatie verso il Sig. Balena, perchè pochissimo di loro si occupava; e poi per la sua lingua incorreggibile. Balena in quella sera aveva perduto qualche soldo al calabrache, perciò annoiato, chiese alla padrona di casa, il motivo del non vedersi alla sua conversazione da qualche tempo, tanto il Commendatore Aringa, come il pittore Alfredo. Ma la signora Tullia non rispose, essendo occupatissima a sciogliere un rebus col giovane Bricchetti; rebus, che, un istante dopo, fu sciolto felicemente dalla signora Tullia: Tutti-due-beati in-gondola. Brava, brava, gridò Brichetti, e senza voglia anche Balena.
La padrona di casa furba, (una donna che non sia furba è precisamente quale una gatta che non pigli sorci), aveva bensì udita la suesposta interrogazione di Balena, ma voleva pigliar tempo a rispondere. Balena, piccato dal silenzio della signora Tullia, inghiotte in fretta due pasticcini e ritorna all'assalto. Pare, disse, ridendo di gusto, che il signor Aringa ed Alfredo sieno stati entrambi avariati, qua e colà, talora dal gran caldo e talora dal gran freddo, e che perciò entrambi abbiano bisogno di svago e raccoglimento rispettivo. Tanto è vero che il primo viaggerà probabilmente al Bengala ad uccidere una mezza dozzina di Tigri per le pelliccie, ed il secondo già lavora intorno ad un paesaggio, con effetto di Fine del Mondo. Que' due miei buoni amici, continuò Balena, non sapeano di avere a che fare con una puledra bizzarra di difficile insellatura. A questo punto il Maestro di Cappella, grida, Basta; mentre, la signorina Merope, amica della famiglia Blandis, pensa di spifferare a suo tempo, con interpretazione sui generis, i motti frizzanti di Balena. Si crede che la signorina in parola, non conoscesse il proverbio: Non ti pentirai di non aver parlato.
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Le undici di notte sono imminenti, ed a quell'ora tutti sapevano di doversene andare. Se vi fosse stato un pianoforte, poteasi oltrepassare l'orario, ma alla signora piaceva poco queli'istromento, perchè, invita, dicea, alla danza, e dove son sempre od uno o due preti, non conviene. Balena fece fare una smorfia di dolore alla Signora Tullia, per averle stretta la mano un po' troppo forte, diede un colpetto sulla spalla al signor Brichetti, strizzando l'occhio e dicendogli: questo è un giovanotto di belle speranze; poi chiese conto in fretta in fretta alla Signora padrona del fiendo di Lei ritratto ad opera di Alfredo, ma gli fu risposto che mancava ancora il busto, cosa non indifferente, ed infine si congedò cogli altri tutti. Quando furono sulla via, Balena che era rimasto un po' indietro, fu udito dire; come i pasticcini fossero fatti col grasso di maiale e non col burro, cosa nocevole alla sua gola delicata! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
CAPITOLO V.
Un disguido costato meno caro di quanto poteva.
La famosa lettera di Alfredo, sempre vittima della iettatura, dopo un giro vizioso, cadde nelle mani di un tabaccaio, piuttosto manesco, dimorante nel medesimo paese sì, ma in contrada diversa, e che era Violetti di prenome. Il nostro poeta, quale discepolo del classicismo non volea saperne di prenomi, Egli, per giunta sempre distratto, aveva scritto sulla busta semplicemente = A Violetta, S.P.M. - Via tale - Porticato a destra e giardino in fondo etc. Un indirizzo metà per il latore del dispaccio e metà pel destinatario, dimenticando il Giacinto (un'altra eccentricità), ed affidando l'incarico del ricapito ad un buon diavolo, ma senza sapere che quell'improvvisato Mercurio, avesse nessuna malizia, e per sovrammercato fosse analfabeta. Insomma un Mercurio degenere, in modo che da quel giorno in poi Alfredo si convinse, essere una follia in massima il costume dei Mercuri o Figari. É bensì vero che all'incaricato della consegna, Alfredo non aveva spiegata la qualità della lettera, ma le indicazioni orali erano state precise ed esso doveva consegnar a niun'altro all'infuori della Signorina Violetta, il dispaccio. La ricompensa anticipata (male) era stata larga. Quel poltrone invece consegnò, lungo la via discretamente lunga fra un paese e l'altro, la lettera ad un suo conoscente colà diretto per altre facende, e così dall'una in altra mano, avendola anche il conoscente consegnata ad un terzo, finì quella disgraziata missiva per cadere in possesso del S. Violetti, marito recente e manesco di una fresca sposina. Questi, non maestro di lingue, l'avrà letta male per conto suo, e non si sa che ne abbia fatto.
E vedi altra maledizione! la Signora Sposina N. aveva due sorelle in tenera età! precisamente siccome la Signorina Giacinto.
La risposta del Zigaraio naturalmente venne mai, ed in luogo della risposta, tanto ansiosamente attesa dall'innamorato, arrivò quanto ora mi accingo a narrarvi in breve.
Pochi giorni dopo il 19 Marzo 18.. menzionato nel precedente Capitolo III, Alfredo avvilito per quel nuovo disinganno, nè più avendo il coraggio di presentarsi in Casa Giacinto, pel dubbio di esservi freddamente accolto fece un giro di pseudo Caccia nelle circostanze del paese di Violetta, spintovi dalla attrazione magnetica. Ad un tratto, mentre egli si trovava in località appartata, e precisamente lungo un filare di alti pioppi, sentì un urto nella schiena immediatamente seguito da una forte detonazione. Il Carniere di grosso corame lo salvò da lesioni di mitraglia. Alfredo sorpreso assai, guardossi intorno e nulla vide al momento. Lord aveva, fra gli altri, il difetto di correre là ove da chiunque si esplodesse un colpo di fucile. Tosto dopo si ode una fiera lotta fra due cani; Alfredo corre in quella direzione, e riconosce il cane del manesco sposo recente, tabaccaio. Questi quasi a carponi se ne sgattaiolava, nè il colpo sparatogli da Alfredo a minuto piombo, diretto al capo, lo potè raggiungere, perchè colui era già troppo lontano. Se fosse stato soltanto un caso fortuito, pensò Alfredo, quel cacciatore, non sarebbe vilmente fuggito? Dunque la schioppettata mi venne esplosa con intenzione! Che sarà mai? Fra noi due non esistono precedenti che giustifichino il fatto?… e dopo un lungo lambiccar del cervello, Alfredo comprese trattarsi di un disguido della propria lettera, disguido constatato in seguito colla privata Istruttoria in confronto dell'asino e negligente mercurio. Allora Alfredo esclamò: zitto, silenzio, nessuna denuncia (nè mai in sua vita aveva fatte denuncie) perchè l'affare è di quelli che scottano! Egli visitando poi il suo carniere che pareva un crivello, non si rallegrò perchè il carniere gli avesse schivati dei molesti fori nelle carni, ma fu dolentissimo di avere invece scoperto, essere caduta la sua lettera in mano di estranei, in offesa forse della Signorina Violetta. Se non che una luminosa idea venne tosto a tranquillarlo, conchiudendo così. Se il marito manesco, ma per fortuna poco letterato e non perspicace, mi ha esplosa una fucilata nella schiena, è evidente che non si è accorto dell'equivoco di ricapito della mia lettera. Ciò conchiuso, sebbene ipoteticamente, Alfredo ritornò al suo focolare, meditando sul proverbio: « Sourtout cherché la femme » (In ogni cosa cercate la donna.)
CAPITOLO VI.
La parola è d'argento il silenzio è d'oro ( antico proverbio arabo ).
«Non ti pentirai di non aver parlato» altro proverbio, rispettabile e relativo al nostro argomento.
La signorina Linosi, surnomata la gallinella, perchè vicina ai 30, altra della conversazione nota, non seppe esonerarsi dal disturbo di riferire in Casa Blandis, le frasi a doppio taglio, udite in casa della signora Tullia. La Gallinella era forse invidiosa di Violetta, ed un pochino gelosa di Alfredo. La cronaca non lo ha scritto e noi non ne sappiamo niente. Ciò pel quieto vivere. Del resto osservando bene il volto sempre smorto, le sottili labbra della bocca ed i denti un po' scuri, oltre agli occhiettini di lince, sarebbesi detto, forse a torto, che la signorina Merope, dovea essere distinta fra le invidiose.
Ed eccovi, per semplice passatempo, la descrizione classica dell'Invidia, fatta da Ovidio nel Libro II delle sue Metamorfosi. Prima quella in latino dello stesso Ovidio: poi daremo la egregia versione in italiano, di Gio. Ant. Anguillara (Dal Libro Medicina delle passioni di G. B. F. Descuret):
«Pallor in ore sedet, macies in corpore toto: «Nusquam recta acies; livent rubigine dentes; «Pectore felle virent; lingua est suffusa veneno; «Risus abest, misi quem visei movere dolores «Nec fruitur sommo, vigilantibus, exita, curis; «Sed ridet ingratos, intabescitque ridendo «Successus hominum, carpitque et carpitur una; »Suppliciumque suum est.
»Pallido il volto, il corpo ha macilente, «E mal disposto e rugginoso il dente, «É tutto fiele amaro il cuore èl petto; «La lingua è infusa d'un venen che uccide; «Ciò che l'esce di bocca è tutto infetto; «Avvelena col fiato e mai non ride, «Se non talor che prende un gran diletto «S'un per troppo dolor, languisce e stride;
«L'occhio non dorme mai, ma sempre geme «Tanto il gioire altrui l'affligge e preme¹ «Allor si strugge si consuma e pena «Che felice qualcun viver comprende «E questo è il suo supplicio e la sua pena, «Che se non nuoce a Lui sè stesso offende»; «Sempre cerca por mal, sempre avvelena «Qualch'emul suo, finchè infelice il rende.
¹ Cioè—opprime.
Conviene però ritenere (tanto è terribile il suesposto quadro dell'Invidia) che al tempo di Ovidio (ieri l'altro) vi fossero degli invidiosi colossali, e noi non dovremmo esagerare in confronto della signorina Linosi, che avrà avuta, come tante altre, la sua invidietta e nulla più.
Prese in blocco, pertanto, le frasi riferite in casa Blandis dalla signorina Merope, erano una assoluta inezia, ma per San Antonio (quello che presiede agli incendi, siccome i pompieri) bisogna conoscere a fondo le persone prima di parlare, ecco tutto. Anche la scintilla è talora una inezia in confronto del Rogo, ma provatevi a lasciar cadere una scintilla di fuoco sovra una polveriera, e vedrete!
Così accadde subito dopo la visita alle amiche Blandis, della predetta signorina. Questa avrà forse ampliato nel discorrere, a guisa delle galline che raspando allargano, ma Alfredo, saputolo tosto, ne ebbe tanto a male, che infuriò contro il Commendatore Aringa e contro Balena, quantunque in massima fossero suoi buoni amici. Egli, in quel momento prometteva di volerli uccidere entrambi colla sua doppietta, ma poi, sia per l'intervento delle calmanti sorelle, sia per la circostanza dell'alibi, in quei giorni, dei due designati alla morte, l'uragano si sciolse senza malefici, e ne godiamo di cuore.
Il Commendatore, dicevasi, fosse andato a Montecarlo da dove sarebbe tornato o presto o tardi secondo l'esito del giuoco al trenta-quaranta; e Balena, trovavasi dal dì innanzi al vicino stabilimento Salso-Jodico, per una breve cura, intesa alla demolizione, se possibile del suo esagerato ventre. Credeasi però che per ottenere un risultato pronto e felice, era preferibile al joduro una buona cannonata.
Noi dobbiamo inoltre aggiungere, quale mitigante dell'ira del pittore, un'altra cosuccia poco lieta, la quale turbava, se ne avesse avuto d'uopo, i sonni suoi. Una letterina in termini metaforici ma abbastanza intelligibili, giuntagli dalla vicina città, per amica mano femminile, faceva intendere, come egli dovesse stare pronto per mutar aria, non appena un secondo simile avviso fossegli arrivato, anche per espresso. Per quanto sopra, si verificava il detto che «un diavolo scaccia l'altro» e così, ogni sua idea reazionaria verso li suoi due amici assenti, dovette sfumare. Della letterina suaccennata Alfredo nulla disse alle sue sorelle dilette, non volendo recare ad esse doglia di sorta.
Per quanto riflette poi la signorina Linosi, essa mogia e pentita, se ne tornò a casa sua, convinta della verità del proverbio arabo: = La parola è d'argento il silenzio è d'oro. =
CAPITOLO VII.
Nulla die sine linea. (Nessun giorno senza un disgusto)
Tale un proverbio ripetea spesso il saggio padre di Alfredo, e questi, suo figlio legittimo, poteva non solamente ripeterlo, ma anche cantarlo in musica.
Nella nostra esistenza vi sono giornate che ponno denominarsi fatidiche, memorabili!…
Vi nasce una contrarietà appena alzati dal letto, e prima di sera siate sicuri di un'altra mezza dozzina di svariate altre contrarietà. E' questione talvolta soltanto di nervi, locchè accade invece quasi mai agli individui linfatici. Talvolta le contrarietà, sarebbero, secondo i più superstiziosi (non accettati dalle scienze positive) effetto di predestinazione fino dalla nascita.
Ma noi chiameremmo più volentieri, e più verosimilmente, quelle contrarietà, fenomeni meteorologici, che indubbiamente hanno influenza sul sistema nervoso.—Questo sistema agisce a seconda sugli individui più o meno affetti dalla squisitezza dei nervi, e li rende con maggiore o minore intensità, ora disattenti, or precipitosi, ora irriflessivi, ora impazienti, e perfino violenti. Non si è mai saggi e calmi abbastanza. Di molte contrarietà, di molti effetti, pertanto, siamo cagione noi medesimi. Taluni mortali, sembrano creati appunto per fare le cose a rovescio.
E per stare in argomento, diremo che Alfredo potea dirsi l'uomo delle _Mille ed una notte_¹ cioè l'uomo delle avventure fantastiche od inverosimili, prodotte talora dal caso, e talora dall'indole sua. Di alcuna, in breve, io vo' narrarvi, scegliendo le meno impressionabili, e forse le meno uggiose . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
¹ Novelle arabe.—Storie del Sultano delle Indie.
….. Pochi anni dopo le famose cinque giornate di Milano, Alfredo aveva 16 anni all'incirca. Egli, collo scopo innocente di fare una visita autunnale a' suoi cari parenti d'ambo i sessi, villeggianti nei dintorni dell'Adda, imprende un viaggio pedestre, in forma sportiva, con sacco a spalle alla militare. Si dovevano percorrere dal domicilio di Alfredo 43 chilometri, ed alle ore 16, di quel Venerdì, 13, etc. egli ne aveva percorsi soltanto 34. É raggiunto da una carretta a quattro ruote, lunga lunga, somigliante più ad una capponaia che ad un veicolo comune.
La carretta era ingombra nella parte posteriore, di generi diversi; cioè risme di carta greggia per involti, zuccaro, caffè, formaggi e stracchini di tutti i prezzi, burro, paste assortite, tonno, arringhe, fichi secchi, due fiaschi di olio d'ulivo, petrolio, qualche pacco di bambagia ed altro, a cui aggiungansi due botticelle, una di catrame, l'altra di aceto. Un pizzicagnolo senza dubbio dei paesi vicini. Il peso sarà stato di circa tre quintali, il valore di circa 300 lire. Aggiungetevi i viventi come appresso ed avrete un carico sensibile.
Tre fanciulli dai quattro agli otto anni, stavano in piedi frammezzo a tutta quella mistura mercantile; essi cantavano, stuonando abbastanza, le patriottiche canzoni del quarantotto. « Addio mia bella addio, l'armata se ne va », dell'illustre Mameli, senza paura di inciampare nei ritornati gendarmi austriaci. Il loro presunto papà, faccia da cuor contento, cioè l'auriga ed il proprietario probabile di tutta quella merce e del traino, offre con espansione ad Alfredo un posto a cassetta vicino a lui, e quegli accetta senz'altro, onde stare seduto, dice, almeno gli ultimi chilometri del suo lungo viaggio, che, ormai lo aveva fiaccato.
Dopo circa un miglio di strada fatta a lentissimo trotto dal quasi esausto bucefalo, Alfredo ed il bottegaio sono già in perfetta confidenza l'un l'altro, talmente da lagnarsi senza riserbo, del restaurato paterno regime (che dovea continuare però fino al 1859). Il canto inesauribile di quei tre fanciulli di buona memoria, e dei due adulti il riscaldato colloquio, il volgersi frequente dell'auriga o per sorridere alle sue dilette creature virtuose della musica, o per sorvegliare forse, affinchè non mangiassero troppi fichi secchi tra una strofa e l'altra, furono causa che un carrettone di laterizi (il cui conduttore magnanimo filò poi diritto) violentemente urtasse, colla testa della sua ruota, contro l'asse delle due ruote anteriori della nostra caponaia ad uso carrozza, in modo da fare di quell'unico ente due parti.
E siccome poi il fatto ammirava precisamente là ove scorre senza riparo, alta e rapida la roggia B….., presso il paese di B…..e di S.to, così la parte posteriore della nostra carretta, coi tre bambini ed i generi diversi, rinculò per contraccolpo, facendo un'ardita curva colle due ruote rimaste e cadde nella roggia, perchè resistette agli sforzi onde trattenerla. Il cavallo intanto, lieto forse dell'alleggerimento di peso, proseguiva colla parte anteriore del veicolo. Alfredo ed il Pizzicagnolo, erano stati in tempo per balzare a terra, mentre quei poveri fanciulli si dibattevano nell'acqua alta un metro. Nè ci voleva altro per farli smettere dalla cantica illustre. Ma S. Giovanni Nepomuceno che protegge dagli affogamenti, in concorso di Alfredo e del disperato padre, operò il miracolo a pro' di quegli innocenti…. Tutti salvi… Fù però un momento orribile, perocchè il pericolo era stato gravissimo… Non si muove foglia che Dio non voglia, secondo la fede, chè se quel galantuomo fosse stato solo sulla carretta, certamente il più piccolo dei tre fanciulli sarebbe affogato. Essi però erano là sdraiati sulla riva, coi lunghi capelli bagnati, e sparsi sul volto, in modo che non si riconoscevano più. Quanto ai generi diversi è inutile dirlo, venivan travolti dalla corrente colla retroguardia del sacco militare ben provveduto, proprietà del neo artista. Pochi momenti dopo il fatto, sopraggiungeva brillo un lungo corteo di sposi, che aiutò bensì a trarre sull'alta ripa la mezza carretta, ma poi quei buoni popolani, allettati forse dall'idea di un prossimo gaudio migliore, lasciarono il nostro dramma e cantarellando, proseguirono la via verso il vicino paese. Noi crediamo, del resto, che il punto saliente del disastro, giungesse poco dippoi, inquantochè il nostro pittore in erba, anche lui cuor tenero, visto il pizzicagnolo seguire a gran passi il non più raggiunto cavallo fuggitivo per fame, e visti i tre fanciulli piangere e tremare dal freddo, li caricò su quel residuo di omnibus, trascinandoli trafelato fino alla loro dimora, senza mai trovare un cane che porgesse aiuto. Sette chilometri peggiori dei 34 di prima. Era propriamente il caso di recitare « ahi dura terra perchè non t'apristi » se Alfredo ne avesse avuto lena. Oh! infanzia beata; il credereste, dopo un mezzo miglio, e per la gioia di avvicinarsi sempreppiù al loro focolare ove la mamma attendevali coi generi diversi, quei tre fanciullini ripresero imperterriti la primiera canzone patriottica, come se nulla di nuovo fosse accaduto. Alfredo, quasi avvilito, lasciava fare, pensando ai buoni auspici, coi quali era iniziata la sua tanto ambita villeggiatura. Disceso al grado di bestia da soma e da tiro egli và ma senza armata!….—Conclusione: Giunto Alfredo a notte fatta, in mezzo a' suoi cari parenti milanesi d'ambo i sessi, narrò loro dell'avvenimento, trovandovi più ilarità che spavento o compassione¹, e ballò poi con fanatismo fino a tardissima ora, in forza de' suoi 16 anni.
¹ Se cade una bestia ci sentiamo commossi, se cade un'uomo, noi ridiamo.
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E una…..
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….Alfredo ha 19 anni…. Compiuti gli studi di pittura all'accademia di P., lavora giá discretamente ad olio, acquarello e carboncino, in ritratti e paesaggi, e ritorna a convivere, nel paese natio, colla famiglia paterna. Passeggiando però egli ogni sera, sulle amene sponde di quel Lago, vedea, semi nascosta dietro le persiane, Letizia, una piacente ed espressiva fanciulla. Presto e volentieri quei quattro occhi si incontrarono, creando una corrente elettrica, di soddisfacente potenza. La ninfa pudica non vorria essere la prima a far sapere della propria attrazione magnetica verso il Pittore, per cui Alfredo, che istintivamente ha compreso, si slancia pel primo, e speriamo che si vada a finir bene.
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Dopo parecchie sere di reciproca corrispondenza epistolare, senza posta e francobolli, perocchè le lettere volavano dalla piazza alla finestra e dalla finestra alla piazza, ravvolte in fazzolletti col solito sassolino, Alfredo ottiene un convegno notturno, innocentissimo del resto, perchè la fanciulla sarebbe stata al verone ed il giovane su di un alto muro coi gomiti appoggiati al verone medesimo. Romanticismo puro e niente altro. E siccome la Luna è talora incommoda ai convegni amorosi, fu scelta, di comune accordo, una delle notti buie di Novembre. Se non chè, pochi istanti dopo, per effetto di una interna chiamata dell'infermo di lei parente, la fanciulla deve chiudere in fretta le imposte, troncando bruscamente l'Idillio.
Vacilla Alfredo, ed onde non mettersi in trappola col saltare nel cortiletto interno, salta invece all'indietro verso la piazza, ma in luogo di sentire la dura terra sotto i piedi, sente sotto di essi un corpo elastico, un corpo quasi rotondo ed ode un grido. Era di un corpo umano sottoposto ad altro corpo umano che veniva dall'alto siccome lo Spirito Santo. I due corpi per l'equilibrio perduto, naturalmente stramazzano e lasciano ciascuno, sul terreno, il rispettivo copricapo. Cioè una beretta da prete, ed un cappello alla pouffe. Quello della berretta era un mezzo santo, tutto concentrato nel pensiero della destinazione dell'anima di una vecchia moribonda a lui affidata e che in quel momento, per suo ministero, esciva sulla piazza, quello del cappello, era il nostro Alfredo, il quale per la suesposta interruzione, s'ebbe incolumi le gambe mentre il povero pretino si ammalò per lo spavento.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . E due!. . . . . Siate sofferenti, o lettori!. . . . . . ne abbiamo ancora un'altra sola e basterà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Lungi una ventina di miglia dalla città di N. N. siede al sud il paese di K….. Un nuovo ideale seduce il nostro Raffaello. Vi andrà a cavallo, così per variare, e per la gentilezza dell'amico Conte X….., che desidera si provi un suo nuovo Pony da sella. Fine Maggio, partenza ore 20, arrivo presunto ore 24, cioè l'ora intesa. Età del cavallo anni 4, suo valore L. 4000. Età del cavaliero anni 22. Senza valore. Di passo in principio, di trotto poi, di galoppo in fine, il viaggio è compiuto qualche minuto prima delle 24.
Per motivi di reciproco rispetto, il campione delle crociate, lascia il sudato destriero fuori dell'abitato, attorcigliandone la briglia ad un pioppo. Il fiume Giordano non vi era. Deserto e muto è il paese di K….. I lampioni già spenti. Il pescatore di idillj, procede cauto, verso la meta vicina, mancano ancora pochi passi, e potrà baciare la mano alla sua sospirata Clorinda.
Se non chè….. due occhi di bragia splendenti fra le tenebre, lo arrestano di colpo….. Era un cagnaccio da pagliaio, girovago, che gli brontolava alle calcagna.
Nello stesso tempo lampi non interrotti e nuvoloni di pessimo augurio, presagivano imminente l'uragano. Pare che l'idillio, al nostro secondo Raffaello incominci male! Nè il cagnaccio di pelame oscuro si allontana ad onta dei furiosi calci sferratigli da Alfredo, anzi urla disperatamente, assecondato da parecchi botoli, che, più di lui recan molestia. Già Alfredo, è più del cagnaccio rabbioso, e nella sua ira, lo stringe alla gola con mani nervose e forti. Il cane grosso, a quella stretta, si ammansa alquanto gemendo, ma i botoli liberi, ostinatissimi nel latrare, hanno richiamato ai balconi, qualche lumicino, forse di gente sospettosa di qualche impresa ladresca. La pioggia a catinelle intanto viene a portare il cosidetto colpo di grazia, siccome fa la cavalleria dietro il nemico fuggente, dopo una battaglia vinta…..
Ahi misero Rinaldo….. tutto sommato, ti è giocoforza rinviare l'impresa colla sospirata Clorinda, ad altra meno infernale occasione…..
Ritorneremo al Pony, decide, umiliato Alfredo, ma vedi altra dolorosa sorpresa!….. Al pioppo non trovò che la sola briglia. E il cavallerizzo?…… Venti miglia a piedi di notte per ritornare a casa, co' suoi speroni, col suo fouet e con una briglia altrui…..
E tre. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La sera del giorno seguente, trovatosi Alfredo, col Conte X… sul corso della suaccennata città, potè stabilire che il cavallo inglese aveva il vizio di scappare, cavandosi prima la briglia. Quell'intelligente animale, all'incontro, era ritornato di carriera alla sua cara stalla rifacendo la lunga strada dianzi percorsa….. Pochi giorni dopo, Alfredo, visitò, per convenienza, il Pony, in scuderia, ma questi, per la sua memoria di ferro, o forse perchè alleato del noto cagnaccio, gli mandò un calcio nelle regioni meridionali, scansato per miracolo, dal destinatario. I pittori a lungo andare, non sono tanto sfortunati!….
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Oh! i bei tempi antichi, in cui i convegni galanti avvenivano durante una caccia alle belve, fra lampi e tuoni, come quello di Enea e Didone, nella famosa grotta, da Virgilio splendidamente descritto.
. . . . . In questa il cielo, »Mormorando turbossi e pioggia e grandine Diluviando d'ogni parte in fuga Ascanio, i Teucri, i Tiri, ai più propinqui Tetti si ritirano; e fiumi intanto Sceser da monti ed allagaro i piani, Solo con sola Dido Enea ridotto, In un'antro medesimo s'accolse. Diè di quel che seguì la terra segno, E la pronuba Giuno. I lampi, i tuoni, Fur de le nozze lor le faci e i canti. Testimoni assistenti, e consapevoli Sol ne fur l'aria, e l'antro, e sopra 'l monte N'ulularon le Ninfe . . . . .»
Annibal Caro—Eneide di Virgilio libro IV per.º 11.º.
Ora quei convegni, sono al riparo dalla pioggia, dal vento, dal sole, e da altri pericoli, e perfino le tenebre, talora simpatiche, sono respinte dalla luce elettrica. In luogo delle grotte, abbiamo dei camerini addobbati, in luogo dell'aria, del monte, della foresta, e della pronuba Giuno, guide, testimoni, protettori dei sublimi innamorati abbiamo valletti retribuiti, d'ambo i sessi, e segreti infino a che non mutano padrone…..
….. Alfredo però dovea pensare qualche volta secondo il costume moderno più ragionevole, perocchè a lui, la notte, l'uragano, i cani feroci ed il baiardo che fugge senza briglia, non hanno giovato in verità. Oh! ma Alfredo alla prima occasione farà lo stesso…..
E noi, avendo sacra la vita dei nostri lettori faremo loro grazia del racconto dettagliato di tutte le cadute di Alfredo dall'alto, e della mezza dozzina di ribaltate per fortuna incruente, delle drammatiche grassazioni finite senza morte o ferita, e con limitato dispendio, delle ingiustizie subite senza irreparabile danno, dei naufragi miracolosamente scongiurati, delle bastonate deluse, e di tre brevi arresti per tre mal'intesi. E finalmente, dopo quanto sopra, qual meraviglia se Alfredo, in una città lombarda, all'età di 13 anni, era anche Venerdì, si avesse strappata una falda del suo primo palmerston nuovissimo, in causa di una troppo frettolosa scantonata di un vandalo garzone fabbro, che teneva in mano, due vecchi spiedi? Quegli inoltre cantava correndo….. Fatalità, fatalità.
PARTE 1ª
CAPITOLO VIII.
Il Veglione.
Sono vicine le dieci. Il Ballo di Beneficenza che si dava nel Carnevale 18.. al Teatro Comunale di B…… cominciava soltanto in detta ora a farsi animato.
Molte Signore e Signorine nei palchi. Toilettes femminili semplici, ma di molto buon gusto. Una folla di allegri giovanotti, molti uomini maturi che potrebbero restare a casa coi loro bimbi.
Qualche vecchio non ancor convinto. Varie mammine imbronciate non si sa perchè e finalmente una scelta orchestra. Vi era anche Alfredo poco lieto, e non danzava per anco. Pare che aspetti qualcuno o qualcuna che non viene mai.
Ma eccola, Violetta, giunta in palco in quel momento, con due suoi congiunti. Prima fila sinistra, N. 13. Qualche supestizioso proponeva di togliere da tutti i teatri il N. 13; e di conservare quel numero quando si fosse trattato di tredici milioni, invece di dodici, i quali arrivassero pure in Venerdì.
Violetta era bella e più elegante in quella sera, ma si potrebbe giurare, che appena giunta in teatro, non avesse il solito suo umore giocondo (nervosismo). La maggior parte delle donne, quando si tratta di balli, di soirees, diventa nervosa—o per incidenti nel vestito, o per qualsiasi altra contrarietà intima.
Le signore e le Signorine vorrebbero e non vorrebbero andare alla festa e talvolta finiscono coll'andarvi, ma tardi, ma di mal umore. Violetta ballava a meraviglia…… Fatta dal suo palco una rivista in platea (ridotta come di consueto a sala da ballo) corrispose con un leggiero segno del capo al saluto dell'amico pittore, ma Alfredo per la malaugurata perspicacia degli innamorati concepì il sospetto, come la Signorina Violetta, si occupasse di cercare collo sguardo, un'altro individuo, di sfoffa più appariscente, non ancora forse entrato in teatro. Vanitas vanitatum et omnia vanitas, pensò Alfredo. Ma chi potrà essere colui che Violetta attende? Cocciuto, in quella sua idea gelosa, Alfredo cominciò a fare il permaloso, a girare sù e giù, inquieto, pei corridoi, a spiare la porta d'ingresso alla platea e contemporaneamente il palco di Violetta. Nè per quella sera egli andò nel palco Giacinto.
Entrava, in quel mentre in teatro, Cirillo Buonpensieri, giovane scultore, amico d'infanzia di Alfredo. Un simpaticone, pieno di arguzie—leale di carattere e di mente concreta. Abbracciò il suo Alfredo, si accorse del di lui pessimo umore, non ne fece gran caso, perchè lo conosceva assai.
Cirillo, senz'altro, prese a fare un valtzer con una Signora colossale, di mezza età, ma dovette fermarsi due volte per respirare, giurando in suo cuore, di non ballare più con quell'omnibus vivente. Entra in quel momento, a valtzer finito, un conoscente; è il Commendatore Sig. Aringa; uomo di mezza età, esile appunto come il suo nome, vestito sempre con ricercatezza—languissant di tutte le eleganti signorine della Città. Un buon diavolo, in massima. Peccato che si permetesse facilmente di pigliare in giro certuni suoi conoscenti, dei quali era forse invidioso.
L'invidia è una droga, che entra in tutte le pietanze, e non v'è anima al mondo, che non l'abbia assaggiata. Comincia dall'infanzia; voi la vedete anche fra bambini quando si rubano l'un l'altro un dolce, od un giocattolo. Vita mortal, tutta d'invidia piena scrive l'Ariosto. Naturalissimo pertanto che un pochino d'invidia, nutrisse anche il buon Commendatore.
…. Un grande inchino, con saluto, al palco di Violetta, la quale corrisponde con altrettanta espansione. Aringa detto fatto, va nel palco della signorina e ritorna poco dopo, in platea, con essa, per ballare la polka.
Ecco l'individuo che Violetta cercava appena giunta in palco, pensò Alfredo, e credesi indovinasse. Se Violetta mi avesse salutato meno freddamente, avrei ballato io con lei, pel primo. Ambiziosella! Tienti il tuo decorato commendatore, chè, già le altre signorine non ti invidiano. Esso, prima che a te ha fatta la corte a tutte loro, per sistema, e poi quando assenti, le critica a meraviglia; meno male che lo fa soltanto per taluna goffaggine, o per la loro discutibile bellezza!….. Alfredo, del resto già pentito, (per la gentilezza dell'animo suo) trova casuale il fatto e non progredisce nei dubbi sulla bontà di Violetta. Gli rimane in corpo, soltanto, la solita gelosia dell'ignoto. Bisogna escire a pigliare il fresco, caro Tamas (il moro innamorato nella Gemma di Vergy). Converrà bere un bicchierino, disse Cirillo, che tutto aveva veduto e compreso. Alfredo accetta, ma di mala voglia, perchè brucia di gelosia e vorrebbe restare, diremo sempre di guardia in teatro.
Cirillo ed Alfredo bevono una mezza bottiglia di Barolo, al vicino restaurant. Cirillo che vuol cantarellare e non ne imbrocca una, intuona l'aria del contralto, nella Maria di Rohan,« A quel che par, a giudicar, son le Lucrezie rare a trovar.
Per Cirillo quell'aria è simpatica, ma Alfredo lo prega a smettere, perchè mi guasti l'udito, osserva, e freme di ritornare al veglione. Ma se non balli mai stasera, gli grida Cirillo! Ballerò, sta buono, e presto e con delle ballerine cortesi e belle—conchiuse nervoso Alfredo—ritorniamo dunque in teatro, mio otellissimo, fece ridendo, Cirillo. I due amici sono già rientrati in platea, dov'è riposo momentaneo del ballo, mentre però non cessa l'andirivieni. L'ambiente si è riscaldato; si odono sonore risate. L'allegria, come sempre, è cresciuta. Ma ormai la mezzanotte è vicinissima, e molti si dispongono a partire per la cena di rito. Buon appetito, specialmente agli uomini!!!. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le signorine, morrebbero di languore, piuttosto che perdere un ballo, ma è giocoforza che seguano i loro capi di famiglia, per le solite convenienze sociali. Esce anche la famiglia Giacinto e con quella il Commendatore. Questi nel vestibolo del teatro, incontra Alfredo, vuole scherzare, come al solito, dicendogli: Ma voi non avete ancora ballato colla signorina Violetta?
Alfredo, che sogna forse di veder accompagnate quelle parole, da un sardonico sorriso, risponde iroso: Io non invidio il vostro titolo di Commendatore. Quegli che per verità non si aspettava una tale apostrofe, rimane interdetto, si morde le labbra e… sarete voi, un… dice, ma per non fare scandali, preferisce seguire la famiglia suindicata che va a cena. Provvederò domani, mastica fra i denti, ed intanto va a cenare nella ospital casa, senza molto appetito…
Scusami, ma tu hai torto (dicea Cirillo ad Alfredo, mentre cenavano alla trattoria, la quale, causa la folla impreveduta, serviva lenta ed era esausta di provviste). Bisognava ribattere, con disinvoltura, lo scherzo del Commendatore, fosse pure fatto con intenzione, e non trascorrere all'ingiuria. Ma che c'entra Violetta, ma che c'entra il sig. Aringa? Non ti sei accorto, che si tratta di abitudine per parte del secondo e di un po' di vanità per parte della prima? soggiungeva Cirillo. Queste sono simpatie e calori che durano 24 ore al più! Non hai ancora imparato, essere forse i di Lei parenti quelli che preferiscono Lui a te? Poniamo che sia, per un'embrione di aristocrazia borghese, che guarisce presto. Violetta sposerà anche un giovane povero, basta che le piaccia, ed io spero e desidero, da buon vivant, che non affoghi in un cucchiaio d'acqua, come talvolta, sebben raramente accade…. Sovvienti spesso della storica antica risposta; Se Messene piange, Sparta non ride; ed impara il proverbio: Si vous la suivè elle vous fuit e viceversa, mio buon amico, e ridi una volta buona, come faccio io, che mi chiamarono dalla nascita: Buonpensieri. Folle, tu credi che tutto il mondo sia felice al tuo confronto—e se pertanto domani vi sfiderete, penserò io a riconciliarvi, previe le solite noiose pratiche per ritrattazioni, rettifiche etc. e senza bisogno, in caso di duello, di quelle successive strette di mano, che si usano, in stile cavalleresco, fra i due individui in collera, dopo aver essi tentato invano di sbudellarsi!
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Sono già le due dopo la mezzanotte. Nè il Commendatore, nè la famiglia Giacinto ritorneranno al veglione. E di tale assenza Cirillo ed Alfredo, già in platea, subito se ne accorsero. Alfredo, quasi sollevato, per quella mancanza, chè prima aveva una pietra sullo stomaco, disse, meglio così, e si diè tosto a ballare disperatamente, anche cogli uomini corpulenti, fino alle 5 del mattino, quando il teatro cominciava a vuotarsi delle persone meno inebbriabili.
Quelli che hanno cenato meglio, siano pure anche donne, sono sempre gli ultimi a lasciare i veglioni, e gli estremi, definitivi balli, non sono più danze, ma una vertigine spaventosa….. Il buon vino, è più eccitante, si crede da molti, di una buona orchestra.
Alfredo e Cirillo, escono finalmente anch'essi. Corrono alle rispettive dimore, dopo una cordiale stretta di mano. Alfredo si abbandona vestito sul letto, e non dorme. Se un momento resta assopito, pensa a quella sua eterna Violetta. Sogna di chiederle scusa, (di che non si sa). Volea lagnarsi di lei ma no'l può, e finisce come al solito, col tentare di darle un bacio tremante, senza esito felice. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
In quella sera pertanto, meno l'avarizia, che, era rimasta in casa malata di compiacenza, al dire dei buoni contadini, erano andati al veglione anche i quattro ladri della pace, cioè l'amore, la gelosia, l'ambizione e l'invidia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La cena in casa Giacinto, andò così, così, quanto ad allegria. Tutti ebbero scarsa loquacità. Il Commendatore sembrò ai convitati alquanto preoccupato. Violetta fece gli onori di casa senza la solita disinvoltura, e finì per mangiar poco, e bever nulla. Nessuno dei più anziani, propose di ritornare al veglione dopo cena, per cui alle due dopo mezzanotte o poco più, casa Giacinto, aveva già spenti i lumi, disposta ad aspettare, dormendo, il nuovo sole. Il signor Aringa andò al suo alloggio in carrozza; il suo cocchiere si rivolse due o tre volte, per chiedere al padrone, cosa comandasse, perchè gli pareva di essere stato chiamato, ma invece il Commendatore, non aveva chiamato alcuno, aveva brontolato fra sè per il noto incidente con Alfredo. Decise però di volerne soddisfazione.
Violetta pure si ebbe, durante la notte, il suo incubo. Le sembrava che le Furie, strappate le coltri, la trascinassero per la treccia, intorno alla Camera. Svegliatasi alfine a giorno fatto, chiamò i suoi, che la trovarono inquieta e lievemente febbricitante. Ma, un cordiale, ed un po' di riposo ancora, Violetta si ristabilì in breve, senza l'opera di sanitario.
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Tre giorni dippoi, correva la voce, come la Signorina Giacinto, fosse partita, a visitare alcuni suoi parenti lontani, onde migliorare di clima, e quella voce non era una delle solite fole.
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La mattina dopo il veglione, mentre Alfredo stava vestendosi, entrò nella sua camera Cirillo piuttosto eccitato. Egli sapeva della imminente sfida. Te l'aveva detto ieri sera, o mio— Guerra a fondo —che la tua era stata una deplorevole imprudenza? So di certo che fra mezz'ora, tu sarai sfidato a duello! È quanto desidero da tempo; disse Alfredo, è quanto voglio. Ma ti prego, mio Cirillo, non facciamo melensaggini. Siamo intesi; non le solite convenzionalità cavalleresche, che, in fatto di duelli, sono di troppo, e rasentano la buffoneria. Morire o l'uno o l'altro.
Cirillo alla vista di quella faccia d'ira livida ebbe paura, e tosto, per mettere, secondo la consueta sua bonarietà, possibilmente, un po' di acqua sul fuoco, provò a dire, con flemma. E che muoiano anche i padrini. Alfredo, non potè sorridere, tanto era inqueto. Cirillo allora, giovane di cuore e di pronto ingegno, soggiunse: giacchè tu vuoi così, ritorneremo, ai vecchi costumi della antica Grecia, o dei popoli Indiani. Lascieremo in disparte, per un momento, la moderna cavalleria, e ricorreremo alla barbara cicuta, od all'acido prussico moderno. Inutile pertanto la spesa di sciabole, di fioretti, di pistole, di carabine. Due misere pillolette, allestite dal nostro amico vice speziale Brichetti, e tutto, in pochi minuti, sarà finito. Sei contento così? Altro rimedio non v'ha, perchè noi non siamo esperti nella scherma e le pistole possono tirare storto ammazzando invece qualche innocente passeggero. Una Pillola dunque col veleno, l'altra senza. Se muore il Commendatore avrà cessato di corteggiare le Signorine, se morirai tu, avrai finito di essere innamorato fino nella suola delle tue scarpe. Cirillo era una gran testa e trovava lì per lì, espedienti famosi. La sfida venne, pochi momenti dopo. I padrini del commendatore furono due ufficiali della Territoriale; quelli di Alfredo—Balena e Cirillo.
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Il vice farmacista signor Bricchetti Galeno (questo il suo nome di battesimo, che i lettori ancora non sapevano) fece un balzo all'indietro, (come quello tanto noto di Don Abbondio), quando udì proporsi da Cirillo la confezione di una pillola avvelenata. Non aveva tosto indovinata la intenzione di Cirillo, e senz'altro, se ne schermì non senza meravigliarsene. Ma quando comprese meglio le sibilline frasi di Cirillo, acconsentì sorridendo e raccomandandosi, del resto, ad ogni buon conto, per il più profondo segreto. Non si sa mai, diceva! Siamo in tempi molto rigorosi per le farmacie!
Le due pillole identiche, saranno allestite fra un'ora; e lei signor Cirillo verrà a ritirare il pacchetto, con patto, ripeto, del massimo riserbo…
Il seguente mattino, i due nemici, all'ora precisa, erano sul terreno. La località, dietro il muro di cinta di nord, del cimitero della città.
Non poteva scegliersi miglior luogo, per la ragione, che uno dovea restare cadavere, ed all'istante, per la efficacia dell'acido prussico.
I due ufficiali eran là seri, impettiti; Balena era più pallido dei morti. Cirillo, fingeva distrazione. Alfredo ed Aringa, non si guardavano, ma dimostrarono grande risoluzione.
Se non chè Cirillo, al punto di procedere, coll'intervento degli altri padrini, alla scelta del numero pei duellanti, onde poi scegliessero per primo o secondo l'una delle due pillole, propose, che, contrariamente all'uso, avessero i duellanti a stringersi la mano, prima del duello.
Nessuno oppose diverso parere, ed ecco il Commendatore ed Alfredo a darsi la mano a vicenda. Quelle due mani, però non si staccarono sì presto, ed i duellanti chiedendosi reciproco perdono, si abbracciarono commossi, lasciando ciascuno cadere dagli occhi due goccie limpide, che assomigliavano a brillanti davvero non chimici!
Lord che era dovunque, come l'aria, alla vista di due pillole di pasta, gettate a terra da Cirillo, si affrettò ad ingoiarle. Non allarmarti Alfredo, disse Cirillo! Nemmeno Lord ne morirà, perocchè in quelle due pillole era soltanto farina bianca con zucchero!
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Un breve turbine, finito serenamente per la bontà d'animo di due uomini, che avevano fatta a vicenda, od un'erronea interpretazione, od una imprudenza e per la ingegnosa trovata di un sincero amico.
«Honny soit qui mal y pense!» (Vitupero a chi pensa male!)
PARTE PRIMA
CAPITOLO IX
Sourtout pas trop de zèle
Passarono giorni parecchi, prima che Violetta ritornasse alla casa paterna.
Alfredo intanto trascinava la vita sterile, miseranda. Aveva dipinto, è vero, qualche piccola cosa, ma di mala voglia. Un paesaggio, credesi, di proporzioni modeste, che non trovava acquirenti (tanto ne vanno zeppe le Pinacoteche). Aveva fatti anche degli abbozzi al carboncino, ritratti di donna, i quali, per caso, assomigliavano tutti a chi mai? Indovinate?… a Violetta. Egli vivea colla diletta famiglia d'ogni giorno, siccome cantò Aleardi nelle sue lettere a Maria. Maddalena ed Elisa sorelle minori di Alfredo, erano carine tanto, ma di carattere, in complesso, opposto al suo. Buone assai, ma piuttosto fredde. Assomigliavano dippiù alla mamma che al papà, entrambi defunti in età media. Quei tre fratelli, poveri in origine, erano costretti a tosare man mano i tenui risparmi dei loro Genitori.
Il giovane pittore aveva inoltre il difetto di non volere uniformarsi mai al moderno sistema della reclame, la quale, mediante corresponsione più o meno lauta, ingrandisce, secondo i casi, le capacità artistiche e letterarie, fruttando loro vantaggi o pecuniari od onorifici. Così per l'avversione surriferita alla reclame, i quadri dello sventurato pittore, restavano appesi nel suo studiolo, coperti di polvere, e degli escrementi moschicini. Egli però non se ne accorava di troppo, perchè sgraziatamente non aveva mai sentito l'universale, giustissimo desiderio del danaro, rappresentante di tutti i valori, e manna migliore di quella antica del deserto.
Unicamente Violetta gli era scolpita nel cuore e nella mente ad ogni minuto del giorno e della notte. Provava talora, con sforzi erculei, di allontanare quella imagine, onde avere un momento di requie, ma ahimè! tutto inutile. Perciò, anche un mediocre contabile, sommando i minuti di ogni ora, di ogni giorno, di ogni mese e moltiplicando per sette anni, durata esatta di quell'amore, veniva con soddisfazione a sapere, come Alfredo avesse costantemente pensato a Violetta tre milioni seicento vent'otto mila e ottocento volte. Conto giusto.
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I medici alienisti, ascriveranno probabilmente questo fatto, ad anomalie del cervello umano, senza speranza di guarigione, perchè ridotte a cronicismo.
. . . . . . Alcuni sinceri amici di Alfredo, quantunque non avessero mai potuto sapere da lui il nome della sua Diva fatale, si provarono a persuaderlo, ma sempre invano perchè trattavasi di un'idea fissa, essere più ragionevole il mutar l'amorosa ad ogni mutar di luna, come si tollera nella enciclopedica nostra epoca, di quello che correre dietro per sette anni ad un'ombra che fugge.
Se non che, per ritornare, in carreggiata, secondo l'argomento indicato nel presente capitolo, vo' dimostrarvi la verità del detto popolare, e cioè: I calci vengono due alla volta.
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In quel frattempo erano giunte ad un funzionario politico della provincia « Voci alte e fioche e suon di man con Elle » (Dante INFERNO), vale a dire, siccome parecchi giovani di condizioni diverse, ma specialmente artisti, preparassero con detti e scritti, il malcontento delle plebi (termine burocratico) contro la classe abbiente. Perciò alquanto allarme, sebbene non pienamente giustificato, infiltravasi nell'animo pauroso di quel raro funzionario, in modo che ha dovuto decidersi a fin di bene, e per il tollerabile amore al suo pane quotidiano, a lavorarvi attorno alla meglio, onde poi specialmente garantire la quiete degli affezionati proprietari locali. Fece una passeggiata nel Circondario, visitò i più influenti, ricorse alle autorità minori, ai confidenti, della dignità immemori e fatto poi di ogni cosa un grosso intingolo, trovò doveroso, a scanso di responsabilità, ma però dopo bastante riflessione ed indugio (perchè realmente egli non era poi un Attila), di fare e di spedire in alto, un elenchino delle varie persone sospette, le quali insomma, anche per semplice precauzione, dovessero, per qualche annata, abbandonare i proprii lari, viaggiando gratis verso le ospitali piccole isole mediterranee.
Criticare è facile, mentre difficile è il fare, sentenziava quel burocratico. In certe evenienze, il procedimento regolare o ozioso, basta l'opinamento dell'onesto o per lo meno zelante funzionario, per allontanare dalla gente tranquilla ed utile, i facinorosi o quelli che sono in voce di esserlo. Gli artisti per esempio, quei benedetti artisti di ogni epoca e nazione, e la storia ne insegna, hanno quasi tutti la testa calda, diceva nella sua diligente relazione quel buon diavolaccio di funzionario, e soggiungeva che ciò era in contraddizione coll'arte, senza accorgersi di bestemmiare. Dovrebbero essere precisi siccome i pesi e misure a sistema decimale, od un quid simile, e sopratutto non dovrebbero pensare troppo o vagliare l'operato dei maggiorenti e dei reggitori della cosa pubblica, il quale, in massima è saggio e conveniente, per chi se ne voglia accontentare. La relazione in parola, sarà stata forse più lunga e più bella, ma press'a poco era nei termini suindicati. Se non che, il ripetuto proverbio delle pentole e dei coperchi, in cui c'entra il diavolo, fece in modo che l'elenchino di cui sopra, fosse noto ad una certa persona gentile, prima ancora che pigliasse la via in alto, e che quella persona avvisasse il nostro Alfredo (in quell'elenco naturalmente compreso) a stare sull' attenti.
Pare sia stata una indiscrezione intima, cui torna supervacaneo indagare. La selvaggina umana pertanto conflata da nove individui, fra di loro inoltre, poco conosciuti, mercè la premura di quella mano graziosa in pria e poi del buon pittore, ha potuto a suo tempo, svignarsela per ignota, ma più sicura direzione e possibilmente in località lontane, montuose ed in disparte dal noioso telegrafo.
Ma volle il destino od il caso fortunato, come meglio vi piaccia, che la pratica preservativa del devoto Sopraintendente Provinciale, andasse a finire, siccome tante altre cose umane, al pari cioè delle bolle di sapone. Un cambiamento di governatori, una amnistia, un trasloco del referente (felice questi di cavarsela dai rivoluzionari, temuti più dei briganti) mutò d'incanto le sorti di quei nove malcapitati. Peccato che i medesimi, non avendo tempo o voglia in quei giorni di leggere i giornali, viaggieranno egualmente colla paura in corpo. Soliti contrattempi.
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Lasciamo andare ormai gli altri otto individui, ove loro piaccia ed informiamoci anzitutto, dove probabilmente emigrerà il nostro buon Alfredo. Senza danari non si può viaggiare in nessuna classe dei treni, chè, le diverse Società ferroviarie, non vogliono saperne di far liste. Ed inoltre, nel caso nostro, vi sarebbe quel benedetto telegrafo, che vi precede più veloce delle antiche staffette. Su certe viuzze e su montuosi sentieri, non si può andare in vettura….. dunque fra poco anderemo a piedi, o Alfredo mio, giacchè, se non sei temibile cacciatore, sei cacciatore instancabile. Tu farai dunque l'alpinista per forza, e vi troverai certamente degli alpinisti per diporto. Intanto, anche per questa volta, non si viaggierà nei centri popolosi, colle manette ai polsi, alla guisa dei borsaiuoli.
PARTE PRIMA
CAPITOLO X
«Non tutti i mali vengono per nuocere»
Care mie facciamola finita col piangere . . . . e poco mancava che piangesse anch'egli . . . devo assolutamente partire, diceva Alfredo alle sue sorelle, in un pomeriggio del principio d'Aprile di quell'anno 18.. in cui temeva vicinissimo il principio del domicilio coatto, essendo giunto pochi momenti prima il secondo inteso avviso dall'amica incognita. Le due giovani, sebbene d'indole tranquilla, pure, pel grande affetto verso il loro fratello, non potevano rassegnarsi a quell'improvviso abbandono del quale non conoscevano la precisa cagione. Esse erano buone semplici, timide, religiose per principio, senza affettazione, quindi non sospettavano il male…. Che è mai avvenuto, esclamava angosciata Maddalena, la più anziana? Perchè ci lasci così? Tu ci farai morire di crepacuore! Eppure, soggiungeva Alfredo, pel mio, pel vostro bene, è giocoforza che io parta da qui, è una lodevole precauzione, e se indugiassi, potrei essere portato con altri, alle piccole Isole meditteranee . . . Non posso dirvi dippiù. Preparatemi un piccolo involto, leggero, leggero, che deporrete nel carniere di caccia, raccomandatemi al vostro angelo custode, e niente paura . . . .
Alfredo però, come suo costume, non aveva pensato al denaro necessario, quasi in ogni cosa, e che certamente a lui mancava. Allora Maddalena ed Elisa, persuase, come il fratello fosse irremovibile, si diedero una fugace, ma abbastanza eloquente occhiatina, ed entrate insieme nel loro gabinetto, ne ritornarono sorridenti, con un mucchietto di biglietti di piccolo taglio, che erano stati il loro paziente risparmio, per lavoro d'ago, cosa di cui soltanto le donne, in massima più economiche e più previdenti degli uomini sanno fare. Erano circa duecento lire, Prendi, disse la sorella maggiore, spendili adagio, adagio, e non darti pena per noi, che, noi lavoreremo giorno e sera, e coll'aiuto della nostra Madonna della Consolazione, vivremo discretamente fino al tuo ritorno. Elisa, mesta mesta disse: tornerai presto nevvero?….. Alla sua volta, sebbene non volesse farlo, toccò ad Alfredo di piangere….. « Tristo colui che non conosce la voluttà del pianto.»
Preso il fucile, il carniere, poche cartuccie, e chiamato Lord (che rompeva le scatole a tutti tre, pei suoi salti d'allegria), Alfredo, in fretta, in fretta si sottrasse agli abbracciamenti delle sue tanto dilette sorelle, e rivoltosi al nord del paese, potè raggiungere dopo tre ore di sollecito cammino, le falde del monte B….. quando era già il tramonto…..
Lord, il quale, più del solito, in detta giornata, aveva potuto mangiare, per le premure delle sue padroncino, abbaia disperatamente nell'escire di casa, saltellando dinnanzi al padrone, certamente, secondo la sua grande intelligenza, per avvertire il pubblico, siccome il suo padrone, quantunque ad ora tarda, andasse alla caccia!… Alfredo, nervosissimo più del solito in quel momento, volea bastonare quella cara bestia, ma poi pensò di tollerarla. Intanto, causa il baccano dell'innocente Lord, le bottegaie del paese, in buona relazione col nostro pittore, erano già venute sulla porta, ad informarsi di quella novità, attesa l'ora vespertina, ed Alfredo, con artificiali sorrisi, e mal repressa bile, accontentò, correndo innanzi, ed inventando una frottola qualunque, le curiose compaesane . . . . . . É costume dei piccoli centri, il voler sapere sempre, e ad ogni costo, delle versazioni, passeggiate, viaggi, gesta, amori, dei conterrieri, che naturalmente si devono incontrare dieci volte al giorno. Non conviene inquietarsene, perocchè, quanto sopra, è un rustico attestato di amicizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Alfredo sale già il monte, al chiaro di luna, egli è soliloquo, per vizio congenito, cammina sempre in fretta e pensa, a chi mai? alla sua Violetta!
Per oggi non maledice al proprio destino, perchè spera girando il mondo in direzione speciale, di rivedere l'oggetto del suo grande amore, fosse anche per un battere di polso. La salute di Alfredo, ad onta delle cento ed una peripezie, è ancora sempre forte. Egli cammina, cammina, divora la via, ma se, per caso, e per fortuna di rado, incontra viandante sospetto, o gendarmi, gli batte con maggior violenza il cuore, conoscendo bene la sua iettatura. Fin'ora, però, grazie al Cielo, nessun incidente spiacevole. Tutto è silenzio, interrotto quando quando, dal funereo lamento dei Gufi. Quel triste canto ai superstiziosi non è di buon augurio, ma ad Alfredo piace tanto come gli piace il Venerdì ed il numero tredici. Fra le roccie delle alte montagne alberga più facilmente l'upupa e la civetta, i paggi di madama la Morte, le donne hanno paura, ma Alfredo desidera quella tetra musica, perchè si accompagna meglio alla sua bella mestizia. Lord intanto, ad onta della notte, provvede agli urgenti bisogni del suo immenso ventricolo, dissotterra e mangia topi di qualsiasi dimensione….. Un bravo cane! La suscettibilità del nostro profugo, non si muove, nè per le distrazioni di Lord, nè per le ripide salite. Egli è ormai nel suo elemento, la solitudine. Egli prova sempre vaghezza di poesia, anche quando di mestizia vestita, perchè così, potrà liberamente pensare, a quella splendida figura che gli è scolpita nel cuore!…. e recita ancora la sua romanza: Declina il sol morente, move pel Ciel la sera ……
Intanto Maddalena ed Elisa per tutta quella notte, non possono addormentarsi. Stanno in decubito a recitare Ave marie, Salve regina, e requiem ai poveri morti quantunque il loro fratello sia ancor vivo.
Anche Alfredo, seduto a riposare alquanto, su di un abete divelto dal turbine, sospira, e pensa alle sue care sorelle.
Una nenia lontana, lo distrae e lo commuove. Sarà un pastore che rincasa tardi dai colli sottostanti. Assomigliano quelle cadenze, sebben rozze, a quelle del Ruy Blas: O dolce voluttà, desìo del cor gentil, etc. Alfredo tende l'orecchio ed ode, perchè la voce dell'incognito si avvicina, questi versi:
Noaltri montanar Ghavem de pasta el cor Vedem de l'alto el mar E femo anca l'amor. Viva l'amor.
Lord, contrario in massima alle cadenze musicali, và brontolando….. Scorsi cinque minuti, il novello Trovatore, giunge presso il nostro viandante, preceduto da un centinaio di pecore, cui frammiste poche capre, e seguito da un somarello, col paiuolo sul basto, e da una grossa e pelosa cagna della famosa razza francese guidatrice di mandrie.
Lord, più fortunato del suo padrone, e di scelto olfato, cessò dal brontolìo, e fa una corte spietata alla improvvisa amante, come fosse una tenera antica sua conoscenza. Nè un istante l'abbandona…..
Bona sera—signor Casador lustrissimo (interloquì un pastorello sui 18 anni). Se el vole alogio alla nostra casina, cossì ala bona, gavarìa piacere. Se el gà un mocio de cicare, faria grazia, bruso de la voja. Nui faremo un trato de mezz'ora gnanca, e semo a logo.
Accettato, rispondeva Alfredo, perchè conveniva farlo in causa della notte, della stanchezza e dei luoghi a lui sconosciuti. Eccoti uno zigaro intiero. Tienti però chiamata la tua cagna, perchè temo che il mio Lord se ne vada con essa, fino a Vienna. Ed il pastorello, ooh! non ghe pericolo… La me Jena non bandona le so pegre. Domani, sul fresco, sior Casador lustrissimo lo meno a copare de sicuro, do o tre francolini.
In somma il pastorello ed il cacciatore sfortunato, erano di già buoni amici e sì discorrendo, entrarono ben presto, senza noia alla casina. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rifocillato alquanto il nostro pittore, con polenta e latte di capra, appena munto, offertogli da un uomo e da una donna in età (probabilmente i genitori del giovanetto di nostra recentissima conoscenza) escì sul praticello circostante alla casina, dal quale, al chiaro di luna, potè rilevare quel magnifico panorama della vallata. Colli e monti pittoreschi, bellezze incantevoli, che più d'ogni altra, commuovono i cuori afflitti e le anime pensanti. Peccato che sia pronta, ogni momento, una distrazione, in causa di quell'originale di Lord, che converrà mettere al quinzaglio, avendo già egli fatto scappare dalla stalla due capretti, e rubato un mezzo stracchino esposto alla pubblica fede. Alfredo ne è dolente, ma non sa ricorrere alla violenza, con quella sua cara bestia.
Rientrato in cucina, (la quale ai pastori serve contemporaneamente di anticamera verso strada, di gabinetto, e di salotto) Alfredo si rivolse al vecchio (si comprende che gli altri due erano già a dormire) e gli chiese, se nulla di nuovo fosse in quei dintorni. Niente del tuto, lustrissimo, rispose il Pastore. Noaltri no gavem gazete; anche la signora che ze qua da oto zorni, la se lamenta de la mancanza de nove. Quà no ghe ze altro che volpi e pojan. Anzi bisogna, sioria, che se contenta de dormire sul fenil, perchè l'unico letin ghe lo avemo dato a la siora. El so servitore, un vecio, color de la tera, la lo gà mandà indrio, me par a Trieste, perchè giera sopo per una cascada……. Io mi accontento presto, disse Alfredo, e vi ringrazio del vostro buon cuore. Non si può negare, del resto, che la notizia di una signora sola, forestiera, dimorante da pochi giorni in quella casina (probabilmente per la cura climatica) non stuzzicasse la curiosità dell'artista, quantunque pieno di afflizione.
Siamo già alle tre ore di notte¹ e la conversazione fra il vecchio pastore ed Alfredo continua.
¹ —I montanari non hanno bisogno di orologi, essi si regolano, quanto all'ore, colle stelle, siccome agli antichi tempi. Per esempio, sanno che manca un'ora all'alba quando i predèèr, o predièèr (gruppo di stelle minori) perdono di intensità della luce. E così sanno delle altre ore di notte dalle altre stelle: Marte, Nettuno, Venere, Saturno, Diana, etc. Il vocabolo predéèr, non è, credesi, astronomico, ma semplicemente alpigiano. E quanto all'etimologia della nostrale parola? Più probabilmente dal latino preésse o predicere, cioè gli astri precursori del giorno. Anche l'autore, che or sono quarant'anni, cacciava sui monti, imparò da que' mandriani, a conoscere, senza orologio, le ore, tanto della notte come del giorno, ed allora era meno facile sbagliare di grosso, come oggi, col meridiano internazionale.
Non siamo del resto nemici del progresso!
Seppe pertanto Alfredo che la famiglia dei pastori ospitali era formata da tre sole persone, padre, madre e figlio, già noto al lettore, che la signora dilicata di salute, l'aveva mandata lassù—el sò dotor al fresco—che la giera nè molto zovine, nè vecia, ma conservada. E che bela dona, lustrissimo. Che ghe giera morto de colpo, el so omo a Trieste dò mesi indrio. Che la preferiva stare de sola, e vestiva sempre metà de ciaro e metà de scuro, che infine giera rica tanto, perchè piena de fiorini, e la pagava de groso.
Alla domanda, sul nome e condizione della signora, il buon vecchio, sonnecchiando, rispondeva: Lori nò i sà. Noaltri montanari andemo zoso a la bona, e se fidemo senza tante sospetazion, e bondì lustrissimo, no semo tanto curiosi; me par una brava dona, piena de inzegno e ze basta. Felice note, lustrissimo, ed entrambi andarono a letto…… sul fienile.
Quanto sono pittoresche quelle casupole bianche a cavaliere delle gole montuose, o piantate nelle conche prative, sotto i cumignoli dei monti cosparsi ancora dalla neve! Una perfetta poesia—un effetto magico. La luna d'argento, che stava per spegnersi, essendo già trascorsa la mezzanotte, rischiarava ancora, debolmente però, quella scena.
Le bellezze dell'universo, ancora più grandiose fra i monti, sono soavi tanto alle anime melanconiche, di vita e d'amore ricolme. Nessun rumore fino all'alba. Qualche squittio di volpe, qualche latrato lontano e null'altro. Ma Lord, il quale non si sa come, aveva rotto il quinzaglio (avrà mangiata la corda) girava intanto la casina e sotto e sopra, e bisogna dire che quello sfacciato penetrasse nella mal chiusa stanza della signora, perocchè per un momento si udì, un marcia via di grazioso timbro femminino.
Alfredo, si assopì una breve ora, disteso sul fieno, senza svestirsi. Sognò di Violetta, (miracolo), che girava su pei monti, e di un'altra bella donna che le attraversava il passo… e che lui era volato in difesa di Violetta.
«Nè però cessa amor con varie forme «La sua pace turbar mentr'ella dorme. TASSO Canto VII —ERMINIA.
E noi diremo mentr'egli poco dorme. Nientemeno che il nostro artista, durante le sue caccie in pianura, incideva siccome l' Erminia del Tasso, il nome amato sulla corteccia dei pioppi. Quindi caccia e amore sarebbero quali due cognate in famiglia!
L'alba è giunta finalmente. Le pecore si destano e dopo l'una le altre tutte, belano, perchè impazienti di escire al pascolo. Il vecchio pastore già mungeva le anziane. Il giovinetto cantarella: Sorge il sole alla collina etc.
La signora è già escita, forse per andare ad una vicina capelletta. come fece il dì innanzi, risponde il pastorello ad Alfredo, già sulla porta della casina in assetto di pseudo caccia. Lord si fa chiamare tre volte, perchè era nella stalla ad inquietare la Jena. Alfredo regala qualche moneta a quella buona famiglia, che potea ripetere col poeta, di cui sopra
«E questo greggie e l'orticel dispensa «Cibi non compri alla mia parca mensa.
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Portiamoci più in alto, e più al sicuro, pensava intanto il profugo Blandis, e fuggiamo sopratutto da qualsiasi avventura galante. Sarebbe per me un delitto.
Avanti dunque, mio buon Alfredo, colla tua giovane guida, la quale però, non appena ti avrà posto sul sentiero maestro, dovrà ritornare al suo greggie. Quel giovanetto al vedersi attorno Lord, ridendo, esclamò: Brigante sto braco, jer sera me gà spazzà un salamo de pianta! Alfredo, senza scomporsi, indennizzò il pastorello, e poco male, disse, essere ladri di un salame, piuttosto che ladri della pace. Il pastorello non comprende e propone breve caccia ai Francolini, cui Alfredo, senza voglia, accetta.
Se non che al momento di lasciare la casina, ecco venire incontro la gentile ospite dei pastori, molto mattiniera, con semplicità ma con buon gusto vestita, reduce dal suo vicinissimo pellegrinaggio. Vi fu un reciproco cortese saluto fra la Signora ed il Pittore, non insolito fra quei monti tanto scarsi di passeggieri.
Entrambi, del resto, ebbero la percezione, di non essere affatto nuovi fra loro, ed a ciascuno sembrò che qualche anno addietro, vi fosse stata occasione di vedersi, probabilmente in un viaggio. Entrambi nel loro interno, dissero: quella figura non mi è nuova!! Quella donna era ancora bella, ancora giovane (sui 30, aspetto distinto, capegli ed occhi neri, statura alta e snella, colorito bruno pallido; portava sul petto un mazzolino di narcisi freschi; al collo un nastrino di lutto; l'abito di stoffa grigia leggera, simile alla mantellina.
E subito Lord, lo scioccone, a profondersi in cerimonie verso l'incognita, siccome fosse di lei amico da gran tempo! mentre, una sola volta, per la sua tracotanza, l'aveva visitata nella di lei camera da letto. E la signora in contraccambio, ad accarezzarlo, quali due vecchi amici. Oh! il mistero delle simpatie per riverbero! La caccia fu breve, non uno dei Francolini incontrati, fu preso; ma una sola Gazza, ammazzata per equivoco.
Caccia ed amore, sono antagonisti come il piacere ed il dolore. D'altronde il pastorello, mortificato anche lui, per l'esito di caccia negativo, dovea ritornare presto alla stalla poco lontana, per abbeverarne il greggie, e se Alfredo S. lustrissimo, avesse voluto compiacersi di seguirlo, disse quel giovincello, poteva in breve ora, mettersi nuovamente a sua disposizione, quale guida.
Alfredo segue distrattamente il pastorello, e mezz'ora dippoi, siamo ancora alla stessa casina del giorno innanzi…….. Strana combinazione!…… perocchè, se noi non ci inganniamo, sembravaci che la mattina stessa, Alfredo, giurasse in cuore, di andarsene da colà lontano ed in gran fretta, siccome astemio dalle avventure!
La signora era in cucina a far colazione, e la pastora tutta in faccende a servirla. La colazione fu brevissima, e la Signora, con un secondo gentile inchino, passò d'innanzi al Pittore, per assidersi al di fuori su di un tronco d'abete, facente funzioni di poltrona. Il cacciatore in attesa della sua guida, è sulla porta di cucina e beve una tazza di latte stando in piedi.
Nessuno, però, dei due forastieri, potè esimersi dall'ingenuo piacere, di un'altra occhiatina reciproca, più del lampo veloce, ed ora, chi mai sarà il primo, a rompere, come suol dirsi, il ghiaccio? Per legge cavalieresca, l'uomo, già s'intende, e perchè gli uomini, inoltre, non sanno, quanto le donne, osservare scrupolosamente i precetti della educazione, e della modestia. Le donne esprimono di più cogli occhi, che colla favella.
La giovane guida intanto, potrà attendere liberamente a' suoi pastorizi incombenti, mentre, chissà, non si avvii fra i due sconosciuti mortali di sesso diverso, una conversazione qualunque, tanto, per ingannare il tempo, in que' luoghi primitivi. Questo non è nuovo, durante i viaggi, e non c'è pertanto a meravigliarsene. Nè sarebbe intempestiva, per lo sgraziato Alfredo, qualche piccola distrazione.
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Siamo pertanto, lettori miei, in completo accordo, come dovesse essere Alfredo, a non fare l'aristocratico ed a parlare pel primo.
Basterà soltanto che Alfredo, abbia presente, un pochino, il proverbio: L'occasione fa l'uomo ladro.
Sentiamo cosa dirà, quel mezzo ingenuo d'artista, a mo' d'esordio!
ALFREDO—Se io non temessi che la signora, mi avesse a qualificare per indiscreto, vorrei pregarla a lasciarmi sedere vicino a lei, su quel rozzo, ma poetico sedile, onde, discorrendo, con persona graziosa, e certamente colta, portare uno svago a' miei mali!…
SIGNORA—Fate come vi piace! Non v'ha titolo ad offendersene.
ALFREDO—Io vi ho incontrata tre anni or sono, nel mio viaggio artistico da Milano a Trieste e ricordo di non essermi punto annoiato, perchè il vostro conversare è piacevole. È vero, o prendo io forse abbaglio?
SIGNORA—É verissimo! (Capperi. Chiacchera meno la donna dell'uomo!)
ALFREDO—E se non erro, voi, com'io, siete artista!
SIGNORA—Sì, io fui cantante, e ricordo che voi siete Pittore, per quanto in quel viaggio, mi avete esposto (memoria di ferro).
ALFREDO—Perdonate, vi prego, alla mia curiosità…. ma perchè, voi, giovane ancora, avete abbandonata l'arte?
SIGNORA—Perchè il Conte Alfredo Stirtlizt, triestino, mio marito, assai ricco, non lo permise. Egli viaggiando, mi sentì cantare nella Traviata a Barcellona, se ne innamorò, mi sposò, e mi condusse a Trieste. Ma, signore, io perdetti quel caro amico, dopo soli tre anni di convivenza, e non sono per anco due mesi che egli passò a miglior vita. Mi lasciò ricca, senza figli, ma col vuoto nell'anima. (Due creature pertanto, che contemporaneamente, avevano il vuoto nell'anima!)
ALFREDO—Anche voi, dunque, sventurata! Anch'io sono infelice, sono celibe ancora, amo e non sono riamato. Ma credete, amo assai, e vi prego non chiedetemi il nome suo…. Ditemi piuttosto il vostro. Io intanto vi vi dirò il mio…. Mi chiamo Blandis Alfredo, lo stesso nome del fu vostro sposo.
SIGNORA—Ed io mi chiamo Carlotta Zaira Coriktzin, Stiriana. Il nome Carlotta l'ho lasciato, per non evocare mesti ricordi. Ma ohimè, a che valgono le mie ricchezze, se non ho più chi a me pensi? Il cuore non ama le ricchezze. Il cuore vuole un cuore, e niente più. A 30 anni, e vi giuro che non ne rubo alcuno, io sono già morta sulla terra, e non so consolarmene, perchè il mio defunto marito mi voleva tanto bene, e d'ogni premura mi colmava.
Perfino il mio vecchio fedel servo, un meticcio, acquistato all'Avana, il buon Jon, accenna ora ad ammalarsi, e l'altro dì, lo dovetti rimandare a Trieste, portato da un somaro fino alla ferrovia… Il poveretto, mentre pochi giorni fa, saliva con me questo monte, cadde e ne ebbe forte distorsione al piede. Ora sono qua sola. Ho bisogno per certuni piccoli incomodi, dell'aria balsamica delle montagne e vorrei a piccole giornate, raggiungere l'Ospizio dell'Alpe; ove, troverò forse qualche mia amica triestina.
ALFREDO—Io non ho destinazione fissa, perchè il precipuo mio intento fu quello di allontanarmi da luoghi a me infausti. Sono lombardo, amo la caccia, sono pittore, mi diletto di poesia che in questi monti, più facilmente è nutrita e…. se…. mi tollerate… per vostro compagno di viaggio, fino lassù, ne sarò lieto, perchè lo stare con voi sarà di certo molto gradito.
SIGNORA—Accolgo, senza apprensione di sorta, la vostra proposta, e senza esagerato rispetto alle cosidette convenienze sociali, nemiche all'arte ed alla poesia. Noi, se vi piace, partiremo insieme anche oggi stesso.
PARTE PRIMA
CAPITOLO XI.
Idilli di Montagna
Alfredo alla inattesa proposta della signora Stiriana, era contento sì e no, in suo cuore. Sì, per nutrire, come diss'egli poc'anzi, la sua innata poesia. No pel timore di desistere qualche minuto dal pensare alla sua Violetta, che non la potea in niun modo sradicar dal cuore… Un viaggio improvvisato con una bella, distinta ed ancor giovane signora, non era cosa spregievole, e quindi in sua mente, ricordò: Al nuovo albore noi partirem; colla differenza che Luisa Myller partiva con suo padre, mentre lui celibotto, partiva con una vedovella sconsolata. Per quanto riguarda la caccia ai Francolini, selvaggina sceltissima, poteva dirsi, fin d'ora, un affare sballato, con grave dispiacere di Lord. In massima, le signore detestano la caccia, perchè distoglie gli uomini da altre meno rustiche cure. Alfredo, ebbe per un istante la cattiva tentazione di fare lo Spartano, ma poi riflettendo ai doveri della cavalleria, venne anche lui, siccome tanti altri, a più miti propositi. Nelle stagioni o tepide o calde, e specialmente fra i cento grati profumi delle piante alpestri, è facile improvvisare confortanti relazioni. Evviva il sentimentalismo!!!
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La vecchia pastora, dolente per verità, della accelerata partenza dell'ospite proficua, ma sempre di carattere bonario, diceva a suo marito: Che brava zente tuti dò. Me giuraria che i se tole de boto. Ed il pastore, di rimando, come il più navigato: Cara ti…. ma no ti à capito, per Santa Veronica, che lù saria un bocon mato? El parla sempre de solo, el dise de le cose che no se pol capire un'ostia. Anca el so cane me par senza giudizio. Sta note gà roto el mel, gà disturbà la Signora, gà magnà el me ultimo codeghin, e gà barufato cola nostra bona Jena, corpo de Santa Frigonia!
Basta, nui semo abastanza contenti dei fiorini a bote che m'ha donai. Dio benediga quela brava dona, e ghe manda un moroso, bon come el sò povero marïo; ma che nò sia, tanto original, come el Casador lustrissimo.
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Nel pomeriggio del giorno medesimo, Alfredo e Zaira partirono assieme dalla casina pastorizia nota e guidati per breve tratto dal pastorello, percorrono il sentiero maestro, che li dovea condurre all'Alpe Climatica. Ma presumendo essi di giungere alla meta, senza la guida, intempestivamente la licenziano, previa lauta mancia. Ahimè, que' due amici di fresca data, distratti forse dal caloroso dialogo sui disinganni della vita, smarriscono il buon sentiero, e si trovano impigliati fra sassi e rovi, e poi nel fitto bosco, ove la notte li sorprende, ed in quel luogo disabitato, sono costretti a fermarsi. Non sapremmo, se quei due Esseri vaganti fossero da compiangere o da invidiare. Il viaggio però è allungato. La bella Stiriana, s'ebbe degli strappi nella gonna nuova di foulard color cielo, senza punto inquietarsene. Alfredo stavolta si diportò da vero cavaliere, perchè fu sempre pronto a soccorrerla onde non cadesse. Scelto per alloggio un angusto spazio erboso, cui faceva ombrello un Pino lussureggiante, quei due amici anzichè trovarsi a disagio, sono lieti di quella poesia, perfezionata dal tubare di due palumbe appollaiate sul Pino, e forse sorprese di vedere persone a quell'ora, in luoghi tanto romiti.
Lasciamoli ora discorrere fra loro quei due artisti di cuore, e lasciamoli riposare come meglio vorranno. Ivi nessun pericolo di insidia. Qualcuno lo preferirebbe ad un posto di prima classe in treno ferroviario.
Oh! ma il vecchio pastore, aveva affatto ragione, di spiegare a sua moglie, come quel sior lustrissimo, parlasse spesso de solo, e dicesse cose che non si poteano comprendere un'ostia. Alfredo credeva infatti che Zaira dormisse su quel verde naturale tappeto, mentre invece non era che lievemente assopita. Perciò eccolo poco stante a recitare la famosa apostrofe all'amore, del maestro di poesia, Ariosto
Ingiustissimo amor, perchè sì raro Corrispondenti fai nostri disiri? Onde, perfido, avvien che t'è sì caro Il discorde voler, che in duo cor miri, Ir non mi lasci al facil guado e chiaro E nel più cupo e maggior fondo tiri; Da chi disia il mio amor tu m'allontani, E chi m'ha in odio, vuoi che adori ed ami!
Zaira, che dicemmo parea dormisse, udì, ne fu dolente ma non lo confessò e solo disse, rialzandosi alquanto, dal suo improvvisato giaciglio: Ma chi è mai, quella fortunata donna, che voi amate sì fortemente, e che per ventura non vi corrisponde? È forse l'araba Fenice? …..
Pentito Alfredo allora, del proprio enfatico dire, chiese perdono collo sguardo, e si tacque fino al levar del giorno.
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Due dì ed una notte, impiegarono quei due buoni compagni di viaggio, onde giungere, senza nuovi contrattempi alla meta prefissa, cioè il paesello climatico di quelle altissime regioni. Con una buona guida, si poteva fare anche più presto assai, ma vi furono le fermate artistiche di una donna, e le esclamazioni poetiche di un uomo, che hanno fatto perdere tempo.
Molti viaggiatori alla pesca del clima refrigerante, giuntivi per diverse strade si trovavano già colassù, nel piccolo ma ben provveduto albergo.
Quel movimento, quella vivacità, quella eleganza femminile, in una parola, quell'andirivieni solito dei luoghi di bagni, di acque ferruginose o sulfuree, o jodiche, e degli ospizi alpini, dove non si fa altro che mangiare e bere (dicono) ed aspirare l'aria balsamica, non spiacquero alla Signora Zaira, abbastanza lieta del suo arrivo colà, sperando di vedervi qualche buona amica dei paesi natii. Alfredo invece non solo trovava seccante quel frastuono, ma per lui era anche l'antitesi della poesia. Organetti, chitarre, violini, contrabassi, tromboni, insieme all'ocarina mal suonati, venditori girovaghi di pessimi dolci, di fusa, di trottole, di S. Antonini, di fischietti, di castagne secche, ecc. ecc. si mettevano sempre fra i piedi, interrompendo ogni discorso, anche di qualche importanza. Per oggi, nessun incontro di persone note e care, incontri tanto soavi alla esistenza.
Quello che più seccava ad Alfredo, e che da un certo lato lo accorava, erano i questuanti laceri, tutti provvisti però di un istrumento qualunque.
N. B.—Tutti o quasi i questuanti del Regno, sono diventati da poco in quà, virtuosi di suono o di canto.
La loro musica commovente, fino allo stridor di denti, è più abbondante nei paesucoli. Ma che volete farci? Si devono compatire quegli infelici, avendo dovuto essi innocentemente, eludere la Legge, che confessiamolo, ha trovato soltanto di vietare la indecente questua al minuto, perchè indizio di oziosità, mentre non ha peranco scoperto il meccanismo di troncare la questua all'ingrosso, che è la prova della demoralizzazione.
E fosse quest'ultimo il solo malanno sociale!
Sonvi inoltre nel consorzio umano, specialmente nella seconda metà del Secolo XIX, tre categorie di individui che fanatizzano i buoni principi sociali-religiosi-politici.
L'una è quella dei mangia-poveri —l'altra quella dei mangia-preti —la terza quella dei mangia Signori. Abbiamo usata la frase di cui sopra, estranea, direte, e forse un po' troppo volgare, ma fu anzi per esprimere con maggior significato, il vocabolo distruzione, demolizione. Perciò dovete compatirci.
Queste tre categorie sono la rispettiva cagione dell'odio di classe, e ne conseguono le esagerazioni, ed i danni. Chi ha creata la prima categoria?—L'egoismo dei poveri fanulloni, senza pudore, che privano perciò, spesse volte di soccorso i poveri buoni e fieri; fieri perchè preferiscono soffocare fra quattro mura, la loro incolpevole miseria. = Chi ha costituita la seconda categoria?—Gli stessi preti, parecchi dei quali, dimentichi della loro santa missione, o scorretti od esosi od intriganti hanno accumulato tutte le ire anche sui preti esemplari. = E chi ha fatta nascere la terza categoria?—I ricchi medesimi, perchè allucinati dagli eterni leccazampe inorgogliti dagli inevitabili bassi adulatori, o da chi, per obbligazione, deve dar loro sempre ragione, hanno finito per erigere fra essi ed il non abbiente popolo onesto una nuova muraglia della China. Maggior intelligenza pertanto, minor orgoglio, per avere concordia, e da questa il generale ben essere.
Ormai, gridava un tale che moriva di inedia, ci mangiamo l'un l'altro, e parlava giusto; noi facciamo come i pesci, piscis pisciculum vorat, colla differenza però che i pesci mangiano per vivere, mentre noi viviamo per mangiare. Molti, per poter pascersi a sazietà su tutta la linea, alle spalle dei loro padroni, cercano in ogni modo lecito od illecito, di allontanare dal mulino gli onesti amici del mugnajo.
Ahimè, soltanto ora, noi ci accorgiamo di esserci scostati un centinaio di chilometri dall'argomento, di cui al Capitolo in corso, ma procureremo dì ritornare sul sentiero maestro.
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Caduta la notte di quel primo giorno d'arrivo di Zaira ed Alfredo, all'ospizio Climatico, Alfredo andò nella sua cameretta fin troppo modesta, perchè all'ultimo piano, verso corte, e quasi senza luce. Lord dovette farsi la cuccia sotto il letto del padrone. Si vede che l'Albergatore aveva buon naso, perchè tosto riconobbe la qualità stentata del suo forestiero; il prezzo del resto, non era stato di molto inferiore a quello delle altre camere possibili. Ma ciò non dava alcun fastidio al nostro Pittore, perchè egli, di solito, durante il giorno, passeggiava pei Colli circostanti, e la notte nel cortile, siccome fanno i conigli.
Nel mattino seguente si vociferava che altri quattro forestieri fossero giunti all'ospizio, cioè una signorina bella, giovane, elegante; una cameriera antipatica e due signori maturi, e molto impettiti. Lord, fa imbestialire anche il conduttore dell'ospizio, perocchè, secondo il suo vizio speciale, aveva portato in camera del proprio padrone, il prescritto registro dei forastieri. Gesummaria!!! Alfredo, potè leggere tosto, nell'ultimo foglio, il nome dì Violetta Giacinto. Un tremendo calcio a Lord, e la pronta restituzione al padrone dell'Albergo di quel registro, con mille scuse. Il padrone riconciliato con Lord (prudenza, quando si ha troppa paura dei grossi cani) conchiuse che dovrà essere un bravo portatore del selvatico. Nè per fortuna, si era peranco accorto, di un altro difettuccio del cane in parola, quello vorrei dire, di rubare formaggi e salami in genere.
Dio ti ringrazio che mi hai portata vicino la mia Violetta!! Il cuore me ne aveva dato il segnale più volte durante il viaggio! Esclamò Alfredo.
Ma il giorno tutto, impiegato da Alfredo nel passare e ripassare sotto le finestre dell'Albergo, non valse a vederla. Pare che gli ultimi forestieri giunti, avessero il loro alloggio, al primo piano verso la valle, come arrischiò a caso un cameriere, e che la signorina, non fosse escita fin'ora dal detto alloggio. Anche Violetta, certamente, non sapeva della presenza di Alfredo…… Il seguente pomeriggio, Alfredo, fatta una passeggiata colla sua compagna di viaggio, la lasciò per la di lei consueta toilette, e si provò a tentare anche l'ala sinistra della Palazzina verso la valle…… Nessun risultato.
Se non chè ad un tratto, Alfredo vede venirgli incontro Lord, tutto affannoso, tutto a salti, con un foglio in bocca. Quel ludro, me ne ha fatta un'altra delle sue!! Porta qui subito, porta qui! Lord obbediente, lascia cadere il foglio a terra, vicino al padrone. Siccome il foglio era aperto, ed Alfredo, sempre precipitoso, non badò alla soprascritta, potè leggerlo senz'altro…..
Oh! fallita speme!….. Alfredo credeva leggervi una lettera di Violetta a lui. All'incontro Alfredo vi lesse quanto segue, (rimanendone impietrito e cadendo al suolo).
(E cadde come corpo morto cade) DANTE, cant. V Inferno.
Stimatissima Suor Maestra!
Dalla Stazione climatica alpi tirolesi, 14 Aprile 18….
Sette anni che non ho la fortuna di baciare la mano alla mia carissima e buona maestra di collegio. Oh! quel tempo era ben più felice per me. Nessuna contrarietà. Nessun disinganno. Vita senza pensieri, come i fanciulli. Ora tutto cambiato—e non ho che 23 anni nessuna libertà; la società è cattiva. L'indipendenza, una chimera. Gli ideali del cuore soffocati al loro nascere dagli intriganti. Ed io mia buona e santa istitutrice, già stanca di vivere nel mondo, e quantunque ancora giovane assai, ho deciso di ritornare al convento, per farmi monaca, se la Madre Superiora mi vi accoglierà, come spero…. Ciò avverrà fra un mese al più tardi. Siate per ora segreta, ed abbiatemi, nel nome di Gesù, sempre la vostra affezionatissima
VIOLETTA.
e sotto stava l'indirizzo: «Convento delle Orsoline, città di Ipsillon.»
Vi mancava questa pel misero Alfredo….. Ei rimase nel luogo dove aveva letta la lettera fatale, tutta la notte. Qual colpo tremendo, qual vuoto nel suo cuore tanto innamorato ed impressionabile. Porco d'un cane, prenditi questo, fece, con disperazione, battendo sul capo dell'inconsapevole Lord, la cassa della appena imprestatagli ghitarra, nello scopo prefisso di fare la serenata alla sua Violetta. Povera ghitarra, causa la sua antichità, se ne andò in quattro pezzi, come se fossero quattro ghitarrine. Così, Alfredo, dovette poi pagare al cameriere proprietario, lire venti, trovando la domanda anche troppo discreta….
Spendili adagio, adagio, consigliava Maddalena al fratello, mentre gli dava il gruzzolo dei risparmi, all'atto della partenza….. Povera Maddalena, e povera Elisa….. il vostro Alfredo ha già consumato per una vecchia ghitarra, il pranzo di una settimana. Noi speriamo del resto, che il nostro artista, abbia appreso, siccome le migliori serenate, siano quelle concertate….. in tempo utile!
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Anche la carissima Zaira, dal canto suo, (vedi contrasti della vita) pensava al suo simpatico compagno di viaggio, mentre stava pettinandosi la lunga e nera treccia, coll'aiuto di una Kellnerin dell'Albergo. Non sapea spiegarsi però l'improvvisa freddezza del Pittore e conchiudeva… è un caro uomo, ma un distinto eccentrico…… Parla piuttosto frequentemente da solo. Una sera, non sapendo che io lo ascoltava, mi ha fatto la rassegna delle donne più famose in amore, cioè la Mirra della tragedia dell'Alfieri, la Francesca da Rimini, le figlie di Lot, Cleopatra, Semiramide, Adelaide la figlia di Luigi XV, un trattato ab immemorabili, di mostruosi incesti e che mi pare estraneo alle sue aspirazioni puramente sentimentali; una specie di mostra artistica o per un pittore o per uno scultore, ma non per un poeta gentile. Ma io non ho mai potuto cavargli dalle labbra il nome di quel suo grande amore infelice, di cui sospira sovente.
Compiuta l'acconciatura, la quale giova alle donne come l'avena ai cavalli, andò Zaira a passeggiare sul viale dinnanzi all'Albergo, in cerca, probabilmente del suo misantropo….. Lord, il girovago, mentre stava trastullandosi con due o tre cagnolini, si accorse della presenza della signora dai biscotti, e di galoppo le và incontro. Lord, era l'antitesi del suo padrone; non era mai privo di appetito. Zaira lo accarezza, gli dà un pan dolce. E…. dov'è il tuo padrone? Dov'è…. parla caro Lord. Questi, simile alla brutta bestia del Dante: E dopo il pasto ha più fame che pria, inghiotte d'un colpo il panetto, dimena la coda e guardando Zaira, corre verso la valle. Zaira ha compreso, lo segue, e presto vede il padrone di Lord a cavalcione di un muricciuolo che pare dipinga a matita sopra un foglietto. Oh! non v'ha a dubitarne. Farà il ritratto alla donna de' suoi pensieri, che ormai conosco, senza saperne il nome, pensò Zaira. Lasciamo che si persuada, quel buon giovane, e noi accontentiamci della sua amicizia, che in realtà è preziosa.
Alfredo, nel guardarsi attorno, si accorge della sua gentile compagna di viaggio, e naturalmente da perfetto cavaliere, le va incontro. Zaira, gli sorride simpaticamente, e… come si và col barometro oggi? interrogando Alfredo…. Male, male, mia carissima…. Tempo burrascoso! Vado cercando, il mio tipo solito, per ritratti, o non v'è caso di poterlo rilevare…. da qualcuna delle finestre dell'Albergo, che guardano questa vallina. E perchè non avete ancora fatto il ritratto a me, buon amico? A voi lo farò ad olio, ed in grande perchè lo meritate. Bastò questa insolita gentilezza di Alfredo, perchè Zaira ne fosse lietissima. Forse un po' di gelosia piccina piccina, e non siccome la gelosia grossa di Alfredo, discendente in linea retta di Otello. Zaira si assise sul muricciolo presso Alfredo, e lo pregò a lasciare quell'abbozzo di ritratto a matita. State invece allegro, sussurrò.
«Nulla die sine linea» (nessun giorno, senza un fatto spiacente) sclamò, inqueto Alfredo, gettando la matita sull'erba…. Jeri una terribile scossa all'anima mia già troppo amareggiata, stamane lassù all'Albergo, mi parve essere pedinato da un figuro sospetto, e mi capirete buona Zaira, noi artisti del libero pensiero, in questi giorni, nei quali sembra rigermoglino i partiti avversi l'un l'altro…. potremmo avere in periglio la nostra libertà personale. E' un brutto momento questo o amica. Dai modi diversi di vedere, nasce l'odio. Si vorria, a difesa, imprigionare la mente, e non potendolo, rendere schiavo il corpo. Speriamo che non si ritorni ai tempi di ingrata memoria. Si teme della Democrazia, la grande alleata della giustizia e della eguaglianza fra gli uomini, e la nemica, quindi, dei privilegi…. Voi mi avrete compreso abbastanza, amabile donna.
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Quella gentile Stiriana, così squisita nelle arti nobili, e non profana della politica, aveva bene indovinati gli ideali di Alfredo, e la cagione del suo recente lagno. Perciò non ne ebbe meraviglia: ma anzi crebbe in simpatia verso di lui. Voi da pochi giorni, disse, mi foste amico sincero…. lo confermi il nostro idillio fra i monti. Un'altra volta, in tempo più lontano, vi incontrai, e ne ebbi impressione gradevole. Cominciai allora a studiarvi. Voi siete un egregio uomo, ma assai fantastico. Il vostro cervello, mi pare di vederlo, bolle mai sempre siccome l'acqua di una caldaia a vapore, col pericolo dello scoppio. Non siete completamente pazzo, ohibò, ma la vostra testa, scusatemi, la mi sembra un pochino malata nella parte che riflette le più concrete sensazioni umane. Voi vorreste, ma invano, sottrarvi, alle necessità della vita moderna, e vivere sempre tra le nubi, e fra gli angioli. Calmatevi ormai, e prendete il bene ed il piacere, dove si trovano meno ritrosi, nè badate d'avvantaggio, da qual parte arrivino; occasione, audacia, fortuna! Il valico arduo, ad uno è facile, ad un altro!….. Questo è il mio debol modo di pensare e di vivere….. perchè il mondo va così. Spetta a noi, in certi casi, a fare da valvola moderatrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Mia bella Stiriana, soggiunse Alfredo; voi mi rappresentate oggi splendidamente, lo scetticismo. Mi duole di non potervi seguire in quella via….. Io amo da sette anni (ci siamo) una fanciulla divina; l'amo dell'amore di paradiso. Ma questo sublime sentimento, mi ha rubata la pace, perocchè temo (non è per fortuna la certezza), temo di non essere da lei, e senza sua colpa, al pari riamato, e perchè l'educazione sua, lo comprendo, differisce dalla mia. Diversa coltura, educazione monastica e presenza di ascetici principii….
Anch'io, sorse a dire vivacemente Zaira, sentii una volta battermi forte il cuore in petto, e già ve lo dichiarai, perchè al pari di voi provo gli affetti! Anch'io ho bisogno di nutrire l'anima mia d'amore, ma io mi rimango, per ora, qui sulla terra, e non viaggio come voi, nelle più alte sfere della volta celeste, siccome fanno gli areonauti, che poi finiscono a rompersi il collo sopra le piante dei campi…..
Oh! mia amabilissima Zaira, voi non sapete forse, come la poesia, il sentimentalismo, non abbiano leggi e non conoscano il tornaconto, cioè il nudo egoismo dei bruti. Voi forse non conoscete che il contrasto aguzza le passioni, e che nella nostra anima è un ente misterioso, che non ha nome chiaro, che non si può esattamente definire, che impera sulla umanità, e che perciò soltanto la rende superiore alle bestie. La dea Minerva non è conosciuta dal cuore, ed egli misero, sconta talora a caro prezzo quella sua ignoranza. Questo ente sarà l'amore? Probabile che sì, ma dell'amore, vi sono troppe varietà, a guisa dei fiori. Alcuni, vedete, specialmente quelli alla moda, preferiscono l'amore di occasione, proprio dei nostri odierni costumi, che si incontra nei gabinetti artificialmente profumati ed illuminati, in teatro, sul corso, ai balli, od in carrozza ad otto molle. Io all'incontro, prediligo l'amore che si può trovare anche improvvisamente nelle foreste, come avvenne di Oronte e Giselda al tempo delle Crociate, ed anche senza il fiume Giordano, l'amore che si può acquistare fuggendo colla rapita; o nel casolare di una pastorella, o nella scalata di un vecchio castello, irto di pericoli ed a ponte levatoio chiuso; al pattinaggio sulle rive di un lago gelato, sotto una quercia o in una grotta. L'amore difficile, perchè dura di più l'amore misterioso, geloso, sovraumano, contrastato, periglioso. Io vorrei l'amore di Elisa col traditore Enea, vada pure bruciata una seconda Cartagine, e lasciamo dire il contrario ai seguaci di Loiola. E noi dal canto nostro, crediamo che Alfredo, non sapesse di esagerare o di fare della parodia. Egli era certamente in perfetta buona fede.
A tanta e sì spaventevole eccentricità, la bella Stiriana sentì compassione, e se non avesse avuta, per Alfredo, già molta simpatia, avrebbe certamente recitato in cuor suo, il Libera nos domine, da simili amanti. A questo punto Alfredo offrì il braccio alla sua graziosa compagna di viaggio, ed entrarono nei loro rispettivi alloggi, avvertendo, che il pittore malcontento della cameraccia destinatagli dall'oste buon naso, andò a sedersi ed a pensare in cortile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
PARTE PRIMA
CAPITOLO XII.
L'aria fine è un farmaco potente
Quante guarigioni meravigliose, ha fatte l'aria delle alte montagne!… V'è talora qualche pericolo ai polmoni delicati, col salire, per esempio a 1800 metri sul livello del mare e collo stare sotto le nevi eterne. Lasciando, del resto, in disparte, per oggi, le eccezioni, è indiscutibile (come aveva detto il vecchio pastore di nostra conoscenza) che più si va in alto (d'estate, già s'intende) maggiore è il refrigerio di tutto il sistema nervoso. Colà viene l'appetito anche ai morti. Peccato che i viaggi alpini, costino in massima, quanto gli altri viaggi, per cui non sono sempre alla portata di tutte le borse. Talvolta quei viaggi non sono che un semplice passatempo, non dissimile dalle gite alle acque zulfuree, ferruginose, ecc. ed ai bagni di mare. Taluno va ai monti, perchè sa che ivi andò qualche persona, o famiglia di suo genio. Tal'altro, perchè nella stagione tale (sempre quando in pianura fa caldo) sono andati parecchi, e si ha vergogna di far sapere che si è rimasti al piano di borgate o città, ove si è molto conosciuti. Taluno si reca alla cura climatica, in vista di vantaggioso Imeneo od in cerca di avventure non bene definite, ma che ponno restare semplicemente nella sua fervida immaginazione, sia pur giovane o matura. Alcuna per sottrarsi parecchie settimane, da maligne dicerie, o per sfuggire a talune noiose o compromettenti assiduità. Infine per avervi maggiore libertà d'azione. Le signorine vi potriano trovare un prossimo futuro maritino, e probabili idilli, cose affatto chiare, secondo la vocazione universale del sesso femminino. Negli alberghi piccoli o grandi i viaggiatori alpestri stringono più facilmente relazione; ivi si suona, si balla, si canta, si giuoca, e, naturalmente, a somiglianza degli antichi patriarchi, si fa anche all'amore senza tanta soggezione. Lassù pertanto, trovano conforti le varie classi dei mortali, di tutti i gusti e di tutte le età. Voi colassù vedrete, in maggior numero, dei celibatarii impenitenti, delle vedove sconsolate, e qualche mal maritata. Tutta gente, siamo intesi, che ha buon tempo, perchè ha quattrini a sufficienza. Quanto ai maturissimi che volessero andarvi, quale 2.a edizione del Don Pasquale, in cerca di avventure galanti, per essi giù di moda, li consiglierei a guardarsi di tre cose: 1. Dal portare il lume—2. Dal capitalizzare senza interesse—3. Da qualche ricordo sgradito alle spalle od al ventre. Colassù saranno andate anche delle Rosaure o delle Colombine. (Vedi Goldoni Commedie). Colassù, in una parola, troverete, con frequenza anche un buon nerbo di cacciatori, per vocazione o meno, e di varie qualità, cioè, i cacciatori così detti conservatori della specie (vedi il nostro Alfredo) perocchè se anche tratto tratto, fanno fretta incutendo spavento alla incontaminata selvaggina, pure ne conservano assai spesso la esistenza, con gaudio dei cacciatori vandali ed esclusivisti.
I cacciatori di pecunia, con tutte le trappole insegnate dall'arte venatoria, non escluso qualche lecito ricatto, ma colla probabilità di essere presto o tardi burlati dalla selvaggina assalita… I cacciatori di doti i quali sono affatto indifferenti intorno alla qualità squisita del selvatico. Finalmente, ma qualche rara volta in causa dell'aria troppo fine, vi si trovano cacciatori di ciondoli, pei quali ogni mezzo è buono; fucili, reti, lacci ed imboscate. Noi volevamo far grazia, per oggi, agli uccellatori di rinomanza, che può diventare compassione, coll'arma dei libri a stampa, fra i quali il sottoscritto co' suoi confratelli ed alle uccellatrici di cortigianeria, colle potenti armi dello splendido volto e del seducente abbigliamento; ma non vi seppimo resistere. Siccome mitigante però diremo, che molti e molte vanno su quelle cime, senza un secondo fine, ma per puro scopo di sollievo allo spirito, non respingendo, in caso, taluni svaghi, concessi dalla Provvidenza. Sarebbe una vera asinità, il rifiutarli!
PARTE PRIMA
CAPITOLO XIII
Una quarta parte monomaniaci
Ora che siamo in ballo, balleremo imperterriti, col disordinato nostro sistema nel periodare, e colla forma quasi stenografica.
Il venticinque per cento della umanità, scusate lettori della confidenza che ci prendiamo, sarebbe, diremo, poco seria. Non intendiamo la serietà apparente soltanto dall'esterno, ma la vera serietà che è sita nell'interno nostro.
Ed onde persuadervi, se sarà possibile, piglieremo ad esempio l'argomento delle collezioni. Questo campo è vastissimo, fertile assai….. Fate pure il vostro giro di storia naturale, fra i parenti, gli amici e le conoscenze, entrate nelle loro ricche o modeste abitazioni e vi troverete. Nell'una, dodici gatti o gatte di varie grossezze, razze e pelo. Nell'altra otto o dieci cani, di specie diverse, cioè dal botolo al mastino, che hanno l'istinto di lacerare i pantaloni, ai visitatori del loro padrone. Nell'altra una ventina di gabbiole e gabbioni, reclusori di passeri, fringuelli, canarini, cingallegre, merli ed è miracolo se non vi staranno anco una civetta od un corvo. Nell'altra una scuderia con dieci cavalli, di vario pregio, dei quali soltanto la metà, è destinata a servire il padrone gran Signore, la seconda metà deve rimanere inoperosa nella stalla, esposta agli amateur, siccome le statue nei musei. In una casa di mediocre censo, troverete centinaia di quadri oleografici, disseminati in tutte le camere compresa la cucina e le cabinet de dècence.
Nel salotto di un mezzo Signore, mille monete di rame e d'argento antichissime, e di quelle d'oro pochissime, in causa del sistema cartaceo. Qua migliaia di francobolli d'ogni civile nazione, distribuiti pazientemente su cento fogli, in Album elegante di marocchino. Là centinaia di vasi e vasetti, colla varietà dei fiori, accolti anche nella camera da letto, onde tenere nutrite le nevralgie cerebrali….. Cambiate giro e facciamo un bricciolo di fisiologia. Questi « Logora i florid'anni e il censo avito » fra i « Lascivi balli e le tarde cene » nei Teatri, al giuoco d'azzardo e fra le studiose della orizzontalità non precisa, verso gli amatori del centro di gravità. Quegli fabbrica tutto l'anno, per causa del suo cosidetto male della pietra erigendo e demolendo alternativamente e senza intermezzo, la propria casa, tanto per non arrivare mai a farsi un alloggio compiuto e confortable. Noi qui faremo grazia ai lettori, forse già ristucchi, di molte altre monomanie, ma non potrei ommettere quella compassionevole dello scrivere e dello stampare libri grossi e piccini, della quale è vittima anche il sottoscritto, e che propriamente va denominata la monomania di rinomanza, antica siccome il mondo, numerosa quanto le stelle e che ha fruttato molto bene in vero, e molto male talvolta. E' innegabile del resto, che « La lettura è la miglior maestra.» Assioma accolto da mezzo mondo.
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In quel paese alpino, visitato, come si disse, dai pescatori della salute florida, o delle avventure galanti, viveva un vegliardo che chiamavano il Romito. Egli a guisa di Ippocrate, conosceva la potenza di talune erbe e radici, ne possedeva una sterminata collezione (probabilmente un altro monomaniaco) e ne faceva uso, talvolta, con successo, verso chi, ne lo avesse richiesto, per malattia reale od immaginaria.
Questi viveva quasi solitario, dicesi quasi, perocchè insieme a lui viveva anche una specie di Maga, chiamata Proserpina, tanto brutta e nera, da non smentire il nome della moglie di Plutone Dio dell'Inferno. Essa dispensava a modico prezzo, il futuro, a quelle persone dell'uno e dell'altro sesso (in maggioranza però donne), che le prestavano credibilità. Di tali indovine ne van piene le fiere, i mercati, le ville d'ogni parte del globo. Un mestiere siccome un altro, tanto per mangiare senza troppi sudori.
La casupola del Romito e della Maga, era confiata da pochi ambienti e mobilio di misero aspetto. Era situata nella parte più eminente di quel villaggio, e si considerava quale un avvenimento strano, quello di vedere i due soci in pubblico, e di giorno. Avranno passeggiato forse insieme la notte, come talvolta faceva da solo, anche il nostro amico pittore.
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PARTE PRIMA
CAPITOLO XIV
La Chiesuola dell'Alpe
Violetta era escita dalla casa della Indovina più mesta che prima. Non si è mai potuto penetrare, quali auspici dell'avvenire madama Proserpina le avesse fatti.
Violetta, appena risposto, con serietà, al saluto cortese di Zaira, che incontrò sulla porta dell'Empirico, lo specialista contro i più delicati incomodi nevralgici, sentì desiderio di andare alla Chiesa, per essa dolce abitudine.
Sulla più alta prominenza di quel paesello alpestre, isolata e discosta un tiro di fucile dalle casupole sparse, sorge una piccola chiesa di povero aspetto, ma da poco tempo restaurata, sullo stile gotico, geniale. Era capace soltanto di duecento persone circa, quando stassero pigiate. Nel momento in cui Violetta s'inginocchiò su di una panca, presso l'altare della vergine, nessuno stava in quel sacro recinto. Un momento di grande poesia, per un artista, per un poeta, un perfetto quadro di Raffaello, mentre colà pregava una seconda Fornarina.
La quiete, il silenzio, l'isolamento di quel luogo, a Dio consacrato dai fedeli, erano più cari alla già mesta Violetta. Tanto è vero, che poco prima essa rimandava sola all'albergo, la sua antipatica e rozza cameriera, che dovea informare quei due signori, parenti o tutori, della breve assenza della signorina, pel noto scopo pietoso.
Ma per mero caso, ed alla stessa ora, anche Alfredo, per bisogno di solitudine, a lui tanto amica, passeggiava nella località più eminente del villaggio, presso la Chiesuola, d'onde godeasi lo spettacolo grandioso dell'orizzonte che si stendeva fino alla pianura. Quanto poeticamente mesto in quell'istante Alfredo. Quanti ricordi di famiglia, quanti affetti diversi commovevano insieme la sua anima gentile appassionata. Aveva gli occhi umidi di pianto e contemplava la volta celeste! . . . Egli, in quel momento non sapeva certamente di essere una creatura di questo mondo ingrato. Anche Alfredo, siccome avea fatto Violetta, provò brama di visitare quel Romitaggio, per la semplice ragione dell'arte sua od invece per la misteriosa attrazione magnetica di due corpi? Egli andava quasi mai in Chiesa, sebbene in cuore, religioso, perchè colà d'autunno e d'inverno si ode sempre tossire forte, e quel rumore secco gli dava ai nervi. In Primavera si sternuta, e d'estate vi si trovano pulci in quantità superiore al bisogno. Sapeva però che la Chiesa quando è vuota o quasi, si presta pietosamente a raccogliere le anime turbate, in pensieri soavi e tranquilli (segreti del misticismo, misteri dell'anima umana). Colà rinasce, per effetto della nostra debolezza, la speranza su ogni cosa, e per questo le Chiese sono frequentate più dalle fidenti donne che dagli uomini, comunque sia la rispettiva coscienza . . . . . Ma ora proseguiamo . . . . . . . Alfredo rimane sulla porta aperta della Chiesetta e si accorge di una giovane, che fra il silenzio mistico, prega dinnanzi all'altare della Beata Vergine. Quantunque la pia avessegli rivolte le spalle, egli la riconosce tosto . . . . è Violetta! . . . . . . Numi del cielo, siate misericordiosi, e calmate i violenti battiti del cuore di Alfredo! Quale consolazione per quell'anima innamorata, che invano da tre giorni, cercava vedere l'amata fanciulla!… Le gambe però non lo reggevano più e dovette sedere sul gradino del primo altare…. Un sospiro mal rattenuto, fece accorta anche Violetta che qualcuno era entrato in Chiesa. Si rivolse, vide e riconobbe, nè potè frenare entro le labbra il suo ammagliante peregrino sorriso, quel sorriso che aveva altre volte inebbriato Alfredo, e che si può chiamare la fonte del suo grande amore. Quella dolce rimembranza incoraggia Alfredo, ma la forte emozione, gli innonda tosto di lagrime il volto, e siccome un fanciullo piange. Quei due cuori sono dunque per volere del Cielo, riavvicinati? Il quadro di Giulietta e Romeo, di Paolo e Virginia, sono di smorto colorito al confronto del nostro quadro vivente, Alfredo e Violetta.
Essi finalmente si baciano, colla sfumatura possibile soltanto al pennello fine del Correggio, e colla purezza degli angioli. Ma Violetta ricompostasi ad un tratto e fissando i suoi begli occhi sull'immagine della sovrastante madonna, allontana dolcemente Alfredo. Io sono votata a Dio sommessamente esclama: Lasciatemi.
Quanto era bella in quell'istante Violetta! Quanto scultorio il suo collo d'alabastro! Nessuno certamente dei quattro Evangelisti, tanto ricchi di scienza, dipinti sotto la volta della Chiesa, avrà deplorato quell'incontro e quel contegno sì poetico. La poesia piaceva anche ai Santi; piace anche a Dio, il quale pel primo, di poesia ha popolata la terra, col Sole, colle Stelle, colla bellezza, col canto, col suono, coi fiori, e coll'amore fra due esseri dissimili nel sesso! Alfredo tanto rispettoso verso la donna in genere, e più ancora verso l'amata Violetta, alla guisa dei cavalieri antichi (a quanto dicesi) lasciò sola la sua Regina ed escì confuso all'aperto « Errò senza Consiglio e senza guida » (Tasso, Erminia, Canto VII) ma nella sua anima sensibile, assai confortato.
Quello strano essere, si accontentava di poco; aveva avuta in quel momento l'intenzione di ridursi alla sua brutta camera dell'albergo, non lontana dalla chiesa, ma invece si trovò, dopo cinque minuti, nella valletta sottostante. Accortosi a questo punto come le gambe lo avessero trasportato là dove non voleva il pensiero, senza stupirsene, perchè cosa non nuova, decise di risalire il colle e di fare una visita anche lui a Proserpina la vecchia indovina di quel paese vicino al cielo. Quella signora, pensò Alfredo, essendo la moglie di Plutone (come dice la mitologia) e la Regina dell'Inferno, dovrebbe saperne più degli altri. Io non sono mai stato nè spiritista, nè superstizioso, (Alfredo, come sappiamo, era soliloquo), ma in questo momento, provo anch'io la tentazione di sentirmi predire il futuro. Coraggio dunque.
In quattro altri salti, Alfredo è già sulla porta della donna padrona dell'inferno. Non ebbe bisogno di fare anticamera, perocchè a due passi dal vestibolo, era là in piedi la dea nera (certamente un'africana) che con un cenno della mano lo invitò a sedere su di un vecchio baule, da cui sporgevano pergamene antiche. Alfredo volea parlare ma quella signora appoggiando verticalmente l'indice sulla bocca, fece comprendere che bisognava tacere. Ed invece cominciò a parlare ella, giacchè anche le donne dell'altro mondo, devono parlare sempre e per le prime.
Dunque voi, giovanotto, ma sulla trentina, vorreste conoscere il vostro avvenire?
Non importa che io sappia della vostra condizione. Mi pare del resto che non siate nè un avvocato, nè un giudice, nè un professore di statistica, nè un medico alienista, ma vi credo un mezzo artista, dal modo di vestire, ed un mezzo poeta dal modo di portare il cappello troppo alto sulla fronte. Ebbene il vostro avvenire, eccolo:« Se volete essere per lo innanzi, meno infelice, praticate senza dilazione, col trapano, un piccolo foro al capo nella scattola posteriore, cioè al cervelletto, lasciate escire tutta l'acqua calda, e poi con una siringa, rimettetevi tutta acqua fredda (una inezia). Quanto alla durata della vostra vita, non si sà di preciso, ma posso dirvi fin d'ora, che se proseguite colla stessa andatura di prima, andrete più presto alla casa di Plutone mio parente, al quale però io vi raccomanderò senza alcun fallo….ed abbiate inoltre spesso presente, il Pedro adelante cum juicio, _del governatore spagnuolo di Milano, al suo cocchiere, mentre passavano framezzo alla sommossa popolare di quell'epoca_¹.
¹ Pietro và avanti con giudizio.
Quelle parole di Madama Proserpina, fecero su Alfredo l'effetto di un litrone d'acquavite, perocchè quale un ubbriaco, non sapea levarsi da quel perfido sedile, quantunque per alcuni chiodi si pungesse le natiche. Non ebbe altra energia che quella di chiedere, quanto era il suo debito? Nulla, esclamò la Indovina, perchè voi siete povero com'io, ed intanto imparate ancorachè« il male che noi facciamo, non ci attira tante persecuzioni e tanto odio, quanto ce ne attirano le nostre buone qualità.»…. addio!! Quella profetessa spinse in tal modo, il malato a fare, come suol dirsi, le valigie pel ritorno all'antica sua dimora.
Pertanto, i nostri compiacenti lettori sanno ora che alla Cura Climatica Alpina, erano andati in quella primavera, fra molti altri, anche alcuni personaggi importanti del nostro romanzo, cioè Violetta, Alfredo, Zaira. La prima per riguadagnare la sua perduta giovialità; il secondo, per far sbollire, potendolo, il calore del capo constatato dai tecnici e dai profani, di quaranta gradi centigradi; la terza per guarire in qualche maniera, da' suoi piccoli disturbi isterici. Perciò non sarebbe strano, accogliere il paradosso; che per alloggiare le menti positive o sedicenti serie, potriano bastare i manicomi vigenti; mentre per ricoverare decentemente tutti i monomaniaci esterni, si vorria un locale vasto quanto il globo terracqueo.
E se non altro, avremo il magnifico piacere, di vedervi rinchiusa, come sopra, anche un po' di gente troppo seria.
PARTE SECONDA
CAPITOLO I.
Il ritorno di Alfredo
L'Episodio nella Chiesuola dell'Alpe, aveva bensì rialzato alquanto il morale di Alfredo, ma la sua consolazione fu assai breve, perocchè il giorno dopo Violetta ed i suoi seguaci, erano scomparsi dall'Albergo climatico! Nè il preciso motivo di quella probabilmente intempestiva partenza, fu noto. Alfredo, per la sua fantasia riscaldata, spiegava il fatto siccome una improvvisa decisione di Violetta, onde sollecitare il proprio ritiro nel Convento delle Orsoline, o forse perchè sapesse della ricetta di Proserpina sua conoscente, suggerita ad Alfredo, e per quanto sopra egli sempre impressionabilissimo, ne provava rimorso ed affanno, tanto maggiore perchè aveva letta la lettera portatagli pochi giorni innanzi, dal suo cane ladro. Se Alfredo fosse stato un uomo come tanti altri, poteva anche presumere, essere la partenza dei quattro personaggi suaccennati, un caso qualunque; un affare ordinario; ma Egli, che, non aveva mai voluto acconciarsi agli affari ordinari, vi almanaccava intorno, ripetendo: Non v'ha effetto senza una causa speciale, precisa. Violetta dunque, diceva a se stesso, è partita da qui co' suoi tutori, decisamente, od in causa della ricetta di Proserpina, forse anche a Lei nota, od in causa del mio bacio in sfumatura, equivalente ad una terza parte soltanto di quello della Francesca da Rimini, quindi in pena avrò il Purgatorio secondo i credenti…… Questa l'idea fissa di Alfredo e noi sappiamo col Poeta gentile:—Che il cangiar di natura, è impresa dura.
Vada pure in Convento la sciagurata, gridò, ma io la rivedrò anche in quel recinto delle sepolte vive!
E come fare poi?—Niente di più facile—le monache Orsoline non hanno penuria di danaro, perocchè esso suol entrare anche nei luoghi sacri. Io faccio un quadro di grande formato, che rappresenti a mo' d'esempio: Il Parlatorio del Convento di monache. Violetta, nel quadro in parola, sarà la figura principale, la più espressiva, la più seducente….. Ella starà dietro la cancellata frammezzo ad altre monache meno belle, e meno giovani, e sorriderà, come una volta, ad un visitatore. E quel visitatore?….. Alfredo, naturalmente!…..
Ciò compiuto, pensò, io vado al Convento, col mio quadrone e ne propongo la vendita a quelle sante femmine. Le Orsoline lo acquistano: Onde poi collocarlo bene e probabilmente nel Refettorio, converrà che l'autore sia presente per la questione della luce, e per conseguenza il Pittore entrerà nel monastero. Violetta certamente, quale amante dei quadri di genere, sarà fra le monache che osservano il dipinto, ed io in tal modo, potrò rivederla. Oh! se Violetta fosse quale la Suor Teresa del noto Dramma, dovrebbe ritornare al secolo e…. volermi bene più che prima, per forza di quel lavoro a lei sola dedicato!……
E per dare esecuzione sollecita al famoso progetto (che al vaneggiamento assomigliava) il Pittore decise di ritornare in fretta al suo studio, onde lavorare alacremente intorno al grandioso dipinto. Dio voglia che allo sventurato pittore, non accada quanto occorse allo stovigliere del Pignotti. E con un colpo solo e in un momento—tutte gettò le sue speranze al vento. Il progettista nella sua superba fantasia, avea mandati all'aria i bei sogni di grandezza, con un calcio famoso nel paniere de' suoi vetri e cristalli!!
Sarà, del resto, dovere di gentiluomo, congedarsi prima amichevolmente da Zaira, la quale, pel suo affettuoso contegno avea meritato tutti i riguardi. Dessa si fece mesta a quell'annuncio, ma non mosse lamento. Segnale, pensò, che noi non siamo dello stesso modo di vedere, e Zaira aveva ragione, perocchè la Creatura umana sente simpatia maggiore verso quegli esseri che hanno la medesima indole; e che nel proprio interno a Lei sembrano assomigliarsi. Similia similibus sequuntur. E' questa una specie di scusa delle proprie opere o buone o prave. E colla reciproca promessa di rivedersi presto in qualche angolo di questo mondo, que' due buoni compagni di viaggio, si strinsero espansivamente la mano e si lasciarono. Alfredo discese, a guisa di un capriolo, quei monti, col suo indivisibile Lord, e coll'arrugginito fucile. Povera caccia, quanto trascurata! Zaira si fermò colassù qualche giornata ancora, insieme ad un amica compaesana, colla quale poi si restituì al proprio domicilio. Durante il viaggio di ritorno a Trieste, anche Zaira fermò in cuore un progetto, certamente meno fantastico di quello d'Alfredo, colla speranza di mandarlo ad effetto quanto prima.
Tanto era buona e generosa quella donna, verso gli infelici, i quali il mondo gaudente abbandona, perchè sono troppo indipendenti o troppo sinceri o perchè si annoia del loro antipositivismo…. Zaira era una perfetta artista.
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Ed Alfredo dal canto suo, avrà potuto viaggiare stavolta senza tante precauzioni, perocchè, in forza di un recente indulto esplicato dagli incaricati, anche i sospetti rivoluzionari erano liberi, salvo gli ulteriori provvedimenti del caso.
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Maddalena ed Elisa, quelle due esemplari, e misere fanciulle, avevano vissuto del loro lavoro, nel tempo di assenza dei fratello, che fu di circa un mese. Sempre melanconiche e trepidanti sulla sorte del loro Alfredo, del quale non avevano notizie, in causa dei luoghi foresti ove avea viaggiato, quantunque un vigliettino l'avesse fatto, che andò smarrito forse, o forse sequestrato. La corrispondenza epistolare, soffre anch'essa, a norma dei tempi, le sue eccezioni. Perciò in certune eventualità, bisognerebbe ricorrere ai sotterfugi. Per ingannare l'olfato dei segugi, anche la lepre, al mattino, pria di accovacciarsi, spicca un'enorme salto, e questo, la salva tante volte dai cani e dal fucile…..
Maddalena avea saputo già dall'amica Linosi, sua coetanea (perchè entrambe poco al di sotto del sesto lustro) abbastanza, per conoscere della passione di suo fratello, ma di questo, poco si era commossa. Alfredo, avea promesso al letto di morte della loro adorata mamma di non abbandonare le sorelle, di non ammogliarsi, ed inoltre la famiglia Blandis era troppo povera in confronto della famiglia Giacinto. Le classi patrizie, la borghesia aristocratica, non derogano dalla massima di raddoppiare, coi matrimoni, le sostanze…..
…. Del Commendatore Aringa dopo il duello così felicemente risoluto, non se ne parlava più e da un mese circa lo si diceva partito per un lungo viaggio.
Quanto a Donna Tullia, non vedendo mai giungere il suo ritratto che dovea farle Alfredo, dichiarò a Maddalena che non occorreva più farlo. Dicevano in paese, che quella brava signora avrebbe presto sposato in seconde nozze il praticante farmacista signor Brichetti Galeno, un complesso veramente confortevole. Quel giovanotto era nato in Luna piena e perciò aveva dal suo lato la buona sorte. Da poverello, diveniva signoretto, salvo ecc. le complicazioni eventuali dell'avvenire.
All'Abatino, era scappata la serva, perchè non poteva fare la padrona. Il maturo signor Balena, ad onta della pancia conica, che lo rendeva pigro, l'avean fatto giudice Conciliatore del Comune, ove per fortuna, avveniva una quiestioncella sola all'anno, che felicemente risolvevasi in causa del suo non comune buon senso. La giovanetta Elisa, sospirava talvolta, non vedendo chiaro, come suo fratello ed altri, potessero con indifferenza rinunciare al matrimonio. Troppo giovane era tuttavia ingenua. Don Stecca Pancetti, il Cappellano, era sempre di tetro umore, perchè la questua ecclesiastica andava deperendo a vista d'occhio. Violetta era tuttora in viaggio verso il nord, mentre Alfredo ritornava a casa, verso il sud. A numerare i polli suoi, tratto tratto, giova in massima alla solerte massaia. Così abbiamo fatto anche noi, senza l'interesse delle uova.
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Qual festa in casa Blandis, la sera del ritorno di Alfredo, che fu di ventotto giorni dopo la partenza. Quelle care giovani, non capivano nella pelle dalla contentezza. Lord faceva echeggiare la casa di allegri latrati, e lordava colle zampe il corpetto delle padroncine. Scherzava colla sua vecchia amica, la gatta, e la fiutava. Aveva grande appetito, perchè l'ultima tappa era stata la più lunga, e perciò onestamente inghiottì un mezzo salame nostrano che stava sul desco. Nessuno de' suoi padroni, se ne accorse, tanto erano in orgasmo. Alfredo, stava sicut in principio, un momento di umore passabile, e poi ricadeva sempre nella sua idea fissa, cioè Violetta che egli si raffigurava, già chiusa e piangente nella cella del monastero. La famiglia Blandis cenò senza molto discorrere in complesso, perocchè Alfredo, non aveva tempo di parlare; ma solo di pensare.
Sonvi tasti, che non si devono toccare, presente la famiglia. Soltanto Elisa, fra il silenzio di Alfredo e di Maddalena ed il russare di Lord, sdraiato in un cantuccio della camera, raccontò, con dettagli di un suo recente sogno, nel quale aveva visto, giungere dalla California (eravamo, disse, in primavera), molti minatori, al servizio di un vecchio, lontano parente, straricco; esso pure di cognome Blandis, con tante casse d'oro; cercando di Alfredo, a cui erano dirette.
Ma Alfredo, che negli anni addietro, aveva al pari di sua sorella Elisa, tante volte sognato la medesima cosa diè una scrollata di spalle, non prestandovi alcuna fede. Non sai, disse, mia cara, che lorquando si è ubbriachi tutti vogliono darti da bere? Così avviene della fortuna e delle ricchezze. Esse vanno quasi sempre, dove già è fortuna e dovizia a mucchi. Non crediamo dunque a tali sogni, che sono appena il risultato dei nostri folli desideri fatti durante la veglia. La fortuna è bastarda. Favorisce a casaccio ed a capriccio, e talvolta le sue origini sono pur troppo bastarde od oscure.—E' meglio trascurarla, e preferire la onesta povertà che vi permette la indipendenza fiera di ogni servaggio, e sicura da future umiliazioni. Alfredo ragionava meglio in casa sua che fuori.
Ormai la mezzanotte stava per scoccare, per cui la piccola famiglia Blandis disponevasi al riposo, di cui ogni mortale prova necessità. Se non che Elisa, più curiosa di Maddalena, volle sapere dal fratello, quanta caccia avesse fatta durante il suo lungo viaggio in montagna. Poco o nulla, rispose Alfredo, una grossa topa che mi stava fra i piedi, mentre io sonnecchiava sotto un pino, una gazza da me scambiata per un francolino. Questo nel viaggio di andata; e nel ritorno, una pollastrella svolazzante fra l'erba alta, che mi era sembrata una pernice. Cose facili ai cacciatori focosi. L'ultimo selvatico mi è costato due lire, onde non farmi denunciare al Sindaco cugino della contadina proprietaria della pollastra, accortasi immediatamente del fatto. E se io non faceva presto, Lord glie ne aveva già pappata quasi la metà. Lord approffitta spesso degli incidenti spiacevoli, a di lui conforto, perchè intelligentissimo, come sapete!
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PARTE SECONDA
CAPITOLO II.
Talune influenze sono spesse volte dannose
Il secolo decimonono è rimarchevole per molti connubj legali costruiti comunemente dai consanguinei, o da qualche intrigante per essi. Il matrimonio in giornata, concesse rare eccezioni, è un vero e proprio contratto oneroso, a cui presiedono tiranne, ambizione ed avarizia, due altri ladri della pace, nostri conoscenti. Pertanto non vi è cuore, non vi è onestà, non si bada al merito, al reciproco amore, basterà l'agiatezza, anche presunta del fidanzato, e la dote promessa della fidanzata, salvo a ridursi della metà nel momento buono.
Tutte cose utili, ma non indispensabili, avvertendo che anche il troppo, in caso, storpia. Non potrebbero forse bastare, per un più armonioso e comodo avvenire fra consorti, anche sufficiente intelligenza e dottrina nell'uomo, e criterio ed economica nella donna, alla reciproca volontà di industriarsi, accompagnate?
Si lasciano spesso in seconda linea il carattere, e la salute fisica degli Sposi, e non si pensa agii effetti funesti che ricadere potranno sugli innocenti capri o espiatorj. A logorare un mediocre censo, è presto fatto, ma a scemare la rettitudine di condotta sociale e la volontà di lavorare ci vuole maggior tempo. Oggi non si crede quasi più alla trasmissione elettrica dell'amore fra due anime. Spesse fiate i due futuri sposi sono gli ultimi a sapere del progettato matrimonio fra di essi perchè prima si fece la relativa combinazione come suol dirsi, extra muros. Una specie di mercato, consimile a quello che si fa col bestiame. Il cuore dei futuri amanti si interroga o poco o mai. Ma per Santa Maria Maddalena, permettete almeno, che si intendano prima fra di loro i due futuri colombi, altrimenti verrà presto il giorno in cui, i due piccioni anzicchè imboccarsi, si beccheranno. Sorvegliate pure, o stretti consanguinei, la loro precedente amorosa condotta ma non oltrapassate nella vostra sorveglianza, che talvolta si estende fino al quarto grado di parentela, (stimabile moralità) per un certo lato.
Avviene così tante volte, come delle congiure politiche; esagerata la restrizione della libertà, maggiore è lo sforzo dei pazienti di rivendicarla, fosse pur anco fra le tenebre. Non sapete che il contrasto aguzza le passioni, siccome ha scritto un'illustre fisiologo? Sulle scene, in forma talora comica, talora drammatica e tragica talora, sebbene fortunatamente rara, non vediamo noi riprodotti molti fatti, che luminosamente rappresentano le dissenzioni matrimoniali. Dunque prudenza, e tempo e libertà d'azione.
L'amore,il vero amore non dev'essere nè bestiale, nè capriccioso, nè mercantile, e non può imporsi a chi non lo ha ancora sentito. L'amore dev'essere spontaneo. L'amore non è umano, ma divino. L'amore nè si compra nè si vende. Evviva, in proposito, gli artigiani ed i lavoratori dei campi, in tale oggetto lodevolmente primitivi. Essi hanno quasi mai necessità dei….. sensali di matrimonio, perchè non hanno doni da far loro. Fanno all'amore all'aperto, testimoni il sole, la luna, l'aria e Dio.
Talvolta accade che due sposi della classe così detta più civile, vadano al talamo siccome due forestieri, e viaggiano i primi giorni insieme, e poi ciascuno per proprio conto. L'indole rispettiva, del resto, non si sa il perchè precisamente, ma solo presumibilmente, viene a palesarsi sempre dopo il matrimonio e mai prima lorquando si vedono le sole virtù. Un caso psicologico. Da qui la eterna ragione della incompatibilità dei caratteri, da qui la reciproca trascuranza. Allora o l'uno o l'altro cade, od insieme cadono entrambi…. e nascerà…. quanto noi dobbiamo lasciarvi immaginare.
Importa dunque meditarvi intorno, dai pochi, della sola dote, amorosi delle poche, del maritarsi in genere, entusiaste.
Ed anche questo Capitolo amaro come la Genziana, è ormai esaurito.
PARTE SECONDA
CAPITOLO III.
Lo studio di pittura
Da quindici giorni circa, Alfredo lavorava in fretta e furia attorno al suo quadro, Il Parlatorio del Convento di Monache. Lo voleva compiere in breve, chè lo cuoceva brama ardente, di rivedere anche un momento solo, per una propizia occasione, la sua Violetta. Volea bearsi anco una volta di quella vista a lui tanto cara. Di quell'angelico sorriso, che egli nel suo quadro non sapeva col penello emulare. L'avrebbe veduta fra l'ombra del monastero, ma non importa. Non potea persuadersi, siccome Violetta, tanto giovane e bella, col suo sentire tanto squisito, tanto nobile, tanto giocondo, volesse seppellirsi in un Convento, rinunciando così alle gioje comuni della vita.
Cirillo Buonpensieri, l'amico sincero, desioso di rivedere il suo Alfredo dopo circa due mesi di assenza, entrava in quel momento nello studio di pittura. I due amici d'infanzia si abbracciarono con entusiasmo, e dopo parecchie domande di Cirillo ad Alfredo, sulle bellezze ed avventure del di lui ultimo viaggio, il primo si meravigliava pel soggetto del quadro di genere, in grande formato, quasi a termine. Il Parlatorio di un Convento di Monache? Io avrei scelto, osservò allegramente Cirillo, piuttosto Gli effetti soavi di una festa da ballo! Quadro di fantasia contemporaneo. Che ne dici il mio grazioso Cenobita? Anch'io, vedi, ebbi l'incarico di scolpire in marmo, un Alcide, ed invece scolpii Ebe, proprio nel momento in cui cade sconciamente colla fiala del suo nettare, dinnanzi a Giove.
De gustibus non est disputandum, amico Cirillo, osservò sospirando Alfredo: io amo gli effetti mistici, il silenzio, la mestizia del ritiro ecc. Scommetterei, invece, replicò Cirillo, che tu mi fai qualcuna delle solite imprese alla Don Giovanni. Cose ormai giù di moda. Bada che questo dipinto magnifico per verità, non abbia a costarti dei grattacapo! Tu dovresti andare ad imparare il « mutano i saggi a norma dei casi i lor pensier »
Dimmi chi vive là dietro la cancellata, frammezzo a quelle due carcasse, che attrae il tuo pennello? Vi cerchi forse la Fata Armida del Tasso.—Sai bene che noi ci conosciamo. Parlami franco…… Là entro vi è un amore infelice. Un disinganno orribile forse, e tu hai scelto, da quel cuore appassionato che sei, il mezzo artistico che ti aiuti a vedere, od a rivedere, od a parlare, o magari a baciare, se la potrai far franca, od a far pentire, insomma, della sua tetra risoluzione, qualche monachella, stanca, non per sempre forse, della vita sociale.
….. Alfredo, sorridendo melanconicamente: sarà come tu vuoi, disse. Tu sei un distinto inquisitore, ma io, in questo momento, non devo confessarmi che a Dio. Di te, mio buon amico, io non diffiderei, ma tu ridi sempre di tutto, ed io non amo parlare con chicchessia, perocchè mi parrebbe sciupare un oggetto delicatissimo……… Cirillo, non replicò, e pel suo umore sempre gaio, nel mentre distratto, seguiva le linee accuratissime del pennello di Alfredo, prese a narrare all'amico di un suo episodio galante di dieci anni addietro, colla intenzione lodevole di far meno triste Alfredo.
Io aveva 18 anni, cominciò, Cinzia 16 appena. Occhi biricchini, inquieta al pari di un'anguilla. Le nostre dimore distavano di un miglio press'a poco. Ella d'un paese, io d'un altro. Un ponte sul lago, che ivi si restringe, ravvicinava i due paesi di diversa provincia.
La messa della Domenica, favoriva da qualche settimana il vederci, ed il sommesso parlarci, in causa, vedi, della improvvisa elettricità sviluppata dai nostri quattro eloquentissimi occhietti. Ma quei benedetti angeli custodi, cioè la nonna, la zia, la mamma, la serva, e secondo le giornate, anche una Teodora invida sorella maggiore, quali pompieri matricolati, procuravano spegnere il nostro incendio. Mi duole il dire, che anche Cinzia aveva un pochino del barometro, pativa la luna, perchè il suo nome era tale. Come fare a trovarci una benedetta volta soli? « Soli, eravamo e senza alcun sospetto. » Diceva a Dante la Francesca da Rimini. Pensa e ripensa, ho trovato di abbandonare una mattina, dietro il cancello della villa di Cinzia, una gabbietta, con entro un passero, dei quali, la giovinetta era entusiasta.
Nella beccaruola posi un fogliettino, colla scritta: « Datemi un appuntamento, domani, Domenica, io sarò presso la porta della Chiesa. Pregate vostra sorella Teodora, ad aiutarvi, in caso, per la consegna della risposta. Speriamo che il Barometro sia sul bello ». Cinzia tanto vivace, correva spesso pel giardino, e naturalmente fu la prima a raccogliere la gabbiola. Intanto io come il gatto, da una boscaglia, tutto vedea, e vedea perciò Cinzia a leggere il viglietto.
Pare che si viaggi discretamente, dissi fra me, ed ora vedremo… Ma ad onta che aspettassi colà rannicchiato più di un'ora, nessuno più venne, e allora esclamai: pare che si viaggi maluccio! Tornai perciò al mio paese, e sulla sera, del dì successivo, Domenica, per distrarmi, io pescava colla canna e l'amo, in riva del Lago. La stessa sera, intorno al tramonto, era sempre Domenica, Cinzia colla nonna, la mamma, la zia, la sorella Teodora e la orrenda cameriera, tragittano il ponte, con quel passo che significa andiamo a passeggio. La ninfa mi venne vicinissimo, in apparenza indifferente, presso alla mia canna, lasciò cadere nell'acqua un involtino di carta color di rosa. Ho mangiata la foglia, dicea la maschera Gioppino, e perciò diedi un esperto colpo di canna sotto l'involtino che l'amo infilzò. Potei tosto con molta prudenza, leggere sulla inumidita carta, queste parole: « Domani sera, alle otto precise, sotto il pergolato del giardino, presso la porticina, che lascierò aperta. » (In maggio alle otto ore, è ancor ben chiaro, per cui Cinzia non aveva fatta una imprudenza…. A quella età tutto è fiducia, e lo scultore non era poi un cannibale!) Sono gli slanci romantici della prima gioventù, innocente età ma sempre istintivamente calda di amore, siccome l'usignuolo che canta tutta la notte nel bosco.
Alfredo, parve, per un momento, che pigliasse interesse al racconto di Cirillo, perchè abbassò il pennello, e staccò gli occhi dal suo quadro. Scommetteremmo che il Pittore desiderasse una infelice riescita anche per l'amico Cirillo, essendo naturalissimo, il solatium miseris, socios habere penantes.
Cirillo, sospese alquanto il suo racconto idilliaco e, poi sospirando esclamò. Diletto Alfredo;… «Udirai e saprai se m'ha offeso!» (Dante-Ugolino) ….. per la mia prima impresa o quarta che fosse, che non bene rammento, toccai quella jettatura, che tu hai sempre in bocca: Mefistofele, come, udrai, vi ha cacciate le sue corna.
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Le ore di quella notte dalla Domenica al Lunedì mi passarono lente lente, siccome i viaggi in diligenza di una volta. Io provava la infuocata brama di conoscere, come sarebbe andato a finire il mio quarto avvenimento tentato. Girava inquieto la piazza, non appena sorto il sole del sospirato Lunedì—mangiai quasi niente in tutto il giorno. Scoccano le ore diciotto, ne mancano due sole, dissi nel mio cuore febbrilmente….. oh! Dei!! in quei momento giunge una polverosa vettura a due cavalli sudati e stanchi, piena zeppa di viaggiatori.
Volle malaugurata curiosità, che io mi avvicinassi a quella ambulante baracca, ed oh! sventura irreparabile! Erano il mio nonno, la nonna, tre zii, tre zie, ed una serva che venivano dalla città a visitare la mia mamma, la quale era poi, già s'intende, la loro rispettiva figlia e sorella. Tutta quella gente, eccetto la serva, era discretamente facoltosa, veniva di rado, dalla lontana città, portava regali, per cui alto là, conviene dimostrare loro la infinita gioia di abbracciarli. E per raggiungere un simile intento, mi cacciai anch'io in mezzo a quella moltitudine fino a casa mia, con disgusto del vetturale, che gridava, non c'è posto!
La gioia di mia madre, più sincera, non la si può descrivere. Volea fatalità, che mio Padre, ai forestieri giunti allora dilettissimo, fosse, fino dal mattino, andato a piedi in un paese di montagna, discosto un'ora di viaggio, e per un suo affare qualunque—e volea fatalità, che quel paese, fosse in direzione diametralmente opposta al pergolato del giardino di Cinzia. Volea infine fatalità peggiore, che mia madre mi spedisse insistentemente alla ricerca del papà, onde sollecitare la sua dolce impressione pei nuovi arrivati. La febbriciatola nota del mio cuore, giunse in quel momento ai 40 gradi (centigradi). Immaginate che alle otto ore precise, siccome al viglietto, mancava solamente un'ora e mezza. Vedrai, o Cirillo, dissi fra me, che il tuo affare va a rotoli e… come tenere il piede in due scarpe? Per quanto io amassi i miei nonni, è certo che Cinzia valeva di più, anche per ragione di età, al mio cospetto. Insomma, bisogna obbedire la mamma, bisogna essere cordiali cogli adorati nonni, e si vada.
Correrò tanto, in modo da arrivare in tempo anche sotto il pergolato di cui sopra. Follie! follie! Per trovare mio padre impiegai cinque quarti d'ora, e per andare poi tosto, con un pretesto qualunque, alla più simpatica mia località, impiegai mezz'ora, volando (allora non v'erano biciclette). Siamo in ritardo, ma di soli 15 minuti, tolleranza normale in tutti gli arrivi e partenze anche…. dei treni.
Trafelato, trepidante, arrivo al cancello piccolo… è aperto! Oh! buona Cinzia, mi ha aspettato, sclamai! Vado sotto il pergolato. Cinzia non v'è. Sovra un sedile di pietra, sta un vigliettino che dicea:« Di solito quando un appuntamento preme, si viene prima e non dopo. Conservatevi di quell'ottima (stile nostrano ma chiaro).
«Quel giorno più non vi leggemmo inante» (DANTE = Inferno, Canto V.)
Così o diletto amico, ho finito il mio tentato quarto idillio. E sta pur tranquilla o disinvoltissima Ninfa, le giurai, che un'altra volta, per simili affari, verrò piuttosto prima che poi….. Alfredo per quel naturale solatium miseris, socios habere penantes, sorrise ma per un minuto secondo.
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Lord, a questo punto, latra a squarciagola… Che sarà mai? Chi verrà a disturbare il lavoro febbrile di Alfredo. È il procaccio…. Una lettera, colla soprascritta di calligrafia maschile all'antica. Alfredo prega Cirillo a leggergliela onde non sospendere gli ultimi ritocchi di pennello, al suo preferito quadro.
Cirillo legge:
Pregiatissimo Sig. Blandis Lago di Como, Maggio 18..
«Scrivo per conto di Enrichetto, figlio di un mio vecchio amico. Mi perdonerà se non vengo in persona a fare la commissione. Sò però che Lei è buono per ritratti, ad olio ed anche senza. Di ciò me ne accorsi due anni or sono, quando per la prima volta, vidi in casa Giacinto, mio cognato, un suo lavoro bellino. Noi avremmo il progetto (per adesso prego di tenere segreto) di far dentro un magnifico matrimonio colla mia cara nipote Violetta, però non si sono ancora veduti. Il figlio del suddetto mio amico, è un giovinetto di bel sangue, e poi quando morirà presto il mio amico, che è suo padre, gli resteranno senza fallo dei campetti. E perchè la mia cara nipote si innamori subito, abbiamo pensato di mandare il suo ritratto in grande ed a colori, a mio cognato. La fotografia non mi piace niente affatto. E' troppo smorta. Le lascio però il tempo di quindici giorni. Io sono sicuro che ci faremo onore tutti. Dunque, o venga Lei qui, o altrimenti mi scriva che manderemo costì, il buon Enrichetto a farsi ritrattare.
«Intanto, ho il piacere di rassegnarmi suo dev. GIOACHINO ALLOCCHIO.
Tableau!.. Una lettera più chiara di questa, io credo, disse Cirillo, che sia mai stata fatta dal Diluvio in poi. Cirillo però si trattenne dal ridere, onde non irritare Alfredo, già sbuffante di sdegno, e Cirillo inoltre, mentre leggeva la lettera, non si era accorto come Alfredo mettesse in bocca la sigaretta dal lato acceso e gettasse il pennello, intinto di nero, sul suo cappello di feltro bianco deposto su di una sedia.
Alfredo grida: E' una indegnità per Dio, e poi ricompostosi, ed abbassata la voce soggiunse: potrebbe anche darsi che il Sig. Gioachino fosse affatto vergine intorno al mio amore per Violetta, perciò non si potrebbe male interpretare il suo scritto.
Dunque Violetta non o ancora andata in convento, ed ora mi persuado che non vi andrà più. Credete alle lettere che i cani rubano per portarle al padrone…. Il mio tanto sudato quadro, è ormai inutile… maledizione… Addio ultima speranza…. Fra un paio di mesi ed anche prima, Violetta sarà sposa del Sig. Bel Sangue. Insomma non v'ha più cuore sulla terra. Ciò detto rimase tetro e muto, e appoggiò i gomiti sulla tavolozza dei colori, conciando così le maniche della sua giubba a somiglianza dell'iride.
Cirillo, non potè ristare dal dirgli: Ma se non venderai il tuo quadrone alle monache Orsoline, caro il mio S. Luigi Gonzaga, lo potrai vendere ai Frati Benedettini, tutta gente facoltosa, e pace e gioia sia con Voi. Tu risponderai con calma, neh! al S. Gioacchino del Bel Sangue sul Lago di Como, che vada a far ritrattare il suo Enrichetto, figlio del suo vecchio amico che deve morir presto e futuro sposo della Signorina Violetta, che vada, poniamo, a Costantinopoli. Ora amico Alfredo io ti saluto, per oggi. Bada però che il mio cappello di feltro candido quasi nuovo, me l'hai pitturato recentissimamente di nero fumo, ad olio, e non senza olio. Ciao.
Alfredo avvilito nel più profondo del cuore, per l'infausta lettera; perdonami, disse, caro Cirillo non saprei come possa essere avvenuto lo sfregio al tuo cappello! Non me ne ricordo davvero!…
Probabile che gli innamorati smarriscano anche il dono tanto prezioso della memoria?
PARTE SECONDA
CAPITOLO IV
Beneficenza delicata di un ex artista di canto
Venti giorni circa dopo il ritorno di Alfredo dal suo viaggio alpestre, trovandosi egli una sera in casa colle sue sorelle, giunse un involto suggellato, con timbro postale poco chiaro, perocchè vi si poteva leggere appena Trie…… Era diretto al Pittore Sig. Alfredo Blandis, il piego assicurato….. Che sarà mai questo? dissero in coro i tre fratelli?
Apertosi il pacco con mani convulse da Alfredo, si videro tre astucci chiusi ed una profumata letterina, la quale apertasi, portava la firma: Zaira.
Nessuno lì sul momento, toccò gli astucci…. Alfredo postosi a sedere su di un angolo della madia, lesse la lettera, mentre le due sorelle standogli dietro la schiena la leggevano prima di lui…… Lo scritto diceva:
Nelle mie stagioni trionfali all'Avana, a Madrid, a Barcellona, a Vienna, a Milano, a Napoli, quale primo soprano nei rispettivi primi Teatri, e quando io non aveva ancora venticinque anni, m'ebbi, alle serate, vistosi ricordi in oreficeria. Ne ho tanti, che ormai li trascuro, e non li porto più dopo la morte del mio caro marito, il quale, come già vi dissi, aveva lo stesso vostro nome. Memore io della recente conoscenza fatta di Voi gentile sui monti tirolesi, ed edotta siccome Voi abbiate costì due sorelle, mi permetto spedirvi, e senza il menomo sacrificio, questi tre oggetti che valgono ben poco in confronto della simpatia ed amicizia da Voi ispiratami, e vi prego di accettarli. Le montagne stanno ferme, gli uomini si muovono e possono o presto o tardi incontrarsi, e perciò forse anche noi ci rivedremo!… E sopratutto, nessun ringraziamento nè in iscritto, nè a voce. Vi auguro vita e salute. Desidero conoscere anche le vostre sorelle, che, come Voi, certamente saranno buone.
L'amica aff.ma ZAIRA.
Alfredo scolorì lievemente e lasciò cadere una lagrima limpidissima che fu vista anche da Maddalena ed Elisa. …. Ne fu commosso!…. Tanta gentilezza d'animo, pensò, ad onta della mia trascuranza verso di Lei. Provò rimorso!….. Le sorelle, positive in confronto del fratello tutto sentimentalismo, chiesero il permesso di aprire gli astucci, perchè non reggevano nella pelle dalla curiosità. E chi non sarebbe stato curioso, specialmente se donna, per faccende simili? Aprono, e Gesummaria!! Brillanti grossi come nocelle!! Due boccole per ciascuna signorina, uno spillone per Alfredo; tutto di finissimo moderno lavoro. Chiunque, anche poco pratico, avrebbe calcolato quegli oggetti, in complesso, del valsente di L. 12mila e forse di più.
Ma come fregiarsi di quei ricchi doni senza incorrere nella severa critica, attesa la povertà dei fratelli Blandis? Potevasi venderli, ma ciò ripugnava alla grandiosità di mente e di cuore del poeta e dell'artista, per cui disse alle sue dilette sorelle: serbiamo questi brillanti in memoria di un'anima gentile e di me più costante. Elisa cui spiaceva quella decisione, si provò rammentare a' suoi fratelli, il di lei sogno, e scherzevolmente conchiuse, che li avrebbero indossati presto, non appena diventati milionari e che inoltre avrebbero contraccambiata in grande, la generosità della Signora Zaira, cui era bramosa di conoscere. Maddalena recitò tre pater noster, tre avemarie e tre gloria patri in ringraziamento alla provvidenza ed in augurio di tutte le felicità a quella brava Signora che avrebbe potuto, diceva, maritarsi una seconda volta. Alfredo invece, sommessamente espose, che avrebbe cercata presto la buona Zaira, quando avesse avuti a propria disposizione, i quattrini necessari pel viaggio.
La casta dei virtuosi di teatro, quando eminente, colta, corretta, è la più simpatica! Sempre cordiale, schietta e scevra da pregiudizi. Non ha superbia, è sempre vivace e gioconda. La si può ascrivere fra i liberi pensatori. L'arte ha ingentilito il loro cuore. Gli incolpevoli stenti provati da quella casta, in principio della carriera, la rese pietosa verso la classe sofferente. La trepidazione subita tante volte al cospetto del pubblico, o non imparziale o non istruito abbastanza nella nobile arte, la fece gelosa della propria reputazione guadagnata studiando, e diede poi essa esempio di generosità verso i propri simili bisognosi, a quelli che forse ne fossero deficienti.
In massima, pertanto, i veri artisti di ogni specie, tenuto calcolo del distingue sæpe, non sono egoisti più del bisogno; non sono avari, sentono con trasporto l'amicizia, ed apprezzano costantemente il buono ed il bello. E la nostra Zaira, non smentiva il giudizio che noi abbiamo dato sugli artisti in genere, e specialmente sugli artisti di grido….. Zaira, infine, ebbe come suol dirsi, buon tatto nella scelta dei doni, verso una famiglia povera sì, ma gentile, educata e fiera. In tal modo, Zaira non fece arrossire alcuno. Non è il donar molto, ma il donar bene….. Maddalena ed Elisa intanto, non cessavano dall'aprire e chiudere quei tre astucci, senza arrischiarsi a metterli in opera, e la notte sognarono di brillanti a palate grossi siccome noci. Alfredo intanto, scarabocchiava qualche verso colla matita all'indirizzo di Zaira (coll'inchiostro ei scriveva quasi più, per non rovesciare ogni volta il calamaio sulla carta) ma poi pensò tosto a Violetta, e temendo, in cuor suo, di offenderla, lacerò il foglio.
PARTE SECONDA
CAPITOLO V
Violetta non vá più monaca ma si marita.
Ci sia lecito dubitare che Violetta, mentre era all'Albergo Climatico, avesse veduto Lord involarle, fuggendo poi, la lettera da essa diretta alla maestra monaca nelle Orsoline.
Locchè noi presumiamo dalla nessuna ricerca conosciuta. Violetta avrà probabilmente interpretato il fatto, quale uno dei soliti smarrimenti senza conseguenze, per distrazione od altro. Avrà pensato che la sua lettera fosse frammista ad altri oggetti deposti nelle valigie. In certi casi della vita, è, del resto, miglior consiglio non fare ricerca delle cose perdute. Così fece colei che aveva smarrita una pianella nella neve, e così fece Alfredo del suo cappello lasciato in piazza, insieme alla calotta del prete, nella notte di cui al Capitolo VII parte prima di questo libro. Per sventura, però, tanto la pianella come il cappello furono rinvenuti e diligentemente restituiti ai rispettivi proprietari, onde la verità, con edificazione, venisse a galla.
Quel foglio sarà stato scritto da Violetta in un momento di inesplicabile mestizia, facile alle giovanette pensanti, fra un quarto di luna celato fra le nubi, o per la precoce noia di una giovanissima vita non ancora soddisfatta dalle arcane indistinte voluttà. Perciò, passato quell'istante di melanconia più comune al sesso debole che al sesso forte, Violetta avrà trovato inutile rifare quella lettera, rinviando la spedizione, in caso, a tempi peggiori. E ben fece, perocchè durante il di lei viaggio di ritorno, venne informata di un progettino di matrimonio per lei, allor allora spuntato sull'orizzonte. Un collocamento convenientissimo anche a tutta la parentela….. La voce di questo affare erasi sparsa diggià nel paese e dintorni e tutti, come al solito, voleano commentarlo, colle frangie di rito. Anche Violetta aveva le sue invidiose, specialmente poi quelle in età giusta, che non avevano potuto ancora commuoversi di una richiesta della loro mano. Elogi farisaici di qua, critiche esagerate di là. Gli spiriti inventori, già ingrandivano e già dettagliavano il fatto, in modo da conchiudere, come quel mondo locale avesse in mente soltanto Violetta.
Era la fama, deità poetica, che si aggira continuamente, il dì e la notte, sui luoghi più alti, per spandere notizie buone o cattive, e non si tace mai.
Virgilio nel Libro IV dell' Eneide, l'ha descritta, colla sua grande maestria, come segue:
«E' questa fama un mal di cui null'altro E' più veloce, e com'più va più cresce, E maggior forza acquista. E' da principio Picciola, e debil cosa: E non s'arrischia Di palesarsi: Poi di mano in mano Si discuopre, e s'avanza: e sopra terra Se'n va movendo, e sormontando a l'aura Tanto che il capo in fra le nubi asconde»
Alfredo pure, sempre disposto a credere a tutte quelle novità che gli potean recare danno, sperava che la fama fosse stavolta mendace. E non volea persuadersi, conoscendo Violetta, come questa transigesse a sposare un mercante di droghe e di liquori, tanto più che il fidanzato avrebbe avuto diceasi, il difetto, di assaggiare la sua merce volta per volta, a garanzia verso i clienti. Quel miscuglio di droghe e liquori nel ventricolo, avrebbe potuto cagionare dei brutti accidenti, o quanto meno la ubbriachezza perpetua, giustamente antipatica alle donne in genere.
Del resto—se la cosa era conveniente, e simpatica agli attinenti di Violetta, non sarebbe stato improbabile che l'imeneo alcoolico avesse compimento, e noi lascieremo andare l'acqua per la sua china; non curandoci delle inquietudini di Alfredo, il quale avea sortito:
«L'arte crudel di fabbricarsi affanni».
PARTE SECONDA
CAPITOLO VI.
Il sogno di Elisa Blandis realizzato
Siamo al principio dell'Estate 18… La caccia è vietata per tutti coloro che non vanno di frodo. Alfredo col suo indivisibile Lord, trovasi a passeggiare nelle vicinanze della stazione ferroviaria, di buon mattino, affinchè il sole non riscaldi dippiù il suo cervello già abbastanza caldo. Giunge dalla vicina città il solito primo treno, che a differenza degli altri giorni, depone molti viaggiatori, i quali, col loro apparente imbarazzo, denotano la nessuna conoscenza del luogo. Il procaccio insegna colla mano a quel gruppo di persone (15 uomini) la via al paese vicino. Dessi sono tutti abbigliati ad una maniera, ma alquanto diversa dal costume europeo, e tutti dal volto bronzeo. Ad un certo punto lo stesso procaccio raggiunge quei forestieri, e colla mano fa loro cenno verso Alfredo. Allora tutti si affrettano e si fermano ad un passo da Alfredo, scoprendosi tutti contemporaneamente il capo. Quegli che nel complesso, si presumeva il loro condottiero, uomo di mezza età, alto, magro, nerboruto, dall'occhio vivace, parlò pel primo, in spagnuolo misto a qualche parola di cattivo italiano, come segue: Siete voi Senor Blandis Alfredo Pintor? Per servirla, rispose Alfredo. Io Roberto Sterlingson, venuto per Costa Rica, miei compagni quattordici. Sbarcato Liverpool, tuti minadores, de nuestro Patron Senor Juan Maria Blandis pariente vuestro, principale patron mineras auriferas gran Senor, sin familia. Todos suoi cari morti. Nos vedete lievando Vos orden Patron este quindici valigia, in todos milioni quindici franchi, columbie, sterline, messicane, brillanti, y Banconotas Inglesas. Pietre tambien care, colori tanti, e tambien i esta letera (porge la lettera ad Alfredo).
….. A quel telegramma vivente, Alfredo, che intese, ma credea di sognare come sempre, sentì piegarglisi le ginocchia, e tanto era confuso e senza parola, da essere sospettato, quale un muto od un ebete, da quegli americani. Lord aveva fiutate intanto ad una ad una, quelle forti e capaci valigie di cuoio di Russia, ma non scoprendovi odore di salami, dei quali era ghiottissimo, abbandonò ben presto i forestieri ed il padrone per arrivare primo a casa a far colazione. Potrebbe anche averlo fatto per avvertire le padroncine della novità, e non c'è da ridere, perocchè le bestie, talvolta sono più intelligenti di taluni uomini.
Se non che la nostra penna non vale a descrivere con bastante colorito, la sorpresa di Maddalena e di Elisa al veder salire le scale tutta quella compagnia strana, senza che Lord latrasse, sì goffamente vestita, colla faccia e mani olivastre, mentre Alfredo leggeva e rileggeva in silenzio una lunga lettera, non curandosi di spiegare il fatto alle sorelle. Egli era siccome un ubbriaco; aveva appena inteso per quella lettera, trattarsi di un decrepito cugino in secondo grado, residente a Panama, proprietario di miniere aurifere in estese regioni, fra cui Costa Rica, Perù, California, Columbia, etc.
Nessuno dei tre fratelli, intanto, aveva pensato, per la loro immensa confusione, di invitare gli ospiti, almeno a sedere, tanto più che sembravano stanchi per lungo viaggio ferroviario. Meglio così forse, perocchè le sedie di Casa Blandis erano soltanto tredici, il solito numero di fiducia del pittore Alfredo. Civiltà, convenienza, ospitalità esigevano inoltre, di offrire tosto a quei quindici personaggi, dei rinfreschi, ma ad onta che la voglia in cuore, e l'abitudine dei fratelli Blandis non mancassero, pure tutti tre erano rimasti pel momento quasi inebetiti, nè sapeano districarsene. Maddalena ed Elisa poi continuavano a fregarsi gli occhi, come per accertarsi se per caso non dormissero, e nello stesso tempo facevano segni ed inchini al Sig. Sterlingson, onde scusarsi mimicamente di non averli ancora invitati a colazione. Nulla pertanto di concreto avevano quelle imbarazzate fanciulle, raggranellato.
Ma il presunto capo di quella compagnia di minatori, avendo indovinato benissimo, siccome il contegno dei fratelli Blandis, non fosse effetto di inospitalità, ma invece di paralizzante meraviglia, si congedò insieme agli altri quattordici, col pretesto di voler andare adelante (avanti) secondo treno grossa città, molto belissima. Allora soltanto i tre fratelli, accortisi della loro sconvenienza, si affannavano a pregarli tutti di voler rimanere un momento almeno pel vicino pasto. Fu del resto inutile, perocchè Sterlingson fece intendere che suos patron aveva ordinato così: Presto, presto tornare nos, disse nel congedarsi (e più non tornarono).
Ciò detto, scesero compatti le scale con passo misurato a guisa di un pelottone di fanteria in manovra, ripetendo il presto Senor, tornare quando guardato vuestre quindici valigia. Appena furono sulla via della stazione li raggiunse Alfredo di corsa e li baciò tutti con effusione e con molti ringraziamenti per la loro onestà e premura, avendone in concambio vigorose strette di mano da rimanerne storpio. E la risposta alla lettera, disse Alfredo, sempre commosso? Vos fare dispaccio postale, gridò quel mulatto capo. Adios, adios.
L'angusto salotto dei fratelli Blandis, era occupato per intero dalle quindici valigie nuove, e di forma non comune. Ciascuna aveva la rispettiva chiavetta.
Ora permetteremo che quelle tre creature, rinvengano alquanto dal loro naturalissimo stupore, e che facciano con calma la loro verifica, della quale, a tempo debito, noi chiederemo il risultato, per comunicarlo ai nostri lettori, i quali ne avranno forse curiosità. Maddalena fu la prima a cominciare la bella operazione, dopo essersi fatta però, il segno della Croce, colla giaculatoria: Sia lodato Gesù Cristo e sempre sia lodato; e borbottando: Domani vado senza fallo a comprarmi cinquanta pulcini.
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PARTE SECONDA
CAPITOLO VII
La lettera del Cugino in secondo grado.
La curiosità, quando si tratta dello straordinario, è malattia di tutti, siano gente frivola, o sedicente seria, siano maschi, sien femmine, e tutti, come S. Tommaso, non si accontentano del solo sentire e vedere, vogliono anche toccare senza complimenti. Bisogna chiudere un occhio in proposito, perchè è un male ereditato dalla progenitrice Eva. Noi pure, quindi vorremmo conoscere a fondo, e senza troppo attendere, il contenuto preciso delle quindici valigie, prima, e quello della lettera, poi. Per quanto riflette le magnifiche quindici valigie di cuoio nero, sono presto vuotate. Ciascuna di esse conteneva la precisa quantità, qualità e peso, per cui esaminatane una, e fatta poi la moltiplica per quindici, doveva venirne un quoto sicuro. Ma Alfredo, Maddalena ed Elisa, non appena riavutisi dal loro dolce spavento, hanno fatto, come i ladri. Tutto, tutto, in fretta e senza pietà, sconvolsero di quanto stava bene distribuito in quelle valigie, per cui il calcolo come sopra, progettato, ci riescirà complicato.
Vediamo almeno il mucchio piramidale irregolare, fatto dai fratelli Blandis, nel loro salottino con tredici scranne.
Sono seicento pacchi da cento monete d'oro ciascuno, fra Columbie, messicane, sterline e marenghi, che formano un complessivo importo di tre milioni e centocinquantamila lire fatto il conto alla buona, senza il maestro del villaggio. Siccome poi i fratelli Blandis non avevano mai, fino a quel giorno, possedute delle monete d'oro, così non si dovrà essere troppo severi, ove fossevi errore di aritmetica. Più mille Banconotes Anglisch del valore di diecimila lire ciascuna. Queste fanno un complessivo di dieci milioni di franchi. Siamo giunti finora alla somma di tredici milioni e centocinquantamila lire.
Mancherebbero ai quindici milioni, un milione ed ottocento cinquantamila lire, perocchè secondo le dichiarazioni del Sig. Sterlingson doveano essere realmente quindici…. Ma ecco qua. Gesummaria!…. Un sacchetto di raso color barbagliata, contenente dieci brillanti grossi più di nocelle che poteano valere circa mezzo milione in complesso, e cinquecento fra smeraldi, rubini, topazi, zaffiri, margherite, opale, perle, camei, turchesi e coralli, da poter raggiungere il valore del milione e trecento cinquantamila, che mancherebbe a compiere la cifra di quindici milioni. Quelle cinquecento e dieci pietre, erano sciolte.
Altro che la beneficenza delicata, altro che i doni della buona Zaira, Però vale talvolta più assai un bicchierino di anice dato da chi non ha dippiù, in confronto di una bottiglia di Champagne da chi ne ha mille.
Alfredo, naturalmente, è già tutta una inquietudine… Egli ha in prospettiva uno o due ricatti a danno delle sue care sorelle. Saranno rapite a forza, e seppellite vive in un antro inesplorabile; egli verrà di sicuro truffato, derubato, assassinato quanto prima, e Lord fucilato. E fra questi fastidj, non ultimo era la tassa in vigore sulle donazioni. Ma ora passeremo, senz'altro alla lettura della lettera; più importante forse di tutto il resto.
Panama, 20 Maggio 18… Caro Cugino—Alfredo Blandis,
Non ho più famiglia……. morti tutti. Non ho più parenti, tutti morti. Un viaggiatore lombardo però mi ha informato, che vivrebbe un mio secondo cugino, a quanto io presumo. Quel viaggiatore, Sig. Franco Bombardoni, mi ha detto che siavi un pittore di nome Alfredo Blandis, figlio del defunto Giuseppe e nipote di G. Maria Blandis, mio avo, originario mantovano, senza beni di fortuna. Se è vero, i miei minatori, gente sicura, lo sapranno presto, perchè li spedirò in Lombardia a verificare personalmente. Mi preme assai di perpetuare, se possibile, il nostro nome—e di migliorare la condizione della parentela. Io sono nato qui. Ho nientemeno che 83 anni. Mio padre, che si chiamava Giuseppe Blandis, morto 25 anni or sono, alla bella età di 88; e venuto qui dalla patria di Virgiglio, quando aveva appena 20 anni, si è fatto ricco in quel lungo tempo, lavorando alle miniere aurifere, del Perù, California, Columbia, e Costa Rica, in modo che a poco a poco, per la sua grande attività ed economia, potè da operaio semplice diventare padrone di miniere. Mi ha lasciato ricco. Presi moglie, mi è morta presto, senza eredi, nè avea essa parenti conosciuti. Continuai sulle vestigia del mio buon padre, e colla perseveranza però onesta, ho potuto triplicare l'avito capitale. Ma che farne, se omai siamo a pochi passi dal sepolcro? Se mai fosse sussistente che costì io abbia un parente, anche soltanto, un secondo o terzo cugino, e prima ancora di lasciare per testamento, cosa meno sicura, ho deciso, dopo maturo riflettere, di donarvi tra vivi la metà della mia sostanza, intanto, salvo ecc. quella metà spedirla a voi a mezzo di quattordici miei minatori diretti dal mio fidato Sterlingson Roberto. Tutta gente inecceppibile, dalle mani callose, ma garantite senza vischio.
Io non vi aveva finora detto inoltre, una cosa che molto mi premeva. É dal 19 Marzo di quest'anno, giorno di S. Giuseppe, nome probabilmente del mio pro-zio, che io sogno ogni notte la stessa cosa. Mi appare ogni notte in sogno una figura di giovane donna¹ bianco vestita, assomigliante al quadro di Beatrice quando dal Paradiso va all'Inferno ad incoraggiare Dante, ed essa prima mi prega, poi mi comanda di ricordarmi presto, anche in vita, del mio parente Pittore, che trovasi in Lombardia. Egli è povero, mi sussurra ogni notte, ha famiglia ed è molto sventurato.
¹ Forse la defunta madre di Alfredo?? Siccome credono i sognatori fantastici!!
Sono trent'un giorni e sono trent'un sogni identici. Perciò oggi 20 Aprile, per levarmi da ogni inquietudine, decisi di spedirvi quindici valigie, contenenti ciascuna un milione, in oro, banco-note e pietre preziose. Così oggi mi sento assai sollevato nell'animo, e spero che stanotte non verrà più a sgridarmi quella figura splendida sì, ma imponente troppo alla mia vecchiaia, bisognosa di quiete.
Ricevute, ringraziamenti…. tutto per me superfluo, perchè io sono abbastanza garantito, e non permetto che vi umiliate a ringraziarmi. Scommetterei che sono più contento io oggi a mandarvi quindici milioni, che Voi a riceverli. Io ne ho altrettanti, e sono guadagnati senza macchia, ve lo giuro.
Vorrei vedere e baciare questo mio unico parente, che ancora esiste in Italia, Mi sarebbe caro prima che io muoia, e sento che poco mi manca a lasciare questa terra, che mi ha dato dell'oro, ma mi ha rubato la pace del cuore, privandomi della mia cara Mercedes, volata troppo presto al cielo. Vorrei vedervi e baciarvi, dicea, ma un presentimento ostinato mi dice di rinunciare a quella consolazione e di pregarvi anzi a rimanere in Lombardia. Siamo troppo lontani l'uno dall'altro. Io sono nel cuore dell'America meridionale, e non si sa mai. Dunque restate. Mandatemi il vostro ritratto e quello della vostra famiglia e della moglie e figli vostri, se mai ne aveste. Questa lettera, mi ha costato molta fatica, attesa la mia grave età, che ha scemate forze, energia, memoria e vista, perciò anche non volendo, bisogna che cessi.
Dio conservi per lungo tempo Voi e la famiglia vostra. Quando sarò morto, un requiem anche per me.
Addio.
Vostro Aff.
Cugino G. MARIA BLANDIS.
Alla lettura di quel foglio, semplice ma affettuoso, si sarebbe udito volare un muscerino, tanto era il silenzio, il raccoglimento dei due fratelli uditori. Ma l'Elisa, quantunque attentissima, non poteva ristarsi dall'accarezzare con materna premura, tutte quelle cinquecento dieci pietre preziose, grosse. Tanto ne era innamorata, che quasi scordavasi delle sfolgoranti Columbie.
Alfredo invece terse colla mano una grossa lagrima, somigliante a quella che gli cadde dal ciglio all'arrivo dei doni di Zaira….
PARTE SECONDA
CAPITOLO VIII
Sempre la jettatura
La creatura che più delle altre nella famiglia Blandis, perchè la più giovane, gioisse dello straordinario, fortunato avvenimento, era stata l'Elisa.
Ad onta del suo carattere piuttosto tranquillo, essa aveva in corpo, da quel giorno memorabile, l'argento vivo, siccome espressivamente dice il volgo. Un mondo di progetti, carrozze, vesti di lusso, vezzi di gran costo, feste da ballo, teatri, ed altri peccati veniali dell'ambizione. Ma signor sì, che, tre giorni dopo l'arrivo delle famose quindici valigie, Elisa (forse per la troppa emozione, talvolta funesta) trovasi in preda a febbre altissima, fino al delirio. Minaccia il tifo.
E tosto il fratello di Lei affezionatissimo, colla sua «arte crudel di fabbricarsi affanni» vede in questo fatto una sicura, imminente sciagura. Egli non era mai stato superstizioso, ma, che volete, era poeta, era fantastico. La mia povera Elisa, gridava, muore…. Ecco la bella ricchezza maledetta. Nè curavasi di dirlo a bassa voce, cosicchè la povera febbricitante aveva potuto udire a meraviglia…. In casa Blandis la Babilonia è al completo. La Dio mercè, del resto, in forza di medico e medicine pronte ed indovinate, e la costituzione sana dell'ammalata, fu operato il miracolo, non solo della guarigione, ma della sollecita guarigione.
Quanti sospiri e quali veglie in quegli otto giorni, nella famiglia Blandis! E quanta gioia per la ricuperata salute della cara sorella Elisa.
Maddalena, la sorella maggiore, sosteneva che le medicine prese dalla sua cara bambina, erano una vera sciocchezza in confronto del lumicino, che essa aveva acceso nella di Lei camera, d'innanzi al quadro di San Giobbe. Maddalena, sebbene tanto buona, e non senza intelligenza, era, non pertanto, un pochino bigotta, e perciò diffidente della scienza di Ippocrate, ove non si discorre di miracoli.
PARTE TERZA
CAPITOLO I.
Troppa ricchezza, poca sicurezza
Elisa, ricuperata in brevissimo termine, la salute, come si è scritto nel precedente Capitolo, parte seconda, era diventata ancor più allegra di prima. La salute è la cosa più preziosa che vi sia al mondo, perchè indispensabile alla vita e la vita piace a tutti, compresi coloro, che fanno continue preci onde guadagnare il Paradiso, il quale non è, credesi, in questo mondo. Elisa cantava male, non aveva orecchio musicale, ma voleva canticchiare sempre, rovinando le orecchie del prossimo, in argomento più dilicato. In quei giorni essa aveva improvvisata un arietta, consimile a quella di Cirillo, ma diversa nelle parole. Ad onta che fosse distratta dal palpeggiamento delle pietre preziose, essa comprese, pare, certe frasi della lettera del cugino d'America, per cui cantava:
«A quel che par, a giudicar Altri milioni denno arrivar»
e così la pensava anche Maddalena, quantunque appartenesse alla categoria degli aspiranti a quell'altra miglior vita. Del resto Elisa, aveva tutte le ragioni per essere la più lieta, perchè era la più giovane. Quanto ad Alfredo siamo alle solite. Si direbbe che il di lui cugino in secondo grado, gli avesse mandate quindici bastonate sulla groppa. Egli, cominciava già a pensare nel suo infelice interno, siccome Violetta sapendolo straricco, si allontanasse piuttosto che accostarsi. Pensava di regalarle il violoncello, ma che potea farne essa? L'avrebbe donato all'Enrichetto od al Droghiere forse, che probabilmente non sapevano suonarlo! Insomma un mondo di dispiaceri, in luogo dei piaceri, che quell'essere incompreso potea procurarsi. Anche Lord, l'enfant gatè di casa Blandis, annoiato di non andare più, da sì lungo tempo, a scovare la lepre, di cui talvolta ne mangiava un terzo, minacciava di ammalarsi per quella vita sedentaria. A lui non piacevano affatto le Columbie e le pietre preziose: projicere margheritas ante porcos. Un bel giorno pertanto, decise di andare solo all'aperto e lo fece, stando disertore per una buona settimana. Povera bestia, avrà voluto cercare anche lui, pel mondo avaro, qualche avventura canina.
I tre fratelli desolati per la scomparsa di Lord andavano cercandolo per ogni canto di quei dintorni, spendendo denaro e promettendo grosse mancie a chiunque lo riconducesse. Quello che più impensieriva Maddalena ed Elisa, per l'assenza di Lord, era lo stare la notte senza alcuna guardia, più necessaria ora che prima, causa il tesoro da custodire, perchè non ancora impiegato o venduto. Lord, siccome tutti i cani in pluralità, aveva finissimo l'udito, latrando dì e notte al minimo insolito rumore, e specialmente ad un passo forestiero. Saria stato capace anche di assalire chiunque, non noto, avesse voluto entrare di notte nella casa dei suoi padroni. Fatalità, esclamavano quelle due buone fanciulle, assentarsi Lord appunto in questi momenti di maggior pericolo!!…..
Alfredo pure deplorava l'incidente, quantunque possedesse due fucili a doppia canna, e bastante coraggio, in caso della necessaria difesa, di usarne. Ma non si sa mai, pensava, auri sacra fames, e l'occasione talvolta fa l'uomo ladro. La pubblica forza, era in numero insufficiente per certi grossi casi, ed inoltre lontano da casa Blandis quasi un chilometro. Telefono non v'era, ed Alfredo non aveva peranco pensato a quel nuovo portato della scienza acustica. Ed infine, da quell'originale di prima forza, che egli era, aveva antipatico il far conoscere agli altri, le sue apprensioni. Care sorelle egli dicea, Lord, a quanto sembra, o non ritornerà più, perchè l'avranno ucciso mentre rubava i suoi soliti salami, o ritornerà ben tardi. Dovremo quindi vegliare qualche notte ancora, infino a che io possa collocare sicuramente, queste benedette ricchezze, che già mi pesano sul petto, siccome palle di cannone.
Il danaro talvolta è morte, ripetea spesso quella buon anima di nostro padre, e quando io ero piccino, mi narrava sovente di alcuni brutti fatti accaduti in proposito. Intanto, energia signorine, aiutatemi a portare in cantina tutta questa roba, meno le Banconote che nasconderò nel mio studiolo di pittura al pian terreno. La cantina è sotterranea, a volto, con muri massicci e cancello sicuro. Lasciamo però calare la notte affinchè nessuno dei vicini possa fare il curioso. Comprendo che la voce dello spettacoloso avvenimento sarà già diffusa per ogni dintorno. In certi affari parlano anche i muri, ma poco importa. Ora ci vuole occhio ed orecchio fine, mente pronta ed acuta, non che una discreta dose di ardimento. Ora carichiamo le armi, non si sa mai, e beviamo tutti del caffè denso onde stare svegli. Le due sorelle a tali discorsi e preparativi, sentivano già in corpo una maledetta paura, e quasi quasi maledivano anch'esse alla improvvisa fortuna. Ciascuna perciò recitava, in silenzio, delle giaculatorie. Elisa si provò a suggerire la chiamata di alcuni vicini, per guardia e sicurezza, ma Alfredo scartò quel progetto siccome pericoloso, perchè potea divulgarsi il segreto del nascondiglio, cosa tuttavia ignota al pubblico.«Fidarsi è bene e non fidarsi è meglio». A notte avanzata, tutti tre i fratelli, con mille precauzioni e non senza sudore, trasportarono dal salotto in cantina, il sacro peso, nascondendolo sotto un mucchio di sabbia, da gran tempo ivi esistente fra rottami di mattoni e calce. Quella tribolata fraterna dovette farvi tredici viaggi (il numero favorito di nessuno, eccettuato Alfredo). Chiusero la cantina a doppia chiave, e risalite le scale, disposti a vegliare stando in cucina (primo ambiente vicino alle medesime), taciturni avevano in cuore diverso pensiero. Alfredo pensava sempre alla sua ingrata Violetta, ed auguravasi press'apoco, che in quella notte venissero i malandrini a sgozzarlo, così dicea, guarirò del mio amore. Le due sorelle invece confidavano sempre nella Provvidenza, offrendole qualche Gloria patri, ma scattando in piedi improvvisamente, al più lieve rumore, prodotto da qualche gatto sui tetti, o da qualche topo sul granaio. Maddalena si fece coraggio, andando nella sua camera in punta di piedi, ad accendere il solito lumicino d'innanzi alla Vergine dei sette dolori, ma nell'andarvi si volgeva sempre indietro, sembrandole di avere i ladri alle calcagna. Alfredo fumava nella pipa, che ad ogni momento spegnevasi con suo grande dispetto. Eravamo d'estate, ma quella notte, non finiva mai. La timida Elisa, immobile sul suo scanno, si limitava a far conca colle mani dietro le orecchie, onde udire meglio qualsiasi rumore. Le due dopo mezzanotte scoccano intanto all'orologio del paese. Un'ora e mezza ancora, e poi l'alba farà cessare la loro agitazione febbrile……
A questo punto, il martello della porta di strada, manda un legger suono, tutti tre tendono l'orecchio, sembrò che alcuno facesse l'esperimento o di aprire con grimaldello la porta, o di assicurarsi se casa Blandis vegliasse. I fratelli si guardano in volto senza profferir verbo. Le donne tremano, sentono il freddo correr loro nelle spalle e sul viso. Dopo un istante una chiave gira nella toppa, ma inutilmente causa il catenaccio interno, poi un lieve fischio, poi un rumore insolito, siccome di sfregamento di piedi lungo la cappa del camino, indi tosto un colpo di pistola, ed il guaito contemporaneo di un cane, di voce nota. Dio, Dio, esclama Alfredo, il mio Lord certamente ferito. Le due donne cadono in ginocchio. Ma Alfredo non sa resistere, vuol andare in aiuto del suo fido amico, e col fucile al pronti, corre alla porta, l'apre e spara un colpo a sorte verso la piazza dal basso in alto. Intanto veloce siccome il lampo, entra Lord, sanguinante da una gamba, ma non per questo cessa dalle immense cerimonie verso il suo padrone.
Alfredo contraccambia con carezze….. in quel mentre si vede circondato da tre mascherati, con coltelli in pugno, che gli intimano il silenzio coll'indice sulla bocca. La sorpresa fu tale, che Alfredo rimase paralizzato, nè ebbe il tempo di spiccare un salto all'indietro, e sparare un secondo colpo in direzione più efficace.
Quei signori eransi celati senza dubbio dietro i pilastri del cancello, mentre Alfredo, esciva a cercare Lord. La fiamma del suo fucile non bastò a scoprirli, perchè erano fra l'ombre, ed intanto che Alfredo, dimentico! di chiudere tosto la porta, accarezzava il cane, essi, siccome scoiattoli, entrarono e lo presero in mezzo.
Illustrissimo, noi siamo buona gente, disse a voce bassissima, uno dei tre, ma la Giustizia ci insegue, abbiamo bisogno del suo aiuto, per poter salvarsi all'estero. Basteranno, per ora trecento Columbie, che fanno cento a testa.
Non si muova, non gridi, che allora saremo sempre buoni amici. Ed Alfredo—Vi raccomando di non salire, che le mie sorelle morrebbero di paura, Venite con me qui abbasso e sarete contenti. Non ho più Columbie, ma qualche banconota, e farà lo stesso, (coi ladri si fè lecito mentire). Entrarono tutti quattro nello studio, ed alla sua volta Alfredo, spianando il fucile, disse, nessuno di voi si avanzi. Egli colla mano sinistra aprì il cassetto, del tavolo dei colori, e trasse tre carte…. eccole, sono trentamila lire, e se tacerete voi, tacerò anch'io. Andate. Essi partirono, volgendosi però indietro (per ragione forse della pelle) ed Alfredo rinchiuse a catenaccio la porta. Tutto questo affare fu compiuto in meno di 15 minuti.
Ma che hai fatto mai in tutto questo tempo? disse Elisa al fratello, non appena egli rientrò in cucina collo schioppo in mano. Noi siamo qui trepidanti da un quarto d'ora! Guarda qua il nostro Lord, che fa sangue da una gamba, sembra però cosa leggera, e tu dove sei stato? Che è accaduto? parla…. Oh! nulla nulla, rispose Alfredo. Quando vidi Lord salire le scale, rinchiusi la porta ed entrai nello studio onde assicurarmi sul nascondiglio dei valori in carta, e quanto alla ferita del cane si vede che un qualunque viaggiatore pedestre nel timore di essere morsicato, gli sparò una revolverata. Tutti in giornata hanno rivoltelle, perchè costan pochissimo, e perchè tengon in tasca poco spazio. Quanto al divieto di portarle, senza speciale permesso, è precisamente siccome dire al nostro Lord di non mangiar salami. Le sorelle, riavutesi alquanto dallo spavento toccato in quei venti minuti di allarme, minuti che a loro parvero un mese, andarono a letto, ringraziando Iddio di averla passata liscia, senza spendere un soldo! Cose di questo mondo. Ciò che si vede e ciò che non si vede. La storia contemporanea è spesso falsa.
Care le mie fanciulle, a suo tempo saprete il vero Stanotte per voi era troppo presto………
Alfredo aspettò il giorno, che sorse in breve. Decise intanto di non denunziare il fatto, tanto per non derogare dalla sua abitudine. Comincierei troppo presto, pensò, per la miseria di trentamila lire. Verrà di peggio in seguito, miei cari, e se qualche Banca depositaria fallirà, allora saranno dippiù. Sono del resto impressionato, perocchè mi sembra di aver riconosciuta la voce del malandrino che mi chiese le 300 Columbie. Sbaglierò, ma potrebbe essere il Tizio che mi ha pedinato sulle Alpi!…. oh! almeno Violetta sapesse di questa mia nuova sventura… (volevamo ben dire noi! sempre la stessa novità.)
PARTE TERZA
CAPITOLO II.
Visita inattesa in Teatro, alla Capitale.
L'avvenimento della notte qui retro descritto, decise la famiglia Blandis a mutare temporaneamente residenza. Si progettò dunque di passare la maggior parte dell'anno a Roma, ad eccezione di due mesi d'estate e di due all'autunno, nei quali sarebbe ritornata alla vecchia casina villereccia. Non appena installati alla Capitale, i tre fratelli, ricevettero dall'ufficio postale del luogo prima da loro abitato, due ritratti in fotografia, uno antico fatto a New-York, ed era del cugino milionario da noi conosciuto, l'altro recente, fatto con maestria a Vienna, ed era dell'amica Zaira, altra nostra conoscente.
Alfredo aveva abbandonato con angoscia i luoghi delle sue più care aspirazioni e perciò si trovava a disagio nella nuova dimora. E come fare altrimenti? L'affetto alle sorelle, dominate dopo la famosa notte, da incurabile paura, lo esigeva, Sono le abnegazioni solite che esigono il dovere ed il cuore. Altra delle cause della nuova noja di Alfredo, era inoltre, l'arrivo in tutti i giorni di molte lettere da ogni parte d'Italia e dall'estero, spesse volte poi da persone a lui ignote. Una sera ne ha dovuto leggere cinquantotto, il numero della morte, secondo la Cabala del lotto. Un mondo di esibizioni da commercianti in genere, e di progetti di industriali per imprese in grande, quando fossero incoraggiate dai Capitali Blandis, ma di questo con maggior diffusione, diremo in appresso.
Una sera del principio del mese di Settembre 18… rappresentandosi da bravi artisti al Teatro Costanzi la Traviata, Alfredo, tanto per distrarsi un poco, andò colle sorelle all'Opera noleggiando un buon palchetto, in seconda fila, sinistra N. 13. Ma appena seduti in palco, Elisa, la più vivace e curiosa, scòrse nelle sedie chiuse due persone a lei note, che indicò tosto ai fratelli. Alfredo, a momento opportuno, fe' loro segno di salire al palco, sebbene per quei due personaggi non fosse troppo tenero, ma lo fece nella brama di avere per loro mezzo, anche accidentalmente, notizie sulle località abbandonate. Dopo pochi minuti, fra un intermezzo entrano in palco quei due campagnoli, i quali salutando i fratelli enfaticamente, presentarono ad Alfredo, un terzo loro amico, che rispettoso restava sul limitare. Quanta voglia avevamo, cominciò il Sig. Balena, di rivedere quel caro Don Alfredo (scusi, ma io non sono ancora Don, interruppe Alfredo). Fa lo stesso, gridò ridendo Balena. Questi soggiunse poi, è il Sig. Bricchetti Galeno, vice speziale, nostra vecchia conoscenza, già marito, come saprà, di donna Tullia, e questo il nostro amabilissimo Sig. Gaudenzio Esperti, commerciante in coloniali, marito recentissimo della gentile Signora Violetta Giacinto, in corso tuttora di luna di miele… Alfredo scolorì alquanto, ma tosto dominandosi, in modo da sembrare indifferente, strinse la mano a tutti e li pregò a sedere. Egli anzi, pel primo, introdusse il discorso, sulle novità dei paesi a loro comuni. Niente niente di importante, mio signor Don, anzi no, scusi, semplicemente Alfredo, disse correggendosi Balena, siamo venuti tutti tre alla Capitale, e per diporto e per gli affari agricoli e di commercio. Ci siamo fermati due giorni a Firenze, ed abbiamo potuto vedere, nella Galleria degli Uffici il suo splendido quadro. Credo il Convento del Parlatorio, o meglio, il Parlatorio del Convento.
Io poco mi intendo di Pittura, ma ho sentito dire da altri visitatori che è un quadro stupendo.—Gliene faccio quindi le mie più sincere congratulazioni.—(Alfredo intanto ordinava all'inserviente dei palchi, tre bottiglie di Bordeaux, da servirsi nel camerino adiacente) Veramente non spetterebbe a me, disse sommessamente Alfredo; ma confesso che anch'io fui soddisfatto di quel mio lavoro, perchè vi trasfusi tutta l'anima mia, anzi vi ho fatto appendere il cartellino: Venduto, perchè non amava che alcuno lo comperasse, vorrei conservarlo io, infine a che, a suo tempo, possa donarlo a persona di mia vecchia conoscenza (e qui senza volerlo ei rivolse lo sguardo al Sig. Esperti). Intanto Maddalena ed Elisa che non avevano ancora veduti spettacoli teatrali di città, non distraevano occhio e orecchio dal palcoscenico dove in quella sera si ripetevano i nomi di Alfredo e Violetta. E come si trova il Sig. Esperti laggiù, continuò Alfredo. Eh!… così, così, rispose il Sig. Gaudenzio. Si vivacchia, e qualche volta del resto, nei paesucci bisogna annoiarsi, perchè non vi ho ancora trovata una compagnia a modo mio per passare la sera, facendo quattro chiacchere col bicchiere in mano.
Taccia lei, sclamò Balena, che è tuttora nella luna di miele, e che io per solito, la chiamo di latte e miele, anche qui il Sig. Brichetti l'ha appena compiuta la sua luna, anzi mezzaluna, pel motivo che l'altra mezza, Donna Tullia l'ha passata tempo addietro col primo suo marito defunto. Si conchiuse scherzosamente dai presenti che Balena era una famosa lingua in salmy, e calato il sipario del secondo atto, quei quattro uomini, andarono a bere nel camerino adiacente. Alfredo fuori di pasto, beveva quasi mai vino. Brichetti vice-speziale, beveva poco per soggezione, al contrario Balena ed il Sig. Gaudenzio, bevevano bene e senza tante cerimonie, per cui, senza accorgersene, asciugarono due delle tre bottiglie di quel vino eccellente. In vino veritas, perocchè dopo alcuni bicchieri di vino generoso, naturalmente il troppo riserbo se ne va, e comincia ai bevitori la parlantina più sincera.
Dopo una ventina di minuti, in principio al terzo atto dell'opera, i nostri interlocutori, un po' rossi in volto (perchè il Bordeaux riscalda presto) voleano per discrezione o per pigliar fresco, accomiatarsi, ma Alfredo li trattenne cortesemente in palco, essi accettarono, tanto più che la famiglia Blandis non conosceva etichetta, e, nuova alla capitale, non aveva altre visite.
Balena, a questo punto, non sapendo che dire di meglio, ricordò ad Alfredo, di aver veduto in casa Esperti, un violoncello accostato alla parete, presso l'arpa della signora Violetta, e di sapere che quel violoncello era suo. Qui il sig. Esperti sorse a dire…. Se il sig. Alfredo vuole che glielo spedisca qui, comandi, oppure se nell'autunno vicino, V. S. vorrà venire in persona a riprenderlo, farà sempre piacere. Oh! no, ne faccio un dono alla sua Signora, rispose Alfredo, quale ricordo delle gradite ore trascorse, suonando insieme delle Romanze d'effetto. La sua Signora tratta egregiamente l'arpa. Balena, non potendo più stare nei panni, sorse a dire vociando, come di suo costume; Fa bene Don, anzi nò, il Sig. Alfredo; di arpe e violoncelli, co' suoi lauti mezzi, può trovarne anche a Roma, senza far viaggiare istrumenti di corda, sempre delicati. Squisito quel vostro Bordeaux. Il Sig. Gaudenzio, uomo non troppo fiero, accetto, disse, a nome di mia moglie, e sono anch'io soddisfatto del regalo gentilissimo, per cui la ringrazio. Tutti tre poi, sul finire dell'opera se ne andarono, e Alfredo sempre più pensieroso ed afflitto, non appena a casa colle sorelle, si coricò, sognando tutta la notte restante, di mille aneddoti confusi, ora consolanti ora disgustosi. Elisa e Maddalena soddisfattissime pregarono il fratello di condurle più di frequente a teatro.
Reduce dal Teatro, Alfredo non ebbe voglia (tanto era preoccupato per mesti ricordi) di aprire una ventina di piccoli e grossi dispacci, deposti sul suo tavolo da notte, dalla portinaia, come al solito. Rimandò al mattino seguente quel lavoro, talvolta uggioso, e talvolta ameno. Era uno dei vantaggi meno graditi, della ricchezza. Aprì e lesse in prima una letterina nitida calligrafia stampatello, in piedi, con tanti ornatissimi ed illustrissimi in principio, a metà, in fine.
Guardata la firma, era di Don Stecca Pancetti, il nostro buon Capellano, che chiedeva sussidio onde poter erigere in paese, e in luogo salubre, elevato e isolato, un'oratorio femminile, adatto a raccogliere nei dì festivi, tutte le giovanette non abbastanza istruite, ed a scanso di altre compromettenti distrazioni. Lasci pure che si raccolgano dove lor piaccia, disse di mal'umore Alfredo, egregio Don Stecca. Se non fosse villania, meriterebbe non rispondergli affatto, ma si potrà rispondergli che le giovanette, alla festa, stanno meglio od in famiglia od al passeggio. Ora vediamo quest'altra—«Signore tutti abbiamo diritto di vivere (giustissimo) qui sono tutti cani, senza un momento di cuoraccione. Fra una settimana, corro, volo in America od in Africa, e se mi manda, magari un bijetto da mille, io lo difenderò, in ogni occasione, a spada tratta. Domani, pensò Alfredo ti mando il biglietto preciso che cerchi, prima di tutto perchè sei certamente un capo ameno, e poi perchè non ti colga il ticchio di venire in persona a pigliare quanto ti occorre. I matti sono bensì tutti sotto la mia protezione, ma però alla larga.
Leggiamo la terza; una lettera a stampa, un manifesto rèclame. Viene da San Secondo (Parma). In testa al foglio un majale grasso; firmato: Società di incoraggiamento all'industria porcina. Vuol farsi fornitore della mia casa, a prezzi ridotti, ed esalta le sue famose spalle. Risponderemo, dice Alfredo, che non sono le sue, le spalle che mi piacciono dippiù; così la pensa anche il mio amico Cirillo.
Andiamo avanti, disse Alfredo, che era diventato quasi di buon umore. Ecco una quarta—una antica conoscenza della città di B., che mi rammenta i bei giorni passati, e che ora ha tre figlie da marito, piene di salute se non altro, di capigliatura diversa l'una dall'altra, come pure il volto, ma tutte simpatiche, e che anch'esse vorrebbero aver l'onore di conoscermi. Me ne spiace, amica mia dilettissima, dice fra se Alfredo, ma io non mi mariterò più. Ciò è scritto nel Fato, specialmente poi se ve ne fosse una dalla chioma bruna, perocchè essa mi risveglierebbe memorie crudeli.
Vediamo ora anche questa busta con fotografia. Un ritratto di donna giovanissima di Torino. Mimì, seconda mima al Teatro Regio, porta N. 3277, Viale Po, quarto piano, verso corte scala a destra…. raccomanda di andarla a trovare a qualunque ora, meno la sera. Questa qui, ad onta che sia bellina tanto, sclamò Alfredo, la metteremo in compagnia del Sig. qui sono tutti cani, senza un momento di cuoraccione, giacchè potranno combinarsi perfettamente intorno al modo di pensare, ed intanto, domani le manderemo un biglietto da 500. Così quei due mattoidi con 1500 lire faranno gazzarra per una buona settimana. Però quella cara Mimì, è stata abbastanza discreta a non chiedere senz'altro, danaro. Leggiamone, disse Alfredo, già stanco, ancora un paio, ed il resto a domani. Questa viene dal Club velocipedistico di Milano, mista di scrittura a mano e di stampato. Chiede di poter correre nel mio parco alla Villa di N. N. (quale?), per la prossima Fiera di S. Antonio da Padova. Corsa con premi, duecento inscritti. Ringrazia anticipatamente del favore, e si firma: Società Saetta e viceversa. La direzione….. Alfredo, sebbene ne avesse poca voglia, sorrise, pensando, che il suo parco fino ad ora consisteva nel piccolo orto di 35 metri quadrati dove quei duecento inscritti potrebbero forse correre un poco, quando non facciano però insieme il viceversa. La saetta verrebbe a scaricarsi nel vicino fossato.
All'ultima adunque per oggi. Sono due medici primari di Costantinopoli, d'origine italiana, specialisti in Psichiatria. Mi vorrebbero socio nella erezione di una grandiosa fabbrica di ultimo modello, capace per mille pazzi, puramente maschile, e concorrendo io col capitale di mezzo milione, ad interesse certo del 7 p. O|O, mi farebbero patrono benemerito a vita oltre all'interesse di cui sopra. Veramente, pensò Alfredo, disgustato, non si dovrebbe rispondere a questa lettera perocchè con molta probabilità, si tratta di un scherzo di cattivo genere, ma siccome vedo, quel ferma in posta, Costantinopoli lettere Z. Y. K., così si potrà rispondere per esempio: Impossibile l'attuazione del progetto, perchè non faremmo mai locale capace a contenervi pazzi colossali quanto i due progettisti Signori Z. Y e K.
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E siccome poi Alfredo, venne chiamato dalle sorelle, cuoche e cameriere insieme, per la colazione, così sospese la lettura delle altre 13 lettere a tempo più opportuno.
Finita in breve la modesta colazione, Alfredo disse a sua sorella Elisa. Tu dovresti farmi il piacere, perchè sono stanco del leggere e poi voglio fare la mia solita fumata nella pipa, liberamente, a sciorinarmi qualcuna ancora delle tredici lettere che trovansi nel panierino della mia camera, ove depongo al solito, la corrispondenza; và e ritorna subito. Elisa compiacque tosto il fratello e ritornò colle lettere di cui sopra. Avutele sottomano prima Alfredo, egli ne ripone due in tasca, di soprascritta a lui nota, e non senza turbarsi lievemente, consegna le altre undici ad Elisa, la quale apertane una o caso, legge come segue;
Egregio Sig. Cav. Alfredo Blandis
Dal Peloponneso Settembre 18..
«Ho sentito parlare della Signoria Vostra, con molto favore, e mi duole di non conoscerla ancora di persona, locchè spero avverrà presto, per intenderci meglio su certi punti delicati. Il Deputato del nostro Collegio Professore Fortunati, come saprete dai giornali, è morto ier l'altro, dopo lunga e dolorosa malattia di Spinite lenta, tremenda, contratta, non si sa dove e come. Era nostro buon amico, dotta ed egregia persona, ed ha sempre per vostra norma, militato fra i conservatori. Presto certamente, sarà indetta la surrogazione, ed io che avrei qui, non faccio per dire, bastante influenza, mi sarei proposto di raccomandarla quale candidato. La riescita, quasi sicura, pel motivo che un altro solo, un rossissimo, gli starebbe a competitore. Credo che la S. V. abbia passata l'età legale, e perciò se è disposto me lo dichiari con telegramma, a risposta pagata, ed al più presto. Già s'intende, che per taluni Elettori, occorrerà un beveraggio. Ora con perfetta stima, mi rassegno della Signoria Vostra Illustrissima
Sempre devotissimo MARCANTONIO MESCOLI, industriale.
Elisa depose la lettera, con sussiego, sul tavolino, dichiarando che quella era molto ben scritta. Alfredo non pronunciò verbo e sorrise. Io accetterei d'avvero, soggiunse la sorella, perchè si possono ivi esporre francamente le proprie opinioni.
Ma che vai dicendo mai pazzerella, esclamò Alfredo. Io non saprei che recitare il canto V.º dell'Inferno di Dante, perciò, concediamo che riesca invece il cosidetto rossissimo; egli farà da guarda-freno. Figurati se colassù vorebbero sentire di poesia e d'amore. Telegrafa tosto al Sig. Mescoli, due semplicissime parole, e senza risposta pagata; declino offerta…. ora leggine un altra. Era d'un vecchio amico, compaesano di Alfredo; esso si raccomandava per il posto di maggiordomo presso di lui, trovandosi in angustie economiche, senza sua colpa.
Venga pure, venga pure, quando vuole, gli risponderai tu Elisa, non però quale servitore, bensì quale amico, e resti con noi infin che vive. Io lo conosco bene, è un galantuomo, perseguitato, perchè non seppe mai dissimulare. Servo non lo voglio, perchè sarebbe costretto, onde conservarsi il pane, a darmi sempre ragione, anche quando avessi torto.¹ Ora ti ringrazio Elisa e smetti di leggere le altre lettere, dovendo io per un'affare urgente di cui non mi risovveniva, ritornare nel mio studiolo (si dubita che volesse leggere le due lettere riposte poco prima!). Però, converrà esaurire l'incarico per le restanti, non volendo io far mucchio, che ad ogni arrivo di posta aumenterebbe di certo. Così continuano i vantaggi della grande ricchezza!
¹ «In che consiste l'adulazione? Nel tacere ai grandi ed ai ricchi, i loro difetti onde non perderne il favore.» (Trascrizione da un libro, di cui non si ricorda l'autore).
Ma non appena entrato nello studio, Alfredo aperse la prima lettera di nota scrittura e lesse:… (dunque non avevamo torto di dubitare).
Signor Alfredo carissimo,
Dal Trasimeno, Settembre 18…
Dopo lungo pensare, ho finalmente compreso, siccome io abbia sempre mancato di confidenza in Voi, uomo leale, ed oggi sebbene troppo tardi, ne faccio ammenda, chiedendovene perdono……. Vi confesserò che in passato io diffidai del vostro carattere spregiudicato, molte volte con franchezza da Voi stesso espostomi…. Ebbi torto. Mi maritai, cedendo al bisogno di quiete ed alle volontà per me imperiose…. Non vi dirò se ora sia felice. Io sono però tranquilla e vivo giorno per giorno siccome tante altre mie simili. Credo che Dio mi voglia concedere quanto prima le dolcezze della maternità, ed allora certamente sarò più lieta. Accetto il dono fattomi gentilmente, a quanto seppi da mio marito, ma vi giuro che questo violoncello, lo suonerà nessun altro, ed in caso che io più non vi riveda, resterà accanto alla mia arpa siccome due vecchi amici. Non dubito della vostra prudenza e discrezione, già sperimentate. Conservate la presente e non dimenticate
L'amica Vostra VIOLETTA.
Alfredo, riportò profonda impressione per questa inattesa lettera, ma vieppiù per le frasi in essa dettate, senza dubbio da un cuore buono, e comprese inoltre che Violetta era mesta mesta in quel giorno, forse per effetto patologico.
Ora a quest'altra, pure di carattere noto e non discaro.
Mio buon amico
Vienna, fine Settembre 18..
Sebbene io mi trovi da parecchio tempo in questa stupenda città, pel ritiro di alcuni capitali del defunto mio marito, pure non vi ho dimenticato ad onta dei vostri voli aerei. Manzoni diceva che: una delle più grandi consolazioni di questa vita, è l'amicizia. Anzi fra pochi giorni conto vedervi in Roma, e comunicarvi anche a voce, il mio progetto seguente: Io, come sapete, sono sola al mondo, col mio vecchio servo meticcio Jon. Se io, pertanto vi chiedessi di vivere semplicemente, e senza alcun diritto, insieme alla vostra famigliuola, mi direste di no? Io non lo credo perchè siete tanto buono.
Attenderò a Trieste al mio domicilio che voi conoscete, una riga che mi palesi la via e la casa in Roma dove abitate, per potervi poi telegrafare il giorno e l'ora precisi del mio arrivo in codesta Stazione ferroviaria. Ricordatemi intanto alle vostre sorelle che desidero conoscere presto, ed a voi una forte stretta di mano dalla
aff. vostra ZAIRA.
Se in quel momento fosse stato presente quel biricchino di Cirillo, avrebbe detto certamente: Eccolo fra due fuochi di bengala, il primo lo seduce, il secondo non gli è discaro. Ma Cirillo non v'era ed Alfredo, se ne inquietava assai, amandolo sempre vicino, quale il suo miglior consigliere. L'ho chiamato da Napoli tre volte, sclamò, ma lui, dice, che vuol finire il suo Narciso statua commessagli da un ricco inglese. Probabilmente un altro originale. Narciso….. mi pare di aver letto nella mitologia che morì specchiandosi nella fonte, quando riconobbe sè stesso bellissimo e perciò di sè medesimo innamorato. Sarà dunque un quid del nosce te ipsum dei remoti filosofi. E vada al diavolo anche la sua statua.
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A questo punto la portinaia, l'unico cameriere promiscuo di Alfredo, reca ridendo una lettera; una sola, oggi, dice, miracolo. Meglio, sorse a dire Alfredo, che così potrò rispondere alle precedenti di maggiore impegno. Vediamola dunque, anche questa unica lettera:
Gentile Signor Alfredo,
Da Montecarlo, fine Settembre 18…
Stanco ormai di logorare la vita e la borsa, bazzicando in questi paraggi, conto passare un paio di settimane alla nostra Capitale, e se voi me lo permettete, verrò a visitarvi, quando sappia il vostro domicilio…. Io farò ricapito al Caffè Grande di Piazza Colonna, ove fanno da Camerieri le Kellnerin. Conto arrivare Venerdì sera… Vi ricordate del nostro duello stravagante, risolto tanto soavemente? D'allora voi mi siete diventato simpaticissimo e per questo vorrei berne un bicchiere insieme.
Tanti rispetti alle signorine.
Vostro C. ARINGA.
E Cirillo, avrebbe soggiunto, se fosse stato presente anche a quest'ultima lettera. Eccolo ora fra tre fuochi. La pelle è in pericolo.
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Se non chè, in questo momento (pare che non la finisca più) entra nello studio di Alfredo, un fattorino del telegrafo. Che c'è di nuovo disse un po' seccato Alfredo e lesse: Alfredo. Partito Cuneo, arrivato qui ora. Compagnia distinta operette, quattro prime donne assolute, giovani, dieci coriste, uomini sette, brava gente, io Direzione. Ti aspetto trattoria Ramolaccini stassera ore 9. Ceneremo compagnia tutti. Bacio. Tuo Golasecca.
Alfredo, fu contento di questo telegramma perchè il Sig. Golasecca egregio bevitore eragli stato un buon amico a Torino, sempre allegro ed un po' matto. Vi andrò, disse, senza fallo, dopo la nostra cenetta, e sarò felice di pagar da cena a quelle ventidue persone di provato appetito e di sicura giocondità. Comincio a comprendere, sebben tardi, che col denaro si possono avere delle curiose soddisfazioni, e si possono acquistare qua e colà simpatie ed importanza. Fra noi artisti poi, si va presto d'accordo.
Quanto al Commendatore, vo' preparargli un ricordo in brillanti, senza punto lesinare sulla spesa, perchè mi preme che egli faccia un po' di chiasso fra le sue conoscenze….
PARTE TERZA
CAPITOLO III.
Uno zigaro che ha costato L. 3250
Lasciata più in fretta che potè l'allegra compagnia comica nella Trattoria Ramolaccini e pagatosi con bella spontaneità il conto, dall'invitato pittore milionario, in L. 320 per causa delle parecchie bottiglie di Champagne ingollate più dalle prime donne assolute che dagli uomini, Alfredo, che amava ritirarsi per tempo senza coriste, camminò sollecito verso casa, in Trastevere. Erano circa le undici di notte.
Giunto presso Castel S. Angelo, sentì voglia di uno zigaro. Entrò pertanto in un botteghino di privative, ove trovavansi tre popolani, seduti presso il banco a discorrere colla venditrice piuttosto piacente. La loro bibita era acquavite. Quella tabaccaia scelse, con premura lo zigaro ad Alfredo, ed egli ringraziò colla frase: molto gentile la signorina! Ma l'uno dei tre, sia perchè avesse visto Alfredo in altra occasione, sia perchè fosse geloso, lo guardava fisso, e con fare provocante. Alfredo notò quel contegno, e nervoso per indole, gli rivolse queste parole: Ha forse qualche cosa a dirmi il Signore? L'interrogato risponde: Io faccio come mi piace (parlava il dialetto d'oltre Tevere). Ed io interrogo quando mi piace, Alfredo di rimando, soggiunse. L'altro, che era probabilmente alticcio, grido: Tira dritto moscardino, qui non è stallaccio pe' vo' forastieri, e sì dicendo, con in pugno l'indispensabile scanna-castrati, insegna coll'altra mano, la porta ad Alfredo. Questi allora dallo sdegno accecato, manda una furiosa puntata del suo bastone, al petto del prepotente, che va rovescioni sul banco. In un attimo sono in piedi gli altri due coi coltelli, la donna strilla. Alfredo spinta e rotta l'invetriata si invola all'aperto colla lestezza della lepre (il vantaggio del numero e le armi bianche incutono sempre rispetto) ma, sia per la furia, sia per la nebbia, sia pel rivolgersi indietro, siccome di chi è davvicino inseguito e non lo fu, sia infine, per un mucchio inavvertito di pozzolana, lungo la riva del fiume, Alfredo scivola nel Tevere. Così piglia nuotando un freschissimo bagno fino alla opposta riva. Per fortuna il malcapitato pittore, non incontrò pattuglie, e tutto finiva asciugandosi nel suo tepido letto. La famiglia non se ne accorse tosto, ma seppe del fatto ii giorno dopo, da Alfredo. Zaira era di fresco giunta a Roma, ma non fu posta a conoscenza di quel curioso avvenimento.
Però, io non vi ho ancora narrato, o lettori carissimi, che Alfredo, nell'attraversare a nuoto il fiume, aveva naturalmente smarrito qualche cosa…. cioè il portafogli contenente 3250 lire in carta moneta (un po' costoso quello zigaro). Nè sarà esagerato il conchiudere avesse Alfredo, dalla nascita, la vera e propria jettatura (in dialetto lombardo, arlia ). Cirillo gli diceva tratto tratto: Tu hai la iettatura (a parte i milioni), scommetterei perfino nella suola delle scarpe, per cui mi permetto consigliarti, l'andare a piede scalzo.
Il dì appresso di questo episodio, non certo idilliaco si leggeva su di un piccolo giornale di Trastevere, come la notte passata fosse stato accoltellato e gettalo nel Tevere, per fatto d'amore, un giovane forastiero, di condizione civile, nè ancora si era scoperto l'autore ed il cadavere ad onta delle diligenti pratiche di rito. Si dubitava anzi, trattarsi di qualche mozzo di un barco Egiziano, proveniente il giorno prima, da Gaeta.
Alfredo si imbattè per caso, su quelle ultime notizie di fonte sicura, si guardò attorno in quella meschina bottega da caffè, e non vedendosi osservato nemmeno dalla padroncina, intascò il giornale, ridendo di cuore e pagando la sua spremuta, uno scudo, senza resto, in pena del suo furteccolo. La simpatica Trasteverina, lasciò cadere, per verità, nel cassetto del banco, lo scudo, ma dichiarò in suo cuore, che colui poveretto, era un pazzo condannato.
PARTE TERZA
CAPITOLO IV.
Disastro in mare.
Il Novembre è imminente. Sul piroscafo ad elice, Polifemo, che faceva nel 18… il suo corso ordinario fra Genova e Catania e viceversa, trovavasi un centinaio di passeggieri, fra i quali, Alfredo, Elisa, Maddalena, Zaira col suo vecchio Jon meticcio avanese servo affezionato, e con essi il brillante amico Cirillo. Lord, per ultimo l'intelligente cane da caccia, inseparabile dalla famiglia Blandis, il quale, diventato col padrone un gran signore, vi aveva coi suindicati, il suo posto di prima classe.
La notte è già calata. Si fa mare grosso più dell'ordinario ed a 25 nodi circa dal piccolo porto di S. M. L. si spezza il timone del bastimento. Parecchi dei passeggieri provano più forte il mal di mare, altri la vedono brutta e trasparenti come l'alabastro, stanno muti per la paura. Maddalena ed Elisa, recitano insieme il rosario, onde la Provvidenza provveda per tutti. Cirillo sospende i suoi frizzi e la galanteria colle signorine tremanti. Alfredo e Zaira, forse presaghi di grande sventura, si guardano mestamente. Lord, ignaro di burrasche, è giù nella stiva ad inghiottire quel poco che trova gratis. Il vecchio meticcio infine, va inquieto a sedere presso la sua buona padrona. Cirillo ad onta della sua tanto decantata vocazione al celibato, teme di dover forse presto impalmare qualcuna delle Nereidi, col placet di Nettuno¹. La nave, per la suesposta avaria, correva già a sghimbescio verso la costa, in balia del vento, non dandole tregua le rabbiose onde spiumeggianti.
¹ Nettuno Dio del mare. = Nereidi sono 50 sorelle. = Mitologia.
Vi era pericolo grave, imminente. Si è dovuto fermare l'elice. Quasi tutti i passeggieri, ad onta del divieto, sono già sul ponte, in preda alla agitazione. Quanto affannoso andirivieni e lavorio dei coraggiosi, robusti marinai, non curanti del pericolo, i quali talvolta pagano colla morte, la loro filantropia.
Ma un raggio di speranza si fà strada fra quei cento cuori. Sono in vista, sulla medesima rotta, due grandi fanali rossi. È la corazzata Jank Syn, che superba, pare sfidi la rabbia del mare. Fatti i segnali di soccorso, quell'imponente Naviglio, che sembrava una montagna nera, è in un baleno a brevissima distanza dal Piroscafo.
Le onde altissime tempestano i fianchi delle due navi. La triste campana d'allarme suona sempre. L' Jank Syn ha sospeso il vapore. Le lancie sono calate a mare in fretta e furia. La scena è imponente. Gli uomini sono convulsi, le donne strillano. I capitani danno ordini, raccomandano sangue freddo, ma inutilmente. E un'arrabattarsi per essere i primi a scendere, e poi un titubare in presenza delle agitate piccole imbarcazioni. I più arditi e pratici sono già sul ponte della corazzata, ma le donne, ed i loro compagni devono andare con imbarazzo. Maddalena, Elisa, Cirillo, Zaira, Alfredo e Jon, scendono finalmente anch'essi dalla scala di bordo, tenendosi l'un l'altro per mano. Lord non si vede più, sarà probabilmente saltato in acqua sua favorita abitudine. Una lancia, sebbene sbattuta dai marosi, è tenuta ferma presso la scala dal mozzo che vi ha gettato il gancio. Maddalena, Elisa e Cirillo vi sono già entrati, ma Zaira accecata nel fare il salto, dallo spruzzo di un onda, scivola e cade in mare, trascinando Alfredo e Jon sotto la chilia del Jank Syn. Un grido straziante si manda da tutti i passeggieri. Cirillo colle mani nei capegli dice enfatico: Un milione a chi li salva! Due marinaj si sono già slanciati in mare ed una imbarcazione li segue. Ohimè ritornano pochi momenti dopo a mani vuote. Le sorelle di Alfredo sono svenute! Cirillo allora salta in mare in cerca dell'amico Alfredo. La notte ha cresciuta la confusione.
Il fatto su narrato avveniva a circa un miglio dalla spiaggia di S. M. L. E come poteasi in quelle terribili circostanze provvedere con più validi e pronti mezzi, alla salvezza dei naufraghi se anche la barca spedita al salvataggio, erasi capovolta? La corazzata allora volse la prua verso il Golfo di S. onde deporvi i passeggieri salvati, rimorchiando il Polifemo. Ed il mare?… ironia del destino! dopo alcuni minuti è tranquillo… E i nostri quattro amici? e Lord, saranno probabilmente rimasti preda dei mostri marini, quando il mare talora pietoso, non li rigetti sulla spiaggia? Sarà più facile che il cane di palude, Lord, si salvi, attesa la poca distanza dal Lido, e la di lui istintiva capacità al nuoto. E noi domani soltanto potremo conoscere la sorte riservata a' que' generosi, tanto sventurati.
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E' sorta l'alba del primo Novembre colla sua nebbia e pioviggina. L'aria frizzante, rende molesto il cammino sulla spiaggia del mare, ed in complesso, avremo una giornata oscura, tetra e fredda. Spunta lontano una triste comitiva, constante di tre suore, di un medico, di due guardacoste, e quattro infermieri dello Spedale, i quali precedono Maddalena ed Elisa scarmigliate e quasi inebetite, con neri veli sul capo. Esse non piangono più, sono impietrite, siccome dice Dante:« I' non piangeva, sì dentro impietrai » parole del misero Ugolino al 33. Canto dell'Inferno. Giunta la funerea comitiva presso la spiaggia del mare, già scorge una massa inerte… E' riconosciuto subito. Era Jon il vecchio meticcio… Più avanti, un altro cadavere, era Cirillo, sfigurato dalla lotta colla morte. Più avanti ancora, un gruppo di tre corpi immobili. Un uomo ed una donna, avviticchiati come l'edera alla quercia, ed un grosso cane che sembra sia addormito. Sono Alfredo, Zaira, Lord. Quest'ultimo si ridesta, corre incontro alle sue padroncine, e ritorna tosto ad Alfredo, cui lambe il volto. Zaira è irrigidita dalla morte, e si vuole fatica a staccarle il braccio destro dal collo di Alfredo. L'altro braccio copre una lettera ravvolta in un nastro rosa lacerato. Silenziosa e mesta la comitiva si avvicina al gruppo suddescritto, il medico grida…. questa donna è morta, questo uomo respira ancora, è appena svenuto, e si faccia presto a trasportarlo in luogo adatto e caldo, perchè rinvenga, v'ha speranza di salvarlo. Le sorelle di Alfredo, cadono in ginocchio, colle mani rivolte al Cielo ringraziandolo, senza profferir motto. La lettera inzuppata d'acqua salsa ed il nastro, vengono consegnati alle sorelle d'Alfredo. La lettera era appunto ad Alfredo diretta… Infelice Zaira, quel piego, l'aveva essa appeso al collo e nascosto in seno, la mattina stessa della sua imbarcazione. Era il di Lei testamento, in cui nominava Alfredo suo erede universale!… E' voce si trattasse di circa un milione!
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Le sorelle di Alfredo, istruite dal fratello, a non crescere mai di superbia, quando dal basso si va in alto diedero bensì 10m. lire al Sindaco del luogo del disastro da distribuirsi ai poveri, pregando del resto di non fare cenno sui giornali… Ma, naturalmente, quel giornaletto locale, narrò il fatto pietoso e la elargizione aggiungendo che un cane di Terranuova di pelo nero, aveva salvato uno dei naufraghi, cioè, un certo Alfredo Blandis Pittore Tirolese, arricchito coi suoi quadri….
Erano le informazioni alquanto imbrogliate dei quattro infermieri, che causarono alcuna variante, ma il più importante, era, del resto, esattissimo.
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PARTE TERZA
CAPITOLO V.
Non impedir lo suo fatale andare
( Dante INFERNO Canto V.).
Per nessuna forza il Mondo si arresta, ma procede invece, senza tregua, turbinoso, imperterrito. Il Mondo cammina, cammina…. Si rinnova, si riproduce, si trasforma ad ogni ora del dì e della notte…. Procede col sereno e colla pioggia, col caldo e col gelo, collo scirocco, col vento, col turbine, durante la calma e durante la tempesta, e sfida perfino la potenza del mare. Il mondo cammina dunque sempre tanto nella prospera, che nell'avversa fortuna. Egli oblia il passato, guarda con indifferenza il presente, e cerca ansioso l'avvenire. E guai se così non fosse! Guai se dopo un disastro, una strage, una ingiustizia, una battaglia perduta, una pena morale un disinganno, un'epidemia struggitrice delle vite umane, un incendio, una innondazione, una carestia, tutto il mondo si abbandonasse all'abbattimento, all'inazione, all'inedia…. Il mondo invece passa indifferente, con coraggiosa calma, dinnanzi al piacere ed all'angoscia, dinnanzi alla vita ed alla morte. La Scienza, le Arti, i mestieri, gli Uffici, le Feste, i Teatri, i balli, il travaglio dei campi, i riti, la salute e l'infermità, il bene ed il male, la pace e la guerra, la ricchezza e la miseria, la gioventù e la vecchiaia, la bellezza e la mostruosità, il riso ed il pianto, il lavoro e l'ozio, la virtù ed il vizio, passano vertiginosi, si scontrano, si urtano, si risvegliano, si confondono fra il sonno e la veglia de' mortali. Qua si ride là si muor, dicea un poeta, ed un filosofo scrivea: Chi muore giace e chi vive sì da pace. Questo è il mondo, questa è la vita… La lealtà è vinta dalla ipocrisia. L'ateo ed il religioso credono entrambi di aver ragione. Chi si è arricchito, gode, chi andò in malora, maledice al destino!
La tirannide odia la libertà, e questa, sebben tardi, l'abbatte. Il sanfedista, finge di abborrire il libero pensatore, ma poi in segreto lo apprezza. La lussuria deride il buon costume, ma poi lo invidia…. E' una lotta accanita che dura da secoli, ma il mondo cammina sempre. E' un continuo, febbrile, fare e disfare. La quaresima succede al carnevale, la quiete all'orgia. La musica, il canto, la danza, succedono ai funebri, e talora ne sono contemporanei.
Lo spettacolo babilonico, allieta, stordisce, spaventa, e soltanto lo stoico, che l'ha compreso, nè è tranquillo.
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Qual meraviglia pertanto, se otto giorni dopo la infausta nuova, del naufragio toccato ai miseri Cirillo, Jon, Zaira, Alfredo, nessuno più discorreva del fatto? Perfino gli amici ed i conoscenti ne erano già filosoficamente persuasi, per l'egoismo innato della propria pace e conservazione! Ma Alfredo che aveva perduti tre cari amici, ne era inconsolabile, e decise perciò di fuggire dal tumulto delle grandi città, per ritornare alla quiete villereccia, ed all'antica sua modesta dimora. Violetta pure conobbe dai giornali la catastrofe, e sentì in petto una dolcezza arcana quando lesse le parole: Il solo Pittore Blandis è salvo. E' abbattuto, ma si spera ristabilirlo in breve nelle sue primiere forze.
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La sventurata Zaira, nella mattina stessa della imbarcazione, era triste triste, senza conoscerne la vera cagione; era forse presaga della sua prossima fine? Credette perciò d'essere antiveggiante e provvida, nascondendo in seno il suo brevissimo testamento olografo, che diceva: Lascio ogni mio bene mortale al mio caro Alfredo Blandis. Un milioncino all'incirca, senza passività. Il vagheggiato di lei progetto, da qualche tempo, era di sposare Alfredo, ma fino a che, non seppe maritata Violetta, lo serbò in cuore.
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Ma di che farne, diceva sospirando Alfredo, io nacqui e vissi molti anni povero, lavorava per vivere ed era più contento. Il cuore non ha d'uopo di tesori. Il mio buon Cugino, morendo, mi lasciò altri quattro milioni, così io, sarei padrone in complesso di venti milioni. Quando siete ubbriachi, tutti vogliono darvi da bere gratis. Io non so spendere, io non ho le esigenze, le ambizioni di molti, e la ricchezza anzichè rallegrarmi, mi ha mortalmente annoiato…. Darei ogni mia dovizia per la vita dei miei preziosi amici, rapiti da morte precoce e crudele. Darei la mia vita, per essere riamato un'ora sola da Violetta…..
Noi diffatti, abbiamo letto una volta, che « l'oro è un vano tesoro, qual viene se'n va ». Non possiamo dirvi l'autore del proverbio, perchè non lo ricordiamo più. Possiamo garantirvi, del resto, che quel proverbio non l'ha fatto un banchiere…..
Ad uno, ad uno, siccome i rami di una vecchia quercia, sparivano i più cari amici di Alfredo. Presto anche le sue sorelle, andranno a Catania, spose a due ricchi industriali, gente onesta e di felicità promettente, per cui fra poco, Alfredo sarà solo al mondo col suo fido Lord appena, che sendo anch'esso già vecchio, potrebbe andarsene all'asilo dei suoi colleghi trapassati….. dove non si mangiano più salami. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
PARTE TERZA
CAPITOLO VI.
«I sogni della notte sono imagini del dí guaste e corrotte»¹
¹ Cioè false e confuse.
Per sette anni non interrotti (un quid delle piaghe d'Egitto) Alfredo ha sognato, ogni notte, di Violetta. Un fatto nuovo e tanto strano, da potersi chiamare memorabile nella storia d'amore. Ed un'altra stranezza avveniva perocchè quando Alfredo era povero davvero, sognava spesso di essere ricco, mentre ora che, da qualche tempo, era divenuto realmente ricco, sognava intorno a fatti che accadevano soltanto e precisamente in circostanze della assoluta antica sua povertà, siccome dimostreremo qui appresso. Sciogliete voi lettori questo quesito, chè io non lo posso. Alfredo inoltre ci narrava un giorno, che dopo molti anni dal suo volontariato del 1859, balzava ancora di frequente dal letto udendo spaventato la precisa sveglia, onde non incorrere in pene disciplinari.
Era quello tra i fatti che gli avevano prodotta molta impressione. E di diversi altri fatti spiacevoli ha continuato per anni a sognare Alfredo, rivedendo cose, luoghi, persone identiche, e sentendone ancora in sogno, doglianza, pel motivo che quei fatti, contro sua riluttanza, li vedea riprodotti perfettamente. Terribili impressioni conficcatesi una volta profondamente nei ventricoli, od in alcun ventricolo del suo cervello delicato, e rinnovantesi, a norma della loro mobilità od elasticità¹.
¹ Avere il cervello fatto a orioli.
Tecnicamente, potrebbe essere un granchio, ma discorrendo secondo la effettiva sensazione provata e spiegata da Alfredo, non si potrebbe in altra maniera risolvere il problema. Perciò non crediamo sufficente la denominazione semplice di fenomeni nervosi. Più giusta forse, ma meno chiara ai profani. Per quanto riflette poi il sognare sempre di Violetta, lo si potrebbe spiegare nel senso, che se Alfredo pensava a lei tutto il giorno, era più facile che ne sognasse la notte. Ed ecco la ragione dell'abitudine di Alfredo di coricarsi presto la sera, volendo egli affrettare quel piacere, non calcolando bene poi, che il sollecitato piacere, potea mutarsi, come spesso, in dolore, o per disinganni fantastici, o per la fantastica indifferenza della sognata amante.
E se il nostro buon amico, mezzo poeta e mezzo pittore, colle frangie del violoncello, dovesse vivere a lungo, cosa problematica, noi potremmo giurare che egli farebbe i medesimi sogni, usque ad secula seculorum, amen. Era notorio, in quell'epoca, siccome il cappellano Don Barnaba Pancetti, saputo alcunchè intorno ai sogni di Alfredo, facesse delle brutte smorfie, nel sospetto che si trattasse di gravissime colpe sulla di lui coscienza. Si aggiungeva poi dalla cronaca, come lo stesso Don Barnaba, mentre Alfredo era diventato molto ricco, tentasse di intervenire per la pace dell'anima sua. Ma sentendosi dire da Alfredo, che la propria coscienza la sentiva perfettamente libera da ogni peso, il Reverendo, sebbene di poca voglia, rinunciava al progetto e conchiudeva sentenziando: Sarà una semplice emicrania dunque!(Bravo).
Si potrebbe inoltre pronosticare, che Alfredo, in onta ai suoi quindici milioni e forse più, beccati al cugino in secondo grado, (buona pasta), potrebbe morire anche di fame, con meraviglia di tutti, ed alla guisa del povero Conte Ugolino, ma colla variante, che Ugolino morì di fame per forza, ed Alfredo morrebbe di fame per amore. Digiuno forzato e digiuno spontaneo.
«Poscia più che il dolor potè il digiuno»
(DANTE, Infer. Canto 33.º ).
E giacchè siamo sul discorso della morte, noi crediamo che la peggiore sia quella che si vede venire lentamente, lentamente, presso il capezzale, durante gli ultimi mesi dei nostri fisici e morali patimenti!….. Non sarebbe migliore la morte più veloce ancora del treno lampo? In tal modo si annoierebbe nessuno, compreso il malato. Maddalena però, la sorella maggiore di Elisa, nostre conoscenti, non la pensava come noi. Essa avrebbe desiderato un preavviso, poniamo di un anno, onde potere in termine utile, prepararsi alla buona morte….. Ogni testa ha il proprio modo di pensare. Tot capita tot sententia…..
Se non che accortici, di esserci allontanati troppo dall'argomento dei sogni, per l'incorreggibile vizio del correre troppo innanzi a similitudine di Lord, ritorniamo al posto.
I sogni pertanto alcune volte sono belli, ma più di frequente brutti. I pochi belli, per la loro semplicità e naturalezza, per l'assenza di tutti i riguardi o convenzionalità sociali, o di tutti i pregiudizi, sono affini ai costumi dell'età dell'oro, età che pare, non voglia più ritornare. I molti brutti sono l'effetto di moleste cause o fisiche o morali, o delle une e delle altre insieme, sendo una medesima cosa, a quanto sentenziano i materialisti. L'inquietudine, per esempio, ed altre nevralgie, prodotte generalmente dai visceri più nobili, cervello e cuore, (indivisibili siccome Oreste e Pilade) sono la cagione di brutti sogni. E sebbene rarissime volte, pure alcuni bei sogni possono realizzarsi, siccome già avvenne ed abbiamo constatato nel nostro romanzo. La famiglia Blandis divenne ricca, molto ricca, ma Alfredo non seppe profittarne come molti altri avrebbero certamente fatto. Figuratevi che egli non aveva voluto procurarsi, nè una livrea, nè una carrozza, nè un palazzo, perchè sosteneva che colle prime si umilierebbe il nostro simile, colla seconda si potrebbe ribaltare, e nel terzo si potrebbe smarrire la tramontana. Faceva delle carità tratto tratto, ma alla sordina, cioè senza articoli sui giornali, dava delle grosse mancie ai camerieri avventizi, che poi ne ridevano, e quanto al suo pranzo, era meschinello come una volta, trovando inutile ogni sontuosità, a chi mangiava quasi niente. Egli si nutriva a preferenza de' suoi soliti sospiri. Il suo intimo Cirillo, anche poco prima di restar vittima delle traditrici onde marittime, ripeteva ad Alfredo di stare allegro, di mangiare e bere, siccome costuma la maggioranza dei mortali; ma quegli tosto sentenziava; « Si mangia per vivere, e non si vive per mangiare ». E perchè poi, osserviamo noi, conservava Lord? Allora Cirillo, quasi indispettito esclamava:« Tu sei un monumento di ingenuità!…..
Ora mi piglia vaghezza di comunicarvi uno stranissimo sogno di Alfredo, fatto mentre non era che un semplice disperato pittore, ed intendiamoci bene, quel sogno riguardava sempre la ritrosa Dea Violetta dal sorriso incantevole…..
Trattavasi, in detto sogno, di una soirée in casa Giacinto. Dal domicilio di Alfredo alla borgata di Violetta, eravi la distanza di circa sei chilometri. Perciò essendo d'inverno, colle strade orrende e di sera, oltre al tempo piovigginoso, si dovea per la decenza dell'abito, andarvi in carrozza. Egli naturalmente deve procurarsi una vettura da nolo. Fatica inutile. Vetture da nolo nel suo paese, in detta sera, nessuna.
Sempre la jettatura, anche nei sogni. Intanto il tempo camminava lesto. L'ora è ormai trascorsa. Alfredo è costretto di andarvi a piedi e forse senza ombrello, perchè lo aveva smarrito in altra occasione. Egli corre quanto un levriere, egli vorrebbe arrivare in tempo, (non dopo, come sappiamo, avea fatto una volta Cirillo) là dove, il suo cuore lo trascina. A mezza via trova e sale su di un biroccio tirato da un perfido mulo, che tosto sferra calci tremendi, e poi rinculando, lo ribalta nel fossato non una ma tre volte, da cui Alfredo sorte bensì illeso, rispetto al corpo, ma tutto molle e lacero negli abiti, in modo da farlo somigliare ad un accattone cronico, piuttostochè ad un virtuoso di violoncello. Non si dà vinto però il disgraziato pittore, egli pensa sempre a Violetta, ed arde di potere in breve, colla espressione del suo elevato spirito, suonare la prediletta romanza Declina il sol morente, accompagnata da Violetta egregiamente colla sua arpa. Ahimè! egli giunge in ritardo assai. Vede la Dea de' suoi pensieri, colà fra cento invitati, distratta, muta e sì indifferente verso di lui, da annichilirlo. Sembrava che fossersi allora veduti per la prima volta, anzi peggio, nemmeno il saluto, nemmeno un'occhiata.
L'arpa non si vede, il violoncello, che stava da tempo colà deposto, è a terra fatto in pezzi. Chi l'avrà conciato così? Alfredo, interpretando quella freddezza, siccome effetto del suo compassionevole abbigliamento, si ritira in un angolo oscuro della vicina anticamera, per farvi un po' di toilette; un botolo ringhioso gliela vuole impedire, nè egli arriva mai a mettersi le scarpe. Per soprappiù in quella cameretta, oh! meraviglia, gli nevica sul capo scoperto e in un attimo divenuto calvo. Una impazienza, una inquietudine, un'ira che a parole non si ponno descrivere. La folla degli invitati esce coll'ombrello aperto (nevicasse forse anche nella sala?) passa dinnanzi a lui in atto di scherno. Viene ultimo lo smilzo e lungo Commendatore, il quale si pianta dinnanzi ad Alfredo con mefistofelico ghigno, gli invola una scarpa, fugge, e mentre Alfredo fa per rincorrerlo, scompare a guisa di un fuoco fatuo. Ma Alfredo lo vuol trovare ancora, vola alla porta d'uscita, munito di un martello che toglie dal buco della stufa e…. vedi maledizione! nel posto preciso della porta di strada, si erge una muraglia fabbricatavi pochi istanti prima. Col martello abbatte il muro, e si trova all'aperto, giacchè se quel muro indugiava un istante a cadere, egli soffocava. Alfredo è già in piazza, ha però vergogna di quel suo stato pezzente, ripara all'osteria, coll'insegna di S. Giuseppe (che è sopra la buona morte). Ivi lo stalliere, col volto di scimmia, gli rattoppa con dello spago sgarbatamente i pantaloni a brandelli, cui prima voleva in dono, e gli lava colla sua scopa le sanguinanti graffiature delle mani. Intanto si presenta una brutta vecchia, colla lanterna puzzolente per cattivo olio.
Invita Alfredo all'alloggio, che ahimè, era un pozzo, ove egli, quasi fosse una pagliuzza, è gettato a capo in giù da quella megera. Per buona sorte, il contatto dell'acqua gelata sul fondo del pozzo, fece svegliare il misero innamorato, chè probabilmente, se l'affare continuava di quel passo, avrebbe finito alla guisa dell'infelice, fu Ministro Prina.
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E quando l'amico Cirillo, sul principio del funesto viaggio di mare, che vi ho già descritto, sentì narrarsi da Alfredo, l'incredibile sogno, non potè ristarsi dall'esclamare: Siamo in tre, mio dolcissimo amico, tu cerchi lei e lei cerca un altro, cosa certa e facile a comprendersi. Perfino i sogni, o mio eccellente illuso, te lo cantano in fa minore. Piuttosto che essere, come sei, meglio era, fossi tu morto prima di nascere. Ma il povero Cirillo, prezioso consigliere di Alfredo, andò poco dopo per jattura d'entrambi, ad affogare nell'acqua salsa, avendo tentato di salvare Alfredo e Zaira.
Qualunque contraria esperienza, qualsiasi potenza sovrumana, non avrebbe cambiato mai l'ideale di Alfredo, siccome già in principio di questo libro, noi dubitammo. Egli, all'incontro sperava sempre; oggi o domani, od alla fine del mondo, Alfredo volea provare un istante di felicità coll'adorata Violetta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il nostro cocciuto idealista, oltre alla pittura, aveva qualche nozione di classicismo, nello studio del quale, si trovano qua e colà dei saggi insegnamenti sul modo di vivere. Probabilmente dunque avrà trovato anche il proverbio:
«Bacco, tabacco e Venere Riducon l'uomo in cenere.»
Bacco ubbriaca, tabacco avvelena, Venere riduce in cenere, noi lo interpretiamo così, perciò v'ha un raggio di speranza ancora, in prò del nostro pericolante Alfredo, perocchè se egli beveva e fumava poco, avrà anche economizzato di Venere, per la forza del destino. Concludiamo, che Alfredo potrà vivere lungamente, anche senza felicità.
Lui aveva scartabellato anche alcuni libri di poesia, ed era rimasto impressionato assai alla nota ottava dell'Ariosto, canto II.º dell' Orlando, da noi trascritta nel Capitolo XI.º della Parte Prima. Quei versi inoltre, dovea rammentarsi, come avessero impressionato pure la bella Zaira, ma ad onta di tutto quanto sopra, Alfredo non sapeva persuadersene e così non poteva aver pace nemmeno dormendo. Onde aver pace, converrà pertanto, in primo luogo, credere pochissimo o niente a qualsiasi specie di sogni, in secondo luogo liberarsi energicamente (potendolo) dalle passioni dell'amore e della gelosia, che sono, come già dichiarammo, i principali ladri della umana tranquillità. Peggio ancora, se quei due ladri fossero perseguiti dagli altri due ladri, ambizione ed avarizia. E se mai a tutti loro si accompagnasse anche l'invidia « vita mortal tutta d'invidia piena »¹ allora avremmo una tremenda associazione di malfattori. Ebbene, il credereste? dopo cento prediche già fatte in proposito, al nostro Alfredo onde guarirlo, egli ci rispondeva: che l'uomo senza passioni è paragonabile ad un bue grasso.
¹ Ariosto.
La donna non è il sesso debole, almeno in linea morale, la donna è dovunque: « Surtout cherchè la femme.» La donna, siccome il tempo, fa a modo suo, e l'uomo o presto o tardi piega il capo.
Bada, caro scrittore, di non fare la fine di S. Stefano!
PARTE TERZA
CAPITOLO VII.
Come tutto va a finire in questa valle del pianto . . . . .
Il filosofo di Ginevra, l'uomo della Natura, Rousseau, disse: che la morte non è per l'uomo, se non l'oblio dei tempi compiuti e degli avvenimenti trascorsi. Non è colla morte pertanto, che tutto finisca, perocchè gli uomini onesti, di cuore, d'ingegno, ponno sopravvivere lungamente fra l'umanità, ma potrebbe essere coll'oblio delle cose belle e delle persone amate—«ogni affetto dal cor cancella il tempo»—«La morte è la tomba del corpo, l'oblio la tomba del cuore . . . . . . Difatti, l'uomo, ad onta della sua presunzione di sentimentalità, sente della sua materia, ed ha bisogno quindi di abitudine, di continuità, di positivismo, altrimenti dimentica.
E' questo l'emblema della sua debolezza, ed è per ventura, il germe conservatore della sua prosperità fisica, perchè l'uomo ha bisogno anche di vita materiale per sè e per gli altri. In una parola ha bisogno di pace. Questo è l'egoismo necessario concesso dalla Provvidenza all'uomo. Senza di questo tutti gli uomini si ucciderebbero, o morrebbero di languore. «Cosa bella e mortal ben poco dura.» L'oblio può inoltre derivare da sofferta ingratitudine o da immeritati disinganni. Ma viene il tempo in aiuto, quale rimedio efficace, e salva l'uomo.
Quanti cambiamenti, quante evoluzioni, deviazioni, novità, produce il trascorrere dei giorni, dei mesi, degli anni! Quante scoperte produce il tempo, di persone e di cose! Quanti velami fa cadere il tempo!…. Quante forti amicizie mutate in indifferenza od in rancore: e dal rancore e dall'indifferenza il ritorno alle assiduità alle simpatie. L'uomo fra gli altri suoi istinti annovera anche il variata placent! Se le evoluzioni, le deviazioni, le novità prodotte dal tempo, sono l'effetto non sempre di umana leggerezza, ma sibbene delle comuni circostanze della vita. Il crescere dell'età, per esempio, una nuova famiglia, nuovi bisogni, doveri, affetti, interessi. Ma consogliamoci, perocchè nè la mente, nè il cuore, nè la terra, invecchiano mai. Non è che l'infermità gravissima, la imbecillità cronica che rendono l'uomo smemorato e decrepito. Il resto dell'umanità giovane o vecchia ma sana, può vivere ancora confortevolmente, basta che su di essa piova ancora la rugiada morale, vivificatrice. E sopratutto bisogna assuefarsi a due cose, alle sventure ed alle ingiurie dei tempo. Pertanto non è assoluto, che tutto, tutto vada quaggiù a finire colla morte o coll'oblio.
Dio ha dato all'uomo la mente, che invecchia più tardi del suo corpo; il cuore che può sentire ardentemente anche dopo lunga età e fino agli estremi della vita; la terra che ogni anno riproduce mercè le cure dell'agricoltore. Dio ha concesso all'uomo l'intelletto, il quale, quando sia nudrito dallo studio, può eternare coi libri la sua ricordanza e le migliori gesta degli uomini, fra cui sono riprodotti tanto gli episodi di gioventù, co' suoi errori, come le esperienze della maturità, co' suoi rimedi. Dio infine ha dato all'uomo l'amore, che se spontaneo, profondo, generoso, non si estinguerà mai.
Il divino poeta che sapea dell'amore di Paolo e Francesca, cognati, li dipinge ancora stretti insieme dopo morte nella bolgia desolata dei lussuriosi, ma non combusti dal fuoco divoratore. Nel suo poema quel grande pensatore, li ha collocati spietatamente all'Inferno. Forse per accontentare i pregiudizi clero-tirannici di quella remota epoca, ma noi scommetteremmo, che Dante, se fosse vissuto più tardi, li avrebbe tolti, pentito, dall'Inferno, per metterli in sede più confacente, da loro guadagnata per il grande amore. Essi, in ogni ipotesi, non sarebbero stati colpevoli che di un solo bacio tremante non sulla fronte, ma sulla bocca, come cosa naturalissima. Essi furono due perfetti idealisti.
Nel suo Canto V. dell' Inferno, Dante interroga Francesca così:
«Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri A che e come concedette amore. Che conosceste i dubbiosi desiri?…
ed egli stesso quantunque marito e padre di sette figli, ricorda, nel suo Paradiso scritto all'età di 56 anni, il suo amore per Beatrice, sorto nella prima giovinezza, l'amore degli angeli.
Al Canto 31. del Paradiso, il grande Poeta, scrive le due terzine seguenti:
«E se riguardi su nel terzo giro Del sommo grado, tu la rivedrai Nel trono che i suoi merti le sortiro.»
e più avanti
«O Donna in cui la mia speranza vige E che soffristi per la mia salute In Inferno lasciar le tue vestigie»
Dunque il Poeta amava immensamente Beatrice, anche quando non poteva farlo; egli l'ha collocata in Paradiso quando estinta, e l'ha fatta andare dal Paradiso all'Inferno, perchè insegnassegli la sicura via.
Alfredo pure, ad imitazione di Dante, ed al pari di lui colpito dalla terribile corrente magnetica, augurerà morendo, il Paradiso alla sua amatissima Violetta, ed il Limbo, ai trionfatori del di lei amore, onde godersi alquanto almeno, della loro separazione.
Ora diteci voi amabili lettori e lettrici, se questa non sia la Valle del pianto?
PARTE TERZA
CAPITOLO VIII.
Il vuoto dell'anima
Cos'è mai questo vuoto dell'anima? Noi non possiamo nè vorremmo fare qui, un trattato di psicologia, capace a favorire il sonno anche dei nevralgici. Ci limiteremo pertanto a discorrere così alla buona, come si usa fra profani.
Il vuoto dell'anima, dunque, secondo alcuni, sarebbe sinonimo del caos dello spirito. Secondo altri una sensazione di scoraggiamento, che assomigli al freddo del ghiaccio, e taluno infine propenderebbe a ritenere quel vuoto, la nessuna sensazione.
Ma se accascia, ma se uccide lentamente le anime più sensitive, come non credere che il vuoto dell'anima non produca, all'incontro, una latente dolorosa sensazione, non chiaramente definibile?
Se non che, onde escire il meno malconci da questo gineprajo, diremo che il vuoto dell'anima può significare la totale assenza del fine per cui è stata creata la nostra esistenza morale. E con diversa frase, il disinganno assoluto dei più santi e caldi affetti. Il vuoto dell'anima, in ogni caso, sarebbe peggiore della morte, la quale è lo stato di piena insensibilità.
Una parte della Società, d'ogni epoca, pe' suoi fini speciali, e qualche volta in buona fede, nè mai convinta di fare il male, ha cercato, con sforzi erculei, di deviare la creatura umana dal naturale scopo della vita, creando caste eunuche, tarpando le ali della libertà e del pensiero e modificando le istintive pulsazioni del cuore, senza però ottenerne concreti effetti, ma solo enti bastardi. Sempre inoltre, a detrimento del loro originario benessere.
Gli uomini sono nati per seguire i loro ideali, e la proibizione o limitazione dello scopo unico della loro creazione, in cui c'entra la Provvidenza, sono una vera e propria deturpazione della creatura umana. Il vuoto dell'anima, infine, può essere prodotto dal caso, o dalla volontà dei soggetti che possono crearlo. Per buona ventura anche il vuoto dell'anima, deve per legge universale, durare più o meno lungamente, secondo l'indole degli individui colpiti, essendo il tempo, la panacèa di tutti i mali. Basterà per qualcuno che nasca un nuovo oggettivo, atto a riempire o surrogare il così detto vuoto, ed allora, per chi avrà resistito alla morte fisica, la guarigione non è improbabile.
Sarà dunque facile anche per il nostro Alfredo detta guarigione? Noi non possiamo rendersene garanti, perocchè degli esseri sceltissimi, atti a riempire il vuoto dell'anima sua, non ne sorgono a dozzine e ad ogni momento.
Non si comprende come l'uomo possa vivere, nel continuo completo isolamento. Noi crediamo che sia un lento veleno del corpo, col risultato dell'ebetismo della mente, da distinguersi dalla solitudine temporanea talvolta necessaria e gradita.
Eppure il misero Alfredo, per effetto del vuoto nella sua anima, viveva ormai a guisa di un anacoreta, trascurando affatto o quasi le prime esigenze fisiche, e ricevendo in casa sua ed a malincuore, soltanto i famigliari. Egli non aveva più i genitori, perchè morti, nè le dilette sorelle, perchè da pochi giorni maritate entrambe e ben lontano, non senza aver versato calde lagrime per l'abbandono dell'amato fratello. Verrai presto a trovarci a Catania, caro Alfredo, e vi ti fermerai con noi molto tempo, dissero, piangendo nel partire, Maddalena ed Elisa.
Accade spesso, quando la dote è vistosa, che le fanciulle affrettino l'addio al tetto paterno e la conseguente amarezza dei congiunti. In ogni fatto umano, vi ha la sua compensazione.
A vantaggio delle fanciulle povere, le quali si maritano più tardi in causa della loro povertà, viene rinviato il pianto loro e quello dei più affezionati parenti.
Avesse avuto Alfredo almeno moglie e figli, ma nulla di ciò. I suoi diletti Cirillo, Zaira, Jon, morti. Gli scarsi amici del paese di residenza, quasi sempre assenti o preoccupati dei loro rispettivi interessi. Non rimanevagli che il fedele Lord, il cane da caccia intelligente, ma anche lui, da tempo era melanconico, per la tristezza ed immobilità del padrone; tanto è vero che non rubava più salami.
Alfredo non aveva mai voluto servi stabili, perchè…. instabili. La sua provvisoria factotum, era la vecchia portinaia Geltrude e, e la di lei nipotina Benedetta d'anni dodici, abbastanza disinvolta e loquace, avrebbe fatto da segretario intimo. Ora diteci voi, lettori, qual sorta di esistenza trascinasse Alfredo? Egli, come si disse altra volta, non volea saperne di cavalli, di carrozze, di gabinetti, di salotti. Anche il suo vestire sempre alla buona. Non aveva comperato mai, nemmeno il cappello a cilindro, importante in talune occasioni.
Ma ditemi ora, perchè non si parla più del pennello, della musica e di libri di poesia preferiti? Non potevano essi sostituirsi al suo infelice amore, e rendergli così possibile la vita? Ohimè, l'antica florida salute se n'era ita, in causa dell'atonia prodottagli dalle pene morali ed Alfredo non aveva più nè la volontà, nè la forza di consolarsi con quei passatempi alla pluralità graditissimi.
E poi, e poi, v'era qualche cos'altro, ai lettori noto. Era Violetta a cui Alfredo pensava ancora sempre, sebbene trascorsi sette anni, pari per lui al primo giorno d'amore. Violetta dunque non lo aveva forse mai amato? Essa da oltre un anno, erasi maritata, forse per sommessione ai desideri dei congiunti, o forse per sua elezione? Questo non si sa chiaro. Intanto però pel nostro buon Alfredo era affare finito. Per lui, Violetta era una cosa perduta, una donna morta. Egli aveva compreso ormai, che non v'era più speranza di possederla, e quella quasi certezza lo facea desolato.
Gli uomini seri, o come tali qualificati, perchè ridono mai (avendo essi paura di screditarsi, ridendo) potrebbero credere, secondo il loro cinico sistema, essere lo stato miserevole di Alfredo, opera sua speciale, ma noi ricorderemo a quegli uomini savi che
«Il cangiar di natura È impresa dura»
Per tutto quanto sopra il misero Alfredo, era uomo da impietosire, piuttostochè da deplorarsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
PARTE TERZA
CAPITOLO IX.
«Chi ha vissuto col cuore, perisce pel cuore»
Da tre mesi all'incirca, Alfredo non esciva più di casa, e da circa quindici giorni non scendeva più dal letto. Il suo cuore aveva delle pulsazioni forti, irregolari, intermittenti, che gli recavano non poco affanno. Egli si era accorto di edema alle gambe, sintomi dell'ipertrofia del cuore… una malattia di famiglia.
Il medico curante scendendo le scale della casa Blandis scuoteva il capo, in atto di sconforto e diceva fra se: siamo all'ultimo stadio. A Donna Tullia, che, poco dopo, gli chiedeva notizie del signor Alfredo, egli rispose: si peggiora sempre…. non gli giovano più nè i bromuri nè la digitale…. Donna Tullia ormai matricolata, perchè da circa due anni fra speziali e medici, conchiuse: Siamo agli sgoccioli dunque!… annunciandolo anche a qualche avventore.
Peccato!… il nostro simpatico Alfredo, il poeta del cuore, l'artista dell'idea, peggiora rapidamente per l'anemia prodotta dalla sua nausea al cibo, qualunque fosse, e dalle pene morali!…
Poco dopo la visita medica (con ordinazione di vino generoso, brodo e torli d'uova frullati) Alfredo bevve invece una tazza di latte freddo soltanto, e postosi in decubito, chiamò la piccola sua segretaria con un campanellino quasi senza voce (odiando egli qualsiasi squillo forte di campane)….. Stamattina disse a Benedetta, che comparve subito, ti faccio lavorare carina. Non ho voglia di scrivere per oggi, e tu scriverai qui vicino al letto, perchè comprendo che la mia voce, una volta così vibrata, è ora semispenta. Prima di tutto, dimmi come stai Benedettina, che mi sembri imbronciata, forse perchè ti sia caduta a terra la bambola? La fanciullina intelligente, che invece era mesta, mesta, per lo stato del Signor Alfredo, rispose: ma io sto benissimo, domanderò a Lei come sta? Ed Alfredo leggermente sorridendo. Mi pare di sentirmi benino oggi disse, perchè posso ancora pensare…… Ora mettiti al tavolo e scrivi con attenzione quanto sto per dettarti…..
Egregio Sig. Esperti Gaudenzio
Da casa, mattina 3 Giugno 18…..
I negozianti in genere, anche quando fanno buoni affari, trovano tempre vantaggioso avere dei capitali a disposizione. Io che ne ho più del bisogno, nè saprei come impiegarli, e temendo inoltre che non mi resti lungo tempo a farlo, mi permetto di spedirle, quantunque senza di Lei richiesta, l'unito chèque di centomila lire, pagabile dalla Banca d'Italia, o sue succursali. La prego di non rifiutare, per la ragione che io a Lei, buon amico, non ho per anco dato alcun ricordo. Mi riverisca la sua Signora e mi abbia con tutta stima
Dev. suo
ALFREDO.
Udita la lettura, e trovata esatta la lettera, Alfredo disse: Brava…… benissimo. Ora inchiudi nel foglio una di quelle cedole che troverai nel cassetto del tavolo sulle quali sta scritto a stampa chèque per centomila lire. Metti il tutto in una busta, suggella, fa l'indirizzo giusto neeh! Al Sig. Esperti Gaudenzio negoziante in coloniali, e spedisci a portare il plico dove sapete, Tonio il garzone, che, per fare più presto, vi andrà a cavallo del nostro somarello….. Dieci minuti dopo Tonio, a cavallo dell'asino, trotterellava già per la sua destinazione, distante soli cinque chilometri, quando vi si andasse per accorciatoie…..
Vuol mangiare la minestra Sig. Alfredo? chiese con vivacità la piccola segretaria, e Le raccomando di bere anche un po' di vino, come ha detto il signor Dottore. Ma Alfredo che non badava a quelle raccomandazioni, mormorò invece fra i denti…. Gli uomini si affezionano di più pei servizi che prestano, che per quelli che ricevono (orgoglio umano!) Benedetta escì da quella camera poco soddisfatta, mormorando: il mio buon signore vuole davvero morir di fame ….
Alfredo sorbì un'altra tazza di latte fresco, e si assopì per circa un'ora, sognando della sua infanzia, di Violetta e di Zaira la quale lo invitava colla mano ad entrare nella piccola porta del Paradiso.
« Infanzia beata tu sei passeggiera, come l'onda del rivo che scorre fra l'erbe, e di te non resta che una smorta memoria.»
Se non chè, forti voci che partivano dal pian terreno scossero il malato dal suo caro assopimento.
Entrò la vecchia Geltrude, inquieta, perchè, dicea: ad onta de' suoi ordini e del suo bisogno di quiete, v'è abbasso un signore, che ho visto un'altra sola volta, e che vuol parlarle. Io gli dissi ripetutamente e forte, che V. S. non riceve nessuno, ma colui mi fa certe smorfie di disgusto, da obbligarmi a sentire da Lei cosa debbasi fare.
Siccome oggi mi sento meglio, così possiamo fare una eccezione, disse Alfredo, e che venga pure. Geltrude, malcontenta di quel risultato, e non senza ripetere al buon signore, che lui doveva stare allegro, mangiare e bere e andar in giardino a cogliere le belle rose di tutti i colori, introdusse, dopo alcuni istanti, il suo quasi incognito, che era Gaudenzio Esperti, il felice consorte di Violetta.
Fatti i complimenti d'uso, e dopo una stretta di mani quella del Sig. Gaudenzio caldissima, e quella di Alfredo fredda, il primo consegnò una lettera, e tosto si diede a piangere dirottamente. Alfredo non comprendeva…. lesse la lettera che diceva:
3 Giugno 18… mattina.
Gentile Sig. Alfredo
Non dovendo io abbandonare nemmeno un istante la mia Zaira di dieci mesi, perchè da qualche giorno malaticcia, mi spiace assai di non poter accompagnare mio marito che viene ad udire della vostra salute. Egli scioglierà la promessa dei ritratti, della nostra piccola famigliuola, che deporrete nel vostro album fra gli amici. E nella fiducia di vedervi presto rinfrancato, mi rassegno di Voi inalterabile amica
VIOLETTA.
Il Sig. Gaudenzio, durante la lettura del biglietto di sua moglie ad Alfredo, fece cessare, con uno sforzo energico, i suoi singhiozzi, asciugò gli occhi, e porse i ritratti. Alfredo commosso, fermò l'occhio indebolito sulla effigie di Violetta, e la trovò sempre bella, ma dimagrita assai. Che vi sarà di nuovo, pensò? Ringraziate, disse, la vostra…. ma non potè finire la frase perchè abbondante saliva gli otturò in quel momento la gola, provocando un singulto… poi soggiunse, con voce quasi esausta…. io credo che voi abbiate a dirmi qualche cosa? Ah! sì, buon signore….. io non ho il coraggio… ma… (nuova sospensione perchè ritornavan le lagrime) noi siamo rovinati, per causa di un pieggio solidale cambiario che io feci ad un amico. Esso è fallito, la cambiale scade domani. Sono cinquantamila lire, tutta la dote di mia moglie, e Violetta per l'angoscia, è febbricitante insieme alla nostra bambina di latte…. Quell'assassino… quel…. Calmatevi, calmatevi, signor Gaudenzio disse Alfredo, non tutti i mali vengono per nuocere, io l'ho provato una volta…. Dunque chissà, che col tempo non si appiani ogni cosa… Nè fece motto della sua missione del mattino, ma invece suonò il suo campanellino e comparve Tonio.
Hai fatta la mia commissione, bravo Tonio? Disse Alfredo ansiosamente. Signor sì, e sono ritornato pochi momenti fa. Non venni da Lei subito subito, perchè ho dovuto legare il somaro nella stalla. Quel signore non l'ho trovato, era appena escito di casa, ma ho consegnato tutto alla sua moglie che conosco di vista. La serva mi introdusse in un camerino e quella signora stando seduta in poltrona, prese il plico e lo aperse. Va bene, ora puoi andare, disse Alfredo. Il Sig. Gaudenzio intanto forse preoccupatissimo, per la sua recente sciagura, o non badò alle parole di Tonio, o non le comprese.
Anzi egli, non vedendo una risoluzione, della confidenza fatta ad Alfredo, nè potendo cercare danaro, per la espressa volontà di sua moglie, si trovava molto a disagio in quella camera d'ammalati, e già disponevasi avvilito a levare il disturbo al signor Alfredo. Procuri dunque di guarire presto, esclamò distratto il signor Gaudenzio, e…. non dica nulla di quanto sà sul nostro conto. Alfredo assai perspicace ancora indovinò il contegno del visitatore, e tacendo sempre dello chèque, onde non obbligarlo a ringraziamenti o delibando forse il piacere di una improvvisata, tolse dal cassettino del suo tavolo da notte, due nocciole che sembravano prismi di cristallo. Prendete, disse, e datele alla vostra piccola Zaira, perchè se piange, si trastulli con questi…. Il Sig. Gaudenzio, che fino a quel giorno non aveva ancora veduti dei diamanti così grossi, per cui non li conosceva, ringraziò appena per convenienza, stupito in suo cuore, della leggerezza di Alfredo.
Egli, discese le scale di casa Blandis, colla medesima allegria in corpo, di quella provata da Renzo quando escì dallo studio del Notaio Azzeccagarbugli, si meravigliò inoltre siccome Tonio lo guardasse fisso mentre traversava il cortile, e parvegli che quel giovinotto lo avesse visto la mattina legare un'asino ad una finestra della propria casa. Rifece i suoi cinque chilometri descrivendo delle curve a guisa degli ubbriachi. Giunto finalmente, dopo un'ora di cammino, alla propria abitazione, e con neri progetti in cuore, non vi trovò nemmeno Violetta, perchè colla bambina in braccio, era andata, secondo le informazioni della serva, alla Chiesa. Che fare? disse sospirando, il Sig. Gaudenzio? ….. informarla del risultato della mia visita al suo grand'uomo, che dona i giocattoli di vetro alla mia Zaira. …. e domani….. domani….. una revolverata nell'orecchio a me che ho confidato negli amici….. Domani mia moglie vedrà sparire l'intera sua dote!…..
Mezz'ora dopo, Violetta colla bambina che piangeva, perchè la si voleva far camminare quantunque troppo presto, ritornò dalla Chiesa, ma anch'essa aveva gli occhi rossi. Era andata a ringraziare Dio, per l'inaspettato abbondante rimedio al loro disastro economico, ma pianse, non si saprebbe precisamente il perchè….. forse per la di Lei fierezza domata?
Ecco, buon Gaudenzio, che si guadagna, quando si è scarsi di antiveggenza! Quel tuo caro amico, ci ha esposti alla umiliazione.
Il Sig. Gaudenzio, confortato, dopo tanta agitazione, dal racconto di Violetta, relativo allo chèque di centomila lire, diede in mano alla piccola Zaira le due nocelle rilucenti, e disse allegramente: Necessitas non habet legem. Nei casi estremi, bisogna rivolgersi ai buoni amici, sebben rari, e lasciar che il mondo ciarli. Vitupero a chi pensa male. Honni soit qui mal i pense. Violetta si accorse immediatamente dei diamanti (che avevano probabilmente il valore complessivo di circa sessantamila franchi) e rimirandoli, esclamò: ….. il Sig. Alfredo ha già fatto troppo per noi….. mentre noi abbiamo fatto ben poco per lui. Il Sig. Alfredo, soggiunse Gaudenzio, mi ha detto, prima che io lo lasciassi, di salutarti, e di guarire colla bambina. Accolse con gran piacere i nostri ritratti, e mi pare che intanto borbotasse qualche parola. Chiestogli cosa avesse detto, mi rispose. Ricordatevi di perdonare a quel vostro amico che vi tradì, ed anzi, quando il potrete, beneficatelo. Mio padre ripeteami, « La più nobil vendetta è il beneficio ». Violetta rimase pensierosa ed impercettibilmente sospirò….. E laggiù come va, chiese Violetta a suo marito? Benino davvero, ma è a letto e non ha quasi più voce, riprese Gaudenzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Siamo al pomeriggio dello stesso 3 Giugno, Alfredo ha la mente che vorrebbe ancor sempre viaggiare, ma la memoria gli soccorre scarsa.
Entra Benedettina, che lo ringrazia assai commossa per il regalo che Alfredo ha fatto poco prima alla nonna Geltrude, quando portò la minestra. Cinque di quelle monete d'oro (columbie) disse la fanciulla sono per me dunque? Sì, accennò col capo Alfredo. Ma io vorrei invece, Sig. Alfredo che avesse a guarire Lei! Non mangiò niente. Ecco qua la minestra appena toccata. Avverto che Lord è andato certamente alla riva del Lago perchè da qualche ora non si vede più: (il cane era invece accovacciato sotto il letto del suo padrone, e causa la trapunta che toccava il pavimento, restava nascosto). Poco fa Sig. Alfredo, un monello, con una sassata mi ha uccisa la mia cara gattina. Meriterebbe di impiccarlo, ma lui se ne infischiava. Alfredo consigliò la piccola segretaria alla calma, e, non è il primo disse, che ha l'immensa felicità di non accorgersi quando commette un asineria, e non solo, ma di pretendere inoltre che l'offeso accolga con un sorriso di compiacenza la sua asineria, che altrimenti l'offensore non vi saluterà più. Un bel mondo davvero. Alfredo dopo una pausa… soggiunse: Avete dato la mancia a Tonio? oh! subito ed egli è tanto contento, che canta . . . . come un passerotto ed è forse la prima volta che noi lo udiamo a cantare.
Alfredo, comprimendo colla mano destra il cuore, perchè gli doleva più del solito, raccomandò intanto a Benedetta di chiudere il cassetto del suo tavolo a chiave e di consegnar questa alla sua nonna, la quale poi, quando sarebbero venute le di lui sorelle a trovarlo, avrebbe dato alle medesime il plico rinchiusovi, dove è scritto sulla busta:— Mie ultime volontà —Sta bene attenta, non distrarti col giuocar troppo alla trottola. Oh! stia tranquillo, dichiarò Benedetta, ed aveva allora gli occhi umidi di pianto. Ora dammi una tazza di latte. Eccolo. Alfredo la ingollò d'un flato, si capiva che bruciava dalla febbre.
Si assopì qualche minuto, e poi ridestatosi, chiamò Benedettina, ma essa era lì pronta. Fammi la gentilezza di leggermi qualche cosa di quel Librone che troverai su quella cassettina, quello che porta per titolo: Le mie memorie, ed onde non annoiarti, e non indebolirmi troppo, puoi aprirlo, così a caso, tre o quattro volte e leggervi quanto vi troverai scritto. Sentiamo.
Benedettina eseguisce colla sua solita disinvoltura, e per la prima volta esce:
« Ci rivedremo in ciel »
Romanza per tenore di A. B.
Ora chiudi e riapri il Libro a sorte . . .
«Gli uomini amano gli uomini per le loro virtù. le donne amano gli uomini per i loro difetti»
Chiudi, chiudi, e sentiamo d'altro:
Sette anni che l'amo, glie lo dissi una volta sola, ed Ella forse, non mi ha mai riamato!— Marzo 18 …
Chiudi tosto, e prova ancora:
. . . «I più grandi liberi pensatori degli scorsi e del presente secolo sono: La Fontaine—Tallerand—Keine—Bayron—Rosseau—Victor Hugo—Silvio Pellico—Cattaneo—Mazzini—Garibaldi, ed il loro più antico maestro di virtù e di democrazia, è stato Cristo. Quanto amerei di poter appartenere anch'io a quel numero, ma ohimè siamo troppo piccini, e non ci resta che il desiderio» . . .
Questo mi ha consolato, disse con voce sempre più affievolita, Alfredo; ora Benedettina, sii paziente, ma leggine un'altra ancora e basterà, poi mi recherai una minestrina e qualche rosa.
Benedetta aprì di nuovo il Libro e lesse:
Venerdì Santo—Aprile 18…
Dolce pensiero, nella mente impresso Già mi discendi al core Non so se sia la Rosa od il Cipresso Non so se sia l'amore. La tua presenza, m'è dubbiosa cura Fuggir vorrei ma è vano, Io vedo in quel pensier, fine immatura, Vedo di Dio la mano.
A. B.
e sotto è scritto: Sognai, Romanza per Soprano.
Smetti, smetti, carina, perchè ora mi sento più male. Benedetta uscì, per ordinare la minestra, ed Alfredo si coricò dal lato del cuore, contro l'usato… Sperava forse di provare qualche sollievo al suo affanno fisico e morale.
Non appena Alfredo si trovò solo, chiuse gli occhi, pensò tosto alle sue dilette sorelle e disse con un sospiro più eloquente dei sospiri passati . . . addio Violetta, ci rivedremo in ciel … Queste furono le ultime sue parole … egli era spento insieme a' suoi ideali, e tramontò col sole.
Morì senza scosse, e siccome muore un pulcino, che morto, sembra riposi. Misero Alfredo!!
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Geltrude, venuta verso l'ave maria della sera in camera con due rose, una rossa ed una bianca e colla minestra, il tutto depose sul tavolo da notte, dicendo: sono davvero contenta, egli è quieto una buona volta, lasciamolo dormire, la mangerà al destarsi, e sì dicendo ritornò in cucina.
Lord, sempre più melanconico e quasi barcollante, venne fuori un momento dal suo nascondiglio, guardò indifferente, contro l'usato, la minestra già divenuta fredda, e poi fissò attonito il suo caro padrone, che era immobile…. Ritornò sotto il letto, guagnendo e mezz'ora dopo, morì anche lui d'inedia. Così Geltrude e Benedettina rientrate un'ora dopo in camera, si sono accorte di due cadaveri.
Quelle povere donne si struggevano in pianto…. non volevano credere…. E come dirlo alle signore Maddalena ed Elisa, le quali non erano state avvisate in tempo per volontà del fratello? Geltrude, ancora primitiva, voleva mandare in persona, o a piedi, o a cavallo del somaro, Don Barnaba fino a Catania, (credesse forse, la buona vecchia, che Catania fosse lì appena fuori del paese). Oh! cosa mai ci è toccato oggi, esclamarono ad una voce Geltrude e Benedettina!!! e dire che nel pomeriggio di oggi stesso, egli stava proprio benino, disse singhiozzando Geltrude!
Ai funerali accorse mezzo paese, senza dire di molti dei luoghi circonvicini. Fra questi ultimi si notavano i coniugi Esperti, colla loro bambina in braccio, la donataria dei due diamanti.
Due versi soltanto furono recitati sulla tomba: forse farina del sacco dell'appena seppellito…..
EPITAFFIO DI ALFREDO BLANDIS
Ei nacque e visse colla morte in core, Visse e morì, per il suo grande amore!
Ma quando il feretro fu calato nella fossa, si udì un gemito tra la folla. Era di Violetta ed il solo Balena se ne accorse…..
Fu mesta e cara rimembranza, o fu rimorso?
PARTE TERZA
CAPITOLO X.
Altri ladri della pace, anche dopo morte.
I capi ladri della pace, amore, gelosia, ambizione ed invidia, dopo la morte di Alfredo, sono ritornati alla macchia, in agguato per altri passeggieri. Ma rimasero in giro ancora la maldicenza istigata dall'avarizia e dalla ingratitudine. Per queste, anche i morti, non si lasciano tranquilli, in onta al parce defunctis.
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Già i resti mortali dell'infelice Alfredo riposavano da quarant'otto ore sotto terra all'umido e fra le tenebre, e già i vermi gustavano di quelle esigue carni rimastegli dopo sì lunga anemia. Nemmeno i suoi quindici milioni, cresciuti a venti per recente eredità l'hanno potuto salvare dalla dissoluzione a tutti comune ed imparziale, (ammenochè i cadaveri non siano cremati).
«Contro morte crudel ah! che non vale.» «Nemmen l'Eccelsa dignità Papale.»—¹
¹ Questo distico è scritto sulla Cappelletta dei morti, lungo la via per Fosio (Sarnico).
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In paese, come di solito, se ne discorreva quasi più. I poveri erano abbastanza contenti della voce sparsasi di un vistoso lascito a loro favore. Ma il Coadjutore della Parrocchia Don Barnaba Pancetti, soprannomato gomma elastica, a cagione delle sue forme piccole, sferiche e floscie, quantunque d'indole mansueta, non sapea celare il proprio malcontento, avendo udito dai portinai di Alfredo, informatissimi, come, sebbene nel testamento, qualche cosa vi fosse riferibile al suo prediletto oratorio femminile, pure, vi stava la condizione della promiscuità, essendo così, dicevasi, meno facili gli inconvenienti.
In detto testamento infatti era scritto; Che certe segregazioni, sono sospette e peggiori della promiscuità. La moralità accampata da talun fariseo, dilettante di segregazioni privilegiate, putenti di feudalismo, e di costumanze turche, è talora polvere negli occhi agli ingenui. Cristo predicava il suo Vangelo salutare alle turbe nel deserto ascoltato dai maschi e dalle femmine insieme, nè la storia riferisce di immoralità durante quella mescolanza, accorsa ad apprendere il non fare agli altri, quello che non vorreste fosse fatto a voi stessi … La più sicura moralità è quella che emana dall'esempio dei più costumati, e ve ne sono!! Libertà in ogni cosa, quando discreta. La schiavitù, ossia la privazione della libertà, genera il desiderio. L'uomo, creato per la libertà del pensiero e dell'azione, costretto dalla catena, reagisce.
Ed in quel testamento si conchiudeva che tali erano i principii di Alfredo dalla nascita alla morte, continuamente intesi ad abbattere la Bastiglia dell'ipocrisia.
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Nella farmacia Brichetti, divenutone proprietario con Donna Tullia, per la morte del titolare, riunivansi, quasi ogni giorno a conversazione, come è l'uso dei piccoli Comuni, alcuni loro conoscenti fra i quali il sig. Balena lingua salata, il giovane abatino, magro, vivace, ed il Coadiutore suaccennato. Ed appena fuori dal negozio, stava per caso, un gruppo di artigiani in vacanza, perchè era lunedì. E qui comincia all'interno della farmacia la consueta diffusione delle notizie a sensation della giornata, ed una discussione in dolce-brusco, fra i tre amici sullodati, presenti i coniugi Brichetti, in memoria del seppellito.
Comincia Balena. Il proverbio: sventure, spie e tavola degli osti sono sempre pronte, non sbaglia. Stamattina correva in paese, con insistenza la voce, che il Comm. Aringa siasi ucciso ier l'altro nel teatro di Montecarlo, dopo una grossa perdita al giuoco. Ed io sapeva per vie indirette, come il fu Alfredo, alla vigilia del suicidio di Aringa, e della propria morte, spedisse all'amico senza richiesta di sorta, ma così per sua istintiva filantropia, ed in conseguenza di uno strano presentimento, lire cinquantamila da pagarsi a Nizza marittima, sul Banco Meliards. E' stata una vera maledizione, dunque, perchè quella manna, non sarà giunta certamente in tempo, e Aringa, superbo, per antica sua dovizia, delicato, non ha chiesto o non ebbe in tempo l'aiuto. Giuoco e donne. Aringa giuocava troppo, Alfredo amava troppo, ed entrambi sono morti alquanto precocemente. Sempre così, i due estremi si toccano, ma anch'io, miei signori ho il mio estremo, cioè il ventre conico, che mi cagiona non poca noia. Io vorrei che la notizia del suicidio di Aringa fosse una fiaba, ma temo assai, perocchè le brutte nuove, si avverano più spesso delle buone.
E da questo esordio, si passa dai congregati ad altro, in cui comincia Don Barnaba Pancotti, come sopra.
Don Barnaba —Quella buona lana di Alfredo Blandis, e già s'intende parlando come se fosse vivo, portava una deplorevole avversione al matrimonio, mentre da giovanotto poteva ammogliarsi confortevolmente, su ogni rapporto, e da quella sua avversione conseguirono i dispiaceri che lo tradussero a morte precoce… Che ne dicono loro signori?
Balena —Faceva benissimo a pensare così. Anch'io sono rimasto celibe, forse per la mia pesantissima struttura. Conveniamo che un matrimonio felice in giornata, è una quaterna al lotto.
Abatino —Anch'io accedo al parere del Sig. Balena, e così la pensava anche il mio caro nonno: La donna egli diceva, è bensì un prezioso oggetto della Provvidenza, siccome leggesi anche nei Libri dell'antico Testamento…..
Balena —E viceversa.
Abatino —Ma il mio buon nonno le paragonava (mi ricordo come se fosse oggi) alle puledre puro sangue. E' difficile domarle, esclamava, e si finisce col restare domati nel fossato. Quel caro vecchio, soggiungeva, che le donne sono le Imperatrici di tutto l'orbe, e quando non ottengono colla forza, lo ottengono colla malizia. Dunque le donne non sarebbero il sesso debole, come dicono i naturalisti cerimoniosi, ma sibbene il sesso forte.
Don Barnaba —Lei, via, se ne intende un po' troppo della materia. Tanto giovane ed anche Reverendo, dovrebbe, per riserbo, tacere intorno ad argomenti che non sono del suo ministero!
Abatino —Piano, piano, io, relata refero, e non parlo perchè me ne intenda. Giacchè si era in discorso, e stante la loro discrezione, o signori io narrai le cose de' miei vecchi, scordando un istante il mio carattere. Ma chi siamo noi che non possiamo interloquire su certi argomenti siccome fa tutto il mondo?
Balena —Bravo Abatino. Lei mi piace, è sincero, e dice benissimo, rammentandosi forse del contegno della sua Perpetua, emigrata in causa della rispettiva incompatibilità di carattere.
Abatino —Sempre caustico il signor Balena.
Don Barnaba —Lei dovrebbe chiamarsi fortunato, perchè fra pochi giorni andrà parroco nel migliore dei nostri paeselli di montagna. Fortunato, fortunato, sì davvero…. mentre avrebbe potuto incorrere anche…. basta così.
Balena —Anch'io, per esempio, ricordo di avere avuto al servizio un Fattore, disgraziato colla moglie, di cui era geloso. Battibecchi seri ad ogni momento. Lui sgridava, ella graffiavalo. Egli la cacciava di casa, ella poco dopo rientrava dalla porta dell'orto. Un giorno la chiuse sul granaio, ed essa fuggì pei tetti. In somma, una moglie, come il faut. Ed ora che me ne risovvengo quella donna, aveva un altro difetto, per es. quando voleva una cosa, diceva no, quando non la voleva diceva si.
Donna Tullia —Perdonino se interloquisco anch'io, mentre non lo dovrei essendo loro ben poco gentili con noi donne ma Don Barnaba da un certo lato credo abbia ragione quando parla del defunto Signore. Il compianto Alfredo, a cui auguro il Paradiso, o per lo meno il Purgatorio, avrebbe voluto che due amanti, faccessero all'amore a guisa dei gatti sui tetti, con grave disturbo del vicinato. Egli faceva talvolta l'apologia degli amori dell'antichità. Secondo lui, anche Didone, Messalina, Semiramide, Cleopatra, e compagnia bella, erano state donne ammodo, ed in ogni caso, compatibili in forza dei costumi dell'epoca remota, e del clima; ma vi pare? Egli non sapeva tollerare i sensali di matrimonio, necessari sempre e vieppiù se appartengono ai famigliari. Egli voleva l'amore spontaneo, eccelso, l'amore prodotto dalla corrente elettrica, simpatica, senza ambizione od interesse, senza troppa ingerenza dei congiunti. Odiava i matrimoni-contratto. Da qui il torto marcio della buon'anima del fu Sig. Alfredo. Conviene uniformarsi ai tempi! Che ne dici mio Galeno? (Donna Tullia era navigatissima).
Brichetti Galeno il vice-speziale—Sicuramente, a fare siccome i gatti, si potria cadere dal tetto e rompersi l'osso sacro.
Quanto ai Figari, è un mestiere come un altro, talvolta è utile, talvolta frutta bastonate, chi lo fa per ricompensa, chi lo fa ad honorem.
Balena —Bravissimo Bricchetti, anzi Sig. Bricchetti io non la giudicava di tanta esperienza in materia.
Bricchetti —Udite questa, che è caratteristica. Il defunto Alfredo, discorrendo con me in argomento, faceva dell'amore tre categorie, e mi pare, avessero la desinenza in oso. Sicuro ora mi rammento appuntino. L'amore pomposo, l'amore lucroso, l'amore ritroso.
Balena —Benissimo, l'amore per ambizione, l'amore per avarizia e l'amore pudico. Quest'ultimo, lo si ritiene il più santo e durevole, perocchè a forza di stentare nel manifestarlo, non finisce più.
Don Barnaba —Così, quella egregia creatura del fu Sig. Alfredo, colla sua pittura e colla sua poesia, è morto, non vorrei, quale un ateo. Fu con molti larghissimo, non mancò di filantropia, ma nel suo testamento olografo, quindi poco sicuro (?) mi fece delle restrizioni affatto superflue, riguardo al mio oratorio, che assolutamente egli lo volea maschile appena.
Comprendo che io non gli ero troppo simpatico, nè saprei il perchè, mentre qui l'abatino, futuro Parroco, l'aveva in cuore, tanto è vero che legò mille lire alla ex sua governante. Ma Dio l'abbia ugualmente nella sua infinita gloria. E dopo una breve pausa, Don Barnaba, il quale si sentiva probabilmente nel gozzo qualche rimasuglio ripigliava:
—Il Sig. Alfredo in vita sua, era, inoltre assolutamente un'immenso eccentrico!…. Udite…. Trovandomi, io negli ultimi giorni di sua esistenza, in buona relazione con lui, arrischiai proporgli un piccolo Triduo…..
Balena.—O dentro, o fuori, ma in fretta.
Don Barnaba —….onde ottenesse più facilmente la la sua guarigione, e naturalmente aggiunsi che era costume di suonare le campane a distesa. Non lo avessi mai fatto! che, egli, inquieto, mi pregò di rinunziare al progetto, non tanto pel Triduo, sul quale era indifferente, ma pel suono delle campane, le quali egli, diceva, rompono il timpano, ed io amo la musica gentile, quella dell'arpa a mo' d'esempio. Lasciatemi quieto, soggiungeva, almeno in questi ultimi istanti.
Io lo consigliai di altre belle cose, ma lui dichiarò che vi era più tempo che vita. Finirò col dirvi che riportai sempre impressione sinistra a di lui riguardo, ogni qual volta il fu Sig. Alfredo, discorrendo, usava un linguaggio ironico, caustico, quantunque lo colorisse di umorismo. Pareva sempre che colui avesse del fiele da sputare, ed io non ne indovinava la cagione.
A questo punto Balena, che da mezz'ora tratteneva a stento il fiato, dandosi qualche legger pugno sul ventre, scoppiò gridando a tutto polmone: E' una malignità, una calunnia!!… Sarà stato uno de' suoi soliti miti lamenti, specialmente negli ultimi giorni di sua vita. Un sistema innocuo, consentito dalle sue sventure, antiche e recenti. Sarà stata la naturale reazione degli individui sinceri, di cuore, d'ingegno, per vedersi maltrattati più d'una volta ed in diverse tristi maniere, dal destino. Anche Gesù morendo, si lagnò di essere abbandonato dal suo Divin Padre.
Il disgraziato Alfredo, intanto, non ha recato danno ad alcuno. Ha fatto del bene; nè del suo oro fece cattivo uso. La sua vendetta fu quella soltanto di obliare.
Quasi un'ingenuo, non seppe piegarsi alla odierna « inferma etade »¹. Ha tentato di correggere l'altrui mala fede, ma indarno. Così, con quella sua non comune franchezza, si è creati nemici ed ingrati, e sopratutto invidiosi. E voi Don Barnaba, non ricordate, si vede benissimo, delle due bisaccie di Socrate. In quella davanti noi teniamo i difetti altrui, in quella di dietro, i nostri, e Balena eccitato continuò:
¹ Ferrari—La Satira e Parini.
Alla fin fine io credo che il fu Blandis, ad onta dei suoi difetti, fosse un uomo giusto, siccome il Cristo che egli spesso additava agli amici. Ed è inoltre probabile che egli conoscesse, in vita, parecchi de' proprii difetti. Nosce te ipsum, dei quali talvolta, in società, non faceva mistero! . . . Che ne dite caro Don Barnaba?
Allora, stupito finalmente, il buon Reverendo, per la inaspettata dottrina dell'incolto agricoltore Balena, chiuse la sua valvola della maldicenza, e si turò il naso con mezz'oncia di Caradà grosso.
Tutti quei conferenzieri escirono una buona volta dalla farmacia, permettendo così ai beati coniugi Brichetti una più attenta confezione delle polveri del Dower, efficaci tanto agli uomini che alle bestie.
Se non chè, il gruppo di operai in vacanza, come sopra, avendo tutto ascoltato, si permise di fischiare sonoramente il già mortificato Don Gomma elastica.
E il povero Alfredo che non è più fra i vivi? Tutti, meno Balena, contro di lui, anche dopo morto, mentre è di prammatica, che ogni defunto, sia stato invariabilmente ricolmo di tutte le virtù.
I MARTELLIANI di Paolo Ferrari
La SATIRA e PARINI— Commedia.
. . . . . . . . . . . . . . La Satira cos'è E' un istinto invincibile ch'ogni coscienza invade D'aborrimento ai guasti usi d'inferma etade, Se questo istinto è in alma cui la virtù non frena, Che affetta essa pur sia dalla comun cancrena, Ecco la turpe satira, verme vil che si pasce D'altri vermi, e dilata la cancrena ond'ei nasce: Se invece è in alma nobile, ecco allora l'urbana Satira, eroico caustico, che abbrucia ma risana Quello d'invidia e d'ozio nacque, prole bastarda, Quanto l'ozio e l'invidia neghittosa e codarda: Questa operosa e ardita in lealtà somiglia La virtude e lo studio, ond'ella è ingenua figlia; Come i bastardi quella nome non porta, e come D'un delatore il figlio, nasconde il proprio nome; Secura e altera questa; sprezza le insidie e l'onte, Chè d'un padre onorato mostrar può il nome in fronte; L'una è sempre l'infido pugnal del traditore, Cade, e del suo padrone divien l'accusatore; L'altra è spada impugnata in legittima gara, Che altrui porta i suoi colpi e i colpi altrui ripara: Quella nessun corregge, perchè offende sol uno; Questa ammaestra tutti perchè non guarda alcuno: Là fu tema il vizioso, qui la virtude è il tema; Là morirà un libello, qui resterà un poema!
PARTE TERZA
CAPITOLO XI.
Muore malamente eziandio il nostro buon amico Balena.
Sventurato, siccome molti altri in questo mondaccio, e senza gravi colpe, fatta astrazione della sua lingua mordace, talora equanime e talora piacevole.
Figuratevi che a sessantatre anni (non è poi un secolo) e provvisto di ben di Dio, ha dovuto soccombere in fretta, per causa unica del suo ventre troppo conico. Egli fece una solenne ribaltata, nell'andare ad un vicino pranzo di sposi, suoi parenti…. N'ebbe contuse orribilmente le interiora per aver battuto il suo globo contro una colonnetta di granito, detta paracarro, sulla strada provinciale che mena ad una vicina nota città. Ne conseguì la subitanea commozione intestinale, con effetto di incoercibile dissenteria, le quali lo tradussero in ventiquattro ore alla cassa da morto. Peccato, giacchè egli era stato un eccellente compagnone, ed aveva anche del cuore in proporzione. Tutto il paese ne fu dolente, compresi gli osti e la sua Perpetua, essendo esso impenitente celibatario.
E per quanto riflette a' suoi fidanzati nipotini, dessi hanno dovuto rinviare la cerimonia nuziale tanto agognata, a tre giorni dopo causa il lutto. Il sabbato andarono al funerale dell'amato zio, ed alla sera del martedì salivano in treno per il viaggio di nozze, ricordando tuttavia le di lui buone qualità!!! Ma la matura sua governante poi, ne rimase assolutamente inconsolata, perchè un caro padrone simile, diceva piangendo, ce ne vorrà del tempo, prima di trovarne un altro, fosse pure senza pancia.
Il fu Balena era stato uomo di molto senno pratico ed aveva saputo farsi amare in vita, sebbene non si lasciasse troppo governare dalle governanti, per le quali i maturi celibi, in massima si inteneriscono facilmente. Requie eterna dunque all'anima sua pacifica, ed una ben solida poltrona a bracciuoli pel corpo, nel Limbo dei Santi Vergini voluminosi…
Potria darsi che Donna Tullia, col suo Brichetti Galeno, abbia pensato, derivasse probabilmente la cattiva morte di Balena, dall'aver voluto egli difendere Alfredo, l'uomo fatale, contro le accuse di Don Barnaba post mortem.
Ora per norma dei lettori di bontà incommensurabile noi avvertiremo, che i trapassati a miglior vita, durante la breve confezione del nostro Libro, furono appena sette compreso Lord, individuo di quattro gambe, non trascurabile.
FINE.
INDICE
PROEMIO Pag. 5
PARTE PRIMA
CAPITOLO I.—I Ladri della pace » 7 » II.—Le solite monomanie di persecuzione e di grandezza » 12 » III.—La lettera di Alfredo » 16 » IV.—Una conversazione alla moda » 21 » V.—Un disguido costato meno caro di quanto poteva » 21 » VI.—La parola è d'argento, il silenzio è d'oro, (antico proverbio arabo) » 27 » VII.—Nulla die sine linea (non un giorno senza un disgusto) » 30 » VIII.—Il veglione » 39 » IX.—Sourtout pas trop de zéle » 48 » X.—Non tutti i mali vengono per nuocere » 52 » XI.—Idillj di montagna » 64 » XII.—L'aria fine è un farmaco potente » 76 » XIII.—Una quarta parte monomaniaci » 78 » XIV.—La Chiesuola dell'Alpe » 81
PARTE SECONDA
CAPITOLO I.—Il ritorno di Alfredo » 87 » II.—Talune influenze sono spesse volte dannose » 93 » III.—Lo studio di pittura » 95 » IV.—Beneficenza delicata di una ex artista di canto » 103 » V.—Violetta non và più monaca, ma si marita » 106 » VI.—Il sogno di Elisa Blandis realizzato » 109 » VII.—La lettera del cugino in secondo grado » 112 » VIII.—Sempre la iettatura » 117
PARTE TERZA
CAPITOLO I.—Troppa ricchezza, poca sicurezza » 119 » II.—Visita inattesa in Teatro alla Capitale » 125 » III.—Uno zigaro ha costato 3250 lire » 137 » IV.—Disastro in mare » 139 » V.—Non impedir lo suo fatale andare (Dante Inferno Canto V.) » 144 » VI.—I sogni della notte sono imagini del dì guaste e corrotte (cioè false e confuse) » 147 » VII.—Come tutto va a finire in questa valle del pianto » 154 » VIII.—Il vuoto dell'anima » 157 » IX.—Chi ha vissuto col cuore, perisce pel cuore » 161 » X. Altri ladri della pace, anche dopo morte » 171 » XI.—Muore malamente, eziandio, il nostro buon amico Balena » 180
ERRATA CORRIGE
PARTE PRIMA
Alla pag. 6 del Proemio linea 7, invece di abbiamo leggasi abbiano. » 7 linea 21 sopprimere il ; fra le parole nullatenente celibe. » 12 linea 13 invece di persecuzioni leggasi persecuzione. » 14 linea 27 invece di medesimo leggasi medesmo. » 16 linea 13 invece di aria leggasi arpa. » 19 linea 3 invece di malanimo leggasi mal'animo. » 20 linea 22 invece di veniva limitata leggasi venivano limitate » 20 linea 25 invece di fra la quiete, l'apatia leggasi della quiete, dell'apatia. » 28 linea 4 invece di misi leggasi nisi. » 32 linea 5 invece di proventi leggasi viventi ed invece di anche leggasi avrete. » 32 linea 33 invece di ammirava leggasi avveniva. » 53 linea 11 invece di elopuente leggasi eloquente. » 63 linea 8 invece di Siriana, leggasi Stiriana. » 64 linea 9 invece di Müller leggasi Myller. » 66 linea 6 invece di spesso e da solo leggasi spesso de solo. » 67 linea 22 invece di istromento leggasi istrumento. » 72 linee 22 e 23 invece di e quando ha mangiato leggasi e dopo il pasto
PARTE TERZA
» 123 linea 25 invece di dimenticò leggasi dimentico! » 124 linea 13 invece di trepitanti leggasi trepidanti. » 124 linea 25 invece di tengon leggasi tengono. » 124 linea 26 invece di salame leggasi salami. » 131 linea 20 invece di Costantinapoli leggasi Costantinopoli. » 131 linea 21 invece di Psichiatra leggasi Psichiatria. » 138 linea 16 invece di torpando leggasi tarpando. » 160 linea 14 invece di non delle leggasi e non dalle. » 160 linea 16 si deve sopprimere il secondo con. » 167 linea 6 invece di qui mali pense leggasi qui mal i pense. » 174 linea 26 invece di quando leggasi quanto. » 176 linea 16 invece di ricompenso leggasi ricompensa.
N.B. — Ogni qualvolta si troverà nel libro il nome di Arringa si intenda scritto con una sola erre.