TEATRO FUTURISTA SINTETICO

BIBLIOTECA TEATRALE

F. T. Marinetti — Emilio Settimelli Bruno Corra

Teatro Futurista Sintetico

PIACENZA Casa Editrice GHELFI COSTANTINO 1921

ISTITUTO EDITORIALE ITALIANO BIBLIOTECA TEATRALE N. 10

Filippo Tommaso Marinetti

Per la protezione di questa opera anche come parte integrante della Biblioteca Teatrale si sono adempiute le formalità della legge tutelatrice dei diritti dell'ingegno IL TEATRO FUTURISTA SINTETICO

CREATO DA

MARINETTI, SETTIMELLI,:: :: BRUNO CORRA :: ::

SINTESI TEATRALI

di MARINETTI, SETTIMELLI, BRUNO CORRA, R. CHITI, ARNALDO CORRADINI, BALILLA PRATELLA, PAOLO BUZZI, FRANCESCO CANGIULLO, BOCCIONI, CORRADO GOVONI, LUCIANO FOLGORE,.. .. DECIO CINTI .. ..

INDICE

MANIFESTO DEL TEATRO FUTURISTA SINTETICO

Aspettando la nostra grande guerra tanto invocata, noi Futuristi alterniamo la nostra violentissima azione anti-neutrale nelle piazze e nelle Università, colla nostra azione artistica sulla sensibilità italiana, che vogliamo preparare alla grande ora del massimo Pericolo. L'Italia dovrà essere impavida, accanitissima, elastica e veloce come uno schermidore, indifferente ai colpi come un boxeur, impassibile all'annuncio di una vittoria che costasse cinquantamila morti, o anche all'annuncio di una disfatta.

Perchè l'Italia impari a decidersi fulmineamente, a slanciarsi, a sostenere ogni sforzo e ogni possibile sventura non occorrono libri e riviste. Questi interessano e occupano una minoranza; sono più o meno tediosi, ingombranti e rallentanti, non possono che far raffreddare l'entusiasmo, troncar lo slancio e avvelenare di dubbî un popolo che si batte. La guerra, futurismo intensificato, c'impone di marciare e di non marcire nelle biblioteche e nelle sale di lettura. NOI CREDIAMO DUNQUE CHE NON SI POSSA OGGI INFLUENZARE GUERRESCAMENTE L'ANIMA ITALIANA, SE NON MEDIANTE IL TEATRO. Infatti il 90% degl'italiani va a teatro, mentre soltanto il 10% legge i libri e le riviste. È necessario però un TEATRO FUTURISTA, cioè assolutamente opposto al teatro passatista, che prolunga i suoi cortei monotoni e deprimenti sulle scene sonnolente d'Italia.

Senza insistere contro il teatro storico, forma nauseante e già scartata dai pubblici passatisti, noi condanniamo tutto il teatro contemporaneo, poichè è tutto prolisso, analitico, pedantescamente psicologico, esplicativo, diluito, meticoloso, statico, pieno di divieti come una questura, diviso a celle come un monastero, ammuffito come una vecchia casa disabitata. È insomma un teatro pacifista e neutralista, in antitesi colla velocità feroce, travolgente e sintetizzante della guerra.

Noi creiamo un Teatro futurista

SINTETICO

cioè brevissimo. Stringere in pochi minuti, in poche parole e in pochi gesti innumerevoli situazioni, sensibilità, idee, sensazioni, fatti e simboli.

Gli scrittori che vollero rinnovare il teatro (Ibsen, Maeterlinck, Andrejeff, Paul Claudel, Bernard Shaw), non pensarono mai di giungere a una vera sintesi, liberandosi dalla tecnica che implica prolissità, analisi meticolosa, lungaggine preparatoria. Davanti alle opere di questi autori, il pubblico è nell'atteggiamento ributtante d'un crocchio di sfaccendati che sorseggiano la loro angoscia e la loro pietà spiando la lentissima agonia di un cavallo caduto sul selciato. L'applauso-singhiozzo che scoppia, finalmente, libera lo stomaco del pubblico da tutto il tempo indigesto che ha ingurgitato. Ogni atto equivale a dovere aspettare pazientemente in anticamera che il ministro (colpo di scena; bacio, revolverata, parola rivelatrice, ecc.) vi riceva. Tutto questo teatro passatista o semi-futurista, invece di sintetizzare fatti e idee nel minor numero di parole e gesti, distrusse bestialmente la varietà di luoghi (fonte di stupore e di dinamismo) insaccando molti paesaggi, piazze, strade, nell'unico salame di una camera. Cosicchè questo teatro è tutto statico.

Siamo convinti che meccanicamente, a forza di brevità, si possa giungere a un teatro assolutamente nuovo, in perfetta armonia colla velocissima e laconica nostra sensibilità futurista. I nostri atti potranno anche essere attimi, e cioè durare pochi secondi. Con questa brevità essenziale e sintetica, il teatro potrà sostenere e anche vincere la concorrenza col Cinematografo.

ATECNICO

Il teatro passatista è la forma letteraria che più costringe la genialità dell'autore a deformarsi e a diminuirsi. In esso, molto più che nella lirica e nel romanzo, imperano le esigenze della tecnica: 1. scartare ogni concezione che non rientri nei gusti del pubblico; 2. trovata una concezione teatrale (esprimibile in poche pagine), diluirla e diluirla in due, tre, quattro atti; 3. mettere intorno al personaggio che ci interessa molta gente che non c'entra affatto: macchiette, tipi bizzarri e altri rompiscatole; 4. fare in modo che la durata di ogni atto oscilli tra la mezz'ora e i tre quarti d'ora; 5. costruire gli atti preoccupandosi di: a ) cominciare con sette-otto pagine assolutamente inutili; b ) introdurre un decimo della concezione nel primo atto, cinque decimi nel secondo, quattro decimi nel terzo; c ) architettare gli atti in maniera ascendente, cosicchè l'atto non sia che una preparazione del finale; d ) fare senza riguardo un primo atto noiosetto, purchè il secondo sia divertente ed il terzo divorante; 6. appoggiare invariabilmente ogni battuta essenziale a un centinaio o più di battute insignificanti di preparazione; 7. non consacrare mai meno di una pagina a spiegare con esattezza una entrata o una uscita; 8. applicare sistematicamente la regola di una superficiale varietà all'intero lavoro, agli atti, alle scene, alle battute, cioè per es.: fare un atto di giorno, uno di sera e uno nel cuor della notte; fare un atto patetico, uno angoscioso e uno sublime; quando si è costretti a prolungare un colloquio a due, fare accadere qualche cosa che lo interrompa; un vaso che cade, una mandolinata che passa... Oppure far muovere costantemente le due persone, da sedute in piedi, da destra a sinistra, e intanto variare il dialogo in modo che sembri ad ogni istante che qualche bomba debba scoppiare fuori (per es.: il marito tradito che strappa alla moglie la prova) senza che in realtà scoppi mai niente sino alla fine dell'atto; 9. preoccuparsi enormemente della verosimiglianza dell'intreccio; 10. fare in modo che il pubblico debba sempre capire con la massima completezza il come e il perchè di ogni azione scenica e sopratutto sapere all'ultimo atto come vanno a finire i protagonisti.

Col nostro movimento sintetista nel teatro, noi vogliamo distruggere la Tecnica, che dai Greci ad oggi, invece di semplificarsi, è divenuta sempre più dogmatica, stupidamente logica, meticolosa, pedante, strangolatrice. DUNQUE:

1. È STUPIDO SCRIVERE CENTO PAGINE DOVE NE BASTEREBBE UNA, solo perchè il pubblico per abitudine e per infantile istintivismo, vuol vedere il carattere di un personaggio risultare da una serie di fatti e ha bisogno di illudersi che il personaggio stesso esista realmente per ammirarne il valore d'arte, mentre non vuole ammettere questo valore se l'autore si limita a indicarlo con pochi tratti.

2. È STUPIDO non ribellarsi al pregiudizio della teatralità quando la vita stessa (la quale è costituita da azioni infinitamente più impacciate, più regolate e più prevedibili di quelle che si svolgono nel campo dell'arte) è in massima parte antiteatrale e offre anche in questa sua parte innumerevoli possibilità sceniche. TUTTO È TEATRALE QUANDO HA VALORE.

3. È STUPIDO soddisfare la primitività delle folle, che alla fine vogliono vedere esaltato il personaggio simpatico e sconfitto l'antipatico.

4. È STUPIDO curarsi della verosimiglianza (assurdità, questa, poichè valore e genialità non coincidono affatto con essa).

5. È STUPIDO voler spiegar con una logica minuziosa tutto ciò che si rappresenta, quando anche nella vita non ci accade mai di afferrare un avvenimento interamente, con tutte le sue cause e conseguenze, perchè la realtà ci vibra attorno assalendoci con raffiche di frammenti di fatti combinati tra loro, incastrati gli uni negli altri, confusi, aggrovigliati, caotizzati. Per es.: è stupido rappresentare nella scena una contesa tra due persone sempre con ordine, con logica e con chiarezza, mentre nella nostra esperienza di vita troviamo quasi solo dei pezzi di disputa a cui la nostra attività di uomini moderni ci ha fatto assistere per un momento in tram, in un caffè, in una stazione, e che sono rimasti cinematografati nel nostro spirito come dinamiche sinfonie frammentarie di gesti, parole, rumori e luci.

6. È STUPIDO sottostare alle imposizioni del crescendo, della preparazione e del massimo effetto alla fine.

7. È STUPIDO lasciare imporre alla propria genialità il peso di una tecnica che tutti (anche gl'imbecilli) possono acquistare a furia di studio, di pratica e di pazienza.

8. È STUPIDO RINUNZIARE AL DINAMICO SALTO NEL VUOTO DELLA CREAZIONE TOTALE FUORI DA TUTTI I CAMPI ESPLORATI.

DINAMICO, SIMULTANEO

cioè nato dall'improvvisazione, dalla fulminea intuizione, dall'attualità suggestionante e rivelatrice. Noi crediamo che una cosa valga in quanto sia stata improvvisata (ore, minuti, secondi), e non preparata lungamente (mesi, anni, secoli).

Noi abbiamo una invincibile ripugnanza per il lavoro fatto a tavolino, a priori, senza tener conto dell'ambiente in cui dovrà essere rappresentato. LA MAGGIOR PARTE DEI NOSTRI LAVORI SONO STATI SCRITTI IN TEATRO. L'ambiente teatrale è per noi un serbatoio inesauribile di ispirazioni: la circolare sensazione magnetica filtrante dal teatro vuoto dorato in una mattinata di prova a cervello stanco, l'intonazione di un attore che ci suggerisce la possibilità di costruirvi sopra un paradossale aggregato di pensiero, un movimento di scenari che ci dà lo spunto per una sinfonia di luci, la carnosità di un'attrice che genera nella nostra sensibilità concezioni piene di geniali scorci pittorici.

Scorrazzavamo per l'Italia alla testa di un eroico battaglione di comici che imponeva «ELETTRICITÀ» e altre sintesi futuriste (ieri vive e oggi da noi superate e condannate) a pubblici che erano rivoluzioni imprigionate nelle sale. Dal Politeama Garibaldi di Palermo, al Dal Verme di Milano, i teatri italiani spianavano le rughe al massaggio furibondo della folla e ridevano con sussulti di terremoto. Fraternizzavamo con gli attori. Poi, nelle notti insonni di viaggio, discutevamo frustando reciprocamente le nostre genialità al ritmo dei tunnels e delle stazioni. Il nostro teatro futurista si infischia di Shakespeare, ma tien conto di un pettegolezzo di comici, si addormenta ad una battuta di Ibsen, ma si entusiasma pei riflessi rossi o verdi delle poltrone. Noi OTTENIAMO UN DINAMISMO ASSOLUTO MEDIANTE LA COMPENETRAZIONE DI AMBIENTI E DI TEMPI DIVERSI. Es.: mentre in un dramma come Più che l'amore, i fatti importanti (es.: l'uccisione del biscazziere) non si muovono sulla scena, ma vengono raccontati con un'assoluta mancanza di dinamismo; mentre nel 1º atto della Figlia di Jorio, i fatti si muovono in un'unica scena senza balzi di spazio e di tempo, nella sintesi futurista Simultaneità vi sono due ambienti che si compenetrano e molti tempi diversi messi in azione simultaneamente.

AUTONOMO, ALOGICO, IRREALE

La sintesi teatrale futurista non sarà sottomessa alla logica, non conterrà nulla di fotografico, sarà autonoma, non somiglierà che a sè stessa, pur traendo dalla realtà elementi da combinarsi a capriccio. Anzitutto, come per il pittore e per il musicista esiste, sparpagliata nel mondo esteriore, una vita più ristretta ma più intensa, costituita da colori, forme, suoni e rumori, così PER L'UOMO DOTATO DI SENSIBILITÀ TEATRALE ESISTE UNA REALTÀ SPECIALIZZATA LA QUALE ASSALTA I NERVI CON VIOLENZA: essa è costituita da ciò che si chiama IL MONDO TEATRALE.

IL TEATRO FUTURISTA NASCE DALLE DUE VITALISSIME CORRENTI della sensibilità futurista, precisate nei due manifesti: IL TEATRO DI VARIETÀ e PESI, MISURE E PREZZI DEL GENIO ARTISTICO, che sono: 1) LA NOSTRA FRENETICA PASSIONE PER LA VITA ATTUALE, VELOCE, FRAMMENTARIA, ELEGANTE, COMPLICATA, CINICA, MUSCOLOSA, SFUGGEVOLE, FUTURISTA; 2) LA NOSTRA MODERNISSIMA CONCEZIONE CEREBRALE DELL'ARTE SECONDO LA QUALE NESSUNA LOGICA, NESSUNA TRADIZIONE, NESSUNA ESTETICA, NESSUNA TECNICA, NESSUNA OPPORTUNITÀ È IMPONIBILE ALLA GENIALITÀ DELL'ARTISTA CHE DEVE SOLO PREOCCUPARSI DI CREARE DELLE ESPRESSIONI SINTETICHE DI ENERGIA CEREBRALE LE QUALI ABBIANO VALORE ASSOLUTO DI NOVITÀ.

Il TEATRO FUTURISTA saprà esaltare i suoi spettatori, cioè far loro dimenticare la monotonia della vita quotidiana, scaraventandoli attraverso un LABIRINTO DI SENSAZIONI IMPRONTATE ALLA PIÙ ESASPERATA ORIGINALITÀ E COMBINATE IN MODI IMPREVEDIBILI.

Il TEATRO FUTURISTA sarà ogni sera una ginnastica che allenerà lo spirito della nostra razza ai veloci e pericolosi ardimenti che quest'anno futurista rende necessari.

CONCLUSIONI:

1) ABOLIRE TOTALMENTE LA TECNICA SOTTO CUI MUORE IL TEATRO PASSATISTA;

2) PORRE SULLA SCENA TUTTE LE SCOPERTE (PER QUANTO INVEROSIMILI, BIZZARRE E ANTITEATRALI) CHE LA NOSTRA GENIALITÀ VA FACENDO NEL SUBCOSCIENTE, NELLE FORZE MAL DEFINITE, NELL'ASTRAZIONE PURA, NEL CEREBRALISMO PURO, NELLA FANTASIA PURA, NEL RECORD E NELLA FISICOFOLLIA. (Es.: Vengono, primo dramma d'oggetti di F. T. Marinetti, nuovo filone di sensibilità teatrale scoperto dal Futurismo).

3) SINFONIZZARE LA SENSIBILITÀ DEL PUBBLICO ESPLORANDONE, RISVEGLIANDONE, CON OGNI MEZZO, LE PROPAGGINI PIÙ PIGRE; ELIMINARE IL PRECONCETTO DELLA RIBALTA LANCIANDO DELLE RETI DI SENSAZIONI TRA PALCOSCENICO E PUBBLICO; L'AZIONE SCENICA INVADERÀ PLATEA E SPETTATORI;

4) FRATERNIZZARE CALOROSAMENTE COI COMICI, I QUALI SONO TRA I POCHI PENSATORI CHE RIFUGGANO DA OGNI DEFORMANTE SFORZO CULTURALE;

5) ABOLIRE LA FARSA, IL VAUDEVILLE, LA POCHADE, LA COMMEDIA, IL DRAMMA E LA TRAGEDIA, PER CREARE AL LORO POSTO LE NUMEROSE FORME DEL TEATRO FUTURISTA, COME: LE BATTUTE IN LIBERTÀ, LA SIMULTANEITÀ, LA COMPENETRAZIONE, IL POEMETTO ANIMATO, LA SENSAZIONE SCENEGGIATA, L'ILARITÀ DIALOGATA, L'ATTO NEGATIVO, LA BATTUTA RIECHEGGIATA, LA DISCUSSIONE EXTRALOGICA, LA DEFORMAZIONE SINTETICA, LO SPIRAGLIO SCIENTIFICO, LA COINCIDENZA, LA VETRINA...

6) CREARE TRA NOI E LA FOLLA, MEDIANTE UN CONTATTO CONTINUATO, UNA CORRENTE DI CONFIDENZA SENZA RISPETTO, COSÌ DA TRASFONDERE NEI NOSTRI PUBBLICI LA VIVACITÀ DINAMICA DI UNA NUOVA TEATRALITÀ FUTURISTA.

Ecco le prime nostre parole sul teatro. Le nostre prime 11 sintesi teatrali (di Marinetti, Settimelli, Bruno Corra, R. Chiti, Balilla Pratella, Paolo Buzzi) sono state imposte vittoriosamente da Ettore Berti e dalla sua compagnia ai pubblici affollatissimi di Ancona, Bologna, Padova, Venezia, Verona, Bergamo, Genova ( con replica ), Savona, Sanremo. Presto avremo in Milano il grande edificio metallico, animato da tutte le complicazioni elettro-meccaniche, che solo potrà permetterci di attuare scenicamente le nostre più libere concezioni.

Milano, 11 Gennaio 1915. » 18 Febbraio 1915.

F. T. MARINETTI EMILIO SETTIMELLI BRUNO CORRA

F. T. MARINETTI

SIMULTANEITÀ COMPENETRAZIONE

Sala. — La parete di destra è interamente occupata da una grande libreria. — Un po' a sinistra una grande tavola. — Lungo la parete di sinistra, mobili modesti, da piccoli borghesi, e una porta. — Nella parete di fondo, una finestra da cui si vede che fuori nevica, e un'altra porta, che s'apre sulla scala.

Intorno alla tavola, sotto una lampada con paralume, dalla luce tenue e verdognola, sta seduta una famiglia borghese: La Madre cuce, Il Padre legge il giornale, Il Figlio sedicenne fa i compiti di scuola, Il Figlio di 10 anni fa anch'esso i compiti di scuola, La Figlia quindicenne cuce.

Davanti alla libreria, a breve distanza da questa, una toilette ricchissima, illuminatissima, con specchio e candelabri, carica di tutte le boccette, di tutti i vasetti e di tutti gli arnesi di cui si serve una donna elegantissima. Una proiezione intensissima di luce elettrica avvolge questa toilette, alla quale sta seduta una giovane cocotte, molto bella, bionda, dal lussuoso peignoir scollato. Ella ha finito di acconciarsi i capelli, ed è intenta a darsi gli ultimi tocchi al viso, alle braccia, alle mani, attentamente aiutata da una cameriera irreprensibile che le sta ritta accanto.

La famiglia non vede questa scena.

La Madre (al Padre). Vuoi verificare i conti?

Il Padre. Li guarderò dopo.

(Si rimette a leggere)

(Silenzio. — Tutti, con naturalezza, attendono alle loro occupazioni. — La Cocotte, a parte, continua ad abbigliarsi, invisibile alla famiglia.

La cameriera, come se avesse udito squillare il campanello, va alla porta del fondo, apre, introduce un fattorino, che si avvicina alla Cocotte e le presenta un mazzo di fiori e un biglietto. — La Cocotte fiuta i fiori, li depone sulla toilette, legge il biglietto. — Il fattorino esce salutando rispettosamente.

Il ragazzo sedicenne si alza poco dopo, va alla libreria, passando vicinissimo alla toilette, come se questa non ci fosse, prende un libro, riattraversa la sala, torna a sedersi alla tavola e si rimette a scrivere).

Il sedicenne (interrompendo il suo lavoro e guardando la finestra). Nevica ancora... Che silenzio!

Il padre. — Questa casa è veramente troppo isolata. L'anno prossimo cambieremo...

(La cameriera della Cocotte va ancora alla porta del fondo, come se avesse udito ancora il campanello, e introduce una giovane modista, che avvicinatasi alla Cocotte trae dal suo scatolone un magnifico cappello. La Cocotte se lo prova, allo specchio, si stizzisce perchè non le piace e lo mette da parte. Poi dà una mancia alla ragazza e la licenzia con un cenno. La ragazza esce salutando.

Ad un tratto la Madre, dopo aver cercato sulla tavola, si alza ed esce dalla porta di sinistra, come per andare a prendere un oggetto che le manca.

Il Padre si alza, va alla finestra e rimane ritto a guardare dai vetri.

A poco a poco, i tre ragazzi si addormentano sulla tavola.

La Cocotte lascia la toilette, si avvicina lentamente, a passi cauti, alla tavola, prende conti, i compiti, i lavori donneschi, e getta ogni cosa sotto la tavola con noncuranza).

La Cocotte. — Dormite!

(E ritorna lentamente alla toilette, riprendendo a pulirsi le unghie).

Sipario.

«In SIMULTANEITÀ ho messo in scena la compenetrazione simultanea della vita di una famiglia borghese con quella di una cocotte. La cocotte, che non è qui un simbolo, ma una sintesi di sensazioni di lusso, di disordine, di avventura e di sperpero, vive come angoscia, desiderio o rimpianto, nei nervi di tutte le persone sedute intorno alla pacifica tavola famigliare.

SIMULTANEITÀ è una sintesi teatrale assolutamente autonoma, poichè non assomiglia nè alla vita borghese, nè alla vita della cocotte, ma a sè stessa. SIMULTANEITÀ è inoltre una sintesi teatrale assolutamente dinamica. Infatti, mentre in un dramma come Più che l'amore, i fatti importanti (es.: l'uccisione del biscazziere) non si muovono sulla scena, ma vengono raccontati con una assoluta mancanza di dinamismo; mentre nel 1º atto della Figlia di Jorio, i fatti si muovono sulla scena, ma con realismo troppo esteriore, e, diremo così, cinematografico, nella mia sintesi Simultaneità io ottengo un dinamismo assoluto di tempo e di spazio, con la compenetrazione simultanea di 2 ambienti diversi e di molti tempi diversi».

F. T. MARINETTI

IL TEATRINO DELL'AMORE DRAMMA D'OGGETTI

Sala da pranzo. — In fondo, due porte, da una delle quali si vede una biblioteca. — Nella parete di sinistra, due porte, fra le quali è il Buffet. — Nella parete di destra, una porta, la finestra, la Credenza. — In mezzo, la Tavola con sedie. — Luce moderata.

La Bambina. — Mamma, lasciami stare con te ancora un pochino... Un quarto d'ora... Nel tuo letto. Vuoi?...

La Moglie. — No, no. È mezzanotte. Devi riposarti. Sai che non voglio vederti quegli occhioni cerchiati... Sei stanca... Va a letto... Su, sii buona. Va.

(La Bambina esce lentamente da una delle porte di sinistra. La Madre aspetta che il rumore dei suoi passi si sia spento in fondo alla casa, poi esce dalla porta di destra che dà nella sua camera, spegnendo la luce. — Silenzio. — I Mobili scricchiolano misurando le loro forze sottovoce).

Il Buffet. — Cric. Pioverà fra tre quarti d'ora (Silenzio). Griiiiil. Aprono il portone. (Silenzio). Cric cric. La pressione del servizio d'argenteria è superiore alla mia coesione!

La Credenza. — Crac-crac. Al 3º piano la serva va a letto. (Silenzio). Sulla scala c'è un peso di 70 kg. (Silenzio). Crac.

Il Marito (entra in veste da camera dall'altra porta di sinistra, con una piccola lampada a paralume, attraversa la sala, va alla biblioteca che si vede in fondo. — Tentenna davanti agli scaffali, sceglie un grosso libro, poi riattraversa lentamente la sala, portando il libro pesante. — Il libro gli sfugge. — Tonfo sul pavimento. — Silenzio. — Raccoglie il libro, indi esce dalla porta da cui è venuto).

La Moglie (entra dalla porta di destra, sta in ascolto, va in punta di piedi ad aprire la porta che dà sulla scala. Entra il Primo Venuto, giovanotto elegante, che porta un cartoccio voluminoso). Piano! Sssss... Piano!

Il Primo Venuto (apre il cartoccio e ne trae un teatrino-giocattolo, che depone sulla tavola).

La Moglie (sottovoce). Bello! bello! (con gioia e meraviglia infantile, battendo le mani senza rumore). Grazie... Vieni... (Lo conduce verso la porta di destra. Escono. La porta si richiude. Silenzio).

Il Buffet. — Cric. Piove... Piove...

La Credenza. — Crac. La schiena del padrone aderisce a poco a poco alla spalliera della poltrona.

La Bambina (entra in camicia dalla 1ª porta di sinistra, si avvicina alla tavola, tastoni nella penombra, sta in ascolto, poi va verso la porta di destra [camera della madre] e rimane immobile ad origliare).

La Credenza. — Craac.

La Bambina (ode un passo avvicinarsi dall'interno della camera di sua madre, e corre ad appiattarsi sotto la tavola. La porta di destra si apre).

La Moglie (affacciandosi a quella porta, sta un momento in ascolto). — Niente... Dormono tutti... (Si ritira, richiudendo la porta).

La Bambina (si sporge di sotto la tavola, sta lungamente in ascolto, poi reclina la testa, la posa sul braccio ripiegato sul tappeto, e s'addormenta). Dal momento in cui il teatrino fu deposto, un attore nascosto dietro la tavola mette in moto le marionette che sono su di esso.

Il Buffet. — Cric. Piove.

La Credenza. — Craac. Mi dilato. (Silenzio).

(Si riapre la porta di destra. Entra la Moglie, discinta, seguita dal Primo Venuto. — Non vedono la bambina sotto la tavola. — La Moglie va alla Credenza, la apre, ne estrae una bottiglia di liquore e due bicchierini, che mette sulla tavola. Lui beve. — Si baciano. — Il Primo Venuto esce dalla porta della scala. — La Moglie scorge la bambina, la sveglia e le mostra il teatrino).

La Bambina (stropicciandosi gli occhi). — Bello! Bello! (Pronuncia queste parole colla stessa intonazione di gioia e di meraviglia infantile con cui la Madre le ha pronunciate prima). (Silenzio breve). Ho sognato.

(Prende il teatrino e si lascia ricondurre verso la 1ª porta di sinistra).

La Credenza. — Craac craaac!

(Sipario)

«Nel TEATRINO DELL'AMORE, ho voluto dare la vita non-umana degli oggetti. I personaggi più importanti sono il Teatrino di legno (le cui marionette recitano nel buio senza la presenza del burattinaio), il Buffet, la Credenza, che non sono umanizzati (come qualche volta furono umanizzate le cose nel teatro passatista) ma danno non umanamente la temperatura, le loro dilatazioni, i pesi che sopportano, le vibrazioni dei muri, ecc.

Questi tre personaggi vivono nei nervi della Bambina nervosa, mentre essa origlia alla porta della Madre.

Il Teatrino di legno è il simbolo della futilità, fugacità e teatralità della seduzione amorosa, e le sue marionette agiscono al buio, inspiegabilmente, come se fossero mosse dall'amore dei due personaggi che si abbracciano nella camera attigua. Deve risultare un significativo parallelismo fra la gioia illogica che la Madre manifesta al vedere il giocattolo, e la gioia reale che la Bambina prova quando la Madre glielo offre, conducendola a letto».

F. T. MARINETTI

ANTINEUTRALITÀ COMPENETRAZIONE

(Salotto elegantissimo. — Molti ninnoli sui tavolini e sulle étagères. — Ritratti di antenati e stampe del settecento alle pareti. — Poltrone comodissime, con molti cuscini. — A prima vista, deve sembrare un salotto da signora; qualche particolare deve indicare che si tratta invece del salotto di un giovane signore elegante e raffinato. — Tre giovanotti d'aspetto effeminato, molto azzimati, tutti e tre in frak, elegantissimi, stanno seduti intorno a un fragile tavolino sul quale è servito il caffè turco. — Una sola porta in fondo).

Uno (porgendo aperto a uno degli altri due un bellissimo portasigarette d'oro, e parlando coll'r aristocratica). — Prendi queste, caro.. Mi furono mandate dal Cairo. Sono veramente inarrivabili per la delicatezza del profumo.

L'Altro (dopo avere acceso, alzandosi per osservare una vecchia stampa). — Grazie, caro... Squisite! (In francese) Ah! L'Orient! L'Orient! Quella piccola stampa che mi regalasti due anni fa, l'ho posta nel centro del mio salotto. Quanti elogi! Tutti l'ammirano. Un vero pellegrinaggio!... Ho scovato una cornice adatta... È un bijou! Dovresti venire a vederla. J'ai aussi un petit cadeau à te faire. La poudre de Bagdad.

(Mostrando le unghie). Tu vois quelle merveille! Notre jolie Comtesse me le invidia.

(Si apre la porta. Entrano due robustissimi boxeurs, in assetto di combattimento, coi guantoni alle mani. Danno un'occhiata sprezzante nel salotto, senza curarsi dei tre giovanotti eleganti).

I Tre (con sorpresa e disgusto). — Quelle horreur!

1º Boxeur. — Qui?

2º Boxeur. — Sì, qui... Perchè no?

(Entrano, spostano brutalmente alcuni mobili, e subito cominciano un violentissimo assalto di boxe.

I tre giovani effeminati scattano in piedi, frementi pel disgusto, e si ritirano in tre angoli, dove rimangono in atteggiamento di stizza e di sgomento, come tre gattine d'angora a un'invasione di bulldogs).

1º Boxeur (rovesciando l'altro con un colpo terribile). — Knock out!

(L'altro rimane a terra un momento stordito, indi si alza, stringe la mano all'avversario, che gliela porge. Poi, con tacito accordo, fanno con passo cadenzato il giro della stanza, uno dietro all'altro, e fermandosi un istante davanti a ognuno dei tre giovani effeminati, fanno insieme, tre volte, l'atto di sputare con grandissimo disprezzo).

Pou!

Pou!

Pou!

(Sipario)

F. T. MARINETTI

VENGONO DRAMMA D'OGGETTI

Sala signorile. — Sera. — Grande lampadario acceso. — Porta-finestra, aperta (in fondo a sinistra), che dà su un giardino. — A sinistra, lungo la parete ma staccata da questa, grande tavola rettangolare con tappeto. — Lungo la parete di destra (nella quale si apre una porta), una grandissima e alta poltrona, ai lati della quale sono allineate otto sedie, quattro a destra e quattro a sinistra (della poltrona).

Entrano dalla porta di sinistra un Maggiordomo e due servi in frak.

Il Maggiordomo. — Vengono. Preparate. (esce).

I servi, con grande fretta, dispongono le otto sedie a ferro di cavallo ai lati della poltrona, che rimane al posto di prima, come la tavola. Quando hanno finito, vanno a guardare dalla porta, voltando le spalle al pubblico. Lungo momento d'attesa. Il Maggiordomo rientra, ansante.

Il Maggiordomo. — Contrordine. Sono stanchissimi... Molti cuscini, molti sgabelli...

(esce).

I servi escono dalla porta di destra e rientrano carichi di cuscini e di sgabelli. — Poi, prendono la poltrona, la mettono in mezzo alla sala, e dispongono le sedie (quattro da ciascun lato) colle spalliere rivolte alla poltrona. Indi, su ogni sedia, e sulla poltrona, mettono cuscini e, davanti a ogni sedia, sgabelli, come pure davanti alla poltrona.

I servi vanno di nuovo a guardare dalla porta-finestra. Lungo momento d'attesa.

Il Maggiordomo (rientra dal giardino trafelato). — Contrordine. Hanno fame. Apparecchiate! (esce).

I servi trasportano la tavola in mezzo alla sala, dispongono intorno ad essa la poltrona (a capotavola) e le sedie; indi, rapidamente, uscendo e rientrando dalla porta di destra, apparecchiano la tavola. A un posto, un vaso di fiori; a un altro, molto pane; a un altro, otto bottiglie di vino. Agli altri posti, solo la posata. — Una sedia deve essere appoggiata alla tavola, colle gambe posteriori alzate, come si usa nei restaurants per indicare che un posto è riservato. — Quando hanno finito, i servi vanno di nuovo a guardar fuori. — Lungo momento d'attesa.

Il Maggiordomo (rientra correndo). — Briccatirakamèkamè! (esce).

Immediatamente i servi rimettono la tavola (che rimane apparecchiata) al posto che occupava all'alzarsi del sipario. Poi mettono la poltrona davanti alla porta-finestra, di sbieco, e dietro alla poltrona dispongono le otto sedie in fila indiana e in diagonale attraverso la scena. — Fatto ciò, spengono il lampadario. La scena rimane pallidamente rischiarata dal chiarore lunare che viene dalla porta-finestra.

Un riflettore invisibile proietta sul pavimento le ombre della poltrona e delle sedie. Ombre spiccatissime, che (spostandosi lentamente il riflettore) vanno visibilmente allungandosi verso la porta-finestra.

I servi, accoccolati in un angolo, aspettano tremanti, con angoscia evidente, che le sedie escano dalla sala.

(Sipario)

«In VENGONO, ho voluto creare una sintesi d'oggetti animati. Tutte le persone sensibili ed immaginative hanno certo osservato molte volte gli atteggiamenti impressionanti e pieni di misteriose suggestioni che i mobili in genere, e in particolar modo le sedie e le poltrone, assumono in una stanza dove non sono esseri umani.

Sono partito da questa osservazione per creare la mia sintesi.

Le otto sedie e la grande poltrona, nei diversi mutamenti delle loro posizioni successivamente preparate per ricevere gli attesi, acquistano a poco a poco una strana vita fantastica. E alla fine lo spettatore, aiutato dal lento allungarsi delle ombre verso la porta, deve sentire che le sedie vivono veramente e si muovono da sole per uscire».

F. T. MARINETTI

UN CHIARO DI LUNA COMPENETRAZIONE ALOGICA

Giardino — Una panchina.

Lui — Che bella notte! Sediamo qui...

Lei — Com'è dolce l'aria!

Lui — Siamo soli, noi due, in questo giardino immenso... non hai paura?

Lei — No... No... Sono felice di essere qui sola con te!

Un signore grasso e panciuto (uscendo da un viale laterale, si avvicina ai due, si siede sulla panchina accanto a loro che non lo vedono, come se egli fosse un personaggio invisibile). — Hum! Hum! (Guarda fissamente la ragazza, mentre essa parla).

Lei — Hai sentito il vento?

Il signore grasso e panciuto — Hum! Hum! (Guarda fissamente il giovanotto, mentre egli parla).

Lui — Non è il vento.

Lei — Ma non c'è veramente nessuno, in questo giardino?

Lui — C'è soltanto il custode, laggiù, nella sua Casina. Dorme. Vieni qui, più vicino... Dammi la bocca... Così.

Il signore grasso e panciuto — Hum! Hum! (Guarda l'orologio, al chiarore lunare, si alza, passeggia meditabondo davanti ai due, mentre si baciano, indi si siede di nuovo).

Lei — Che bella notte!

Lui — Com'è dolce l'aria!...

Il signore grasso e panciuto — Hum! Hum!

Lui — Perchè tremi? Hai avuto paura?

Lei — No. Baciami ancora!

Il signore grasso e panciuto (guarda ancora l'orologio al chiarore lunare, si alza, passa dietro alla panchina, sempre non visto, tocca lievemente la spalla, prima a Lei, poi a Lui, indi si allontana lento verso il fondo).

Lei — Che brivido!

Lui — Fa un po' freddo...

Lei — È tardi.

Lui — Rientriamo. Vuoi?

(Sipario)

«In UN CHIARO DI LUNA, l'Uomo panciuto non è un simbolo, ma una sintesi alogica di molte sensazioni: paura della realtà futura, freddo e solitudine della notte, visione della vita 20 anni dopo, ecc.»

F. T. MARINETTI

LE BASI

Il sipario, orlato di nero, deve alzarsi press'a poco all'altezza del ventre di un uomo. Il pubblico vede soltanto le gambe in azione.

Gli attori devono cercare di dare la massima espressione agli atteggiamenti e ai movimenti delle loro estremità inferiori.

1. DUE POLTRONE una di fronte all'altra

Giovanotto Signora

Lui. Tutto, tutto, per un vostro bacio!...

Lei. No!... Non mi parlate così!...

2. UOMO CHE CAMMINA AVANTI E INDIETRO

Meditiamo....

3. SCRIVANIA

Uomo seduto che agita nervosamente il piede destro

Debbo trovare... Imbrogliare, senza lasciarmi imbrogliare!

3 bis UOMO CHE CAMMINA LENTAMENTE CON PIEDI GOTTOSI UOMO CHE CAMMINA RAPIDO

Il Rapido. Presto! vile passatista!

Il lento. Uh! che furia! Non c'è bisogno di correre! Chi va piano va sano...

4. DIVANO 3 Signore

Una. Quale preferisci?

Un'altra. Tutti e tre.

DIVANO 3 Ufficiali

Uno. Quale preferisci?

Un altro. La seconda.

(La seconda deve essere quella delle tre signore che mostra di più le gambe).

5. TAVOLA Padre

Giovanetto Signorina

Il Padre. Quando avrai la laurea, sposerai tua cugina.

6. MACCHINA DA CUCIRE A PEDALE Ragazza che lavora

La ragazza. Domenica lo vedrò!

7. UOMO CHE SCAPPA CALCIO CHE L'INSEGUE

L'uomo che dà il calcio. Imbecilli!

Sipario

F. T. MARINETTI e BRUNO CORRA

LE MANI VETRINA

Una tenda (altezza d'uomo) tesa per tutta la larghezza del boccascena, a breve distanza dalla ribalta — Fondo nero.

Cominciando da sinistra e susseguendosi verso destra compaiono e scompaiono successivamente mani maschili e femminili (sporgenti al disopra della tenda tesa e fortemente illuminata da un riflettore) nei seguenti atteggiamenti:

1 — Mano infantile nell'atto di frugare coll'indice in una narice. (Testa dipinta da applicare sulla tenda, a sinistra).

2 — Due mani maschili (di persone diverse) si stringono con forza.

3 — Due mani maschili (della stessa persona) giunte prima in atto di preghiera, indi intrecciate in atto di supplicazione.

4 — Stretta lunga, molle, voluttuosa di una mano maschile e di una mano femminile delicata, inanellata.

5 — Due mani femminili (della stessa persona) nell'atto di levarsi a uno a uno parecchi anelli, languidamente, con movimenti stanchi.

6 — Due mani maschili (di persone diverse) che scrivono colla penna, una rapidamente, l'altra lentamente.

7 — Quattro mani di lottatori che tentano di afferrarsi, come all'inizio di una lotta.

8 — Una mano femminile fa l'atto di graffiare.

9 — Una mano maschile fa l'atto di pagare.

10 — Una mano maschile fa l'atto di contare, stendendo le dita successivamente, con lentezza: prima il pollice, poi l'indice, ecc.

11 — Una mano femminile agita mollemente le dita come su una tastiera, o carezzevolmente su un viso.

12 — Forte mano d'operaio che impugna un grosso martello e fa l'atto di battere.

13 — Una forte mano maschile stretta nell'atto di sferrare un pugno.

14 — Una mano femminile agita un fazzoletto con lentezza nostalgica, affranta e addolorata.

15 — Una mano maschile che impugna minacciosamente un revolver.

16 — Una mano maschile si agita in un cenno di saluto ironico.

17 — Due mani maschili (della stessa persona) aperte e alzate in atto d'invocazione.

18 — Due mani rudi insanguinate e ammanettate.

19 — Una mano maschile coll'indice teso in atto di comando energico.

20 — Due mani femminili (della stessa persona) aperte e tese, coi mignoli che si toccano, agitano le altre dita nel noto atteggiamento di scherno.

(Sipario)

BRUNO CORRA ed EMILIO SETTIMELLI

VERSO LA CONQUISTA

(L'Eroe è assorto nel suo pensiero. La donna lo accarezza con perfidia).

Anna. Dunque, dunque, amore mio,... comprendi tutto il mio tormento? lo comprendi?... No! no! tu devi serbarti a me, devi serbarti al nostro sogno portentoso!... Rimani, Iacopo!... rimani!...

Iacopo. Anna! Anna! tu mi fai vile!... tu stai compiendo su di me un'opera indegna.... tu stai combattendo in me l'Eroe che vuole ad ogni costo rivelarsi!... (Anna non parla, lo trae a sè prendendogli le mani.) No! Anna! ti prego... non parlarmi più con la tua voce dolce, somigliante ad un profumo inebriante e snervante, non toccarmi più con le tue mani esperte che sanno addormentare il mio capo infuocato.... No! Anna! no! non è degna di te quest'opera d'invilimento, dovresti tu stessa aiutarmi, tu stessa dovresti gettarmi verso l'avvenire, la tua mano divina dovrebbe aiutare la mia se tremasse nel tagliare quel dolce infrangibile filo che riunisce i nostri spiriti!... No! Anna! Da te non aspetto la dissuasione, lo scoramento, aspetto il grido che incoraggia, la voce fatale che ci precede e ci attira come uno spirituale polo magnetico! Gridami che io vada, non mormorarmi così dolcemente che io resti! In questo momento le tue carezze sono le mie nemiche! I tuoi sorrisi, il tuo pianto sono le catene che mi costringono a terra! Amami veramente, Anna, e quindi esortami a partire!

Anna. Iacopo! Iacopo! Io capisco la tua angoscia, capisco la tua frenesia, ma il mio amore per te è troppo forte, io non posso, io non posso darti tanto! Rimani, Iacopo! rimani!...

Iacopo. No! lasciami!... io ho voluto tentare di prenderti con ogni dignità, ti ho indicata la via del dovere, dell'amore... ti ho concesso tutto quello che potevo... Ora basta!... Saprò vincere da me! Lasciami! io sono forte abbastanza per salpare solo e malgrado tutto verso le vie dell'Eroismo!...

Anna. Non potrai farlo!

Iacopo. Non potrò? Ti fidi male su di un momento di debolezza... ora sono tornato me stesso... me ne andrò malgrado tutto!...

Anna. Non potrai!...

Iacopo. Ah.... come sei strana nella tua fanciullesca ostinazione!... Ti compatisco, perchè tu ignori la mia Idea, la mia missione! Ah! la mia Idea! essa è più grande dell'Universo, è più pura e più fulgida del sole, è più inebriante della più inebriante bevanda!... Io ho la mia via tracciata! L'ho tracciata con l'acciaio della mia volontà, l'ho illuminata col fuoco del mio genio!... Guarda come spezzo la tua resistenza, guarda come me ne vado senza neppure toccarti, senza neppure piangere!... Addio, Anna! vado verso la conquista, sono padrone del mio Dio interiore, io sono immortale ora, io non posso temere nessun pericolo, nessun ostacolo, tutto cadrà dinanzi a me!... Addio (ed esce risolutamente).

Anna. Iacopo! Iacopo!... È vero, è vero, se ne va!... e così senza neppure baciarmi... Ah! è veramente un Dio, se ha potuto vincere il mio amore... Lo seguirò sulla sua strada Maravigliosa! (Si sente un gran rumore e quasi subito dopo appare una servetta spaventata ansimante).

Serva. È morto! è morto il signor Iacopo!... la sua testa è schiacciata! è rotolato per la scala lunga... sdrucciolando su di una buccia di fico!...

Le due donne. Oh Dio! oh Dio! (e corrono verso la vittima).

(Tela)

BRUNO CORRA ed EMILIO SETTIMELLI

DISSONANZA

Ambiente trecentesco. Costumi trecenteschi. Calze, velluti, parrucche bionde. Sono in scena La Dama e Il Paggio. La Dama, seduta, ascolta il Paggio che le parla con passione, adagiato ai suoi piedi.

Il Paggio

Amore, amore, finalmente in questa

notte d'argento profumata e mistica

posso narrarti tutte le mie pene;

amore, amore, finalmente il sogno

soffuso in questa chiara ombra notturna

strappa al mio cuore la parola che

il labbro mai non oserebbe dire,

timido innanzi al tuo pallor di cera;

ah! finalmente! ed il mio cuor d'acciaio

si spezza come fosse un melagrano,

ah! finalmente! ed il mio orgoglio tutto

si accovaccia ai tuoi piedi dominato.

La Dama

Ricevo con lo spirito tremante

il dono che mi fai con mani pure;

anch'io sento in quest'aria di vertigine

mille musiche aprirsi nel mio sangue,

anch'io sento nel cuor corrermi un gelo,

che lo divide come un frutto dolce,

e le mie dita gelide esitando

tremano come fossero farfalle

sovra il tuo capo di biondezza ardente.

Il Paggio

Ah! si potesse dall'onnipotente

Destino avere in dono questo istante

per serbarlo nel fondo nostro cuore

sì da poterlo poi sempre godere

quando ce ne prendesse la vaghezza;

io non voglio che muoia e sia finito,

io non voglio che fugga e si distrugga

nell'oceano foschissimo del tempo,

io non voglio che vada...

(A questo punto Un Signore, vestito modernissimamente — soprabito, colletto, tuba —, entra da destra a passo rapido, si accosta al Paggio, e gli batte con una mano sulla spalla, chiedendo):

Scusi, per favore, avrebbe un cerino?

Il Paggio

(Si volge verso il Signore, poi, con naturalezza, si cerca addosso, nelle tasche e dice):

No, mi dispiace...

Il Signore

Niente... le pare...?..., grazie lo stesso. (Esce da sinistra, rapido ed elegante).

Il Paggio

(Si volge di nuovo verso la Dama, e riattacca più lirico e più appassionato):

Amore, amore, troverem la forza

di eternare il momento indistruttibile.

Compiremo il miracolo fecondo!

(Sipario)

BRUNO CORRA ed EMILIO SETTIMELLI

PASSATISMO

ATTO PRIMO

Un Vecchio ed una Vecchia stanno seduti ad un tavolo l'uno di fronte all'altra. Vicino a loro, un calendario.

Vecchio. Come state?

Vecchia. Mi contento. E voi, come state?

Vecchio. Mi contento. ( Pausa ) Che bella giornata sarà domani! ( Pausa ) Leviamo anche oggi il solito foglietto: 10 gennaio 1860. ( Pausa ) Avete digerito bene?

Vecchia. Mi contento.

Vecchio. Avete vinta la vostra dispepsia?

Vecchia. Ho mangiato assai bene e ho digerito bene. Come sono contenta!

Vecchio. Come sono contento!

Buio

ATTO SECONDO

Stessa scena. Stessa disposizione

Vecchio. Come state?

Vecchia. Mi contento. E voi, come state?

Vecchio. Mi contento. (Pausa) Che bella giornata sarà domani! (Pausa) Leviamo anche oggi il solito foglietto: 10 gennaio 1880. (Pausa) Avete digerito bene?

Vecchia. Mi contento.

Vecchio. Avete vinta la vostra dispepsia?

Vecchia. Ho mangiato assai bene e ho digerito bene. Come sono contenta!

Vecchio. Come sono contento!

Buio

ATTO TERZO

Stessa scena. Stessa disposizione

Vecchio. Come state?

Vecchia. Mi contento. E voi, come state?

Vecchio. Mi contento. (Pausa) Che bella giornata sarà domani! (Pausa) Leviamo anche oggi il solito foglietto: 10 gennaio 1910.

Vecchia. Oh Dio! che trafitta al cuore! muoio...

(Si arrovescia e resta immobile).

Vecchio. Oh Dio! che trafitta al cuore! muoio...

(Si arrovescia e resta immobile).

(Sipario)

BRUNO CORRA ed EMILIO SETTIMELLI

DAVANTI ALL'INFINITO

Filosofo selvaggio. Assai giovane, castaneo. Filosofo «tipo berlinese». Passeggia su e giù, gravemente: ha nella destra un revolver, nella sinistra una copia del Berliner Tageblatt.

È inutile!... di fronte all'Infinito tutte le cose sono uguali... tutte le cose sono sullo stesso piano... Mistero la loro nascita, il loro corso, la loro morte!... E allora che cosa scegliere?... Ah! il dubbio, l'incertezza!... Io proprio non so oggi... 1915, se dopo la mia consueta colazione debba mettermi a leggere il «Berliner Tageblatt» o debba invece tirarmi un colpo di revolver... (Guarda la destra e poi la sinistra alzando rivoltella e giornale, però con noncuranza, annoiato). Beh! tiriamoci una revolverata! (Spara e cade fulminato).

Tela

BRUNO CORRA ed EMILIO SETTIMELLI

ATTO NEGATIVO

(Entra un signore, affaccendato, preoccupato, si leva il soprabito, il cappello, passeggia furibondo dicendo):

Una cosa fantastica! Incredibile!

(Si volge verso il pubblico, si irrita nel vederlo, poi venendo al proscenio, categorico):

Io... non ho proprio niente da dirvi! — Giù la tela!

Tela

EMILIO SETTIMELLI

IL SUPERUOMO

Salotto. In fondo, un balcone, ampio. È sera. Estate.

Il superuomo. Sì... ogni battaglia è finita! la legge è passata!... ormai non ho che da raccogliere i frutti delle mie fatiche.

L'amica. E ti dedicherai di più a me, non è vero? Confessa che mi trascuravi molto in questi giorni...

Il sup. Lo confesso!... ma cosa vuoi! si è presi, si è avviluppati... non si può fare a meno! La politica non è poi così facile come ti sembra...

L'am. A me pare una cosa tanto buffa!...

(Dalla strada, grande rumore di folla, repentino, assordante).

Il sup. Che c'è?... cos'è questo rumore?...

L'am. Della gente... (Andando al balcone) una dimostrazione.

Il sup. Già: una dimostrazione...

La folla. Viva Sergio Walescki!... Viva Sergio Walescki!... Viva l'imposta progressiva! fuori!... fuori!... parli Walescki!... parli!...

L'am. Vogliono te... è per te!... Vogliono che tu parli...

Il sup. Quanta gente!... si riempie tutta la piazza; ci saranno diecimila persone!...

Il segretario. Onorevole! La folla è imponente: si vuole che parliate... per evitare incidenti, sarebbe bene che parlaste!...

L'am. Parla!... parla!...

Il sup. Parlerò... Fate portare le lumiere...

Il segr. Subito. (Esce).

La folla, sempre più distintamente. Fuori!... Fuori Sergio Walescki!... Parli! parli!... Viva l'imposta progressiva!...

L'am. Parla, Sergio!... parla...

Il sup. Parlerò... te l'ho detto...

Servi, portano le lumiere.

L'am. Che bel mostro, la folla!... È l'avanguardia di tutta la generazione che il tuo genio porta in marcia verso l'avvenire. Bella!..... bella!...

Il sup., nervoso. Ti prego, ritirati!... (Va sulla terrazza. Enorme ovazione; grida di evviva. Sergio s'inchina, poi fa cenno di voler parlare. Silenzio completo). Grazie del vostro affettuoso invito!... Godo maggiormente di parlare ad una libera folla che ad un assieme di deputati... (Applausi enormi). L'imposta progressiva non è che un piccolo passo verso quella giustizia che finirà col trionfare!.... (Ovazione). Vi giuro solennemente che mi avrete sempre con voi! che non vi ho posti in marcia per dirvi un giorno: arrestiamoci! Noi andremo sempre avanti!... Ormai l'intiera nazione è con noi... per noi essa si muove e ingigantisce!... (Ovazione). Continuate la vostra dimostrazione!... godete la vostra gioia!... Che la capitale sappia il trionfo della nazione!... (Ovazione prolungata. Sergio s'inchina e si ritira. Applausi e voci di Fuori! Fuori! Sergio si presenta a salutare e rientra).

L'am. Com'è bella! com'è bella la folla!... (Sergio è di nuovo chiamato fuori). Ancora ti vogliono, ancora!...

Il sup., torna a salutare, poi chiama il servo. Togliete le lumiere...

L'am. Stasera ho sentito che sei tu il padrone del nostro paese!... ho sentito la tua forza!... Tutti ti seguono... Io ti idolatro, Sergio.... (Lo abbraccia).

Il sup. Sì, Elena!... sono finalmente l'arbitro: nessuno può resistermi!... è un popolo in marcia che io conduco!...

L'am. Mi è venuta un'idea, Sergio... dovremmo uscire... subito: voglio godere più davvicino questa città inebbriata. Vado a vestirmi... Vuoi?

Il sup. Sì... Vai... usciremo. (Stanco, si abbandona su di una poltrona. Pausa. Si rialza, va verso il balcone. A un tratto, da un uscio sbuca un uomo forte e rude, attraversa la stanza, afferra Sergio alla gola, e lo scaraventa giù dal balcone. Poi, cauto e frettoloso, scappa di dove è venuto).

ARNALDO CORRADINI e BRUNO CORRA

ALTERNAZIONE DI CARATTERE

Marito. No! è inutile! è ora di finirla! non mi ingannerai più perchè io ti pianto immediatamente!

Moglie, piangendo. No! Carlo, no!... vieni qui... vieni qui... ascoltami!....

Marito, piangendo teneramente. Perdonami, Rosetta!... perdonami!...

Moglie, inviperita. Perdio! se non la smetti con queste sentimentalità inopportune, io ti schiaffeggio...

Marito, al colmo della furia. Basta!... o ti scaravento fuori dalla finestra...

Moglie. Amore! amore! come, quanto ti amo!... la tenerezza mi stringe il cuore... dimmi ancora i tuoi deliziosi rimproveri...

Marito. Ah! Rosetta... Rosetta!... amore mio infinito...

Moglie, esasperata. Se tu lo ripeti un'altra volta, io divorzio!... precisamente, io divorzio!...

Marito, esplodendo. Ah! sciagurata!... va via!... va via!... va via!....

Moglie. Non mai ti ho amato più soavemente!

Marito. Ah! Rosetta! Rosetta!...

Moglie. Basta!... (e gli tira uno schiaffo).

Marito. Basta, dico io (e le tira due schiaffi).

Moglie, languidissima. Dammi le labbra! dammi le labbra...

Marito. Eccole, tesoro!

(Tela)

ARNALDO CORRADINI ed EMILIO SETTIMELLI

UNO SGUARDO DENTRO DI NOI STATO D'ANIMO SCENEGGIATO

Scena fantasticamente sfumata. — È il fondo del nostro «Io interiore». — Una dolce statuetta spirituale nel mezzo della sala su di un rialzo di velluto. — Luce bluastra.

Voci interne, misteriose. Salire per averti, farsi grande per averti!...

Voce mia, ringhiosa, aggressiva. Ti giuro che saprò vincere! Te lo giuro, bellezza mia.... mia turchina speranza!... Amo l'amore! Non mi stanco nel lavoro! Lavorerò, lavorerò, e ti conquisterò... Arriverò lacero e ferito, ma arriverò fino a Te!...

Un cameriere, entra da una parte, con un vassoio carico di bicchieri con bibite. Eccomi! Eccomi subito!

(Una Cocotte seminuda ed elegantissima attraversa la scena e urta la statuetta, che va in pezzi.... Altri tre camerieri con bibite colorate. Altre tre Cocottes eleganti passano, ridono, inseguite da giovanotti eleganti. — Luce gialla, rossa, verde, bianca, irrequieta).

Voci interne. Tieni! Tieni! Ancora dello champagne! Ancora! Ancora!

Un giovane, entrando. No! basta!... Mi avete già accompagnato in città.... Ma sì!... ho capito la profondità della vostra leggerezza.... Ora basta!....

(Buio. Scena deserta. Poi luce bianca, diffusa). Avanti, luce dell'alba eroica... Alba... Salpare... Avere il passo alato!.. Oh! le belle Idee per cui si muore!... L'immortalità dell'amore... Disprezzare la donna che ci serrerà le ginocchia nel mattino eroico...

(Il solito giovanotto attraversa la scena, libero, vigoroso, fischiettando una canzonetta capricciosa e leggera.)

(Tela)

ARNALDO CORRADINI ed EMILIO SETTIMELLI

DALLA FINESTRA TRE ATTIMI

PERSONAGGI

  • Tutti gli spettatori
  • Sonnambulo padre
  • Sonnambula figlia.

(Tutti gli spettatori che sono qui, personaggi-protagonisti, per comprendere il dramma devono porsi per suggestione nei panni di un paralizzato che non può nè muoversi nè parlare, a cui solo viva e chiara è rimasta l'intelligenza imprigionata nella carne morta e che si trova in letto presso a una finestra, con le persiane aperte dal vento nelle tre notti lunari di cui fan parte gli attimi della azione).

ATTIMO 1º (Notte 1ª).

All'alzarsi della tela si vede il muro altissimo di un castello profilarsi nella notte lunare. Raffica di vento. Suonano le 12 da un vicino orologio monotono. Appare da sinistra sul muro del castello un uomo completamente vestito, un sonnambulo che passa attraverso al vento (che fa svolazzare il suo mantello) con passo meccanico e sicuro. Scompare. Ogni spettatore si suggestioni fino a crederlo suo padre.

(Tela)

ATTIMO 2º (Notte 2ª)

Stessa scena, stesso vento, stesso orologio, stessa ora. Viene da destra una giovane donna con gli abiti e gli sciolti capelli al vento. Attraversa la scena con lo stesso passo sonnambulesco, camminando sullo stesso altissimo muro del castello. Ogni spettatore si suggestioni fino a crederla sua sorella.

(Tela)

ATTIMO 3º (Notte 3ª)

Stessa scena, stesso vento, stesso orologio, stessa ora. Compaiono contemporaneamente uno da destra, uno da sinistra, sul muro, nel vento, muovendosi incontro i due sonnambuli padre e figlia. Si avvicinano, si urtano, cadono nel vuoto mandando un orribile grido.

Tela

REMO CHITI ed EMILIO SETTIMELLI

PAZZI GIROVAGHI

Notte. In un giardino pubblico. — Presso un lampione. Estate. Su una panchina un pazzo, giovane, conta della ghiaia.

Il pazzo giovane. Uno... due... tre... quattro... cinque... sei... sette... otto... nove... dieci... undici... dodici... trecentomila!... 20.000! sera + sera = sera... e poi finalmente... (finendo in un sacco) Un miliardo!... Bello di notte contare i sassolini da uno ad un miliardo... peccato non c'è la luna... ma c'è il lampione... Ah! gli uomini sono furbi... sera + sera = sera... Il lampione!... sto meglio quando c'è la luna... il lampione è come una luna insecchita e impallidita... Sassolino + sassolino = luna + lampione = stelle e pulviscolo atmosferico fuori e dentro di noi... Sapevo una poesia nella notte... La capisco soltanto ora... che sia: sassolino + sassolino - luna + lampione = odore di gelsomino e di lampone... (In questo tempo appare un vecchio, altro pazzo).

Il pazzo vecchio. Smetti di prender sassi per lanterne!... smetti!...

Il pazzo giovane. Sera + sera = sera... sassolino + lampione = odore di gelsomino e di lampone...

Il pazzo vecchio, impazientito. Sì, guarda se con le scarpe ti riesce di soffiarmi il naso!...

Il pazzo giovane. Lo sai?... Ho capito ora una vecchia poesia che da bambino imparavo in un cantuccio... no! basta!... lo so... lampione di meno, ma luna di più....

Il pazzo vecchio. Tu mi provochi la cancrena!... smetti di parlare e infilami il cappello in tasca!... ho fame, per dio!... ho fame... no! non ho fame... ho il cappello in capo.... però smetti di tormentare quel polpo e infilami il cappello in tasca!...

Il pazzo giovane. Una volta ho preso un gelsomino e l'ho pelato come un pollo... pareva un tacchino...

Il pazzo vecchio. Basta! basta! ho fame!...

Il pazzo giovane. Il pane, vuoi?... ce n'ho tanto in corpo! Ho vent'anni, e ne mangio tanto tutti i giorni!... Hai fame!... Rovesciati la giacca!...

Il pazzo vecchio. No!... le mosche vanno rispettate!...

Il pazzo giovane. Tormenta il fazzoletto immediatamente!... o il pomodoro è perduto... le cicale mi hanno sempre divertito! Io voglio salvarlo, il pomodoro rosso!... bada!... bada a te, che la notte è la notte...

Il pazzo vecchio. Ah! vigliacco! te le darò io le storie dell'osteria!... (e lo afferra alla gola), Mi fai ridere... sei buffo!... ora ti faccio un massaggio.... (Lo strangola, lo lascia e il giovane cade a terra....). Accidenti! le scarpe nuove... È meglio andare nelle Pampas. (E scompare).

REMO CHITI

PAROLE SUPPOSIZIONE

La folla

Un portiere

Sulla porta di un palazzo governativo: reggia o tribunale, parlamento o borsa. Sul portone, un Portiere, vecchio, bianco, automatico. Di fronte, la folla che parla e discute; attesa, dibattito. Oggi la folla ha una volontà irremovibile; un influsso estraneo sussurra qualcosa dalle sue bocche innumerevoli: da tutto sgorga un'irritazione irrefrenabile; nel grigiore dell'aria compressa e nera le pareti di macigno del palazzo trasudano una fatica enorme; mille volontà vi si arenano, vi battono e stramazzano in basso rovinate, abbozzate.

La vita della piazza traboccante di conflitto accenna a formare d'intorno un movimento determinato; mille sguardi colpiscono il Portiere che pallido e gallonato sbarra il portone.

La folla, (da vari punti).

.... e perchè SONO anche un.....

.... già! e in CINQUANT'ANNI non...

.... va là!, CHE sei abbastanza....

.... digli che ASPETTI qualche po'......

.... qui c'è QUALCOSA che non va....

.... lo misi ALLA PORTA e gli dissi...

.... chi meglio DI lui......

.... lo tenne in UN PALAZZO per....

.... e tu capisci CHE non sta...

.... provare NON vuol dire....

.... e non T'INTERESSA AFFATTO che....

.... ieri, OGGI, domani e...

.... non ne HO VOGLIA affatto...

.... e FINALMENTE gli dissi...

.... mi disse DI CONFERIRTI una...

.... è meglio UNA che due...

.... Sognare una META e poi....

.... se l'hai RAGGIUNTA, tieni...

.... c'è una COSA riprovevole....

.... non lo VORRESTI? dimmi....

.... c'è da MORIRE dal ridere...

.... l'hai tu, EVVERO? ebbene...

.... così presto SEI STANCO? non va....

.... più di CINQUANTA o di...

.... e gli ANNI passano...

.... dicono SEMPRE una parola....

.... di bene IN meglio se....

.... baciare i PIEDI al Papa....

.... se ne stanno SDRAIATI tutto il.....

.... oh! ecco FINALMENTE quello...

.... aspettare PER dopo non....

.... e sempre! SEMPRE! sempre così....

Il Portiere vacilla e cade al suolo colpito da strano e improvviso malore.

REMO CHITI

PAROSSISMO

Un salotto. Una signora guarda un orologio, mentre un giovine signore spunta non visto da una porta.

Signora — (sospira).

Signore + Son qua.

Signora — (si volta). Alle sette in punto, mio caro: stranamente puntuale. (Gli va incontro). Buona sera!

Signore + (Sempre fermo all'uscio). Buona sera!

Signora — Ebbene, baciami! (Dopo avergli messo le braccia sulle spalle).

Signore + No.

Signora — Cos'hai? cattivo, non farmi soffrire!

Signore + E perchè non ridi?

Signora — Perchè ti voglio bene.

Signore + E perchè mi vuoi bene?

Signora — Perchè sì.

Signore + Sei una bambola a cui si tirano i sentimenti con i fili.

Signora — Cattivo, cattivo!... ti ringrazio della puntualità, veramente inaspettata....

Signore + Ringrazia la guardia civica che mi ha condotto da te.

Signora — Come?

Signore + Stasera, mi ero smarrito.

Signora — Dove diamine ti sei cacciato, dimmi?!

Signore + Nell' Immensità.

Signora — (Un po' smarrita suona il campanello).

Signore + Sono qua; è proprio incredibile. (Si è seduto su un divano).

Signora — (Alla cameriera ch'è venuta). Annetta, preparate e tenetevi pronta.

Signore + (Alla cameriera). Annetta, scoperchiate la casa, mi fa caldo!... (La cameriera indifferente se ne va).

Signora — Amore mio, non hai dunque più una parola nè un bacio per me; ti prendi giuoco di me!?.... (Si è messa a sedere su una seggiola a braccioli).

Signore + (senza risponderle). Stasera non so camminare, ho imparato ad espandermi.

Signora — Calmati, amore; cosa ti ho fatto, dimmi? ricorda tutta la passione che ci siamo dati; cos'è dunque il nostro grande amore!!

Signore + Un gatto.

Signora — Oh! mi vuoi burlare!

Signore + No. Voglio entrare nella verità che ho intraveduta. (Di qui in là parla senza guardarla).

Signora — Quale verità?...

Signore + Guarda, tu non mi comprendi; ma io ti dico che mi fai orrore: la strada per venire da te è d'acciaio: questa casa si è cristallizzata nello spazio con una spaventosa immobilità: le cento scale che portano da te sono sempre cento. Tu, sei sempre la stessa; sempre uguale come un esemplare d'anatomia. Piangi come una bottiglia; non sai baciare che con due labbra; tieni pronte due grettissime braccia per prendermi: io non saprei se amare più te o cotesta seggiola su cui ti ripieghi. Tuttociò è molto meschino.

Signora — Oh, mi fai morire!... (Singhiozza).

Signore + Ecco! Perchè non hai saputo morire, stasera?! Abbiamo detto «qui alle sette» e ci troviamo qui esattamente insieme come le due lame di una forbice; ti trovo tranquilla, incredibilmente, palpabile, vera, carnosa. Dimmi, perchè non sai evaporare, perchè non sai essere qui e non esserci, perchè non sai occupare lo Spazio, perchè non ti sai distendere senza misura nel Tempo? Io ho incominciato a bere l'Azzurro. Tu non mi sai guardare senza gli occhi come nessun oceano sa rompere la tua strada d'acciaio....

Signora — Cosa dici? Cosa dici? (Si trova vicino alla porta, spaventata e smarrita).

Signore + Alzati nell'Etere se puoi! Ho intravisto la verità, cara mia! noi ci troviamo in un quadro dove le forme sono disegnate e stabilite in unico modo, per sempre: io voglio sfuggirvi! (Si è alzato). La vita è un tratto solo, un gesto monco, senza speranza di sviluppo. Guarda, anche l'orologio pedestre ha segnato le sette perchè quattro e tre devono fare sette: ma è dunque possibile questo? (Apre le braccia e si dirige verso una finestra). Là! il gesto immenso! divenire la parabola infinita! Io voglio sfuggirvi. (Salta sopra ad un tavolino vicinissimo alla finestra). Guarda l'Azzurro, lo Zenit vi è scomparso!... Io mi espan (Salta la finestra e continua a parlare cadendo) do (urlando)... Io mi espando nell' - l'infini... (Tonfo di un corpo sul lastrico).

Signora — (È svenuta o fuggita).

BALILLA PRATELLA

NOTTURNO STATO D'ANIMO DRAMMATIZZATO

In una soffitta, di notte. La Moglie, seduta, coi gomiti sulla tavola e la testa fra le mani. In mezzo alla tavola, un moccolo acceso. Intorno, letto, sedie, mobili vecchi, ma pulitissimi. Miseria. A sinistra, un usciaccio con saliscendi. Nel fondo, un finestrone. Il Marito, silenzioso, guarda fuori nel buio, dai vetri sconnessi.

Moglie — A guardar le stelle non si riempie la pancia. (Il Marito non risponde, forse non ode). Ah! che vita disgraziata! Io non ne posso più, proprio più!

(La Moglie piange. Il Marito, come trasognato, si distacca dalla finestra, si accosta alla tavola e soffia sul moccolo, spegnendolo. Poi ritorna a guardare nell'oscurità).

Anche al buio! (Continua a piangere. Il Marito spalanca adagio il finestrone. Nessun rumore. Cielo meravigliosamente sereno e fiorito di stelle, sopra una distesa grigiastra di tetti nevicati). Buio, freddo! Tu vuoi farmi morire. Ah! me ne andrò; ti lascerò qui solo. E allora buttati anche dalla finestra, se così ti piace. (Pausa. La Moglie balza in piedi furiosa e si attacca alle vesti del marito, tirandole e scuotendole con violenza). Ma sei di ghiaccio tu? Dormi il sonno dei morti?

Marito (voltandosi lento) — Ho conosciuto dieci milioni di stelle... Le rosse, le gialle, le verdi...

Moglie (trasalendo ad un rumore misterioso) — Ah! Che cos'è?

Marito — Quanti milioni di stelle!...

Moglie (tremando) — Sono attorno all'uscio!.. Chi è?

Marito (ritornando nella posizione di prima) — Conoscerle tutte... tutte...

(L'uscio si spalanca ed entrano tre ladri notturni; l'ultimo richiude l'uscio. Un Ladro accende un fiammifero e con quello il moccolo; gli altri due si pongono di fronte alla Moglie).

Moglie (atterrita) — Che cosa volete?

Primo Ladro — Siamo ladri.

Moglie (alzando le braccia) — Fame, freddo, miseria...

Secondo Ladro (afferrandola) — Rubiamo le donne. Vieni con noi.

Moglie (più tranquilla) — Verrò con voi...

Primo Ladro (minacciandola) — E se gridi...

Moglie (sorridendo) — No, non griderò.

Terzo Ladro (scorgendo il Marito) — C'è un uomo...

(Tutti addosso al Marito. Lo trascinano fino a metà della scena; egli impassibile non sente e non vede).

Moglie (allegra) — Mio marito. Lasciatelo stare, conta le stelle...

Primo Ladro — Ah! Conti le stelle? Guarda, bacio tua moglie...

Secondo Ladro — Guarda, abbraccio tua moglie...

Terzo Ladro — Imbecille, crepa...

(Pugno poderoso; il Marito traballa, incespica e cade senza un moto nè un grido).

Tre Ladri e Moglie (ridendo fragorosamente) — Ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah!

(Fuggono abbracciati. Pausa di silenzio. Il Marito rinviene, si alza piano piano, va a richiudere la porta e la barrica. Spegne il moccolo e poi torna di nuovo presso il finestrone a contemplare estatico le stelle).

(Tela lenta).

BALILLA PRATELLA

PRIMAVERA STATO D'ANIMO DRAMMATIZZATO

  • Figlio (Giovanissimo, mostro di natura) .
  • Madre (Giovane, bella) .
  • Signorina (Giovanissima, graziosa) .
  • Cameriera (Giovane, belloccia, forte) .

Salotto moderno di casa signorile. — Nel fondo, vetrate aperte, poi terrazza bassa e giardino. Sole, fiori. — A sinistra, una porta con portiera. A destra, il Figlio, sul divano, silenzioso, dal volto contratto. Lì presso, la Madre e la Signorina in visita, sedute. Prendono il tè.

Voci di fanciulli (dal giardino). Giro, giro tondo... (Giocondità infantile). Ah, ah, ah, ah, ah, ah! (Risata, indi silenzio).

Madre (sorridendo) — Poverini, come si divertono!

Signorina — C'è un sole!

Madre — Ah! la cara primavera. Il nostro giardino è tutto fiorito.

Signorina — Oggi faremo una passeggiata deliziosa. Andremo lungo la riva del fiume a cogliere le margheritine.

Madre (alzandosi da sedere) — V'invidio proprio... Permettete? Torno subito...

Signorina (nell'atto di seguirla) — Ma già io debbo...

(La Madre uscita dalla porta a sinistra senza ascoltare il termine della frase. La Signorina seduta di nuovo, imbarazzata, a disagio; su di lei gli occhi lucidi ed accesi del Figlio.

Silenzio di attesa, angoscia quasi.

Il Figlio, ladro, prenderà bruscamente alla Signorina un piccolo guanto).

Signorina — Ti piace?

Figlio (odorando il guanto) — Buono, buono..

Signorina — Te lo regalo.

Figlio (con voce alterata) — Buono, buono odore tuo...

Signorina (alzandosi timorosa) — Ah, ah, ah!..

Figlio — Buono odore tuo...

Signorina (movendo verso la terrazza) — Debbo andarmene... Ho fretta... Saluta tanto per me la tua mamma... Che mi scusi... Ho molta fretta...

(La Signorina via. Il Figlio, con mosse di prudenza animalesca, dietro a lei, fin sull'ingresso della terrazza. Qui fermo, di dove potrà vederla ancora, il guanto sempre stretto fra le mani gelosamente. Lo odorerà di quando in quando con crescente eccitazione).

Cameriera (entrando dalla porta di sinistra) — Che cosa fa lì, signorino? Mio Dio, divora un guanto... Dove l'ha preso?... Lo dia a me.

(Tenta di strapparglielo. Lui, sentendosela accanto, mosso dall'istinto, l'abbraccerà avido. Divincolamento violento, sforzo liberatore: lei da una parte, lui da un'altra).

Cameriera (feroce) — Gobbaccio... Marcio...

(Portiera sollevata. Nel vano, la Madre pallidissima).

Madre (facendosi avanti) — Che cos'è stato?...

Figlio ( mostrando il guanto) — Mio, mio...

(Il Figlio sul divano di nuovo, odorando e mordendo il guanto, delirante.

La Cameriera, muta, prenderà il vassoio col servizio per il tè; riverenza profonda alla Madre, poi via.

La Madre a guardare il Figlio con grande tenerezza e disperata pietà.

In punta di piedi e silenziosa chiuderà vetrate e porte a chiave, tirerà tende sulla luce, soffermandosi ad ogni passo come per ascoltare.

Poi decisa, tornerà presso il Figlio e con fare di amante lo stringerà fra le braccia e lo bacerà appassionatamente sulle labbra...)

(Tela rapidissima)

BALILLA PRATELLA

IL VECCHIO STATO D'ANIMO DRAMMATIZZATO

  • Vecchio (cadente, paralitico, inutile) .
  • Madre del morto (moglie del Vecchio, donna del popolo) .
  • Due vicine (dell'età e del ceto della Madre) .
  • Due popolane (più giovani delle Vicine) .
  • Due amici (giovani operai) .
  • Fidanzata (giovanetta del popolo, bellissima) .
  • Madre e sorella della fidanzata (popolane) .
  • Medico.
  • Monello.
  • Operaio (di media età) .

Di giorno. — Stanza squallida e umida a pian terreno. Nel fondo, porta ampia e finestra spalancate sulla strada. A sinistra, un'altra porta, chiusa, che mette nella stanza dell'ammalato. In un canto, il Vecchio solo e immobile, su un seggiolone. Un Monello fa capolino dalla porta della strada. Vedendo il Vecchio solo, entra e gli si mette davanti a scherzare, con lazzi e sberleffi e col tirargli le falde dell'abito.

Il Medico e due Amici usciranno dalla stanza dell'ammalato. Via il Monello.

Medico — Confortate la povera madre...

Primo Amico — Grazie di tutto, signor dottore...

Secondo Amico — Grazie...

(Il Medico si toccherà il cappello in segno di saluto ai due Amici, che saranno a capo scoperto, e se ne andrà.

Due Popolane curioseranno dalla finestra della strada).

Primo Amico — Povero Aldo. Nel fiore degli anni...

Secondo Amico — Un amico così buono e così bravo...

Primo Amico — Muore con la fede di guarire.

Secondo Amico — Parla di sposarsi!... Meglio così.

(Grida soffocate dall'interno. Si apre la porta della stanza).

Prima Vicina (affacciandosi). — Correte, presto...

Prima Popolana (dalla finestra della strada) — Che sia morto?

Seconda Popolana (accennando al Vecchio) — Di' piano...

Prima Popolana — Chi? Il Vecchio?... Macchè, è rimbambito...

(Appena entrati i due Amici, vien portata fuori la Fidanzata in preda al dolore e alla disperazione. Sua Madre, la sorella e le due Vicine la sostengono e la confortano).

La fidanzata (piangendo forte) — Ah! mio Aldo, amor mio! Non ti vedrò mai più!

(La condurranno via svenuta.

Le Vicine saranno rimaste nella prima stanza; le Popolane, vinte dalla curiosità, saranno entrate a raccoglier notizie).

Prima vicina — È spirato col sorriso sulle labbra. Senza accorgersene...

Prima Popolana (accennando al Vecchio) — Il padre decrepito, scimunito, mangione, buono a nulla...

Seconda Vicina — Il mondo non è giusto...

Seconda Popolana — E sua madre adesso, senza mezzi?! Era il suo sostegno...

Prima Vicina — La condurremo a casa mia...

(Popolane e Vicine tutte nella stanza del morto.

Il volto del Vecchio apparirà come se contratto da uno spasimo angoscioso. Il petto gli si solleverà affannosamente.

Il Monello della strada, vistolo solo, tornerà di nuovo a tirargli le falde dell'abito e a fargli lazzi e sberleffi.

Poi via al primo rumore.

Usciranno dalla stanza del morto le Popolane, le Vicine, e la povera Madre, che terrà il volto celato nello scialle. Si capisce che piange disperatamente; essa non sa distaccarsi da quella porta).

Un Amico (nell'atto di chiudere la porta) — Non pensate a niente. Facciamo tutto noi.

Seconda Vicina — Coraggio!

Prima Vicina — Due passi e poi siamo a casa mia.

Prima Popolana — Nella strada non c'è anima viva.

(Le donne si perdono nella strada.

Il Vecchio, sempre solo, tenterà di muoversi, di alzarsi, di gridare. Viso rosso di fuoco; poi bianco. Ricadrà inerte sul seggiolone; sarà svenuto. Pausa.

Il Monello della strada accompagnerà dentro un Operaio di media età).

Monello (indicandogli il Vecchio) — Ecco lì il morto. Prendetegli pure la misura.

(Il Monello via di corsa. L'Operaio si scoprirà in silenzio. Tolto il metro di saccoccia si accingerà a prender misure sul corpo vivo del Vecchio).

(Tela rapida).

PAOLO BUZZI

LA FITTA

(L'halle d'un albergo di riviera. Mare oltre le vetriate. Tavolini e poltrone di vimini. Palme. Gente seduta).

Voci d'un tavolino — Poca gente, quest'anno. La guerra, l'economia.

Voci d'altro tavolino — In compenso, brava gente. Gente che tira a far presto sera e a coricarsi. Gente che si vuol bene.

Tra signorine — Non un giovanotto interessante. Automobili che passano e non si fermano. Troppi ufficiali di complemento.

Sergio (cinquant'anni, elegante e ben conservato) — Ahi! la mia fitta!

Argia (quarant'anni, elegante e ben conservata) — Effetto del maltempo, caro. Il mare è mosso. Stanotte sarà il finimondo.

Sergio — Ahi! Ahi! Ti dico, mi massacra! Ahi! (fortissimo. Svenimento).

Tutti (accorrendo) — Poverino!

Argia — Sergio, amore! Verrà la tempesta, il male passerà, vedrai! Dio! non rinviene! Sergio! Sergio! (Agli altri) Sapessero, se ci adoriamo!

Sergio (rinvenendo) — Sì, ci adoriamo.

Un medico (fra gli altri) — Vediamo questa fitta.

Argia — Grazie. È passata.

Il medico — Mi pare non sia lei precisamente quella che possa dirlo.

Sergio — Sì, è passata. (Alla moglie) Andiamo, amore. Andiamo a veder la burrasca.

(Si alza e si avvinghia al braccio della donna. Si staccano dal gruppo dei curiosi).

Uno — È il perfetto idillio. Sposini maturi, ma invidiabili.

Un altro — Prima di sposarsi furono amanti per vent'anni. Almeno io l'ho sentito dire.

Signorina — Oh, amarsi così tutta la vita!

Il medico — Peccato lui, con quella gotta!

Sergio (che lo ha udito) — Che asino! E non poterne trovare uno di questi beccai che mi sappia estrarre il proiettile dall'osso!

Argia (singhiozzando) — Ma tiramela, dunque, una buona volta, anche tu questa revolverata!... Son vent'anni che te ne supplico, da quella notte atroce! Sarebbe pace fatta, finalmente!

Sergio — Ma allora fu perchè io ti volevo piantare! Piantami adesso tu, se sei capace! (partono teneramente abbracciati).

(Sipario)

PAOLO BUZZI

BOSCHERECCIA

Notte. Un cuore di foresta sterminata. Un tronco di quercia.

Olda (giovinetta sedicenne). — Non so. Mi son smarrita. E la mamma mi attenderà ancora colle legna. E morirà di freddo e d'angoscia. È inutile disperarsi. Tanto, mi son sfamata con delle bacche amare. E la solitudine non mi fa paura. L'unica è dormire fino all'alba.

Il Duca (preso fino alla strozza da un tronco di quercia). — Io so la strada, giovinetta.

Olda — Chi parla?

Il duca — Un albero.

Olda — Ora comincio ad aver paura veramente. Ora vorrei potermi districare da questo labirinto.

Il Duca — Io saprei il filo dei sentieri.

Olda (abbracciando gli alberi nel buio) — Albero, albero caro: insegnami tu la via! Dirò ai boscaioli del Duca di non tagliarti mai.

Il Duca — Non sono un albero. Sono un uomo chiuso in un albero.

Olda — Oh benedetto! Come? Un uomo chiuso in un albero? Dove?! (Silenzio). Sono povera come una croce di legno del camposanto vecchio. Ma se tu mi insegni la via, mi butterò nel fuoco per te, tutta la mia vita.

Il duca — Vieni qui, presso la quercia. Guàrdavi bene dentro. Mi vedi? Mi riconosci?

Olda (raccapricciando). — Il Duca!? Dentro lì?

Il Duca (come da una tagliola) — Sì. Il Duca. Il vecchio Duca, il vecchio pazzo Duca, al quale la Duchessa giovine non vuole un'oncia di bene. Ho pensato, per uccidere la mia malinconia, di tentare un esercizio che m'era caro in giovinezza. Entrare negli alberi cavi e lasciarmi scivolare nel tronco per raccogliere nidi di gufi. Non sono più il cerbiatto di quei tempi. Ora sono un bue. Caddi pesantemente nella trappola in ragione diretta del mio quintale. Son qui dentro, stretto stretto. Vedi tu se puoi liberarmi, angelo mio!

Olda. — Oh Altezza! Ben certo! Così, se permetterete, faremo la strada insieme. (Tenta di liberare il Duca senza riuscirvi).

Il Duca — Su, forza! Per Dio, alla tua età avrei strappato anche la quercia dal suolo.

Olda (sforzandosi). — Non posso. Vedete bene che sono una donna!

Il Duca (con terrore mortale). — Ma giovine e forte. (Incalzando). Tu sai che non ho figli! Ti adotto. Ti faccio mia erede universale! Potrai sposare anche tu un Duca!

Olda (ancora tentando). — Non posso! Ebbene, Altezza, insegnatemela questa strada! Andrò al Castello, chiamerò la Duchessa, i servi, i boscaioli, tutte le braccia del Ducato!

Il Duca. — La strada? La strada? Sei bella. E poi se ti rapiscono? La Duchessa ha un amante. E poi se non ti rimandano quei due qui? E poi se tu non mi ritrovi? Non ho più fiato in corpo. Ho urlato troppo. Non mi sentireste da nessuna parte. No. No. No.

Olda. — Aspettiamo l'alba, allora.

Il Duca. — Allora, aspettiamo la morte.

PAOLO BUZZI

L'INVULNERABILE

Atrio d'un albergo. Bureau con portiere addormentato. Entrata del lift e canna d'ascensione della cabina visibile per un tratto. Due viveurs seduti su poltrone di vimini.

Iea. — Ti dico, deliziosa.

Io. — E misteriosa.

Iea. — Impenetrabile.

Io. — Inafferrabile.

Iea. — Numero 39, in fondo al mio stesso corridoio.

Io. — Esattamente sopra il 29, la mia camera.

Iea. — Io la sento passare.

Io. — Io la sento andare a letto.

Iea. — Brrr!

Io. — Ah sì! Brrr!

Iea (piano). — Ma tu che cosa sei? Un rat d'hôtel o un avventuriero d'amore?

Io. — Io? E tu che cosa sei?

Iea. Mah! Se potessi rubarla, lei e i suoi gioielli insieme!

Io. Infatti ha dei gioielli superbi. Scommetto che se li porta anche quando dorme.

Iea. Bisognerebbe osare...

Io. Io ho osato. Sulle scale, l'altro ieri. Ieri nella sala di musica. Oggi l'ho mangiata cogli occhi, al déjeuner. Ma invano. Ora tocca a te. Vedremo se sarai più fortunato. Questione di scegliere l'attimo e il punto. Ma bravo chi ci arriva!

Iea. Peccato si sia in due! Credi, tu sei di troppo. Se fossi io solo... a quest'ora...

Io. Schutt! Eccola. (La signora elegantissima entra dalla strada e va diritta all'ascensore). Per Dio, che razza d'albergo! Il portiere dorme e il groom del lift non si lascia vedere.

Iea, balzando all'ascensore. Ciao! Ci vedremo pel thè. Vado a riposarmi. (Fa entrare la signora nella cabina dell'ascensore).

La signora. Ben gentile, grazie.

Io, seguendo con gli occhi fissi la manovra dell'altro. Perdio! Non ci avevo pensato. Quel mostro me la fa.

(Iea monta pure nell'ascensore e fa salire la cabina. Lo si vede che abbraccia fulmineamente la signora nel distacco dal suolo. La signora, d'un moto non meno fulmineo, estrae una piccola rivoltella e spara contro l'assalitore che si abbatte sul divano. Il tutto in una rapidissima e pure distinta visione).

Io, allibendo ma serbando una certa calma filosofica. Era di troppo lui, a quanto pare. (Grida). Signora, non voleva derubarvi, voleva solamente amarvi!

PAOLO BUZZI

IL PESCE D'APRILE

Atto 1º

La porta d'una chiesa di città. Una piazza. Case. Un palazzo prospiciente la chiesa. Andirivieni di gente. Suona il mezzogiorno dalla torre campanaria della chiesa.

Una dama in nero, staccandosi dalla folla e andando verso un Prelato che esce dalla chiesa. Monsignore!

Monsignore, guardando bene in volto la Signora. Signora!

Dama, turbata. Vi è un grande peccatore che sta per morire. Egli è estremamente inquieto per l'anima sua e desidera vivamente vedervi. Non vi dispiace di seguirmi, Monsignore?

Monsignore. Può credere, signora. Ero appunto sulle mosse per un'altra visita del genere. (Attraversano la strada e, dopo pochi passi, giungono al Palazzo).

Dama. Ecco, Monsignore. Si tratta del Marchese che abita in questo palazzo. (Atto di sorpresa del Prelato).

Portiere, avanzando dall'atrio. Buon giorno, Monsignore. Che cosa desidera?

Monsignore, alquanto perplesso. Il Marchese sta male?! Salgo a vederlo.

Portiere, cadendo dalle nuvole. Il Padrone?! Ma se sta a meraviglia! Eccolo che viene, in persona. (Segna nell'interno dell'atrio).

Monsignore. Come? Ma se questa signora.... (Si volta verso la Dama. Essa è scomparsa).

Marchese, sopraggiungendo, al portiere. Che c'è, Giovanni? Oh chi vedo! Monsignore?!

Monsignore. Se permette, Marchese, la metto io al corrente dello scherzo di pessimo genere che ci è capitato ad entrambi. Si figuri che una signora, alta, bionda, pallida, con gli occhi azzurri, è venuta a dirmi testè che... Lei... stava male e che... desiderava... vedermi... Anzi mi ha accompagnato ella stessa fin qui. Poi è sparita.

Marchese, scherzoso. Ha guardato oggi l'almanacco, Monsignore? Primo d'aprile. (Con disinvoltura). Beh, come pesce non c'è male! (Sopra pensiero, involontariamente). Alta, bionda, pallida, con gli occhi azzurri? Non conosco nessuna donna che risponda a questi connotati. (Pausa). Ma entrate un momento, Monsignore, se non vi spiace! (Entrano nel palazzo).

Sipario

Atto 2º

Gabinetto di studio del Marchese. Molti libri, e dipinti e stampe di donne nude. Ampie poltrone coperte di pelle oscura.

Marchese, facendo sedere il Prelato e pure sedendo. Voce un po' turbata. È molto strano, però, che vi abbiano chiamato qui in modo così misterioso. Penso se la cosa fosse accaduta in un altro giorno del mese...

Monsignore. Di burloni, d'ogni sesso, ve ne sono in tutti i giorni dell'anno, Marchese....

Marchese, sempre più turbato. Ma no, vi dico: vedete? Io sto benissimo. Pure... vi confesso... da qualche tempo sono inquieto sullo stato dell'anima mia. E, vi dico la verità, Monsignore, che avevo già pensato io stesso di mandarvi a chiamare un momento o l'altro. Ora, già che ci siete, in questa casa, lasciamo da parte l'incidente bizzarro che vi ha fatto capitare qui a mia insaputa: e, se volete, parliamo pure della mia coscienza...

Monsignore. Sentite, Marchese. Io ero uscito di chiesa per recarmi a visitare un altro ammalato, ma veramente grave, quello. Non potrei disporre di molto tempo ora. Vi dò, quindi, appuntamento in chiesa, per stasera alle diciannove, terzo confessionale di sinistra per chi entra. Sarà molto meglio. La chiesa, di sera, aiuta la coscienza a liberarsi... (Si alza per accommiatarsi). I miei rispetti ed a ben vederla, caro signor Marchese!

(Il Marchese, soddisfatto, lo accompagna con grande effusione alla porta dello studio).

Marchese. Grazie, Monsignore. A questa sera. Senza fallo.

Sipario

Atto 3º

La camera da letto del Marchese. Un'alcova coperta. Ritratti grandi e piccoli, ad olio, per tutte le pareti. Uno, più grande, ha un mazzo di fiori davanti.

Monsignore, entrando commosso e concitato col cameriere. Ma è impossibile! Doveva venire da me alle diciannove! L'ho atteso. Poi mi sono deciso a tornar qui. Morto!

Cameriere. Fulmineamente. Stava appunto per uscire... (Conduce Monsignore verso la tenda dell'alcova).

Monsignore, guarda nell'interno dell'alcova, col volto compunto. Fiat voluntas tua. (Alza gli occhi e ferma lo sguardo sopra un grande ritratto appeso alla parete). Ma... ma... Io sono ancora un po' nuovo della parrocchia e dei parrocchiani... dite un po'.... quel ritratto... chi è quella donna? (Gli occhi gli si fanno quasi allucinati).

Cameriere. Quel ritratto... è quello... della signora Marchesa, la sposa del mio povero Padrone, morta venticinque anni fa...

Monsignore, sbigottito. Morta?! Venticinque anni fa?! Ma voi impazzite! Se è quella stessa che mi ha parlato oggi, a mezzogiorno, sulla porta della chiesa! (Guarda ancora il ritratto). Sì, lei; è lei, vi dico! Quella che mi ha accompagnato fino al Palazzo e poi è scomparsa.

Cameriere, con grande gravità. Spero che Monsignore non vorrà dubitare della parola d'un vecchio che è da quasi cinquant'anni al servizio di questa Nobile Casa e che è incaricato di cambiare quei fiori tre volte al giorno.

Sipario

PAOLO BUZZI

LA COMETA

Camera da letto modesta. Libri. Fotografie. Scrittoio con lampada. Una finestra spalancata. Giorgio, il poeta, è coricato, la faccia arsa dalla febbre. Porta a sinistra.

Medico, andandosene. Grave assai. Febbre altissima. La notte sarà afosa e potrà influire sul rialzo della temperatura. Veda di farlo assistere anche da qualche altra persona, queste ore.

Madre. Dio mio! Farò il possibile. Ma egli non vuole da presso che la sua mamma.

Medico. Un'amica, diamine! Non aveva una amica?

Madre. Non aveva che la Poesia... e la sua vecchia mamma...

(Il medico esce).

Giorgio, alla madre tornata presso di lui. Mamma, mamma, ti adoro! Siedi qui, accanto a me. Non muoverti più. Come mi sembra di star bene!...

Madre. Caro, sta tranquillo; non parlare.

Giorgio. Se morissi... sarei felice.

Madre. Tu devi guarire.

Giorgio. Felice, oh sì! Avrei realizzato il mio sogno: quello di non assistere alla morte tua.

Madre. Cattivo, egoista che sei! Angelo! (Colle lagrime agli occhi).

Giorgio, agitandosi improvvisamente sul letto. La cometa! La cometa!

Madre, calmandolo. Quale cometa, caro?

Giorgio. Sì: non mi hai tu letto oggi il giornale che prometteva il passaggio della cometa per stasera?

Madre. Non oggi. Te lo lessi, forse, una volta, saranno vent'anni, quando eri bambino, e la cometa, infatti, passò.

Giorgio, sempre più agitandosi. La cometa! La cometa!

Madre, con supplicazione. Calmati, tesoro!

Giorgio, guardando verso la finestra. Sì, passa... la voglio vedere! (Balza dal letto. La madre lo avvolge d'un accappatoio e lo trattiene con ogni sforzo).

Madre. Vergine! Aiuto! (Al figlio) Non c'è una stella, stasera... Nulla... vedi?

Giorgio, ribellandosi. Oh, per Cristo! Voglio vederla, la cometa! (Si divincola. La madre gli balza addosso).

Madre. No! (Colluttazione).

Giorgio. Sì! (Colluttazione. Balza verso la finestra).

Madre, disperatamente avvinta. No!

Giorgio. Sì!

D'un pugno formidabile, egli abbatte la madre. Nessuna catastrofe di suicidio nel vuoto. Il Poeta appoggia i gomiti al davanzale e sta come trasognato alla finestra, quasi contemplasse l'Astro immaginario passare con la sua coda d'oro. In una luce astrale, la salma della madre, immobile, dietro di lui, sembra l'ombra stessa del suo corpo estasiato.

Sipario

CORRADO GOVONI

LA CACCIA ALL'USIGNUOLO

  • Fieno , marito
  • Fascina , moglie
  • Brina , figlia
  • Raggio , amante
  • Suoni di campane.
  • Canti d'ubbriachi.
  • Fruscii di vento.
  • Giuochi di luci.
  • Profusione di chiaro di luna.
  • Gorgheggi d'usignuolo.
  • Vagabondaggio di lucciole.
  • Voci del borgo.
  • Aliti.
  • Sospiri.
  • Orologio che riempie le pause di silenzio col suo andare-venire di sentinella che ogni tanto getta il suo chi-va-là d'ore.
  • Un gatto in cucina.
  • Un'upupa nella campagna.
  • Un cane, ecc.

Gli abiti e i gesti devono essere adatti e intonati alla bruttezza e alla poesia che rappresentano le qualità rivestite dai quattro personaggi. Così dovrà essere per gli aspetti delle cose e per le voci esteriori che si devono udire distintissime, seguenti e partecipanti allo svolgimento dell'azione.

Atto 1º

Una cucina. Rami alle pareti. A destra la cappa d'un enorme camino come un mantice annerito dal fumo. A sinistra una porta. Davanti, nel centro, una finestra, nero specchio di stelle. Nel mezzo, una tavola apparecchiata modestamente, rischiarata da una lampada di maiolica coi paralume verde che mette tagli crudi violacei sulle facce di Fieno e Fascina seduti ai due capi della tavola. Brina è appoggiata languidamente alla finestra e guarda fuori dai vetri chiusi. Dopo cena. Pause di silenzio. Poi si sente lontana l'avemaria. Fascina e Fieno s'alzano da tavola, chinano le sedie, ci piegano su il ginocchio e si segnano. Brina apre i vetri: l'avemaria entra a ondate, poi breve pausa, indi allegro scampanio.

Fieno, a Fascina, mentre sono inginocchiati sotto la benedizione dell'Angelus. Sta' attenta, il gatto fa sporco nella cenere del focolare...

Fascina, drizza la sedia, afferra un tovagliuolo e fa scappare il gatto. Boia! Maiale! Aspetta...

Brina, è sempre muta, assorta nel suono delle campane. Quando finisce l'avemaria, Fieno e Fascina siedono.

Fieno. Si vede che il campanaio ha già cenato che non finisce mai di suonare, stasera...

Fascina. Non ha altro da fare che tirar le corde tutto il giorno.

Fieno. E far figli: tante campane, tanti figli.

Fascina. Ci pensa sua moglie.

Intanto raddoppia il suono.

Fieno. Disgraziato! Ti cada sulla testa la campana del mezzogiorno!

Fascina. Addio corna!

Fieno. Ah, sì!...

Fascina. Non vedi che è in capelli tutto il giorno?...

Fieno. E già: dove lo metterebbe il cappello?

Brina, senza voltarsi. State zitti! Non posso più sentire le campane...

Fieno. Bella musica...

Fascina. Proprio!

Fieno. È come quando tu lavi i piatti. Cic, ciac, pum... Alle volte qualcheduno si rompe..... quelle là non crepano mai.

Fascina. Perchè sono battezzate.

Fieno. Forse.

Fascina s'alza e va via.

Fieno. Dove vai?

Fascina. Là.

Fieno, fa cenno d'aver capito. Come, ancora? Sei malata?

Fascina. Non so, ho proprio bisogno.... (Va e torna).

Brina. Dio, come siete atroci!

Fieno. Cara mia, è una cosa naturale. Io ti confesso che alle volte ci provo una gran soddisfazione. Mi sento più leggiero e allegro dopo.

Brina. Dite delle cose schifose.

Fieno. Ma anche tu...

Fascina, tornando. Come si potrebbe fare senza?

Brina. Si dovrebbe fare come i fiori: anch'essi si nutrono e dopo emanano dolcissimi profumi.

Fieno. Dici sempre delle sciocchezze.

Fascina. Noi non siamo dei fiori.

(Breve pausa).

Brina, sedendosi sul davanzale e sporgendo fuori tutto il busto. Una, due, tre, quattro, 7, 10, 20, 25...

Fascina. Senti: conta le stelle....

Fieno. Lascia stare: le hanno già contate.

Brina, con gioia, senza voltarsi. Sì, ma quelle che conto io sono mie. Provo la voluttà avara del mendicante che seduto sulla soglia della chiesa fa scorrere con le dita nella tasca le monete dell'elemosina.

Fascina. Che cosa stanno poi a fare tante che non fanno neanche lume? Almeno la luna...

Fieno. Sì, bella soddisfazione farsi abbaiar dietro a quel modo da tutti i cani della terra. Influisce sulle donne gravide, sulle uova gallate e sulla nascita delle cipolle...

Fascina. Dicono che fa crescere anche il mare....

Fieno. Già, come il lievito nella madia.

Brina, contando ancora le stelle. Trentatrè, 34, 38.......

Fieno. Fammi il piacere, chiudi la finestra. Sarebbe meglio che invece di esserci le stelle non ci fossero le zanzare....

Fascina. Hai ragione.

Fieno. Che caldo! Si soffoca.

Fascina. L'inverno si gela, l'estate si arrostisce.

Brina, tra sè. Come son belle le stagioni con le lor mode di prati in fiore, di nuvole violastre, di neve soffice, di pioggia frusciante!

Fieno. Bella roba! Si dovrebbe poter regolare il tempo come si desidera, con un rubinetto: oggi tanta pioggia per far nascere la canapa, domani tanto sole per asciugare il frumento; domani cielo coperto, umido... come si fa con l'acqua potabile dell'acquaio.

Fascina. Davvero!

Brina, estasiata. È bello correre coi capelli al vento nella pioggia, sotto l'ombrello rovesciato d'un lampo! (Breve pausa). L'usignuolo! l'usignuolo!

Fieno. Maledetto! È alleato delle zanzare e della luna... Tutta la notte è laggiù come un ubbriaco che canta e vomita appoggiato al muro... Avvelenerò l'albero su cui canta, minerò il rosaio dove ha il nido, gli darò la caccia...

Brina, sempre come trasognata. Ah, che felicità esser la moglie dell'usignuolo! Covare nella culla rotonda le piccole uova macchiate sotto le stelle, nella sicurezza regale di quel canto....

Fascina. Vorrebbe essere un uccello!

Fieno. Farebbe meglio ad aiutarti a lavare i piatti, invece di perdersi tutto il giorno a dire e fare sciocchezze...

Fascina. Non è buona neanche di vuotare l'orinale da sotto il letto.

Fieno. Vedrai il tuo usignuolo... lo voglio mangiare in umido con le penne e tutto. Non si può più dormire, la notte.... Come se non bastasse lui, c'è anche la luna che entra da tutte le fessure....

Fascina. Bisogna tapparle più bene con del cotone... sempre quella luce sugli occhi.... Non ne abbiamo abbastanza del sole?

Fieno. Hai fatto il chilo?

Fascina. Sì.

Fieno. Allora andiamo a letto.

Fascina. Si consuma il petrolio per niente.

Fieno. Andiamo. (Rivolto a Brina) Anche tu.

Fascina. Anche tu.

Brina. Io non ho fatto il chilo.

Fieno. Eppure hai mangiato quello che abbiamo mangiato noi....

Brina. Io no: ho mangiato campane, stelle e lucciole.

Fieno. È ora di finirla con le tue scempiaggini. Non fai niente in tutto il giorno.

Fascina. Non sei una signora.

Fieno. Non sai neanche condir l'insalata e lucidare gli stivali.

Fascina. Ti credi la padrona.

Fieno. Devi ubbidire.

Fascina. Sono tua madre.

Brina, scuotendosi come da un sogno, scende dal davanzale, va verso la madre e le grida. Tu sei tu, io sono io!

Fascina. Io sono tua madre.

Brina. Tu sei una donna, io sono una donna. Tu sei vecchia, io sono giovane; tu piangi, io canto; tu sei di ghiaccio, io di fiamma. Tu non sei mia madre: tu sei un babau pien di rughe, la tua faccia è come le tue scarpe; sei la marianna delle fiere a cui i monelli tirano tre palle di stoppa per un soldo, per ridere vedendola andare a gambe all'aria. Tu sei l'albero raggrinzito; io sono la verde foglia che si fa portar via dal vento; tu lo stelo secco, io il fiore rosso che ride al sole; tu la spina nociva, io la goccia di rugiada che sviene sul filo d'erba.

Fieno. Io sono tuo padre.

Brina. Tu non sei mio padre: sei lo spauracchio che i contadini fanno coi calzoni frusti dei soldati congedati, imbottiti di paglia, e mettono a cavalcioni d'un ramo con una pertica in mano, per tenere lontano gli uccelli dal frutteto. Io vi scaccio, ho voglia di ridere, vi scaccio. Via, Tarlacchi! Via, Marianna! Via!... Scaglia contro di loro i pani, i bicchieri, le stoviglie. Li insegue con uno scroscio di risate fragorose e liete come battimani.

Sipario

Atto 2º

Un portico che respira su un giardino di fiori addormentati. Alberi in fondo inzuppati di chiaro di luna.

Prossimamente, semioscurità virgolata di lucciole. Si distinguono tutte le voci della campagna e del borgo. Un cane abbaia in lontananza. Un campanile scocca le ore. Un soffio di vento investe le cime dei pioppi. Si sentono dei passi dietro il muro del giardino. Cantano brevemente degli ubbriachi. Si sente chiudere una porta. Poi s'alza il gargarismo d'un usignolo.

Brina e Raggio abbracciati su un sedile di marmo. Persone e cose tutto avvolto in una atmosfera di sogno.

Brina. Senti l'usignuolo... È un innaffiatoio di chiaro di luna.

Raggio. È l'acciarino di diamante che sprizza tutte queste scintille di lucciole.

Brina. Quante! Quante! È la corsa della fiaccola delle lucciole... una cade sfinita, un'altra fa un balzo più avanti con la fiammella moribonda.... Sembran tanti ciccaiuoli che vanno per le vie deserte del borgo, illuminando col loro lanternino di latta verde le perle schiacciate degli sputacchi.

Si baciano lungamente. Si staccano per ribaciarsi.

Brina. Bevimi tutta con un sorso lungo.

Raggio. Ah! perchè non possiamo fonderci insieme come le nostre ombre? Guarda come sono felici!

Brina. Io sono felice. Io sono te.

Raggio. Tu sei me.

Brina. Io vorrei morire.

Raggio. No, no: mi uccideresti. Tu che sei entrata nella vita come la lucciola ch'entra nel fiore, come la rosa bianca nello specchio senza fargli male.

Brina. Tu nel cuore come la goccia che fa traboccare il bicchiere, come il cerino che desta la fiamma che dormiva nel vecchio legno, come la chiave nuova che apre la porta verde sul giardino.

Raggio. Dimmi che non vuoi morire, che sei felice.

Brina. Vorrei morire perchè sono felice.... Che altro si può essere, dopo? Sono felice. Non so, ma esiste certo una misteriosa relazione tra il brillante della tua cravatta e il canto dell'usignuolo, tra il suono delle tue scarpe sulla ghiaia ed il vagabondare delle lucciole, perchè io sono così felice quando tu giungi.

Si baciano ancora.

Brina. Fa piano, che i fiori sognano...

Raggio. Ogni fiore è un sacchetto di profumo, il giardino è un facchino d'odori....

Brina. Va via, fino laggiù: voglio riprovare l'emozione della tua venuta.

Quando Raggio è lontano. Brina si nasconde dietro gli alberi.

Raggio. Dove sei, Brina?

Brina. Prendi una lucciola e vieni a cercarmi.

Raggio. Seguirò le péste d'argento del tuo riso e ti troverò.

La raggiunge. Pigliano le lucciole, le tengono in mano, si baciano tornando al sedile.

Brina. Senti come canta l'usignuolo, come gira il suo aspo d'argento...

Raggio. Prova la chiave di diamante nella porta di vetro dell'umida prigione dove dormono gli angeli ciechi incatenati...

Brina. È un ladro divino che prova i suoi grimaldelli nelle serrature dei silenzio e del mistero....

Pausa.

Raggio. Cos'hai?

Brina. Ho paura dell'usignuolo.

Raggio. È così piccolo... lo potresti soffocare con la stretta del mignolo.

Brina. Il suo canto è più forte del ruggito del leone.

Stanno in ascolto.

Brina. Senti, non canta più.

Raggio. Che cosa è stato?

Brina. Gli è scoppiato il cuore.

Pausa. Viene da un tetto vicino il grido sinistro dell'upupa.

Brina. È un assassinato dietro il muro dell'orto.

Raggio. È qualche gatta che fa i piccoli...

Brina. È l'upupa... È innamorata dell'usignuolo, e gli piange dietro.

Raggio. Una strega centenaria innamorata di un bambino.

Pausa. Un cane abbaia a lungo, rabbiosamente. Brina ha un brivido di paura, si raccoglie le gonne intorno alle gambe, si stringe all'amante.

Raggio. Che cosa hai?

Brina. Quel cane...

Raggio. Ma è laggiù lontano in una cascina.

Brina. Come è lungo! Arriva fino qui; mi sento il suo muso aguzzo minaccioso intorno ai ginocchi, ho paura. Difendimi, ho paura!

Raggio. (facendo l'atto di scacciare il cane feroce). Via! Via! (Tira dei sassi). Ecco, vedi, è tornato al suo pagliaio, è diventato corto, non abbaia più.

Sta in ascolto. Fruscii misteriosi.

Brina. Che cosa senti?

Raggio. Sono i teneri rami che si cercano come mani furtive nel buio; sono le foglie fresche che tremano come bocche adultere che si baciano piano piano per non farsi sorprendere, e le loro ombre unite si riflettono nello specchio di chiaro di luna sui sentieri. Andiamo fino laggiù...

Brina. Ho paura. Laggiù ci sono le cose cattive che guardano con occhi rospini, le ombre malvage che scivolano cieche intorno agli alberi addormentati.

Raggio. Vieni, vieni! (La trasporta, quasi). Fino al traguardo dell'usignuolo.

S'avviano. Il dolce rumor dei baci si fa sempre più indistinto, s'affiochisce come dei passi che s'allontanano. Cadono da un campanile le ore, come stelle sfogliate. Silenzio. Poi l'usignuolo canta ancora. A un tratto echeggia nel giardino un colpo di fucile. Una voce aspra grida da una finestra:

— Ho ucciso l'usignuolo! ho ucciso l'usignuolo! Un ladro è scappato dal muro del giardino...

Dopo una breve pausa la madre si precipita in camicia sotto il portico, getta un urlo:

— Io lo sapevo, assassino! (E cade morta).

Silenzio.

Poi l'usignuolo riprende il suo canto, più forte, come un ubbriaco vomitoso che s'avvicina.

Sipario

BOCCIONI

LE PRUGNE VERDI

Sala da pranzo. Tavola in disordine alla fine del pranzo. Credenza, a sinistra, poltrone, ecc. Lui, elegante, raffinato, intellettuale. Lei, bella, elegante.

Lui (fumando). Sai, cara? Domani il nostro amore avrà un anno...

Lei (con grazia). Davvero? Ah! già... fu in settembre... Amico mio, come sei stato buono con me! (Con un sospiro). Che cosa sarebbe stata la mia vita senza il tuo amore?...

Lui. Cara!...

Lei. Ti sei dato completamente a me... Non hai più mosso un passo senza di me... Hai trasformata la tua vita, adattate le tue abitudini alle mie... Hai lasciati i tuoi amici, trascurate le tue relazioni... (Lui fa dei cenni di diniego). Hai abbandonato quell'odiosa politica, quella stupida arte... che, infine, non ti fruttavano nulla... Non è vero?... Sì, sì, tutto hai fatto per me, caro... (Gli va vicino e lo accarezza). Mi hai dato il tuo nome, hai riconosciuto mio figlio... Mi hai imposta in società col tuo coraggio... Oh! so bene quanto ti è costato tutto ciò, caro!... (Pensando). E il denaro anche hai gettato a piene mani per farmi bella la vita! Oh, sì, amore mio!... te ne sarò eternamente riconoscente!... Senza di te, la mia vita sarebbe vuota... Sarei un nulla.

La Cameriera (entrando). C'è di là un signore.

Lei (con vivacità). Chi è?

La Cameriera. Il signor Nuovo Presentato.

Lei (fra sè). Chi sarà?

Lui. Ah! Sai... Quel giovanotto che hai conosciuto l'altra sera... (fra sè). Che cosa vorrà quell'idiota?...

Lei (accomodandosi già i capelli e la toilette). Eh! Dio santo!... Tutti idioti, per te!...

Lui (seccato, alla Cameriera). Fallo entrare.

(Entra il Nuovo Presentato, giovanottone quasi elegante. Azzimato a scopo di visita. Sicuro di sè, insinuante).

Il Nuovo Presentato (avanzandosi cerimoniosamente). Buongiorno, signora... (Le bacia la mano. Indi a Lui) Ciao, caro... Come stai?

Lui. Bene, grazie... Siedi. Vuoi una sigaretta?

Il Nuovo Presentato. Sì, grazie... spero di non disturbare.

Lei. Ma no... Anzi! Siamo sempre così soli!... Prendete un caffè?

Il Nuovo Presentato. Oh! grazie!...

Lui. Di dove vieni?

Lei (mescendo). Amaro o dolce?

Il Nuovo Presentato (senza rispondere a Lui). Amaro...

Lei. Amaro?... Anche a voi, il caffè piace amaro come a me... (a Lui, con stizza e civetteria) Vedi, tu?... Anche a lui piace amaro! Tu invece, sempre dolce, dolce... zucchero, sempre zucchero... È terribile!... Non capisco.

Lui (sbalordito e seccato). Io... Che c'entro io, adesso?...

Lei. Ma sì!... Vuoi negarlo?... Ti piace tutto inzuccherato... come il miele! A me fa schifo, tutto quel dolciume!...

Lui (indispettito, quasi con disgusto). Ma che cosa dici?... Ma che zucchero e miele!... Io me ne infischio... Del resto, se ti fa tanto schifo, porto via la zuccheriera... (Si alza con fare stanco, prende la zuccheriera e va a riporla nella credenza).

Lei (al Nuovo Presentato). Che carattere impossibile!... Che cosa volete?... A me piace tutto amaro... La limonata, l'aranciata, io le prendo senza zucchero...

Il Nuovo Presentato (con fare dolce e ispirato). Strano! Anch'io... anch'io!...

Lei. Le frutta, per esempio... le mele, le pesche mi piacciono acerbe... Le prugne verdi... sapete...

Il Nuovo Presentato (con gioia). Oh! sono la mia passione!

Lei. Ah, sì? Davvero?!... Strano! Come siamo uguali!... (avvicinandosi al Nuovo Presentato e quasi sfiorandogli la mano). Dovete essere nervoso... Siete napoletano?

(Il Nuovo Presentato la guarda estatico. Lui che ha riposto la zuccheriera ed ha evidentemente udito, si volge, li guarda, fa alcuni passi verso la scena, e dice, come a se stesso):

Lui. Si son messi d'accordo sulle prugne... Sono spacciato!

Sipario

FRANCESCO CANGIULLO

NON C'È UN CANE SINTESI DELLA NOTTE

Personaggi:

  • QUELLO CHE NON C'È

Via di notte, fredda, deserta.

Un cane attraversa la via.

Tela

FRANCESCO CANGIULLO

DETONAZIONE SINTESI DI TUTTO IL TEATRO MODERNO

Personaggi:

  • UN PROIETTILE

Via di notte, fredda, deserta.

Un minuto di silenzio. — Una revolverata.

Tela

FRANCESCO CANGIULLO

DECISIONE

Tragedia in 58 atti e forse più. Di 57 di questi atti è inutile la rappresentazione. — L'ultimo atto è di Francesco Cangiullo.

Personaggi dei 57 atti che non si rappresentano:

  • GIULIO
  • LA FAMIGLIA
  • LA VITA

Personaggi dell'ultimo atto:

  • GIULIO

Un'anticamera. Una bussola a sinistra, porta delle scale in fondo. Sera. Luce elettrica.

Giulio (25 anni, simpatico. Irruzione violenta, con sbatacchiamento di bussola). Oh perdio! adesso il giuoco dura da parecchio... La stampa... l'opinione pubblica... Ma io m'infischio del pubblico e della stampa! (Toglie paletot e cappello dall'attaccapanni, e, infilando il paletot): Questa è una cosa che deve assolutamente FINIRE!

(Rapido, spegne la luce ed esce).

Tela

FRANCESCO CANGIULLO

IL DONNAIUOLO e le 4 STAGIONI SINTESI DI 20 ANNI D'AMORE

(Mi dispiace, ma assolutamente non posso fare i nomi dei personaggi — e bisogna che lo vieti anche ai capocomici).

Scena neutrale. — Entrate laterali e in fondo. — 3 secondi dopo che è salita la Tela entra da sinistra l' Educanda in uniforme, leggendo un libriccino del «mese mariano». Con gli occhi sul libro, viene avanti, piano, alla ribalta. Dalle pagine cade giù un'immagine sacra. Con grande semplicità Lei la raccatta e la colloca di nuovo fra le pagine. — Riprende la lettura, ferma innanzi alle lampadine della ribalta sino alla fine.

Dopo 10 secondi, dal fondo entra la Bagnante, naturalmente, in costume da bagno: mutandine azzurre, blusa alla marinaio. Legata in un salvagente, la Bagnante nuota sulla scena sempre in uno spazio circoscritto, riservato a Lei — sino alla fine.

Dopo 10 secondi, entra anche dal fondo la Vedova, trasportando una tomba munita di ghirlanda e ceri accesi. La colloca con le spalle quasi nell'angolo a destra, s'inginocchia, china la testa, — e resta fissa come chi si faccia lungamente fotografare di dietro.

Dopo 10 secondi, entra da destra — col viso nascosto in un braccio piegato — la Sposa. Abito di raso bianco, lungo velo, ghirlanda di fior d'aranci in testa. Timida viene avanti alla ribalta e resta così sino alla fine.

Dopo 20 secondi, dal fondo, tutto chic, con gran disinvoltura, fumando una sigaretta, irrompe il Donnaiuolo, svelto e sicurissimo si caccia sull'orlo della ribalta, allarga le braccia al pubblico con grande espansione, incassando la testa negli omeri (l'attore ricorderà Renato Simoni alla quarta chiamata), con sorriso diplomatico fissa tutto il pubblico in uno sguardo largo e sintetico — poi dice:

Voilà!

e agilissimo retrocede elettricamente sulle punte. —

T E L A

FRANCESCO CANGIULLO

DI TUTTI I COLORI CLICHÉS DI SINTESI

  • CLARA
  • SUO FIGLIO | Edmondo
  • SUO FIGLIO  | Osvaldo
  • SUO FIGLIO | Anacreonte
  • SUO FIGLIO | Vespasiano
  • PADRE NERO
  • PADRE BIANCO
  • PADRE ROSSO
  • PADRE VERDE
  • Ecc.

Scena neutra.

La Signora Clara sarà sempre nell'istessa posa: testa bassa, umiliazione, immobilità. — Elegante. — 40 anni.

Padre nero. Buon giorno, signora. Si tratta di mio figlio, non è vero? Un fallo? Cosa occorre? mille franchi? — Ecco.

Clara (avrà appena la forza di pigliare il danaro e depositarlo fra i seni).

Padre nero. Vi prego di chiamarlo.

Clara (un fil di voce commossa). Edmondo.

Un ragazzone sui diciott'anni si presenta umiliato come Clara, a testa bassa, andando a porre bene sotto il naso di Padre nero i suoi capelli dell'identico colore.

Padre nero. Mi raccomando. Pensate che avete il mio nome, i miei capelli! (Esce)

Clara e Edmondo (con scatto s'abbracciano e si baciano contentissimi. Subito il ragazzo rientra e Clara torna al suo posto come prima).

Padre bianco. Buon giorno, signora. Si tratta di mio figlio, non è vero? Un fallo? Cosa occorre? mille franchi? — Ecco.

Clara (avrà appena la forza, ecc. ecc.).

Padre bianco. Vi prego di chiamarlo.

Clara (con filo dì voce commossa). Osvaldo.

Si presenta lo stesso ragazzone umiliato come Clara, a testa bassa, andando a porre bene sotto il naso di Padre bianco i suoi capelli dell'identico colore.

Padre bianco. Mi raccomando. Pensate che avete il mio nome, i miei capelli! (Esce).

Clara e Osvaldo (con scatto s'abbracciano e si baciano contentissimi. Subito il ragazzone rientra di nuovo e Clara torna come prima).

Padre rosso. Buon giorno, signora. Si tratta di mio figlio, non è vero? Un fallo? Cosa occorre? mille franchi? — Ecco.

Clara (avrà appena la forza, ecc. ecc.).

Padre rosso. Vi prego di chiamarlo.

Clara (filo di voce, ecc.). Anacreonte.

Lo stesso ragazzone ecc. ecc., andando a porre bene sotto il naso di Padre rosso i suoi capelli dell'identico colore.

Padre rosso. Mi raccomando. Pensate che avete il mio nome, i miei capelli! (Esce).

Clara e Anacreonte (con scatto s'abbracciano e si baciano contentissimi. Subito il ragazzone rientra ancora una volta e Clara torna come prima).

Padre verde. Buon giorno, signora. Si tratta di mio figlio, non è vero? Un fallo? Cosa occorre? mille franchi? — Ecco.

Clara (avrà appena la forza, ecc. ecc.).

Padre verde. Vi prego di chiamarlo.

Clara (filo di voce, ecc.) Vespasiano.

Lo stesso ragazzone ecc. ecc., andando a porre bene sotto il naso di Padre verde i suoi capelli dell'identico colore.

Padre verde. Mi raccomando. Pensate che avete il mio nome, i miei capelli! RARI, aggiungerò. (Esce).

Clara e Vespasiano con scatto identico s'abbracciano e si baciano contentissimi. Il ragazzone rientra, Clara torna come prima.

5 secondi di pausa.

Tela.

LUCIANO FOLGORE

15 METRI D'ALTEZZA

  • N P R
  • VOCE DI DONNA
  • VOCE D'UOMO
  • VOCE D'UBBRIACO

Immediatamente dietro il sipario il terzo piano della facciata di un palazzo. Due finestre con persiane, distanti una dall'altra vari metri. Sotto le finestre quattro dita di cornicione. Accanto alla finestra di sinistra un sottile tubo di acqua verticale che si perde in alto e in basso della facciata. Piccola zona di finestre soprastanti. La finestra di destra è oscura ed ha le persiane ermeticamente chiuse. Quella di sinistra rivela una porzione di stanza illuminata ed ha le persiane spalancate.

Al cominciar dell'azione un giovane elegante in abito da società a cavalcioni sul davanzale, guarda incerto nel buio sottostante.

Voce di donna (angosciosamente). Ma presto. Sta per entrare.

NPR (spaurito). Il cornicione è stretto. Ci sono tre piani di sotto.

Voce di donna. Sbrigati, io chiudo.

NPR discende sui dieci centimetri di cornicione che mal sostengono i suoi piedi. La posizione del giovane è incomoda. Per maggior sicurezza si aggrappa al tubo dell'acqua. La donna chiude rapidamente le persiane.

Voce d'uomo (piuttosto gioconda, all'interno). Buona notte e buona notte. Ancora alzata?

Voce di donna (debole). Avevo caldo.

Voce d'uomo. Che discussione, stasera! Auff! Quel colonnello Magri non vuol capire i nuovi rapporti che corrono fra l'idea di spazio e di tempo (pausa). Mi spoglio.

Voce di donna (vicino alla finestra). Silenzio, per carità! Ancora un poco. Egli ha sonno. Resisti qualche minuto.

NPR (sottovoce). Mi sforzo, la posizione è difficile (si muove un poco e si accomoda).

Voce d'ubbriaco (dalla strada). Ah fanale... fanale! Stai fermo un momento. Ti muovi troppo.

Voce d'uomo (dall'interno). Se il professore non mi dava ragione, ci saremmo accapigliati.

Voce d'ubbriaco (dalla strada). Fanale, ti dico, alzati in punta di piedi, che avrei bisogno di vedere più in alto.

NPR (getta spaventato uno sguardo di sotto). Maledizione al vino!

(Si ritrae però subito come preso da vertigine).

Voce d'uomo (calma, inventariando quasi oggetti e idee). Una scarpa (tonfo). Credi, la matematica...

Voce d'ubbriaco. Ora accendo un fiammifero.

Voce d'uomo (c. s.). Due scarpe (tonfo)... E la filosofia sono sorelle...

Voce d'ubbriaco (c. s.). Accendo un altro fiammifero.

Voce d'uomo (c. s.). I pantaloni... Più di quello che non sembri...

Voce d'ubbriaco (irritata). Accendo un terzo fiammifero. C'è un grosso respiro che ci soffia sopra e spegne.

Voce d'uomo (c. s.). Camicia e cravatta. L'anima è un triangolo isoscele.

Voce d'ubbriaco (c. s.). Accendo, per dio, un quarto fiammifero.

Voce di donna (dall'interno). Resisti! resisti! Ancora pochissimo.

NPR (debolmente). Non so.

Voce d'uomo (c. s.). I calzini... (variando di tono). Ma questa notte che fai? Ragioni con le stelle?

Voce di donna (smarrita). No... ho caldo... sento calore.

Voce d'uomo. Bene, vengo anche io alla finestra. Mi piace. Ci sono costellazioni come il pensiero.

Voce di donna (c. s.). Ma guarda, sei quasi nudo... ti farà male...

Voce d'uomo. Pregiudizi. Mi getto un lenzuolo sopra le spalle. L'aria della notte del resto è purissima, meravigliosa per le combinazioni algebriche dei nostri sogni.

Voce d'ubbriaco. Sono già cinque fiammiferi (caparbio). Ma io la stacco quell'ombra, la stacco e la stacco!

L'uomo spalanca le persiane e appare ammantellato di bianco. Non vede che avanti a sè, quindi non scorge NPR che ha lasciato il sostegno del tubo dell'acqua e si è disposto faticosamente a ridosso della facciata con la fronte alla notte, i piedi divaricati messi per lunghezza secondo la lunghezza del cornicione. Il giovane ha il viso che è tutto uno spasimo. La bocca trema, gli occhi sono chiusi per il timore della vertigine, le mani incollate al muro, per mantenere l'equilibrio del corpo rigido.

L'uomo alla finestra. L'Orsa, una stella rossa, un poligono di punti viola...

Voce d'ubbriaco. Ancora un altro fiammifero. Sei: me la pagherai, uomo o fantasma che soffi lassù.

L'uomo (alla donna). Che hai? Tremi tutta!

Voce di donna. Non so... un brivido.

Voce d'uomo. Andiamo. Chiudo. (serra le persiane. Poi la finestra).

Voce d'ubbriaco. Settimo fiammifero. (trionfando). Ci sono. Arde. Io brucio quel filo e lo consumo tutto.

NPR non resiste più allo sforzo disperato; scivola un poco lungo la parete, si accascia dopo aver brancolato e precipita nella strada. Tonfo.

Voce d'ubbriaco. Lo dicevo. Un bolide maligno!

DECIO CINTI

IL REGALO

Sala da pranzo di famiglia borghese. Sera. La tavola, nel mezzo, è illuminata da una lampada con paralume verde, appesa al soffitto, che manda una luce velata e verdognola.

Due porte in fondo.

Intorno alla tavola, che è rotonda, stanno seduti la Moglie, insignificante, piuttosto brutta, la Suocera, vecchia e paralitica, e la Figlia quattordicenne.

La Moglie cuce; la Figlia scrive con grande attenzione; la Suocera sonnecchia.

Atmosfera raccolta, di mediocrità onesta e tranquilla.

La figlia. Che ora è?

La moglie (guarda la pendola che è sopra un mobile). Sono le dieci. Il treno arriva alle dieci e diciassette. Fra mezz'ora il babbo sarà qui...

La figlia. Chi sa che cosa avrà comprato per me! Mi ha promesso un bel regalo...

La moglie. Pover'uomo! È tanto buono!... E ci vuol tanto bene!

La suocera (indifferente, come se non udisse e non vedesse nulla di ciò che avviene intorno, continua a sonnecchiare, muovendo ogni tanto la testa e le mani).

La figlia. Scommetto che porterà un regalo anche a te, e uno alla nonna, come ogni volta che ritorna da qualche viaggio.

(Breve silenzio).

La moglie (sospirando). Speriamo che rechi buone notizie... e che abbia fatto buoni affari... Da qualche tempo, è sempre taciturno, accigliato...

La figlia. Vorrei che avesse pensato di portarmi una bella collana di palline d'ambra vera... Sono tanto di moda!... Oppure, una bella stola di finto ermellino... Oppure, un anellino con una perla piccola piccola...

(Breve silenzio. Squillo di campanello lontano).

La moglie. Eccolo!

(Depone il lavoro, si alza di scatto, va verso la porta rapidamente e ne esce, seguìta dalla Figlia saltellante ed impaziente. La Suocera rimane immobile, indifferente, non dà nessun segno d'attesa o di curiosità. La Moglie rientra poco dopo, seguita dal Marito e dalla Figlia. Ella porta una valigia, e la Figlia porta una cappelliera).

La Suocera non si muove, non parla, non volge nemmeno il capo.

Il Marito, barbuto, sinistro, è pallidissimo e stravolto, e si ferma turbato e indeciso a breve distanza dalla porta.

La moglie. Sei stanco? Che hai? Dio! come sei pallido!...

La figlia. Mi hai portato il regalo, papà?.... Dimmi subito dov'è! Voglio vederlo subito! (Indicando la cappelliera, che ha posato a terra). E lì dentro, che cosa c'è?... (Prende la valigia, l'apre con impazienza, vi fruga dentro, e ne trae due cartocci). Ah! ecco!... Ecco i regali!... (Svolge un cartoccio e ne trae una bambola qualunque. Malcontenta, con una smorfia sprezzante, depone subito la bambola su una sedia). Non m'hai portato altro? (Apre l'altro cartoccio, con impazienza febbrile). È una scatola... (L'apre). Ah! sono dolci per la nonna!... Prendi, nonna... (Dà la scatola alla vecchia, che, rimanendo indifferente, ne estrae un dolce e si mette a succhiarlo lentamente).

La moglie, prende la cappelliera che la Figlia ha lasciato a terra. E qui, che cosa c'è?... Un cappello?... Un cappello per me?... Grazie! Grazie!

Il Marito, che ha continuato ad essere turbato, stravolto, pauroso, ha uno scatto e s'avanza, tendendo le mani per impadronirsi della cappelliera. Ma la Moglie, ridendo, corre dall'altro lato della tavola, per non lasciargliela prendere. Poi apre rapidamente la cappelliera e ne trae con precauzione una testa recisa di bellissima donna bionda. La testa è livida; gli occhi aperti e la bocca hanno un espressione di strazio. Il collo è insanguinato. Alle orecchie, due grossissimi brillanti.

Il Marito si copre il volto colle mani, trema, inorridito.

La moglie, sollevando la testa e rimirandola con ammirazione e compiacenza. Ah! Bellissimo! Grazie!... Troppo lusso per me!... Non ho mai avuto un cappello così bello!... Come sono contenta!... Non me lo provo, perchè sono troppo spettinata...

La figlia. Bello! Bellissimo!... (Contempla la testa — che sua madre tiene ancora sollevata — coll'ammirazione che una ragazza può avere per un bel cappello). Come ti starà bene, mamma!... È proprio di buon gusto!.... Vorrei averlo anch'io, un cappello così.

(La Suocera, intanto, continua a succhiar dolci senza curarsi di ciò che accade vicino a lei.)

Il marito, con voce fioca, strozzata, e con gesti d'intenso orrore. Via! Via!... Nascondila!... Te ne supplico!... No! No! Non voglio vederla!... Nascondetela!... Può venire qualcuno!... Chiudete la porta!... (Si lascia cadere, affranto, su una sedia).

La figlia, tendendo le mani verso la testa. Lasciamelo provare, mamma, questo bel cappello! Ti prego!

La moglie. No! No!... Me lo sciuperesti!... (Si inginocchia davanti alla cappelliera aperta, e vi ripone con molte precauzioni la testa recisa). Me lo metterò domenica sera, col vestito bleu, se lo zio ci manderà i biglietti per la Scala.

Sipario rapidamente

INDICE

F. T. Marinetti , Emilio Settimelli , Bruno Corra :

Manifesto del Teatro Futurista Sintetico Pag. 11

TEATRO FUTURISTA SINTETICO

F. T. Marinetti :

Simultaneità , compenetrazione 21

Il teatrino dell'amore , dramma d'oggetti 24

Antineutralità , compenetrazione 27

Vengono , dramma d'oggetti 29

Un chiaro di luna , compenetrazione alogica 32

Le basi 33

F. T. Marinetti e Bruno Corra :

Le mani , vetrina 35

Bruno Corra ed Emilio Settimelli :

Verso la conquista 37

Dissonanza 39

Passatismo 41

Davanti all'infinito 42

Atto negativo 43

Emilio Settimelli :

Il superuomo 44

Arnaldo Corradini e Bruno Corra :

Alternazione di carattere 46

Arnaldo Corradini ed Emilio Settimelli :

Uno sguardo dentro di noi , stato d'animo sceneggiato 47

Dalla finestra , tre attimi 48

Remo Chiti ed Emilio Settimelli :

Pazzi girovaghi 50

Remo Chiti :

Parole , supposizione 52

Parossismo 53

Balilla Pratella :

Notturno , stato d'animo drammatizzato 56

Primavera , stato d'animo drammatizzato 58

Il vecchio , stato d'animo drammatizzato 61

Paolo Buzzi :

La fitta 64

Boschereccia 65

L'invulnerabile 67

Il pesce d'aprile 69

La cometa 72

Corrado Govoni :

La caccia all'usignuolo 74

Boccioni :

Le prugne verdi 84

Francesco Cangiullo :

Non c'è un cane , sintesi della notte 87

Detonazione , sintesi di tutto il teatro moderno 87

Decisione , tragedia in 58 atti 87

Il donnaiuolo e le 4 stagioni , sintesi di 20 anni d'amore 88

Di tutti i colori , clichés di sintesi 90

Luciano Folgore :

15 metri d'altezza 92

Decio Cinti :

Il regalo 95