NUOVI STUDII SUL GENIO
II

ORIGINE E NATURA DEI GENII NUOVI STUDII SUL GENIO

VOLUME II

ORIGINE E NATURA DEI GENII

DI

C. LOMBROSO

(con 3 tavole e 6 figure nel testo).

MILANO — PALERMO — NAPOLI REMO SANDRON Editore brevettato di S. M. il Re d'Italia — 1902.

PROPRIETÀ LETTERARIA

(mc) Torino — Tipografia G. Sacerdote.

INDICE

ORIGINE E NATURA DEI GENII

"Quelques difficultés qu'il y ait à découvrir des vérités nonvelles en étudiant la nature, il s'en trouve des plus grandes encore à les faire reconnaître".

Lamarck.

CAPITOLO I. Sull'unità del genio.

Fra i cento e più critici che tartassarono la mia teoria sul Genio, uno solo mi ha segnalata una vera, capitale lacuna: il Sergi: quando mi obbietta, nel Monist, che io ho sì illustrata e, forse, rivelata, la natura del genio; ma non ho spiegato come sorgano le varietà così differenti dei genî. Non già — egli intendeva — che i genî differiscano essenzialmente fra loro per qualità. L'eccellere nella pittura piuttosto che nella matematica o nella strategia, non cambia punto la natura dei genî; come il variare nel sistema di cristallizzazione romboedrica o esaedrica non cambia la natura chimica del carbonato calcare, essendo in tutti comune l'esplosione, l'intermittenza, la creazione del novo e, sopratutto, l'estro.

Ciò, per quanto le parvenze vi fossero contrarie, ci venne chiaramente provato anche dai più insigni pensatori.

Così il Mach[1] notava: "Come già Giovanni Müller e Liebig affermarono arditamente, le operazioni intellettuali degli scienziati non differenziano sostanzialmente da quelle degli artisti. Leonardo da Vinci può esser posto tra gli uni e gli altri. Se l'artista, con pochi motivi, compone la sua opera, lo scienziato scopre i motivi che penetrano nella realtà. Se uno scienziato, come Lagrange, è in qualche modo un artista quando espone i risultati ottenuti, a sua volta un poeta, come Shakespeare, è uno scienziato nella visione intellettuale che presiede all'opera sua. Newton, interrogato sul suo metodo di lavorare, rispose che meditava a lungo sullo stesso argomento; e così risposero D'Allembert e Helmoltz. Scienziati e artisti raccomandano il lavoro tenace e paziente. Quando la mente ha più volte contemplato lo stesso soggetto, aumentano le probabilità di occasioni favorevoli alla creazione; tutto quanto può plasmarsi alla idea dominante acquista rilievo, mentre quanto le è estraneo fugge nell'ombra. Così spicca di luce improvvisa quell'immagine che esattamente risponde all'idea; e mentre è effetto di lenta selezione, sembra il risultato di un atto creativo; così si comprende come Mozart, Newton, Wagner affermino che le idee, le armonie e le melodie affluissero loro spontanee ed essi non facessero che ritenerne il meglio".

A sua volta Carlyle disse: "Non v'ha differenza sostanziale tra artista e scienziato. Molti poeti furono insieme storici, filosofi e statisti; Boccaccio e Dante furono diplomatici", e noi aggiungeremo che Leonardo da Vinci, Cardano, come negli ultimi tempi D'Azeglio, Humboldt, Goëthe, abbracciarono i campi più svariati dello scibile umano.

È un fatto notorio che molti grandi matematici furono o nacquero da artisti; così vedo nella Biografia di Beltrami, redatta con tanto amore dal Cremona (Roma, 1900), che il Beltrami ebbe avo un abilissimo musico, e padre e zio pittori di merito, e madre nota per belle composizioni musicali; egli stesso era pianista abilissimo, come lo furono Sylvester, Codazzi e come lo sono Porro, Sciacci, D'Ovidio; lo stesso Beltrami[2] dettò una specie di teoria sui rapporti tra la musica e la matematica, pretendendo che il processo mentale applicato alla musica fosse identico, o poco meno, a quello delle matematiche; quasi che nell'uno e nell'altro fossero posti in azione gli stessi organi. Codazzi, grande matematico e insieme pazzo morale ed alcoolista, era un vero melomane: stava intere notti al piano; più volte mi diceva che era sulla via di trovare un metodo per comporre musica col mezzo della matematica; in fatto, però, soffriva e morì di delirium tremens.

Meyerbeer, a sua volta, era un buon matematico.

E non citiamo Haller, Swedemborg, Cardano (Vedi sopra, vol. I), che percorsero, scoprendovi del nuovo, i campi più disparati dalla matematica e dalla chimica alla teologia e letteratura; perchè ci si potrebbe obbiettare: che era facile allora abbracciare le regioni più lontane dello scibile e anche trovarvi del nuovo, essendone la materia ancora così circoscritta.

Se non che: se ai nostri tempi questo pare inverisimile, gli è perchè si riflette anche nella concezione del genio quell'eccessiva divisione del lavoro che si è infiltrata nella vita; per cui non riconosciamo abbastanza i meriti dei genî multiformi e non ne accettiamo che alcune delle doti unilaterali più appariscenti. Così nessuno ai suoi tempi, anzi nemmeno ora, ha riconosciuto abbastanza il merito di Goëthe nella filosofia naturale.

Una volta ammesso in Goëthe il grande poeta, ripugnamo a crederlo grande naturalista e grande ottico. Così nessuno di noi riconosce o ricorda le profonde attitudini politiche e scientifiche di Dante, nè le letterarie e tattico-militari di Macchiavelli, nè le musicali di Rousseau; e nessuno sa vedere in Leonardo da Vinci il geologo, l'idrologo, il balistico, l'anatomico, o in Cardano il letterato, il filosofo e il teologo[3]. Pure in nessun di questi casi la grandezza del genio nei rami più disparati era giustificabile dalle condizioni dei tempi: nè in questi casi vale più la scusa della divisione del lavoro, nè l'obbiezione che lo scibile si riduceva a così poco da potersi facilmente tutto abbracciare: perchè quei genî non solo avevano percorsa tutta la scienza contemporanea, ma prevennero quella dei nostri tempi, e alcuni, anzi, furonci coevi, come Goëthe, Humboldt, Hæckel, Leopardi, D'Azeglio e Arago.

CAPITOLO II. Cause note della varietà dei genî.

Se non che, ripeto, notava giustamente il Sergi che la comune natura dei genî non ispiega affatto la ragione della loro varietà, come la composizione identica dei cristalli di calce non spiega perchè ciascuno cristallizzi in un sistema speciale: acqua e ghiaccio hanno pure la stessa formola molecolare; ma perchè l'una abbia aspetto d'acqua e l'altra di ghiaccio, ci vuole una condizione speciale, che è nota essere la termica.

Ora, come può spiegarsi la varietà così diversa dei genî?; perchè l'un genio si specializza nel drizzone artistico e più propriamente della pittura, e l'altro diventa un genio storico, archeologico, ecc.? Qui è veramente il nuovo problema.

Eredità. — Nè basta a spiegarlo l'eredità. Recentemente Möbius faceva notare la strana frequenza ed intensità dell'eredità nei matematici, riscontrata tra padre e figlio in 215 e in 35 con più figli: 17 volte tra padre, figlio e zio; 5 col nonno e con lo zio; 20 tra zio e nipote; 131 tra affini; in più di due fratelli 23 volte; 3 volte tra sorelle e fratelli[4].

Ciò pare anche più diffusamente abbia luogo per la musica, forse perchè qui l'ambiente può agire più precocemente, poichè noi sappiamo, dagli studi del nostro Garbini sui bambini, che essi cominciano a 13 mesi ad avvertire le note cromatiche e nel 5º anno i suoni.

Perosi ebbe non solo il padre e il nonno musicisti, ma anche l'avolo e il bisavolo, e crebbe in mezzo a un'atmosfera di musica e di religione come Mozart. Ed è nota la discendenza dei Bach, dei Mozart, dei Gabrielli, dei Palestrina e dei Bellini.

Anche Wagner ebbe fin dalla seconda generazione maestri di musica in famiglia: un nonno coltissimo, un padre giurista, è vero, ma appassionato dell'arte drammatica e del teatro; e il padrigno, successo alla morte del padre, era nientemeno che il comico Ludwig Geyer. Anche lo zio era appassionato dell'arte, e come commediografo sviluppava in alcune sue monografie le idee che furon tanto care poi al nipote. Finalmente un fratello e tre sorelle del Geyer si erano date al teatro. Si capisce quindi che, benchè egli si fosse dato alla pittura fin dalla giovinezza, divenisse poi il più grande poeta e musicista del suo tempo.

Raffaello era di famiglia di scultori e pittori: il padre, poeta e pittore, gli insegnò la sua arte.

Nelle scienze naturali eccelsero i Darwin, gli Hooke, i Jussieux, i Geoffroy de Sant-Hilaire, ecc.

Eredità dissimilare. — Ma a chi ben studi questi casi, specie pei genî scientifici, essi sono più l'eccezione che la regola.

Se per molti altri genî l'esser nati, come Darwin, come Musset, Raffaello, Geoffroy, Bach, Saint-Hilaire, Bernouilli in mezzo a parenti pittori, astronomi o naturalisti, fu circostanza a loro favorevole, perchè alle predisposizioni, alle trasmissioni ereditarie che influirono sulle loro speciali tendenze si aggiunse l'azione dell'ambiente, sicchè trovarono nelle tendenze ataviche, fin dai primi anni, la ragione d'ispirarsi alla mèta definitiva, — regola più comune[5] è invece la mancanza di eredi nel genio, più di frequente presentandosi quella che io vorrei chiamare "eredità dissimilare" o "contraria" e che noi vediamo così spesso nel mondo, per cui i figli degli avari sogliono essere prodighi, i figli dei coraggiosi vilissimi, ed inerti i figli degli uomini d'azione. Così il genio disordinato di Poë gli venne, forse per dissimilarità, dal puritanismo del generale Poë, che era di tanto austero di quanto il nipote era scapigliato.

Hoffmann, il disordinatissimo Hoffmann, ebbe, come l'ancora più scapigliato Verlaine (V. vol. I), zii e madre compassati como macchine; e così D'Azeglio, Heine ed Alfieri nacquero da parenti tutt'altro che amici dell'arte; Colombo nacque da volgari mercanti e tessitori.

Io conosco il figlio di un grande oculista italiano che aveva tutte le ragioni per seguirne la carriera, eppure divenne invece grande otoiatra, per una ripugnanza insormontabile alla bellissima scienza paterna.

Pare che in questi casi avvenga una specie di saturazione, per cui ai figli non rimane che l'incapacità o la ripugnanza per gli studi paterni.

Così molti poeti e artisti nacquero da negozianti, da notai o avvocati, avversari accaniti dell'arte e di ogni idealità, e molti santi da gente viziosa.

Ambiente. — E così dicasi di quelle circostanze economiche o sociali che circondano la vita del genio, specialmente ai suoi albori, e che si chiama l'"ambiente", in cui i pensatori mediocri tanto si cristallizzano. Così si capisce come un paese tutto ravvolto in guerre, come il Piemonte, non abbia dato nei primi periodi nemmeno un artista, nè un poeta, poichè qualunque genio, che non eccellesse nell'armi, vi rimaneva sconosciuto e sprezzato. E così si capisce che in un paese come la Spagna, in cui il libero pensiero era soffocato col rogo, mancassero completamente i filosofi ed i naturalisti e non sorgessero che teologhi ed artisti. Si capisce, eziandio, perchè in Italia, dove i delitti sono così abbondanti, sorgano tanto numerosi gli avvocati e criminalisti geniali, quali un Beccaria, un Romagnosi, un Ferri, un Garofalo, un Pagano, un Ellero, un Carmignani, un Carrara.

Così si spiega come negli Ebrei, tanto dediti al commercio, fossero e siano tuttora numerosi i grandi economisti. Basti citare Marx, Lassalle, Ricardo, Loria, Luzzatti. Ricardo non fu certo inspirato dal padre, nè può dirsi che abbia avuto eredità geniale; ma è certo che, avendo preso parte ai commerci e alle speculazioni del padre, banchiere olandese, partì dalle pratiche commerciali alle applicazioni economiche, e questo ci spiega come correggesse gli errori degli economisti teorici contemporanei e come tutte le sue opere sentissero le origini e le ispirazioni pratiche, sfuggendo in seguito a grandi avvenimenti commerciali, come la crisi monetaria del 1800.

CAPITOLO III. Vantaggi dell'agiatezza e della miseria.

Così dicasi della ricchezza. Spesso il benessere favorisce il genio.

Pascal riteneva che una nascita distinta conferisca a venti anni, nella stima e nel rispetto degli altri, una posizione che i diseredati mal riescono a raggiungere a quaranta.

Che cosa sarebbe avvenuto di Meyerbeer senza la ricchezza, di Meyerbeer che aveva una produzione così laboriosa ed il cui genio si esplicò solo viaggiando e vivendo in Italia?

Ma tutto ciò va inteso con molta circospezione, perchè quanti genî, invece, non furono guastati dalla ricchezza e dalla potenza!

Jacoby ha dimostrato che il potere illimitato precipita la degenerazione, rende facilmente megalomane e demente chi lo impugna.

E noi vediamo la deputazione averci rapiti uomini geniali, diventati poi, al più, mediocri ministri.

Chi sa dirci quanti fra quelli che si pompeggiano nelle nostre vie, fieri di un bel sauro e di una occhiata di qualche clorotica duchessa, non sarebbero diventati grandi uomini? Un esempio ce ne offre l'aristocrazia piemontese. Per molto tempo avendo tenuto a gloria il brillare nella milizia e nella politica, essa ci diede più uomini celebri che non il patriziato di Toscana insieme e di Napoli; ed ora non emerge che nelle sacrestie e nelle regie anticamere.

Di più: bisogna ricordare che fu spesso la miseria, l'infelicità, che, servendo da stimolo, da pungolo al genio, ne fecero spicciare la vocazione; il che spiega quanto dimostrò la mia Paola: essere l'infelicità uno dei caratteri più frequenti della storia del genio[6].

Così: senza la miseria non avremmo avuti i romanzi di George Sand e della Becher-Stowe, nè le commedie di Goldoni.

Non rare volte, è vero, parve l'occasione aver dato luogo allo sviluppo del genio.

Così, per un rimprovero che Muzio Scevola fece a Servio Sulpizio di ignorare le leggi del proprio paese, somma vergogna per un oratore e per un patrizio, quest'ultimo divenne un grande giureconsulto.

Spesso i tagliatori di pietre, da lavoranti nelle cave intorno a Firenze, sin dai più felici tempi della Repubblica riuscivano scultori di vive figure, quali Mino da Fiesole, Desiderio da Settignano e il Cronaca. E Giovanni Brown, scalpellino, datosi a studiare i fossili delle pietre che picchiava, riuscì uno de' più grandi geologi.

Andrea Del Castagno, stando a guardia degli armenti nel Mugello, rifugiatosi un giorno, dal diluviar della pioggia, entro una cappelletta ove un imbianchino stava scombiccherando una Madonna, si sentì attratto ad imitarlo; cominciò col carbone a disegnare figure dappertutto e si acquistò fama tra i paesani; messo poi a studiare da Bernardino de' Medici, riuscì pittore insigne; e Vespasiano da Bisticci, libraio o cartolaio a Firenze, dovendo pel suo negozio maneggiare molti libri e aver da fare con uomini di lettere, divenne letterato egli stesso.

Ma la storia dei genî è più ricca di circostanze contrarie che di favorevoli, come in Boileau, Lesage, Cartesio, Racine, La Fontaine, Goldoni, costretti a soffocare la musa sotto la toga pesante di Temi o, peggio, sotto la stola del prete. Metastasio fu sarto, Socrate scalpellino.

I parenti di Poisson volevano farne un chirurgo, quelli di Bochax un prete, quelli di Lalande e di Lacordaire degli avvocati. Vauclin era un contadino, Herschell un suonatore ambulante. Per Cellini tutto era disposto perchè divenisse suonatore di flauto e non scultore. E Michelangelo, secondo i parenti, doveva divenire un sapiente, un classico, mai, come diceva il padre, uno scarabocchiatore d'immagini; e quando un grande scultore vide le inclinazioni e i primi tentativi del giovane, ed esortò il padre a metterlo nel suo studio, questi per acconsentirvi si fece pagare da lui una somma che aumentava di anno in anno.

Berlioz ( Memorie ) era figlio d'un medico geniale che aveva fatti lavori molto importanti sull'agopuntura e, sperando di avere in lui un successore, l'aveva educato a questo scopo e l'aveva indotto a sorpassare le prime ripugnanze della sala anatomica, dove gli aveva aperte le più care amicizie coi cultori di questa scienza (Gall, Amussat, ecc.); a diciasette anni, non appena sentì le Danaidi di Salieri, abbandonò tutto, per divenire maestro compositore.

Galileo ebbe una lunga serie di antenati filosofi, magistrati, pensatori, che rimontano fino al 1538[7]. Anche il padre Vincenzo, oltre l'attitudine alla musica, in cui era originalissimo, ebbe attitudini alla geometria e alla mercatura, ed il figlio Benedetto, fratello di Galileo, era pure rinomatissimo nella musica, la quale, con occhio naturalistico, era stata insegnata ai due figliuoli; ma evidentemente questa eredità non ebbe una influenza diretta, e poca, anzi nulla, vi ebbe l'educazione, che in quei tempi portava alla retorica ed al classicismo, così che — attesta il Nelli — "in quei tempi in Toscana solo i padri Scolopi tenevano scuola di geometria e di matematica, non apprezzandovisi allora che gii Umanisti; e nemmeno gli giovarono gli studi medici, allora tutto affatto teorici e senza alcun rapporto con l'esperimentazione".

Budda, Cristo e Comte ebbero un ambiente sì sfavorevole, che le loro dottrine si propagarono solo fuori del loro paese d'origine.

È vecchia l'osservazione:

A cui natura non lo volle dire,

Nol dirian mille Ateni e mille Rome.

Le circostanze, dunque, e lo stato di civiltà al più fanno accettare e rivelano i genî e le loro scoperte, che in altre condizioni sarebbero passate inosservate o derise, e, peggio, perseguitate.

Quindi si comprende come le grandi scoperte siano assai di rado completamente nuove all'epoca in cui sono accettate.

"La vapeur — Fournier — était un jouet d'enfant au temps de Héron d'Alexandrie et Anthemius de Tralles. Il faut que l'esprit humain et les besoins de notre race travaillent des millions de fois par l'expérience avant de tirer toutes les conséquences d'un fait".

Nel 1765 Spedding offerse il gas portatile già bell'e pronto al municipio di Witchaven, che lo rifiutò; vennero poi Chaussier, Minkelers, Lebon e Windsor, che non ebbero altra abilità se non di appropriarsi la scoperta e fruirne. Il carbon fossile era stato scoperto nel secolo XV, la nave a ruota nel 1472, quella ad elice prima del 1790; quando nel 1707 Papin fece navigare una nave a vapore, non ne ritrasse che scherni e lo trattarono da ciarlatano.

Il Sauvage, che finalmente potè applicare il vapore alla navigazione, lo vide in opera... dal carcere, dov'era imprigionato per debiti.

La dagherotipia venne intravveduta nel secolo decimosesto in Russia, fra noi nel 1566 dal Fabricio e di nuovo scoperta dal Thiphaigne de la Roche.

Il galvanismo fu prima scoperto dal Cotugno e poi dal Du Verney. La teoria stessa della selezione non appartiene a Darwin esclusivamente. Questa idea, come tutte le altre, ha nel passato profonde radici. "Le specie attuali non sussistono che in grazia della loro astuzia, forza e velocità; le altre sono perite" — diceva già Lucrezio —; e Plutarco, interrogato perchè i cavalli, che furono inseguiti dai lupi, fossero più rapidi degli altri, adduceva per ragione che essi soli erano sopravvissuti, essendo stati gli altri, più pigri, raggiunti e divorati.

La legge d'attrazione di Newton era già intuita nelle opere del secolo decimosesto, specialmente di Kopernico e Keplero, e fu quasi tracciata da Hooke.

E così dicasi pel magnetismo, per la chimica, per la stessa antropologia criminale, come dimostrava Antonini[8]. Dunque non è la civiltà che sia causa dei genî e delle scoperte; ma essa ne determina l'evoluzione, o, meglio, l'accettazione. Quindi è probabile che genî siano comparsi in tutte le epoche, in tutti i paesi; ma come, grazie alla lotta per l'esistenza, una quantità di esseri nasce solo per soccombere, invendicata preda dei più forti, così moltissimi di quei genî, quando non trovarono l'epoca favorevole, restarono misconosciuti, o, peggio anzi, puniti. E se vi hanno civiltà che aiutano, ve ne hanno anche di quelle che danneggiano la produzione dei genî; per esempio in Italia, dove la civiltà è più antica e dove se ne rinnovarono parecchie, una più forte dell'altra; ivi, se la tempra del popolo è più aperta, in genere tutto il mondo colto è più restìo ad ogni novità ed innamorato e quasi incatenato nell'adorazione del vecchio, quindi nemico dei novatori, e li abbatte o reprime col disprezzo o col silenzio e coll'abbandono. Invece: dove la civiltà è più recente, come in Russia e in America, le idee nuove si accolgono con un vero furore.

Quando il ripetersi della stessa osservazione ha reso meno ostica l'accettazione dei nuovi veri, o quando le circostanze rendono utili e, meglio, necessari un dato uomo od una data scoperta, esse si accettano, finendo, poi, col portarle all'altare.

Il pubblico, che vede la coincidenza tra una data civiltà ed il manifestarsi del genio, crede che l'una dipenda dall'altra, confonde la leggera influenza nel determinare lo sgusciamento del pulcino con la fecondazione che rimonta invece alla razza, alla meteora, alla nutrizione, ecc.

E non è a dire che ciò non accada nei nostri tempi; l'ipnotismo è lì per dimostrare quante volte, anche quasi sotto i nostri occhi, si rinnovò e fu presa per nuova una sempre uguale scoperta. Ogni età è egualmente immatura per le scoperte che non avevano od avevano pochi precedenti; e quando è immatura, è nell'incapacità di accorgersi della propria inettitudine ad adottarla. Il ripetersi di un'analoga scoperta, preparando il cervello a subirne l'impressione, vi trova man mano sempre meno riluttanti gli animi. Per sedici o venti anni in Italia si è creduto pazzo dalle migliori autorità chi scopriva la pellagrozeina; ancora adesso il mondo accademico ride dell'antropologia criminale, ride dell'ipnotismo, ride dell'omeopatia. Chissà dunque che anch'io ed i miei amici, che ora ridiamo dell'incarnazione spiritica ed astrale, non commettiamo un altro di quei crimini contro il vero, poichè noi siamo — come gli ipnotizzati, grazie al misoneismo che in tutti noi cova — nell'impossibilità d'accorgerci quando siamo nell'errore; e proprio come molti alienati, essendo noi al buio del vero, ridiamo di quelli che non lo sono.

Finchè l'età sua non sia giunta, finchè l'umanità non vi sia matura, ogni scoperta, ogni idea nuova è, dunque, come non fosse mai nata.

CAPITOLO IV. Vantaggi della libertà.

Ed è perciò che solo nei paesi più liberi vegeta rigogliosa la genialità. Io l'ho dimostrato graficamente nell' Uomo di genio col parallelo tra i dipartimenti più liberali nelle elezioni di Francia e i dipartimenti più ricchi di genî, come il Varo, la Senna, il Rodano, la Saona e Marna, la Meurthe, la Vandea, il Morbihan; mentre i Bassi ed Alti Pirenei, il Gers, la Dordogna, il Lot — reazionari — danno pochissimi genî. È così grande e completa questa analogia, che spesso maschera e confonde quella della razza, della densità, della ricchezza, ecc.

Ginevra, che nel 1500 era detta la città dei malcontenti, certo era la più geniale della Svizzera, e così dicasi di Atene, la quale, nel più fiorente periodo della sua libertà o, meglio, anarchia, giunse a contare 56 grandi poeti, 21 oratori, 12 storici e letterati, 14 tra filosofi e scienziati e 2 sommi legislatori, come Dracone e Solone, mentre Sparta oligarca ebbe poche o punto rivoluzioni, ma pochissimi ingegni famosi (non più di sei, secondo lo Schoell); — la lotta per la libertà in Olanda, in un'epoca in cui il senso della libertà era quasi sconosciuto in Europa, ci spiega come questo popolo abbia dato, appunto allora, un così grande numero di genî politici e artistici.

Fu sopratutto grazie al lungo periodo di libertà — 700 e più anni —, periodo superiore a quello goduto da tutti i popoli d'Europa, che Venezia riuscì a superare tutti gli altri in grandezza politica, come ho dimostrato nel Perchè fu grande Venezia?[9]; e così Firenze e Roma diedero i loro più grandi genî nell'epoca della loro maggiore libertà, anzi dell'anarchia. E qui ricordo di nuovo come debba sfatarsi l'idea che all'aristocrazia chiusa di Venezia negli ultimi secoli fa merito della sua grandezza; così come quell'altra, pure erronea, che attribuisce la ricchezza in Roma ed Atene ad Augusto o a Pericle. Tale ricchezza, formatasi durante i periodi di libertà anche eccessiva, non avendo avuto tempo di scomparire nelle prime epoche della tirannide, si volle attribuire a questa invece che a quella; ma la tirannide non fece che accogliere gli ultimi frutti della libertà per vantarsene e per disperderli.

Tacito lo nota pei genî romani: "Postquam bellatum apud Actium atque omnem potentiam ad unum conferri paci interfuit magna illa ingenia cessere "; come altrettanto affermava Leonardo Bruni per Firenze nella Laudatio urbis Florentinæ (Livorno, 1789, pag. 16) contro la leggenda che ne attribuisce la grandezza al mecenatismo mediceo.

E ciò ben si comprende perchè il governo di molti, anche se troppo libero, mette in opera tutti gli ingegni e ne accoglie le nuove idee; mentre la tirannide, nemica, fin dal tempo dei Tarquinî, di ogni elevatezza individuale, tenta sopprimerla e soffocarne ad ogni modo i conati; e quindi è più facile che giovi allo sviluppo dell'arte e della politica una libertà anche sfrenata che non un governo dispotico, sia pure inspirato da un uomo di genio.

Chi può paragonare la produzione letteraria ed artistica sorta a Parigi sotto Napoleone con quella della grande epoca fiorentina e ateniese?

Ed ecco spiegato anche, così in gran parte, quel fenomeno, che sarà rimasto difficile a comprendersi, della grandezza fiorentina in confronto a quella di Napoli e di Palermo, dove poche opere grandiose d'arte lasciarono traccia di sè e dove la somma dei genî non raggiunse il livello toscano; eppure non mancò nè all'una, ne all'altra il clima favorevole di mite temperatura, di collina e mare che io ho dimostrato essere il più opportuno pel genio; nè vi mancò l'innesto etnico, nè la razza intelligente, etrusca negli uni, grecolatina negli altri, con mistione di Normanni, ecc.

La genialità è un carattere dell'evoluzione e della libertà, e ne è un indizio; e non tanto perchè essa ne sia originata, ma perchè solo l'evoluzione e la libertà servono a metterla in onore e diffonderla.

Carlyle, negli Eroi, scrisse che il miglior indice della coltura d'un'epoca è il modo con cui essa accolse i suoi genî.

È perciò assai probabile che di genî ne siano sorti o ne sorgano in tutti i tempi e in tutti i paesi; ma non sopravvivono, perchè non sono compresi, che dove il fermento di libertà renda loro meno aspra la strada, domando l'odio del nuovo che tende sempre a soffocarli nel nascere; e così nel Nord d'America Whiteman, Longfellow, Edison sono dappertutto acclamati, e in Italia, dove la libertà è inceppata da ogni parte, i veri genî trovano, sì, copia di onori e monumenti, ma... dopo la morte.

Per comprendere meglio quest'influenza, basti l'esempio delle sventure di Galilei per una semplice teoria astronomica, che non intralciava, nè offendeva interessi mondani.

Nei paesi poco liberi l'odio del nuovo trova naturali alleati nei reggitori, e quindi è irremissibilmente soffocato e punito.

Io ne vedo, fino ad un certo punto, una prova nella sorte della nuova Scuola penale da me iniziata e che trova, per esempio, in America ed in Svizzera, Olanda e in Svezia un pubblico favorevole che la propugna, mentre è irremissibilmente respinta da ogni cattedra, come da ogni ufficio, come da ogni progetto di legge nei paesi come l'Italia, in cui il popolo è ancora schiavo dei vecchi e vieti pregiudizi e governato semi-asiaticamente.

E quest'azione negativa è così grande, che fa credere ad un'azione diretta dell'ambiente favorevole al genio.

Si vede, dunque, che le condizioni ereditarie e d'ambiente, su cui più si faceva assegnamento per l'origine delle varietà geniali, o mancano, o sono contraddittorie.

Memoria visiva, tipo immaginativo, ecc. — Basterà egli a determinarle la particolare tempra dell'organismo geniale, secondo che vi predomini, cioè, la memoria visiva o l'acustica, secondo che sia più viva la fantasia, più rapida che precisa la percezione e viceversa; fatti questi che noi abbiamo potuto fissare nel genio[10], con lo studio della grafologia, nella scrittura così nitida e calma, quasi a stampatello, nei chimici e nei matematici, così aggrovigliata e precipitosa in quelli in cui predomina la fantasia.

E qui giova l'osservazione sperimentale di Binet e Lecler[11] che in ogni gruppo d'uomini vi ha il tipo immaginativo — poeta — e quella di osservazione minuta, arida, ma precisa; il che dividerebbe nettamente la scienza dall'arte.

Sì, queste condizioni hanno un'enorme influenza sulla direzione generale del genio, ma più ancora sul colorito, sull'aspetto delle sue opere. Così lo smagliante stile di Victor Hugo si deve certo al predominio eccessivo dei centri visivi, all'esser egli un visivo per eccellenza, lui che si ispira nei primi versi de Les orientales ai tramonti di Parigi; e così dicasi degli abbaglianti, luminosi quadri del Segantini, che, a quattro anni, cadendo in un fiume, non resta colpito che dal bagliore dell'acqua e dalla ruota del mulino; come il predominio dei centri olfattivi entra nelle opere di Zola per molta parte, come il predominio dei centri acustici che fan discernere ad Helmoltz i toni musicali nella cascata del Niagara, dev'essere entrato per molto nella scelta e nella condotta delle sue ricerche tanto originali d'acustica, elevata da lui a nuova scienza. Ma oltre che vi sono genî, come il Leopardi, in cui l'ottusità e la depressione nei centri visivi, olfattivi, ecc., non solo non impedirono di dare, ma anzi, dando insueto predominio ai centri chenestetici, impressero alle opere loro quel singolare colorito che ci strappa una così nuova ed universale commozione come quando ammiriamo i quadri dei notturni Norvegesi, bisogna pur aggiugnere che il campo della genialità è troppo vasto e insieme troppo suddiviso, perchè vi predomini solamente quell'influenza. Date pure una parte d'influenza, e grande, all'essere uno visivo piuttostochè auditivo; ma se un visivo può divenire scultore, come poeta, o istologo, o statista, o magari calcolatore-prodigio, che vede allineate nella mente le cifre da calcolare, questo predominio non basta da solo a determinare la scelta della varietà geniale.

Di più: dato un genio matematico puro (e spesso, come vedemmo sopra, il grande matematico è anche un forte musico), egli ha sempre da scegliere fra la fisica, la chimica, la zoologia, ecc., mentre il genio immaginativo può scegliere fra poesia, musica, pittura, ecc.

Per ciò, pur tenendo conto di queste varie attitudini come di una causa predisponente grandissima della varietà geniale, dobbiamo studiare di trovarne ancora quella che ne è la causa più specifica, più diretta.

CAPITOLO V. Influenza della pubertà.

Ora, chi analizzi le biografie dei grandi uomini, di cui si conosce la prima giovinezza, trova la causa predominante della loro speciale genialità nell'immensa influenza che viene dal combinarsi di una data fortissima impressione sensoria, di una data forte emozione, consona, ben inteso, alle tendenze organiche e al grande sviluppo mentale dell'individuo geniale col momento vicino alla pubertà, in cui il genio, essendo in istato nascente e per ciò più soggetto agli stati emotivi, ha la maggiore tendenza a fissarsi per sempre in una più che in altra direzione,

E qui le prove sovrabbondano.

Così, per esempio, di Segantini bimbo, seppellito in un riformatorio, i superiori, nella loro sapienza burocratica, volevano fare un calzolaio; fortunatamente, egli fugge dai suoi singolari patroni nella nativa montagna, dove, pastore, ritrae inconscio, e senza darvi alcuna importanza, montoni e casolari; ma quando a 12 anni vede morire una bambina e sente la madre straziarsi per non poterne conservare l'immagine, egli si sente ispirato a farne il ritratto e da quel giorno diventa il grande Segantini. Il combinarsi di una forte impressione morale e fisica nell'esordire della pubertà in un ingegno visuale così poderoso ha fatto di lui un pittore geniale.

Così Proudhon era un povero figlio di un boscaiolo; il curato gli aveva insegnato un po' di latino e i Benedettini di Cluny qualche po' di disegno: a 14 anni, mentre egli tentava di copiare da sè alcuni brutti quadri del convento, fabbricandosi i colori col succo delle piante e i pennelli coi crini di un mulo, fu avvertito da un frate che con quei suoi strani mezzi a nulla sarebbe riuscito, perchè quei quadri erano ad olio: bastò ciò perchè egli ritrovasse da sè la pittura ad olio, come Pascal trovò la geometria.

Stuart Mill è a 12 anni così colpito dallo studio della Storia dell'India del padre suo, che da quel giorno data la sua genialità.

Arago, figlio di un avvocato, precoce nel leggere la musica, si occupava di autori classici; la passione per le matematiche gli sorse tutta a un tratto nel sentire da un ufficiale del genio com'egli fosse giunto rapidamente al suo grado, uscendo dalla Scuola politecnica, dove si studiava matematica. Abbandona allora Corneille per darsi alle matematiche, che studia da sè, e a 16 anni era pronto per l'esame al Politecnico.

Tommaso Joung, precoce sì che a due anni leggeva e a cinque aveva imparato un gran numero di poemi inglesi e latini che recitava a mente, vede a otto anni presso un agrimensore gli strumenti per misurare le distanze e l'elevazione dei corpi lontani: tosto si mette a studiare un trattato di matematica per capire la struttura di siffatti arnesi: e finisce a costrursi da sè un microscopio per studiare la meccanica e imparare il calcolo differenziale[12].

Galileo, fino al 17º anno, non aveva fatta alcuna rilevante scoperta: si sentiva, sì, inclinato alle scienze esatte, e per ciò aborriva le inesattezze dei metafisici e dei medici di quell'epoca; fu solo quando, al 18º anno, il terzo dei suoi studi in medicina, egli vide nella chiesa maggiore di Pisa una lampada, mossa dal vento, percorrere lo spazio in tempo uguale, che pensò subito ad uno stromento — il pendolo — per studiare l'isocronismo del tempo e stabilire con grafiche e precise leggi la maggiore o minore velocità del polso; e da questo passò agli altri studi fisici.

Lioy, nel Primo passo di Martini, confessa che aveva 8 anni quando, essendogli nato un fratellino, fu chiuso in una biblioteca, perchè non disturbasse la madre, e gli fu dato a leggere un volume di Buffon. Fu questo la scintilla del suo ingegno: "Mi par di vedere ancora — egli scriveva — quegli uccelli; io li sognava tutta la notte; il mio grado di aiutante naturalista era raggiunto".

Di Poisson[13] i parenti volevano fare un chirurgo-flebotomo e lo affidarono ad uno zio, che pretendeva educarvelo, facendogli pungere con la lancetta le venature delle foglie dei cavoli; ma egli sbagliava sempre: quando un giorno, fra gli 8 o 9 anni, trova un programma della Scuola politecnica e sente che può sciogliere e scioglie immediatamente alcuni di quei quesiti; la sua carriera era trovata.

Lafontaine era figlio di un burocratico e scribacchiava versi di poca importanza, quando gli cadde sotto mano la bella ode di Malherbe sulla morte di Enrico IV. Allora comprese di essere poeta e lo fu.

Gianni ( Biografia universale ) divenne poeta quando lesse l'Ariosto; egli allora, poco più in là dell'età della pubertà, improvvisò versi prima ancora di aver imparata l'arte di comporli.

Lagrange non aveva grandi attitudini per gli studi: il suo genio si rivelò al secondo anno di liceo quando lesse uno scritto di Halle; gettò giù allora il suo Primo saggio sul metodo delle variazioni.

Rusckin, dall'aver veduto a 15 anni, una sera d'estate del 1833, da un elevato giardino di Sciaffusa, come confessa nel suo volume del Præterita, gl'illimitati, alti, affilati contorni delle Alpi disegnarsi sul cielo rosso, ebbe l'ispirazione di quella nuova estetica che sviluppava più tardi.

In questi casi non è che la sensazione abbia provocato il genio, ma fu l'occasione, perchè si rivelasse e s'incanalasse in un dato indirizzo; essa ha determinato, insomma, un individuo, predispostovi organicamente, a rivolgersi, a salpare per quella mèta, d'onde le circostanze, l'educazione, ecc., tendevano forse a deviarlo.

Così Darwin, come dicemmo, era predisposto alle grandi sintesi naturalistiche dall'eredità atavica, essendo parecchi dei suoi avi indirizzati verso la stessa sua strada, e l'ingegno suo già precocemente se ne era rivelato, fino a un certo punto, con l'idea di ottenere piante colorate; ma, come egli confessava[14], tutta l'educazione ch'egli ricevette non influì per nulla nei suoi studi: il punto di partenza della sua grande creazione fu il Viaggio della Bearle, e l'intenso desiderio di far questo viaggio gii venne dall'aver avuto fra le mani, nel tempo della pubertà, un libro sul Viaggio intorno al mondo.

Sir William Herschell non era che un suonatore ambulante, d'ingegno, che imparò malamente da sè lingue e matematica; l'aver veduto, a ventun anni, con un telescopio, il campo dei cieli, lo colpì così da indurlo a fabbricarsene uno egli stesso e studiare la lega dei metalli che meglio riflettesse la luce, sicchè a 30 anni ne aveva costrutto uno grande di sua mano.

Lalande, allievo dei gesuiti, componeva a 10 anni drammi e romanzi, ed aspirava a divenire un eloquente avvocato; ma quando un astronomo gli fece osservare la grande ecclissi del 1748, egli a 16 anni sentì scoppiarsi la passione dell'astronomia, dove divenne sì celebre.

Boerhave era destinato al culto e ne aveva presa la laurea: un'ulcera della mano, che lo tormentava a nove anni, gli fece sviluppare la passione per la medicina.

Tutti costoro, Lalande, Lagrange, Joung in ispecie, fino al momento in cui un accidente mise loro nelle mani gl'istrumenti o i libri di geometria, erano o si credevano appassionati pei classici, mentre Gianni da bustaio diventò poeta leggendo l'Ariosto.

In altri genî, però, l'immenso effetto che lascia a lungo dietro sè la prima emozione, dimostra che si tratta di una vera trasformazione operata da quella data impressione sensoria ed emotiva nell'epoca della pubertà, poichè essi dichiarano come senza quella non sarebbero stati tratti alla nuova carriera.

Così Guerrazzi scrive di sè: "Convien notare certo avvenimento, il quale può considerarsi come epoca del mio cervello. Volle il destino che in quel tempo (aveva 12 anni) mi capitasse in mano l'Ariosto. Uno spirito nato a trasalire per le vibrazioni del bello come le corde dell'arpa, costretto fino allora fra le esose spire grammaticali e fratesche, all'improvviso si immerge nelle gioie dell'Ariosto. Ogni uomo desidera il paradiso a modo suo; per me il paradiso è l'anima di quel tempo, è messer Ludovico. Desinavo coll' Orlando accanto al pane, cenavo egualmente e il padre doveva spegnermi il lume per mandarmi a letto. Cosa io valga non so; questo vedranno i posteri; ma se qualche cosa valgo, lo devo all'Ariosto"[15].

Qui si vede chiaramente espressa la portata dinamogeno-emotiva di una data impressione su un uomo geniale nell'epoca della pubertà, malgrado l'educazione lo abbia disposto in senso contrario a quelle che erano le sue vere tendenze.

Un analogo esempio ci è offerto da Galileo, che l'educazione spingeva agii studi classici, o di medicina teorica, o di musica (Vedi sopra), e fu spinto dalla vista del dondolamento d'una lampada sospesa ad ideare il pendolo, e agli studi di matematica e di astronomia, tanto più se si pensi che applicazioni sempre nuove del pendolo ritornano alla sua mente in quasi tutte le epoche della sua vita, fin presso alla morte: quando studia medicina, nel 1583, lo applica alla misura del polso; appena iniziatosi agli studi astronomici, lo adatta alla misura delle stelle e del tempo, come si vede da una sua lettera del 1657 a Reagli; e, infine, quando, già cieco, nel 1641, è vicino a morte, pensa — scrive Viviani al Duca — che quel suo misuratore del tempo sarebbesi potuto applicare agli orologi; e fu solo la cecità, rendendone informi i disegni, poi la morte che impedirono a lui di completare così l'opera iniziata a 17 anni nel duomo pisano[16].

CAPITOLO VI. Influenza dell'amore.

A molti la prima spinta, la prima emozione creatrice fu data dalla bellezza femminile e dall'amore.

Petrarca a 14 anni fu tratto alla poesia e alla genialità dall'aver veduta per la prima volta Laura il 6 aprile 1327. "Non taccio — che io di quel poco che io sono, tale io sono per quella donna; e che se ho pur qualche fama o gloria, a ciò non sarei mai pervenuto se la sementa tenue di virtù che natura aveva posto nell'animo mio essa non avesse coltivata con sì nobili affetti".

La bellezza femminile e l'amore, secondo Finzi, trasformava Leopardi da arido erudito in poderoso poeta ( Letteratura ).

Nencioni racconta che i primi versi a vent'anni gli furono ispirati dalla visione di una donzella bellissima.

Or ora il De Amicis raccontava di uno dei primi poeti vernacoli piemontesi che a ventidue anni non aveva scritto ancora una riga e che, dopo aver sospirato a lungo dietro un'altissima dama, si trovò con lei in ferrovia e n'ebbe, in un momento in cui s'eran spenti i lumi, una pressione dolcissima della mano che gli rivelava esser egli compreso e corrisposto. A poche ore di distanza da quell'avvenimento egli dettava il più bello dei suoi poemi: Il sogno di un pastore, e dopo d'allora divenne valente poeta.

Anche Dante confessa esser stato l'incontro di Beatrice nella prima giovinezza che lo creava poeta.

E Burns, pastore inspirato già dai canti popolari della madre, scrisse a 15 anni la sua prima poesia per l'amore di una fanciulla.

In altri invece l'emozione religiosa fa le funzioni dell'erotica, come in Lacordaire che si sentì genio dopo la prima comunione, come in Rapisardi che racconta come a 13 anni un'ode a Sant'Agata aprì la cataratta dei suoi versi.

CAPITOLO VII, Influenza della pubertà sulle conversioni e sulla criminalità.

1. Conversioni. — Il fatto di maggiore importanza in questi casi è che appartengono tutti alla fanciullezza avanzata o all'incipiente pubertà.

Ora, per comprendere questa prevalente influenza di una causa esterna, di una sensazione nel momento vicino alla pubertà (alle influenze esterne, alle forti sensazioni l'uomo è esposto in ogni altra epoca senza gran reazione), bisogna ricordare l'enorme importanza che per lo sviluppo mentale ha l'epoca pubere e la grande impressionabilità che ha allora l'uomo moderno alle cause esterne.

In quel momento in cui le abitudini dell'infanzia svanendo, le nuove non sono ancora subentrate, l'uomo si ritrova in istato di crisalide, pronto a ricevere le nuove impressioni.

"È erroneo — dice Starbuck a proposito delle conversioni religiose — credere siano le abitudini infantili che determinino l'andazzo della vita: il bambino agisce inconsciamente, e fa quello che gli ordiniamo, dando così alla religione l'interpretazione arbitraria che noi gli forniamo.

"La crisi della conversione è negli uomini, spesso incoscienti, preceduta da un lungo periodo di dubbi, di angoscie, di lotte, che finisce, in un dato momento, sotto l'influsso di una parola, di un libro, di una predica, a cui segue un lungo periodo di gioia tumultuosa.

"Come il metallo chiuso in un solvente si rapprende e cristallizza secondo il sistema del cristallo che viene gittato nel solvente, così l'adolescente, in cui la vita pare sconnessa, cristallizza le sue idee secondo la più forte impressione che riceve in un dato momento".

La gioventù è in istato di esplosività latente, pronta a scoppiare sotto questa o quella influenza, sia delle concezioni scientifiche, sia degli entusiasmi dell'arte, o delle sventure, o delle lotte. L'adulto è gettato in mezzo a nuovi ambienti, a nuovi individui, a nuove abitudini; ma queste non trovano così pronta eco nel suo animo: la sua via da percorrere è stabilita: egli ha sentimenti e idee proprie ed è difficilmente influenzabile.

Una prova importantissima a questo proposito è stata raccolta dallo Starbuck[17], coll'esame personale dei motivi che avevano indotti alla conversione centinaia di studenti dei seminari e delle alte scuole dell'America, sia maschi che femmine; egli trovò che la conversione è determinata in parte dall'influenza dei genitori[18] e della famiglia, a cui s'aggiunge quella dei libri, degli amici, dei maestri e delle persone, il cui carattere desti ammirazione, o da sventure domestiche.

Ma quello che più importa è che tutte queste influenze sono subordinate a quella della pubertà, perchè esse agiscono solo all'epoca della pubertà, o, per dire più esattamente con lo Starbuck, nel periodo di sei anni circa che ne precede e ne segue lo svolgimento; epoca che — com'egli ben nota — è assai indeterminata, specialmente nel maschio, e si prolunga assai nei suoi effetti psichici e fisici.

Da una tavola grafica, infatti, che lo Starbuck annette a questo capitolo, si vede che pei maschi il massimo delle conversioni è a 16 anni, essendovene però un secondo massimo a 12 anni e un terzo, più debole, a 9 anni (Vedi Tavola I).

Nelle donne la linea è meno precisa: dà cifre abbastanza rilevanti già a 7 o 8 anni, con un massimo ai 13 anni, un altro ai 16 e due minori ai 18 e ai 20 anni, per cui è insieme più precoce e tardiva.

Gli anni in cui comincia la conversione — nota sempre lo Starbuck — coincidono con quelli in cui Hacook trovò coi tests mentali il massimo di altezza nella facoltà di ragionare. Si vedono anche le linee della conversione alternarsi e avvicendarsi con le linee dell'accrescimento fisico, perchè la statura e il peso degli individui, studiati ancora dallo Starbuck nello stesso paese, davano il massimo dell'accrescimento dapprima agli 8 anni, poi ai 10. Quanto al peso, si ha il grande massimo a 16 e poi il 2º massimo a 10 anni, mentre nelle donne l'accrescimento è press'a poco graduale, senza salti improvvisi.

2. Criminalità. — Ma non è solo nel formarsi delle conversioni che coincide la fase della pubertà, ma anche nell'incoarsi del crimine.

Tavola I[19]

Io dimostrai già che l'iniziarsi e il compiersi della pubertà, fra i 15 e i 20 anni, si accompagnano all'improvviso svolgersi delle tendenze delittuose: il che fu presentito dalle plebi nei proverbi e nei nomignoli: bulo, scogneco, che significano criminalità speciale del giovane che vuol parere uomo, sopratutto con la parola: omertà, la quale accenna insieme alla virilità e alla criminalità. Vi è insomma sul principio della giovinezza una tendenza istintiva verso il delitto, considerato come una prova di forza, di maturità; il che ricorda come la toga pretestata dei selvaggi si guadagni sempre con un omicidio.

Marro[20] ebbe a studiare questa recrudescenza degl'impulsi atavici su 900 scolari da 9 a 10 anni e su 3012 da 11 anni a 18.

Nei primi la cattiva condotta era del 18% e nei secondi del 9%; la mediocre era del 33% nei primi e del 46% nei secondi, e precisamente la scala criminosa dava il massimo di cattiva condotta a 18 anni, col 74%, poi a 11 anni, col 69%, calando poscia a 58, 62, 60, ecc., nei 14, 13 e 12 anni, dando dunque due punti massimi tra 11 e 13 anni e tra 16 e 18 anni, come le conversioni.

Egli narra di furti o, meglio, di accessi cleptomani in ricchi, che, senza bisogno, rubavano, per esempio, scarpe, carte esposte al pubblico, che poi gettavano via.

Molte volte qui non si tratta che di una criminalità passeggiera, legata ad un fenomeno assai generale della pubertà e che si riallaccia a quella specie di follìa transitoria, la quale si manifesta quasi generalmente nell'epoca pubere, e che han già notata i maestri ed educatori e ultimamente anche gli alienisti.

Marro dimostrò, infatti, come il carattere dei ragazzi si cambi nell'epoca della pubertà, e come in questa età diventino irritabili e tristi anche quelli più tranquilli; a più forte ragione e intensità gli anormali. Così spiegasi perchè i delinquenti diano una quota massima di delitti all'età pubere, che poi decresce, per poi rimontare, dai 20 ai 30 anni, al 45% di tutti i delitti.

Nei suoi profondi studi Starbuck[21] trovò pure in quest'epoca pubere una specie di follìa nella proporzione del 47% nei maschi e del 35% nelle femmine.

Questa follìa si manifesterebbe con angoscie, dubbi e lotte interne, ch'egli dedusse da queste risposte: "Io caddi in un profondo stato di amarezza"; "Mi sentivo come se avessi commesso un peccato imperdonabile"; "Avevo come un rimorso ostinato", ecc.

Anch'io in molti puberi còlti trovai diffusa la tendenza impulsiva, piromanìaca, cleptomane e ambiziosa, qualche volta perfino con allucinazioni e quasi sempre con tendenze megalomanìache.

E propriamente di 47 indagati, 16 mi hanno dichiarato di aver nulla provato o di nulla ricordarsi; 7 ricordarono di aver avuta, tra gli 8 e i 12 anni, una strana megalomanìa, in contrasto con le condizioni di famiglia; di diventare conquistatori delle isole descritte da Verne o della Repubblica di San Marino; 5 rubavano in casa per far getto del denaro; o, figli di proletari, pretendevansi ricchi e potenti; 5 avevano idee persecutorie di essere arrestati dalla polizia, di divenire soldati a 8 anni; 3 erano insultatori, litigiosi, villani; 8 furono presi da vera manìa religiosa di diventar missionari o eremiti; 2 altri avevano impulsi osceni; uno manìa suicida. Un giovane, ricco, onestissimo, durante l'epoca della pubertà rubava persino le monete dalle botteghe, pur non avendone alcun bisogno, poi le gettava via o le nascondeva.

Una maestra di un collegio di Torino mi raccontava di tre sorelle che successivamente ebbe in collegio, le quali, tutt'e tre tranquille e buone, diventarono dai 12 ai 15 insopportabilmente mentitrici e cattive, e tornarono buone e tranquille più tardi.

Due fratelli ed una sorella in età pubere, fissatisi in mente di trovare la dirigibilità dei palloni volanti, di cui avevano letta una descrizione,, rubano cinquanta lire al padre ed abbandonano la casa, lasciando scritto che non torneranno se non dopo essersi arricchiti con la fatta scoperta.

Il figlio d'un maestro di campagna dai 10 ai 12 anni s'immaginò di diventare ricco e potente, e, per farsi credere tale, pagava il biglietto del tram il doppio, rubava in casa denari che spendeva senza ragione.

Uno studente dai 13 ai 14 anni sognava di dettare opere grandiose, ma intanto rubava denari a casa e li spendeva senza ragione o davali in dono al primo venuto.

CAPITOLO VIII. La pubertà nei degenerati. Psicopatie sessuali.

1. La pubertà nei degenerati. — E qui alcuni ci obietteranno: Mentre nei genî la coincidenza con la pubertà e coll'ispirazione è generale, quella della pazzia e della criminalità è parziale, poichè accresce appena di un tanto per cento la cifra media, ed è transitoria, nè lascia nella vita dell'individuo l'impronta che vi lascia il genio.

È facile, però, il rispondere che questo fenomeno, di così poca importanza per gli uomini medi, ne assume una enorme e costante nei degenerati.

Difatti, le psicosi più gravi della pubertà, quelle che più facilmente finiscono in demenza, sono ereditarie, degenerative. Kahlbaum ed Ecker descrissero un'ebefrenìa, o pazzia della pubertà, da causa ereditaria con alterazioni del sentimento e delirî di peccato che finiscono in demenza; anche Clouston ammette una psicosi della pubertà, grave, con deliri eretico-religiosi, con intermittenza di sintomi, guarigione solo nel 51%: e anch'essa a fondamento ereditario.

2. Psicopatie sessuali. — E poi è appunto solo nei psicopatici ereditari che si possono sorprendere quelle forme di pervertimento sessuale che presentano precisamente lo stesso andamento da noi trovato nella creazione geniale: individui con apparato psichico integro, sotto una data impressione subita o durante o poco prima della pubertà, ne restano così polarizzati, da foggiarne e fissarne per sempre tutto il contenuto psicosessuale. Si tratta di quegli individui che non possono per tutta la vita godere voluttuosamente se non per vecchie, col capo coperto da una cuffia, o per donne che tengono una candela in mano e li insultano, ecc., fatti che non hanno rapporto alcuno con l'atavismo e si spiegano solo quando, interrogato il paziente, ci rivela come nel momento del primo eccitamento erotico fosse colpito così fortemente dall'immagine di una donna con la cuffia, ecc., che dopo non fu più eccitabile al coito se non sotto questo spettacolo.

Gli è che la prima causa anomala eccitatrice alla Venere finisce per eccitarla sola in seguito, escludendo tutte le altre, anche le più organiche; così L..., commesso di negozio, predisposto per labe gentilizia, ebbe la prima erezione all'età di cinque anni al vedere un suo parente adulto, che dormiva nella stessa camera, mettersi sulla testa un berretto da notte; e risentì lo stesso effetto un'altra volta che vide una vecchia serva di casa coprirsi la testa con una cuffia da notte. In seguito solo l'immaginare una vecchia e laida testa di donna acconciata a questo modo gli provocava l'erezione e perfino l'ejaculazione; egli non fu mai innamorato fino all'età di 32 anni, in cui sposò una bella ragazza; senonchè nella notte delle nozze rimase ineccitabile, finchè non richiamò alla memoria la immagine della vecchia e brutta testa coperta della summenzionata cuffia. In seguito per tutta la vita dovette sempre ricorrere a codesto eccitamento.

Ma costui era un degenerato e, probabilmente, un epilettico. Fin dalla fanciullezza aveva di quando in quando accessi di depressione profonda dell'animo con tendenza al suicidio e, talvolta, allucinazioni notturne terrifiche: l'affacciarsi al balcone gli causava vertigini e lo gettava in uno stato di ansia: era mancino, eccentrico, e di spirito debole[22].

C..., d'anni 37, anch'esso di mente debole, con predisposizione gentilizia, plagiocefalo, vide a quindici anni un grembiale appeso; se lo legò intorno e vi si masturbò dietro un cespuglio: da quel tempo non poteva vedere grembiali senza ripetere quell'atto: e scorgendo qualcuno, uomo o donna non importava, adorno di grembiale, si sentiva spinto a corrergli dietro. Per toglierlo ai suoi furti infiniti di grembiali, a 16 anni, fu messo in marina; lì non v'erano grembiali e stette quieto; ma, rimpatriato a 19 anni, rubò nuovamente grembiali e venne più volte incarcerato; tentò allora liberarsi del suo fatale impulso, dimorando più anni in un convento di Trappisti; ma, uscitone, tornò da capo. In occasione di un nuovo furto, fu sottoposto a perizia medico-legale e ricoverato in un manicomio. Egli non aveva mai rubato altro che grembiali e l'inebbriava ancora di piacere la memoria del primo furto; nè altra cosa sognava se non grembiali; e sempre il solo rammentarglieli lo rendeva atto alla Venere[23].

Un caso simile ebbi a osservare ed esporre nell' Uomo delinquente, vol. II, in un ladro rachitico degenerato.

R... P..., di 12 anni, provò il primo potente stimolo sessuale un giorno che casualmente si era coperto con una pelle di volpe: d'allora in poi si masturbava, coprendosi con una pelliccia o mettendo nel suo letto un cagnolino peloso. Le sue polluzioni notturne erano provocate da sogni, nei quali credeva di giacere nudo su molli pelliccie e di esserne involto da ogni parte; nè uomini, nè donne riescivano ad eccitarlo.

Tambroni narra di un giovane con labe ereditaria, che, a 11 anni, vedendo in un giornale illustrato la figura di un vecchio in atto di calpestare la figlia, ne ebbe senso di voluttà e ejaculazione, che si ripeteva ogni volta gli tornava nella mente quel disegno, e ciò fino a 16 anni, epoca in cui andò in un postribolo. Qui s'accorse non poter sacrificare all'amore se non rievocava quella figura[24].

P... X., d'anni 34, figlio di un alcoolista, fu arrestato per aver acceso con un sigaro le vesti di tre donne per le vie, per averne danneggiate altre con vetriolo e per averne tagliuzzate altre con cesoie: richiesto delle cause che ve lo indussero, ricordò d'essere stato commosso sessualmente la prima volta da giovanetto alla vista di un bianco guarnellino che ornava una giovinetta: subito lo rubò, e, dopo esserci masturbato, lo bruciò, ed alla vista delle fiamme provò il massimo godimento: da quel giorno il bruciare, il guastare ciò che aveva prima contemplato con ardore di amante divenne il massimo dei suoi bisogni.

F... X..., che ha l'ossessione di pungere a sangue le natiche delle ragazze e sviene dal piacere nel farlo, a 13 anni era stato colpito alla vista delle natiche di una donna: e dopo d'allora il toccar quella regione e pungerla era divenuto il suo sogno predominante[25].

Un altro, che aveva un feticismo erotico per le donne vestite da modella italiana, ricorda d'averne vista una di sfolgorante bellezza a sedici anni, nella prima accensione della pubertà.

Molti di questi casi non si spiegano se non ammettendo che avvengano, nell'epoca pubere o poco prima, grazie alla degenerazione, lo spezzamento e l'arresto di uno o dell'altro dei varî periodi dell'atto sessuale e dei varî suoi stadi, per cui si passa dal semplice eccitamento erotico al completo godimento, sicchè quella prima causa di piacere che ciascuno di noi può provare per breve tempo, senza molto badarvi al vedere uno stivalino, per esempio, o un fermaglio di donna, si fissa, si eterna e si sostituisce in tutto o in parte alla serie completa degli atti della funzione ejaculatrice.

In seguito alla maggiore intensità di piacere incontrata nei primi periodi (quando vi basta il toccamento, o il pensare, o il vedere una parte lontana della persona, o l'odorarne gli effluvi sessuali), il degenerato si ferma a questi periodi, ne ottiene gli interi godimenti e non passa più agli ultimi stadi, che a poco a poco vengono messi da parte come meno eccitanti, finchè si obliterano. Questo stadio si sostituisce dunque a tutto il procedimento erotico, tantochè, per esempio, l'innamorato del vestiario di modelle non ha più nemmeno bisogno di vedere la faccia della modella stessa; non occorre che le parli, non occorre che la tocchi: basta ne scorga da lontano le vesti.

Ma il fatto più importante, in questi come nei genî, fu la concomitanza, l'azione della pubertà, grazie alla quale si è perpetuato per tutta la vita sessuale del degenerato il primo stadio dell'eccitamento sessuale, perpetuandone così i primi incidenti da sostituirli a tutti gli altri stadi che si succedono nel contenuto sessuale normale, precisamente come accadde dell'idea geniale fissata in un dato momento dell'età pubere.

3. Paranoici. — Anche in molte paranoie ereditarie si osserva un fenomeno analogo; il che spiega certe stranezze che la psicologia normale e l'atavismo sarebbero impotenti a interpretare: si tratta d'individui, che, colpiti da una forte emozione, ne restano polarizzati per tutta la vita. Così una ragazza, sentendo un uomo parlare a lungo degli organi genitali, ne ha un profondo orrore e fissa e fantastica di sentirsi sempre ripetere quelle oscene descrizioni; così una signora, dopo che fu spaventata dalla vista del Vesuvio in eruzione, crede trovarsi sempre in mezzo ai vulcani; un'altra, presente ad una rissa in una festa da ballo, dopo d'allora vede tutti col volto mascherato.

Il caso più tipico che fa più al nostro tema è quello di Quincey, che, avendo a 6 anni veduta la sorella morta, ne resta così colpito, da veder sempre nelle nuvole schiere di letti con bimbe morte. Queste visioni si perpetuarono in gran parte della sua vita, così che egli stesso diceva che tutte le nostre idee sono in germe nel bimbo; il caso, accidente in sè stesso futile, ma decisivo per un dato individuo, fa sviluppare le nostre idee.

4. Età. — Il lettore avrà potuto osservare però che tanto in questi ultimi casi come anche nelle creazioni geniali non era esatta la coincidenza dell'epoca pubere.

Ricordiamo però che l'epoca pubere deve intendersi, come già abbiam visto con Starbuck, già sei anni prima dello sviluppo completo della pubertà; quest'epoca, poi, deve retrodatarsi e d'assai per i degenerati e per i genî, in cui la precocità è straordinaria, sicchè negli uni e negli altri la infanzia si confonde con la giovinezza. Ricordiamo Mozart compositore a 5 anni, e Gassendi predicatore a 4, e Pico della Mirandola che conosceva, parecchie lingue a 10 anni, e Kotzebue che fece a 3 anni la prima commedia[26]. Haller a 4 anni spiegava ai domestici la ballata; a 15 anni aveva scritto tragedie e poesie. Ampère da bimbo con stecchi, fagioli e pietre, prima di conoscere le cifre, aveva sciolti problemi aritmetici. Haendel compose a 10 anni dei mottetti, a 14 l'opera Edmond Rameau; a 7 anni era forte nella musica come Haidn e Beethoven, a 5 e a 6 come Cherubini. Quando si volle insegnare l'alfabeto a Victor Hugo, si trovò ch'egli l'aveva appreso da sè. E questa precocità i genî l'hanno spesso per l'amore: Rousseau a 11 anni, Dante a 9, Canova a 5, Byron a 8[27].

Ora la precocità è appunto un carattere dei selvaggi, è un carattere degenerativo che si nota appunto nei criminali (dal 31 al 45%) e nella donna criminale va fino a provocarne la mestruazione due anni prima della media[28].

Ed anche i grandi delinquenti si mostrarono tali ora allo sviluppo della pubertà, ora un po' prima. Lasagna tagliava la lingua ai buoi e la inchiodava sui banchi a 11 anni; Cartouche era ladro a 11 anni; Boulot a 13.

CAPITOLO IX. Impressioni tardive.

Viceversa, qualche volta l'impressione fecondatrice del genio avviene molto più tardi dell'epoca pubere; ma ciò si spiega, perchè le circostanze avevano impedito che avvenisse il contatto creatore o che questo fosse fecondo, male essendovi preparato l'individuo, Starbuck osservò anche nelle conversioni qualche caso di tardività; dopo, cioè, i trent'anni; ma quando l'estrema povertà o circostanze straordinarie di famiglia obbligavano l'individuo a occuparsi solo delle questioni più urgenti della vita e comprimevano nella prima giovinezza ogni alito ai grandi ideali.

E così accade delle creazioni geniali tardive.

Josephe Jacquart, nato a Lione nel 1752, figlio d'un operaio in istoffe, fu occupato nel mestiere del padre; ma, avendo salute debole e poco gusto per questo lavoro, fu collocato presso un rilegatore da libri: dopo la rivoluzione Jacquart si rimise in rapporto coi tessitori: osservò e compatì le orribili fatiche di questi infelici, e ciò gli suggerì l'idea di semplificarne gli strumenti; nè ebbe più pace finche non ebbe trovato e fatto funzionare il suo nuovo apparecchio meccanico.

Claude Chappe nel 1763 era stato collocato nel seminario di Angers, mentre due suoi fratelli studiavano in un collegio lontano mezza lega; dolente della distanza che lo separava da essi, egli immaginò di mettere un regolo di legno sopra un perno e alle due estremità di questo regolo ne mise due altri più piccoli: dal loro movimento ottenne 192 figure diverse che rappresentavano lettere o sillabe distintamente visibili al cannocchiale: avvertiti i suoi fratelli, potè comunicare con loro. Così fu inventato il telegrafo.

Samuel Morse coltivò dapprima la pittura e venne in Europa per acuire questo suo talento. Ritornando negli Stati Uniti, mentre faceva la traversata sentì un viaggiatore che parlava delle esperienze di Ampère per la trasmissione del pensiero col mezzo dell'elettricità; ne fu così colpito che volle studiare questo problema: fece molte esperienze che lo indussero poi a costrurre il noto suo apparecchio.

Caxton, nato da genitori poverissimi, da fanciullo, senza istruzione, fu messo a lavorare da un merciaio che divenne poi il lord major di Londra: acquistatane perciò una grande fiducia, fu mandato in Olanda a rappresentare la Compagnia dei merciai, e, sentendovi parlare dell'invenzione di Guttemberg, potè fare un'analoga scoperta.

In alcuni di questi casi l'influenza della pubertà, fu pure grandissima; ma non si manifestò se non quando una grande occasione determinò lo scoppio della genialità.

Così Lacordaire dalla prima confessione a sette anni aveva avuto un'impressione tanto enorme, che predicava in modo commovente in una cappella privata ai suoi famigliari. A 12 anni rinasce in lui di nuovo il fervore religioso, dopo la prima comunione, che — scrisse egli — fu l'ultima gioia della sua vita: poi diventa avvocato, ha successi fragorosi; ma tutto a un tratto, a 20 anni, è preso ancora dal fervore religioso, che determina la sua carriera e si fa sacerdote. Evidentemente se egli vi si decise già adulto, i più grandi stimoli gli nacquero alla pubertà ed anzi prima.

Berlioz a 12 anni aveva composto una pastorale; piena la testa di classici e di medicina per suggestione del padre, pur ricade innamorato della musica a 14 anni, quando gli viene alla mano un foglio di musica di ventiquattro spartiti, il che gli fece vedere quante variazioni musicali potevano stare in poche linee. Se la passione musicale scoppiò più tardi, la fermentazione erasi già fatta nella sua testa nell'epoca pubere; tuttavia egli si era di nuovo adattato a studiare medicina ed anatomia: fu solo a 17 anni, quando sentì le Danaidi, che cominciò a odiare ogni cosa che non fosse la musica: fu (confessò egli) come chi, non avendo visto fino allora che barchette, si trovasse su una immensa nave; non dormì, non mangiò per parecchi giorni; lasciò infine gli studi medici e divenne il grande compositore che tutti conoscono.

L'incosciente agì dunque in questi casi prima e sotto la pubertà, lavorò latente per anni e scoppiò sotto una circostanza che per qualunque altro sarebbe passata inavvertita.

CAPITOLO X. Ancora delle impressioni tardive ed altre cause.

1. Quest'influenza, che si svolge più specialmente nella pubertà, perchè trova la genialità nello stato nascente, può trascinarvelo anche più tardi, con molta minore frequenza però, quando sorgano circostanze che rendano più fecondo il contatto, o quando la coincidenza della predisposizione e quella dello stimolo, dello shock siano simultanee.

Si capisce, per esempio, che le gravi crisi della vita, la guarigione o l'inizio di una tifoide, di una intossicazione, specialmente di una malattia cerebrale, infiacchendo da un lato l'organismo, dall'altro provocando strane eccitazioni sensorie, rendano un uomo più sensibile ad una data impressione, così che questa vi influisca per tutto il resto della vita, tanto quanto come nella pubertà.

Io ho notato nell' Uomo di genio che Sylvester sciolse un problema matematico sotto la febbre di insolazione come Cardano sotto una febbre terzana.

2. In altri la genialità creatrice è in uno stato latente di eccitabilità, in cui si ripete per tutta la vita lo stadio creatore dell'età pubere.

Così ogni circostanza nuova della vita di Franklin fu accompagnata da una scoperta nei rami più disparati dello scibile. Operaio povero, avendo freddo nella bottega, inventò la "stufa Franklin"; in mare, misurando le temperature dell'acqua, scoprì la "teoria del Gulfstream"; segretario comunale, vedendo una donna spazzar la via, concepì l'idea di organizzare la pulizia municipale; vedendo funzionare per la prima volta una macchina elettrica, intuì l'origine del fulmine e scoprì il parafulmine.

Palissy racconta che a 25 anni vide una coppa così smagliante, così bella, che gli venne nel pensiero di fare gli smalti, malgrado non avesse conoscenza nè di terre argillose, nè di ceramiche, e si mise a disfare vasi di terra, a sminuzzarli; anche l'idea dei suoi celebri giardini gli venne sentendo da lungi certe vergini cantare il trentaquattresimo salmo, e subito gli venne in mente di dipingere in un quadro i paesaggi che il poeta vi evoca, ma poi, pensando che non sarebbe stata opera duratura, volle costrurre un giardino come l'aveva dipinto il profeta.

Victor Hugo concepì l'idea[29] del poema: Les orientales, che è il primo suo grande lavoro ed è tutto smagliante di luce, alla vista d'un tramonto d'estate. Intendiamoci bene però: l'idea germogliava già nella mente; ma quello stimolo, di cui il cervello abbisognava per produrre il capolavoro, gli venne di là; e quando lo componeva, andava ogni sera nei dintorni di Parigi a veder calare il sole e sentirne gli effetti.

3. Altre volte, invece (il caso è però rarissimo), a uomini mediocri, o quasi, si presenta una circostanza così importante, che li spinge alla scoperta anche senza il genio e senza l'emozione; e questo in ogni età della vita.

I due fratelli Mellius, olandesi, nel decimosesto secolo studiano medicina e matematica l'uno, la fabbricazione degli occhiali l'altro: un giorno, mentre Giacomo col fratello Adriano beveva ad una brocca di birra, vide battere attraverso a questa il martello sulla campana della chiesa. "È impossibile! — rispose Adriano; — di qui appena si può vedere il campanile". Allora si accorsero che, aggiungendo un vetro concavo ad uno convesso, si otteneva di poter avvicinare le distanze; e così inventarono il cannocchiale.

Schenefelder, figlio di un comico, cantante, copista e drammaturgo, a 21 anni, tornando nella sua soffitta con una pietra da rasoio involta entro un foglio di carta bagnato insieme a una contromarca carica d'inchiostro, vede il mattino dopo l'impronta di quella contromarca riprodotta sulla carta, e scopre così la litografia.

4. Meglio, ripeterò, ciò avviene se alle circostanze straordinarie si aggiunge un'influenza emotiva,

L'origine emotiva e insieme sensoria dell'estro è illustrata da Renda[30] con questo esempio efficacissimo: "Un inventore geniale, ricco delle note psichiatriche che la Scuola antropologica trova in ogni genio, affetto di nevrosi ereditaria, confessavagli che gli stimoli a costrurre due meccanismi telegrafici, adottati ormai nella pratica, furono per uno un senso di fastidio prodottogli dal rumorìo di un trasmissore, per l'altro un senso di irritazione contro l'inadattabilità delle sue dita a una tastiera; quelli gli davano un confuso senso di difetto, che, rimasto un certo tempo latente, produceva poi spontaneamente un piano che era l'idea complessiva dell'invenzione, la quale, solo più tardi, assumeva forma tecnica e matematica per una secondaria integrazione della sua intelligenza e coltura".

E ciò conferma or ora Mach con osservazioni su altri e su sè stesso[31].

CAPITOLO XI. I sogni e l'incosciente nel genio.

Un fatto curiosissimo, che primi, forse, Sergi e Renda[32] avvertirono, è la grande influenza che ha l'incosciente nell'opera del genio, influenza così grande da superare di molto quanto si osserva negli ingegni normali.

1. Sogni nei genî. — E, prima di tutto, è straordinaria la parte che prendono i sogni nella creazione dei genî.

Tutti sanno che nel sogno Goëthe ha sciolti gravi problemi scientifici e dettati bellissimi versi, come La Fontaine (fra cui la Favola dei piaceri ) e Coleridge e Voltaire. B. Palissy ebbe in sogno l'ispirazione di una delle più belle sue ceramiche.

Le molte e profonde osservazioni di Dante sui sogni ci fanno intravvedere quanto grande fosse la sua attenzione sui sogni, certo maggiore e di molto che negli altri uomini, perchè in lui i sogni devono aver fatto un'enorme impressione. Infatti, egli pel primo, ci ha rivelato come nel sogno a volte si sogna di sognare, come nel sogno qualche volta si mutano i pensieri in immagini, come i sogni siano qualche volta premonitori.

Altrettanto vedo nelle Confessioni di Daudet e del Maury: "Io ho — dice il Maury — in sogno avuto dei pensieri, dei progetti, l'esecuzione e la direzione dei quali dinotava altrettanta intelligenza quanta io ne possa avere da sveglio; anzi io ho avuto in sogno idee, ispirazioni, che mai da sveglio erano pervenute alla mia coscienza. Così in un sogno, in cui mi trovavo in faccia ad una persona presentatami due giorni prima, mi venne sulla sua moralità un dubbio che non avevo avvertito nella veglia".

Daudet creò in sogno questi versi:

A Julie.

Ainsi ne faut-il quand oyrrez l'heur' suprême

Vous despiter ni pleurer, ni crier;

Mais ramenant vos pensées en un même,

Ne faire qu'un de tout ce qui vous aime

Regarder ce: joindre mains et prier.

( Notes sur la vie, 1890).

Charles Richet una volta pubblicò un suo sogno un po' modificato sotto forma di racconto per fanciulli; Muratori in sogno improvvisa un pentametro latino; Klopstock confessa d'avere avuto un grande aiuto dai sogni nella composizione del suo Prometeo. Cardano diceva poter provocare l'estasi a volontà; ma solo però nel letto o poco prima o poco dopo del sonno. Una volta, per esempio, essendo colto verso il mattino in letto dall'estasi, ed egli destato e postosi eretto, l'estasi sparve; tornato a giacere, riapparve; e si fu allora che egli si credè di precisarne la sensazione, e la disse un lieve spiro che non proprio nel cuore, ma più sotto gli palpitava, ecc. Anzi, sembra che alcuni sogni eccitanti gli lasciassero una specie di estasi. In sogno, egli dichiarava d'aver ideato e composto molte sue opere, per esempio quella sì luminosa: De varietate rerum, e quella: De subtilitate. "Un dì, nel 1557 — narra egli nei Somniis Sinesiis, capo IV —, parvemi udire delle armonie più soavi; destatomi tosto, mi trovai in capo risolto un mio problema sulle febbri (perchè ad alcuni letali, ad altri no), a cui invano avevo pensato per 25 anni". Holde compone, sognando, La Phantasie, che riflette nell'armonia la sua origine, e Nodier creò Lidia e, insieme, tutta una teoria sulla sorte futura del sogno. Condillac nel sogno perfezionò una lezione interrotta la sera. Krüger, Corda e il Maignan risolvettero nel sogno problemi e teoremi matematici. Stevenson nel Chapter on Dreams confessa che le sue novelle più originali furono composte in sogno. Tartini ebbe nel sogno una delle sue più portentose ispirazioni musicali: "Era — racconta egli — d'aprile, e dalla finestra semi-chiusa della cella entra un acre venticello; d'un tratto le sue palpebre si abbassano, si chiudono, gli par di scorgere un'ombra che gli si drizza davanti. È Belzebù in persona; fra le mani tiene un magico violino, e la suonata comincia: è un adagio divino, tristamente dolce, è un lamento e un succedersi vertiginoso di note rapide, intense". Il Tartini si scuote, si leva, afferra il suo violino e riproduce sul magico strumento quanto in sogno aveva udito suonare. La suonata ebbe il nome di Suonata del diavolo, uno dei migliori suoi capolavori.

Anche Giovanni Duprè nel sogno concepisce il bellissimo gruppo della Pietà. In una giornata estiva, calda e afosa, il Duprè stava sdraiato sul divano e pensava, preoccupato della posa che avrebbe potuto dare a Cristo; si addormenta, e nel sonno vede l'intero gruppo, ormai compiuto, col Cristo, in quella stessa posa ch'egli anelava, ma che la mente sua non era riescita a fissare completamente.

La Beecher-Stowe confessava che il suo celebre romanzo: La capanna dello Zio Tom, lo copiò tutto da visioni suggestive; nemmeno i particolari fece di suo capo; non avrebbe, per esempio, voluto far morire la bimba Eva, ma pure, con sommo suo dolore, dovette raccontarne la morte, dopo di che rimase quindici giorni senza scrivere. Come dovesse morire lo Zio Tom le fu rivelato al punto solo di scrivere; perciò anche nella prefazione dichiarò non essere la vera autrice del romanzo[33].

J. W. Cross scrive nella Vita di George Elliot: "Essa mi raccontava che quelli, che essa considerava come i suoi migliori scritti, erano effetto di un'estasi, di un non so che, che si impossessava di lei, e di cui si sentiva non essere più altro che uno strumento passivo, attraverso al quale lo stesso spirito agiva e parlava"; il che deve porsi in rapporto con quanto Barret C. B. Alexandre osservava in George Elliot[34] durante la fanciullezza, preda a terrori notturni, a parossismi e cefalee che le rimasero per tutta la vita.

Il De Sanctis, nel suo lavoro Sui sogni, narra di Gerardo di Nerval, che, nelle ultime settimane di sua vita fortunosa, quando era intento a scrivere La rêve et la vie, spesso — egli stesso confessa — si sentiva trascinato nella sfera dei sogni, posseduto interamente da un altro che lo rapiva al mondo reale. E, secondo confidò a Flaubert, qualche cosa di simile accadeva a George Sand: "Quando scriveva, non era lei a scrivere, ma era l' altro che la prendeva, che la inondava, che la possedeva tutta; quando l' altro mancava, taceva l'inspirazione".

Recentemente il Cabaneix, nel suo curioso lavoro: Le subconscient chez les artistes, ci ha mostrato come il subcosciente nel sogno e nella dormiveglia abbiano un'immensa parte nell'opera artistica, sia con immagini ipnologiche, come in Maury, Tolstoi, sia con vere allucinazioni, come in Palissy, Richepin, o in una specie di sonnambulismo vigile, come in Socrate, Blacke, Mozart; molti scrittori contemporanei, da lui consultati, come Mauclaire, Saint-Säens, Janet, Sully, gli confessarono essere il subcosciente il fermento della loro creazione.

L'egregio dottore Arturo Morselli trova tutto ciò in opposizione con le mie teorie che riuniscono il genio al tronco dell'epilessia, perchè, secondo il citato lavoro di De Sanctis Sui sogni, gli epilettici, al contrario dei genî, sognerebbero assai poco; senonchè egli dimenticava che se il De Sanctis trova scarsi i sogni in 10 su 45 epilettici (V. § 1º), con attacchi completi, egli li trova invece ben più frequenti, 16 su 21, quasi 80% negli epilettici psichici o con attacchi incompleti, che sono i soli con cui i genî devono paragonarsi[35].

"Nell'epilessia classica, anzi — aggiunge De Sanctis —, pare si debba l'attacco notturno stesso ad allucinazioni oniriche; certo i sogni producono fenomeni psichici gravi, ed in quelli a piccolo male i sogni rinforzano le nevrosi. Di 20 epilettici a piccolo male, 10 hanno ricordo minuto, 1 eccessivo".

Anche secondo Kalischer, varie forme di epilessia si svolgono in una serie di sogni.

La frequenza e l'imponenza del sogno nell'epilessia psichica mi è provata, anche, dalla esagerata vivacità che hanno i sogni nei criminali-nati, come constatavano il Dostoiewsky nella Casa dei morti e lo stesso De Sanctis, postochè dalle mie ricerche anch'essi sono una varietà dell'epilessia psichica[36].

2. Distrazioni e amnesìe dei genî. — La grande influenza del sogno nel genio si spiega col predominio che ha in lui l'incosciente. Ed è appunto coll'esagerato dominio di questo che si spiega pure come il genio vada soggetto a distrazioni e amnesìe, che giustamente ricordano l'assenza epilettica. — E qui gli esempi sono anche troppi.

"Un giorno — scrive il dott. Veretz[37] — Meissonnier disse a Dumas: "Se Giraud non è morto, devo averlo incontrato ieri, eppure non l'ho conosciuto e l'ho salutato freddamente; dopo mi ricordai che era il viso di un amico, ed ora capisco che dev'essere lui"; e corse a chiedergli scusa".

Grossi distrugge nel cesso molte pagine del suo Marco Visconti. E Torti esce dalla sala di conversazione con due cappelli in mano, e va cercando per tutto il suo cappello ( Stampa, S. Manzoni, vol. II).

Walter Scott, udendo cantare in un salotto alcuni versi, disse: "Sono roba di Byron", ed erano suoi. Carlyle a Fronde, che voleva pubblicare le sue Memorie, diceva "che aveva dimenticato tutto quanto aveva scritto in proposito".

Stranissime erano le distrazioni di Manzoni, tanto più che egli era dotato di meravigliosa memoria, così da, saper a mente tutto Virgilio ed Orazio (Vedi vol. I).

In mezzo ad una disputa di materia storica, gii viene in mente di guardare che cosa dice in proposito il Gibbon, e trova il volume... postillato proprio lì da se stesso. "Ecco che cos'è la mia memoria!", esclama poi ridendo.

Un'altra volta spedisce un libro ad un amico "per la posta a foggia di lettera", cagionando una spesa inutile e relativamente grave al destinatario, a cui deve poi chiederne perdono.

Scrivendo al Fauriel, gli accenna a un lavoro che quegli avrebbe tra le mani sopra gli stoici; l'amico, il quale pensa agli stoici come al Gran Turco, casca dalle nuvole; ed egli se ne scusa in questo modo: " Je ne sais pourquoi je vous ai parlé des stoïciens, quand je savais très bien que c'est à ce discours que vous travaillez. Mais c'est que je parle quelquefois comme un oison ".

Dimenticanze e distrazioni gli avveniva di commettere persino in ciò che più dappresso riguardava i suoi studi: nelle note storielle premesse all' Adelchi, dopo il cenno del matrimonio di Desiderata o Ermengarda, figlia di Desiderio con Carlo Magno, aveva scritto che: "le cronache di quei tempi variano perfin nei nomi, quando però li dànno". Federico Odorici lo avvertì che ambedue i nomi in tedesco significavano "figlia di Desiderio", e che perciò erano identici. Il Manzoni ringraziò e promise di sopprimere nella nuova edizione l'immeritato rimprovero a' cronisti; ma poi se ne dimenticò, ed ebbe a scusarsi della sua "scappataggine" presso l'Odorici.

Una volta, conversando con un amico, citò una sentenza che gli pareva bella, ma non si rammentava più dove l'avesse trovata. "Sfido! — gli disse l'amico; — è vostra!" ( Dialogo dell'invenzione ); egli restò confuso, corse al volume delle sue Opere varie, e rispose un po' balbettante: "Quand'è così, la citazione non ha alcun valore", e mutò discorso. Nè questo è il solo, nè il più sorprendente esempio della sua davvero "portentosa" dimenticanza di ciò ch'egli stesso aveva scritto. Una sera, narra il Fabris, a chi gli citava due o tre versi del coro: " Dagli atri muscosi ", ecc., egli disse non ricordare punto quei versi. Un'altra sera una signora, che aveva recitato stupendamente a Napoli la parte di Ermengarda, gli diede il proprio ritratto, con sotto scritti alcuni versi di questo personaggio; invano i famigliari gli ricordavano che erano suoi; egli sostenne risolutamente di non averli mai scritti, finchè dovette cedere all'evidenza, "quando gli additai — scrive Fabris — il luogo preciso della tragedia dove si trovavano. Un'altra volta lo trovai circondato da un mucchio di libri, e tutt'intento a cercare un passo di un autore, ch'egli aveva in mente: e richiesto da lui se lo sapessi trovare, gli indicai una delle sue opere, al che egli, stentando a prestar fede, andò a cercare il volume, nè si acquetò fino a che non gli ebbi mostrata la pagina"[38].

Delle distrazioni di Ponchielli e Galuppi si fecero intere monografie. Così — secondo Mandelli[39] — Ponchielli usciva alle volte in uniforme e col cappello a tuba e in pantofole; piovendo, tenne più volte l'ombrello chiuso, bagnandosi tutto; prendendo il caffè mentre giocava, soleva spesso gessare la stecca del bigliardo con lo zucchero, disperandosi di non riuscirvi. Un giorno è invitato a pranzo; egli va invece all'ora indicata alla trattoria, dove sta mangiando gli ultimi bocconi, quando lo vengono a cercare; un altro giorno mangia con un suo invitato, vicino ad un colonnello che non conosceva; gli prende il vino e se lo beve tutto; e quando il colonnello ordina una seconda bottiglia, egli ne fa le più alte meraviglie. Recandosi a Lecco, mentre passa per una via, infila una bottega da barbiere e batte il capo su un cristallo, credendo svoltare in una via vicina. Un'altra volta entra in un caffè, beve il caffè di un vicino di tavola e, per soprassello, intasca il danaro da questo depositato per il pagamento: dovendo assentarsi dal Conservatorio di Milano, domanda il permesso al sindaco di Cremona, che trova per via e da cui dipendeva anni prima come maestro della banda musicale. Avendogli Usiglio telegrafato da Forlì: "Gran successo della vostra Gioconda ", egli risponde telegrafandogli: "Congratulazioni pel successo delle Donne curiose " (che era un'opera dell'Usiglio), e ne dirige il telegramma a... Ponchielli, Forlì. Passeggia per un'ora intera sotto la galleria a Milano con un amico, e dopo gli si volge all'improvviso: "Oh, buon giorno, da quando sei qui?". "Ma come? Se da più di un'ora siamo assieme, e te n'accorgi solo in questo momento?". Evidentemente era sotto un accesso amnesico. Il mattino susseguente al successo di Marion Delorme un amico lo ferma e se ne congratula, ma egli dice: "Come? Bisogna vedere stasera quando l'opera sarà andata in scena". Si dimenticava che era stata eseguita.

Beethoven dimentica un dì non solo il cappello, ma quasi tutti i vestiti nel prato, sicchè all'entrata in città viene arrestato come vagabondo scandaloso; spesso dimenticava le proprie composizioni, che la cuoca adoperava per accendere il fuoco; non poteva toccare i mobili senza romperli, compreso il pianoforte contro cui gettava il suo scrittoio; entrato in un'osteria pel pranzo, spesso, invece di mangiare, scriveva; indi domandava il conto, meravigliandosi poi, come già accadde a Newton, di non aver mangiato.

Di Galuppi, il Francesco Pietro-Paolo[40] narra che recossi a Monteleone con la figlia, e, accompagnatala in chiesa, ve la dimenticò e si partì per ritornare a Tropea, lasciandola sola. Durante il ritorno, poi, si ricordò di lei, ma, essendo vicino a Tropea, non potè tornare a Monteleone. Possedeva nella vicina borgata di Caria una proprietà estiva, e nella stagione vi si recava spesso; il viaggio durava sempre il doppio dell'ordinario, perchè, non appena prendeva la campagna, abbandonava le redini della giumenta, che si dava tranquillamente al pascolo pei terreni coltivati. Sorpreso una volta da un contadino, che aveva gridato invano ripetute volte per indurlo a toglierla dal seminato, si avvide solo allora della lunga distrazione a cui si era abbandonato; arrossì e, chiedendo scusa all'irritato contadino, lo pregò di accettare un compenso per il danno commesso. Spesso usciva anch'egli di casa con le pantofole o senza il cappello.

3. Incoscienza nel genio. — Ma a proposito del predominio dell'incosciente nel genio, il critico più profondo delle mie teorie, il Sergi, mi obbietta che l'incosciente, come l'esplosione, non è esclusivo all'uomo di genio, trovandosi anche nelle persone volgari: senonchè posso rispondergli, come già a quanti obbiettavanmi spesseggiare i suicidi, la pazzia, la nevrosi, oltre che nel genio, anche nell'uomo comune, che, essendo umani anche i genî, hanno naturalmente i caratteri degli altri uomini; ma è la proporzione intensa in cui vi si trovano l'incosciente e l'esplosione che varia. Ed è sopratutto grande la differenza negli effetti utili; mentre l'incosciente nell'uomo del volgo vi darà un lavoro di poca importanza, un saluto, un augurio e, alla peggio, un pugno o una bestemmia; grazie alle cellule psichiche più numerose, qui vi darà la teoria della gravità, la battaglia di Marengo, o la Sonata del diavolo.

Il lavoro mentale, osserva giustamente Saint-Paul[41], è compiuto in gran parte dal cervello senza che noi ne abbiamo coscienza; siamo come il filo elettrico che trasmette il segno, ma che non avverte cosa questo segno significhi, nè cosa dirà combinato con altri segni. Noi trasmettiamo una sensazione al cervello, e questa sensazione viene elaborata, trasformata in pensiero.

L'uomo, insomma, è una specie di medium del cervello; e a quei che domandano perchè — se un'opera d'arte è il frutto d'un pensiero meccanico quasi istintivo — tutti non producano opere d'arte, si potrebbe ben rispondere che non tutte le persone potrebbero essere medium.

Che il genio crei inconscio, sotto l'impulso di un istinto, fu notato da molti genî stessi. Wagner scrive: "Nell'artista lo stimolo al creare è affatto incosciente e istintivo, e perfin quando egli ha bisogno di riflettere per dare forma d'arte all'immagine che ha intuito, non è propriamente la riflessione che lo indurrà alla scelta definitiva dei suoi mezzi d'espressione, ma sempre più un impulso istintivo" ( Musica dell'avvenire ).

Il grande scultore Leonardo Bistolfi spiegava alla mia Paola[42]: "Quando creo, non so mai bene cosa voglio fare: prendo della terra e lascio che le mie mani tastino, facciano, per ore, per dei giorni interi; non riesco a nulla; ad un certo momento basta che io sposti l'argilla per capire che cosa debbo fare e a un tratto vi trovo dentro quello che cercavo confusamente"; ed egli mi raccontava poi come, avendo dovuto fare un monumento sepolcrale, andò a vedere il posto in cui il monumento doveva sorgere, nel cimitero di un villaggio, e sentì una certa impressione particolare. Dopo qualche tempo egli fece un bozzetto (che fu poi la Sfinge ), le cui difficoltà erano immense; egli non poteva capacitarsi del perchè si sentisse così ciecamente spinto a fare una cosa che tutti gli dicevano aver proporzioni assurde; il che anche a lui pure pareva: la testa era piccola, la persona troppo lunga; solo quando la statua fu portata al suo posto, egli capì perchè l'avesse fatta così: così, infatti, la volevano il posto, il paesaggio, le ombre, onde ottenere quella data impressione di riposo, di pace: il pensiero incosciente aveva dunque sempre avuto dinanzi agli occhi il posto e l'aveva spinto così ciecamente: gli pareva di non rendersi ragione di ciò che faceva; ed invece egli ragionava giusto, ma incoscientemente.

A questo proposito, del come, cioè, si compie inconscio il lavoro mentale, sono interessanti a conoscersi certe risposte date al Saint-Paul da molti studiosi, letterati ed artisti sul loro modo di ricordare, concepire, scrivere, ideare. "La mia memoria — dice Zola — fin da bambino era come una spugna che si gonfia e poi si vuota. Quando io evoco gli oggetti che ho veduto, li rivedo tali e quali con le loro linee, le loro forme, i loro colori, i loro odori, i loro suoni; è una materializzazione ad oltranza: il sole che le illumina quasi mi accieca, il loro odore mi soffoca, i dettagli mi si appiccicano e mi impediscono di vedere l'insieme, e, per riaverlo, mi occorre che passi un certo tempo; allora nell'insieme le grandi linee si staccano nette. Questa possibilità di evocazione non dura, mentre l'immagine è di una esattezza, di una intensità immensa, ma poi sbiadisce, sparisce... e se ne va".

E Coquelin, il grande attore francese: "Ho notato questo: leggo un dramma dove io ho una parte; allora vedo venire il personaggio vestito, vivo, coi suoi gesti, i suoi tic, il colore del suo vestito. È una rievocazione, una visione immediata. Comincio a studiare la parte; per tutta la durata di entrata nel cervello, di immagazzinamento nella testa (periodo della parte imparata a memoria), la visione sparisce. Io son pieno di inquietudini, di turbamento; passano dei giorni, il lavoro di gestazione si compie in me. La mattina, ad un tratto, la visione mi ripassa, il personaggio è tornato; lo porto a teatro e mi fa manovrare come vuole".

Henaut confessavagli: "Io ho spiccatissima la cerebrazione incosciente: essa procede in me esattamente come qualcuno che cerca risolvere un problema algebrico e che, una volta trovata la equazione, la scrive sulla lavagna. Per questo, mentre scrivo, i miei pensieri prendono un'espressione precisa e spesso definitiva; non faccio quasi mai una seconda copia: quando la bisogna non corre, strappo la pagina incominciata e la ricomincio".

Un altro poeta celebre: "Io ho scritto molti versi, commedie, ecc., ma mi è impossibile di creare immediatamente su un tema dato, anche molto chiaro, qualche cosa. Il concetto generale, che è venuto alla mia mente sotto forma di parola, di un titolo, deve restarvi per un tempo più o meno lungo; un periodo di cristallizzazione cerebrale, di incubazione latente, assolutamente latente nel senso che io non lavoro il mio soggetto, non vi penso più e non mi ritorna in mente che come un dato indeciso, mi è indispensabile. Quando il frutto è maturo; lo sento istintivamente; prendo la penna e sboccia come una da sorgente".

Rambusson confessa: "Mi par qualche volta che io non intenda le parole e non ho coscienza di quello che dicono se non quando esse mi passano sulle labbra. È come un nascere spontaneo del pensiero".

E un altro ancora: "Io mi meraviglio qualche volta dell'espressione di quello che ho detto; non sapevo di doverlo dire".

Un altro: "Io son sempre meravigliato dello sviluppo che in qualche modo naturalmente ricevono da me cose che mi parevano mal preparate".

Guglielmo Lunet scrive: "A mano a mano ch'io scrivo, i personaggi assumono il loro carattere, gii episodi mi nascono, per così dire, sotto la penna coi dialoghi, le scene, il dramma; esso mi si svolge, insomma, mentre scrivo come se una parola ne portasse un'altra, e il mio pensiero scritto un altro pensiero".

"Nello scrivere — dichiarava Leopardi — non ho mai seguito altro che una ispirazione o frenesìa, sopraggiungendo la quale, in due minuti io formava il disegno e la distribuzione di tutto il componimento. Fatto questo, io soglio sempre aspettare che mi torni un altro momento di vena, e, tornandomi (il che ordinariamente non succede che di là di qualche mese), mi pongo allora a comporre, ma con tanta lentezza che non mi è possibile terminare una poesia, benchè brevissima, in meno di due o tre settimane. Questo è il mio metodo, e se l'ispirazione non mi nasce da sè, più facilmente escirebbe acqua da un tronco che un solo verso dal mio cervello".

Questa, che Leopardi chiamava una sua infelicità particolare, fu comune a parecchi altri genî. È meravigliosa la rassomiglianza di questa descrizione del poeta del dolore, con quella che la Sand fa del musicista del dolore, il Chopin, la cui opera spontanea e miracolosa, non cercata, non preveduta, cadente sul piano improvvisa ed intera, soggiaceva poi a mesi e settimane di revisione pei dettagli. Essa provocava nell'autore sforzi inauditi, durante i quali, chiuso in una stanza, passeggiava, piangeva e rompeva le penne[43].

Questo svolgersi di fenomeni inconsci nel genio fu sintetizzato indirettamente dal Mach[44].

"Quando la mente ha più volte contemplato il medesimo soggetto, aumentano le probabilità di occasioni favorevoli, tutto ciò che può riferirsi od adattarsi all'idea dominante acquista maggior rilievo, e tutto ciò che e estraneo, a poco a poco si ritrae nell'ombra e più non torna a turbare l'intelletto; allora può avvenire che tra le immagini prodotte in gran copia dalla fantasia abbandonata a sè stessa e quasi allucinata, risplenda di luce improvvisa quella che esattamente risponde all'idea, all'ispirazione od all'intenzione predominante.

"Quando ciò avviene, ciò che in realtà si è prodotto per via d'una lenta selezione sembra essere il resultato di un altro creatore. Così è facile comprendere come Newton, Mozart, Wagner potessero affermare che le idee, le melodie, le armonie affluivano spontanee alla loro mente e essi non altro facevano che ritenerne il buono e il meglio".

"In sostanza — scrive. Renda[45] — i fattori propri ai fenomeni mentali normali concorrono anche nella ideazione geniale, precedendo e seguendo l'elemento specifico del genio, preparando i materiali ed elaborandone successivamente il prodotto; ma l'elemento specifico del genio è la cerebrazione incosciente, rapidissima, non arrestata da ostacoli logici, o da presupposti scientifici, e per cui, confluendo liberamente, associandosi senza freno le idee e le immagini, si vanno stabilendo tra esse, di un tratto, rapporti nuovi. La conclusione può essere una profezia o un delirio, o l'una e l'altra contemporaneamente; ma il processo è il medesimo.

"L'elemento specifico del genio è l'estro, effetto della perturbata funzione inibitrice, come avviene nel sonno ipnotico o nell'ebbrezza, tanto spesso accompagnate da una genialità transitoria.

"L'ideazione geniale ha un'origine soggettiva o emotiva, caratterizzata da una sensorietà delle immagini, come avviene in alcuni pazzi o nei popoli primitivi. L'origine emotiva, ed insieme dal fondo dell'inconscio, si mostra, per esempio, nel caso che un inventore pieno di note degenerative ne confessava come gli stimoli a costrurre dei meccanismi preziosi, da lui scoperti nel telegrafo, erano stati il senso di fastidio prodottogli dal rumore di un trasmissore e l'irritazione prodottagli dalla poca adattabilità delle sue dita a una tastiera. Ambedue gli davano un confuso senso di difetto che, rimasto un certo tempo latente, provocò l'idea dell'invenzione per una secondaria integrazione dell'intelligenza e della coltura sua. Gli stati organici partecipano come stimoli alle creazioni che hanno bisogno di eccitamenti speciali, che ora sono il vino, ora sono le emozioni erotiche, ora, come vedremo in Helmoltz, è una irritazione prodotta dalla meningite, dall'idrocefalo. La natura organica dell'estro, i fenomeni fisiologici, le emotività che l'accompagnano provano che grande vi è la partecipazione della vita inferiore, ossia dell'inconscio.

L'incosciente domina dunque sovrano nell'opera del genio assai più che in quella dell'uomo medio e con frutti assai più grandiosi, naturalmente perchè esso vi dispone di gruppi cellulari corticali assai più attivi e più numerosi che negli altri uomini.

E forse la soluzione del quesito che si pose innanzi con tanta genialità Fogazzaro ( Dolore nell'arte ), perchè i fenomeni dolorosi siano tanto più fecondi di ispirazioni artistiche in confronto dei lieti, sta nel fatto che quelli (eccettuando però gli erotici) si addentrano più assai nell'incosciente, mentre i gioiosi si sfogano in riflessi rumorosi, ma superficiali, col grido, col canto, coll'orgia.

Intanto il predominio immenso dell'incosciente nell'opera del genio conferma l'ipotesi dell'identità di questo con l'epilessia psichica, che si può dire tutta una serie di attività psichiche incoscienti.

CAPITOLO XII. Dell'idea fissa nel genio.

1. Genio ed idea fissa. — La grandissima parte che prende l'incosciente nel genio e quella enorme che ha un dato momento della pubertà o della vita nel far fermentare un'idea, servono, certo, a fissare, come da un pernio, tutti i movimenti di una cerebrazione, già più possente che non negli altri uomini, intorno a un gruppo di fatti, così da farne saltar fuori nuove e poderose scintille.

Io ammetto, perciò, col Sergi, col Greco, col Renda, che la natura del genio sia spesso analoga a quella dell'idea fissa; e che i genî, come gli affetti da ossessione e da idee fisse, tocchino l'apice della creazione, tendendo tutta la loro attenzione in quella direzione in cui li ha incanalati una grande impressione ricevuta o nella pubertà (Cap. V) o in altri stati critici analoghi (Vedi sopra cap. X), cavando materiali sempre nuovi dal cosciente, ma sopratutto dall'incosciente (Vedi sopra cap. XI), materiali, quindi, che sfuggirebbero agli occhi volgari, o, almeno, non ne richiamerebbero una grande attenzione. Quindi si capisce come molti genî abbiano detto essere venuti ad una scoperta, pensandovi sempre (D'Alembert, Helmoltz); e noi vedemmo sopra in Galileo la prima grande impressione della lampada (Vedi Cap. V), che aveva dato luogo nella giovinezza alla scoperta del pendolo, perpetuarsi fino alla tarda età, dando luogo alla scoperta dell'orologio; e vedemmo in Colombo come, una volta fissatasi l'idea Toscanelliana sul nuovo mondo da scoprire, nol lasciasse un giorno senza accumulare prove in proposito, false o vere che fossero, sicuro della scoperta come se tenesse (dicevano i suoi famigliari) l'America dentro la camera (Vedi vol. I).

"Quanto più forte — scrive Mach[46] — è la connessione psichica tra le molteplici immagini mnemoniche (il che varia secondo le disposizioni individuali), tanto più feconda sarà l'osservazione accidentale: Galileo conosce il peso dell'aria, conosce la renitenza del vuoto espressa dal peso e dall'altezza di una colonna d'acqua; ma queste idee rimangono nella sua mente l'una accanto all'altra. Torriccelli pel primo varia il peso specifico del liquido misuratore della pressione, e con ciò l'aria entra nel numero dei fluidi capaci di esercitare pressione. Posto che già esista una molteplice ed organica connessione di tutto il contenuto della memoria, che è un carattere del vero scienziato, il primo e più potente impulso a fortunate associazioni di idee ancora dissociate è dato dall'intensa aspirazione ad uno scopo determinato, dal predominio di un'idea, la quale si costituisce spontaneamente come termine di paragone rispetto a tutte le sensazioni ed ideazioni che si succedono nella vita di ogni giorno. Così Bradley, intensamente o continuamente occupato dal fenomeno dell'aberrazione, ne trova la spiegazione in un caso affatto insignificante occorsogli nel traversare il Tamigi. Dovremo dunque domandarci se sia il caso che viene in aiuto allo scienziato, o lo scienziato che facilita ed integra l'opera del caso. Nessuno presuma di poter risolvere un grande problema se questo non domina tutta la sua vita, in modo che ogni altra cosa divenga per lui una questione accessoria. Jolly, in un breve colloquio avuto con Mayer, espresse, come una vaga ipotesi, che, data la verità dell'opinione sua, l'acqua agitata avrebbe dovuto riscaldarsi. Mayer si allontana senza proferire parola. Dopo alcune settimane si presenta a Jolly, il quale a tutta prima non lo riconosce, esclamando: " La è proprio così!". Solo dopo alcune spiegazioni si comprese cosa egli volesse dire. Il caso non abbisogna di commenti.

"Un accidente fisico favorevole non può giungerci inaspettato. Il procedere del nostro pensiero è governato dalla legge dell'associazione. Se è scarso il patrimonio dell'esperienza, questa legge non ha altro effetto che la riproduzione meccanica di determinate esperienze sensibili. Ma se la vita psichica soggiace all'azione costante di una copiosa esperienza, ogni elemento rappresentativo si connette con tanti altri, che in realtà il procedere del pensiero vien determinato od almeno influenzato da circostanze minime, talora inavvertite, che per un caso acquistano importanza decisiva. In tal caso, quello che noi chiamiamo fantasia, diviene capace di produrre la sua infinita varietà di immagini. Ma che cosa possiamo noi fare per facilitare l'opera nella fantasia, non avendo in nostro potere la legge della combinazione delle immagini? Domandiamo piuttosto: quale è l'effetto che una forte idea continuamente ricorrente può produrre sopra tutte le altre?

"Dopo quanto si è detto, la risposta è implicita nella domanda. L'idea domina il pensiero dell'investigatore, ma non ne è dominata.

"Tentiamo ora di penetrare un po' più addentro nel procedimento della scoperta. La condizione dello scopritore, come bene osserva W. James, non è dissimile da quella di chi si sforza di ricordare qualche cosa che ha dimenticato. Entrambi hanno come la sensazione di una lacuna, ma hanno già un'idea determinata di ciò che dovrebbe riempirla. Io, per esempio, mi trovo in compagnia di un signore, con cui sono in ottime relazioni, ma di cui ho dimenticato il nome; egli mi mette nell'imbarazzo, pregandomi di presentarlo a qualcuno. Seguendo il consiglio di Lichtenberg, cerco per prima cosa nell'alfabeto l'iniziale del suo nome; una speciale simpatia mi trattiene alla lettera G; provo ad aggiungere a questa un'altra lettera, e mi fermo all'E. Ma prima che io abbia aggiunta la lettera R, sento pronunciare a me il nome di Gerson, ed eccomi liberato dall'imbarazzo. Uscendo di casa, ho incontrato una persona che mi ha parlato di qualche affare; tornato a casa mi occupo di cose importanti, e dimentico tutto ciò che mi è stato detto. Non senza dispetto, mi sforzo invano di ricordarmene; finalmente mi accorgo che il mio pensiero rifà tutta la strada percorsa nel venire a casa; a quel dato crocicchio rivedo quella persona, che mi ripete la sua comunicazione. "Specialmente nel primo caso, se una volta è avvenuta l'esperienza, ed è stata stabilmente acquistata al nostro pensiero, è facile proseguire un procedimento sistematico, perchè si sa già che un nome deve constare in un determinato numero di lettere. Ma tosto si riconosce che il lavoro di combinazione potrebbe assumere enormi sproporzioni, se il nome fosse un po' lungo, e un po' meno favorevole ad esso la nostra disposizione mentale.

"Non è condizione necessaria allo svolgersi del procedimento sopra prescritto, che esso si compia rapidamente e per intiero in un solo cervello, o che occupi per secoli l'intelletto di una lunga serie di pensatori. Lo stesso rapporto che esiste tra un indovinello e la parola che lo scioglie, esiste tra il moderno concetto della luce ed i fatti verificati da Grimaldi, Römer, Huygens, Newton, Yoring e Fresnel, e solo coll'aiuto di questo concetto, risultato da una lenta evoluzione, noi possiamo comprendere con la mente una vasta cerchia di fatti".

Fin qui Mach.

"L'ispirazione — dice a sua volta Ribot — è il risultato di un lavoro sotterraneo che esiste in tutti, ma, in alto grado, solo in pochi, che possono concentrare tutte le forze psichiche sopra un solo punto invece di disseminarle, e perciò vi riescono onnipotenti.

"La base dell'ispirazione è un'idea fissa, per quanto soggetta a remittenze.

"Il nostro stato normale è il poliideismo, la pluralità delle idee, la pluralità degli stati di coscienza; invece nello stato di attenzione eccessiva, come nell'ossessione monoideista, l'idea fissa regna dispotica; e così è negli inventori".

Renda scrive: "Un'idea insoluta oscilla latente nel cervello del genio, finchè non trovi in un'azione interna, emotiva o fisiologica, la sua determinazione, producendo la monoideazione, l'assenza, la distrazione, giungendo a una esaltazione fisiologica, fino a che la soluzione si presenta da sè".

Ed ecco quindi come le influenze della pubertà, della stagione calda, della malattia e, sopratutto, di una sensazione che abbia colpito profondamente i nostri centri, s'associano a quelle del dominio dell'inconscio nel produrre e mantenere l'idea fissa nel genio.

2. Idea fissa secondo le ultime ricerche. — Ma noi, accettando con questi grandi pensatori l'azione nel genio di un'idea fissa, crediamo poter trovare anche in ciò una nuova prova della fusione del genio con l'epilessia.

Vediamo, infatti, che cosa siano in fondo l'idea fissa e l'ossessione, secondo gli ultimi osservatori.

"Alla base di ogni attività fisica — scrive in proposito Féré[47] — è lo stato emotivo in rapporto con un'eccitazione locale o generale. "Le impulsioni dette irresistibili sono sempre in rapporto con un'emotività morbosa, grazie alla quale, un'irritazione, percepita o no, provoca una scarica, che è cosciente o incosciente secondo che è più o meno rapida.

"L'ossessione ha ancor più di queste una base emotiva; prendete, per esempio, l'ossessione di omicidio, oppure di dubbio; sopprimetene l'angoscia, e non avrete più la vera ossessione; cavatene l'idea fissa o la tendenza impulsiva, lasciando l'angoscia, e voi avrete l'essenza dell'ossessione; tale è il caso in cui si sente un senso di rimorso, di timore, senza causa. Ed infatti gli ossessi possono cambiare d'idea fissa; dall'idrofobìa passare a temere la tisi; ciò che non varia in essi è l'ansietà; molti anzi s'iniziano con una forma d'angoscia.

"La base delle idee fisse, dunque, è uno stato d'ansietà, di terrore: si ha paura di tutto, l'ansietà ondeggia come un sogno, non si fissa che per un momento, passando da un oggetto all'altro, mentre costante, invece, è l'aspettativa ansiosa".

Una donna si immagina ad ogni colpo di tosse del marito che questo sia tisico; vedendo due uomini sotto il portone, delira che i bimbi siano caduti dalla finestra, e ne vede il cadavere e perfino il funerale; è sempre nell'ansia.

Anche secondo Pitres e Regis, la base delle idee fisse, oltre il fondo degenerativo, è l'emozione[48]; e l'emozione è morbosa quando: le associazioni apparentemente fisiologiche che desta, assumono una grande intensità; — si producono senza causa o con causa sproporzionata, violenta, istantanea; — hanno effetti che si prolungano oltre misura; e trascinano a reazioni contrarie agli interessi dell'individuo o della società.

Freud distingue le idee fisse secondo che gli attacchi sono rudimentali, come nella fobìa del velluto, dell'acqua, del metallo; — oppure quando complicansi a crampi o dispnee; ad equivalenti epilettici, od a stati larvati con attacchi di bulimìa, di paura, di vertigini, con perdita di conoscenza, come nell'epilessia.

Le fobìe sistematizzate hanno carattere ereditario: principiano dall'infanzia o dalla pubertà; per lo più si riproducono sotto la medesima forma, con alternative intermittenti, oppure con forme che sorgono e si plasmano secondo gli avvenimenti. Così un figlio di ematofobi non può veder sangue, o sentirne parlare, senza avere angoscie o deliqui. Uno sofferse la fobìa suicida dopo aver avuto notizie dell'appiccamento d'uno zio; ma, avendo presenziato a un accesso epilettico, venne preso dalla fobìa di essere epilettico. Una madre che aveva orrore fobico del rosso, dopo un ritardo dei mestrui contrasse una fobìa della gravidanza, e così intensa che si dovette fingere di sgravarla.

Qui si vede che al momento etiologico predisponente, eredità, abuso del lavoro, ecc., si devono associare, come nella creazione geniale, per provocare l'ossessione, una sensazione viva, un trauma psichico, come la morte d'un parente, la caduta di una vettura (Pascal), la vista di un morto o di un'epidemia.

L'ossessione è recidiva quando una nuova impressione risveglia l'emozione iniziale; così un giovane, mentre si fa sbarbare, sviene per la gran fame che aveva; e da quel dì, specie quando è dal barbiere, teme di dover morire per fame. Una, R..., già nevrotica ed eccessivamente riguardosa della nettezza, esce una mattina e trova sulla via una massa di escrementi, dai quali è lievemente lordata; da quel dì si crede in continuo pericolo di essere insudiciata, e non vuol più escire sulle vie.

Qui si conferma che un carattere di queste fobìe è la reminiscenza delle circostanze che le provocarono. Senonchè se l'emozione, base all'ossessione, si può spesse volte spiegare e porre in rapporto con essa: non si spiega il perpetuarsi di questa ultima dopo svanita la causa.

L'ossessione è spesso una forma aggravata, e direi troppo ragionata, della fobìa; questa diventa ossessione quando, in luogo di manifestarsi con angoscia e ad intermittenza, preoccupa più o meno sempre l'ammalato; essa ne perdette il tipo emotivo ed assunse l'intellettuale, ma perpetuandosi.

Così uno fantastica d'aver stuprata la sorella e incendiata la casa: il punto di partenza era l'aver letto che l'onanismo, di cui era realmente affetto, predispone all'immoralità.

Uno aveva ribrezzo dell'insalata; perchè un dì aveva visto bruciare una nave carica di petrolio, aveva cominciato per avere ribrezzo del petrolio, poi dell'olio, poi di tutti i cibi in cui fosse olio e quindi... dell'insalata.

Un prete, per esempio, assiste alla morte di un bimbo idrofobo; da ciò il timore, tanto più che ha scorticature in un dito, d'essere egli pure idrofobo: passato il tempo dell'incubazione, teme di essere pazzo... per aver fissato su questo.

Una ragazza ha l'ossessione di non poter tenere l'orina; e gli è che una sera a teatro aveva sentito svegliarsi, alla vista d'un giovane, desideri erotici e voglia intensa di orinare; e d'allora temeva che tale caso si rinnovasse con sua onta.

Secondo Séglas, nei normali l'idea è fissata dalla volontà, negli ossessi è involontaria e s'impone anzi alla coscienza per una specie di effrazione della volontà; essa è parassita e quasi estranea alla comune vita intellettuale dell'individuo, per cui ne forma una duplice personalità.

Così molti hanno l'ossessione impulsiva di bestemmiare, bere, rubare, contraddire, usare frasi di contrasto perfettamente opposte, cioè, nella espressione a quelle che essi volevano e dovevano dire: " Vi ho in c...", invece di: " Vi ho in cuore "; o, malgrado devoti, bestemmiano atrocemente ed oscenamente, come vedemmo in Cardano, in Rousseau (Vedi vol. I).

Un altro carattere loro è la soddisfazione dopo eseguite. L'esecuzione fa cedere l'eretismo emotivo.

Fra le cause la più importante è l'eredità: 100 volte su 125, secondo Pitres; 100 su 160, secondo Wille[49], si ha temperamento pazzesco; influenze debilitanti: onanismo, coito, anemia, pubertà, mestrui.

Le forme acute, in seguito a cause violentissime, durano poco e spariscono.

La forma cronica è intermittente; uno ricade, per esempio, alla vista di un animale temuto, altri alla vista di un coltello.

La remittente, che è la più frequente, si mostra con accessi più o meno ravvicinati, in mezzo ai quali pullulano sintomi di emotività ossessiva: paura, per esempio, di arrossire, con idee ossessive più deboli negli intervalli.

La continua è rarissima[50], specie nelle forme del dubbio, sempre però con parossismi acuti.

Quanto al pronostico, le ossessioni sono più gravi nei terreni più degenerati, quando il principio è lento e insidioso, quando prevale l'elemento intellettuale sull'emotivo, quando sono sistematizzate; chè, quando sono diffuse, si attenuano in genere coll'età, specialmente dopo la cinquantina.

3. Analogia dell'idea fissa con l'epilessia. — Questi fenomeni dell'idea fissa e dell'ossessione, che abbiamo a bella posta voluto esporre per voce d'altri, mostrano una grande analogia con quelli dell'epilessia, con cui tanto più crediamo che si possano raggruppare, perchè è appunto nell'epilessia e nella sua sorella, l'isterìa, che si hanno ora l'ingrandimento, ora il rimpicciolimento dei fenomeni psichici morbosi, che vanno dai fenomeni più complessi e più gravi — epilessia psichica, grande isterìa, ecc. — ai più miti ed elementari — distrazione, amnesìa (Vedi cap. XIII) —, a stati quasi normali, e ciò tanto più, inquantochè, anche in queste forme delle idee fisse, abbiamo potuto cogliere l'alternarsi del grande e del piccolo morbo (Vedi sopra).

Noi sappiamo, per esempio, che Westphal[51] distingueva le idee coatte, teoriche — non seguite da azione — dalle idee impulsive.

Tamburini e Buccola distinguevano le idee fisse semplici — le idee coatte propriamente dette, in cui l'anomalìa dell'ideazione si limita solo nel campo intellettuale senza passare all'azione (follìa del calcolo, per esempio, primo stadio della follìa del dubbio) — dalle idee fisse, accompagnate dallo stato angoscioso, emotivo, che spesso fa passaggio alle azioni coatte, al delirio del tatto, alla misofobìa, il secondo stadio della follìa del dubbio; vengono finalmente le idee impulsive, omicide, suicide, nelle quali l'idea si fonde con l'atto impulsivo, riescendo pericolosissima.

Nel primo caso tutto il processo morboso si circoscrive nell'intimo della coscienza, o, al più, nelle confessioni verbali o scritte; appena si accenna ad uno stato emotivo, a un senso di pena e angoscia nel non poter superarsi, ecc.

Buccola[52] qui nota però che dipendono da un alto grado di energia dell'idea dominante, da una limitazione nei processi associativi e da una tensione quasi spasmodica dell'attenzione, e, più tardi, da quell'indebolimento della volontà, che si osserva negli epilettici e negli isterici. "Perchè — scrive — un'idea si fissi nella mente, impedendo il corso naturale delle associazioni e assorbendo per la sua energia tutta l'attenzione, bisogna supporre tutto un perturbamento di un gruppo cellulare dei centri psichici, la cui attività sia in uno stato di eccitamento eretistico, quasi convulsivo, e che può ripercuotersi nei centri sensori, provocando allucinazioni. Questo eccitamento, però, si circoscrive in quel gruppo, così da impedire la libera trasmissione delle energie psichiche, che concorrono alla genesi, all'associazione di altre idee; se l'attenzione è esagerata, la sua forza inibitrice è in preda ad uno spasmo tetanico, sicchè non obbedisce agli stimoli volontari; e, mentre si ha esagerazione dell'attenzione spontanea, diminuisce quella volontaria.

"Nelle idee emotive con azione coatta (come la rupofobìa, la claustrofobìa) all'idea fissa si aggiunge un senso di paura e angoscia, che aumenta l'azione inibitoria e in cui è maggiore l'eccitamento, mantenuto dalle sensazioni attuali, dalla vista degli oggetti temuti; dal che l'effetto dell'azione coatta; quando la tensione cerebrale è giunta al più alto grado, ha bisogno di scaricarsi su altri centri che sono i motori; malgrado qualche volta il malato abbia la coscienza dell'assurdità dei propri atti, non può opporvisi.

"Nella terza categoria l'idea coatta si compenetra e fonde coll'atto impulsivo, pel bisogno di compiere un dato atto senza alcun movente razionale o delirante, contro i dettami della propria ragione, della propria volontà, che ripugna anzi dall'idea stessa, ma pur non può sottrarvisi, nè se ne libera che con la perpetrazione dell'atto; dopo di che ha un'immensa soddisfazione."

Anche qui si ha un'idea dominante e tirannica, che assorbe il campo mentale e l'attenzione in ispecie; sì che arresta il corso dei processi associativi, ne permette solo l'esercizio nell'orbita ristretta che le appartiene; anche qui un eccitamento psichico circoscritto, rappresentato dall'idea impulsiva, è indizio di squilibrio e indebolimento cerebrale, perchè nel cervello sano le impulsioni sono inibite dalle idee antagoniste.

L'attitudine alle azioni volontarie, che andò sempre con l'evoluzione salendo di grado dall'automatismo alla volontà più complessa, qui ridiscende all'automatismo; e si ha una dissoluzione, una demenza (come la chiama Ribot) della volontà; ed ecco nuove analogie con molte forme d'epilessia.

Ciò tanto più ci par giusto, in quanto che, come nell'epilessia, vi si associano sempre — e ne sono anzi la base — molti caratteri degenerativi (Vedi sopra).

E poi, in tutti questi casi, si ha da un lato uno sviluppo anormalmente intenso del processo di ideazione; e dall'altro una debilitazione, una dissoluzione dell'attività volontaria come nell'epilessia, che Roncoroni dimostrò consistere in una iperattività dei centri inferiori con depressione dei superiori, inibitori.

Del resto vere complicazioni epilettiche od epilettoidi furono già notate nelle crisi degli ossessi.

"Se si costringono ad arrestarsi nei loro atti o nelle loro frasi — Séglas scrive —, hanno quelle che chiamano essi stessi crisi con palpitazioni, sudori, sincopi, convulsioni". "Fra i sintomi di senso Tamburini nota: dolore all'occipite, al vertice, al bregma, all'epigastrio; — nei motori: tremore, fenomeni epilettoidi e veri accessi epilettici, come già notarono Griesinger e Westphal; — nei vaso-motori: rossore e dolore al capo, al viso, brividi, vertigini, congestioni. Fra le anomalìe delle funzioni organiche cardio-polmonari: polso tardo, inappetenza, diarrea, stitichezza, dolori del ventre; — nelle funzioni sessuali: accresciuta o scemata energia sessuale, spermatorrea, menorragia, fenomeni che molto spesso complicano anche l'epilessia.

L'ossessione è per Magnan "uno stato patologico, costituito da un eretismo corticale, che implica la necessità imperiosa di una scarica motrice, o sensoriale, in seguito alla quale l'angoscia finisce"[53]; egli la definisce pure come "un modo di attività cerebrale, in cui una parola, un pensiero, un'immagine si impongono allo spirito al di fuori della volontà, senza malessere in istato normale, e con angoscia, enorme, dolorosissima, nello stato patologico".

Ora, chi non vede che queste definizioni s'attagliano esattamente pure all'epilessia psichica?

Falrét, anch'esso, dichiara avere le ossessioni tutte un'origine ereditaria comune, un andamento remittente, periodico o intermittente, parossistico, essere accompagnato in principio con la coscienza, ma potersi anche combinare con uno stato delirante allucinatorio, incosciente, il che può accordarsi pure coll'epilessia.

Anche Thomson ammette per molti ossessi che nel periodo del parossismo perdano la coscienza e il possesso di sè stessi, e alla fine dell'ossessione manifestino una prostrazione che può prendere il carattere della melanconia, ma che può rappresentare l'equivalente del coma post-epilettico.

E così Vallon e Marie: "Qualunque siano le teorie sull'ossessione — scrivono essi — bisogna convenire che esse hanno per base un eretismo iniziale, limitato ora alla sfera sensitiva o sensoriale, ora al moto ( tic, spasimi, ecc.), ora ad uno stato psichico o chenestetico. Esse cominciano con l'irradiazione, che tende fatalmente a provocare la sospensione dei centri superiori inibitori, sulla cui azione riposa tutta la nostra mentalità"[54].

La passione, avendo per base l'emotività, la quale, dice Ribot, è l'equivalente effettivo dell'idea fissa, essa le assomiglia; ma sorge da cause proporzionate, che non hanno invece le idee fisse.

Mickle confessa: che lo scoppio subitaneo dal fondo della coscienza degli elementi ossessivi ricorda gli attacchi di epilessia; però egli si obbietta, e con lui Pitres: che gli stati di ottusità secondari all'ossessione differiscono dall'assenza e dallo stato crepuscolare dell'epilessia: che le ossessioni possono precedere, come aura, l'attacco epilettico, o sopravvenire negli intervalli quasi lucidi degli epilettici, mai nell'attacco; e che nell'ossessione si ha spesso conservazione intiera, o quasi, della coscienza, quasi sempre ricordo dell'attacco; si hanno ansietà, angoscia concomitante, disgusto della vita, ecc.

Senonchè io faccio osservare che: prima di tutto non tutte le epilessie[55] hanno lo stesso tipo, e che ve ne hanno di precedute, seguite e accompagnate da coscienza o da semi-coscienza; mentre, viceversa, parecchie ossessioni sono accompagnate da perdita o quasi di coscienza; che anche le epilessie hanno il carattere delle intermittenze o remittenze, dello scoppio istantaneo. Uno dei caratteri della epilessia psichica è il sorgere subitaneo, pullulando dal fondo dell'incoscienza, preceduto da aura come l'ossessione. Ed anche l'epilessia è causata frequentemente da un trauma psichico, e recidiva al rinnovarsi di qualche caso che lo ricordi; e in ambedue si ha tendenza a recidivare con la forma identica.

Così io mi ricordo di una ragazza colpita da spavento e poi da accesso epilettico per un tentativo di stupro, che ne ricordava ad ogni accesso i particolari: per cui l'ossessione rientra, per quanto irregolarmente, anche per questo nell'ambito dell'epilessia.

S'aggiunga: la frequenza del suo insorgere in età giovane e la scomparsa in età avanzata, e, sopratutto, l'influenza enorme della degenerazione.

S'aggiunga, infine, ultima analogia, che molti accessi epilettici, dipinti meravigliosamente dal Dostojewski, sono accompagnati da senso d'angoscia, da terrore come le ossessioni; col che Toselli giustamente spiega l'eccessiva religiosità degli epilettici.

E qui ripeto come, senza pensare all'epilessia, Buccola notava già nell'idea fissa "che in essa la condizione morbosa dei centri psichici è identica a quella dei centri motori, quando siano in preda ad eccitamenti spasmodici; si può dire che la convulsione dell'idea è l'equivalente nel dominio mentale della convulsione dei movimenti". E noi abbiamo visto che — secondo Westphal — talora l'ossessione finisce con un accesso epilettico motorio e che, passato questo, l'epilettico può presentare depressione e prostrazione.

4. Analogia col genio. — Ben inteso, perchè la forma epilettoide, degenerativa, dell'idea fissa si concreti in una creazione geniale, occorrono non solo la base degenerativa, che rende i centri corticali più emotivi, l'incosciente più attivo, nè solo la circostanza speciale, il choc, il colpo psichico, che è il determinante, l'ultima goccia che fa travasare la coppa ricolma; ma anche un poderoso cervello, nutrito di ampia, feconda coltura.

Per capire ciò ed insieme anche quanto l'idea fissa si confonda e si fonda con l'idea geniale, basti ricordare che gli ossessi spesso si pongono innanzi, come i pensatori più profondi, certi problemi teorici o metafisici; per esempio: " Esiste Iddio?"; " Quando finisce il mondo?", ecc.

Nei genî, come negli ossessi, l'idea fissa rimonta ad un'emozione. E qui giova ricordare il caso, or ora studiato da Vaschide e Vurpas, di un giovane colto e sano fino a 36 anni, che, dopo un duello in cui incontrò pericolo di vita e una lunga malattia, cominciò a preoccuparsi solo dell'al di là e dei pianeti, spendendo enormi somme in istrumenti astronomici e perdendo tutto il suo tempo in ricerche per sapere come si viva fuori di questo mondo, di null'altro occupandosi in tutto il giorno[56]. Più eloquente ancora è questo caso pratico studiato da Tamburini e da Buccola: Un giovane studente, figlio di nevropatici, che già prima nel liceo si era continuamente preoccupato dei problemi delle varie scienze che doveva studiare e soffriva quando non poteva chiarirli, andato alla Università, alle prime lezioni di economia politica si sentì dominato dal pensiero continuo di conoscere le origini, il perchè e il come del corso forzoso dei biglietti di banca. L'idea si frapponeva fra lui e il mondo esterno, in modo che non poteva occuparsi d'altro. Dopo lunghe ricerche, non essendovi riuscito completamente, cadde in uno stato d'apatia e di sconforto, fino a voler interrompere gli studi; non dormiva; sentiva forti dolori all'occipite, e, a furia di pensarvi, aveva sempre sotto gli occhi l'immagine, divenuta allucinazione, dei varî biglietti, pur pensando che era morbosa; grazie ai bagni freddi e ad una serie di conferenze con un economista, migliorò, non restandogli che l'immagine allucinatoria di una mezza lira.

Reymond[57] narra di accessi epilettici psichici, in cui uno (studente, però, coltissimo) fissava sull'eternità della materia, cadendo in vertigini e amnesìa per dimostrarla.

Evidentemente, queste idee fisse scientifiche presero piede in questi malati, perchè, oltre al fondo degenerativo, avevano una notevole intelligenza e coltura. Un grado di più di questa e, invece di un'idea, in fondo, se non nell'apparenza, morbosa, avrebbe avuta un'idea geniale e sarebbe venuto a qualche scoperta; oppure sarebbe divenuto un propugnatore di riforme economiche a base degli studi sul corso forzoso.

Così so del Prampolini, che, assistendo giovanissimo ad un corso di economia politica, in cui si parlava delle disuguaglianze sociali, ne fu così colpito da non poter più, per parecchi anni, pensare ad altro; e dal pensiero continuo, tetanizzato sotto questo rapporto, ne uscì il più forte apostolo del socialismo italiano. Egli mi raccontava che quell'idea fissa durava in lui così forte, da non lasciargli avvertire, soldato volontario, i disagi della vita di coscritto, e da fargli parere leggiere le marcie con lo zaino, quasi piacevoli, mentre riescivano insopportabili ai compagni di lui, benchè più robusti e più avvezzi alle fatiche.

Cerchiamo, dalla parte opposta, un cervello ugualmente disposto all'idea fissa, ma incoltissimo e povero di cellule; e avremo il caso, studiato da Leonardo Bianchi, di quella donna, che, una sera, dopo sentito, con vivo piacere, dal marito un peto, fissa di doverne sentire un numero sempre maggiore, cadendo in convulsioni quando il marito non può riuscire a contentarla.

Noi, in questo caso, non vediamo che i danni dell'idea fissa, mentre invece nei genî non vediamo che gli utili e gli effetti grandiosi; ma la base è pur sempre uguale.

E lo dimostra la stessa tempra dell'estro e dell'ispirazione.

"L'idea fissa — secondo Ribot — e l'ipertrofia, la forma quasi tetanica dell'attenzione, coll'esclusione di ogni altra manifestazione psichica e fisiologica, come — osserva egli stesso — negli scienziati, che cercano la soluzione di un problema. Essa è voluta nei sani; patologicamente, invece, è involontaria".

Noi vedemmo però che l'idea fissa nel genio è non solo involontaria, ma anche incosciente, e dà luogo a una vera doppia personalità[58].

L'analogia è tanto maggiore che spesso tali malati provano paure stolide di tisi o sifilide.

Gli stessi Vallon e Marie convengono dell'analogia col genio. "Vi hanno — scrivono — ossessioni che si potrebbero dire buone e delle cattive". Le prime sono quelle che, conformandosi alle leggi dell'adattamento, possono essere utili, e, riconosciute come tali, determinando le sinergie funzionali in un senso utile. La lotta si circoscrive all'esame preventivo ed all'orientazione degli sforzi consecutivi nel senso dell'ossessione buona. Attitudini, tendenze non sono che la traduzione di questa attrazione, che orienta la nostra facoltà in un dato senso; e sono l'effetto dell'eredità e della reazione del nostro organismo alle circostanze. Si vede in noi nelle attitudini che richiedono lavoro intellettuale: questo non si può comandare, ma viene in qualche maniera ad accessi e come per necessità di una preceduta capitalizzazione; non lavora chi vuole; mentre l'uomo, trascinato, ossesso dal suo genio, non può disobbedire all'impulsione che lo spinge al suo capolavoro; quella, ossessione si chiama allora ispirazione.

E l'ispirazione, piacevole per molti genî come sfogo di uno stato angoscioso, è per molti altri dolorosa; Flaubert, per esempio, ci lasciò pagine che provano lo stato doloroso che accompagnava sempre il parto dei migliori suoi lavori, e Chopin, come ci rivelò Giorgio Sand, soffriva altrettanto.

CAPITOLO XIII. Classificazione delle degenerazioni ed il genio.

Caratteri speciali di qualche degenerazione. — Per meglio comprendere il carattere epilettico dell'idea fissa e lo stretto rapporto delle varie degenerazioni psichiche, specie dell'epilettica, col genio, gioverà analizzarle più dappresso.

Quando si studiino, dal lato clinico, le degenerazioni più frequenti nelle malattie mentali, vi s'intravvedono nuove suddivisioni, oltre a quelle classiche, già fissate da Morel e Magnan, per intossicazione, per eredità, ecc. Queste sono certamente vere; ma, come quelle grandi zoologiche, in vertebrati ed invertebrati, pur essendo giuste per sè, hanno bisogno d'una ulteriore suddivisione per essere meglio adatte all'analisi minuta.

Tre altre specie di degenerazioni mi sembrano sopratutto emergere nella psichiatria: la cretinica, la epilettica e la paranoica:

1º Il gruppo cretinico comprende: il cretino, il sotto-cretino ed il cretinoso, misto a tendenze oscene e criminali, molti casi d'imbecillità, di sordità, di rachitismo, di balbuzie, di criminalità, allorchè si diffondono nelle popolazioni in forma endemica.

Questo gruppo è caratterizzato dalla piccolezza della statura, dalla straordinaria brevità della faccia, dalle anomalìe della base del cranio, specialmente dell'osso basilare, dalla distanza enorme delle orbite, dall'abbondanza del connettivo sottocutaneo, da rughe profonde, precoci e numerose, dall'assenza di barba, dai capelli neri e folti, dall'atrofia delle ossa e delle cartilagini nasali, dal naso camuso, dall'assenza di canizie e di calvizie, da anomalìe dentarie, cranio esagono o plagiocefalo e cefalono, e dal rapporto diretto col gozzo e col mixedema, dall'arresto e, qualche volta, dall'eccesso di sviluppo dei genitali, dal piede valgo e varo, e altre atrofie muscolari, ecc.;

2º Il gruppo epilettico che comprende: l'isterismo, il genio, la pazzia morale, la delinquenza congenita, le forme circolari e periodiche, la manìa transitoria, qualche psicopatìa sessuale e, come dicemmo, le fobìe e le ossessioni.

Vi si ritrovano spesso alcuni caratteri del cretino, sebbene assai meno evidenti ed intensi, come: le rughe; l'assenza di barba; i capelli spesso più neri e folti; la trococefalìa; la plagiocefalìa; la platicefalìa; la scarsezza della canizie e calvizie; le anomalìe dei denti e delle orecchie, ecc. Ma vi hanno caratteri tutt'affatto propri, come: il frequente aumento del peso e della statura; l'asimmetria facciale; l'appendice lemuriana; il naso incavato o deviato; gli zigomi sporgenti; l'acrocefalìa; l'asimmetria facciale; la stenocrotafia; la oxicefalìa; i seni frontali enormi; il thorus occipitalis; la capacità cranica molto inferiore o molto superiore alla media; la saldatura precoce delle suture; la fisionomia virile nelle donne; le anomalìe ataviche delle circonvoluzioni cerebrali e della struttura della corteccia; come: il gigantismo delle cellule piramidali; le asimmetrie del cervello; le asimmetrie toraciche; il mancinismo anatomico; il piede prensile.

Fra le alterazioni funzionali: il nistagmo; lo strabismo; l'ottusità della sensibilità tattile, generale e dolorifica; gli scotomi enormi nella periferia del campo visivo; la sensibilità meteorica esagerata; il mancinismo sensorio.

Fra i caratteri psichici: intelligenza ora troppo limitata, ora troppo sviluppata; allucinazioni; impulsività esplosiva; idee di grandezza e di persecuzione; irascibilità; ipocondria; bisogno di fare il male per il male; indolenza; sentimenti affettivi e morali ottusi; credenze religiose esagerate fino al fanatismo; tono sentimentale ora depresso fino all'angoscia, ora esageratamente altero; tendenza alle psicopatie ed alle esagerazioni sessuali. Vi si nota, sopratutto, il sopravvenire di accessi automatici, motori o sensori, organici o psichici, che hanno, il più spesso, i caratteri speciali d'istantaneità, remittenze, scoppio e cessazione subitanei, spesso, abolizione della coscienza;

3º Il gruppo paranoico comprende: l'ipocondria, il mattoidismo, la follìa dei querulanti, le paranoie rudimentali; la paralipemanìa di Roncoroni.

Qui le alterazioni somatiche sono generalmente meno numerose, mentre predominano le psichiche, ottimamente descritte da Magnan, come le idee deliranti, egocentriche, con caratteri accusatori e superstiziosi, i neologismi; certe speciali anomalìe della scrittura, come la giustaposizione, la forma a stampatello ed il simbolismo; si osservano poi, fin dall'infanzia, sospettosità, diffidenza, cefalee, vertigini, abulìa alternata ad eccessiva attività ed associata ad ottusità affettiva.

Tutte queste degenerazioni — legate certamente ad una cattiva nutrizione dell'embrione, per cause ereditarie speciali a ciascuna d'esse e, talora ben conosciute, come: il gozzo endemico dei parenti nel cretinismo, l'alcoolismo dei parenti negli epilettici, la sifilide o l'alcoolismo dei parenti nei paranoici — possono tuttavia ingenerarsi tardivamente per cause acquisite; per esempio: traumatismo craniano o alcoolismo nell'epilessia, esportazione del tiroide nel cretinismo, alcoolismo o sifilide o morfinismo nella paranoia. E possono scambiarsi fra loro i fenomeni, ciò che si spiega con l'origine ereditaria od intossicativa comune e col fatto che cause diverse conducono talora tutte alle stesse involuzioni del cervello; così vi hanno impulsività e fobìe nel paranoico, allucinazioni, deliri parziali (megalomani, persecutivi, ecc.) negli epilettici, accessi impulsivi e motori nei cretini; e poi sembra sia a tutti comune — secondo gli studi di Roncoroni e di Pelizzi — l'atrofia degli strati superiori corticali e la confusione degli strati tutti.

Anche qualche carattere biologico e psicologico è comune alle tre categorie, come le ineguaglianze pupillari, la mancanza di affettività e del senso morale, le vertigini, le impulsività, il mancinismo, la sterilità, ecc.

Altre, come già abbiamo veduto, sono comuni soltanto all'epilettico ed al cretino; altre, infine, all'epilettico ed al paranoico, come le allucinazioni, le fobìe, le tendenze geniali.

Oltre a questo, la stessa anomalìa prende, in ciascuna delle tre forme di degenerazione, appaparenze diverse: così nell'epilessia si trovano sopratutto alterazioni della condotta, automatismo ed impulsività; nella paranoia il carattere più saliente è l'originalità, l'esercizio di un'attività inutile. L'alterazione dei sentimenti affettivi si manifesta nella prima come una disaffettività generale, nella seconda con avversione sopratutto per le persone più care, nel cretino con l'apatia. Negli epilettici, però, la mancanza di senso morale è raramente associata ad una completa o continua alterazione dell'intelligenza, come nei cretini; e nel paranoico si complica spesso con idee deliranti.

In questi degenerati parziali non si osserva sempre la stessa sindrome completa di sintomi: molto spesso si ha soltanto qualcuna di queste diverse manifestazioni psichiche, motorie o somatiche.

Queste forme di degenerazione dipendono da un arresto di sviluppo embrionale che ha acquistato carattere atavico per l'eredità, come provano per l'epilessia la frequenza della stenocrotafia, della submicrocefalìa, della fossetta occipitale medianica, dell'oxicefalìa, l'assenza dello strato granulare profondo, l'ipertrofia delle cellule piramidali e la presenza di cellule nervose nella sostanza bianca, trovata da Roncoroni. Tuttavia i gravi patemi nella paranoia, le intossicazioni e le autointossicazioni nel cretinismo, i traumatismi fisici e psichici nell'epilessia possono generare manifestazioni simili. È ciò che spiega l'apparizione tardiva di forme epilettiche, paranoiche e, qualche rara volta, cretinose (mixedema), che, se fossero sempre solo congenite, dovrebbero manifestarsi solo nelle prime epoche della vita.

Se noi ora applichiamo tali quadri sintetici del mondo degenerativo allo studio del genio, vediamo che solo l'epilettico è a questo legato strettamente.

Certamente anche in qualche genio si può trovare traccia della degenerazione cretinosa, come in Nobili, Skoda, Garovaglio, con aspetto completamente cretinoso; e certo anche la paranoia può formare sostrato al genio, come vedemmo in Cardano, in Tasso, in Colombo[59], in cui un parziale delirio fu veramente il punto di partenza di vere creazioni e scoperte, come lo fu di delirî persecutivi e megalomani, che, a loro volta, si convertirono in forme geniali; ma anche in questi troviamo un elemento epilettoide che ne magnifica e, forse, ne determina gli atti[60], come pure nei non gravi casi in cui il genio è a base di melanconia e di alcoolismo, come Hotfmann e Poë.

E per ciò, anche accettando come credo si debba, l'appunto di Roncoroni, Morselli e Sergi, secondo cui non deve limitarsi alla degenerazione epilettica la base del genio, resta sempre che essa ne è il fulcro principale, che interviene anche quando le altre forme paiono in giuoco. Ed allora come non considerarla quale base del genio una volta che eredità, anomalìe somatiche e funzionali seguono le stesse linee, e che le principali manifestazioni sue, l'estro e l'idea fissa, hanno nella epilessia psichica il gruppo psichiatrico che più loro si avvicina?

CAPITOLO XIV. I fenomeni contraddittori nel genio.

A molti critici della mia teoria sulla nevrosi del genio, di cui tentavo ricostrurre la figura classica sulla trama dell'epilessia, non parve vero di afferrare non solo qualche eccezione, ma qualche completa contraddizione con le linee che io ne tracciava; così il buon Galleani, che fece notare esservi genî alti e grossi in contraddizione alla mia affermazione della frequenza dei piccoli e magri.

L'obbiezione è vera; ma non scalza la base della teoria, fino ad un certo punto potendo spiegarsi la diversità di forme, se non di sostanza, del genio, per il fatto che, pur essendo sempre uguale nell'intima struttura, presenta una differenza notevole nei fenomeni che noi diremmo secondari.

Ma v'ha di più. Studiando i miei e i caratteri trovati nei genî, si trova che questi presentano, in confronto all'uomo medio, i due estremi, i due eccessi in più o in meno di sviluppo; mentre l'uomo medio, il vero normale, è appunto tale, perchè evita ambo gli eccessi. Osservazione questa che io devo al geniale aiuto del dott. Celesia.

1. Statura e peso. — Così, cominciando dalla statura, Havelock-Ellis fece notare come prevalga nei genî, in confronto ai normali, la statura ora piccolissima, ora grandissima, mentre nei normali prevale la statura media; infatti, egli ebbe a trovare:

Nei normali inglesi di statura piccola 16%; Nei normali inglesi di statura alta 16%; Nei normali inglesi di statura media 68%;

Nei genî inglesi di statura piccola 37%; Nei genî inglesi di statura alta 41%; Nei genî inglesi di statura media 22%[61].

Così si dica per la magrezza e la grassezza. Kiernan credette fornire una grande prova dell'assenza di degenerazione del genio, col dare una lunga lista di genî che presentavano un eccesso di adipe, come se la degenerazione grassa non fosse essa stessa una degenerazione. Così egli annovera, fra gli eccessivamente adiposi, Victor Hugo, Rénan, Sue, Maupassant, Flaubert, Gauthier, Sarcey, Janin, A. Dumas, Sainte Beuve, Rossini, che non poteva vedere i propri piedi, tanto era grasso, Balzac, cui tre persone con le mani unite potevano appena contornare la cintura[62].

A nostra volta, poi, ricordiamo la ben più lunga lista dei genî magrissimi: Erasmo, Pascal, Keplero, D'Auembert, Aristotele, Voltaire, di cui dicevasi che il corpo non era più che un lieve, quasi trasparente inviluppo, attraverso al quale potevasi quasi vedere l'animo e il genio. Lammenais era un ometto quasi impercettibile; diceva Lamartine: "È una fiammella che il soffio delle proprie inquietudini caccia da un punto all'altro della camera".

2. Capacità cranica. — E così dicasi della capacità craniana e dello sviluppo cerebrale, poichè mentre una buona parte, la maggior parte dei genî, come Volta, Petrarca, Bodoni, Fusinieri, Kant, Cuvier, Tackeray, Tourguenieff, ebbe capacità grandi da cmc. 1600 a 2013, e mentre, nella media di 26 crani francesi geniali il Lebon trovò una capacità di cmc. 1532, superiore di quasi cmc. 200 e più alla media, non pochi però ebbero scarsa capacità, come Rasori, Descartes, Foscolo, Tissot, G. Reni, Hoffmann, Schumann, e su 12 cervelli di grandi tedeschi, studiati da Wagner e Bischoff, 8 avevano alte e 4 bassissime capacità,, come Bollinger 1207, Liebig 1352, ecc.

3. Sviluppo delle circonvoluzioni. — Mentre il maggiore sviluppo delle circonvoluzioni e la maggior asimmetria si credettero caratteri generali degli uomini di genio, pur qualche volta essi presentano straordinarie atrofie, come in Bertillon, Gambetta, ecc., od anomalìe ataviche[63], senza dire delle meningiti di Grossi, Donizetti, ecc. E così alla bellezza della fisionomia e all'armonia delle forme craniane celebrate come caratteri del genio (Helmoltz, Dante, Schopenhauer), contrastano le enormi anomalìe ataviche di Nobili, Foscolo, Emery, Mind, Skoda, che arrivano fino all'aspetto cretinoso.

4. Filoneismo, ecc. — Al grande filoneismo, che è il carattere più generale e che è la base del genio creativo, si contrappone il frequente misoneismo, che ne fa i più terribili ostacoli ai progressi nuovi, sorti nel loro tempo; Napoleone che respinse il vapore, Richelieu che ne mandò all'ospedale dei pazzi il primo inventore, Bacone che irrise a Copernico, Galileo che, dopo avere scoperto il peso dell'aria, negava la teoria della pressione della colonna di aria sui liquidi, Laplace che nega i metereoliti, Voltaire che non crede ai fossili, Darwin e Wundt che irridono all'ipnotismo come Virchow che irride alle immunizzazioni dei sieri, al darwinismo e all'antropologia criminale.

5. Sensibilità ed equazione personale. — Più importanti ancora per la nostra questione sono i fenomeni ora di anestesia, ora di iperestesìa e, sopratutto, di ritardo o di celerità eccessiva nell'equazione personale. Mentre otto sopra undici dei genî da me studiati[64] hanno un'equazione molto più lenta della media, uno solo rappresentava una cifra media, e due diedero un minimum del tempo di equazione personale ad attenzione ordinaria. E mentre, sopratutto in nove artisti, sotto il comando di massima attenzione si ebbe una notevole diminuzione, che però non scendeva sotto alla media, in quattro biologi questa diminuzione non si notò; e, mentre uno diede brevi esponenti dell'oscillazione individuale, gli altri otto, specialmente artisti, diedero un coefficiente fin doppio e più del primo. Nei quali pure il suggerimento di massima attenzione provocò una diminuzione notevole, quasi della metà. Ma questo coefficiente, sotto il suggerimento della massima attenzione, mentre nei biologi non si abbrevia che di pochi millesimi di secondi, da 3 a 4, negli artisti varia quasi del doppio, 30 a 16, 24 a 15, e ciò per la vista. Quanto all'udito, l'equazione personale presenta la massima brevità in tre, ma molto scarsa in sei. L'esponente oscillatorio fu minimo in quattro, massimo in sette, i quali erano dunque più pronti a rispondere a un eccitamento acustico che al visivo, e assolutamente e relativamente ai biologi.

Anche l'acuità visiva si trovò in alcuni superiore, in altri assai inferiore. Il tatto, o normale o più acuto del normale, in cinque su dodici, apparve più ottuso in sette.

Importantissimo sarebbe il contrasto tra i visivi o i tipi intellettuali auditivi, che, secondo Saint-Paul, sarebbero infinitamente superiori, come 72 a 12; ma e' non mi pare abbastanza chiarito. Meglio lo chiarirono recentemente Patrizi e Cesarmi, che, su ottanta studenti di Modena che si avvicinano ai tipi almeno degli studiosi, trovarono i tipi acustici più frequenti del doppio dei visivi, 75% in confronto a 33, e gli indifferenti 1,3, aggiungendo l'osservazione curiosa che gli acustici provocano nello studio sfigmografico reazioni più pronte e più dolorose. E chi non vede che qui abbiamo fino ad un certo punto la ragione del sorgere dei grandi maestri musicali, anch'essi precocissimi, quasi fin dalla nascita?

6. Longevità. — E lo stesso dicasi della longevità dei genî.

Recentemente William Thayer nel Forum (febbraio 1900) tentò dimostrare, come già io avevo fatto, con nuovi documenti la grande longevità dei genî Anglo-Sassoni di un secolo preciso, dal 1800 al 1900; ma egli pure dimostrò la precoce mortalità di alcuni poeti.

Cominciando dai poeti, che fin dall'antichità si credevano destinati a morire giovani per l'emotività eccessiva, trovò che in 46 poeti si ha una vita media di 66 anni. Però 9 su 46 morirono giovani, da 37 a 26, e cioè 4 per consunzione e 5 per stravizi: Shelley 30 anni, Kints 26, Byron 37, Leopardi 39, Poë 40.

In 39 pittori e scultori la media è di 66 anni; però uno morì giovane (Fortuny a 36 anni).

Di 30 musicisti la media è di 62 anni: Auber morì a 89 anni, Verdi a 86, Spontini a 77. Ma quattro morirono giovani: Bellini, Bizet, Schubert e Mendelssohn.

Di 26 romanzieri la vita media è di 63 anni; nessuno morì giovane.

Di 40 letterati la media è di 67 anni; nessuno morì giovane.

Di 22 ecclesiastici la media è di 66 anni; uno solo morì giovane: Robertson.

Di 35 donne celebri la media età è 69 anni: Somerville 92, Trollope 83, Staure 85, George Sand 72, Stern 71. Ma anche qui 2 morirono giovani: le sorelle Brontë, 30 e 39 anni.

Su 18 filosofi la vita media è di 65 anni.

Su 38 storici la media è di 73 anni. Ma 3 morirono giovani.

Su 58 scienziati e inventori la vita media è di 72 anni.

La media età di 14 novatori e rivoluzionari fu di 69 anni; un solo giovane.

Di 48 militari celibi la vita media è di 71 anni; due soli giovani: Scobeleff e Jackson, 38 e 39 anni.

Di 112 uomini politici la media e di 71 anni.

Di 16 presidenti dell'America del Nord la media è di 68 anni.

La vita media di primi ministri è di 77 anni; però 4 giovani: Parnell 45, Cavour 51, Gambetta 44, Manin 51.

La regola è la longevità, ma con notevoli eccezioni per alcuni, morti precocissimi.

E nei genî troviamo da una parte un'attività psichica esagerata fino alla più tarda età (Humboldt a 80, Goëthe a 81 anni scrisse il Faust, così Verdi, Linneo e Bismarck); dall'altra Beccarla, che cessa ogni lavoro a 32 anni, ecc. E molti lasciano lavori incompleti, come pure Leonardo da Vinci per lentezza nel comporle.

E mentre la precocità è il carattere generale del genio, non mancano le genialità tarde (Alfieri, Wren, Flaubert, Klaorott).

7. Odio e amore per la musica nel genio. — Se noi studiamo la bellissima monografia del Cuningham Moffet (Music, gennaio 1900), vediamo che la maggior parte dei grandi pensatori, specialmente storici, filosofi ed anche letterati, aveva un vero orrore per la musica.

André Lang osservò che il maggior numero dei poeti e letterati odiava la musica. Johnson, Catterina II e V. Hugo la dicevano "il meno spiacevole dei rumori". Lang confessa che può sentire una cantata solo se le parole sono belle, ma non esiste per lui peggior musica della nuova: "È la sola arte che vi s'impone per forza, perchè non potete sfuggire i suoni come potreste sfuggire la pittura; il vantaggio unico per noi è che la musica cattiva non ci fa soffrire".

Anche Grant odiò la musica; obbligato di sentirne a Parigi, considerò quell'ora come la più triste della sua vita.

Napoleone preferiva la musica più stupida: Malboroug s'en va en guerre, e diceva che la musica gli tormentava i nervi; e così Napoleone III, Zola, Gambetta e Goncourt, che arricciavano il naso quando vedevano aprire il piano.

Stook non conosceva altra musica che il God save the Queen; Macaulay, parlando di un pranzo a Corte: "La musica copriva la conversazione con i suoi accordi sonori, fra cui il canto: The combat ", ed il nipote aggiungeva che "questo era il solo caso in cui abbia distinto un'aria da un'altra".

Fontenelle disse che non comprendeva quattro cose: il mondo, le donne, la musica e i saltatori. Gauthier dichiarava che di tutti i rumori la musica era il peggiore.

Max Müller non godè che il solo canto di Lind. "Sono — ci scriveva — tardo ai suoni come altri ai colori". Anche Max Buckle, come Macaulay, per quanto avesse meravigliosa memoria, non poteva distinguere un'armonia dall'altra; e Humphrey Dawis sentiva così poco la musica, che non poteva marciare in tempo quando era soldato. E così Carlo Lamb e Jean Stanley.

Beaumarchais sentenziò: "Tutto ciò che non è atto a scriversi, lo è al canto".

A tutti questi genî, odiatori di musica, opponiamo Aristotele, che fa della musica il pernio dell'educazione morale: Musset, che dice: "È la musica che mi fa credere in Dio". Daudet pare che amasse qualunque specie di musica di Chopin; il Bethoven amava il tamburino come l'organino perfino le campane; ogni suono parlava per lui. "Ogni musica — diceva — mi ispira. Wagner m'ipnotizza, il violino degli zingari mi ha fatto lavorare".

Nell' Uomo di genio dimostrai quanto Alfieri fosse sensibile alla musica. Milton era eccellente musico. Coleridge diceva che "la musica lo rinfrescava". Addison aveva "eccellente criterio musicale". E così De Quincey e Gratry. Moore dice che "la musica è la giusta interprete della religione; niente parla all'anima come essa". Sidney Smith: "Ogni suonatore è un uomo felice".

Darwin amava la musica, e così Elliot e Kemble. Burns non solo era un amante della buona musica, ma sapeva suonare il violino. I suoi canti erano ispirati da canzoni musicate, popolari, ed amava sentirsele suonare.

Carlo Reade, romanziere, ricorreva alla musica come alla più nobile delle ricreazioni. Carlyle diceva che "la musica e la lingua degli angeli".

"Molti luoghi della Commedia — scrive Graf[65] — mostrano che Dante ebbe squisito senso musicale, e così Petrarca, che l'armonia di liuti, canti e suoni rapivano fuor di sè stesso".

Metastasio non solo componeva, ma cantava i suoi versi. Goëthe gustò l'arte di Mendelssohn. Byron non poteva udire musica melanconica senza piangere. Moore, per perfezionare i propri versi, usava cantarli, e diceva la parola povera a paragone della musica. Leopardi preferì, è vero, la musica triste, ma gustò pure il Socrate immaginario di Paesiello. "Notisi — con Graf — come quel rozzo canto che passa nella via, e lontanando muore, subito sollevi la mente del poeta alla considerazione di tutto ciò che passa e muore nel mondo, ond'egli ricorda gli avi famosi e il grande impero di Roma, e finalmente conclude:

"Tutto è pace e silenzio; e tutto posa

Il mondo, e più di lor non si ragiona".

"Errerebbe di grosso — conclude il fine critico — chi in tutto questo, invece di un procedimento di associazioni, che nell'animo del Leopardi è spontaneo e naturalissimo, non vedesse altro che una velata lirica e un artificio retorico. Qui l'impressione musicale deriva la massima parte del suo valore estetico dall'abituale contenuto della coscienza.

"E così in molti altri casi. Nelle Ricordanze, udendo il suon dell'ora che dalla torre del borgo gli arreca il vento, il poeta commenta;

"Era conforto

Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,

Quando fanciullo, nella buia stanza,

Per assidui terrori io vigilava,

Sospirando il mattin".

Nella canzone: Alla sua donna, sono ricordate:

"Le valli ove suona

Del faticoso agricoltor il canto";

e nel tramonto della luna, il canto del carrettiere che saluta

"Con mesta melodia

L'estremo albor della fuggente luce

Che dianzi gli fu duce...".

"Egli è certo, dunque, che nella musica il Leopardi dovette pregiare non tanto i miracoli di una maestria consumata, la ostentazione di una virtuosità rigogliosa, creatrice e vincitrice di ostacoli, le complicazioni e le pompe teatrali, quanto l'arcano e dolce linguaggio che parla alle anime, l'intima virtù suscitatrice di sentimenti ineffabili e di estatici suoni" (Graf).

Noi vediamo dunque da tutti i caratteri dei genî, dalla statura fino all'equazione personale, al senso musicale, ecc., che, pure persistendovi un certo andazzo costante, non mancano per eccezione linee in senso perfettamente opposto, come accade appunto nell'epilessia, in cui si notano gli estremi opposti di statura, di capacità cranica, di energia intellettuale e sensoria, pure essendovi una maggioranza che ha statura piccola[66], submicrocefalìa, ottusità sensoria ed intellettuale.

CAPITOLO XV. Anatomia patologica dei genî.

I. — Teoria di Flechsig.

Come tutti i prodotti di grandi anomalìe psichiche, anche il genio ha la sua speciale anatomia patologica. E già, quanto al volume, ora eccessivo, ora scarso, del cranio, abbiamo accennato, e così sull'anomalìa spesso atavica delle circonvoluzioni (Vedi L'uomo di genio ). Ed a quelli esposti allora aggiungeremo altri dati importantissimi.

Ma prima ci conviene ribattere l'obbiezione del Flechsig, essersi, cioè, trovata la base anatomica del genio non nell'anomalìa involutiva, ma, al contrario, nel massimo sviluppo dei centri associativi, obbiezione che continuamente ci si affaccia in Germania e più in Italia — per quell'antiitalianismo che ci è tutto speciale —. A quest'obbiezione risponderò con i recenti lavori di Grandis[67], di Vogt[68], di Leonardo Bianchi[69], di Hitzig, di Monakow[70] e di Leggiadri-Laura[71].

"Non è provata — scrive Grandis — l'energia specifica delle varie zone della corteccia cerebrale, pretesa dal Flechsig; e l'idea sua che non si possa avere una sostituzione delle funzioni di una parte della corteccia cerebrale, per mezzo di un'altra dello stesso emisfero, è dimostrata falsa dalla clinica e dall'anatomia patologica".

Il Flechsig ammette come cosa dimostrata e come assioma che le fibre nervose non siano atte a trasmettere gii eccitamenti se non quando si sono rivestite di guaina midollare. Ma ciò ha contro di sè molti dati dell'anatomia comparata. Tutti i cefalopodi hanno fibre nervose prive di guaina midollare, le quali, cionondimeno, trasmettono molto bene gli impulsi che partono dal centro e quelli che provengono dal mondo esterno alle loro estremità periferiche. E il Birottau dimostrò, con numerose ricerche, come nei nervi dei cefalopodi e di alcune specie di aplisìe, a fibre non mielinizzate, tutti i fenomeni elettro-fisiologici decorrano perfettamente nello stesso modo come nei nervi provvisti di guaina mielinica (Grandis).

Aggiungasi che, secondo Westphal, nessun fatto ci autorizza a ritenere che sia necessaria detta guaina, perchè le fibre nervose possano funzionare; anzi, lo stesso Westphal aveva già dimostrato falso anche l'altro fatto fondamentale: che, cioè, i nervi motori si rivestano di guaina mielinica prima dei nervi sensibili, come pretende il Flechsig.

E poi, assai prima dell'età di tre anni, il bambino eseguisce tutti i movimenti; ed è capace di percepire tutte le forme o impressioni esterne di cui è capace l'adulto, assai prima, cioè, che le sue fibre nervose siano rivestite di guaina mielinica; non solo, ma il bambino di due anni, che ha da lungo tempo perfetti i nervi cerebrali, è assai meno perfetto in tutte le funzioni dipendenti dai nervi cerebrali, di quanto non sia nei movimenti dei nervi spinali.

"Assodato il fatto — conchiude Grandis — che le fibre nervose sono capaci di trasmettere gli eccitamenti anche quando sono prive di guaina mielinica, il risultato delle ricerche del Flechsig ci permette soltanto di determinare il decorso seguito dalle fibre centripete per arrivare alla corteccia e per delimitare ivi la loro area di distribuzione; ma sono fondamentalmente deboli le conclusioni teoriche che egli ne vuol derivare sulla distribuzione cerebrale delle più elevate funzioni psichiche".

Anche il nostro Leonardo Bianchi — che onora così altamente la Psichiatria italiana — trova che la teoria del Flechsig, spinta alle sue ultime conseguenze, rappresenta una più o meno larvata risurrezione del sistema di Fall.

"La deduzione più verisimile — osserva il Bianchi — che, se non è nettamente formulata, si legge tra le righe delle diverse comunicazioni fatte su questo argomento da Flechsig, è che ciascun territorio corticale embriologico di ciascuno dei tre gruppi (primordiale, intermediario e terminale) possegga proprietà fisiologiche distinte; e si dovrà finir per conchiudere che i quaranta territori, che da qui a qualche anno saranno cresciuti di numero, servano ad altrettante specifiche attività dello spirito".

"Ora non è dimostrato — segue egli con quella finezza critica che è tutta sua propria —, nè verisimile, che esistano nella corteccia cerebrale centri della memoria distinti dai centri percettivi.

"La larga zona occipito-parietale in cui si troverebbe, secondo Flechsig, l'area associativa posteriore, è quasi tutta di pertinenza della funzione visiva; su parecchi punti di essa l'eccitazione elettrica provoca movimenti oculari, la distinzione di essa, o di parte di essa, se è solo corticale, produce fugaci disturbi visivi; se è profonda, produce l'emiopìa permanente; se è bilaterale, la cecità psichica; nel quale ultimo caso gli oggetti visti non sono più riconosciuti.

"Anche l'estremità anteriore terminale di detta area è nell'uomo esclusivamente visiva, destinata, cioè, alla lettura; e nulla autorizza a considerare questa zona come destinata ai più alti processi intellettivi, consistente nell'associazione d'immagini fornite dalle diverse aree percettive o sensoriali. Se le lesioni bilaterali di detta zona, oltre la cecità psichica per gli oggetti, inducono uno stato demenziale più o meno grave, è lecito supporre che la demenza in tali casi sia l'espressione della perdita di una gran parte del patrimonio intellettivo dell'uomo, dipendente dalla distinzione dei registri delle immagini visive dal mondo esterno, le quali costituiscono gran parte di tutta la somma dei componenti psichici sensoriali dell'umana intelligenza. L'affermazione, poi, che l'eccitazione della zona sensoriale dia per risultato l'allucinazione, e quella della zona associativa induca la confusione mentale, è affatto arbitraria. Basta infatti rammentare i casi in cui una sola allucinazione visiva o uditiva turba profondamente la personalità psichica, fino a produrre intensa confusione mentale.

"Nessun sussidio alla dottrina delle aree associative, intese nel senso di Flechsig, apporta l'analisi istologica, la quale se dimostra — come appare dai recenti lavori di R. y Cajal, che ha riconosciuto nove strati nella zona visiva, in confronto dei sette già riconosciutivi dal Meynert e dei cinque attribuiti alla zona motrice, e dalle recenti ricerche dello stesso Cajal, dell'Hammarberg, dello Schlopp — una struttura sempre più differente nelle varie zone corticali, non dimostra però affatto, come fatto costante, una maggiore semplicità di struttura nell'area percettiva rispetto alle aree associative, nel senso del Flechsig.

"II fatto della frequente demenza che riscontrasi negli individui colti da sordità verbale per focolaio distruttivo della prima circonvoluzione temporale, e considerazioni di fatto tendenti a dimostrare che la funzione dell'udito generico e quella dell'audizione verbale si sovrappongono nella medesima area con grande prevalenza, a sinistra, della funzione specifica del linguaggio, rispetto alla funzione generale dell'udito, dimostrano che questa regione ha una funzione specifica di alto valore intellettivo e associativo; invece, dal Flechsig, sarebbe una zona primordiale e intermedia.

"Così alla zona motrice, somestetica di Flechsig, concorrono necessariamente tutti i prodotti che si formano nelle singole zone della corteccia cerebrale. Onde centripete, nel cervello, come nel midollo spinale, si risolvono attraverso i centri motori sugli apparati muscolari. E perciò la zona così detta motrice è una zona associativa anche a maggior titolo della grossa zona associativa postero-inferiore di Flechsig, perchè utilizza il prodotto di tutte le zone sensoriali poste all'indietro e inferiormente.

"Lo stesso avviene per la zona che si estende sui piedi delle circonvoluzioni frontali e che pure, essendo essenzialmente motrice, è effettivamente la più genuina espressione della spiritualità, essendo deputato alla funzione della scrittura e della parola parlata. Queste aree debbono essere di necessità associative del più alto valore, per le numerose relazioni con altre parti del cervello, pure essendo comprese dalla maggior parte degli autori nella zona motrice o di proiezione. Inoltre il rapporto tra la mielinizzazione e la funzione non è confermato — come già osservava il Grandis ed ora ripete il Bianchi — dalla fisiologia. I movimenti volitivi del bambino per il cammino si compiono per la zona nº 1, che è la prima a svilupparsi, mentre il cammino ed anche i movimenti volitivi più semplici sono molto più tardivi dell'audizione della parola che si compie dalle aree 7 e 23.

"E i lobi frontali non sono certamente centri di moto, nè di senso; ma neppure si possono considerare come semplici aree associative, inquantochè non servono solo alla fusione fisiologica dei percepiti per la formazione dei concetti, ma sono anche l'organo della fusione fisiologica dei sentimenti elementari dei singoli individui, da cui nascono i più alti sentimenti umani che caratterizzano l'uomo moderno civile. In ultima analisi, sono gli organi della direttiva dell'individuo nell'ambiente sociale e cosmico".

"Cosa rimarrà — finisce Bianchi — della fantastica geografia psico-anatomica del mantello cerebrale, di cui il Flechsig da parecchi anni, in varie edizioni rivedute e mutate, ha arricchita la nostra letteratura?".

Più di recente la C. Vogt, completando le ricerche anteriori del marito O. Vogt, abbatte la teoria di Flechsig con nuovi documenti esperimentali.

Il Flechsig vuole che il processo di mielinizzazione sia diverso negli animali e nell'uomo. Ora la Vogt, dalle sezioni in serie dei cervelli di più di 30 giovani gatti, di più di 20 giovani cani, di 12 conigli e di 6 bambini, trovò che vi ha identità completa nel processo della mielinizzazione negli animali e nell'uomo.

E, ciò che più importa, la Vogt dimostrò che la mielinizzazione delle fibre nervose non è punto in rapporto con le funzioni cerebrali, ma dipende dallo sviluppo delle fibre di proiezione; ciò conferma quanto il Grandis desumeva dalla clinica.

La Vogt ha infatti trovato che, tanto nell'uomo quanto negli animali, le regioni non mielinizzate dalle fibre di proiezione sono precisamente quelle che contengono, secondo i risultati della degenerazione secondaria, le fibre dei centri non ancora mielinizzati.

Questi dati basterebbero da soli a togliere ogni importanza alle conclusioni che il Flechsig vuole trarre specialmente in rapporto con la psichiatria, e scalzano una legge — già negata da C. Vogt —, secondo la quale l'insieme delle fibre di proiezione si mielinizza prima della corteccia.

Secondo il Larionoff, che pure ammette i centri di associazione, il centro per la percezione dei suoni nel cane sarebbe la parte postero-neutrale del cervello; vale a dire la parte che si mielinizza più tardi, secondo la Vogt; cioè, dovrebbe essere un centro di associazione, secondo le vedute del Flechsig, mentre è invece un centro sensoriale. Persino l'importanza che il criterio della mielinizzazione ha nello studio della disposizione dei sistemi di fibre nervose, sarebbe menomata dal fatto che, contrariamente all'opinione del Flechsig, lo studio della mielinizzazione non contraddice allo studio delle degenerazioni secondarie, ma lo conferma.

Ora, da questo studio risulta alla Vogt che tutte le regioni corticali contengono fibre di proiezione e dovunque in numero abbastanza grande, perchè non si possa fare di alcuna regione della corteccia un puro centro di associazione.

Recentissimamente, poi, al Congresso di Parigi, Hitzig non solo non credette confermare le idee del Flechsig sulla mielinizzazione cronologica dei centri di proiezione e di associazione; ma osservava che lo stesso Flechsig ha trovato differenze individuali ch'egli attribuisce, è vero, ad influenze patologiche, ma che i suoi avversari considerano, ad egual diritto, come fisiologiche.

Ora, veramente, questa obbiezione dell'Hitzig non mi pare molto efficace, giacchè il Vulpius ha dimostrato che la mielinizzazione è ostacolata dalle malattie della nutrizione, dal rachitismo; Tuchzeck, Zacher ed altri hanno a loro volta dimostrato la influenza ostacolante dell'idiozia e dell'epilessia. Ma l'Hitzig ha ragione quando afferma che l'opinione dei varî autori è così diversa intorno alla differenza della struttura anatomica dei centri di proiezione e di associazione, che è assolutamente impossibile di formarsi a questo riguardo un'opinione precisa. Infine l'Hitzig considera la teoria del Flechsig sulla sede dei fatti di coscienza come puramente ipotetica.

"L'ipotesi — scrive Leggiadri-Laura — di immagini di memorie depositate in particolari gruppi di cellule non è provata da alcun fatto".

Ma più decisive appaiono le ricerche di Monakow comunicate allo stesso Congresso, in quanto concordano con quelle della C. Vogt. Il Monakow nega che si possa parlare di centri di associazione nel senso del Flechsig, per la ragione che, se esistono su tutta la superficie cerebrale spazi considerevoli più o meno estesi in circonferenza in cui non sì trovano affatto fibre di proiezione e focolai in cui si riuniscono tali fibre, non è però in nessun modo possibile di limitare, in un modo un po' preciso, i territori che sono poveri in fibre di proiezione e quelli che ne possegono abbondantemente. Il Monakow non ha infatti constatato differenze anatomiche fondamentali tra le due specie di territori degli emisferi cerebrali. Del resto, esistono in altre regioni cerebrali (la sostanza grigia centrale) parti che sono egualmente sprovviste di fibre di proiezione, e nelle quali non si sogliono punto distinguere centri di proiezione e centri di associazione. Queste le principali obbiezioni del Monakow, come anche per lui il metodo di studio fondato sulla mielinizzazione è ben lungi dall'essere sufficiente a risolvere il problema fisiologico della fine organizzazione dei neuroni nel cervello.

"Tutto ciò che è lecito dire — così il Monakow — si è che è verisimile e logico che lo sviluppo dei centri sensoriali preceda quello delle parti corticali, che servirebbero di base all'intelligenza. Ma l'ipotesi che stabilisce le funzioni psichiche superiori in focolai corticali specialmente delimitati ed aventi una struttura particolare (i centri di associazione o intellettuali), è insostenibile. Si devono piuttosto rappresentare i diversi elementi che concorrono al lavoro psichico, come sparsi in tutta la corteccia cerebrale, e benchè dobbiamo ammettere per il lavoro psichico condizioni anatomiche necessarie, di cui le strutture diverse predominano ora in questa, ora in quella circonvoluzione, dobbiamo però riconoscere che tali condizioni anatomiche ci sono tuttora ignote".

S'aggiunga che i casi di genî con straordinaria sviluppo dei centri di associazione non sono che due o tre al più, mentre, come notava Hansemann a proposito di Helmoltz, si riscontra questo sviluppo eccessivo in numerosissimi casi di uomini volgarissimi, per cui da ogni parte la teoria di Flechsig e le sue applicazioni sul genio cadono nel nulla.

E quelli che continuamente ce la rinfacciano, dimostrano con quanto poco criterio e calore seguano il movimento scientifico moderno.

II. — Anomalìe in crani e cervelli di genî.

Veniamo alle ultime scoperte fatte sui crani e cervelli di genî dopo il mio Uomo di genio (volume I, cap. II).

Emilio Demi. — Nel cranio del geniale scultore livornese Emilio Demi, morto a 65 anni, dopo però una vita dissipata di alcoolista e vagabondo, l'egregio dott. A. Mochi[72] trovò seni e arcate sopraciliari sporgenti, suture coronaria e sagitale ancora aperte a 65 anni. Enorme sporgenza degli zigomi, mandibola voluminosissima, sutura medio-frontale, prognatismo alveolare, cortezza della faccia.

Nel Museo di anatomia di Padova sono conservati crani rarissimi di alcuni grandi ingegni medici. Col mezzo del dott. Favaro ottenni su questi le informazioni che qui riassumo[73]:

Santorio de' Santorii, di Capo d'Istria (1561), d'anni 75: indice cefalico 83,78; circonferenza massima 513. Peso del cranio (esclusa la mandibola) gr. 757.

Sinostosi completa della sutura interparietale, parziale della lambdoidea, nella cui metà sinistra notasi un osso wormiano. Rilevate le linee temporali. Esostosi del volume di mezza avellana nella squamma del temporale sinistro.

Stefano Gallini, fisiologo insigne, nato nel 1788 a Venezia, d'anni 80: indice cefalico 74,29; circonferenza massima 520.

Arcate sopracciliari marcate. Molto rilevate la linea temporale e la semicircolare superiore dell'occipitale. Manca la sutura parieto-sfenoidale sinistra, mentre il frontale e la squamma del temporale vengono a contatto per l'estensione di un millimetro. Assai sviluppati i processi mastoidei. Doppio forame sottorbitario. L'apofisi lemurinica, presente solo a sinistra, ha 11 mm. di base e 3 mm. di altezza a sinistra.

Bartolomeo Signoroni, chirurgo famoso, nato nel 1797 ad Adro (Broscia), d'anni 48: indice cefalico 82,51; circonferenza massima 540.

Sinostosi parziale delle suture coronaria e biparietale. Osso epactale. Sinostosi delle articolazioni atlo-occipitali e fusione ossea dell'apofisi transversa di sinistra dell'atlante con l'apofisi iugulare dallo stesso lato dell'osso occipitale. Apofisi lemuriniche in forma di due creste di 3-4 mm. d'altezza rivolte in basso e all'esterno; il margine libero della sinistra è accartocciato in alto.

Giacomo Andrea Giacomini, patologo, nato a Mocasina (Brescia) nel 1797, d'anni 52: indice cefalico 78,70; circonferenza massima 530.

Qualche piccolo osso wormiano nella sutura lambdoidea. Osso epactale e uno wormiano nella sutura occipito-mastoidea di destra. Asimmetrie delle aperture nasali. Traccie di apofisi lemuriniche più evidenti a sinistra.

Carlo Conti, matematico illustre, nato nel 1849 a Legnago, d'anni 47: indice cefalico 85,83; circonferenza massima 530.

Osso wormiano fontanellare bregmatico di millimetri 21,5 di diametro longitudinale per 12 mm. di diametro transversale, un osso wormiano pterico a destra ed uno nella sutura lambdoidea. Tre wormiani fontanellari asterici ed altri minori per ciascun lato. Il condilo occipitale sinistro è molto più lungo del destro, misurando 24, in luogo di 18 mm. La metà destra dell'apertura anteriore delle fosse nasali è più stretta in direzione transversale. Apofisi lemurinica sinistra.

Di Victor Hugo si sa (dallo studio della maschera) che era stenocrotafitico: diametro frontale massimo 111 mm. e bizigomatico 146, superiore quest'ultimo alla media dei parigini di 136, e che faccia e cranio erano notevolmente asimmetrici; gobba frontale più elevata della sinistra; naso e zigomi inclinati a destra[74].

Di Asseline (l'autore dell' Histoire d'Autriche ), morto a 49 anni: altra analoga asimmetria cranica. Lunghezza esagerata, specialmente a sinistra, della scissura perpendicolare esterna o scissura occipito-parietale; è profonda e si continua fino al solco interparietale. La piega di passaggio parieto-occipitale è situata profondamente, così che ne risulta l'isolamento quasi completo del lobo occipitale (la calotta pitecica)[75].

Di Assézat — altro storico insigne — morto a 45 anni: cervello gr. 1311 (o gr. 1366, secondo Bisot). In più punti si notano anastomosi che intercettano i solchi frontali, così che i limiti delle circonvoluzioni frontali sono poco netti. Anzi, tra la seconda e la terza F. le comunicazioni sono talmente frequenti, da indurre, sia a destra che a sinistra, una fusione quasi completa fra loro.

Il solco interparietale, che separa la prima P. dalla seconda P., è assai profondo ed è continuo; mancano, perciò, quelle pieghe di passaggio che di solito lo interrompono; esso sbocca, in avanti, nel solco post-rolandico[76].

In Condereau il cervello pesava gr. 1378, il cervelletto 195, la 3ª circonvoluzione occipitale è separata: un lungo solco curvo abbraccia il margine infero-esterno dell'emisfero, in cui vengono a sboccare i solchi temporali terzo e quarto. Questo solco è l'omologo del solco sotto-occipitale, che trovasi nelle scimmie[77].

In Gambetta il cervello pesava gr. 1246,5, ossia era inferiore di gr. 128,5 al peso medio del cervello adulto (gr. 1360). Il lobo occipitale è estremamente ridotto, specialmente a destra, dove è assai irregolare e mal circoscritto[78]. Il lobo quadrilatero di destra è poco sviluppato, ma più complicato del sinistro; esso è, infatti, diviso in due parti da un solco che s'inizia dalla scissura occipitale; l'inferiore di queste due parti è percorsa da numerosi meandri.

Fig. 1. — Cervello (sinistro) di Gambetta.

Ma la particolarità caratteristica del cervello di Gambetta, uno dei più grandi oratori del nostro tempo, è l'enorme sviluppo della terza circonvoluzione frontale, in ispecie a sinistra, nel cui piede sembra risieda la localizzazione del linguaggio articolato; e questo appare quasi interamente

sdoppiata (Figg. 1 e 2). Il piede della F.³, rappresentato nelle scimmie, più vicine all'uomo, da un lieve rudimento e che è assai semplice presso i popoli selvaggi, va aumentando di volume con l'innalzarsi graduale dell'individuo, e della razza[79].

Ciò non implica però, in linea assoluta, che lo sviluppo del piede della F.³ sia uniformemente parallelo a quello dell'intelligenza; essendo sede d'una funzione determinata, questa può essere difettosa in un individuo senza che le altre doti intellettuali siano sminuite; nel cervello di Bertillon, ad esempio, il creatore delia demografia, tale piede è notevolmente ridotto; ora, Bertillon era un vero disfrasico.

Fig. 2. — Cervello (destro) di Gambetta.

È noto, poi, che nei cervelli di Huber e di Wulfert, filosofo il primo e giurista il secondo, ed entrambi eminentemente dotati di facoltà oratoria, il piede della F.³, benchè non diviso come in Gambetta, si presenta tuttavia assai sviluppato (Rüdinger).

In Bertillon[80], celebre demografo, ma balbuziente e deficiente nella parola come nella scrittura, il cervello pesava gr. 1398, molto superiore alla media di Parigi (gr. 1304), malgrado la statura fosse solo di m. 1,56.

L'emisfero sinistro è un po' più corto di quello del lato destro (da 3 a 4 mm).

La F.¹ di sinistra si presenta completamente sdoppiata nella sua faccia interna (tipo quaternario di Benedikt?).

Per contro, il piede della F.³ di sinistra è assai ridotto; lo è meno quello della F.³ di destra. Si noti, in proposito, che Bertillon fu dapprima mancino e più tardi ambidestro, e ch'ebbe spiccata difficoltà di parola.

A sinistra la circonvoluzione del corpo calloso è esile.

Il lobulo quadrilatero ha un grande sviluppo. È invece piccolo il lobulo ovolare.

Mentre la regione anteriore del cervello offre uno sviluppo abbastanza notevole, relativamente inferiori, circa la dimensione, sono i lobi temporali e il cervelletto. La relativa piccolezza di quest'ultimo ci appare assai bene nella fig. 3, che

Fig. 3. — Bertillon (—); Gambetta (.....). — (Da Manouvrier ).

rappresenta i profili sovrapposti dei moulages intercraniani di Bertillon e di Gambetta: si vede, infatti, che il profilo di Bertillon sorpassa quasi sempre, e specialmente in avanti e in alto, il profilo di Gambetta, mentre questo lo supera in corrispondenza del cervelletto e della punta del lobo sfenoidale.

Manouvrier dà, poi, le seguenti cifre:

Bertillon Gambetta

Larghezza massima del lobo frontale mm. 125 mm. 113

Larghezza massima del cervello " 110 " 110

Rapporto tra la larghezza massima del cervelletto e la larghezza massima trasversale " 78,0 " 80,2

Dai due getti intracraniani Manouvrier rileva ancora i seguenti dati, rispettivamente a Bertillon e a Gambetta[81]:

Bertillon Gambetta

Diam. antero-posteriore massimo mm. 179 mm. 167

Diam. trasverso massimo " 141 " 137

Indice cefalico (intracraniano) " 78,77 " 82,03

Circonferenza orizzontale " 513 " 482

E. Véron[82], sociologo e storico: — L'emisfero di sinistra misura mm. 156 e solo mm. 151 quello di destra.

A destra la F.¹ è sdoppiata in quasi tutto il suo percorso (tipo quaternario di Benedik?).

Manca la prima delle pieghe di passaggio parieto-occipitale.

A sinistra si osserva un notevole confluire di scissure: infatti, la scissura di Silvio comunica col solco post-rolandico, questo col solco interparietale, e questo con la scissura perpendicolare esterna. Infine, la scissura calcarina si prolunga esageratamente.

Nel lobo temporale di sinistra si ha la presenza del solco limbico. Si ricordi che tale solco, costante presso le scimmie e gli anfibi ed esistente nei cervelli non caucasici, è rarissimo tra i bianchi: Broca gli assegna, perciò, un carattere d'inferiorità.

Pizarro[83]. — All'esame dei suoi resti mortali, che avvenne il 24 giugno 1893 a Lima in occasione del 350º anniversario della sua morte, fatto dal Señor Manuel Antonio Muñiz, e riprodotto poi, insieme al disegno del cranio tratto da una fotografia, da W. J. Mcgee nel The American Anthropologist, nº 1, vol. VII, 1894, mancavano fin le tracce delle suture occipito-temporali e della lamboidea, L'obelio e la sagitale erano obliterate, vi era esagerazione delle arcate sopraccigliari e della glabella, come pure delle eminenze parietali. Esisteva una fossetta occipitale mediana assai profonda. Sulla faccia era notevole il prognatismo. Indice cefalico 83.

Spitzka[84] descrive i cervelli dei famosi Séguin, padre e figlio, sociologi, medici, oratori, discendenti da una lunga schiera di scienziati. In ambidue la insula sinistra mostrava uno sviluppo straordinario in confronto ai comuni cervelli, tanto che resta visibile, fra i due opercula, una piccola porzione triangolare della preinsula; anche in confronto col lato destro le sue circonvoluzioni anteriori erano scoperte e spingevano all'indietro l'operculo, che pure era molto sviluppato. La fossa di Silvio era profonda da questo lato 7 mm. invece di 15, con tendenza ad essere orizzontale.

Ramo cefalico della scissura pararolandica breve a sinistra e lunga a destra.

Scissure epi- ed ipo-silviane più lunghe a sinistra che a destra.

Presenza, sopra i due opercula di destra, di una scissura isolata, abbracciata dalle branche della scissura presilviana.

Scissura medio-frontale divisa in due segmenti a sinistra, male tracciata a destra.

Circonvoluzione di Broca molto sviluppata a sinistra e poco a destra.

Scissura frontomarginale bene tracciata a sinistra, mancante a destra.

Scissura olfattoria sinistra più breve che la destra.

Padre. Figlio.

Indice lobare frontale: sinistro 60,4, destro 58,0; Indice lobare frontale: sinistro 61,0, destro 57,9;

Indice lobare parietale: sinistro 22,2, destro 20,6; Indice lobare parietale: sinistro 23,6, destro 26,3;

Indice lobare occipitale: sinistro 17,4, destro 21,4; Indice lobare occipitale: sinistro 15,3, destro 16,3;

il che equivale a dire che in ambidue i cervelli l'indice frontale sinistro è più grande del destro, e quello occipitale sinistro è, invece, più piccolo del destro. Quanto a quello parietale, c'è la simiglianza incrociata[85]:

Simiglianze Incrociate.

Padre. Figlio.

Prevalenza di sviluppo dell'emisfero destro. Prevalenza di sviluppo dell'emisfero sinistro.

Scissura parietale e paroccipitale separate da un istmo a sinistra e confluenti invece a destra (fatto che si trova 6 volte su 100 cervelli, secondo Spitzka). Istmo parieto-paroccipitale a destra e confluenza delle scissure parietale e paroccipitale a sinistra.

Scissura postcalcarina biforcata solo a destra. Scissura postcalcarina biforcata solo a sinistra.

Angolo occipito-calcarino destro = 70°; sinistro = 60° circa. Angolo occipito-calcarino destro = 60°: sinistro = 70° circa

Complesso scissurale ex-occipitale destro simile a quello sinistro del figlio. Visibile la 2ª e la 4ª piega di passaggio. La 3ª è sommersa, formando un subgiro a 7 mm. dalla superficie. Complesso scissurale ex-occipitale sinistro simile a quello destro del padre, 2ª, 3ª e 4ª piega di passaggio tutte superficiali.

La scissura parietale sinistra unisce le due scissure supertemporale ed intermedia. La scissura parietale destra unisce le due scissure supertemporale ed intermedia.

Unione della scissura medio frontale con la orbifrontale a destra. Unione della scissura medio frontale con la orbifrontale a sinistra.

Relativa piccolezza del cuneus, specie a sinistra (segno di superiorità). ?

A sinistra i quattro segmenti della fessura interparietale distintamente separati fra loro [86] . ?

In conclusione, i due cervelli hanno la stessa fisionomia ed hanno, nella irregolarità loro, una certa regolarità, tendendo ambidue a deviare dalla regola, ma nello stesso modo, per cui resta evidente in essi una trasmissione ereditaria, in parte diretta ed in parte incrociata, trovandosi nel figlio molte particolarità paterne dell'emicerebro opposto, quasi che certe parti del cervello del figlio fossero l'immagine specolare delle omologhe parti del cervello del padre. Questa ereditarietà è poi notevolissima, per il fatto dell'essersi trovati due cervelli tanto simili, perchè parenti, mentre è straordinariamente difficile trovarne due che si rassomiglino soltanto un poco. L'asimmetria dei cervelli a sviluppo superiore dovrà certo, d'ora innanzi, formare la base dimostrativa della trasmissione ereditaria.

Ma quello che più importa qui è sopratutto la ipertrofia e la scopertura dell'insula, che venne trovata in due grandi ingegni di Freiburg da Waldschmidt, nel filosofo Chaunchey Wright da Wilder, e che, malgrado quanto sostiene lo stesso Spitzka, è atavica, perchè, come notano Mickle e T. G. Clark[87] e venne osservata da Rolleston in un Australiano, è frequente nei microcefali e, secondo Tenebri e Leggiadri-Laura, nei criminali, e costante nel porco-marino, nel quale è più complessa e più sviluppata che nell'uomo.

La Kowalewski[88] presenta larghe circonvoluzioni poco complicate con non molte circonvoluzioni secondarie e terziarie. Presenta d'anomalo l'accorciamento della scissura di Silvio all'indietro, perchè la parte posteriore del gyrus supra-marginalis è più ampia della normale e si spinge a mo' di operculo nella scissura. Analoga disposizione fu trovata nel cervello dell'astronomo Gilden.

Helmoltz apparve certo a tutti i contemporanei l'uomo più equilibrato e più geniale della moderna Germania, come quello che creò una nuova teoria ottica, una nuova scienza acustica. Ebbene, recentemente moriva, e David Hansemann, dandocene l'autopsia, rivelava che egli, morto a 73 anni per apoplessia, presentava, oltre a traccie di antica idrocefalìa che spiegano l'enorme[89] capacità (circonferenza 590 mm.), uno dei fenomeni atavici più sicuri che si conoscano, la politelìa, cioè i capezzoli sopranumerari che stavano a 7 cm. al di sotto del capezzolo normale, come nei mammiferi inferiori. Esisteva nel cranio pure atrofia senile, atrofia delle lamine ossee, scomparsa delle suture, aderenze della dura madre alla vôlta; ma nessun segno di senilità presentava il cervello, il quale pesava 1700 grammi per enorme quantità di siero sanguigno e coaguli, che, esportati, ne riducono il peso a 1440. Si notava sclerosi alla base ed ai lati, dilatazione del ventricolo destro con una cisti del plesso coroideo, grande come una nocciola; maggiore ancora era la dilatazione del ventricolo sinistro, specie del corno posteriore; il plesso aderente all'ependima.

Insolitamente sviluppata era la porzione posteriore della circonvoluzione temporale, quella considerata come centro dell'udito, ed in modo speciale la parte compresa fra il giro sopramarginale e la 3ª circonvoluzione occipitale; risaltava sopratutto il giro angolare con rara evidenza e si continuava con un piede con la 1ª, con un secondo con la 2ª circonvoluzione temporale, così che fra il giro subangolare e la 1ª circonvoluzione temporale stanno nettamente due giri, come nei casi che Flechsig classifica prevalenti nei centri e nelle sfere associative: si notava pure una ricca suddivisione dei lobi frontali, della circonvoluzione occipitale e un giro nella parte centrale; la larghezza e la suddivisione del precuneo s'imponeva, sopratutto, in modo speciale.

Però tutte queste ed altre singolarità che accennano ad uno sviluppo maggiore dei centri associativi, così detti dal Flechsig, vennero trovate anche in persone volgari, per cui l'anomalìa principale resta ancora l'idrocefalìa, di cui presenta segni nella prima giovinezza con l'enorme capacità e con accessi di epilessia; Hansemann[90] perciò trova nell'idrocefalo la ragione del suo genio, giacchè non basta, egli dice, che perciò siano sviluppate le sfere d'associazione; bisogna, perchè ci sia un genio, che una qualche eccitazione speciale le spinga continuamente all'azione. Vi sono genî, in cui agì uno stimolo chimico, il vino, per esempio, o l'etere, come in Poë e in Hoffmann; in altri, lo stimolo è patologico, come ci provano la platicefalìa di Paracelso, di Meckel, di Humboldt, le precoci saldature di Dante, l'asimmetria craniana di Schiller e Kant. In Helmoltz lo stimolo era dato nell'idrocefalo, che esercitava una certa pressione sul cervello, fino a provocare accessi epilettoidi, non essendovi dubbio una pressione cerebrale aumentata poter provocare irritazioni nel cervello.

C. Giacomini[91]. — Ma noi ne abbiamo a questo proposito un'altra prova recente nell'anomalìe craniche e cerebrali di C. Giacomini, uno degli anatomici più attivi dei nostri tempi, a cui si devono appunto gli studi più recenti sulle circonvoluzioni cerebrali, sulle anomalìe dei negri, sul cervello dei microcefali, ecc., e che, fino all'ultimo momento della vita, si consacrò alle indagini scientifiche, sicchè si può dire di lui essere morto lavorando e scoprendo: orbene, egli presentava molte di quelle anomalìe craniane ora classificate fra le degenerative, come: spiccata stenocrotafia, sviluppo grande della mandibola ed appendice lemuriana; e nel cervello, di poderoso volume, ma colpito da precoce apoplessia — come quello di Helmoltz —, notava Sperino (o.c.), oltre un notevole rigoglio delle circonvoluzioni frontali, suddivise da solchi secondari e terziari più o meno profondi, un particolare sviluppo nella regione del gyrus sopramarginalis, specialmente a sinistra, ed a destra in quella del gyrus angularis regioni attigue al grande centro d'associazione parietale di Flechsig. Ma contemporaneamente vi si notavano: la permanenza del sulcus intermedius, che solitamente scompare nell'adulto; e lo sdoppiamento in ambi gli emisferi della scissura di Rolando, che egli stesso credette non poter formarsi se non per pressione anormale del cranio embrionale, e che si riscontra in grandi proporzioni nei delinquenti e negli epilettici (Vedi Tavola II, figg. 1 e 2).

Notisi che egli — che primo illustrò questa anomalìa — era uno dei più schietti avversari della teoria patologica del genio e del delinquente. Oh! non sembra egli questo uno di quei fatti simbolici, destinati a dimostrarci la forza irrefrenabile del vero ed a consolidarlo, che siasi trovata una delle più singolari anomalìe cerebrali, e di quelle, anzi, che maggiormente spesseggiano nel delinquente in quel grande che più combattè la teoria degenerativa, l'esistenza di atipie cerebrali nel delinquente e nel genio?

TAVOLA II.

Il cervello di C. Giacomini ( Sperino, op. e loc. cit.).

Fig. 1 (emisfero destro). Fig. 2 (emisfero destro).

Spiegazione della Tavola II.

f.s.y. fissura Sylvii — s.r. sulcus Rolandi o sulcus centralis — s.r. 2º. sulcus Rolandi secundus — I. nervo olfattorio — I.I. nervo ottico — f.s. sulcus frontalis superior — f.m. sulcus frontalis medius — f.i., sulcus frontalis inferior — G.F.S. gyrus frontalis superior — G.F.M. gyrus frontalis medius — G.F.I. gyrus frontalis inferior — G.R. gyrus rolandicus (Giacomini) — P.I.P. gyrus parietalis inf.-posterior — A.O.S. gyrus occipitalis superior — G.O.M. gyrus occipitalis medius — G.O.I. gyrus occipitalis inferior — G.T.S. gyrus temporalis superior — G.T.M. gyrus temporalis medius — G.T.I. gyrus temporalis inferior.

Ed aggiungendo a questa le anomalìe menzionate nel mio Uomo di genio e nel Genio e degenerazione, notiamo che:

Byron presentava scomparsa completa delle suture e mancanza di diploe, pachimeningite adesiva estesa alla gran falce, stravaso nei ventricoli, congestione cerebrale: peso del cervello e cervelietto 6 libbre mediche (?).

Emmerich Elbert a 18 anni compose una grande opera su Tamona; morì a 29 anni per encefalopatia ed epilessia; incosciente e soporoso, con pupilla sinistra inattiva, paralisi a sinistra e convulsioni a destra. Peso dell'encefalo 1480; atrofia del corno d'Ammone sinistro più piccolo del destro. Periencefalite a destra.

Volta presentava salienze delle apofisi stiloidi, semplicità della sutura coronaria, traccie della sutura medio-frontale, ottusità dell'angolo facciale, sclerosi cranica.

Pizzarro presentava fossetta occipitale mediana e apofisi lemuriana delle mandibole.

Manzoni, Petrarca, Fusinieri presentavano fronte sfuggente; Pascal saldature delle suture; Rasori, Foscolo, Hoffmann submicrocefalìa; Donizetti meningite e saldatura delle suture; Milton e Linneo idrocefalìa; Liebig, Dollinger, Haussmann capacità basse; Rousseau, Cuvier idrocefalìa dei ventricoli; Fuchs interruzione della scissura di Rolando; Kant sutura trasverso-occipitale, ultrabrachicefalìa, platicefalìa, sproporzione fra la parte superiore dell'osso occipitale più sviluppata del doppio e l'inferiore o cerebellare e la maggior piccolezza dell'arco frontale in confronto al parietale; Pericle asimmetria craniana; Wulfert ed Huber avevano la terza circonvoluzione frontale sinistra molto sviluppata, con meandri assai numerosi e grande sviluppo del piede; Laschert aveva rammollimento d'ambo i corpi striati, pachimeningite, emorragie in corrispondenza del frontale e del parietale, endoarterite deformante nell'arteria della fossa del Silvio; Gauss e Bichat avevano l'emisfero sinistro più sviluppato del destro; Tiedemann presentava sclerosi e tra lo sfenoide e l'apofisi basilare una cresta ossea; Scarpa la fossetta occipitale mediana, e Dante l'asimmetria craniana, lo sviluppo anomalo della gobba parietale sinistra e due osteomi all'osso frontale, capacità craniana bassa.

In complesso, per quattro o cinque al più che presentano forme più evolute del cervello e del cranio, contando per tali la macrocefalìa, il grande volume cerebrale di Cuvier e di Helmoltz, il metopismo di Demi, lo sdoppiamento del piede della 3ª circonvoluzione frontale del Gambetta, lo sviluppo maggiore dei centri di associazione di Helmoltz, Giacomini e Wulfert, quasi tutti gli altri caratteri parlano per inferiorità fino scimmiesche: sopratutto la presenza del solco limbico in Véron, la politelìa di Helmoltz, la sinostosi atlante-occipitale di Signorini, la fossetta occipitale mediana di Scarpa e Pizzarro, il doppio foro sotto-orbitale di Gallini, il wormiano bregmatico epipterico di Conti, l'epactale di Signorini e di Andrea Giacomini.

Altri caratteri, che potrebbero chiamarsi atipici, perchè non hanno base atavica, come la duplicazione della scissura di Rolando in Giacomini, assumono un carattere di regressione o, per lo meno, di anomalìa grave, dal trovarsi, come già accennammo, nel maggior numero in individui degenerati od epilettici.

Infatti, su 17 casi registrati nella letteratura di quest'anomalìa:

13 si riscontrarono in delinquenti (di cui in 2 casi l'anomalìa era bilaterale) (Leggiardi-Laura, Varaglia, Sperino, Fenoglio, Tenchini, Saporito);

1 in epilettico; bilaterale (Funaioli);

1 in Berbera (Legge);

1 in alcoolista; bilaterale (Valenti); 1 in individuo normale, ma di scarsa intelligenza (Giacomini).

In tutti gli altri i caratteri salienti sono prettamente regressivi ed atavici, come per esempio:

1º Per il cranio: sutura trasverso-occipitale (Kant); submicrocefalìa (Rasori, Foscolo, Hoffmann); fronte sfuggente (Petrarca, Manzoni); capacità basse (Liebig, Dollinger);

2º Per il cervello: sdoppiamento della F.¹ (Bertillon a sinistra, Véron a destra); esilità del piede della F.³(Bertillon); scopertura dell'insula (Séguin); duplicatura della scissura di Rolando (Giacomini) (secondo alcuni, atipica); lunghezza esagerata della scissura occipitale-esterna (Asseline); solco che divide la 3ª circonvoluzione occipitale dal lobo temporale (Couderau); presenza del solco limbico (Véron);

3º Per la faccia: apofisi lemuriana, sviluppo grande della mandibola (Giacomini); rughe (Zola); stenocrotafia (Giacomini);

Oppure atipici e patologici, come pel cranio: plagiocefalìa (Dante, Pericle); osteomi (Dante); saldatura delle suture (Donizetti, Pascal); platicefalìa (Kant); e per la faccia: l'asimmetria di Asseline, Victor Hugo e Giacosa.

Noto poi che quei pochi sopraccennati, che avevano caratteri evolutivi, presentavano però insieme caratteri ben più spiccati e più numerosi di regressione. Così Helmoltz aveva politelìa, Gambetta submicrocefalìa, Kant la sutura trasverso-occipitale.

Anzi, le stesse anomalìe più spiccatamente progressive sono associate alle patologiche e spesso derivano da queste. Per esempio, Perls prima ed Edinger[92] poi avevano osservato la frequenza dell'associarsi dell'idrocefalo con la grande capacità craniana dei genî.

"Il mio defunto amico Perls — scrive egli — osservò per il primo che un numero relativamente grande di uomini dotati di grande intelligenza, a giudicare dalla espressione del loro volto, fanno l'impressione di essere guariti di un'idrocefalìa sofferta nella prima giovinezza. Egli espresse l'opinione che, in seguito alla guarigione d'una idrocefalìa non molto pronunziata, il cervello incontrasse relativamente minore difficoltà ad aumentare il volume nel cranio già alquanto dilatato. Io ho perseguito più tardi questo pensiero, e ho trovato la conferma della sua giustezza in un numero non piccolo di casi. Per esempio, il gran cranio di Rubinstein alla sezione presentò, secondo quanto ne riferirono i giornali, evidentissimi segni di antica rachitide, e anche di Cuvier sappiamo che egli, che possedeva un cervello straordinariamente pesante, nella giovinezza aveva sofferto d'idrocefalìa. Chi voglia osservare una raccolta di ritratti, troverà, seguendo il pensiero di Perls, molte fronti aventi l'abito idrocefalico in individui molto intelligenti. Naturalmente non tutti gii uomini superiori per intelligenza sono individui guariti dalla idrocefalìa, come anche non ogni caso d'idrocefalo guarito deve necessariamente presentare uno sviluppo superiore del cervello".

Quindi, all'idrocefalìa sicura di Helmoltz pare si debba aggiungere quella probabile di G. Müller (60 cc. di circonferenza) e di Wagner (60 cc.), di Milton, di Linneo, di Rousseau, di Bismarck, di Schopenhauer e di Rubinstein.

Per cui l'atipismo e l'arresto atavico od embrionale son più la regola che l'eccezione, come si può intravvedere, per quanto grossolanamente, nelle seguenti tabelle riassuntive; e ciò, con Hansemann, si può spiegare, perchè in questi individui, forniti di più voluminoso cervello, l'atipismo e l'anomalìa atavica portano uno stimolo nuovo all'attività psichica, come talvolta l'abuso dell'alcool o il fanatismo per una grande idea (Vedi pag. 176 e seguenti):

ANOMALIE NEL GENIO.

Nomi ANOMALIE TOTALE

Regressive Progressive Atipiche e pat. cong.

Giacomo Giacomini 3 1 4

Carlo Conti 6 3 9

Victor Hugo 1 2 3

Asseline 1 1 2

Assézat 1 1

Couderau 1 1

Gambetta 1 1 1 3

Bertillon 3 1 1 5

Véron 4 4

Pizzarro 2 1 3

Séguin padre 1 3 5 9

Séguin figlio 1 3 5 9

Kowalevski 2 2

Helmoltz 1 3 1 5

Tiedemann 2 2

ANOMALIE NEL GENIO.

Nomi ANOMALIE TOTALE

Regressive Progressive Atipiche (Patolog.)

Byron 4 acquisite 4

Volta 2 2 1 5

Elbert 2 acquisite 2

Pascal 1 1

Donizetti 1 1

Fuchs 1 1

Kant 3 3

Pericle 1 1

Wulfert 1 1

Huber 1 1

Lascher 4 acquisite 4

Scarpa 1 1

Dante 1 2 3

C. Giacomini 4 2 6

Bichat 1 1

Per cui riassumendo:

Su 106 anomalìe riscontrate in 29 uomini di genio (crani e cervelli) si osservarono:

41 anomalìe regressive, cioè il 38%;

18 anomalìe progressive, cioè il 17%;

47 anomalìe atipiche, comprendendo anche le patologiche, cioè il 44%.

Cifre e proporzioni che diamo più per fornirne d'un tratto un'idea approssimativa che perchè abbiano per sè un esatto valore, non essendo le une e le altre sommabili, nè paragonabili per la diversa loro importanza: così la doppia scissura rolandica e la politelìa non possono sommarsi, nè confrontarsi coi wormiani epipterici od epactali.

Se il lettore si riferisse unicamente alle tabelle surriportate e badasse specialmente ai totali delle anomalìe nei genî, stimerebbe, per esempio, molto più anomalo il Lascher (4 anomalìe) che il Fuchs (una sola anomalìa) e altrettanto Gambetta quanto Kant (3 anomalìe), mentre l'unica anomalìa di Fuchs (interruzione della scissura di Rolando) è in realtà assai più rara e grave, perchè rappresenta un arresto di sviluppo a condizioni embrionali, che non le quattro di Lascher prese insieme; allo stesso modo che due delle tre anomalìe di Kant hanno un significato assai più notevole che le tre di Gambetta. E così Pizzarro con tre sole anomalìe (di cui una è la presenza della fossetta occipitale mediana) è assai più anomalo dei due Séguin, che ne hanno 9 ciascuno. Lo stesso si dica di Scarpa, molto anomalo, con una sola anomalìa importantissima, ecc.

CAPITOLO XVI. La pazzia del genio secondo i pensatori antichi.

Contro coloro che apprezzano una dottrina in ragione della sua antichità, e per questo, appunto, sdegnano la dottrina della psicosi del genio come infetta da troppo audace modernità, o come frutto dello scetticismo scapigliato della età nostra, mi gioverà dimostrare, coll'aiuto del dotto ellenista Bersano[93], quanto quelle conclusioni fossero accette persino all'antichità classica presso coloro, dunque, che noi siamo avvezzi a venerare, fin anche quando sbagliano; e come furono, anzi, accolte concordemente dalle due scuole opposte di Grecia: dalla positivista di Aristotele, come dalla spiritualistica di Platone, ai quali nessuno ebbe il coraggio di voler appioppare che inventassero o favorissero tali dottrine per invidia dei grandi loro contemporanei o dei loro... antenati, come da mediocrissimi o ignorantissimi critici si pretese susurrare oggidì.

Cicerone in una notevole pagina[94] si fa l'eco delle discussioni che negli ultimi tempi della Repubblica romana commossero le anime timorate dei sacerdoti e degli àuguri, come ora dei sullodati critici. In questa pagina, che tocca la questione del presentimento del futuro, egli, prendendo il suo coraggio a due mani, combatte Aristotele, che rappresenterebbe l'indirizzo seguito dalla mia scuola, in nome del pregiudizio, del senso comune, della religione.

Aristotele[95], infatti, aveva notato — e l'osservazione è ora stupendamente riconfermata dagli studi sull'ipnotismo e sul mediumismo — che la facoltà di presagire il futuro è spesso dovuta, più che ad una speciale forza dello spirito, ad una speciale debolezza del corpo. Al che Cicerone[96] oppone energicamente: non avere noi il diritto di attribuire ai frenetici, piuttosto che ai cardiaci o ad altri ammalati qualsiansi, questa che è divina prerogativa di uomini, non fisicamente deboli e degenerati, ma di animo eletto e puro: all'affermazione di Aristotele, fondata sull'esperienza, egli oppone — proprio come i miei critici — la pura e semplice sua convinzione che rifiuta di prendere in esame i fatti; anche qui appare la poca consistenza di Cicerone nel campo del pensiero speculativo; tra l'acutezza di osservazione, che ha fatto di Aristotele uno dei più grandi pensatori umani, e la leggerezza di Cicerone, quanto immenso è il divario! (Bersano).

Nè questo è l'unico punto di contatto tra il pensiero di Aristotele e quello della mia scuola.

Già Aristotele aveva cercato, nell'esame della costituzione psico-fisica degli eroi e dei poeti nazionali della Grecia, le ombre che, anche nella sua mente, accompagnano la grande luce del genio. Il passo è nei Problemata, sect. XXX.

In questo passo è pure notata l'importanza dei fenomeni epilettici nel genio. Bersano, anzi, vi trova la conferma di un'opinione che già io avevo timidamente avanzata, secondo cui fin dai vecchi pensatori l'epilessia era posta in relazione col genio artistico e religioso, avvertendo però che in questo passo di Aristotele è usata la parola melanchonia e melanchonicoi, per indicare tutta quella serie di fenomeni patologici che, fatta ragione delle diverse spiegazioni della medicina antica e moderna, ora sono compresi sotto il nome di nevrastenia e nevrastenici.

V'ha di più: nel primo problema della sezione XXX Aristotele stabilisce nettamente, senza più discutere, da tutta una serie di fatti esaminati, che: "gli uomini superiori nel campo filosofico ed in quello politico, in quello poetico e nell'artistico sono tutti per temperamento melanchonicoi ", ed alcuni in grado tale da andar soggetti a quelle malattie che — continua Aristotele — provengono dalla atra biles, e che noi invece ora diremmo nervose. Aristotele ricorda così Lisandro, epilettico ed eroe, e l'eroe nazionale degli Elleni, Eracle, da essi circonfuso di così alta idealità religiosa ed umana; da lui appunto pensa Aristotele che "gli Elleni siano partiti per chiamare malattia sacra l'epilessia"[97]; il che fa intravvedere — scrive ancora Bersano — che nella coscienza stessa, se non del popolo, almeno di qualche pensatore greco, l'epilessia era posta in relazione con alcuni dei più elevati fenomeni dello spirito, specialmente col genio artistico e religioso, e col coraggio degli eroi, per cui fu detta anche male eroico.

Dopo Eracle, esamina Aristotele altri due eroi mitici, Aiace e Bellerofonte. Del primo ricorda solo che diventò affatto forsennato, e passa oltre; la figura di Aiace, pazzo, giganteggiante nella tragedia sofoclea, dovendo essere impressa nell'animo di tutti i Greci. Pel temperamento di Bellerofonte egli trova un dato prezioso in Omero: l'amore morboso per la solitudine. Infatti Omero canta che, caduto Bellerofonte in odio agli Dei tutti, errava, solo, per la pianura di Aleia, struggendosi nell'anima sua e sfuggendo le orme degli uomini[98]. — Questi sono i tre esempi tipici che egli cita, soggiungendo che ad essi si potrebbero aggiungere quelli di molti altri eroi.

Dagli eroi nazionali passa ai filosofi. Qui ricorda, tra i più vicini a lui, Empedocle, Platone, Socrate ed altri molti illustri, senza indugiarsi su questi, il cui temperamento doveva essere ben noto ai suoi contemporanei.

La stessa osservazione egli estende ai poeti, dei quali la maggior parte — egli dice — fu soggetta alle malattie che da tale disposizione fisica provengono; mentre gli altri hanno evidentemente un temperamento proclive a tali malattie, tanto da permettergli l'affermazione che tutti, per così dire, i poeti hanno un temperamento morboso.

Questi i fatti che Aristotele afferma, con quella sicurezza che ora si direbbe scientifica; il problema che egli si posa, riguarda anzi non questo fatto, ma le sue cause; perciò egli ricorda i varî effetti che il vino ha sul temperamento degli uomini, rendendoli dapprima ciarlieri, poi coraggiosi, energici; indi violenti, furiosi, infine pazzi. Molti di questi effetti coincidono con altrettante forme di melanchonia; però, mentre il vino muta il carattere solo per breve tempo, invece ad ognuna di queste situazioni che apparivano temporaneamente come effetti del vino, corrispondono altrettanti temperamenti, che ci presentano questi caratteri, stabilmente, per tutta la vita.

Egli nota, nella loro melanchonia, la tendenza alla libidine; ne distingue poi due gradi principali, a seconda che le forme patologiche sono determinate dalla bile nera fredda o calda; quindi da una parte la paralisi cerebrale, l'intorpidimento intellettuale, gli scoraggiamenti, le paure; dall'altra le gioie dell'arte, le estasi, ecc. Agli esempi già addotti prima egli aggiunge l'esempio di un tal poeta siracusano, Maraco, che era migliore poeta quando era fuori di sè, e il caso assai più significativo delle Sibille e delle Baccanti.

Osserva pure che alcuni dei meno spiccati fenomeni di nevrastenia geniale sono, in qualche modo, comuni a tutti; così la gioia ed il dolore, in cui spesso noi cadiamo senza ragione plausibile; del resto, anche per lui, dei temperamenti melanchonicoi infinita è la gradazione, come infinita è la varietà dei fenomeni che presentano, spesso opposti, ed irriducibili ad unità[99].

Nè differente dall'aristotelica è l'opinione di Platone sul genio[100].

Quattro forme della pazzia data dagli Dei enumera Platone nel Fedro; egli corre col pensiero alle sacerdotesse di Delfo e alle profetesse di Dodona, alle Sibille e a tutti quelli che, non già con l'abilità umana, ma per diretta ispirazione della divinità, hanno veduto nel futuro e recato tanti beni alle famiglie ed agli Stati dell'Ellade, ed osserva che nessuno di questi beni fu apportato se non da chi era in istato di follìa.

Indi, passando all'arte: "Viene terzo l'invasamento o la follìa che parte dalle Muse, che, occupata l'anima tenera e intatta, scotendola e concitandola, e con canzoni e con ogni altro genere di poesia, infinite gesta degli antichi, adornando, educa i posteri. Ma chi senza la follìa delle Muse giungesse mai alle porte della poesia, persuaso di poter per arte diventare un sufficiente poeta, male opinerebbe; la poesia del saggio, a fronte di quella dell'invasato, svanisce"[101].

In tutta l'opera sua Platone considera sempre l'artista come un incosciente, invasato dalle Muse, che nulla sa della bontà e della verità di quanto dice. Nelle Leggi (719 a. C.) afferma essere opinione da tutti accolta, che il poeta, quando siede sul tripode delle Muse, è fuori di senno e paragonabile ad una fonte che lasci sgorgare lo zampillo d'acqua, che continuamente esce; ed anche sostiene (801 a. C.) che non tutti i poeti sono atti a discernere il buono dal cattivo. Giudizi severissimi sulla grande arte greca si trovano continuamente nella Repubblica e nelle Leggi, tali che hanno riscontro solo nella critica che all'arte moderna fece L. Tolstoi.

I poeti, come tutti quelli che sono fuori di senno, secondo lui, debbono essere sottoposti a tutela; quindi ai legislatori il còmpito di fissare la materia che l'artista deve trattare ed i cànoni d'arte che nessuno, per quanto valente, possa violare; chè, anzi, quanto maggiore è la bellezza artistica della loro creazione, altrettanto grande è la responsabilità morale degli autori ed il pericolo che essi giungano, glorificando le umane passioni, ad insinuarle, a suggestionarle, col mezzo dell'arte, nell'animo degli uomini.

Alludendo appunto a questo passo di Platone, Cicerone nella De divin. ricorda[102] che tanto Platone quanto Democrito hanno dichiarato nessun grande poeta poter esser tale senza pazzia; "chiamiamola pure con Platone pazzia — egli poi commenta —, a patto però che una tale pazzia sia lodabile quanto è lodata da Platone nel Fedro ".

Il passo di Platone, a cui Cicerone si riferisce qui, è il noto luogo dello Ione, in cui stabilisce "che fa opera vana il poeta che si accosti alle Muse, senza essere invasato e fuori di senno".

A questo passo dello Ione si ricongiungono altri passi di Luciano e di Seneca. Secondo Luciano[103], è necessaria una buona dose di pazzia a chi osa picchiare alle porte delle Muse. Così pure Seneca[104], riferendosi a Platone, osserva che inutilmente le persone ragionevoli, ammodo, picchieranno alle porte del Parnaso ( Frustra poëticas fores compos sui pepulit ).

Quanto al Fedro, Cicerone pure nota come Platone vi svolga la teoria per cui il genio artistico è una esaltazione dello spirito, una vera e propria forma di pazzia data dagli Dei a benefizio degli uomini. Nel Simposio (che in base a criteri stilistici e logici si crede anteriore al Fedro ) Platone aveva collocato i poeti in luogo onorevolissimo accanto ai legislatori, Omero ed Esiodo accanto a Licurgo e Solone; nel Fedro invece li colloca tra i ginnasti e gli indovini, tra quanti sono da natura forniti di attitudini speciali agli altri negate; e col Fedro e con la Repubblica incomincia un nuovo modo di considerare i poeti, e, conseguentemente, un nuovo modo di valutarne la funzione sociale. Convinto che solo ai filosofi spetti per natura la direzione degli spiriti, egli, nella Repubblica, loro affida una rigorosa sorveglianza sulla materia cantata dai poeti; ed è ben rigida la tutela che egli impone a questi, quasi a uomini fuor di senno, capaci ad un tempo dei massimi beni e dei massimi mali verso la società[105]. E mentre, negli ultimi anni di sua vita, si riconciliò con Atene e cogli Ateniesi, con i poeti non si riconciliò mai.

Importantissima è in proposito l'idea che si fa Platone della divinazione o mantea, che definisce la traduzione spontanea, per mezzo della parola, delle immagini incoscientemente percepite dalla parte più grossolana della psiche, con che precede Sergi, Renda e sopratutto Myers, che interpreta i fatti medianici con la coscienza subliminale.

In un passo di Cicerone, riferito da Clemente[106], noi troviamo ricordato, insieme con Platone, Democrito, in modo da farci supporre che le idee di questi fossero non meno esplicite delle Platoniche. In esso, però, si dice solo che belle sono le cose che il poeta scrive, quando è trascinato dall'entusiasmo e da un soffio divino.

L'affermazione di Cicerone sarebbe però avvalorata da un passo notevole dell' Arte poetica di Orazio (v. 295-306), quando ricorda che siccome Democrito aveva insegnato che il genio artistico è sempre accompagnato dalla pazzia, e che chi è dotato di temperamento affatto equilibrato e sano di mente non sarà mai poeta, così molti poeti del tempo suo cercavano, col lasciarsi crescere le unghie e la barba, con la ostentata ricerca della solitudine e con mille altri strani atteggiamenti, di acquistarsi la fama di strambi, per essere così più facilmente creduti grandi artisti[107].

Orazio, che pure altra volta aveva chiamato l'estro poetico amabilis insania, sapendo di essere grande poeta, non fa molto buon viso all'idea di Democrito, e ironeggiando soggiunge: "Oh! lo stolto che io sono, che ogni anno, alla primavera, mi purgo la bile! Nessun altro poeta canterebbe cose più belle di me! Ma non vale la pena — continua — di comperare la bacca di alloro a prezzo della propria salute mentale". Orazio pensa con rimpianto ironico ai bei canti che avrebbe dettato se fosse stato meno equilibrato di mente, e si consola osservando che al postutto, se non potrà essere grande poeta, sarà critico d'arte, e farà come la cote, che, inetta a tagliare, ne rende capace il ferro ( Epist., 2, 3).

Qualunque sia la fonte da cui Orazio attinse quest'opinione di Democrito sulla relazione tra l'ideazione geniale e la follìa, ad ogni modo questa affermazione di Orazio, combinata con quella di Cicerone, ha un grande valore. Democrito sta all'incirca all'epicureismo nella stessa relazione in cui Eraclito sta rispetto allo stoicismo; è generalmente classificato tra i pensatori presocratici; sarebbe, infatti, vissuto tra il 460 e il 370, all'incirca, prima di Cristo. Probabilmente il Fedro fu scritto quando Democrito ancora era vivo, forse negli ultimi anni della sua vita, verso il 379 avanti Cristo, secondo almeno l'opinione del Lutoslawski[108], fra tutte la più accettabile: A. Bersano[109] ammette tra i due pensatori anche una relazione più diretta, oltre a quella indiretta creata dalle opinioni popolari e dallo spirito del tempo.

Ebrei. — Un'opinione analoga sul genio dominava negli antichi Ebrei. Nel Minnaghoth del Talmud si legge: "Dice il rabbino — a proposito di Aleazaro —: è un genio, venite a vederlo; esso è genio anche perchè i suoi antenati lo erano pur essi. E i rabbini vennero a vederlo; e trovarono... un alienato"[110].

Campanella. — Tommaso Campanella, nella Città del Sole, fa che i cittadini di questa, progrediti straordinariamente, come sarebbe da noi nell'anno 2000, siano molestati eccessivamente dal morbo sacro, "malattia questa che è indizio di non ordinario ingegno ed andaronvi soggetti uomini i più celebri: Ercole, Sisto, Socrate (?), Callimaco, Maometto".

G. B. Belli, l'arguto calzolaio e letterato fiorentino, già console della Crusca e dichiaratore della Divina Commedia, nei Capricci del bottaio scriveva: "Sappi, Giusto, che ogni uomo n'ha un ramo... Io ti vo dire ancora più là: che tu troverai pochi uomini al mondo che abbiano lasciato fama, che se tu consideri bene la vita loro, non abbiano qualche volta portato il ramo loro scoperto; ma perchè egli è riuscito loro ben fatto, ne sono stati lodati"[111].

E Valerio Da Pos, il contadino-poeta agordino, ancora più chiaramente scriveva:

"Ben posso dir che sotto la berretta

Mi sento un brulichìo di tratto in tratto,

Per cui convien che a poetar mi metta.

Allora corro al calamaio e ratto

Scrivo così come la penna getta;

Ma non so dir s'io sia poeta o matto "[112].

Muratori[113], nel Trattato della perfetta poesia italiana, dopo aver parlato della poesia in generale, viene anche a dire della natura dei poeti, seguendo Aristotele: "Coloro che dalla Natura son destinati a divenir poeti, ed hanno da lei ricevuto inclinazione, e vera abilità a quest'Arte, ordinariamente sono di temperamento focoso, svegliato e collerico. La lor fantasia è velocissima, e con empito raggira le Immagini sue. Son pieni di spiriti sottili, mobili e rigogliosi. E perchè l'umor malinconico acceso dal collerico, secondo l'opinione di alcuni, suol facilmente condurre l'uomo al furor poetico, perciò negli eccellenti Poeti suole accoppiarsi l'uno e l'altro umore in gran copia, e formare in tal maniera il temperamento loro" (libro III, cap. II)[114].

E altrove: "È necessario che i Poeti sieno vivacissimi, che l'Anima loro sia rapita, quando uopo il richiede, dal furore e s'avvicini in certa guisa all'Estasi, ed all'astrazion naturale per non dire alla Manìa"[115].

Infine conchiude che: "dalla malinconia, madre delle Chimere, son renduti i Poeti, sospettosi, astratti; e alle volte non sono stati lungi dall'essere creduti pazzi e furiosi, come sappiamo che avvenne al Tasso nostro, e per relazione d'Aristotele anche a Marco Siracusano, e ad altri poeti".

Quadrio[116], nella sua Storia e ragione d'ogni poesia, lib. I, Bologna, 1739, ha vagliato sottilmente la questione della natura del genio per quanto riguarda i poeti, valendosi della fisiologia e dell'anatomia dell'età sua. Egli dimostra l'influenza dell' aria (i moderni la dicon clima ) sulla creazione poetica: "Non è senza ragione che tra le cose, le quali aiutano l'attitudine alla Poesia, l'aria occupi il primo posto... Dimostracisi ogni giorno questa verità da diversi umori, e da differenti caratteri che han le persone di diversi paesi. Il Cielo crasso di Tebe faceva gli abitatori stupidi; quello di Abdera li faceva rozzi; quello di Theman prudenti; quello di Atene acuti. Bisogna, adunque, che il Cielo, sotto il quale si vive, sia in primo luogo d'ogni aura corrotta purgato e sgombro... ma conviene ancora che l'aria non sia nè troppo calda nè troppo fredda, ma piuttosto inchinevole al dolce, ed al temperato... finalmente è uopo, come bene insegnò Ippocrate, che l'aria, dove si abita, sia a frequenti mutazioni soggetta: perchè la perpetua egualità de' tempi, rendendo dal lungo uso rintuzzato per pigrezza il caldo, rende ottusi gl'ingegni: dove per lo contrario la predetta variazione dell'aria, per nevi, pioggie e venti, cagionata, agitando e scotendo sovente il sangue, contribuisce non poco a tener purgati e vivaci gli umori e gli spiriti. L'Italia e la Grecia, perchè furono nel quinto clima in così fatto ineguale temperamento locate, vediamo che ognora furono d'eccellenti uomini copiose, e specialmente d'insigni Poeti".

Sono le medesime conclusioni a cui giunsi io studiando di proposito, nell' Uomo di genio, la distribuzione geografica dei genî.

Studiando le condizioni interne che favoriscono la creazione poetica, soggiunge poi: "Coloro, nei quali il freddo ed il caldo sono come in equilibrio, esser non posson mai che spiriti mediocri. Espressamente nella Poesia chi vuol eccellente riuscire, deve contentarsi di passare tra gli uomini per testa calda: perchè niun grande spirito non fu mai, per osservazione di Seneca, che qualche mescolamento di bella pazzia non avesse nel capo".

I contrassegni del genio studiati secondo la fisionomia d'allora sono dal Quadrio esposti in questo passo: "Il color della faccia è in essi traente un pochetto al fosco: e tutto l'aspetto è anzi piuttosto severo, e truce, che mansueto, ed aperto. Hanno gli occhi proporzionati, e più tosto nella fronte entranti, che sporti in fuori. Che se questi dalle giuste loro misure declinano un pocolino, ciò è, non alla grandezza, ma alla picciolezza. Le linee, che lor rigano la fronte, e le mani, sono profonde: e le vene hanno essi ampie, e gonfie, e il polso veemente, e alquanto duro, il corpo per lo più magro ed asciutto, e il sonno nè molto abbondante, nè molto grave, ma scarso e leggiero. Il loro temperamento poi è pessimo, tanto che paiono più tosto pazzi che forti, ma nei loro sentimenti sono costanti e tenaci".

Sul momento della creazione artistica nota il Quadrio: "Talvolta i grandi e magnifici poeti si sentono dispostissimi a far loro versi, e loro componimenti, e maravigliosi oltre modo, e ragguardevoli gli compongono; e tal'altra volta siano in maniera mal atti, e mal pronti, che, non che cosa di molta stima, ma un picciolo epigramma, o un picciol sonetto non dice lor l'animo di comporre, che buono sia". Le quali considerazioni, osserva il Marpillero, coincidono con quelle del Leopardi che, per mezzo dell'introspezione, aveva osservato e sorpreso il momento in cui avveniva la creazione artistica: "Nello scrivere non ho mai seguito che una ispirazione o frenesìa, sopraggiungendo la quale, in due minuti io formava il disegno e la distribuzione di tutto il componimento. Questo è il mio metodo, e se l'ispirazione non mi nasce da sè, più facilmente escirebbe acqua da un tronco, che un solo verso dal mio cervello ".

Ma che cosa è l'entusiasmo, l'estro poetico? Il Quadrio così lo definisce: "L'estro poetico è una forte, ma regolata agitazione de' predetti spiriti, fattasi o per la troppo attuazione predetta della fantasia, o per lo predetto bollimento de' fluidi, per la qual forte agitazione producono eglino idee, cose nobili, e oltre l'uso maraviglioso, che rapiscono gli uditori con loro stessi fuora di loro.

"Molti celebri poeti leggiamo, che divennero pazzi, o manìaci, rimanendo le loro fibre cerebrali sforzate, e viziate dagli impeti dell'entusiasmo, o perchè troppo violenti, o perchè troppo durevoli". Tale entusiasmo presso gli antichi Goti era chiamato Skallwingl, cioè vertigine poetica, ed anche qui la voce popolare aveva colta l'analogia con l'epilessia, perchè le vertigini ne sono spesso l'equivalente, ed il furore poetico era così definito un accesso epilettico, e, soggiunge il Quadrio, questi accessi sono più acuti nei noviluni.

Tra le cause del furore poetico il Quadrio dà una causa importante alla passione che assume le forme della collera, della vendetta, della vergogna, e che col Malebranche egli ritiene connaturali alla ragione e non ad essa contrarie.

Ma un mezzo sicuro ed efficace per l'estro poetico è il vino: "Orazio, Properzio ed Ovidio anche essi non sanno finire di celebrare i vantaggi, che esso al poeta cagiona, e l'eloquenza che gl'infonde: ed Ateneo presume infino di mostrarlo al ben poetar necessario: valendosi a ciò provar degli esempi di Aristofane, di Alceo, di Anacreonte, e di altri, che dettarono i loro poemi, dopo essersi bene avvinati. Neppur Eschilo scrisse le sue Tragedie che dopo aver ben bevuto, come testifica Luciano".

Il Quadrio esamina poi se la natura, l'arte o il furore siano le cagioni della poesia, e distingue poeti di natura, come Omero, Ovidio, il Boiardo, l'Ariosto, che scrissero più portati dall'istinto che dallo studio; poeti d'arte, come Virgilio e Torquato Tasso, "che, quasi avendo contrario il vento della natura, con lo sforzo di studiate osservazioni navigano verso Parnasso"; e poeti di entusiasmo, come quelli del popolo ebreo, "che, rapiti come fuori di sè per qualche ragione o sopra natura, o secondo natura, cantano in versi cose oltre l'uso sublimi", dando così occasione a quel detto del rètore Aristide: che tutto il grande è senza arte. Fatte queste distinzioni sottili e che, invero, non sempre reggono alla prova dei fatti, egli si dichiara eclettico, comecchè per essere ottimo poeta occorrono la natura, l'arte ed il furore.

CAPITOLO XVII. La psicosi del genio nell'opinione dei popoli primitivi e selvaggi.

Del rispetto che gli Ebrei antichi avevano per i pazzi, tanto da confonderli con i santi, abbiamo una prova in quel passo della Bibbia, in cui Davide si finge pazzo, per sottrarsi alle insidie e alle uccisioni, ed il De Achis dice: "Non ho io abbastanza pazzi qui, che mi viene costui?" (I, Samuel, XXI, 15, 16). — Questo cenno è indizio della loro abbondanza e, sopratutto, della loro inviolabilità, dovuta certamente al pregiudizio comune ancora agli Arabi, ecc.; — del che prova sicura è l'usarsi che si fa alcune volte nella Bibbia della parola navì (profeta) in senso di pazzo e viceversa, come in sanscrito nigrata. Per es., Saul, che già prima dell'incoronazione aveva profetato improvvisamente e con tanto stupore dei circostanti, che ne nacque il proverbio: "Anche Saul è fra i profeti", divenuto re un dì, lo spirito divino malvagio ( ruack eloim navà ) pesò sopra lui... e profetava (qui impazziva ) — vait navà — nella casa, e con una lancia cercò trafiggere Davide (I, Samuel, XIX, 9, 10, 23; Ricard Mead, Medic. Sacra, III). In Geremia, 29, 20 si legge: "Dio ti ha costituito sacerdote sopra i pazzi ed i profeti (vaneggianti e profetanti) per metterli in prigione". — E quando il figlio del profeta fu mandato segretamente a Jehu da Eliseò per cingerlo re, i compagni di questo, vedendolo uscire dalla casa, dissero: "Jehu, va ogni cosa bene? Perchè è venuto questo pazzo?" ( mesugan ). — E Jehu: "Voi conoscete l'uomo e il suo senno". — Ma essi dissero: "No, dichiarane schiettamente ciò che disse". — Ed egli: "Ei m'ha detto così e così"; così disse Dio: "Io ti ho unto re" ( Re, II, cap. XI, v. 11, 12). — Ed essi, infatti, lo unsero re, il che prova che quel mesugan, pazzo, avesse tutt'altro che un triste senso ai loro orecchi. — Parrebbe che qualche volta venissero considerati i pazzi come profeti, per lo stesso errore per cui i profeti venivano da quell'empia plebe presi per insensati.

Il Kimchi commenta questo passo così: "Chiamavano i profeti per pazzi, perchè talvolta nell'atto del profetare si comportavano a guisa di pazzi — ed anzi uscian di senno —, come è detto di Saul quando profetizzò: "Si spogliò dei suoi abiti", e restavano insensibili ad ogni moto corporeo. — Altri li chiamavano così per dispregio".

Nel XVIII del primo dei Re vediamo 400 profeti delle selve e 450 profeti di Baal gridare come pazzi e tagliarsi le carni. — Nel primo di Samuele (XIX) pure vediamo torme di falsi profeti scorrere nudi pei campi, e, altrove, li vediamo fare atti sconci in pubblico, tagliarsi le mani, mangiare sterco, adire ai postriboli, vantandosene, ecc.

Ed altrettanto, accade oggidì fra gli Arabi e i Berberi, ecc.

Nell'opera colossale dell' Exploration scientifique de l'Algérie, Relat. di El Ajach, leggesi: "Le genti di Tripoli sono rinomate per la loro sincerità e per il gran numero di Medjdub" (p. 100); più oltre parlando d'uno di essi: "Egli era il migliore dei Medjdub, il suo djedjeb (convulsione), era energico" (pag. 130).

" Medjdubim — aggiunge il chiarissimo Berbrugger — si dicono li individui che, sotto l'influsso di speciali circostanze, cadono in uno stato, che rammenta esattamente quello dei convulsionari di S. Medardo. — Sono numerosi in Algeria, e si conoscono meglio sotto il nome di aicaovi od ammarim ". — È pur credenza in Algeri che chi s'occupa di chimica, o magia (notate), senza il sacro permesso ( idjaz ), cada in pazzia (p. 78). Il Moula Ahmed nel suo viaggio tradotto nell' Explorat citata: "parla di Sid-Abdsallah il Medjdub, che portava la più felice influenza fra li hammis suoi concittadini, ladri e viziosi. — Restava 3 o 5 dì come un pezzo di legno, nè mangiava, nè beveva, nè pregava; poteva stare 40 dì senza dormire e finiva con una convulsione fortissima" (p. 278). — E parla più sotto di Sid-Abd-El-Kader, che vagava qui e là dimentico di sè e dei suoi, indifferenza che probabilmente dipende dal suo stato di santità.

Bisogna leggere il Drummond-Hay, per vedere fino a qual grado sia portato il rispetto per i pazzi nel Marocco e nelle tribù nomadi vicine. — "I Berberi dicono che mentre il corpo dei pazzi erra qui, Dio ritiene in alto la loro ragione prigioniera, e non la scioglie che quando pronunciare devono qualche parola; queste quindi si raccolgono come rivelazioni"[117]. — Egli stesso ed un console inglese furono in pericolo d'essere uccisi da uno di questi santi di nuovo conio, i quali, nudi, e spesso armati, mettono ad atto il più strano capriccio che loro cada in mente, e guai a chi ne l'impedisca.

Nei Kosa-Cafri il dottore vien nominato dopo una malattia mentale, durante la quale crede vedere le forze dell'acqua, della terra, del cielo, dei cavalli e si agita: i fatti sono esposti al capo, che, secondo l'importanza, ne approva o no la nomina[118].

Secondo Pananti ( Viaggi in Barberia ) i viaggiatori delle carovane adorano, consultano i pazzi, o santoni, cui tutto è permesso; uno di essi, con una corda, strangolava tutti quelli che venivano al tempio; un altro, in pubblico bagno, violò una donna maritata; e le compagne, con grida di gioia, se ne congratularono col marito.

Gli Ottomani[119] estendono ai pazzi la venerazione che hanno per i Dervisch, e credono siano meglio di tutti in rapporto con la divinità; e fino i ministri li ricevono con rispetto nelle proprie case. — Son detti Eulya, Ullah Deli (divini figli di Dio o, meglio, pazzi di Dio). E le varie sètte dei Dervisch presentano fenomeni molto analoghi a quelli della manìa. Ogni convento — continua il Beck[120] — ha una sorta di preghiera e di danza, o, meglio, di convulsione particolare. Alcuni fanno con il corpo movimenti laterali, o dall'avanti all'indietro, e vanno accelerandoli a mano a mano che progrediscono nella preghiera; movimenti detti Mucabeli (innalzamento della divina gloria). — Ovres Tenhhid (lode dell'unità di Dio). — I Kufaïs si distinguono fra tutti gli altri ordini per esagerazione di santità. I Kufaïs si tolgono il sonno o dormono con l'acqua ai piedi, digiunano settimane. Cominciano il canto di Allah, avanzandosi col piè sinistro, e col destro facendo moti rotatori, mentre si tengono l'uno all'altro per l'antibraccio; poi vanno avanzandosi sempre più, alzando la voce ed accelerando la danza e gettando le braccia sulle spalle dell'altro, finchè spossati, sudanti, con occhio moribondo, e bianchi di fisonomia, cadono nella sacra convulsione ( haletk ); in questa religiosa manìa costoro subiscono le prove del ferro rovente, e, quando il fuoco vien meno, si tagliano con le sciabole e con i coltelli le carni.

In sanscrito devoto, pellegrino sacro — nigrata — equivale a pazzo. Nelle sètte religiose dell'India è esaltata l'intelligenza, la prudenza, la forza, la generosità e la devozione dei pazzi; parecchie sètte è dubbio assai se, meglio che produttrici di pazzi, ne siano state prodotte.

Ma per conoscere a qual grado giungesse un tempo la venerazione dei pazzi e insieme come nulla siasi cangiato su questo rapporto anche nell'India moderna, basti l'osservare esservi ancora due milioni di mendicanti religiose e, senza i Buddisti, quarantatrè sètte che mostrano particolare zelo al loro Dio or bevendo urina, or camminando sulle punte delle pietre, ora restando immobili varî anni innanzi ai dardi del sole, ora rappresentandosi corporalmente nella fantasia l'immagine del Dio e offrendogli pure in fantasia preci, fiori e vivande[121]. Gli Yogi son riguardati i più perfetti in santità — grazie alla yoga, o congiunzione con Dio, che s'ottiene fissando lo sguardo sulla punta del naso o sull'ombilico, dominando i sensi in modo da non avvertire sensazioni esterne, ossia cadendo in trance ipnotica.

La venerazione per molti pazzi si intravvede, del resto, dalle opere stesse dell'antichissima medicina indiana, compendiate dal T. A. Wise nel suo Commentary on the Indu System of Medicine, nel quale sono registrate sedici forme di frenopatìe, fra le quali fan capolino la nostra lipemanìa, la nostra manìa ambiziosa, la manìa omicida, la paralisi progressiva degli alienati e chiarissima si distingue la demonomanìa, con la tendenza a mordere, con le anomalìe di moto, con l'antipatia per le cose sacre, o con l'inclinazione a parlare una lingua antiquata e sacra, e ad occuparsi esclusivamente di riti, fenomeni comuni ai nostri demonomani.

Quello però che più desidero si noti è l'importanza, l'ammirazione che si tributava ad alcune forme di pazzia, nel tempo stesso che il medico sembra pur riconoscerle come malattie. — Le otto specie di demonomanìa portano i nomi degli otto principali numi delle Indie; per esempio:

Deva-grâha. — La persona posseduta da questi buoni genî è contenta, ama la nettezza e s'inghirlanda di fiori sacri; s'abbandona raramente al sonno, ed è inclinata a parlare sancrito, forte, occhi fissi e vivaci; amata e consultata dai Bramini, si conforma strettamente ai loro precetti, segue le cerimonie ed attende ai costumi ed ai riti degli antichi;

Asura-gräha. — L'ossesso degli Asura (tristi genî nemici ai Deva) parla male dei Deva, critica la condotta dei Bramini; ghiotto, pericoloso spesso ad altrui;

Gantharva-grâha. — È gaio, ama abitare nelle isole; canta e parla poco, ma bene; ama e s'adorna di fiori; è adoperato come corista nei templi;

Yakscia-gräha ( Yakscia, genî dei giardini e tesori sacri). — I colpiti hanno profonda intelligenza, ecc.

Ed ora veniamo ai popoli selvaggi o quasi selvaggi:

I Batacki, quando un uomo è posseduto dal cattivo genio, lo rispettano profondamente e lo riguardano come un oracolo.

"Mi si mostra — dice un viaggiatore — con rispetto una ragazza, detta figlia del demonio, perchè il padre è pazzo. Essa è sempre visitata dai cattivi genî, e quindi tutte le sue volontà sono eseguite"[122].

Dei Nias il Modigliani[123] nota che si scelgono a maghi o medici ( Ere ) quelli colpiti da qualche speciale deformità, quantunque essi delle deformità siano massimi disprezzatori; sopratutto scelgono quelli che i genî ( Bela ) fanno diventare ad un tratto pazzi, dimostrando in questo modo di sceglierli a loro intermediari; allora li fanno fuggire dal villaggio per raggiungere le loro dimore sugli alberi; e quando i compaesani ve li scorgono appollaiati, ne li strappano giù, li consegnano al capo-mago, che li istruisce per quattordici giorni, durante i quali debbono banchettare tutto il villaggio e i maestri, ma, a loro volta, per tutta la vita ne sono lautamente mantenuti, sicchè molti fingono la pazzia per conseguire il fruttuoso onore.

In China l'unico cenno di pazzia venerata è in quella sola sètta chinese, che trascendeva allo spirito fanatico di religione. — I seguaci di Tao[124] "credono agli ossessi, e si affaticano a raccogliere dalla bocca dei pazzi il futuro, credendo che l'ossesso, a parole, dichiari il pensiero del dèmone". Io credo fermamente, sebbene troppo manchino i documenti, che in China dominò da molto tempo una civiltà, la quale infrena con tremendo vigore alcune passioni, e ne annulla quasi alcune altre.

Ma, venendo ai tempi recenti, attuali, tutti sanno come la China parecchi anni fa fosse travagliata da una poderosa insurrezione, che contava 400 mila guerrieri ed occupava 30.000 miglia quadrate di terreno. Questa insurrezione vestiva colore nazionale indipendente, e, ciò che è ben istrano, religioso, inaugurando nuovi riti, analoghi ai cristiani. Io dissi strano, perchè, meno la sètta di Tao, niuna opinione religiosa ebbe mai tanta forza in China da produrvi proseliti e fanatici, e quindi matti.

Ora doppiamente è curioso il conoscere come quella rivoluzione fosse dovuta ad un concetto delirante di tale che, certo, fu pazzo, e che, come accade specialmente fra popoli incolti, propagava la sua propria forma d'alienazione, quasi per contagio, ad una sètta intera.

Hang-Sion-Tsiuen nacque nel 1813 da povero colono; allo scuole, malgrado il vivacissimo ingegno, spesso fallì nell'esame. A 16 anni, tanta era la povertà paterna, dovette abbandonare gli studi e ritornare ai campi ed ai bufali; se non che la carità dei suoi compaesani qui gli venne in aiuto, ed eletto a precettore del suo villaggio, potè riprendere il corso interrotto degli studi. Si presentò due volte, nel 1833 e nel 1837, a Canton e a Pekino, agli esami di baccelliere; ma anche là, per due volte, venne respinto, e n'ebbe sì forte dolore, che per poco impazziva; s'ammalò gravemente e subì strane allucinazioni. Ma qui, prima di procedere oltre, conviene notare il fatto seguente: Stando egli a Pekino per la bisogna degli esami, si ebbe per le mani alcuni libri cattolici di devozione, scritti in chinese: uno fra gli altri che aveva a titolo: Buone parole per l'esortazione del secolo, cui egli allora trascorse leggermente, come preoccupato ch'egli era, ma seco recò nel ritorno. Ora, fra le allucinazioni di quei tristi giorni, egli n'ebbe una curiosa a sapersi: si credeva, cioè, trascinato in superbo palanquin da un certo numero di uomini, che suonavano musicali strumenti, ed il conducevano lontano, lontano, in mezzo ad un'assemblea di venerandi vegliardi.

Uno fra questi, vestito di tonaca nera, maestoso d'aspetto, gli venne incontro e gli strinse la mano; poi, piangendo sull'ingratitudine degli uomini, che da lui creati, offrivano doni ed olocausti al demonio, gli consegna una spada, con cui gli ordina di esterminare gli adoratori del diavolo.

Sotto l'influenza di quest'allucinazione egli corse dal padre, dicendogli come il vecchio di lassù gli ordinava di esterminare i falsi credenti, e come tutti gli uomini a lui dovevano inchinarsi e portargli i loro tesori. Il povero padre lo credè matto, e pensò che ne fossero causa i maligni spiriti, che molestassero le ceneri degli avi e quindi influissero sul suo cervello, come è credenza del volgo chinese e più del nostro.

Questo delirio continuò quaranta giorni, durante i quali sembravagli vedere un uomo di mezza età, che l'accompagnava nelle sue corse contro i maligni genî, e s'agitava furioso, menando la spada per l'aria e gridando: "Uccidete! Uccidete!", finchè, stanco di gridare e di agitarsi, ricadeva sul suo letto e si assopiva; altre volte invece diceva d'essere l' imperatore celeste della China, e tutto ringalluzzavasi quando i visitatori acclamavanlo, per celia, con questo titolo.

Molti lo venivano a vedere, e gli appiccicarono, invece, il sopranome di pazzo, che gli restò per molto tempo. Il delirio poi cessò;, egli tornava alle sue umili funzioni di precettore, ed ai tentativi, per la terza volta falliti, di ottenere la laurea.

Un giorno ei si mise a percorrere quel tale libricciuolo cattolico: Buone parole, ecc., già avuto a Pekino, e, rileggendolo, gli parve di trovarvi la chiave delle sue allucinazioni. L'uomo vecchio a tonaca nera era Dio; l'uomo di mezza età era Gesù Cristo, ecc. Egli allora si riconfermò nelle sue idee, così che fecesi battezzare da un compagno, rovesciò la statua di Confucio, e, trovato qualche vicino che gli credette, fondò una sètta che si chiamò degli "adoratori di Dio".

Egli poi, pieno del nuovo entusiasmo, si recò dal missionario Roberts e studiò con lui due mesi, onde ottenerne la comunione ed il battesimo regolare cristiano; ma anche il missionario, come il dispensatore delle lauree, nol trovò abbastanza degno di ricevere il battesimo.

Allora ritornò ai suoi adoratori; ma fu perseguitato dall'autorità e dovette fuggire e restar nascosto sette anni; la persecuzione, come accade, aumentò i proseliti.

Costoro divagavano in teorie teologiche, ma tutti erano d'accordo nella necessità di distruggere le immagini e nel battesimo, il quale consisteva in una spruzzatura d'acqua sul capo del neofita, che poi beveva un thè e giurava di non adorare più idoli.

Durante la fiera persecuzione del Governo chinese, molti di questi sèttari ebbero allucinazioni, estasi o convulsioni. Un povero uomo, detto Hang, andava più degli altri soggetto a questi accessi, durante i quali s'intratteneva in colloqui col Dio padre. Un altro, che fu poi generale, Siau, riceveva invece rivelazioni dal Dio figlio, che gli apprendeva a guarire tutti i mali ed a scoprire, a colpo d'occhio, i malfattori.

Pare che a queste allucinazioni dei suoi seguaci il capo Hang-Sion-Tsiuen prestasse pienissima fede; però, quando quelle poco gli convenivano, egli trovava che le erano ispirate dai dèmoni e le annullava.

Con quell'ingegno, che spesso è compagno, spesso effetto di certe manìe, in ispecie ambiziose, il nostro Hang-Sion-Tsiuen seppe approfittare delle persecuzioni; e, parte valendosi della tattica nuova appresa dagli Europei, parte della poca destrezza dell'armata imperiale e dell'odio nazionale dei Chinesi contro i Tartari, si fece sempre più potente, e nel 1850 realizzò la sua allucinazione e s'intitolò e fu imperatore Tin-Ouang (re Celeste), e re divennero i suoi due matti accoliti.

Spiegò egli, dopo, molta abilità tattica e politica, rendendo gli esami eguali per tutti, modificando antiche leggi assurde, obbligando tutti a giurare ed osservare i dieci comandamenti Mosaici, ma non sì però che non si intravvedesse qualche lampo di manìa in mezzo alla molta astuzia ed abilità; per esempio, in un impeto furioso feriva la moglie, che già gli era carissima, e fece morire i suoi diletti accoliti e profeti; volle introdurre massime di comunismo, doppiamente assurde in una terra così devota alla proprietà come la China; diffuse, con strana insistenza, mistiche utopie, esagerate fino all'omicidio.

Nel 1863[125] 1000 individui furono presi a Madagascar dal Riamaningure (tensione), che obbligava a danzare continuamente: i soldati si staccavano dalle file, i capi, che volevano frenarli, finivano per imitarli. Provavano crampi dolorosi al capo, allo stomaco, poi convulsioni, in cui vedevano l'ombra della regina morta, minacciavano il re e correvano come indemoniati, saltando e gridando. Il male si propagava per imitazione. Durò quindici giorni; nessuno tentò punirli, tanto coloro erano considerati come sacri.

Nell'Oceania, a Tahiti, chiamavano Eu-toa una specie di profeta, cioè posseduto dallo spirito divino. — Il capo dell'isola diceva che egli era un uomo cattivo ( taato-eno ). — Diceva Omar (l'interprete) che questi profeti sono una specie di pazzi, di cui alcuni negli accessi non sanno più niente, e dopo non si ricordano di quello che fecero[126].

"Nell'arcipelago Vidi vi hanno parecchi casi di follìa, ma chi vi diviene folle (probabilmente furioso) vi è strangolato"[127]. — Nell'isola Lefonga vi aveva una donna che perdette la ragione, in seguito alla morte di un figlio offerto in sacrificio. Finau, il capo, ordinò al prigione inglese Marina di ammazzarla[128].

Nel 1862 tra i selvaggi della Nuova Zelanda si andò formando una nuova religione. Il fondatore ne era un certo Horopapera, già stato pazzo molti anni; il che gli giovò invece, perchè i Maori venerano i pazzi e li credono ispirati.

Essendo naufragato un bastimento inglese, fece il possibile per impedire il massacro ed il saccheggio; non riuscitovi, divenne di rabbia delirante e allucinato. Si credè in relazione coll'arcangelo Gabriele, che gli insegnava una nuova religione di pace. Onde, fervendo le guerre fra le tribù, egli predicava la tregua, la pace; fu favorito sulle prime dagli Inglesi, ma, poco dopo, egli fece bruciare la Bibbia, cacciare i missionari, tollerando solo gli Ebrei, dai quali pretendeva discendessero i Maori; sicchè i sacerdoti furono chiamati Jeu. Pretendeva far miracoli, slegandosi dalle corde in cui l'allacciavano; ma, volendo guarire il figliuolo, lo ammazzò, e, conducendo i suoi sotto un forte inglese, li fece mitragliare tutti.

Ciò malgrado, divenne il Pietro Eremita di una insurrezione contro gli Inglesi. "Il Pakeca, lo straniero — gridava egli con mille gesti come un ossesso — è un mostro, un serpe che morde chi lo nutre; è tempo di distruggerlo..."; e poi ipnotizzava i neofiti, facendoli rapidamente girare intorno a sè stessi o intorno ad un palo, finchè cadevano sbalorditi e come pazzi; gridavano come cani, si sodomizzavano in pubblico, bevevano il sangue umano, prendevano dei crani inglesi e volevano farli parlare[129].

Lamberto Loria mi annunzia da Yrupara (Nuova Guinea) l'esistenza di epidemia isterica fra le donne, che la popolazione attribuisce agli spiriti dei morti vaganti sugli alberi, spiriti che essi pregano di discendere per guarire i malati.

Ora veniamo all'America, in cui l'autorità di Humboldt ha trascinato a negare la pazzia nei selvaggi, e a farne capo per le strane teorie sull'influenza della civiltà.

Schoolcraft in quel colossale zibaldone che egli intitola: Statistical and Historical Information of the Indian Tribes, dice: "Il rispetto ( regard ) pei pazzi è un tratto caratteristico delle tribù indiane del Nord, ed anche in quelle dell'Oregon, che passano per le più selvaggie. Nella tribù di quest'ultimo v'era una donna che manifestava tutti i sintomi della follìa, cantava in guisa bizzarra, regalava a tutti le coserelle che possedeva, e si tagliuzzava le carni, quando le si rifiutasse d'accettarle. Gli Indiani la trattavano con grande rispetto"[130].

V'erano nel Perù, oltre i sacerdoti, le vergini sacre, ecc., dei maghi o profeti d'un ordine secondario, che improvvisavano profezie (dette Hecheloc ) in mezzo a convulsioni e contorsioni terribili, e questi erano venerati dal popolo e sprezzati dal ceto più colto[131].

I Patagoni[132] hanno delle maghe e medichesse che profetano in mezzo ad accessi convulsivi; possono essere eletti al sacerdozio anche uomini, ma devono vestire come le donne, e sempre devono aver mostrato, da giovani, particolari disposizioni. — Gli epilettici vi sono eletti di diritto, perchè possedono lo spirito divino.

Nei Caraja, nel Brasile, diventa medico chiunque sia nato o divenuto epilettico, nervoso, disposto dunque alla nevrosi dalla natura[133].

Nei Bilcula del Canadà Dio fa cadere i futuri medici in malattia, durante la quale cantano una formula scongiura, di cui debbono tenere il segreto, e allora diventano medici[134].

J. G. Kiernan dimostra[135] la relazione della pazzia col genio nei popoli nomadi della Mongolia.

I fenomeni presentati dai preti fetici, Shaman, sono talmente simili all'epilessia, per i loro furori e le loro visioni, che i due stati vennero lungamente confusi sotto il solo nome di malattia sacra. È sempre stato creduto che essi fossero dovuti a qualche influenza soprannaturale benigna o maligna, secondo che si procedeva poi a placarla o a scacciarla.

Nei Zulù, Begnana, Giapponesi[136], nei Walla-Walla, nei Sahaptin la professione di medico è ereditaria. I padri, però, scelgono alcuni figli, cui anche dopo morte si pretende dar consigli, e così nei Sciamani siberiani.

In certe tribù siberiane[137] la virtù medica, la forza sciamana, viene addosso d'un tratto come una malattia nervosa; essa si manifesta con debolezza e tensione dei membri, tremori e poi grida inarticolate, febbre e accessi convulsivi, epilettici, finchè i colpiti cadono insensibili; poi toccano e mandano giù ferri infuocati, aghi senza alcun danno; diventano deliranti, finchè all'improvviso prendono il tamburo magico e cominciano a sciamanare: dopo si calmano. Se trovano opposizione al loro profetare, diventano stupidi o pazzi furiosi.

In altri popoli della Siberia è una singolarità il nascere gemelli, e questi sono scelti a maghi.

Nei Diujeric del Sud-Australia diventano medici quelli che vedono da bambini il diavolo, il che provoca in essi sogni paurosi, come incubi.

CAPITOLO XVIII. Genî pazzi creati artificialmente dai popoli primitivi.

Ma la prova più sicura, e insieme più curiosa,. della profonda convinzione che hanno i popoli primitivi della psicosi del genio e, per conseguenza, dell'adorazione dei pazzi, è data dal fatto che vi hanno selvaggi che fabbricano artificialmente dei pazzi, in ispecie epilettici, per cavarne un santo o profeta da adorare e consultare come medico o mago.

1. Un primo metodo è nella modificazione impressa fin prima della nascita.

"Gli Aleouti — nota Réclus — quando hanno ragazzi graziosi, li vestono e allevano da donna, e li vendono a 15 anni a qualche ricco, oppure li consacrano a sacerdote; appena passata la freschezza, essi entrano con gran facilità negli ordini sacri. A Borneo il Daiaco che si fa prete, prende vesti e nome femminili, sposa un uomo e una donna, il primo per accompagnarlo e proteggerlo in pubblico. Anche il sacerdote Aleouta riceve in educazione le ragazze più adatte, le perfeziona nell'arte della danza, dei piaceri e dell'amore, ed esse diventano maghe o sacerdotesse"[138].

Per farli divenire sacerdoti o profeti fanno loro subire speciali trattamenti, e i preti li scelgono fra i due sessi, senza badare se femmine o maschi; Anche s'indirizzano a certi sposi, perchè li fabbrichino con uno speciale trattamento, digiunando spesso e a lungo, e mangiando cibi speciali ed evitandone altri; appena nato loro l'aspettato bimbo, è circondato, bagnato con orina e fimo; deve essere lasciato interi giorni taciturno, solitario; passa poi per una serie di iniziazioni; per poter comunicare con gli spiriti, deve astenersi a intervalli per molto tempo dalla comunità, partecipare alle caccie e alla pesca solo ogni tanto; quanto più procedono con tale regime, tanto più diventano alienati; non si sa più se veglino o sognino; prendono le astrazioni per realtà; creano enormi simpatie e antipatie speciali. Come i Joghi, i Fakiri dell'India e i Chamani della Siberia, hanno per ispirazione suprema l'estasi; dànno in manifestazioni che entrano nella categoria dell' epilessia, hanno strane lucidità e iperestesìe; credono alle persecuzioni dei dèmoni che vengono a tormentarli; negli accessi profetici si abbandonano a contorsioni strane, convulsive, a urli non umani, con schiuma alla bocca, congestioni alla faccia e agli occhi, in cui perdono fin la vista. Se trovano coltelli, ogni tanto si feriscono o feriscono gli altri.

Passate tutte queste iniziazioni, l'individuo scelto diventa il mago, o Hangacoc-Grande o antico, che cumula gli uffici di consigliere, di giudice di pace, di arbitro negli affari pubblici e privati, di poeta, comico, medico.

Attraverso la sua evoluzione, ad ogni modo, l'affinità fra genio e pazzia persiste sempre.

L'iniziazione alla medicina si pratica[139] nei Bilcula con digiuni e preghiere; nei Pelli Rosse con digiuni, sogni e dimore nel bosco e nella solitudine; nei Negri d'Australia con la ricerca dello spirito di un medico morto nella solitudine.

Negli Indiani di Gamina per tre mesi il candidato deve cibarsi con speciali foglie e vivere da solo nel bosco, finchè gli appaia la fantasma.

I futuri medici dei Wascows, dei Caiuso, dei Walla-Walla iniziano la carriera magica dagli otto ai dieci anni: devono dormire in una capanna su la nuda terra, dove ricevono lo spirito sotto forma di bufalo-cane, che fa loro importanti rivelazioni, e quando questo non compaia, devono digiunare fino alla sua venuta; dopo comunicano quello che ne hanno sentito al medico-maestro.

Nei Cafri-Kosa il candidato dimora solitario nella capanna, finchè gli appaiano in immagine leopardi, serpi, uccelli del fulmine, che egli sogna e che lo aiutano nel suo lavoro; ultimo gli appare il fantasma del morto capo, che lo obbliga a danzare e ad essere irrequieto.

In Sumatra per tutto un giorno il candidato deve stare in una corba penzolante in alto dai balconi di una casa e con un minimo di cibo, durante il qual tempo prega gli Dei di essere invulnerabile. Se la cesta si agita, vuol dire che lo spirito è entrato nel candidato; allora lo si punge e ferisce con lancie e spade, e le ferite cessano di sanguinare e si chiudono quando egli le tocca con la mano.

Al Thay-Phap degli Annamiti — medico-profeta — si prescrive una speciale dieta: non può mangiare carne di cane o di bufalo e deve mangiare sempre di una certa pianta che ha le foglie a cuore ( rau-giàp-cà ).

I Ganga del Loango non possono bere che in alcuni siti e in alcune ore della giornata: anche essi hanno molto limitata la dietetica carnea, con proibizione di quella di certi quadrupedi; invece possono fruire di molti vegetali[140].

2. Un altro metodo è di provocare convulsioni e delirî con moti precipitati del capo o con sostanze inebbrianti.

La sètta degli Aissaui, fra gli Arabi di Algeri, deve la sua orgine a Mohamed-Ben-Hissà nel secolo IX, che, capo (cheick) d'una carovana, cinto da tutti i pericoli che porta il deserto: insolazione, simum, ladri e fame, ricorse agli espedienti straordinari del fanatismo religioso là ove la forza umana veniva meno; quando la carovana era affamata, ordinava egli di mangiare scorpioni e serpi in nome di Allah, e quando questi mancavano, insegnava loro il djedjeb, le orazioni, che facevano ammutolire la fame.

Il djedjeb è un moto violento impresso al capo da sinistra a destra, restando penzoloni le braccia, e la gente accompagnando il movimento del tronco e del capo; dopo un'ora di simile esercizio succede una specie di furore o di ubbriachezza, il quale poi si cangia in un'insensibilità singolare. Ma veniamo a maggiori particolari. I settari stanno raccolti in un'apposita sala molto illuminata, i musici battono su enormi tamburi due colpi lenti e uno rapidissimo, allora li accompagnano i fratelli od Aissaui con una barbara canzone:

Dio Dio Dio nostro padrone, Dio nostro Dio,

Ben Hissà ordina l'amor di Dio; il serpe obbedisce a Dio,

Ben Hissà mi fè bere il suo secreto, ecc., ecc.

Questo canto, per quanto sciocco e inconcludente come tutti i canti degli ascetici idolatri, pure, al dire di un europeo, eccita un fremito singolare, un bollimento entusiastico anche nelle vene del più miscredente spettatore.

Allora quelli fra i fedeli che più rimasero colpiti, anzi, dirò, trascinati dal canto, cadono nel djedjeb, o sacra convulsione; il coro allora cessa i suoi canti, ma i tamburi continuano ad accompagnare le contorsioni del forsennato, che canta:

Il tetto è alto. Ben Hissà l'alzò, ecc.

A misura che l'Aissaui s'aggira nella sua danza furiosa, si vede il sangue montargli al viso, gonfiarsi le vene del collo; il respiro non passa che fischiando per la trachea compressa, ogni traccia di canto dispare per dar luogo ad un suono inarticolato, che è l'ultimo sforzo di una respirazione ostacolata. Giunto a questo punto, l'Aissaui arranca una sbarra di ferro arroventato e se ne batte con essa la fronte e la testa, la lecca con la lingua, la morde con i denti. "Ho sentito io — dice l'egregio viaggiatore — la nauseosa puzza che veniva dall'arrostire delle vive carni e il crepitìo della pelle". Non era dunque illusione. Allora il djedjeb si fa generale. Tutti urlano e corrono ferocemente, ferendosi nelle braccia e nelle spalle; alcuni imitano carponi il ruggito del leone e il grido del cammello: chiedono al capo di mangiare, e ne hanno foglie di cactus e vivi scorpioni, che gustosamente deglutiscono. Quindi si flagellano con vipere vive, ecc.

Un addetto al Consolato francese di Algeri, non credendo ai suoi occhi, promise dell'oro ad un settario, se innanzi ai suoi occhi divorava una vipera, che prima aveva uccisi un gallo ed una gallina. L'Aissaui si fe' venire il djedjeb e, arrivato all'atto d'esaltazione, la divorò come fosse una fetta di zucchero.

Altre quattro sètte si conoscono in Algeri analoghe a queste; il decimo, il quinto, spesso, d'intere città, per esempio di Meknes, vi è ammesso[141].

Una società, quanto vasta altrettanto bizzarra e crudele, esiste pure attualmente fra i negri di S. Domingo. È la società di Voudou. Ignota è l'origine di questa parola, forse da Vou, serpe, dou, paese. Così si designano le divinità, l'istituzione ed insieme gli addetti. Questo dio è a S. Domingo il colubro, all'isola Orleans il serpente a sonagli; ma d'origine è prettamente africano e specialmente del Congo e di Juidala. Il sacerdote del Dio (papà Voudou ) esercita autorità straordinaria su tutti gli adepti, così ad Haiti come nel nativo Congo. Nel fondo della sala, ove gli adepti sono raccolti, sta l'arca santa ove giace il serpe; al lato il papà e la mamma, o sacerdotessa, sotto un gran manto di cenci rossi (essendo il color rosso pretto simbolo del Dio). Il papà, posando il piede o la mano su l'arca, intuona un barbaro canto:

Eh! Eh! Bomba hen, hen,

Canga basio te,

Canga mouni de lì.

E comunica la scossa alla mamma, questa a tutto il cerchio degli spettatori, il quale è agitato da moti corei laterali, in cui testa e spalla sembrano slogarsi; un'esaltazione febbrile s'appiglia a tutti gli affigliati; la ridda si aggira con cieco urto; i negri cadono in furore singolare, immergono il braccio nell'acqua bollente, si tagliano e squarciano, con coltello e con gli unghioni, le carni, si fanno collocare mortai sul dorso e su vi puntellano uomini vigorosi[142].

Fatti analoghi a questi si verificarono nei Derwisch ottomani.

Ogni convento di Derwisch ha una specie sua propria di sacra danza o, meglio, di convulsione epilettoide. Alcuni pregano, facendo moti laterali col capo; altri si piegano col corpo da sinistra a destra e da avanti in dietro; ma nel più dei conventi, come Kufai, Cadris, Beyrami, costoro usano tenersi stretti in cerchio per mano, pongono innanzi il piè destro e aumentano ad ogni passo di vita e di forza; cominciano i Kufai col canto di Allah e fanno moti laterali del capo e gettano le braccia sulle spalle degli altri e s'aggirano sempre più rapidi, sinchè cadono nell'Haleth o rapimento; in questo stato subiscono la prova del ferro rovente, si tagliano con le sciabole, ecc.

Stranezze analoghe dei sacerdoti di Baal ci narrano la Bibbia e Luciano, e ce lo attestano i monumenti di Ninive[143]. Nell'India i sacerdoti di Civa e di Durga ripetono eguali convulsioni, seguite da simili strazi volontari e, direi, voluttuosi[144].

Altrettanto si osserva ancora fra i santoni di Egitto. Una delle cerimonie più curiose, che pratichino gli uley d'Egitto, è quella del zikr; l'eseguiscono, pronunciando la parola Allah, e agitando continuamente la testa ed il corpo; scossi, spossati da tali movimenti, cadono a terra, congesta la faccia, schiumante la bocca, come epilettici; e durante questa frenesìa, simile ai convulsionari di S. Medardo, si mutilano, si abbruciano[145].

La coesistenza di un uso così strano fra razze così diverse e lontane, Semiti, Caucasei, Camiti, accenna ad una causa più profonda e fisiologica che non sia quella della religione, la quale risultante com'è dei sentimenti del popolo, più su loro si modella che non ne resti modellata, e non è quindi mai uniforme.

È fra le tendenze invece più caratteristiche delle razze umane l'abbisognare di quegli artificiali eccitamenti del cervello, che noi chiamiamo inebbriamenti e crescono in numero e finezza coll'aumentare dell'evoluzione. Le più strane sostanze vennero — come vedremo (pagina 244) — dall'uomo a questo scopo adoperate: il vino, l'alcool, il manioc, la noce di kola, la saoma, la ghee, la birra, l'oppio, fino l'acido lattico e acetico (Tartari), fino le iniezioni per le nari del niopo nel Kamtskàtka.

Popoli che per le particolari condizioni di selvatichezza, come i Negri e gli Aissaui, o per leggi (Maomettani) non possono usare degli alcoolici, nè di analoghe sostanze, vi supplirono col movimento laterale del capo, il più selvaggio modo di ubbriacamento che sia possibile.

È certo, infatti, che quel movimento laterale del corpo e del capo produce una congestione cerebrale. Ognuno che ne faccia l'esperimento per qualche minuto ne sarà più che sicuro. — Si trovano, per esempio, negli Annali di medicina (1858) registrati casi d'apoplessie e di vertigini cerebellari in seguito a simili movimenti.

Una volta scoperto come si ottenessero con queste pratiche l'ebbrezza e le convulsioni, stati così anomali da non potersi interpretare da popoli primitivi se non come invasamento degli Dei, come una nuova, una seconda personalità che pareva loro sacra, applicarono tali pratiche per mettersi in comunicazione cogli Dei, allo stesso modo come si servivano degli epilettici veri o dei pazzi e, più tardi, degli intossicati o inebbriati.

3. Più frequentemente, infatti, ricorsero alle sostanze inebbrianti; i sacerdoti antichi, che primi avvertirono l'azione stimolatrice della mente delle bevande fermentate, le presero prima per sè, dichiararandole sacre, come per la stessa causa dichiararono sacra l'epilessia.

La leggenda afferma che la vite, è nata da una goccia di sangue divino caduta in terra; il meth, bevanda della Saga nordica, dal sangue del Quasio, il più savio degli Dei; Dei furono Lieo, Osiride, Dionisio, inventori della vite ed iniziatori della civiltà. Bacco è il Dio salvatore, il Dio Mago, il Dio Medico, ed ancora lasciò traccia della sua grande influenza nella bestemmia: Sangue, corpo, di Bacco! Gli Egiziani (Erode II) non permettevano il vino che ai sacerdoti. Il vino entra come liquore sacro nella liturgia, nelle libazioni e abluzioni.

Il sacerdote indiano è detto bevitor di Saoma[146]; al succo dell' Asclepias fermentato, alla Saoma, egli attribuiva l'ispirazione poetica, il coraggio degli eroi e la facoltà di immortalare la vita ( amrita, d'onde abrotos, come si disse poi, acqua della vita, l'alcool). Nel Rig-Veda, VIII, pag. 48, si legge: "Noi abbiamo bevuto la Saoma; divenimmo immortali; entrammo nella luce".

Nel Yacna di Zoroastro il succo dell' Haoma, che è tutt'uno della Saoma, "allontana la morte".

La Saoma stessa divenne un Dio da rivaleggiare col fuoco: "Saoma, tu, che fai i Richis, che dài il bene, tu immortalizzi uomini e Dei", si legge nel Rig-Veda.

La Saoma non era permessa che ai Bramini, così come nel Perù la coca era solo concessa ai discendenti dell'Incas e, fra i Chibcha, ai preti, che se ne servivano come di un agente di ispirazione. Notisi che la Saoma è detta in sanscrito Madhu, che nello Zendo ha significato di vino; il che lega il Med nordico, il Madus lituano e il Mad sanscrito col nostro matto; e, infatti, Bacco, nato Dio, è versato in onore degli Dei, e il delirio bacchico è una virtù profetica, è la possessione del Dio; ed Esculapio è figlio di Bacco.

Sembra che quelli i quali primi avvertirono gli effetti benefici e malefici del vino, creassero la leggenda dell' albero della scienza, o del bene e del male, che si volle fosse appunto un pomo, d'onde escirono i primi liquori fermentati. Gli Assiri ebbero appunto un albero sacro, albero della vita, ch'era prima l'Asclepias, poi la palma, d'onde si cava anche ora un liquore fermentato.

Negli Egizi era il Ficus religiosus, il cui succo fermentato rendeva l'anima immortale.

4. Altri ricorsero all'ipnosi, all'estasi, agli effluvi di gas tossici.

Gli oracoli di Delfo, di Delo, di Abe, di Tegiro, ecc., in Grecia erano in mano ai sacerdoti, che facevano profetare una, due e perfin tre isteriche, dopo che le avevano intossicate ai fumi del lauro ed alle emanazioni di altri gas. La Pizia essenzialmente si preparava con abluzioni, fumigazioni di lauro e d'orzo abbruciati, sedeva su un tripode che poggiava con un bacino sopra un crepaccio, da cui esalavano gas tossici — secondo mi scrive Giacosa, idrocarburi ed idrosulfuri — che avvolgevano tutta la parte inferiore della persona ( Strab., IX, 419), fin che cadeva in estasi, o trance, che talvolta finiva con la morte; molte volte parlava in versi, o delirava in verbigerazioni scucite, alle quali i sacerdoti davano un senso appropriato e anche una forma ritmica, aggregandosi perciò speciali poeti[147].

"Negli anfratti di una rupe di Delfo — scrive Giustino — era un piccolo piano ed in esso un foro, o crepaccio della terra, da cui emanava un frigido spirito che si spingeva con forza, come per vento, in alto e la mente dei poeti mutava in pazzia ( mentes vatum in vecordiam vertit, XXIV, 6; Id. Cicero De Divin., 1, 3): dapprincipio era ignota questa virtù: i pastori vi conducevano gli armenti: ma un giorno una capra cadde nel crepaccio e fu presa subito da convulsioni: certo, il pregiudizio che metteva in rapporto, anche nel djedjeb, la convulsione con l'ispirazione divina, per cui erano sacri gli epilettici, fece nascere l'idea di servirsi di questi vapori tossici per provocare il profetismo. E infatti dapprima si associa con l'inebbriamento bacchico, sicchè alcune Pizie erano Tiadi, Dionisiache, e il Dionisio-Bacco, secondo la leggenda, si fermò a lungo a Delfo.

Di questi oracoli provocati da gas intossicanti ve n'erano ovunque si sviluppasse gas dai terreni: al lago Averno, Eracleo e Figalo, laghi che, credendosi perciò in comunicazione con l'inferno, pretendevasi dessero luogo all'evocazione dei morti; e, quel che è più semplice, all'intossicazione inebbriatrice dei vivi, che così divenivano interpreti dei morti, o necromanti.

Sicchè l'origine patologica, epilettoide del genio si completa col consenso universale di tutti i popoli antichi e selvaggi, consenso portato fino al punto dell'adorazione dell'epilessia e della fabbricazione artificiale di epilettici per averne un profeta, che è il genio dei popoli primitivi.

APPENDICI

APPENDICE I

(Appendice al capitolo X, vedi pag.69 e seguenti)

Le scoperte e le sensazioni ed emozioni secondo Mach.

"La maggior parte delle invenzioni — scrive Mach[148] — appartengono ai primordi della civiltà, non esclusi il linguaggio, la scrittura, la moneta e simili; non si hanno dunque a considerare come il risultato di una riflessione volontaria e razionale, per questa principale ragione, che la loro utilità non potè rendersi manifesta se non mediante l'uso che se ne fece. Un albero caduto a traverso un ruscello suggerì casualmente l'idea del ponte; il primo utensile fu forse una pietra venuta in mano per caso ad un uomo nell'abbattere i frutti di un albero. Una piccola incavatura nel suolo, nella quale si accende il fuoco, fu il primitivo focolare. La carne dell'animale ucciso, rimessa con acqua nella propria pelle, venne cotta mediante pietre arroventate; poi a questa cottura nella pietra si sostituiva quella in vasi di legno. Alle zucche vuotate del midollo si diede una spalmatura di argilla, perchè reggano il fuoco. Così per caso si formava la pentola di terra cotta, che rende inutile la zucca, e tuttavia continua a servire di involucro a questa, oppure venne formata intorno ad un canestro, prima che l'arte dello stovigliaio divenisse un'arte indipendente.

"Adunque, posto pure che anche le più importanti invenzioni siano state suggerite all'uomo dal caso, quasi senza che egli se ne accorgesse, non è men vero che il caso da solo non può produrre alcuna invenzione. In nessun caso l'uomo è rimasto affatto passivo. Anche il primo pentolaio nelle foreste dell'età preistorica dovette sentire in sè una scintilla geniale: egli dovette osservare il nuovo fenomeno, scoprirne e riconoscerne il lato vantaggioso per lui e trovare il mezzo per valersene al suo fine: egli dovette farsi di questa novità un'idea precisa ed autonoma; e poi collegarla e quasi intesserla ai residui del suo pensiero. In breve: egli doveva possedere l'attitudine allo esperimento.

"Ma la mente umana non arriva a conoscere nuove serie di fatti, per lungo tempo ignorati, se non grazie a circostanze casuali, per le quali appunto i fatti, fino allora inavvertiti, divengono suscettibili di osservazioni.

"L'opera ed il merito dello scopritore consistono nell'acuta attenzione che fino nelle minime tracce percepisce quello che vi è di straordinario nel fenomeno e nelle circostanze determinanti, e riconosce la via per la quale si può pervenire alla perfetta osservazione.

"... In questo modo vennero fatte le prime osservazioni di Grimaldi sulle interferenze, la scoperta fatta da Arago della maggior deviazione di un ago magnetico oscillante in una guaina di rame rispetto ad un altro, posto in una scatola di cartone, l'osservazione di Foucault sulla stabilità del piano di vibrazione di un bastone rotante sul banco del tornitore e urtato casualmente, gli studi di Mayer sul color rosso del sangue venoso nelle regioni tropicali, l'osservazione di Kirchoff sullo accrescimento della linea D. nello spettro solare per l'interposizione di una lampada a sodio, la scoperta dell'azoto fatta da Schônbein grazie all'odore speciale che si manifesta nell'aria allo sprigionarsi della scintilla elettrica, ed altre non poche. Tutti questi fatti, molti dei quali furono certamente veduti molte volte prima di essere osservati, sono esempi dell'iniziarsi di importanti scoperte da circostanze accidentali; e nello stesso tempo fanno chiaramente vedere di quanto momento sia una vigile e penetrante attenzione.

"Ma non soltanto nell'inizio di una ricerca, bensì anche nella sua prosecuzione possono le circostanze cooperanti, al di fuori dell'intenzione del ricercatore, essere di grande momento. Così Dufay riconobbe l'esistenza di due stati elettrici mentre studiava il modo di essere dell'unico stato elettrico da lui presupposto. Per un caso Fresnel si accorse che le strie di interferenza impresse sopra un vetro smerigliato si vedono meglio all'aria aperta. Il fenomeno della rifrazione di due sfaldature si produce ben diversamente da ciò che prevedeva Frauenhofer, il quale dall'osservazione continuata di questo fatto è guidato all'importante scoperta dello spettro reticolato. Il fenomeno dell'induzione di Faraday diverge radicalmente dal concetto iniziale onde mossero gli esperimenti di questo fisico: e in questa divergenza appunto sta la vera scoperta.

"Ognuno a questi grandi esempi potrebbe aggiungerne dei minori, desunti dalla propria esperienza. Io mi contenterò di riferirne uno solo: Per caso, viaggiando una volta in ferrovia, lungo una curva osservai la notevole obliquità apparente delle case e degli alberi. Da questo argomentai che la direzione della totale accelerazione fisica della massa reagisce fisiologicamente in senso verticale. Volendo poi esperimentare più esattamente questo solo fenomeno mediante un grande apparecchio rotante, i fenomeni concomitanti mi diedero la sensazione dell'accelerazione degli angoli, della vertigine, dei fenomeni provocati dal Flourens con il taglio dei canali semicircolari; e di qui a poco a poco si produssero in me i concetti relativi nel senso dell'orientazione, enunciati poco tempo dopo da Breuer e da Brown, dapprima universalmente contestati, ma oggi riconosciuti esatti".

È curioso, a proposito della mia e della teoria di Mach, che da un'altra parte del mondo, 1500 anni fa, il grande poeta chinese Tchin-Tsen-Noan creò il genere di poemi detto Yng, od incontri, ciascuno dei quali fu ispirato e nacque da una grande impressione e da un grande avvenimento.

Goëthe a sua volta diceva che ogni poema lirico doveva esser ispirato da qualche grande fatto[149].

APPENDICE II

(Appendice alla pag.111 del capitolo XII)

Idea fissa, epilessia ed ossessioni angosciose.

Accessi epilettici sotto forma di angoscia[150]. — Vi sono nell'epilessia degli stati d'ansietà, di angoscia, che appaiono come aura preepilettica o come stati alternati con le crisi epilettiche, in qualche caso ne formano il fenomeno principale, essendo secondario quello della convulsione. Per lo più questi accessi d'angoscia si svolgono senza perdita di coscienza, nè vertigine. Non sono in rapporto con condizioni esterne speciali, come la folla, il tuono, ecc.

Mendel[151], sulle ossessioni, dice che Westphal definì l'ossessione una rappresentazione che ad intelligenza intatta, e senza essere legata a uno stato affettivo, s'impone alla coscienza malgrado la volontà, e impedisce il corso normale delle rappresentazioni che attraversa.

Mendel vorrebbe che si eliminassero dalle ossessioni certe fobìe, che sono quasi normali. Molte sono fenomeni secondari dell'ipocondria isterica ed epilettica: nell'isterico si svolgono sopratutto nella sfera sessuale, complicansi ad angio-neurosi, possono provocare l'eritrofobìa; negli epilettici offrono ora il carattere di equivalente psichico, ora di aura, ora di fenomeni postepilettici.

Qualche volta ve ne hanno caratterizzate da un difetto di associazione d'idee. L'associazione non si fa che: o per principio di causalità; per esempio: Perchè l'uomo ha due gambe? Come saranno i piedi nudi dell'amico che vi visiti?; o per contrasto, e allora sono fenomeni di paranoia rudimentale.

APPENDICE III

(Appendice al capitolo XV, vedi pag.147 e seguenti)

Nuovi casi di patologia del genio, di calcolatori, ecc.

1. Atassìa precoce in poeta geniale. — In questi ultimi tempi moriva giovane un forte poeta dopo 15 anni di atassìa: Luigi Duchosal, nato nel 1862, di famiglia savoiarda stabilita a Ginevra[152].

Dai primi anni di sua vita fu morbosamente sentimentale, fino ad innamorarsi di una testa di cera e venirne ammalato. A 15 anni lo colpiscono i primi sintomi dell'atassìa; ma egli, illuso e acciecato di speranze, non se n'addava e cantava:

"... Bonjour, grand soleil: voici mon espoir,

Voici mon orgueil, fais-leur un peu signe;

Ils voulent la grappe, ils ont une vigne,

Je t'offre un baiser, étoile du soir.

"Je suis comme un roi, je porte une épée;

Et l'ambition me brûle le sang.

Je vais te conter mon âme, o passant!

Mon cheval hennit pour une épopée"...

in quel bellissimo Libro di Thulé, in cui non abbandonava alcuno dei suoi sogni, malgrado le gambe fossero già paralizzate; appena vi si può intravvedere la lotta dolorosa con l'impotenza in qualche verso, come per esempio:

"Je veux, fruyant ces murs ou je vis oppressé,

M'en aller vers la mer endormie où Venise

Dans un silence morne et fatal, agonise

Sous le fardeau trop lourd d'un passé glorieux.

Oubliant les combats du sort mysterieux,

J'y passerai le temps que je dois encore vivre

À regarder l'eau grise et miroi tante, à suivre

La musique des flots ou boir les jeux follets,

Des rayons sur les quais et parmi les palais

Qui, noirs et hauts, les pieds enfoncé dans le vase,

Semblent encore plonger dans une antique extase

Et, devant eux, songeant à mon mal sourd et lent,

Ce sera mon plaisir et le plus constant

D'établir une intime et suprème harmonie

Entre la cité morte et l'âme à l'agonie".

E in questi altri:

"Tu t'es dit: — Le pauvre homme à besoin de baiser! —

Et te voici m'offrant le lait de la tendresse.

Mais tes yeux ont mal lu dans l'oracle vermeil,

Ta pitié seule est là, les mains pleines de choses;

Marguerite, aux yeux d'or, passe et garde tes roses,

O belle au bois dormant, reprends ton bleu sommeil".

Se non che la malattia progrediva; fin le braccia stesse gli mancarono, e nemmeno le stampelle bastavano a sorreggerlo: doveva lasciarsi trascinare in vetturetta. Finalmente anche la parola gli venne meno. Lo si disse modesto, rassegnato al triste destino; invece egli in fondo era un orgoglioso, un ribelle, sconoscente alle simpatie che lo circondavano, fino a disgustarle. Ma quelle ribellioni stesse erano fonte d'ispirazione: egli avrebbe voluto conseguire i massimi trionfi con tanta maggior energia quanto più gli sfuggiva la potenza; sentiva una parte dell'anima armata per la vittoria, vi credeva con fierezza e fervore, e la mano invisibile del male lo inchiodava sul sito; egli aspirava alla gloria, all'amore, alla gioia, mentre la sua povera mano ricadeva sulle ginocchia paralizzata.

Chi l'ha seguito in questa lotta dolorosa attraverso ai suoi versi, comprende quanto fu grande la sua sventura e come essa contribuì alla sua opera poetica.

2. Caso di memoria straordinaria in deficiente. — Il dott. Giuffrida-Ruggeri mi comunica questo caso:

"Sfogliando un libro di De Cesare, mi è occorso di veder riferito, a titolo di semplice curiosità, un caso di memoria straordinaria in individuo probabilmente deficiente[153].

"Un ragazzo di 12 anni, nativo di Ginopalena, povero come Giobbe, che si chiamava Daniele Nobile, per virtù congenita e senza educazione di sorta risolveva estemporaneamente i più astrusi problemi di aritmetica. Piccolo, quasi deforme, nevrotico, dalla bocca enorme[154] e dagli occhi sporgenti, balbuziente, apata e col cuore non aperto ad altri affetti tranne quello per sua madre, egli, entrato in collegio, imparò a memoria quanto nessun uomo potrebbe imparare in tutta la vita. Recitava la Divina Commedia dalla prima all'ultima terzina, senza mettere una parola in fallo: ripeteva lunghi brani di classici e giunse persino ad imparare il dizionario italiano-latino. Ma i superiori, temendo che gliene venisse male, ricorsero alla influenza del suo confessore, e questi ottenne che il ragazzo si fermasse alla lettera d. La sua virtù singolare stava nel rispondere prontamente e senza riflessione apparente e con mirabile precisione a tutti i quesiti più difficili di aritmetica. Ferdinando II, andato a Chieti nel maggio del 1847, ricevette ragguagli di questo giovanetto e volle conoscerlo. Gli mosse varie domande, ed ebbe pronte risposte, verificate esattissime. Allora volle fargliene anch'egli una, che formulò così: Io nacqui nel giorno tale dell'anno tale, alla tale ora, e fino a questo momento (cavando l'orologio e notando i minuti primi e i secondi) quanti anni, mesi, giorni, ore, minuti primi e secondi ho vissuto? E il Nobile prontamente rispose, e le cifre furono raccolte e sottoposte a riprova dagli ufficiali, che accompagnavano il re. La prova però non riuscì, essendosi verificato che le cifre date dal Nobile erano di molto superiori alle vere. Egli spalancò gli occhi, contrasse la bocca e parve impazzasse. Il re ne ebbe pietà e lo incuorò, dicendogli: Ripensa bene. Egli tacque per pochi istanti, tenendo gli occhi fissi sui numeri scritti dagli ufficiali. Ad un tratto ruppe in un urlo di gioia e, balbettando, esclamò: Voi, voi non avete calcolati gli anni bisestili, con le differenze delle ore. Gli ufficiali rifecero i calcoli e riconobbero che Nobile aveva ragione. Il re gli concesse sei ducati al mese, vita durante. Fatto adulto, non ebbe fortuna, e in quegli anni era bidello del collegio... Morì dopo il 1860".

Specialmente dal fatto del non essere riuscito ad altro che a fare il bidello e dai segni somatici, dalla balbuzie, dalla mancanza di sentimenti affettivi, giustamente Giuffrida crede si tratti qui di un deficiente.

3. Rossi Felice, calcolatore, di Lesa. — Certo Rossi, d'anni 12, di Lesa, veniva segnalato sulla Domenica del Corriere dal Biazzi come un calcolatore-prodigio, malgrado fosse quasi illetterato. Ne domandai al dott. Martelli e al signor Gabardi, che mi scrissero:

"Le sue specialità sono le moltiplicazioni e massime quelle che servono a tradurre gli anni in mesi, giorni, ore, minuti primi, ecc.

"1º Un gerlo di castagne — gli chiesi — di 47 chili costa 7 lire al quintale. Quanto l'ho pagato?

"E la risposta venne esatta, precisa, dopo un istante, tre secondi d'orologio, il tempo di turarsi coll'indice delle mani gii orecchi e di guardare fisso per terra: "L. 3,29"[155];

"2º Compro una giovenca, che pesa 133 chili, a L. 1,30 al chilo. Quanto l'ho pagata?

"Non avevo finito la domanda, che ne sapevo il prezzo in L. 172,90;

"3º Io ho 22 anni. Quanti mesi e minuti ho vissuti?

"Volevo controllare, ma non ero a metà della prima operazione, che già sapevo d'aver vissuto 264 mesi e 11.563.200 minuti;

"4º Volendogli fare una domanda più difficile, gli chiesi, promettendogli un regalo, quante ore e quanti minuti ha vissuto un uomo a 58 anni. Ed egli, affatto come bimbo, m'interrogò:

"Me la compra la bicicletta, quando va a Milano? Me la compra proprio?".

"Ripromisi.

"Si tappò le orecchie un'altra volta, perchè, a suo dire, i rumori gli tolgono i sentimenti, guardò fisso il suolo, eppoi esclamò: "Scriva!", e mi dettò una per una queste cifre: ore 508.080, minuti 30.484.800, avvertendomi che ogni 4 anni fa d'uopo aggiungere 24 ore, vale a dire 1440 minuti".

Il dott. Martelli, poi, così me lo descrive:

"È nato il 6 marzo 1890, da genitori sani, punto alcoolisti, e sofferse fin da bambino epilessia dopo una meningite. Nulla degno di rilievo negli ascendenti. Un cugino in primo grado soffre di epilessia; una sua sorellina morta a 9 mesi soffriva di convulsioni.

"Egli ha sviluppo regolare (altezza cm. 142), circonferenza massima del capo cm. 51, curva longitudinale cm. 28, trasversale cm. 29. La testa è trococefala.

" Pare che in vicinanza degli accessi epilettici più viva si faccia la memoria calcolatrice; è certo che, dopo aver calcolato molto, più intense si fanno le convulsioni e che già mentre calcola (Vedi figg. 4 e 5), si fa strabico e poi chiude gli occhi ed assume una faccia convulsa.

"A tre anni conosceva a memoria tutte le carte dei tarocchi per nome e ne sapeva il valore, stando attento alle mosse e alle parole dei giuocatori qui in bottega. Poi, improvvisamente, cominciò a fare dei calcoli, moltiplicando le cifre con una celerità straordinaria. E sempre mentalmente, perchè a mala pena sa scrivere il suo nome!

"Il Rossi non ha mai frequentato scuole a causa del suo male. È molto espansivo, bacia facilmente qualunque persona gli rivolga benevolmente la parola, è inquieto sempre, ad ogni emozione soffre di convulsioni, ed è, a vero dire, limitatissimo di intelligenza.

"Ha — mi scrive Gabardi — un'irruenza di parole e certi gesti sì recisi e strani in un bimbo della sua età, che subito compresi d'aver di fronte un anomalo".

Fig. 4 Fig. 5.

La fig. 4 rappresenta la sua fisionomia normale; la fig. 5 lo rappresenta in azione, durante i suoi calcoli.

4. Midriasi volontaria ed epilessia in uomo geniale. — Ho potuto studiare lungamente, col suo consenso e con la sua collaborazione, la nevrosi di uno scienziato di genio, d'anni 25.

E cominciamo dall'eziologia:

Anamnesi. — Nato da cugini primi, figli di fratelli, con sorella soggetta a convulsioni e canizie precoce e di vivacissimo ingegno.

N. N., sorella di X., piccolissima, vive tuttora più che ottantenne: 2 volte monaca, 2 volte fuggì dal convento. X., isterica, altissima mangiava vetro in polvere, vestì cilicio; fu in carteggio con Mazzini: morì apoplettica a 69 anni; madre di: P., banchiere onesto, ma violentissimo e collerico, padre di Z. Z. Y., fratello di X.: epilettico fin dall'infanzia, morì di epilessia

Z. Z., tendenza alla apoplessia, vertigini, iracondo, emotivo, scialacquatore. Esoftalmia, micrognatismo e canizie precoce; ammogliato a S., banchiere, onesto e normale, fratello di P., ammogliato a M., suicida a 32 anni, colta e geniale nelle arti, con nonna materna di genio, madre di

L., donna geniale, di solida e vasta coltura.

Appunti autobiografici. — "Infanzia: nato molto più pesante della media. Il primo mese di vita fui allattato da balia incinta e per poco non ne morii. A 8 o 10 mesi, ossia prima di parlare, guardavo gli angoli oscuri delle stanze con manifesto terrore, così da impensierirne medici e parenti.

"Pubertà piuttosto ritardata.

"Ebbi pavor nocturnus ed insonnia, che perdurarono fino all'età adulta.

"Ho instabilità: melanconia estrema e depressione alternanti con ismodata allegrezza, che esprimo con salti e grida selvaggie anche per la strada. Iracondia, con bisogno di rompere oggetti di porcellana o di vetro, che s'alterna a facilità al pentimento ed al rimorso e bisogno estremo di confessare il male fatto. Tendenza al vagabondaggio ed incapacità ad un lavoro metodico; fui curato a 20 anni per paranoia rudimentale; parevami che tutti ridessero della mia bruttezza, il che però non era del tutto immaginario, perchè allora impressionava il mio aspetto cadaverico. Frequenti le illusioni dell'udito, rare le allucinazioni.

"A 19 anni ebbi un accesso epilettico motorio. Una volta, in un momento di agitazione, mi getto da una finestra, cadendo sopra un vetro; corsi poi (epilessia propulsiva) in giardino per due ore (a 2° sotto zero) senza camicia, senza raffreddarmi".

Esame antropometrico. — Statura a 20 anni m. 1,85; ora m. 1,86; a braccia distese m. 1,85. Peso chilogr. 75. Circonferenza orizz. 0,60. Capacità cranica ester. 1661. Indice cefalico 82 mm.

Capo: seni frontali esagerati; fronte sfuggente; acrocefalìa; torus occipitalis.

Mentre la sorella e la madre ebbero precoce canizie, egli notò su sè annerimento dei capelli che erano imbianchiti a 12 anni.

Faccia: faccia allungata; denti sani e ben disposti; dente della saggezza mancante; lobulo dell'orecchio aderente; mobilità degli orecchi.

Riflessi: addominali aboliti; vascolari esagerati; scrotali aboliti; rotulei ottusi.

Tic alla spalla, alla faccia ed alle palpebre.

Forza muscolare: dinamometria chilogr. 56 a sinistra, 52 destra; straordinaria agilità.

Ha vertigini, specie dopo essersi coricato di giorno o chinato per raccogliere qualche cosa.

Con la scala fotometrica De Wecker et Masselon (Pl. VI) l'acuità del senso luminoso (L) risulta alquanto superiore alla norma, e precisamente di 11 ⁄ 10. Con la scala cromometrica (Pl. VII) degli stessi A. l'acuità cromatica è pur superiore alla norma: precisamente C = 12 ⁄ 10. Inoltre, il discernimento del rosso dal giallo si effettua per superficie colorate di 1 cm. q. su fondo nero ad una distanza di 14 metri, dando perciò C = 14 ⁄ 5, cioè quasi il triplo dell'acuità cromatica normale per i colori suddetti. — Il campo visivo, quasi normale pel bianco, è notevolmente ridotto pel rosso e più pel bleu, in ambidue i lati, ma più a destra e quest'ultimo con grandi scotomi (Vedi fig. 6).

CAMPO VISIVO DELL'OCCHIO DESTRO.

Fig. 6

Sensibilità: meteorica grandissima, in ispecie nell'estate e autunno; poca ai metalli: salvo pel rame; iperestesìa pei rumori: "Mi è assolutamente impossibile — mi scrive — sopportare, perchè doloroso, lo sparo di un'arma da fuoco, vicino a me, e questo mi è causa d'infelicità"; iperestesìa cromatica; mancinismo sensorio, tanto uditivo che visivo, e tattile; così l'udito ha acuità minore a destra (1,50) che non a sinistra (3,15); il potere discriminativo tattile è più ottuso a destra (4,1) che a sinistra (2,00).

Viceversa, la sensibilità generale, saggiata con la slitta di Rhumkorff, è più delicata a destra, 65 mm., che a sinistra, 60, e così la sensibilità dolorosa: 30 a destra e 24 a sinistra,

Ma quello che è più singolare in lui è la facoltà di allargare a volontà la pupilla e aumentare la pressione vasale ed i movimenti cardiaci. Così egli, che aveva al braccio pressione eguale a destra e sinistra di 160-170 (st. di Riva Rocci), potè cinque volte su nove a volontà aumentare la pressione a 220-225.

Le pulsazioni aumentavano sempre quando egli dilatava la pupilla. Come si vede da questo Cardiopneumogramma (Vedi Tavola III), l'acceleramento del moto cardiaco è accompagnato da tremori e dispnee.

Circolazione: sera 24 novembre, ore 9,30, 60 al 1º senza dilatare la pupilla; poco dopo, dilatando la pupilla, 84-86.

Respirazione: 20-22 per 1' senza dilatare; 29-30 dilatando la pupilla. Ma su questo ritorneremo.

Riproduzione. Istinto sessuale scarso e deviato.

Ha estrema zoofilia: perfino pei serpenti Boa, dalle cui spire amò più volte farsi avvolgere.

Presentò accessi epilettici acuti e negli intervalli una vera genialità, specialmente negli studi sociologici.

Memoria tenacissima, poi, e quasi ossessiva per le idee.

Testi mentali 10 su 10 in 3".

"I miei ricordi più lontani — mi scrive — risalgono a due anni e qualche mese, ma chiarissimi, e si riferiscono alla mia bisnonna. Nelle scuole primeggiai, ma non mai per i componimenti italiani, che facevo svogliatamente, mentre riuscivo bene in latino e meglio in greco. Ho una grande facilità ad apprendere le lingue, ma piuttosto come uditivo. Ho attitudini spiccate ger la musica o la scultura: poche al disegno".

"Quanto ai ricordi degli accessi epilettoidi, mi restano confusi quelle pochissime volte che si potrebbe parlare di veri e propri accessi. Quando mi sento spinto a girovagare per le vie senza consiglio e senza guida, non ho la mente del tutto vigile, mi par di sognare. Questo, però, mi accadeva più spesso tre o quattro anni addietro.

"Contenuti onirici: da bambino prevalentemente "diabolici", con vero pavor nocturnus, palpitazione, sudor freddo. Le pulsazioni nell'orecchio appoggiato al guanciale mi atterrivano come passi di un gigante che s'appressasse. Fin da 10 o 12 mesi d'età solevo guardare con terrore gli angoli scuri delle camera.

"Frequenti i sogni di armonie musicali in chiesa o di suonare il pianoforte; i soliti sogni, poi, d'essere esaminato al liceo. Negli ultimi anni, sopratutto a periodi (fin 10 giorni di seguito), sognai di serpenti. Talvolta mi occupano in sogno anche idee astratte visualizzate e ragionamenti in forma di dialoghi. Poco frequenti nel sogno le immagini erotiche. Parlo, rido e grido sognando.

"Ho coscienza dei turbamenti delle funzioni vasomotorie sotto l'influenza della volontà, come di una scarica che parta dal cervelletto".

Affettività diminuita pel padre e pel fratello, vivissima per la madre.

Disturbi psichici: "Delirio del dubbio. Ogni notte prima di andar a letto e sovente di giorno prima di scrivere debbo, per decidermi, dar dei colpi della testa sul muro o del mento sul tavolo fino a dolermene, e guardarmi dietro le spalle". Più volte presentò fenomeni ipnotici e medianici e presentimenti di avvenimenti futuri che si avverarono completamente.

Midriasi volontaria. — Fra le particolarità più singolari che egli ha e che ha pure sua sorella — o, almeno, ebbe quando era isterica — è, come accennammo, quella di potere a volontà dilatare le pupille. Ciò non può ottenere, naturalmente, a luce diffusa, abbagliante. Avverte il momento in cui la pupilla s'ingrandisce, e subito dopo la pupilla da 3 mm., si porta fino a 6 mm. e più. Contemporaneamente ha rapide contratture dei muscoli dello zigoma, impallidisce, trema, e le pulsazioni si fanno più rapide; ed appare un leggero strabismo a sinistra. Ciò non costituirebbe ancora un fatto di grande importanza, perchè molti individui da me osservati padroni dell'accomodamento possono a volontà dilatare e restringere la pupilla; lo strano è che può dilatare la pupilla anche quando legge e quindi quando non può mutarsi l'accomodamento oculare. Nello stesso tempo si hanno pure variazioni nel polso e nel respiro; così:

5 Gennaio:

Ore 18: pulsazioni 75-78 al minuto (normale); respiri 20-22;

Ore 18,5: pulsazioni 87-88; respiri 29-30 (mentre dilata la pupilla).

Si è scritto[156] il Cardiopneumogramma durante la dilatazione della pupilla (B —> C e D —> E) e nel periodo normale (A B e F) nella Tavola III: essendo la punta del cuore sotto la 5ª costola, restò poco evidente l'itto cardiaco: durante la dilatazione fa sforzi rilevanti, contrae i muscoli mimici, i respiri si fanno più profondi e numerosi, la curva del respiro copre completamente quella dell'itto cardiaco, già poco chiara; — nella 2ª volta — D —> E — dilatando di nuovo la pupilla, profonde espirazioni ed inspirazioni seguite da brevi fenomeni di Cheine-Stokes, però senza le pause; la respirazione si fa tremula, frequente, irregolare, per leggiere scosse cloniche dei muscoli toracici: il polso irregolare, accelerato.

Egli non dilata dunque la pupilla senza sforzo; ed infatti, anche a sua detta, qualunque movimento degli occhi gli riesce doppiamente faticoso durante la dilatazione delle pupille: nè può provocarla nei giorni in cui è molto esaurito.

Ora viene spontanea una domanda: "Perchè si può produrre in lui un fenomeno che si osserva così raramente negli altri?".

Ed anzitutto il dilatarsi della pupilla in questo caso è veramente un fenomeno volontario? — Mi pare che l'azione volitiva sia abbastanza ben dimostrata dal Cardiopneumogramma, che mostra a chiare note l'enorme sforzo da lui compiuto, fino ad alterargli il respiro, rendendolo irregolare, dispnoico, quasi apnoico; ad accelerare i battiti cardiaci e ad esaurirlo. Avvalora inoltre il nostro modo di vedere il fatto che egli può dapprincipio riprodurre il fenomeno varie volte e poi, stancato, non lo può più. Inoltre, egli può aumentare la pressione a volontà (vedi sopra); fatto quest'ultimo che si può spiegare certamente con l'influenza corticale sui centri bulbari vasomotori (Luciani).

Se invece volessimo far l'ipotesi — col mio carissimo Grandis — di un fenomeno epilettoide accompagnato (come succede non di rado) da dilatazione pupillare, non potremmo capire com'egli possa riprodurre il movimento pupillare varie volte di seguito, conservandone sempre una perfetta coscienza, memoria e padronanza.

Ma ammesso che si tratti di un fenomeno dipendente dalla volontà, come ciò si può spiegare?

I movimenti iridei, che dànno la dilatazione ed il restringimento della pupilla, avvengono per due meccanismi diversi: 1º diversa replezione e costrizione dei vasi sanguigni che abbondantemente irrorano l'iride; 2º per azione delle sue fibre muscolari.

Consideriamo separatamente i due fatti.

I vasi dell'iride formano una grande ed una piccola circonferenza, e tra le due decorrono i vasi raggiati. Se questi ultimi per una ragione qualsiasi si contraggono fortemente e si svuotano di sangue, diminuiscono non solamente il loro diametro, ma anche la loro lunghezza. Siccome l'iride è fissamente aderente alla sua periferia, il raccorciamento fa sentire il suo effetto solamente sul margine libero dell'iride, il quale viene attratto alla periferia, dando luogo a dilatazione della pupilla. Se la contrazione dei vasi è abbastanza energica, ne segue che la contrazione delle fibre muscolari (sfintere) diviene impotente ad esplicare la loro funzione, e la pupilla permane dilatata (esperienze di Mosso).

Vedemmo che durante la dilatazione egli impallidisce assai: se uno svuotamento sanguigno per contrazione dei vasi avviene pure nei vasi raggiati, si avrà certamente una dilatazione pupillare.

Si tratterebbe, dunque, di un fenomeno vasomotorio in lui fino ad un certo punto volontario; e ciò non deve parer strano, osservandosi anche in altri. Così si sa di artisti (Duse) che arrossiscono ed impallidiscono a volontà; il che si spiega con l'ammettere centri vaso-costrittori (oltre il principale bulbare), sia nel midollo spinale, sia — quel che più ci interessa — nel cervello (Luciani, Danilewski, Richet, Franck).

Anche nella contrazione di fibre muscolari speciali dell'iride si può avere un'interpretazione della dilatazione. Oltre il muscolo sfintere sotto la dipendenza del terzo paio, anatomici e fisiologi distintissimi (Kolliker, Retzius, Iwanoff, Luscka, Merchel, Gabrielisdes, ecc.) ammettono un muscolo dilatatore (muscolo di Henle) sotto la dipendenza del simpatico. Ora non si potrebbero fino ad un certo punto paragonare i movimenti dell'iride con quelli del cuore? Da una parte un nervo craniano (3º paio nel primo caso e 10º nel secondo) che ha una data azione, dall'altra il simpatico che agisce in senso opposto: in tutti e due i casi muscoli che non obbediscono alla volontà; ebbene, non sono rari i casi in letteratura di individui capaci di accelerare i battiti cardiaci e variare la pressione. Il prof. Tarchanoff[157] di St-Petersburg descrive appunto uno di questi casi, ed i fratelli Weber potevano a volontà arrestare i movimenti del cuore; fenomeni ora spiegati dal rapporto dimostrato tra i due centri bulbari cardiaci (diastolico e sistolico) con centri cerebrali corticali e subcorticali (Luciani).

Ora non si potrebbe trattare nel nostro caso di una identica azione volontaria su muscoli involontari?

Queste sono, secondo me, le due ipotesi più semplici e più verisimili; ma, trattandosi di un epilettico ereditario che, per quanto sommamente geniale, è pure atavico, mi pare che non sarebbe fuor di posto anche l'ipotesi della possibile presenza di un muscolo dilatatore a fibre striate e quindi volontario, come accade negli uccelli rapaci, tanto più sapendosi delle numerose anomalìe anatomiche e biologiche, ricordanti animali anche lontanissimi (ipertermia continuata, allotrofagia, tendenza all'abbaiamento, miagolamento), che si rinvengono negli epilettici[158]; e nel nostro caso abbiamo anche acuità visiva, abnorme, evidentemente atavica. Che ciò avvenga in un genio, non è strano, perchè il genio si fonde con l'epilessia, e poi son noti appunto in genî i casi di tali moti volontari anomali (E. e F. Weber potevano arrestare i movimenti del cuore, Fontana si provocava a volontà la contrazione dell'iride)[159]. E a questo proposito Ribot, facendo notare che la distinzione fisiologica di muscoli involontari e volontari non è assoluta, ha l'audacia di concludere che il movimento involontario si fa volontario quando, in seguito a prove numerose e riescite, si lega ad uno stato di coscienza e sotto il suo comando[160].

5. Assenza lacunare in Adelaide Ristori. — Leggesi in una specie di autobiografia della Ristori[161] questo passo:;

"M'incarnavo così vivamente nel personaggio — narra — da me rappresentato, che persino la mia salute ne era scossa. Una sera in cui recitavo Adriana Lecouvreur mi accadde che per la grande tensione dei nervi e della mente durante quell'ultimo atto di passione e di delirio, poichè venne calata la tela fui assalita da una specie di attacco nervoso, e nel cervello provai tale sconvolgimento, da non riacquistar piena conoscenza di me stessa se non dopo un buon quarto d'ora ( spleen ). Allora prediligevo le passeggiate nei cimiteri".

Questo passo, che accenna a una vera assenza o accesso lacunare epilettoide è una nuova prova della nevrosi epilettoide nel genio.

6. Pazzia nel poeta Ferdinando Meyer. — Anche nel poeta svizzero F. Meyer la pazzia influiva sul genio. "Dopo il suo precoce, anomalo sviluppo — scrive E. Hesz[162] —, gli sorse una psicosi d'indole melancolica, ed ambidue fecero sbocciare un genio poetico tardivo (nel 1852-53), che rifiorì col recidivare del morbo nel 1892-98".

Qui non vi son più dubbi del nesso fra i due fenomeni della psicosi nel genio.

INDICE

CAPITOLO I. — Sull'unità del genio Pag . 5

" II. — Cause note della varietà dei genî 11

" III. — Vantaggi dell'agiatezza e della miseria 17

" IV. — Vantaggi della libertà 27

" V. — Influenza della pubertà 35

" VI. — Influenza dell'amore 43

" VII. — Influenza della pubertà sulle conversioni e sulla criminalità (con una tavola) 45

" VIII. — La pubertà nei degenerati. Psicopatie sessuali 55

" IX. — Impressioni tardive 67

" X. — Ancora delle impressioni tardive ed altre cause 71

" XI. — I sogni e l'incosciente nel genio 75

" XII. — Dell'idea fissa nel genio 99

" XIII. — Classificazione delle degenerazioni ed il genio 125

" XIV. — I fenomeni contraddittori nel genio 133

" XV. — Anatomia patologica dei genî (con 3 figure ed 1 tavola) 147

" XVI. — La pazzia del genio secondo i pensatori antichi 191

" XVII. — La psicosi del genio nell'opinione dei popoli primitivi e selvaggi 213

" XVIII. — Genî creati artificialmente dai popoli primitivi 233

APPENDICI. — I. Appendice al capitolo X: Le scoperte e le sensazioni ed emozioni secondo Mach 251

II. Appendice alla pagina 111 del cap. XII: Idea fissa, epilessia ed ossessioni angosciose 255

III. Appendice al cap. XV: Nuovi casi di patologia del genio, di calcolatori, ecc. (con tre figure ed una tavola) 257

TAV. III. — CARDIOPNEUMOGRAMMA DEL DOTT. X COL CARDIOGRAFO DI MAREY.

Nº 1. Nº 2.

NB. — Al Nº 2 le lettere D e E furono incise alla rovescia; quindi dove è l'E si legga D, e viceversa.