ROMANZO
MILANO
CASA EDITRICE GALLI
DI CHIESA-OMODEI-GUINDANI

Galleria Vittorio Emanuele, 17 e 80

1897

PROPRIETÀ LETTERARIA

Milano, Tip. degli Esercenti, Via Vincenzo Monti, 31.

I.

Anche quella sera, forse per la centesima volta, la Teresa Valdengo, sola nel suo salottino verde, rilesse la lettera, vecchia di circa due mesi, della sua amica Maria di Reana.

Cara Teresa mia,

Ci scriviamo di rado, ma ci vogliamo sempre bene, non è vero! Abbiamo passato tanti anni insieme, abbiamo avuto tanti sogni e tanti pensieri comuni, che, a dispetto della lontananza e del tempo, possiamo sempre fare assegnamento l'una sull'altra. Oggi son io che faccio assegnamento su te.

Mio figlio Guido, il piccolo Guido, sai, quello che quasi ventidue anni or sono hai visto in fasce, e che molto più tardi, quando ci siamo incontrate in Toscana, hai visitato meco nell'Accademia navale di Livorno, oggi, sottotenente di vascello, sta per intraprendere un viaggio di circumnavigazione sul Cristoforo Colombo. Egli viene ora a raggiungere il suo bastimento che uscirà a giorni dall'arsenale di Venezia e partirà fra tre o quattro settimane.

Guido si presenterà a te, naturalmente, e tu stenterai a riconoscerlo, perchè il bimbo esile, perchè il ragazzo sgraziato è divenuto, non è vanteria materna, un bel giovinotto alto, agile, ben proporzionato di membra, con due occhi che splendono, e una bocca che può ridere fin che vuole, tanto ci guadagna a mostrare i suoi denti, bianchi come l'avorio.

Il male si è che, adesso, Guido ride poco. Ha troncato appena, e Dio lo sa con che sforzo e con che difficoltà, una tresca indegna di lui, ma non ha ancora cacciato interamente dalla sua memoria la triste femmina ch'era riuscita a dominargli l'anima e i sensi. Il giro del mondo, e l'ho spinto io stessa a chieder l'imbarco sul Colombo, lo guarirà senza dubbio. Però io ho sempre paura d'una ricaduta in queste settimane ch'egli passa a Venezia. Quella donna perversa è capacissima di tendergli insidie anche costì. Non è di quelle che si sposino e non credo ch'ella aspiri a tanto, nè temo che Guido si lasci indurre a uno sproposito di quella fatta; comunque sia, non sono tranquilla. Mi occorre che qualcheduno vegli sul mio figliuolo, lo assista di savi consigli, lo conforti di quella benevolenza di cui egli, grande e grosso qual'è, ha bisogno come un fanciullo. A Venezia, pare impossibile, io non ho più altri che te: parenti, amici, conoscenti, son tutti o morti, o dispersi pel mondo. Ma se pur ci fossero tutti, a nessuno ricorrerei con la fiducia con la quale ricorro alla mia cara Teresa. Non ti dico che tu potresti essere la madre di Guido; hai tre anni meno di me, e io mi son maritata così presto! Per avere oggi un pezzo di giovinetto simile avresti dovuto partorirlo a meno di sedici anni! A ogni modo, per lui tu sei un'anziana, e la tua proverbiale saggezza compensa quello che ti può mancar per l'età. La savia Teresa, si diceva quand'eravamo ragazze. E, dopo sposata, la tua riputazione di saviezza non fece che accrescersi. Ne ho sentite, anche lontana, delle storie pepate di codeste vostre signore, dame e pedine. Di te non ho mai sentito parlare che col più profondo rispetto. Donna Teresa Valdengo—esclamava sere fa il comandante Altini che ti ha conosciuta—è una delle poche su cui non si eserciti la maldicenza del caffè Florian. E sì che una vedova è esposta a tutte le tentazioni.—Soggiungeva poi, il comandante, che sei sempre bellina, che sei colta, che hai tanto spirito, e che non si capisce perchè tu non riprenda marito. C'è un conte, dicono, brava persona, ricco, che tu stimi assai e che ti vorrebbe sposare. O perchè non accetti? Che una resti vedova quando ha cinque figliuoli come me, si capisce. Ma tu, così sola, perchè non pensi, prima che sia troppo tardi, a rifarti una famiglia?… A proposito, come sta tuo zio, il console? Non abitate più nella medesima casa?

Basta, son digressioni inutili. Ti raccomando il mio tenente. È un malato di cui ti affido la cura. Egli è già preparato ai tuoi sermoni, e, d'indole espansiva com'è, non dubito che si stimerà felice d'avere in te un catechista e una confidente. Soggiungo poi in gran segretezza, e di questo non parlare a Guido se non te ne parla egli pel primo, che in famiglia s'accarezza l'idea di fargli sposare una seconda cugina, una Del Monte che adesso ha le sottane corte ma che quando Guido sarà tornato dal suo viaggio (starà assente tre anni, pur troppo) sarà ormai in età da marito. La bimba è un vero bottoncino di rosa, ha trecentomila lire di dote che non guastano, e io scommetterei che, nonostante le sottane corte, ella è già innamorata fin sopra gli occhi del mio ufficialetto.

Buondì, Teresa mia, leggi con pazienza questa lunga tiritera e scusa la seccatura che ti do.

Un tenero abbraccio

dalla tua MARIA.

PS. Pare che, il Colombo non essendo ancora in caso di uscire dall'arsenale, mio figlio ritarderà di qualche giorno la sua partenza per Venezia. Non importa; metto ugualmente questa lettera alla posta. Già confido che il ritardo sarà piccolo e che tu ti troverai in città all'arrivo del mio marinaio.

La Teresa Valdengo piegò i due foglietti vergati in una calligrafia fina e minuta e spiranti un acuto profumo di patchouli, li ricacciò entro la busta ch'ella teneva sulle ginocchia e ripose ogni cosa in un cassetto della sua scrivania. Poi, con la testa arrovesciata sulla spalliera della seggiola, con le mani conserte in grembo, s'abbandonò ai pensieri, assai più tristi che lieti, che già da quindici giorni non le lasciavano tregua. Quindici giorni! Erano passati come un lampo, e il tempo che li aveva preceduti sembrava lontano d'un secolo. La pace soave dell'anima, la tranquilla sicurezza di chi può tenere la fronte alta in mezzo a una società leggera e corrotta, il rispetto di sè, la compiacenza d'essersi meritata l'affezione nobile e pura di un uomo superiore, tutto era dileguato, tutto viveva appena nel mondo delle memorie e dei sogni. Ed ella stessa, la Teresa, viveva in una specie di dormiveglia, che lasciava sussistere in lei la coscienza del vero, pur togliendole la forza di scuotere l'inerzia della volontà. O che sarebbe di lei quando si fosse destata interamente?

Non cercava giustificarsi; sentiva bensì che uno strano concorso di circostanze aveva cospirato a' suoi danni. Il suo fido amico conte Mario Vergalli era partito per un viaggio pochi giorni prima che Guido di Reana giungesse; poche settimane prima era morto il dottor Pozzi, il vecchio medico che la conosceva da bambina e pranzava da lei un dì sì un dì no; le varie signore della società che l'ufficiale avrebbe potuto frequentare e che, così volentieri, si sarebbero incaricate di distrarlo, avevano preso il volo per la campagna; ella invece, per certi ristauri nella sua villa di Mogliano presso Treviso, era stata costretta a prolungare il suo soggiorno in città… Era sola, indifesa…

Una scampanellata la fece trasalire.—Chi sarà?—Indi ella sorrise malinconicamente della sua ingenua domanda. Chi poteva essere fuori che lui? Chi altri veniva adesso in casa sua? Troppo spesso ci veniva, senza riguardo per la gente, senza riguardo per la servitù, ed ella ogni volta era tentata di dirglielo, era tentata di accoglierlo meno bene, di riacquistare la piena padronanza di sè. Belle risoluzioni che restavano inadempiute. A che pro dargli un dispiacere? A che pro resistere… ora?

II.

Guido di Reana entrò senza nemmeno farsi annunziare. Anche questa era una cosa che le rincresceva.

—Buona sera, Teresa.

Non c'era nessuno di là?—ella disse tendendogli mollemente la mano e restando seduta.

—C'era una delle donne che m'ha aperto—rispose il sottotenente, mentre prendeva quella mano nella sua e la sollevava fino alle labbra.—Ma conosco la strada…

—Lo so… A ogni modo, quel capitar così come un fulmine…

Egli avvicinò uno sgabello e le si pose accanto umile, carezzevole.—Oh mammina, non mi far quel cipiglio.

La Teresa arrossì fino nel bianco degli occhi.—Non dir mammina. Sai bene che non voglio.

—Non vuoi… adesso.

—Appunto… Dovresti capirlo.

Nei primi giorni, quand'egli le raccontava le sue pene ch'egli credeva e ch'ella aveva credute così acerbe e profonde, Guido, commosso dall'attenzione con cui la Teresa stava a sentirlo, commosso dalle parole affettuose ond'ella s'ingegnava di consolarlo, le aveva detto:—Oh come mi fa bene la sua compagnia! Come mi par di essere vicino alla mia mamma! Lasci che la chiami mammina.

Ella, scrollando amabilmente le spalle, aveva risposto:—Che fanciullaggini!

Ma nello steso tempo gli aveva permesso di darle quel nomignolo che le pareva conciliare la simpatia ch'ella provava pel figliuolo della sua amica col rispetto ch'egli doveva portarle.

Ahimè, un giorno la mammina aveva asciugato con una lieve carezza una lacrimetta che tremolava sul ciglio del sottotenente, ed egli le aveva afferrata e coperta di baci la mano; poi tenendola forte con un braccio le aveva, con labbra avide, temerarie, sfiorato i capelli, le guancie, la bocca invano riluttante, aveva destato in lei, sorpresa, smarrita, i palpiti del cuore e le febbri del sangue, e prima ch'ella potesse risentirsi l'aveva stretta in un amplesso violento.

—Via di qua, infame… via…—ella gli aveva intimato subito dopo con voce soffocata, levandosi in piedi bianca come una morta e accennando all'uscio.

E mentr'egli confuso, vergognoso, balbettava qualche scusa e raccoglieva goffamente il berretto cadutogli per terra, ella si abbandonava sul divano nascondendo il viso tra le palme e rompendo in singhiozzi.

Allora l'ufficiale le si era precipitato ai piedi, le aveva posato la testa sulle ginocchia, e s'era messo a piangere come un fanciullo e a implorare perdono.

Ella tentennava il capo senza rispondere, ma era manifesto che il suo furore di poc'anzi era sbollito per incanto… Perdonare!… Che aveva ella da perdonare a lui, povero ragazzo, che aveva ceduto agl'impeti della sua età? A sè stessa, se fosse stato possibile, ell'avrebbe dovuto perdonare. Era lei la colpevole. Se veramente non avesse voluto? Se avesse serbato fin da principio un altro contegno? Se, da sciocca, non avesse scherzato col fuoco?

Lento lento Guido alzò verso di lei i suoi belli occhi molli di lacrime, e rinfrancato alquanto le dichiarò con accento appassionato il suo amore. Tanto, tanto l'amava. Dal primo momento che l'aveva vista l'aveva amata. Sua madre gliel'aveva descritta ancor giovine e bella, ma egli non s'era mai immaginato di trovarla così bella, così giovine, così seducente. Che cosa erano al paragone tutte l'altre signore ch'egli aveva conosciute? E la sua voce? Quella voce ch'era una musica, che gli era discesa subito al cuore, che aveva fatto vibrar le corde più riposte della sua anima, che era stata per lui come la rivelazione d'un mondo sconosciuto, di una vita nuova?

La Teresa cercava di chiudergli la bocca.—No, non dica cose assurde… Dica che s'è lasciato trascinare dai sensi… Non parli d'amore… Vada via…. Amore fra lei e me? Non sa quanti anni ho?

—Non sono degno, questo è vero, non sono degno ch'ella mi ami—replicava l'ufficialetto con esaltazione crescente—ma ella non può impedirmi di amarla, non ha il diritto di mettere in dubbio il mio amore… Non so infingermi, glielo giuro… Domandi a tutti quelli che mi conoscono, domandi a mia madre.

Questo suggerimento di rivolgersi per informazioni alla mamma in un'occasione simile parve così grottesco alla Teresa che l'ombra d'un sorriso le passò sulle labbra. Egli se ne accorse.—Vedo bene che mi perdona—soggiunse, riafferrandole le mani.—Angelo, angelo, angelo!

—Basta, basta—ella riprese tentando di svincolarsi.—Si levi in piedi… E se vuole che le perdoni, vada via… e non torni più.

—Ah no… non m'infligga questa condanna—gridò il sottotenente rimanendo in ginocchio.—Qualunque altra più grave, non questa…

—Insomma, che cosa pretende?—replicò la Teresa che, suo malgrado, si sentiva sempre più debole, sempre più disposta all'indulgenza.

—Qualunque altra—ripetè di Reana senza rispondere alla interrogazione.—M'imponga di andare a casa e di tirarmi un colpo di revolver…

—Zitto! È pazzo?—interruppe spaventata la povera donna.

—Oh… lo farò… anche s'ella non me l'ordina…

—Di Reana! Che spropositi dice?

—Lo farò s'ella mi chiude la porta in faccia… s'ella non mi lascia il tempo di riabilitarmi ai suoi occhi… In fine, dopo aver toccato l'apice della felicità, che cosa ci può esser di meglio che morire?… Ma pensi, ma giudichi lei… Potrei vivere con l'idea ch'ella mi ha messo alla porta come un brutale che ha sorpreso la sua buona fede e che non aveva nemmeno la scusa di amarla?

—Via, di Reana… Gliel'ho detto che le perdono… Crederò ch'ella mi ami… È assurdo, ma lo crederò…

Deve crederlo—insistè l'ufficiale.—Amare è poco… l'adoro… Oh non tiri in ballo la sua età… La sua fede di nascita dev'essere sbagliata… Per me ella non ha neanche trent'anni… Si guardi nello specchio.

Con uno sforzo supremo la Teresa si alzò dal divano respingendo senz'asprezza il sottotenente che si decise ad alzarsi egli pure.—Non voglio sentir più queste bestialità—ella disse.—Vada!…

—Per prepararmi a tornare, o per tirarmi un colpo di revolver?

—Ma zitto, disgraziato!—intimò la Valdengo dando col piede un piccolo colpo sul pavimento.—Non pensa alla sua mamma?

Indi con un'intonazione mesta e grave ella soggiunse:—Torni pure domani… La persuaderò che ha torto ad amarmi.

La fisionomia di Guido di Reana s'illuminò come per un'irradiazione interiore.—Angelo! Angelo!… Sarò io invece che persuaderò lei.

Ella portò il dito alle labbra nell'atto di chi invoca silenzio, e avvicinatasi alla parete premè il bottone del campanello elettrico.

Il sottotenente s'inchinò ed uscì.

La Teresa Valdengo stette un momento immobile in mezzo al salotto domandando a sè stessa se aveva sognato. Macchinalmente ella s'affacciò allo specchio, e stentò a riconoscere la donna di cui ella vedeva l'immagine dinanzi a sè. Era pallida, scomposta; mostrava, checchè sostenesse Guido di Reana, i suoi trentott'anni. Come mai egli, che ne aveva ventidue, come mai aveva potuto innamorarsi di lei?

III.

—Dunque mammina no?—ripetè Guido.

Ed ella, alla sua volta, in tono secco, reciso:—Ho detto di no.

Le pareva, e non a torto, che quel titolo desse un'apparenza incestuosa alla loro relazione.

—E allora diremo: Perchè il mio tesoro mi fa il viso duro?

Ella gli passò una mano nei capelli e sorrise.—È una tua fantasia.

—Mi ami sempre?

Spesso egli le faceva questa domanda, ed ella gli rispondeva di sì. Che cosa poteva rispondergli? Che altra scusa aveva se non quella di amarlo? Ma di tratto in tratto l'assaliva il dubbio che non fosse vero, ch'ella non avesse nemmeno questa scusa, l'unica buona.

Oggi ella rispose sospirando:—Pur troppo.

—Perchè pur troppo? Perchè?

—Perchè faccio male, e nel male non si dovrebbe perseverare.

—A me tu hai fatto tanto bene!—egli esclamò, scoccandole un bacio.—Sanguinavo ancora dai morsi di un demone, e adesso son portato sulle ali di un angelo.

A lei spiacevano queste frasi ch'egli pronunciava con enfasi melodrammatica. Si strinse nelle spalle e susurrò:—Che angelo!—Indi soggiunse:—T'ho fatto del bene?… Non come voleva tua madre, a ogni modo… S'ella sapesse!…

—Ti benedirebbe, mia madre.

Ella non replicò. Fors'era vero. Le madri considerano le cose sotto un punto di vista speciale. La Teresa Valdengo aveva fatto dimenticare a Guido di Reana la femmina indegna che lo aveva tenuto prima nelle sue reti; la Teresa gli aveva dato momenti dolcissimi, non gli smungeva la borsa, non gli chiedeva di sposarla, non pretendeva nulla; perchè la madre di Guido non l'avrebbe benedetta? Sì, nel suo inconscio egoismo l'ufficiale aveva côlto nel segno. A lui ella aveva fatto del bene. Che importava a Guido ch'ell'avesse rovinata la propria esistenza? A lui ella aveva fatto del bene. Non era abbastanza?

—A che pensi?—egli disse, vedendola taciturna, concentrata, chiusa in sè stessa.

Ella tentennò la testa.—A niente.

Guido tentò una carezza più ardita.

Ella si ritrasse.—No, no.

Le accadeva talvolta di aver come un risveglio degli antichi pudori; quasi l'illusione che non fosse vero ch'ell'avesse ceduto, ch'ella dovesse ceder di nuovo. Sulle prime, Guido, sconcertato, confuso dall'inattesa ripulsa, non capace ancora di dominare una certa soggezione che quella donna gli ispirava anche dopo il fallo, si atteggiava a un dolore così profondo e sincero, che ella stessa, la Teresa, non tardava ad aprirgli le braccia. Ma, ormai, cresciuta la dimestichezza, sbollita alquanto la passione, di Reana non si turbava per questi vani tentativi di resistenza, e persuaso che la sua amante non lo avrebbe lasciato andar via in collera, faceva l'indifferente, discorreva del più e del meno, intercalando nel suo discorso, senza forse rendersene conto, qualche parola acre, qualche allusione sgradevole…. Oh, così giovane aveva già imparata l'arte di tormentare la persona amata!

—Domani il Colombo esce dall'arsenale—egli disse.

—Ah!—fece la Teresa.

—Verrà ad ancorarsi in bacino, dirimpetto alla Caserma del Sepolcro… Dalla tua finestra lo vedrai benissimo… un po' a sinistra.

La Valdengo abitava un quartierino sulla Riva degli Schiavoni.

—Oh, lo vedrò per poco.

—No, no, il comandante Gerletti non è ancora arrivato, e scommetterei che non si salperà di qui che alla fine del mese… Non parliamo di malinconie adesso, e cerchiamo d'impiegar bene il tempo che ci rimane.

Egli fece di nuovo un movimento per abbracciarla; ella, di nuovo, lo respinse. Stasera egli le pareva così volgare.—Santo Iddio, che non si possa chiacchierare un poco in quiete, da buoni amici?… Via, raccontami qualche cosa.

—Non ho nulla da raccontare—rispose di Reana alzandosi dispettosamente. Prese da uno scaffale un volume legato con rara eleganza, lo portò sulla tavola, e si mise a sfogliarlo. Era un de Musset in edizione di lusso, con le illustrazioni di Bida.

—Anche questo è un regalo?—egli disse.

—Già, quasi tutti quei libri son regali.

—Del tuo conte?

—Di lui e di altri.

—Ma specialmente di lui?

—Specialmente di lui. Che te ne importa?

—M'è antipatico quel Vergalli. Non te n'hai mica a male?

—Non posso impedirti che ti sia antipatico… Ma non trovo cortese il dirmelo… E poi è molto singolare che sia antipatica una persona che non si conosce.

—Lo conosco a forza d'averlo sentito nominare. A ogni modo l'antipatia è istintiva… è reciproca… Giurerei che se il conte Vergalli fosse qui non potrebbe soffrire.

—Sono ipotesi.

—Pretenderesti forse ch'egli non avrebbe avversato il nostro amore?

—Certo che mi parrebbe più strano ch'egli l'avesse approvato.

—Ma che diritto—interruppe con qualche vivacità il sottotenente—che diritto ha quel signor conte di approvare o non approvare la tua condotta?

—Caro mio—replicò la Teresa—il diritto di giudicare i propri simili se lo prendono tutti, anche quelli che non lo avrebbero… E Vergalli lo ha… Ti ripeto ch'è amico mio, il mio migliore amico.

—In tal caso, o presto o tardi il suo bravo predicozzo te lo farà.

—Dovresti essergli riconoscente di non farmelo che tardi.

—Non lo nego… Tuttavia…

—Che c'è ancora?

—Mi trovi sconveniente?

—Ti trovo… curioso fuori di luogo… Ecco…

—Se è così, taccio.

—Parla, andiamo.

—Quel Vergalli… Ma se non vuoi che continui?

—No, no, continua.

—Lo conosci da molto tempo?

Ella sorrise.—Da quindici anni… Quanti ne avevi tu allora?

Guido proseguì imperterrito:—Non è stato mai altro che un amico per te?

—Un amico carissimo. Nient'altro.

—Però ti ha fatto la corte?

—Ha provato per me un'affezione sincera e profonda, che, vivente mio marito di cui egli era intimissimo, ho piuttosto indovinata che scoperta.

—E quando tuo marito morì?

—Mi offerse la sua mano e il suo nome.

—Che non hai accettato.

—No… Avevo già trentacinqu'anni; egli ne aveva più di cinquanta. Siamo vecchi tutti e due, gli dissi. Restiamo due buoni camerati.

—Egli consentì?

—A malincuore, ma consentì.

—Spererà sempre.

—Non credo.

—E quando è assente ti scrive? Anche adesso ti scrive?

—Sì.

—Sospetta il nostro legame? Cerca distaccarti da me?

La Teresa alzò verso l'ufficiale i suoi occhi limpidi atteggiati a un'espressione di mite rimprovero.—Oh Guido! Tu mi dai un giorno della tua vita, un giorno che non può aver domani, e da me vorresti tutto, il presente, il passato e l'avvenire! Vorresti ch'io ti sacrificassi le mie memorie, le mie amicizie… Non ti basta quello che hai avuto?

Guido si portò le mani alle tempie.—Hai ragione, Teresa… Sono un pazzo, sono un perverso. Dovrei ringraziarti in ginocchio, e invece ti tormento.

—Forse ho avuto torto io—ella riprese—di respingere l'offerta di Vergalli. Diventando sua moglie avrei avuto una difesa.

—Se ci fossimo incontrati non mi avresti amato?

—Ah, no—ella rispose fieramente. Ma, pensando forse che l'orgoglio era in lei fuori di posto, soggiunse a voce più bassa:—Spero.

—Cattiva! Avresti amato lui… nonostante la sua età?

—Tu dimentichi la mia… In ogni caso confido che un alto senso del dovere mi avrebbe protetta, come mi protesse in gioventù.

—Così bella, così seducente, non hai avuto amanti?

—Inquisitore! Sono stata anch'io corteggiata, insidiata come le altre; ma più fortunata delle altre, o più fredda, ho resistito.

Dopo una breve pausa susurrò con un amaro sorriso:—Ne valeva proprio la pena!

—Per me, per me sei discesa dal tuo piedestallo di santa?—proruppe di Reana cedendo nuovamente all'impeto della passione.—E dover partire! Dover lasciarti!… Vuoi, Teresa, ch'io non parta? Ch'io trovi un pretesto per rimanere accanto a te?

—Bambino!—ella disse.—Mi stimi così poco da presumere ch'io ti consiglierei una viltà, che t'incatenerei alla mia esistenza, che rovinerei la tua carriera?

—Dover lasciarti per tre anni!—ripetè di Reana seguendo il corso dei suoi pensieri—Essere in capo al mondo, e saperti qui circondata da gente che non risparmierà nessun mezzo per strapparti dal mio cuore!

Mentr'egli si sfogava in vane querele, un'infinita tristezza si dipingeva sul volto della Teresa. Ella avrebbe voluto dirgli:—O fanciullo, tu parli della nostra relazione come di cosa che possa sopravvivere a un distacco di tre anni, e un'ora forse dopo che il Colombo sarà uscito dal porto ti ricorderai appena di me, e forse tra pochi mesi, se t'accadrà di dover discorrere di quest'avventura, te ne scuserai con gli amici… Una condiscepola, quasi una coetanea di tua madre!… E intanto, disgraziato, ti crucci all'idea che alcuno prenda il tuo posto e temperi l'acerbità del mio cordoglio… S'io morissi dopo il tuo ultimo bacio, allora sì saresti contento.

Eppure, di mano in mano ch'ella faceva queste riflessioni acerbe, la Teresa sentiva rammollirsi il suo cuore; provava una pietà dolorosa, quasi materna, pel giovinetto che adesso certo l'amava con un trasporto sincero, che pendeva dalle sue labbra, ch'era a vicenda beato e infelice per cagion sua. Nè gli rinfacciava il suo egoismo; non era lui l'egoista; il grande egoista era l'amore. Anch'ella se ne accorgeva talvolta; anch'ella, dopo la sua caduta, era assalita di tratto in tratto dalla febbre dell'annichilimento, della distruzione. V'erano momenti in cui ella capiva le regine, le imperatrici che avevano ucciso i loro amanti, perchè le labbra che le avevano baciate non si posassero su altre labbra, perchè i cuori ch'esse avevano sentito battere sul loro petto non si posassero sopra altri cuori.

Lento lento egli le si avvicinò per di dietro, e chinandosi sopra di lei le sfiorò i capelli.

Con un fremito ella arrovesciò la testa: negli occhi dolci e bellissimi egli lesse il perdono e si chinò ancora di più… Le loro labbra si unirono.

IV.

La Teresa Valdengo non vedeva, si può dire, quasi nessuno; un po' perchè la sua intimità con di Reana contribuiva a isolarla, un po' perchè in quella stagione i suoi conoscenti, maschi e femmine, erano per la maggior parte fuori di città. Invece non passava giorno che la posta non le recasse tre o quattro lettere. Già la sua corrispondenza era stata sempre attiva. Si manteneva in rapporti epistolari con antiche compagne d'infanzia, maritate qua e là, con una vecchia zia che abitava a Torino, con una signora inglese che veniva di quando in quando a Venezia e che aveva preso a volerle bene; in fine, con vari amici che un tempo frequentavano la sua casa e che le circostanze avevano sbalestrati pel mondo.

Quell'autunno poi pareva che gli assenti si fossero messi d'accordo per iscriverle più del solito.

Intanto la Maria di Reana, la quale non usava dar segni di vita che a intervalli lunghissimi, spesso la tempestava delle sue epistole. Ai primi ringraziamenti per aver cortesemente accolto il figliuolo erano successe effusioni maggiori. Non sapeva più in qual modo esprimerle la sua gratitudine dell'aver preso così a cuore le sue raccomandazioni; dell'aver sacrificato una parte della sua villeggiatura per occuparsi di quel bambinone di Guido; dell'esser riuscita così bene a distrarlo e a confortarlo. Se avesse visto ciò che Guido scriveva di lei; come ne esaltava la bontà, lo spirito, l'ingegno! Ella lo aveva proprio affascinato, incantatrice!

E la Maria, tra il serio e il faceto, chiedeva l'ultimissima fotografia dell'amica. Ne aveva una di due anni addietro, e a suo tempo ne aveva mandato alla Teresa le più sincere congratulazioni. Si conservava benissimo. Ma certo in questi due anni, doveva essere ancora abbellita e ringiovanita! Meno male ch'ella era savia, d'una proverbiale saviezza, e che Guido stava per imbarcarsi… Se no, chi sa quel che sarebbe accaduto?

Questi scherzi, queste allusioni mettevano la Teresa di cattivo umore.

Ella supplicava Guido di nominarla meno che fosse possibile nelle sue lettere alla famiglia, di moderare il suo entusiasmo, di non provocare da sua madre quelle manifestazioni eccessive che la facevano arrossir di vergogna. Dal canto suo, nel rispondere alla di Reana, ella gettava acqua sul fuoco. Non badasse a quell'esagerato di Guido; ella non aveva fatto nulla di straordinario per lui; non era neanche vero che gli avesse sacrificato una parte della sua villeggiatura; la sua villa di Mogliano era in fabbrica ed ella non sarebbe potuta andarvi sino alla fine di ottobre. E non credesse poi che ci fosse voluto tanto a sradicar dalla memoria del giovinotto la mala femmina di cui i di Reana avevano un così grande sgomento; la ferita era bell'e rimarginata fin dall'arrivo di Guido a Venezia e bisognava pur riconoscere che la sirena non aveva tentato nulla per accalappiar nuovamente il suo merlo. In quanto alla fotografia ultimissima che le si domandava, la Teresa prometteva di spedirla quando se la fosse fatta fare; l'ultima era sempre quella di due anni addietro, e a lei non pareva punto di essere abbellita e ringiovanita in questi due anni.

«Troppa modestia», replicava la di Reana insistendo nel dare all'amica tutto il merito della guarigione di Guido e ripetendo le espressioni ammirative. E poichè la Teresa non diceva ancora di essersi rifatta la fotografia, le si domandava addirittura l'originale. Vincesse la sua pigrizia, e, se non la spaventava una casa con quattro figliuoli tra maschi e femmine, andasse a passare il novembre colla sua vecchia amica a Posilipo presso Napoli. Fosse colpa dei restauri o della visita di Guido, era positivo che quell'anno ell'aveva sacrificata la sua villeggiatura, e che ormai non avrebbe potuto goderne che nella stagione meno propizia. Invece nel Mezzogiorno anche il novembre era delizioso. Che impegni aveva ella a Venezia? Che difficoltà a fare una corsa a Napoli? Forse le sarebbe stato agevole il trovar compagnia; ma se pur non ne trovava, o che le signore non viaggiano anche sole? Non hanno dei vagoni apposta per loro? La sua venuta sarebbe stata una provvidenza per tutti quanti, per lei specialmente che, sebbene facesse la donna forte, non poteva non esser di cattivo umore all'idea di non dover rivedere il suo primogenito per tre anni.

Il curioso si è che, quasi contemporaneamente, la Teresa riceveva altri due inviti; l'uno dalla zia di Torino, l'altro dall'amica inglese che quell'anno non poteva venire in Italia e la sollecitava a traversar la Manica.

Ella rispose a tutti ringraziando, senz'accettare nè rifiutare, deliberata però a non andare in nessun luogo, e meno che mai dai Reana, ove le accoglienze entusiastiche che le si preparavano le sarebbero parse un'ironia o una profanazione.

Altro corrispondente della Teresa in quell'autunno era il conte Vergalli in giro per l'Europa centrale. Da Monaco, da Beyreuth, da Vienna, da Weimar, da Berlino, da Francoforte, da Dresda egli le comunicava le sue impressioni, le discorreva delle gallerie viste e riviste, della musica di Wagner, dei ricordi di Goethe, esprimendo il rammarico che una donna così intelligente com'ella era non subisse il fascino dei viaggi. Tuttavia egli si sarebbe preso l'impegno di farglieli amare se… Questi puntini significanti che ricomparivano di tratto in tratto tenevano luogo delle frasi più calorose ch'ella non avrebbe permesse… E molto vaghe, molto discrete erano anche le allusioni all'ufficialetto di marina del quale nei primi tempi, quando nulla di grave era successo, ella gli aveva parlato frequentemente. Egli scherzava su questa flirtation a cui non voleva attribuire nessuna importanza. Conosceva troppo la sua savia amica da aver paura ch'ella cedesse ad impeti irriflessivi. D'altra parte a lui ripugnava l'ufficio del pedagogo… In qualunque momento avesse bisogno di lui sarebbe a' suoi ordini. Non aveva che da scrivergli o da telegrafargli. Fosse anche al polo Nord, sarebbe venuto.

Queste lettere che rivelavano un'affezione così profonda e disinteressata, una sollecitudine così viva e piena di tanto riserbo, erano per la Teresa nello stesso tempo un conforto e un rimprovero. Sentiva d'avere in Vergalli un amico a tutta prova al quale nessun sacrifizio sarebbe parso troppo grave, ma sentiva pure il rimorso di non essere stata franca con quell'amico, e pensava al dolore ch'egli avrebbe provato quando gli fosse nota tutta la verità. Intanto doveva sforzarsi a scrivergli disinvolta senza schivar di nominargli di Reana (che sarebbe stata un'affettazione contraria allo scopo) ma nominandoglielo poco e soffermandosi di preferenza a discorrer di cose indifferenti: dei restauri della sua villa che procedevano in modo da lasciarle speranza di passarvi una quindicina di giorni in novembre; della stagione ch'era un incanto e che rendeva assai meno triste l'ottobre solitario di Venezia; delle notizie ch'ell'aveva di qualche conoscente comune, ecc. ecc. Mostrava poi d'interessarsi grandemente a ciò che Vergalli raccontava di sè e dei suoi viaggi, e si faceva una festa all'idea di riparlarne con lui nelle loro tranquille serate d'inverno, quando si bisticciavano spesso a proposito d'arte, di musica, di letteratura…

Ahi quante volte, mentr'ella scriveva in tal modo, quante volte era tentata di stracciare il foglio, di mutar tuono e di dire al conte Mario: «V'ingannate facendo assegnamento sulla mia saviezza. V'ingannate credendomi incapace di cedere ad impeti irriflessivi. La Teresa Valdengo che volevate per vostra moglie oggi non sarebbe più degna di portare il vostro nome, nè voi osereste più offrirglielo. Ella non ha più diritto d'aspettarsi da voi se non l'indulgenza che s'accorda ai colpevoli sventurati.»

Non lo diceva; troppo le ripugnava una confessione che avrebbe precipitato il ritorno del Vergalli, che lo avrebbe forse messo di fronte a di Reana: ma come le costava il mentire; ma che fatica era per lei il riempir quelle quattro paginette, che, durante altre assenze di Mario, ell'aveva riempite con tanta facilità! E come le si leggevano in viso le traccie della lotta combattuta con sè medesima!

—O hai ricevuto una epistola del tuo Mentore, o gli hai scritto—le diceva di Reana. E fremeva, pur non osando, dopo il rabbuffo avuto, insistere per conoscere il tenore di queste corrispondenze. Fu la Teresa stessa che un giorno, sorpresa da lui nel punto che stava per chiudere una lettera destinata al conte, la tirò fuori spontaneamente dalla busta e gliela diede fra le mani.

—Tu permetti… davvero?—chiese Guido non credendo a sè stesso.

—Sì…

Egli scorse rapidamente il foglio e parve rasserenarsi.

—Gli dai del voi?

—Non c'è nulla di singolare, con un amico di quindici anni.

—Oh, no certamente… E anch'egli ti dà del voi?

—Anch'egli… Perchè mi darebbe del lei?

—Avevo paura…

—Di che cosa?

—Che con la scusa di esser molto più anziano di te e di averti conosciuta appena maritata…

—Ebbene?

—Ti trattasse con confidenza ancora maggiore;… ti desse del tu insomma.

Ell'aperse la scrivania e ne tirò fuori a caso una lettera, porgendola a Guido che sulle prime finse di non volerla.

—Leggi—ella intimò.—Tanto fa…

Egli esitava ancora.

—Leggi—ripetè la Teresa.

—Pur che tu non mi tenga il broncio.

Ella fece un gesto d'impazienza.—Dal momento ch'io stessa ti dico di leggere…

—Allora… ubbidisco.

La Teresa chinò la testa in segno affermativo, mentre un sorriso leggermente ironico le sfiorava le labbra.

Nel restituirle il foglio, l'ufficiale fece atto di piegare il ginocchio e susurrò:—Perdono.

Ella si strinse nelle spalle. Poteva dire d'averla intesa quella parola nel poco tempo dacchè conosceva Guido di Reana; poteva dire d'averglielo accordato questo perdono! E si tornava sempre da capo!—L'amore è fatto così—era la scusa di Guido. Ella sospirava. Amare è dunque la stessa cosa che tormentare?

V.

Da più giorni il Cristoforo Colombo era ancorato nel bacino di San Marco. La Teresa sentiva gli squilli della tromba sonante la diana al mattino e la ritirata la sera, vedeva, affacciandosi alla finestra, la nave candida galleggiar sull'acqua tranquilla, vedeva issare e calar la bandiera, e i marinai, agili come scoiattoli, salir sui pennoni, e l'ufficiale di guardia, con le mani intrecciate dietro la schiena, camminar su e giù per la coperta. Col cannocchiale le sarebbe stato facile distinguer le fisonomie. Guido di Reana le aveva proposto un sistema di segnali per conversare insieme nell'ora in cui egli era a bordo; ella non volle; non volle nemmeno visitare il bastimento. Confessò che quella mole bianca le destava un terrore superstizioso, confessò che l'odiava. O forse il suo rifiuto aveva una ragione più semplice. Le ripugnava esporsi ai commenti dei compagni di Guido, che senza dubbio avevano scoperto l'intrigo galante del loro amico.

Comunque sia, era vero ch'ella odiava il Cristoforo Colombo, ma non l'odiava perchè tra poco le avrebbe portato via il suo amante. Per quanto ella tentasse giustificare ai propri occhi l'onta della sua caduta con la scusa della passione, ella non poteva sperare, non poteva nemmeno augurarsi che questo stato di cose durasse a lungo. Che Guido di Reana partisse presto, che partisse per lidi remoti era forse il meglio che potesse succedere. Ma il Colombo rappresentava per lei una di quelle fatalità della vita contro cui si ribellano gli spiriti logici, positivi, nemici dell'imprevisto. La Teresa Valdengo pensava che se quel bastimento, anzichè salpare da Venezia pel suo viaggio di circumnavigazione, fosse salpato da Genova, da Napoli, dalla Spezia, da Taranto, ella, secondo ogni probabilità, avrebbe continuato a menar la sua esistenza scolorita ma calma e serena, e sarebbe giunta rispettata e tranquilla a quel porto della vecchiaia che non teme più le burrasche. Ah per questo ella odiava il Colombo.

Intanto sui giornali si leggevano notizie contradditorie circa alla data della partenza e all'itinerario della nave. Un giorno la Gazzetta aveva un telegramma da Roma portante l'annunzio che il capitano di vascello Gerletti destinato a comandare il Cristoforo Colombo era stato ricevuto da S. E. il ministro della marina. Pare, aggiungeva il dispaccio, che il legno lascierà il porto di Venezia il 28 corrente e farà rotta per la Plata.

Ma il giorno appresso c'era una rettifica.

«Si afferma insistentemente che, in seguito alle perturbazioni politiche dell'estremo Oriente, il Cristoforo Colombo non sarà diretto più per l'Atlantico ma per i mari della China. Il comandante Gerletti è ancora alla capitale. La partenza potrebb'essere ritardata di una settimana».

Era certo però che, se non agli ultimi di ottobre, ai primissimi di novembre il Colombo avrebbe abbandonato Venezia, e la Teresa non potè indugiar più oltre a secondare un desiderio di Guido. Egli voleva ad ogni costo la sua fotografia. Quella di due anni addietro non gli bastava; voleva quella della donna che lo aveva amato e ch'era infinitamente più bella. E questa fotografia egli voleva metterla in cornice, voleva collocarla nel suo camerino in un posto d'onore, come i devoti tengono l'immagine della Madonna.

Ella tentennava la testa.—Prima che finisca il viaggio quante ce ne saranno di queste Madonne!

—Una sola! una sola!—proruppe enfaticamente l'ufficiale.

Il fotografo (al servizio delle LL. MM. il Re e la Regina e decorato con medaglia d'oro in parecchie Esposizioni) la ritrasse in due pose, e nel prometterle, poich'ella aveva fretta, di mandarle l'indomani le prove, aggiunse qualche sdolcinatura all'indirizzo della cliente che aveva onorato tante volte il suo Stabilimento e ch'era sempre uno dei soggetti che recano maggior soddisfazione all' artista. La Teresa, pur non dandone segno, fu piuttosto punta che lusingata da questi complimenti banali e non potè a meno di chiedere a sè stessa se in lei, per solito così riservata nell'aspetto e nei modi, vi fosse qualche novità da autorizzare una maggior confidenza. O forse la sua tresca era nota anche al fotografo, o forse le si leggeva in viso ch'ella era uscita dalla via retta.

Comunque sia, l'indomani sera (era di martedì) ell'ebbe le prove, riuscitissime tutt'e due, e stava esaminandole quando giunse Guido di Reana.

L'ufficiale era turbato.

—Che cos'hai?—ella gli chiese prima ch'egli aprisse la bocca.

—Giovedì mattina si parte.

Ella impallidì. Doveva esserci preparata; c'era troppo dolore nella sua voluttà perch'ella non dovesse invocarne la fine; pure all'annunzio della separazione imminente ell'ebbe una stretta al cuore.

—Giovedì!—ella ripetè con voce sorda.

—Sì, al Ministero non sanno mai quel che si vogliono—disse Guido sinceramente addolorato.—Pareva che avessero deciso di ritardare fino ai primi di novembre; invece, che è che non è, oggi piomba da Roma come un fulmine il comandante Gerletti e ci dà la bella notizia.

—E… dove andate?

—La prima tappa sarà Porto Said… Poi pel Canale, pel Mar Rosso, pel Mare Indiano, finiremo in qualche porto della China o del Giappone a marcir laggiù chi sa per quanti mesi…. Ma già tutto è lo stesso… dal momento che ti lascio… Dio, Dio, che pena!

Egli aveva le lagrime agli occhi. Toccava a lei far la parte di confortatrice.

—Era inevitabile… Almeno ti ricorderai?

—Potrei dimenticare?

Ella sapeva ch'egli avrebbe dimenticato, nondimeno finse di credere e lo ringraziò con un mesto sorriso.

—E tu, e tu mi scriverai?—egli riprese con calore.

—Ti scriverò… Dove?

—Intanto a Porto Said… Ch'io trovi una tua lettera appena arrivo… Io, di là, o da quel luogo qualunque dove si poggiasse prima, ti manderò un fascicolo.

Ella lo interrogò con lo sguardo.

—Sì… perchè a bordo io ti scriverò ogni giorno… per impostar tutto in una volta.

Una voce intima diceva alla Teresa che quegli ardori sarebbero presto sbolliti, che la loro corrispondenza sarebbe durata ben poco; pure non replicò nulla. Egli era sincero allora; perchè affliggerlo? Richiamò invece l'attenzione di lui sulle fotografie che egli non aveva ancora viste.

—Oh belle, belle!—egli esclamò ammirandole entrambe e non decidendosi a scegliere.

—Non ti pare che questa renda meglio l'espressione della mia fisonomia?—chiese la Valdengo accennando a quella che la rappresentava seduta, col gomito appoggiato a un tavolino, con una guancia appoggiata alla mano.

—Forse… Ma la tua persona svelta, flessuosa spicca meglio nell'altra.

—Ti spedirò quella che preferisci.

—Spedire?

—Sì; queste non sono che le prove.

—Che importa? Già non hai da mostrarle a nessuno… E non ne hai punto bisogno per ordinare quante copie vuoi… Le prendo tutt'e due.

—No, Guido, è inutile. Che ne faresti di tutt'e due?

—O che ti deve pesare a lasciarmele? Di qui a una settimana potrai distribuirne a dozzine…. potrai beneficarne gli amici lontani…. Adesso voglio averti io sola, anche in effigie.

Egli era esclusivo, dispotico, egoisticamente geloso degli amici lontani (l'allusione a Vergalli era chiara), ma alla Teresa non reggeva l'animo di avvelenar coi contrasti l'ultime ore ch'ella e Guido sarebbero rimasti insieme; e cedette.

L'ufficiale, dopo ch'ebbe riposta in una tasca interna del soprabito la busta con le fotografie, le cinse con un braccio la vita, le sfiorò con le labbra i capelli e le susurrò nell'orecchio un'altra promessa ch'era tempo di mantenere.

—Domani dalle dieci fino a mezzanotte son libero… Alle undici del mattino ti aspetto da me.

Ella, imporporandosi il viso, lo guardò supplichevole.—Ci tieni tanto?

La fronte di Reana s'annuvolò.—Non rammenti la parola che m'hai data?

—Sì, t'ho dato la parola di tornar da te prima che tu partissi.

—Dunque… Parto doman l'altro…

—Non è lo stesso il venir a casa mia?

—No che non è lo stesso… Già non mi permetteresti di rimaner tutta la giornata e io ti voglio per tutta la giornata… E poi… sei curiosa… Tanti casi perchè il giorno che fosti da me hai trovato quell'imbecille di marinaio!… Domani, te lo giuro, non troverai nessuno… Saremo noi due soli… ben più soli che qui, ove si sta sempre in sospetto… Perchè, in fine, credi che la tua gente di servizio non capisca nulla?

La Teresa chinò la fronte vergognosa. Ella sentiva che Guido aveva ragione, ch'era ingenuo il sopporre che la servitù non avesse scoperto i loro amori, non avesse origliato agli usci, commentato con plebea volgarità la frequenza e la lunghezza dei loro ritrovi; e cionullostante provava una ripugnanza invincibile a compiacere di Reana che avrebbe voluto farle accettare gli appuntamenti nel suo quartierino ammobigliato o in altro luogo fissato da lui… Fin che restava nella propria casa le pareva che la caduta fosse meno profonda ed ignobile… Pure, con un grande sforzo, da Guido era stata una volta e s'era lasciata strappar quella promessa di ritornarvi da cui ora tentava invano di esimersi.

—No—insisteva il sottotenente—non devi per un puntiglio guastar tutto il bene che m'hai fatto… Non devi costringermi a dubitare del tuo grande amore.

—Ma, Guido… t'ho negato nulla?—ella disse.—Ti nego nulla?

—Avrò torto, ma ne dubiterei—egli riprese.—Sono tanto triste all'idea di abbandonarti che non riesco ad intendere come tu voglia amareggiarmi di più.—E proseguì carezzevole, insinuante:—Vedi, Teresa, ho preparato tutto… Alle undici tu fai colazione con me… servita da me… giudicherai tu stessa se so servir bene, se so apparecchiar bene la tavola… Fammi quest'ultima grazia… Non aver paura, Teresa… te lo giuro che saremo soli in tutto l'appartamento… I padroni stanno di sopra… il capitano del genio che aveva una camera vicina alla mia è in licenza… Vieni, vieni.

Sebbene commossa, ella non aveva ancora risposto di sì quando suonò il campanello di strada.

Erano così avvezzi a non esser disturbati la sera che balzarono tutti e due in piedi esprimendo in forma quasi identica lo stesso pensiero.

—Chi sarà?—egli disse.—Non ricevere.

Ed ella:

—Chi può essere?… Già non ricevo.—E uscì per dar gli ordini alla cameriera.

Ma questa che aveva guardato dalla finestra le riferì ch'era suo zio il console…

A lui ella non poteva far dire che non riceveva; non poteva nemmeno far dire ch'era malata; col pretesto della parentela egli sarebbe stato capacissimo di andarle in camera da letto. E ordinò di lasciarlo passare.

Ma fin ch'egli saliva le scale ella ebbe tempo di calmar le furie di Guido.

—Bisogna rassegnarsi… Non posso licenziarlo come un estraneo… Era in campagna… Forse vorrà qualche cosa… E potrebb'esser che si spicciasse subito… Ma ho paura… Tu resta dieci minuti, un quarto d'ora, e s'egli non si decide ad andarsene, va tu…

—Per tornare?

—No, Guido…. Abbi pazienza…. non conviene.

—Proprio stasera…. la penultima sera che stiamo insieme.

—Lo so, è una disdetta… Ma chi ne ha colpa?.. Senti, sii ragionevole, non far quel muso lungo… Domani…

—Ebbene?… Domani?

—Ti do la mia parola d'onore che alle undici sarò da te.

—Ah, finalmente ti sei decisa…

—Parla piano.

—Ti sei decisa!

—Sarai contento.

—Angelo!

E saltandole addosso le diede un bacio.

—Giudizio ora!—ella intimò.

Era tempo, perchè di lì a un momento la cameriera introdusse il signor commendatore.

VI.

Il commendatore barone Amedeo Venosti Flavi, zio materno della Teresa Valdengo, console di un insignificante Staterello la cui rappresentanza senza recargli il minimo incomodo gli permetteva di avere uno stemma sulla porta di casa e d'indossare un'uniforme nelle cerimonie ufficiali, era un uomo di sessant'anni passati, alto, piuttosto corpulento, coi baffi e i capelli tinti e coi denti posticci. A malgrado di ciò, per la sua età, era un bell'uomo, e sapeva d'esser tale, e aveva ancora le sue pretese galanti. D'una vanità morbosa, pareggiata solo dalla pochezza dell'ingegno e dall'inettitudine a ogni applicazione continuata, il commendatore Venosti Flavi non era felice che quando poteva appiccicarsi ai panni di qualche pezzo grosso, di quelli che figurano negli almanacchi della nobiltà, nel Gotha sopratutto… Oh, il Gotha era il suo libro di devozione; ne comperava ogni anno un paio di copie, una delle quali teneva nel suo salotto, l'altra sul comodino accanto al suo letto, per sfogliarlo nelle ore d'insonnia. E poi, chi sa? per mezzo di quelle pagine trasudanti sangue blù si sarebbe forse operata una trasfusione benefica nelle sue vene. Giacchè, pur troppo, in quanto a lui non era mica di sangue purissimo, e c'era voluto il fine ingegno del suo intimo amico cavalier Santi, membro della Consulta araldica, grande restauratore di nobiltà avariate, per imbastirgli una baronìa facendogli aggiungere al borghesissimo cognome paterno quello della madre che nasceva d'una vecchia famiglia trentina. Comunque sia, tra pel Consolato, tra perchè parlava discretamente il tedesco, egli aveva la soddisfazione di conoscere parecchi di quegli illustri personaggi dell'almanacco, a cui, nelle loro visite a Venezia, faceva da cicerone, un po' meno bene di quello che non faccia un mediocre servitore di piazza. Spesso gli alti uffici prestati gli valevano una decorazione, ed egli ne aveva racimolate quindici che gli scintillavano sul petto nelle occasioni solenni, e gli davano l'apparenza d'un Dulcamara alla fiera.

La Teresa Valdengo e lo zio commendatore erano d'indole tanto diversa da non potervi esser mai stata fra loro intimità alcuna. Nondimeno, quando la nipote era rimasta vedova, lo zio, che era celibe, le aveva proposto di far casa comune. Una donna giovine e bella, egli le diceva, non istà sola senza dar pascolo alle chiacchiere della gente; d'altra parte a lui, uomo maturo, cominciava a pesar la vita da scapolo; o perchè dunque non provavano ad abitare insieme? Erano ricchi tutti e due; potevano intendersi facilmente rispettando la reciproca indipendenza.

La proposta era ragionevole e la Teresa consentì a tentare l'esperimento. Ma non tardò a pentirsene. Lo zio, oltre a esser noioso e pedante, era un piccolo tiranno, pieno d'esigenze e di suscettività, intollerabile con le sue fisime aristocratiche, con la sua mania del chic e del comm'il faut. E mentr'egli aveva ogni momento qualche personaggio esotico da presentare alla Teresa perchè lo invitasse a colazione o a pranzo, trovava sempre da ridire sulle relazioni maschili di lei: e che non avevano abbastanza un bel nome, e che mancavano di comm'il faut, e che mancavano di chic. Non gli andava a genio neppur Vergalli, benchè fosse un conte autentico; lo trovava tirato giù troppo alla buona, noncurante dei vantaggi della nascita, in sconveniente dimestichezza con letterati ed artisti, dimentico dei riguardi dovuti a lui, barone commendatore Amedeo Venosti Flavi.

Insomma, di lì a pochi mesi, la Teresa volle riprender la sua libertà, tanto più che il signor console un giorno, in un minuto di buon umore, le aveva sottoposto l'idea di un matrimonio fra loro due, e in seguito alla sua sdegnosa ripulsa aveva cercato meno legittime consolazioni fra le braccia della sua cameriera.

Del resto, i rapporti ufficiali fra zio e nipote non erano mai stati interrotti, ed egli veniva a desinare da lei una volta o due al mese, senza contare gl'inviti straordinari che per compiacerlo ella faceva di tratto in tratto a lui e a qualche forestiero del quale egli desiderava accaparrarsi le grazie. Egli dal canto suo le inviava cerimoniosamente un paio di regali all'anno.

Scambiati i saluti, la Teresa accennò a di Reana che s'era levato in piedi.—Non occorrono presentazioni—ella disse.—Vi siete incontrati altra volta.

I due uomini, guardandosi in cagnesco, fecero un segno affermativo col capo, e si diedero la mano di malavoglia.

—Che buon vento?—ripigliò la padrona di casa rivolgendosi allo zio.—Ti credevo in campagna.

—Son qui da ieri, ma per poco. Ho un raccomandato.

La Teresa sorrise.—Per miracolo!

—Sì, un conte dei Schaumburg Waldeck, parente dei Radzivill per parte di donna. Un carissimo giovine… Aveva una lettera anche per la contessa Marvesi.

—Non sarà a Venezia…

—C'è… E siamo stati iersera da lei… Ci ha invitati a pranzo per domani. La contessa mi ha incaricato di salutarti.

—Grazie… Com'è che ha anticipato il suo ritorno?

—Vuol festeggiar qui le sue nozze d'argento.

—Con chi?

—O Teresa, come sei maligna! La Marvesi vive in ottimo accordo con suo marito… un vero gentiluomo.

—Sta bene. Parliamo d'altro.

Ma il dialogo languiva. Era evidente che il commendatore aveva qualche cosa da dire e che gli seccava la presenza d'un terzo. Di Reana, nonostante la promessa fatta prima alla Teresa, non dava segno di volersi muovere.

—E dove hai lasciato il tuo forestiero?—chiese la Valdengo allo zio, tanto per sentire s'egli aveva un impegno che lo chiamasse presto altrove.

—L'ho lasciato in albergo—rispose pronto Venosti.—Era stanco d'aver girato tutto il giorno a vedere i nostri monumenti… Essendo libero, ha voluto consacrar la serata a mia nipote… Ti disturba il fumo?

—Lo sai che non mi disturba.

Il barone estrasse di tasca un astuccio pieno di sigarette e ne offerse una al sottotenente.

—La ringrazio—disse di Reana—ma dopo un'infiammazione di gola il medico mi proibì di fumare… e poi… vado via.

Come chi prende una risoluzione eroica, si alzò di scatto dalla seggiola, e porse la mano alla Teresa.

—Buona sera—rispose questa, ricambiando la stretta in modo da lasciargli comprendere che gli era grata del sacrificio.

Di Reana la interrogò con lo sguardo; ella fece un gesto che significava:—Siamo intesi. A domani.—Indi sonò il campanello.

L'ufficiale salutò freddamente il commendatore Venosti Flavi ed uscì.

VII.

—L'ha avuta ora questa malattia di gola, il signor di Reana?—domandò lo zio alla nipote con una punta d'ironia.

—No, perchè?

—Perchè l'ultima volta che lo vidi da te fumava.

—Sarà, non rammento… In generale non fuma.

—Poteva però trovare un altro pretesto per non accettar la mia sigaretta.—Venostì si strinse nelle spalle e soggiunse:—Già non me ne importa affatto… Ed ora che siamo soli ti prego d'un piacere.

—Se posso… Scusa, prendi un tè o un marsala?

—Piuttosto un marsala.

Ella gli versò un bicchierino, gli offerse dei biscotti e gli si piantò dinanzi chiedendogli:—Dimmi ora quel che desideri.

—Mi permetti di presentarti domani il conte di Schaumburg?

Ella non lo lasciò finire.—Domani? non ci sono.

—Come?

—Ti ripeto che non ci sono. Ho tutta la mia giornata presa.

—Anche la sera?

—Anche.

—Per domani non ti domandavo che un quarto d'ora… Se poi usavi al mio raccomandato la cortesia d'invitarlo a desinare per doman l'altro, te ne sarei stato riconoscentissimo.

—Mi dispiace, ma per tutta questa settimana è impossibile… Se quel signore si trattiene qui un pezzo…

—Non si trattiene, non si trattiene… E io che gli avevo tanto parlato di te, della tua coltura, del tuo spirito!.. Egli va pazzo per le signore côlte… ha la passione della musica… legge moltissimo… M'ero mezzo impegnato di condurlo qui.

—Prima di consultarmi?… Hai fatto male… A ogni modo, gli puoi dire che sono ammalata…

—Capirà ch'è una scusa.

—Forse; ma s'è un uomo educato, fingerà di credere.

Il barone commendatore si grattava la nuca.—Santo Iddio!… Se fosse un qualunque non ci baderei. Ma un parente dei Radzivill, una famiglia principesca che è nell'almanacco di Gotha

—Questa è un qualità, caro zio, che non mi fa nè caldo nè freddo.

—Già, tu ti atteggi a democratica, a giacobina… Fai buon mercato perfino della nobiltà di tuo marito… non ti fai neppur chiamare contessa.

—Se non sono contessa!

—O credi che sian tali la metà di quelle a cui si dà il titolo?

—Ognuno si regola a modo suo… Lasciamo stare questo discorso.

—Sì, son digressioni inutili… Torniamo al mio forestiero… Via Teresa, non puoi scioglierti da' tuoi impegni… per riguardo mio?… È il tuo parente più stretto che te ne prega; è tuo zio che, mi pare, ha sempre mostrato di volerti bene…

Annoiata di questa insistenza, la Valdengo ripigliò in tuono fermo:—Perdonami, zio, dal momento che ti ho detto: non posso.

—Non posso!… Non posso!… Si può sempre quando si vuole sul serio… E se almeno si sapessero le ragioni per le quali non puoi?…

—Tu dimentichi che sono fuori di minorità.

—Pur troppo… Se non fosse così, t'avrei probabilmente impedito di commettere degli spropositi.

—Tu?—esclamò la Teresa, con accento di sincera meraviglia. Non era quello il pulpito da cui ell'era disposta di sentir la predica.

—Io, sì… So il viver del mondo, io… e so quanto facilmente una donna sola possa compromettere la sua riputazione.

La Teresa cercò d'interromperlo, ma egli voleva andar sino alla fine.

—Ed è proprio una gran pena per me che il nome di mia nipote corra sulle bocche della gente… Anche iersera dalla Marvesi…

—Di nuovo la Marvesi… la casta Penelope…

—Quella è una dama che non si è mai sbilanciata oltre un certo segno.

—Se le si sono attribuiti persine tre amanti in una volta!

—Cattiverie!… In ogni modo, una donna che ha il marito vivo…

La Teresa battè ironicamente le mani.—Bravo!… E quella dama mi fa l'onore di occuparsi di me… Si può saper quel che diceva?

—Niente di positivo… È troppo ben educata… Ma faceva qualche allusione alla tua intimità con di Reana.

—Ah!…

—E si mostrava dolente che tu dessi appiglio a supposizioni le quali, trattandosi d'una signora rispettabile come tu sei, non potevano essere che menzogne… Non avresti avuto una condotta austera, irreprensibile fino adesso per cedere poi a un ragazzo… In complesso ti difendeva.

—Amabilissima… E da chi mi difendeva?

—Mah!… Da nessuno e da tutti… In quel momento parlava con me…

—Tu già hai preso le mie parti.

—S'intende… Ma qui a quattr'occhi devo confessarti che le apparenze ti condannano… Diamine! Hai quel sottotenentino di vascello sempre fra i piedi… e le apparenze, cara mia, sono il più… Quello che non si vede è come se non esistesse.

—La conosco la tua bella massima!—replicò in tuono sarcastico la Teresa. Poscia, ergendo il capo con alterezza, soggiunse:—Senti, zio, quando ci ritorni dalla tua contessa Marvesi, dille pure che di ciò ch'ella e le sue pari pensano di me non m'importa affatto, che se alla mia età, dopo trentott'anni di condotta irreprensibile, ho ceduto a un ragazzo, il danno e la vergogna son miei, e il mio giudice più severo è la mia coscienza… Chi ha una coscienza non ha tempo di sentire le voci del mondo. E dille anche, alla tua contessa, che le sventure e gli errori possono servire a qualche cosa; e a me serviranno a gettar per sempre lontano da me quella palla di piombo delle convenienze sociali che mi trascinavo al piede mio malgrado…

—Ts… ts… ts…—faceva il commendatore spaventato da questa filippica della nipote.

Ma ella tirava via senza badargli.—Auff! Che liberazione!… Non profanerò con la mia presenza, io donnicciuola colpevole, i loro santuari immacolati, non invocherò il perdono di quelle mogli fedeli, di quelle vedove inconsolabili…

—Ecco le solite esagerazioni, la solita enfasi—esclamò lo zio nella sua qualità di uomo savio e posato.—Chi ti respinge? Chi ti esclude dalla società?… Il mondo è molto migliore di quello che tu supponi… Ci saranno dei maligni a cui non parrà vero di affibbiarti un amante, ma scommetto che i più non credono che a innocenti galanterie, e non crederebbero ad altro nemmeno se tu tenessi davanti a loro il discorso imprudente che hai tenuto a me… E poi, grazie al cielo, il tuo bellimbusto s'imbarca posdomani, e allora, checchè sia accaduto, chi se ne ricorda?… Spero bene che non farai nascere un pettegolezzo con la Marvesi per quelle parole che ti ho riferite e ch'erano dettate da una sincera benevolenza…

—Oh, non aver paura!—disse la nipote.

—Benedetto cervellino che sei!—seguitò paternamente il barone.—T'accendi come un fiammifero… E sì che tutti ti vogliono bene, tutti ti accolgono a braccia aperte… Anch'io, mi pare, t'ho sempre dimostrato la massima deferenza, e se di tratto in tratto ti disturbo per qualche presentazione, questa è la miglior prova che ti reputo una dama di garbo che qualunque alto personaggio può desiderar di conoscere.

—Troppo onore—biascicò la Teresa facendo un inchino.

Senza rilevar la canzonatura, il barone arrivò per un'altra strada al punto che gli stava più a cuore.

—E forse—egli osservò con l'aria d'un uomo che esamina la questione dal lato obbiettivo—forse, in questo momento, con le chiacchiere che vi sono in giro, il fatto ch'io conducessi da te il conte di Schaumburg gioverebbe…

—A che cosa?—interruppe fieramente la Valdengo.—Alla mia riputazione?… Ma, a quella, presso la Marvesi e le sue amiche, gioverebbe anche di più ch'io divenissi l'amante del conte di Schaumburg… Uno ch'è nel Gotha, un parente dei Radzivill non può non innalzar sul piedistallo una donna…

—Dio, Dio, che maniera di ragionare!—grugnì Venosti levando le braccia al cielo.

—Basta, zio; se non vogliamo guastarci, tronchiamo il colloquio… Per tutta questa settimana non ho nè tempo, nè disposizione d'animo da ricever estranei. La settimana ventura, dato che il tuo conte sia ancora qui, vedremo…

—Parte, parte—gemette il commendatore.

—E allora, pazienza—concluse la Teresa. Sorse in piedi e stese la mano allo zio.

—Mi licenzi?—disse questi.

—Perdona… È tardi, e sono così stanca… Non mi sento neanche benissimo… Torno a patire delle mie insonnie e non dormo che a forza di cloralio.

Il barone Venosti Flavi si decise ad andarsene.

Sans rancune —soggiunse la nipote.

Egli tentennò la testa.—Non m'aspettavo questo rifiuto da te.—Ma per mostrarle che sebbene in collera non cessava d'essere uno zio amoroso e sollecito, ripetè a guisa d'ammonizione suprema:—Le apparenze, Teresa mia… ti raccomando di salvare le apparenze.

VIII.

Nella camera quasi buia, ritta davanti allo specchio, la Teresa Valdengo finiva di ravviarsi i capelli.

Due volte Guido le aveva offerto di alzare un po' la tendina: ella aveva sempre risposto di no.

—Come puoi vederci?

—Ci vedo, ci vedo…

E a lui che le ronzava attorno non sazio ancora di carezze, non atto a persuadersi che potesse mai venire il momento dell'ultimo bacio, diceva supplichevole:—Sta tranquillo, te ne prego… Mettiti a sedere.

Egli si lamentava.—Dio mio!… Sembri già un'altra donna… Sei pentita?

Ella voltò lentamente il capo.—Tardi sarebbe.

—E allora!

—Allora che cosa, tormentatore?

—Perchè sei così fredda?… Perchè mi tieni lontano? Ci sarò lontano, domani, a quest'ora…

Nonostante il divieto, le si riavvicinò pian pianino e le susurrò nell'orecchio:

—Col corpo, non con lo spirito… Nell'ampio mare non vedrò che la tua immagine, non sentirò che la tua voce, non ricorderò che questi giorni di paradiso… Penserai a me?

Le labbra di lei si aprirono faticosamente per lasciar cadere un monosillabo:—Sì.

Nel modo in cui quel era pronunziato c'era come l'affermazione d'una cosa inesorabile e triste. Sì, penserò a te, ma quanto pagherei a poter non pensarci, a poter cancellare dalla memoria questo episodio doloroso della mia vita!

Parve ch'egli le leggesse nell'anima.—In che maniera lo dici!… Ecco, io lo capisco, io lo sento, tu non mi perdoni… tu mi detesti.

La Teresa trasalì. Aveva anch'egli i suoi istanti di chiaroveggenza, anch'egli intuiva la contraddizione fatale che c'è nell'amore, onde sembra ch'esso lasci dietro di sè un lievito d'odio?

Ma la gentilezza della sua natura equilibrata riprese tosto il disopra, e la vinse di nuovo un senso di compassione, di tenerezza per quel fanciullo a cui la voluttà si mutava in pianto e ch'era sincero oggi nel suo dolore come sarebbe stato sincero domani nel facile oblío.

—Scegli male il momento per dire ch'io ti detesto—ella notò con dolcezza, abbandonandogli la mano ch'egli afferrò e coperse di baci.

—Hai ragione, sempre ragione—egli singhiozzava.—Così sciocco devi trovarmi… così inferiore a te…

—Zitto, Guido, sii buono—ella riprese con quel tuono materno che inconsciamente adottava talvolta parlandogli—aiutami piuttosto a veder se ho dimenticato qualche cosa… No, che fai?

—Se devo guardare, bisogna pure ch'io sollevi alquanto la tenda… Io… così… non ci vedo.

Ella che aveva già il cappellino in testa si tirò indietro vivamente.

—Ma se dirimpetto non c'è che un muro sgretolato!—disse l'ufficiale mentre perlustrava ogni angolo della stanza.

Era vero; la casa che sorgeva dall'altro lato della calle non aveva, in quella parte, nessuna finestra. Tuttavia, ora che la luce era penetrata nella camera e ne metteva in mostra il disordine rivelatore, la Teresa vi si trovava a disagio.

—Non cercar più oltre… non ci sarà più niente.

—C'è una forcina dorata—disse Guido—questa la tengo io.

—Tienla pure.

—Grazie—egli rispose, riponendo il prezioso oggetto nel portafogli.—Hai tutto?

—Tutto, fuor che l'ombrellino che dev'esser rimasto di là… Ebbene, Guido, mi apri l'uscio?

—Dove vai?

—A casa mia. Lo sai che son quasi le quattro e mezzo? Lo sai che son qui dalle undici?

—Un lampo.

—Per noi, forse; non per la giornata che volge al suo termine… Alle sette e mezzo ci rivediamo… Sei a pranzo da me.

Egli non si rassegnava a lasciarla.—Aspetta un poco… Oppure…

Congiungendo le palme in atto di suprema preghiera, Guido continuò:

—Oppure… permettimi d'accompagnarti.

—Ma no, Guido… Perchè mi chiedi questo?

—È una grazia che ti domando l'ultimo giorno che resto qui.

—Ma no, ma no…

—O senti invece—ripigliò di Reana.—Tu mi precedi di due minuti percorrendo la calle dei Fabbri, dirigendoti al Molo attraverso la Piazza… Cammini adagio… io ti raggiungo.

—Oh meno che mai!—ella rispose con piglio risoluto. I sotterfugi le ripugnavano.—Piuttosto… tanto fa… usciamo insieme.

L'ufficiale non credeva a sè stesso.

—Dici davvero?

—Sì.

Raggiante di gioia, egli la baciò sopra il velo ch'ell'aveva già calato sul viso.

—Grazie, amore.

Passarono pel salottino ove sulla tavola non ancora sparecchiata c'erano gli avanzi della loro colazione. In mezzo alla tavola, in una coppa piena d'acqua, alcune rose bellissime spargevano intorno una soave fragranza.

Guido ne porse una alla Teresa; un'altra ne prese per sè, e l'infilò nell'occhiello del soprabito. Aperse con cautela l'uscio che metteva nell'andito, cacciò la testa per lo spiraglio.

—Non c'è anima viva.

Giunta sulla soglia, la Teresa si voltò un momento indietro. Mai più ell'avrebbe riviste quelle stanze, ove, nel tramonto della sua giovinezza, ella, la donna austera ed irreprensibile, aveva immolato il suo pudore e il suo orgoglio. Domani il quartierino di Guido di Reana sarebbe occupato da ospiti nuovi. Guido stesso le aveva detto che dovevano venirvi due sottotenenti di vascello, amici suoi… E gli ospiti nuovi vi avrebbero portate le loro belle…. fioraie, sartine, cantanti d'operette… e peggio… Ma non solo dopo di lei altre femmine avrebbero in quel luogo servito al piacere di altri uomini; chi sa quante prima di lei s'erano sedute a quella tavola, s'erano abbandonate in quell'alcova?…

Di Reana, supponendo ch'ella esitasse pel timore d'incontrar gente, le ripetè:

—Non c'è nessuno.

Ella si scosse, e con passo fermo percorse l'andito, scese le scale. Svoltata la calletta deserta, si trovarono su una delle strade che da San Luca conducono in Piazza. Camminavano a fianco in silenzio; ella con un abito di lana allacciato sul davanti da bottoni di velluto cremisi, stretto alla vita da una cintura di cuoio di Russia, con un cappellino nero guarnito anch'esso di velluto del colore dei bottoni dell'abito; egli vestito in borghese con signorile semplicità. Erano due belle persone; egli alto, bruno, agile e forte; ella di statura giusta, di forme nè esuberanti nè scarse, i lucidi capelli castani raccolti dietro la nuca, la piccola testa superbamente eretta sul collo bianco e sottile.

Le strade anguste per cui essi passavano erano quasi nell'ombra, e il sole appena illuminava il sommo delle case più alte; ma quando dall'arcata delle Procuratie sboccarono in Piazza San Marco fu come se un'altra ora del giorno brillasse sul loro capo. Bench'ella avesse sempre abitato a Venezia ed egli vi fosse già da oltre un mese, s'arrestarono tutti e due maravigliati, rapiti. Il cielo aveva il color della perla, l'aria era luce e tepore. Ma la cattedrale bisantina, palpitante sotto i baci del sole, ardeva dai marmi, scintillava dalle vetrate, dai mosaici, dai bronzi, dagli ori, con le mille vibrazioni d'un corpo che vive, che sente, che ama.

Senza parlarsi, i due s'avviarono lentamente verso la Piazzetta. Seduti sui gradini d'uno degli stendardi alcuni forestieri davano da mangiare ai colombi; altri ritti davanti alla chiesa ammiravano.

Guido di Reana toccò il braccio alla Teresa, e le susurrò:

—Non è tuo zio quello, là presso il campanile?

Era lui appunto, con un giovine, certo il conte di Schaumburg.

—Desideri tornare indietro?

—No.

Ella non tentò nascondersi; anzi con una mossa altera sollevò il velo.

Il barone Venosti Flavi vide la coppia che gli passava accanto, ma finse di non conoscerla.

—Sciocco!—borbottò fra i denti la Teresa. Poi affascinata dallo spettacolo che si offriva ai suoi occhi, disse all'amante:—Non ci badare… Guarda, piuttosto, che magnificenza!

Di mano in mano che procedevano verso la Piazzetta tra il Palazzo dei Dogi e la Biblioteca Sansoviniana, la scena si svolgeva più ampia, più varia. Di fronte, di là dal bacino di San Marco, l'isola di San Giorgio sfolgoreggiava anch'essa nel sole con la sua chiesa palladiana dalla bianca facciata, con lo svelto campanile rosso, con l'antico cenobio benedettino oggi mutato in caserma. A destra la punta della Dogana e la mole imponente della salute, e il sole, sempre il sole che, sfavillante, si calava dietro la cupola eccelsa. In fondo, e visibile soltanto in parte, la lunga striscia della Giudecca, vigilata, protetta dalla chiesa del Redentore. A sinistra, come un braccio che mollemente s'incurva, tutta la Riva degli Schiavoni arcuata da sud-est a sud-ovest, e la gran macchia verde dei Giardini pubblici, e, in una lontananza più grande, il Lido. Da quel lato l'azzurro del cielo moriva in un tenue colore di viola. Ma sulla spalletta dei Giardini, sui fabbricati di Santa Elisabetta del Lido, sulle ultime case della Riva prospettanti verso occidente, il sole, ormai basso, dardeggiava i suoi raggi, mandava bagliori d'incendio. Immobili sullo specchio dell'acqua tranquilla sorgevano qua e là bastimenti a vela e piroscafi; un vapore austriaco, un vapore inglese, un yacht americano, una corvetta greca giunta in porto quella mattina. Il Colombo, nella sua tinta bianca, aveva il solito aspetto di fantasma. Guido e la Teresa ne ritorsero istintivamente lo sguardo.

Erano fermi l'uno presso all'altra, fra le due colonne di Marco e Todero, con gli occhi rivolti dalla parte della Salute. Sembravano una coppia di sposi, una delle tante coppie che vengono qui a passar la luna di miele.

Dal Molo i barcaiuoli gridavano:—Gondola, gondola?… La gondole!

IX.

—Vuoi?—disse Guido all'amica.

L'orologio della Torre suonò le cinque.

La Teresa accennò di sì col capo.—Per un'ora… Non più. Alle sei o sei e un quarto vorrei essere a casa.

—Comandano due remi?—chiese uno dei barcaiuoli, aiutandoli a montare.

L'ufficiale stava per rispondere affermativamente, ma la Teresa che, veneziana, intendeva meglio la voluttà della gondola, fu pronta a dire:—No, un remo solo.—E ordinò:—Nel canale della Giudecca.

—Brava!—esclamò Guido.—Così non vediamo il Colombo.

—E poi—ella soggiunse con un sorriso fuggevole—accompagniamo il sole.

L'accompagnarono per poco. Per poco la Teresa dovette con l'ombrellino difendersi dai raggi che venivano a batterle in viso; poi il disco luminoso si nascose dietro la linea dell'orizzonte, lasciando dietro di sè un rosso più intenso che digradava via via nel roseo, nell'arancio, nel bianco, nel verdognolo, nel violetto. L'acqua, piena di fosforescenze, beveva avidamente il gran chiarore diffuso; spinta da un braccio invisibile la gondola sembrava cullarsi in un mondo di sogni. Era uno di quei momenti in cui meglio si svela l'armonia del creato, in cui ogni luce ed ogni ombra, ogni suono ed ogni silenzio paiono cospirare ad un fine. E l'uomo sente i vincoli segreti che l'uniscono a tutte le cose, alle più umili come alle più superbe, alle inanimate come a quelle ove più visibilmente palpita e freme la vita.

Con la testa arrovesciata sulla spalliera del sedile di cuoio, con gli occhi socchiusi, la Teresa aspirava da tutti i pori la dolcezza ineffabile di quell'ora.

Guido le prese la mano.—Se si potesse addormentarsi e morire così!

Ella diede un sussulto. Mai egli non l'aveva indovinata come oggi. A questo appunto ella pensava: Se si potesse morire così!

—Tu hai l'avvenire dinanzi a te—ella disse.—Io, vedi, se potessi morire oggi…

—Cattiva!… E di me che sarebbe?

—Oh!—fec'ella. E soggiunse:—Non è lo stesso?

—Non lo dire.

E rinnovò la promessa di esserle fedele anche lontano, di esserle fedele sempre.

Ella tentennò il capo.—No, Guido… Voglio essere un soave ricordo per te, non una pesante catena.

—Ma io…

—Zitto… Non rompere l'incanto.

Quando furono davanti al Cotonificio, un vaporino che veniva da Fusina passò a breve distanza davanti a loro fischiando e sollevando un po' di maretta.

—Ecco, l'incanto è rotto—sospirò la Teresa. E girandosi con mezza la persona verso il gondoliere, disse:—Voltiamo.

—Che fretta hai?—chiese Guido.

—È tardi—ella rispose.

In fatti scendeva il crepuscolo smorzando le tinte, raddolcendo le linee. All'Oriente, rossa ancora degli ultimi riflessi del sole, appariva la luna. Per diminuir la forza della corrente contraria, il barcaiuolo piegò alquanto verso sinistra, avvicinandosi di più alle Zattere. La gondola rasentava i legni ancorati lungo la banchina, piccoli legni per la massima parte di bandiera austriaca, provenienti dalla Dalmazia e dall'Istria. Qua e là un cane, correndo lungo la coperta del bastimento e sporgendosi dalla murata, abbaiava ringhioso, qua e là s'issava sull'antenna il fanale, e il lumicino appena visibile in quell'ora dubbia tra il giorno e la sera, alzandosi in silenzio lungo il canape, dava l'idea di una di quelle fiammelle con cui l'arte ingenua del medio evo raffigurava le anime del Purgatorio.

Una foglia si staccò dalla rosa che la Teresa teneva sul petto e venne a posarsele sul dorso della mano.

—Ah!—diss'ella tirando indietro la mano con un moto istintivo.—Credevo fosse un insetto.

E soffiò via il petalo disperso.

—Anche la mia rosa si sfoglia—notò tristamente Guido.

Chinando il capo ella mormorò:—È così la vita.

Tacquero entrambi.

Di Reana ruppe primo il silenzio.—Dunque ti decidi ad andar dalla mia mamma a Napoli?

Ella fece segno di no.

—Perchè?

—Ho bisogno di quiete, amico mio. Passerò qualche giorno nella mia villa. Il giardiniere mi scrive che i lavori sono quasi terminati.

—Mi sarebbe così caro saperti ospite nostra—riprese Guido.—Ti farebbero tanta festa… non solo la mamma, che ti vuol bene da un pezzo, ma le mie sorelle, i miei fratelli che non ti conoscono…

Ecco, adesso, senza volerlo, egli feriva i suoi sentimenti più intimi. Come non capiva che, dopo quanto era avvenuto, la Teresa si sarebbe trovata a disagio nella casa di lui? Che se avesse tradito il suo segreto sarebbe stata un'impudente, se l'avesse dissimulato sarebbe stata un'ipocrita?

—Scriverò io alla tua mamma, domani o dopo domani—ella soggiunse. E mutò discorso.

La gondola era sboccata nel bacino di San Marco.

—Al Molo—ordinò la Teresa.

E discesero al Molo, dalla parte del ponte della Paglia.

Di Reana, smontato pel primo, pagò il barcaiuolo e offerse la mano alla Valdengo, che sfiorandola appena con la punta delle dita saltò a terra con una mossa svelta ed elegante.

—A fra poco—diss'ella tendendogli la destra.

Egli fece un gesto di meraviglia.—Come? Non vengo da te?

—Verrai—ella rispose—di qui a un'ora, di qui a tre quarti d'ora… Ho da dar parecchi ordini, anche pel nostro pranzo… Non vedendo capitar più la padrona chi sa la mia cuoca quel che avrà fatto?… Anche tu dovrai sbrigare qualche faccenda… Arrivederci, alle sette o sette un quarto al più tardi.

E si diresse verso il ponte della Paglia.

Evidentemente ella non voleva essere accompagnata ed egli dovette ubbidire. Del resto, la Teresa aveva ragione; anch'egli aveva qualche coserella da sbrigare. S'avviò quindi dalla parte opposta con l'idea di traversar la Piazza e salire un momento al suo alloggio. All'angolo del Palazzo ducale si pentì. Perchè la Teresa aveva voluto rimaner sola?… Con un impeto irriflessivo ritornò sui suoi passi, corse fino al ponte. Senonchè, sul punto di mettere il piede sul primo scalino, ebbe vergogna di sè… Come? Quella donna aveva immolato a lui la sua riputazione, la sua dignità, la sua pace, ed egli, egli che partiva domani, egli che l'avrebbe dimenticata (poichè adesso sentiva che l'avrebbe dimenticata), osava insozzarla de' suoi sospetti, osava spiarla?… Oh, miserabile!

Rifece in fretta il cammino, andò effettivamente a casa sua, ove Gaetano, il fido marinaio, aveva finito allora di rimettere in ordine le stanze. La roba dell'ufficiale era stata portata a bordo sin dalla mattina; le stoviglie, il cristallame, le posate che avevano servito alla colazione erano state riconsegnate alla padrona con cui di Reana aveva liquidato anticipatamente i suoi conti. Tuttavia la padrona, la signora Felicita, che abitava al secondo piano, scese col lume per prendere le chiavi e dare un altro saluto al suo inquilino.

—Buon viaggio, signor tenente… E se torna a Venezia si ricordi di questa casa…

—Grazie… Non dubiti.

Nel richiuder per l'ultima volta la porta di strada, Guido di Reana si stupì di non provar un'emozione più forte. E lungo la via che pure per l'ultima volta lo conduceva dalla Teresa Valdengo, egli non poteva a meno di chiedere a sè stesso se fosse veramente quello di poco fa. Aveva i sensi tranquilli, lo spirito calmo; non avvertiva i segni precursori di nessuna tempesta all'idea della separazione imminente. Alla Teresa pensava con benevolenza affettuosa, con gratitudine anche; ma nulla più. Non lo turbava il rimorso; perchè doveva averne? Aveva forse sedotto una fanciulla inesperta? E di fronte al dolore ch'egli recava oggi a quella donna partendo non le aveva forse dato qualche dolcezza? Non l'aveva inebbriata di voluttà? Non aveva fatto rifiorire per poco la sua gioventù?… E poi, ell'era tanta ragionevole. Non s'era mai illusa sulla durata della loro relazione, nemmeno quando s'illudeva lui… Che differenza dall' altra! L'altra era una mala femmina, non paragonabile a questa; ma che affar serio era stato per lui lo staccarsene! Quante minacce, quante preghiere, quante lacrime! È vero che poi s'era quetata…. a forza di danaro; ma Guido di Reana rammentava i gran brutti momenti passati sotto l'incubo di uno sproposito, di una disgrazia… Ed egli stesso doveva convenire che l'addio supremo gli era costato molto più di quello che non fosse per costargli l'addio di questa sera.

X.

La Teresa s'era mutata vestito. Allorchè Guido entrò nel suo salottino ella indossava un abito color avana ch'egli non le aveva ancora visto.

—Fa fresco stasera—ella disse.

—Ti pare?

—Fors'è un'impressione mia… O forse avrò preso freddo in gondola.

—Ti senti poco bene?—egli domandò con sollecitudine.

—No… Ho tirato fuori la roba più pesante, ecco tutto…. Siamo alla fine d'ottobre.

La cameriera venne ad annunziare che la minestra era scodellata.

—Andiamo—disse la Teresa. E prese il braccio del suo commensale.

Guido di Reana aveva desinato altre volte in casa Valdengo; una volta in compagnia del barone Venosti e del pittore Massimi; un'altra volta con un tenente di vascello, poi imbarcato sopra una torpediniera, e con la moglie di questi, una milanese che la Teresa aveva conosciuta ai bagni.

Tranne quella mattina a colazione, soli soletti a tavola non erano stati mai. Ora l'intimità era tolta dalla presenza della servitù, e la Teresa e Guido parlavano di cose indifferenti, dandosi del lei. Egli però, col suo appetito di ventidue anni, faceva grande onore al pranzo squisito; ella mangiava pochissimo guardando di tratto in tratto con una gravità malinconica il bello e fatale giovinetto ch'era passato come un turbine nella sua quieta esistenza… Ecco, egli era venuto e partiva; il dramma era giunto all'ultima scena. No, nemmeno potendo, ella non avrebbe voluto ritardar la catastrofe. Ch'egli partisse, ch'egli partisse! Forse, partito lui, ella avrebbe trovato la cara sua pace… Non l'amava dunque più? Poche ore addietro l'aveva tenuto fra le sue braccia, e adesso non l'amava più, e le pareva che lo avrebbe lasciato andar via senza lacrime…. Era possibile?… Con desiderio ardente, con tenerezza profonda il suo pensiero correva all'amico lontano, al vero amico suo, al conte Mario Vergalli, al quale ella avrebbe confessato il suo fallo, supplicandolo di perdonarle, di non privarla della sua stima. Ed egli le avrebbe perdonato, egli l'avrebbe compatita, avrebbe seguitato a volerle bene… ella n'era sicura; ma nello stesso tempo era sicura che s'egli l'avesse di nuovo richiesta della sua mano, ella, adesso più che mai, avrebbe risposto di no…

Passarono nel salottino verde a prendere il caffè. Appena la cameriera fu uscita riportando il vassoio, Guido di Reana s'avvicinò:—Ebbene, Teresa?

Con un sorriso triste ella ripetè a mezza voce:—Ebbene, Guido?

—Quando ci rivedremo?—egli riprese.

—Chi legge nell'avvenire?—ella disse.

Il giovine le si accostò fino a toccarla; ne' suoi occhi guizzò il lampo d'un desiderio.

Ella si alzò, rigida, e aperse la finestra.

—Perchè apri?

—È una così bella notte.

—Non dicevi prima che fa fresco?

—Non tanto… E poi son coperta… Tu a ogni modo non dovresti aver paura… Farà ben altro fresco sulla coperta dei vostri bastimenti.

Il cielo era limpidissimo, la luna brillava su San Giorgio, segnava d'una tremula striscia d'argento la superficie dell'acqua. Di fronte alla Veneta Marina si profilava con netti contorni il Colombo. La caminiera fumava. Il lume acceso da poppa aveva sembianza d'una stella bassa e solitaria.

—A che ora devi essere a bordo?

—Un po' prima di mezzanotte. Fino alle undici e mezzo c'è la lancia che aspetta nel Rio dell'Arsenale.

—Alle undici te ne andrai.

—Oh, basta alle undici e un quarto.

—No, non devi rischiare di far tardi.

Dopo aver richiuso la finestra senza però abbassar la tendina, ella tirò il discorso sui luoghi ch'egli avrebbe visitati, sulle cognizioni che avrebbe acquistate senza fatica, col veder paesi e uomini nuovi, sulla sua promozione che questo lungo viaggio avrebbe affrettata, sulla gioia che la sua mamma avrebbe avuta di lì a due anni e mezzo o tre anni ritrovandolo più forte, più bello e con un gallone di più… Povera mamma!

E continuò:—Che brava e savia donna dev'essere!… Perchè quando è rimasta vedova qualcheduno dei figliuoli era proprio bambino, non è vero?

—Eh sì—disse Guido.—La Matilde era appena svezzata, e Cecchino portava ancora le gonnelle.

—Ed ella—ripigliò la Teresa—non s'è sgomentata della responsabilità che le cascava addosso… Ha preso coraggiosamente le redini della casa, ha educato i ragazzi… Brava, brava!

Indi ella volle che l'ufficiale le parlasse dei suoi due fratelli e delle sorelle; tutti minori di lui…. Che temperamento avevano? Che inclinazioni? Gli somigliavano? I maschi erano studiosi? Che scuole frequentavano?

—Se accettavi l'invito, facevi ampia conoscenza con l'intera famiglia—osservò di Reana.

—No, no, non mi movo dal Veneto per quest'anno.

—La mamma avrebbe avuto tanto piacere di vederti…

—Anch'io di veder lei. Ma sarà per un'altra volta… E chi sa ch'ella stessa non abbia occasione di venir nell'Alta Italia.

—Ah, non è probabile… Troppi doveri la tengono laggiù… E poi è invecchiata… Mostra più della sua età.

La Teresa, sospirando, rifletteva che fors'era meglio così. Meglio la vecchiaia precoce che la gioventù prolungata oltre il tempo… Quella almeno ci difende delle tentazioni… E i figli, che àncora di salvezza!

Guardando, di là dai vetri, la luna che discendeva sull'orizzonte, la Teresa pensava che anch'ella avrebbe potuto avere un figliuolo di poco minore di Guido di Reana… avviato forse nella stessa carriera, imbarcato forse sullo stesso legno col grado di guardia marina. Ah se quel figliuolo ci fosse stato, come diversamente sarebbero andate le cose!

—Teresa!—susurrò Guido interpretando male quel turbamento dell'amica. E le sfiorò con le labbra la nuca.

Ella si ritrasse vivamente, aggrottando le ciglia. E gli additò la sedia.—Sta tranquillo, torna al tuo posto.

Guido non osò contraddirla, non osò tentar più nessuna carezza. La sentiva, benchè a due passi da lui, tanto, tanto lontana.

Alle dieci e mezzo ella gli chiese:—Desideri una tazza di tè prima di partire?

—No—egli rispose.—Abbiamo bevuto il caffè così tardi.

—Un bicchierino di marsala?

—Neppure.

—Una chartreuse allora?

—Venga la chartreuse.

Prendendo la bottiglia dal portaliquori ch'era sulla mensola, ella gli mescette un bicchierino.

—E tu?

—No… Lo sai che non amo i liquori.

—Almeno posa la bocca sul mio bicchierino.

Per compiacerlo ella accostò il bicchierino alle labbra e glielo restituì subito.

—Lo hai appena lambito—egli susurrò vuotandolo d'un tratto. E soggiunse:—Come sei fredda! Come sei indifferente!

Ella lo guardò attonita.

L'ufficiale proseguì: Mancano pochi minuti a una separazione che potrebb'essere eterna, e tu sei lì calma, composta… I tuoi occhi sono asciutti, la tua mano è sicura, la tua voce non trema… Oh, se ti pesasse di perdermi!…

—Che dovrei fare, mio Dio?—ella esclamò, punta dall'ingiustizia del rimprovero, ferita dall'egoismo che si rivelava in quest'ultima frase… Dunque egli non capiva che chi aveva sacrificato di più era lei, ch'era lei che avrebbe sofferto di più?… E pretendeva ch'ella ostentasse rumorosamente il proprio dolore, che desse questo nuovo pascolo alla sua vanità!

Tuttavia ella non manifestò alcun risentimento, e ripetè con dolcezza:—Che dovrei fare? Dovrei turbarti con lo spettacolo della mia disperazione?

Diceva così, pur sapendo che lo spettacolo della sua disperazione l'avrebbe lusingato assai più che turbato; diceva così per un bisogno irresistibile di esprimer sempre il pensiero più indulgente con la forma più mite.

E continuava:—Non è meglio lasciarci senza spasimi, come due che piegano il capo dinanzi al destino?… Addio, Guido, sii felice…

—Mi congedi… già?

Ella gli mostrò l'orologio che segnava le undici. E infatti dai campanili di San Marco, di San Zaccaria, di San Giorgio gli undici rintocchi vibravano, si rispondevano nel silenzio della sera.

—Oh Teresa mia!—proruppe Guido, vinto da un'emozione sincera. E se la strinse al petto.

La Teresa appoggiò un istante la testa sulla spalla di lui; quindi svincolandosi si passò la mano sugli occhi e mormorò con un mesto sorriso:—Vedi che i miei occhi non sono asciutti.

—E i miei?—egli disse, reprimendo un singhiozzo.

Tentò nuovamente di attirarla a sè; ella lo tenne lontano.—Addio… Ricordati…

—Sempre, sempre… Ti scriverò…

Con un movimento subitaneo ella corse al campanello e premette il bottone.

—Perchè chiami?

—Perchè ti facciano lume… A che ora parte domani il Colombo?

—Alle sei… Sarai alla finestra?

Ella sospirò:— A quoi bon?

—Io guarderò da questa parte—egli disse.

La Luisa, la cameriera, comparve sulla soglia.

Guido dovette contentarsi d'afferrare la mano della Teresa e di coprirla di baci.

—Buon viaggio!—ella balbettò.

Ritta in mezzo alla stanza, lo risalutò con un cenno, mentre egli dall'uscio si voltava ancora verso di lei. Poi si portò la destra al cuore e si lasciò cader sopra una poltrona.

XI.

Ella non dormì quella notte; giacque immobile sul suo letto, con gli occhi aperti, con le membra infrante, oppressa da un incubo penoso. Quando la luce dell'alba penetrò nella sua camera—Ecco—ella disse fra sè—è l'ora della partenza del Colombo … Forse egli guarderà verso la mia casa, forse mi cercherà alla finestra…—Pur non tentò nemmeno di alzarsi; le pareva che le sarebbe stato impossibile di far qualsiasi movimento… Nè, come usava, sonò il campanello alle otto… Venne la cameriera, alquanto più tardi, venne spontanea, in punta di piedi, a veder se la signora dormiva.

—Che ore sono?—chiese la Teresa.

—Quasi le nove.

—Oh, diamine!… Apri, apri… Lascia entrar il sole.

—Non c'è sole questa mattina.

—Non c'è sole—ripetè macchinalmente la Teresa.

—Vuole il caffè?

—No, no, lo beverò subito alzata.

E con uno sforzo si levò a sedere sul letto.

—È arrivata la posta… Desidera che le porti, le lettere e i giornali?

—Sì, e porta anche i vestiti spolverati…. Dopo mi vestirò da me.

La posta era più ricca del solito. C'erano quattro lettere, tra cui una del suo giardiniere, un'altra, col bollo dell'Aia, di Mario Vergalli. Questa la Teresa, arrossendo, la mise da parte. Un profumo acuto, particolare, le rivelò la mittente della terza lettera che le capitò fra le dita.—Che cosa può volere la Giulia Orfei?—ella pensò aprendo la busta con una stecca sottile d'avorio.

La Giulia Orfei non voleva nulla; anzi, per esser sinceri, non diceva nulla di concludente. Otto paginette d'una calligrafia lunga, fine, aristocratica, erano consacrate per metà alla stagione estiva di Aix-les-Bains, ove la Giulia aveva passato un mese, e per metà ai piccoli pettegolezzi che in quell'autunno rompevano la monotonia delle villeggiature sui colli Berici: amori, fidanzamenti, rotture, paci; il tutto raccontato con una festività priva di cattiveria, perchè la Orfei non era cattiva, e appunto per la bontà del suo animo si faceva perdonare dalla Teresa Valdengo la leggerezza della sua condotta. Ciò non toglie che quella lettera avesse il suo poscrittino con una punta di malizia. «E dei casi tuoi che mi narri? O quanto aspetti ad andar in campagna quest'anno? Dicono che hai la villa in ristauro, ma dicono anche… se tu sapessi quello che dicono gli sfaccendati!… Del resto, sei libera come l'aria e avresti un gran torto a non approfittarne…. Mandami una riga, bella misteriosa!»

Stringendosi nelle spalle, la Teresa ripose il foglietto profumato nella busta.

E prese l'epistola del suo giardiniere. Vi si parlava della casa ch'era ormai in ordine, tranne due stanze non ancora perfettamente asciutte; del giardino che, favorito dalla mitezza della stagione, era tutto in fiore. Voleva ella ch'egli le spedisse l'ultime rose, o non sarebbe venuta piuttosto a spiccarle con le sue mani? Si poteva giurare che il bel tempo sarebbe durato per tutta questa luna, fin dopo San Martino.

—Sì, andrò in campagna fino alla metà di novembre—borbottò fra sè la Teresa.—È il meglio che mi rimanga da fare.

Indi, proseguendo nello spoglio della sua corrispondenza, aperse con curiosità una lettera che veniva da Milano e di cui ella non aveva riconosciuto la calligrafia.

Era della sua sarta, madama Vollini, che due volte all'anno faceva un giro nel Veneto per raccogliere le commissioni delle sue clienti, ma che quest'autunno doveva rinunziare al suo viaggio per cagione di salute. Un parto precoce l'aveva ridotta in fin di vita, e il suo dottore, il celebre ostetrico Boni, che l'aveva salvata per miracolo, le imponeva per qualche mese ancora i maggiori riguardi. Siccome però non l'era proibito d'occuparsi del suo laboratorio, ella si raccomandava alle signore le quali l'onoravano del loro patrocinio, affinchè volessero farle avere a Milano i loro ordini ch'ell'avrebbe eseguiti con puntualità ed esattezza. Annunziava l'invio di un pacco di campioni coi prezzi ristretti, e con gli ultimi figurini di Parigi.

—Vedremo—disse la Valdengo con indifferenza.

E si decise a leggere la lettera del conte Mario. Chi sa! Forse qualche indiscrezione l'aveva raggiunto laggiù; forse egli era già informato di tutto.

No, non era così, o almeno non appariva così, benchè la lettera avesse un'intonazione più grave, più malinconica del solito. Era in Olanda adesso, il conte Mario, e prolungava di poco la sua assenza per visitare un paese che non conosceva ancora. Ma chi gli spiegava la strana contraddizione? Non aveva provato mai come questa volta il senso doloroso della nostalgia, e mai come questa volta s'era indugiato lungo il cammino. Il cuore lo richiamava indietro e una incomprensibile forza d'inerzia lo spingeva avanti. Era il presentimento che fosse quello l'ultimo viaggio di qualche importanza ch'egli avrebbe fatto? Era la sciocca, singolare pretesa di ricever dall'amica un biglietto, un dispaccio che gli dicesse:—«Affrettate il vostro ritorno. Ho bisogno di voi»?—E perchè doveva ella aver bisogno di lui, ella che sapeva così bene regolarsi da sè? A ogni modo, circa al 20 di novembre egli sarebbe stato in Italia, e l'avrebbe vista a Venezia o nella sua villa di Mogliano. Non erano ancora terminati i ristauri della villa? E il suo raccomandato non era ancora partito?… Vergalli concludeva, secondo il suo costume:—«Ricordatevi che sono sempre a vostra disposizione, sempre alla portata di un telegramma».

—Povero amico!—sospirò la Teresa ripiegando il foglio e posandolo sul comodino.

Si alzò, si vestì, si pettinò da sola. Avvicinandosi alla finestra, sollevò alquanto la tenda, e guardò nel bacino della laguna, a sinistra, dalla parte dov'era ancorato il Colombo. Un vapore mercantile inglese ne aveva preso il posto. Uno sciame di gabbiani, segno di cattivo tempo, svolazzava, stridendo, sull'acqua.

—Eran proprio l'ultime belle giornate d'autunno—pensò la Teresa. E soggiunse, pure fra sè:—Com'eran gli ultimi lampi della mia giovinezza.

Sonò pel caffè.

—Domani si va a Mogliano—ella disse.

—Anche se piove?—chiese la cameriera.

—Sì… Staremo poco… Basterà il baule piccolo… Manda tu una cartolina al giardiniere per avvisarlo, e falla impostare prima delle undici… Così la riceverà oggi stesso.

—E con che corsa partiamo?

—Con quella delle 10.15.

Ella non partiva già per un desiderio intenso che avesse di goder la campagna; nè quella era più la stagione propizia, nè le condizioni dell'animo suo erano tali da goderne; non partiva neanche con l'idea d'avere una maggiore libertà; chè anzi, in quel periodo dell'anno, coi villeggianti che c'erano tuttora, le sarebbe stato difficile esimersi dal veder qualcheduno; partiva per mutar luoghi e abitudini, per mettere un intervallo di pochi giorni fra la sua vita turbinosa delle ultime settimane e la vita quieta, onesta, raccolta ch'ella sperava ricominciare più tardi. Ora, nemmeno volendo, avrebbe potuto. La sua disgraziata intimità con Guido di Reana, pur non togliendole mai la netta visione dell'abisso in cui ella precipitava, l'aveva assorbita tutta quanta, e il suo tempo era stato diviso fra il desiderare o temere il suo amante, il maledire al destino che lo aveva posto sulla sua via, e il meravigliarsi dolorosamente della propria debolezza. E adesso, prima ancora di provarvisi, ella sentiva che avrebbe fatto opera vana a tentar di riprender le sue letture, la sua musica, i suoi ricami al punto in cui li aveva interrotti. Meglio occuparsi de' suoi fiori, delle sue galline, de' pesci d'oro che guizzavano nel laghetto della sua villa… Sì, sì, meglio recarsi a Mogliano, anche a costo di dover ricevere e ricambiare una mezza dozzina di visite uggiose.

Di questa sua tarda andata in campagna, la Teresa avvisò il giorno stesso Vergalli, senza però dirgliene le ragioni intime. Avrebbe passato alla villa un paio di settimane al massimo; sarebbe arrivata in città probabilmente prima di lui. E si faceva una festa all'idea di rivederlo e di sentirsi raccontare il suo viaggio. Dell'intonazione malinconica che c'era nella lettera dell'amico ella finse di non accorgersi; circa a di Reana, dopo aver molto studiato la frase, si limitò a dire ch'era partito. Risoluta ad un'ampia confessione quando Vergalli fosse a Venezia, aveva una ripugnanza invincibile a fermarsi per iscritto sullo scabroso argomento. Ond'ella, per solito così piena d'abbandono nella sua corrispondenza col conte Mario, fu questa volta breve e guardinga, e n'ebbe dispetto per sè e dolore per lui. Ma non c'era modo di fare altrimenti.

La giornata le trascorse più rapida ch'ella non avesse creduto. Prima di pranzo venne a trovarla, in compagnia con la madre, una ragazza di ristrette fortune a cui ella pagava le lezioni di pianoforte di un professore di grido affinchè potesse svolgere le sue rare attitudini musicali.

Sempre cortese, specie con gli umili, ella accolse benissimo le due donne.

—Quanto tempo che non vi vedo!

—Ma…—rispose un po' impacciata la madre—veramente… eravamo state ancora… Lei non c'era… Non glielo hanno riferito?

—Sì, sì… mi ricordo… Potevate ripassare.

—Si temeva di disturbare—soggiunse l'altra. E si morse il labbro, pentita d'aver detto troppo.

La Teresa arrossì lievemente e si rivolse alla ragazza:—Dunque, Marcella, come va questa musica?

—Così… Il professore non è scontento..

La mamma, loquace, inframmettente, giudicò eccessiva la modestia della figliuola.

—Eh via, con la signora alla quale si deve tanto non c'è ragione di nasconder la verità… Arcicontento è il professore…

—Davvero?… Ma brava!

—Sicuro… E spera che la Marcella possa prodursi quest'inverno in uno dei concerti del Liceo.

—Verremo a batterti le mani—esclamò la Valdengo.

—Oh… signora…—balbettò la Marcella colorandosi in viso.—Non so mica se avrò il coraggio di espormi al pubblico.

—Bisogna provare—insistè la madre.

—Già—soggiunse la Teresa.—E cosa studi adesso, cara?

—Bach, Beethoven…

—Brava!… Quando sarò tornata dalla campagna… vado in campagna domani per pochi giorni… verrai qui qualche sera, mi farai sentire i tuoi progressi.

—Grazie—disse la giovinetta i cui occhi luccicavano per la contentezza.

—Eh, se non c'era lei!—riprese la madre profondendosi in espressioni di riconoscenza.

—Zitta, zitta—interruppe la Teresa.—È stato un gran piacere per me il secondar le inclinazioni della Marcella, e poichè ella riesce così bene io son compensata ad usura del poco che ho fatto.

Un'altra visita ricevette la Teresa quella sera mentr'era ancora a tavola, la visita di un altro beneficato suo, un giovine studente di matematica, poverissimo, ch'ella e Vergalli mantenevano all'Università. Egli veniva a salutarla prima d'andare a Padova e le portava in dono una sua memoria di geometria superiore sugli spazi a quattro dimensioni, pubblicata negli Atti dell'Istituto Veneto.

La Valdengo sorrise.

—È arabo per me… E c'è anche la dedica?

—È il primo lavoro che stampo… Dovevo offrirglielo… Lo accetta?

—Ma figurati… Lo accetto con gratitudine e con quella deferenza umile che si ha per le cose che non si capiscono… Ma perchè stai ritto?… Accomodati, via.

Massimo Scilla (era il nome del giovine) sedette timidamente sull'orlo di un divano, nell'ombra, in fondo alla stanza.

—Non laggiù… ti vedo appena… Qui, accanto alla tavola, su quella sedia.

Massimo ubbidì. Era goffo, impacciato, di persona esile, di lineamenti irregolari; solo gli occhi piccoli e neri brillavano a tratti d'una luce intensa.

La Teresa lo inanimiva a parlare.

—E a casa tua… che novità?

—Nessuna… Il babbo sempre infermo… la mamma lavora… lavora…

—E le tue sorelline?

—La grande è in pratica presso una sarta; la mezzana farà gli esami di telegrafista; le due piccole frequentano la scuola…

—E tu studi giorno e notte, senza una distrazione al mondo?

—Oh lo studio mi diverte… Do anche delle ripetizioni… Guai se non aiutassi la famiglia…

—Sei così giovine!

—Non tanto… Si ricorderà forse che da ragazzo ero malato ogni momento… Ho perduto del tempo per questo… Oh ce ne sono di assai più giovani di me nella mia classe.

—Ma quanti anni hai?

—Ventidue.

—E ti manca molto a finire?

—Prenderò la laurea nell'autunno prossimo.

—Vedi che non hai rimorsi… E poi concorrerai a una cattedra…

—Il meglio sarebbe avere un posto d'assistente all'Università… Riesce allora più facile di entrar nell'insegnamento superiore… Ma… bisognerà invece contentarsi d'insegnare in un ginnasio o in una scuola tecnica… chi sa dove… Se fosse in una grande città, pazienza; lì ci sono i mezzi da studiare…

Discorrendo di studi, Massimo Scilla si riscaldava, diventava eloquente…

—Ha ventidue anni—pensava la Teresa—l'età di Guido di Reana. E sembra quasi un fanciullo, e lo tratto come un fanciullo, e gli do del tu, ed egli mi parla come parlerebbe a sua madre, e non gli vien neanche l'idea di poter parlarmi altrimenti… Che sorriso beffardo avrebbe Guido sul labbro se fosse qui adesso, se vedesse Scilla seduto al posto ch'egli occupava iersera; con che aria di superiorità guarderebbe lo studentino povero, brutto, inelegante, condannato a lottare per vivere; egli per cui la vita è una festa, egli bello, e nobile, e ricco! Eppure, chi dei due vale di più? Chi ha maggior probabilità che il suo nome sia rammentato un giorno con riverenza e con simpatia?

Massimo Scilla si alzò per accommiatarsi. Ma prima chiese alla Teresa l'indirizzo del conte Mario.

—Per una settimana all'Aia, ferma in posta—ella rispose.—Vuoi spedirgli la tua memoria?

—Appunto.

—Gli farai un piacere… Egli s'interessa a te…

—È così buono.

—Molto buono… E lui la capisce la matematica?

—Altro che capirla!… Capisce tutto.

—Non c'è dubbio, è un brav'uomo—soggiunse la Valdengo.—Addio dunque, Massimo. E arrivederci… Non far così il prezioso… torna presto… Fra qualche settimana sarà a Venezia anche il conte… Spesso è da me la sera… Tu già non sei mica a Padova sempre…

—La festa son qui… per la mamma.

—E poi ci son tante vacanze!… Siamo intesi allora. Arrivederci…

Gli stese la mano ch'egli baciò.

Rimasta sola, ell'accarezzò per un istante la speranza di obliare e di far obliare il suo fallo circondandosi di creature semplici e buone che accettassero i suoi benefizi.

XII.

Pioveva fitto, ciò ch'ebbe almeno il vantaggio che alla stazione di Mogliano, quando la Teresa Valdengo arrivò, non vi fossero i soliti oziosi i quali in autunno assistono al passaggio dei treni. Solo il capo stazione, aiutandola a scendere, le manifestò il dispiacere ch'ella giungesse con un tempo simile. Era stato sino allora un ottobre splendido, una primavera.

Se lo ricordava la Teresa lo splendore di quelle giornate che avevano sorriso alla sua follia. E mentre l'acqua flagellava il finestrino della carrozza che la conduceva alla villa ella pensava che non erano trascorse quarantott'ore da quando sotto un cielo luminoso ella solcava in gondola la laguna insieme a Guido… Anch'egli adesso, perduto nel mare immenso, avrebbe visto il cielo grigio e sentito la pioggia fredda ed uggiosa; anch'egli sarebbe tornato indietro col pensiero… Oh, egli viaggiava verso il mezzodì, viaggiava verso il sole… E poi… egli saliva l'arco della vita… Per lei, per lei non ci sarebbe stato più sole.

Nonostante il tempo, ella volle, avviluppata nel suo impermeabile, far subito un giro in giardino. Andrea, il giardiniere, l'accompagnava desolato.—Almeno fosse stata qui ieri!—egli le diceva.—Era nuvolo, qualche goccia cadeva di tanto in tanto, ma non s'erano aperte le cateratte; gli alberi avevano tutte le loro foglie; quel gelsomino lì era tutto fiorito, quelle aiole eran piene di rose… Fortuna che sin dall'altro dì si sono messe al coperto le piante di limoni!

—E l'orto?—chiese la signora.

—Oh, l'orto non patisce.

—Andiamo a vedere.

—Non la consiglio, perchè affonderebbe a mezza gamba.

Ma l'ortolano, Piero, che lavorava sotto la pioggia, appena udì la voce della padrona, le corse incontro col berretto in mano e l'invitò ad ammirare i sedani tirolesi ch'erano stati seminati quell'anno e ch'erano riusciti di là dall'aspettazione.

Egli non si lagnava della pioggia. Il suo orto ne aveva bisogno. Da ieri a oggi c'era una differenza! E mostrava con tenerezza i cavoli immensi, lustri sotto l'acqua, e le carote, e i ravanelli, e le radici bianche e rosse che facevano pompa dei loro colori e sfidavano allegramente la bufera.

La Teresa s'avanzava con circospezione.

—Badi, badi—ammoniva il giardiniere.

Piero si stringeva nelle spalle.—O che cosa sarà?

Di sotto un pergolato, sbucò, abbaiando festoso, Moro, il vecchio cane da guardia, che s'era ammansato con gli anni e ormai non si teneva più alla catena.

Con l'ombrello il giardiniere difendeva la signora dalle dimostrazioni troppo calorose di quella bestia fradicia e impillaccherata. Ma Moro, sfidando le busse, tornava all'assalto, fin che la Teresa n'ebbe compassione e disse:—Tanto mi devo mutare da capo a piedi.—Indi lisciò con la mano il pelo del povero animale che dopo quella carezza si tirò indietro da sè, tutto contento.

Venne poi il turno delle faraone, dei fagiani e degli altri bipedi da cortile, che vivevano in un loro speciale recinto, diviso in compartimenti minori e protetto da una rete metallica. C'erano i giovani nati negli ultimi mesi, ma c'erano pure gli anziani, che la Teresa aveva nutriti in primavera e che ora al noto richiamo uscivano dalle loro casette di pietre o di legno e si accostavano alla rete di ferro allungando il collo e girando intorno i tardi occhi incantati.

Benchè diguazzasse nella mota, la Teresa passò in giardino oltre un'ora, e fu l'ora più lieta delle giornata. Ben altra tristezza l'invase nel suo salottino, davanti al caminetto acceso, mentre la luce si faceva sempre più scarsa e di là dalle portiere la pioggia insistente cadeva, rimbalzando; sul selciato del marciapiede…. Due volte prese un libro, due volte lo rinchiuse svogliata sulle ginocchia… E si pentiva di aver lasciato la città… Poichè v'era rimasta tanto, poteva ben rassegnarsi a rimanervi anche per quello scorcio d'autunno. Non doveva a ogni modo mettersi in viaggio con un tempo simile… E come non aveva pensato a invitar qualcheduno che le tenesse compagnia? Mai, dalla morte di suo marito in poi, mai non era stata così sola in villa. Ella passò in rassegna rapidamente le amiche, le parenti a cui avrebbe potuto scrivere… Due figliuole d'una sua cugina di Vicenza s'erano sposate da pochi mesi ed erano andate ad abitare lontano… Un'altra discepola, ch'era caduta in basso stato dopo un matrimonio infelice e vegetava tristamente in un paesetto del Polesine, era cagionevole di salute, e aveva la cattiva abitudine di ammalarsi di bronchite ogni anno ai primi freddi; a chiamarla adesso c'era il pericolo di vederla infermare in casa… Di qualche altra si sapeva che in quella stagione avanzata non sarebbe venuta… E in fine, riflettendoci, dal momento che la Teresa voleva rimaner pochi giorni soltanto, era inutile aver ospiti. A non averne, c'era il vantaggio di poter a proprio talento prendere il treno di ritorno. E così realmente ella decise di fare se il domani era pari all'oggi.

La sera capitarono il medico, il segretario comunale, l'organista, che suonava abbastanza bene il pianoforte e col quale ella ripassava talvolta un po' di musica. Esprimevano tutti il rammarico ch'ell'avesse tardato così a lungo a venire, perdendo un seguito di belle giornate come non se n'erano viste da un pezzo. E mancando lei era mancato molto al paese…. Sì, la sua casa era il luogo di riunione preferito dei villeggianti; vi si era ricevuti con tanta cordialità; si facevano alle volte quattro salti in famiglia… oh, ell'avrebbe sentito domani le querimonie della Gebaldi, della d'Antoni, della Miliotti per non aver potuto ballare in quell'anno in causa dell'assenza della signora contessa…. Come se la prendevano con quei malaugurati ristauri della villa!

Alla Teresa, ch'era naturalmente in sospetto, pareva che nel linguaggio de' suoi interlocutori vi fossero dei sottintesi, delle reticenze: le pareva che le loro labbra si atteggiassero a un sorriso malizioso, quasi a dire:—Lo sappiamo che i ristauri non erano che una scusa, lo sappiamo per quali ragioni vi siete trattenuta a Venezia.

E invero, non era da presumersi che in un centro di villeggianti, ove le disposizioni al pettegolezzo sono alimentate dall'ozio, non si fossero ricamati dei commenti allegri sulla sua intimità con l'ufficialetto di marina… Purtroppo ella non aveva diritto di esigere che la si trattasse meglio delle donne le quali avevano o si supponeva avessero un'avventura galante.

—Del resto, la trovo bene, proprio bene—ripeteva Sauri, il medico, valendosi dei suoi titoli professionali per fissarla con maggiore intensità.—È guarita della sua insonnia?

—No, di quella non guarisco mai!

—Non prende più il cloralio?

—Qualche volta—ella rispose brevemente. E cercò di sviare il discorso, domandando conto dell'esito della fiera di beneficenza che s'era tenuta ai primi d'ottobre, e per la quale, fra parentesi, ell'aveva spedito da Venezia alcuni bellissimi regali.

Il segretario tentennò il capo. Erano anni cattivi. Tutte le borse erano asciutte. A eccezione di lei, che, pur da lontano, aveva trattato da pari sua, nessun altro s'era mostrato generoso. Già bisognava esser giusti. Ogni giorno ce n'era una di nuova. E come se non bastassero le disgrazie nostre, c'eran quelle degli altri. La fame in Sicilia, i terremoti in Calabria, eccetera, eccetera. La gente non ne poteva più.

Indi il segretario assurse a considerazioni d'alta politica; biasimò i metodi di governo, l'accentramento amministrativo, l'espansione coloniale, le spese per l'esercito e per la marina, e dichiarò che dal 1870 in poi s'era sbagliato strada, e che per rimetter le cose in carreggiata ci volevano uomini nuovi. Non lo disse, ma lasciò intendere che uno di quegli uomini nuovi sarebbe stato lui.

La dotta dissertazione fu interrotta dall'arrivo del marsala e dei biscottini, dopodichè i tre visitatori se ne andarono promettendo di tornar quanto prima. Nell'uscire si scambiarono le loro impressioni.

—È distratta.

—Non è più quella d'una volta.

—Non ci ha nemmeno invitati a pranzo.

—E sì ch'essendo così sola!…

Soletta in compagnia de' suoi pensieri!—borbottò il medico che aveva le sue pretensioni letterarie.

E aggiunse una sguaiataggine che fece rider i compagni.

—To', non piove più—osservò l'organista chiudendo l'ombrello e guardando in alto.

—E lassù c'è qualche stella—disse il segretario comunale.—Sta a vedere che torna il bel tempo.

XIII.

Infatti il dì appresso brillava il sole, tanto più gradito inquantochè ricorreva la festa d'Ognissanti e molta gente era arrivata dalla città. Alle undici c'era folla alla stazione per aspettarvi la corsa; alle undici e un quarto un gran movimento nel piazzale davanti alla chiesa. Era l'ora della messa dei signori, e le famiglie dei villeggianti andavano a far le loro divozioni in pompa magna, portate dagli equipaggi di lusso, coi cavalli riccamente bardati, il cocchiere in livrea, e sullo sportello della carrozza una corona nobiliare o un monogramma dorato che visto da lontano poteva parere uno stemma.

La Teresa Valdengo non comparve nè alla stazione, nè in chiesa; ma ci guadagnò poco, perchè i curiosi sentirono il dovere di venir di persona a porgerle i loro omaggi, e si riversarono nella villa. Erano sedicenti amici, erano semplici conoscenti, erano estranei che i conoscenti si tiravano dietro, affidati dalla gentilezza della signora e dalla libertà campestre. Così, agli altri gusti, si aggiungeva quello di subir la presentazione d'uomini e donne che non si sarebbero forse incontrati più e con cui non si sapeva di che cosa discorrere. Soltanto alle cinque i cancelli della villa si chiusero dietro gli ultimi visitatori, e la Teresa esausta, sfinita, potè ritirarsi nella sua camera, ordinando alla servitù di dir quella sera ch'ell'era indisposta e che non riceveva nessuno… Ah, proprio aveva fatto una grande sciocchezza a muoversi da Venezia… Era proprio caduta in bocca al lupo. Figuriamoci se quella gente stupida non era capitata da lei con un secondo fine, come si va spesso a scrutare il viso e a contare i sospiri e le lacrime d'uno che abbia avuto una gran disgrazia. Era, per gli uni, il bisogno di vedere s'ella conservasse, anche dopo lo scappuccio, la sua aria sicura e disinvolta di donna onesta non mai insozzata dalla calunnia; era, per gli altri, quelli che non la conoscevano prima, il desiderio d'esaminare davvicino questa matura bellezza che aveva innamorato di sè un giovine di ventidue anni. E fra gli uomini ce n'erano senza dubbio di quelli che avevano la segreta speranza di raccoglier l'eredità del giovinetto e di consolar la bellezza matura.

Con la solita lucidità della sua mente, la Teresa Valdengo leggeva in quelle anime volgari, ne penetrava le curiosità basse e indiscrete, ne indovinava i calcoli abbietti. E le saliva una nausea a pensarvi. Senonchè, per un fenomeno singolare, quella che sarebbe dovuta esser soltanto una nausea morale, una ripugnanza dell'animo, assunse in lei, la sera medesima, i caratteri d'un malessere fisico. A tavola potè prendere appena qualche cucchiaiata di minestra; e fu costretta ad alzarsi per lo schifo ch'ella provava alla vista delle vivande, pei fortissimi crampi di stomaco ond'era assalita.

—Se vedesse com'è pallida—disse la Luisa, la cameriera.

—Oh, passerà.

—Desidera che si mandi a chiamare il dottore?

Ella protestò.

—Sei pazza? È cosa da nulla… Oggi ho avuto tutta quella gente, mi son stancata a discorrere, m'è venuto il mal di capo, e il mal di capo porta con sè i disturbi di stomaco.

Prese alcune goccie di laudano e si coricò presto. Nella notte non ebbe sofferenze gravi; pur non si sentiva bene; aveva la bocca cattiva, la salivazione abbondante, a due riprese si destò in sussulto dall'assopimento prodotto dall'oppio, e si mise a sedere sul letto per liberarsi dall'acqua che le montava alla gola. Ma che cos'aveva, Dio buono? che cos'aveva? Sul far del giorno le parve di star meglio e sperò di cedere a un sonno riparatore. Ma non dormiva da un quarto d'ora che già nella sua fisonomia stravolta apparivano i segni d'uno spasimo interno e tutta la sua persona rivelava lo sforzo di chi tenta scuoter di dosso un incubo affannoso.

—No, non è vero—ella diceva agitando le braccia—non è possibile. No… no.

Alla fine aperse gli occhi, si rizzò con mezza la persona puntellandosi sui gomiti, e si guardò attorno, bianca in viso più del suo lenzuolo, con un sudor freddo che le gocciolava giù per la fronte. Era nella camera, sola, nessun medico era accanto a lei, nessuna voce aveva pronunziato la sentenza ch'ell'aveva creduto d'udire… Ell'aveva sognato… Ma l'impressione del sogno non svaniva per questo… se di tutti i particolari, di tutte le circostanze esteriori che i sensi allucinati avevano finto a sè stessi non restava più nulla, restava il fatto persistente della sua inquietudine fisica di cui la Teresa non sapeva trovare una spiegazione plausibile… poichè non voleva accettar quella che il sogno le aveva suggerita.—No, no—ella ripeteva fra sè in preda a uno spavento senza nome—non è, non dev'essere.—Il suo labbro non osava dire:— Non può essere.—Pur troppo poteva essere … E se fosse?… Le si drizzavano i capelli in testa a pensarvi… Se fosse?… Sarebbe stata la sua condanna di morte, perch'ella non avrebbe sopravvissuto all'onta, allo scandalo.

Quando le parve di poter fermarsi senza terrore all'idea della morte (ella non s'indugiava a considerare nè il come nè il quando) la Teresa ebbe un po' di requie. Si alzò, rivide i conti della cuoca, uscì in giardino, diede da mangiare alle sue galline, si chinò a carezzar Moro venuto a stropicciarsele intorno al vestito, rispose amichevolmente ai saluti di Piero, di Andrea e del cocchiere, che in ozio tutti e tre, se la contavano al sole.

I sui dipendenti l'adoravano, ma non convien pretendere una gran discrezione dalla servitù, e prima ancora che la Teresa fosse a Mogliano il giardiniere, ch'era in buoni termini con la Luisa, aveva saputo che la padrona perdeva la testa dietro un ufficialetto di marina e ne aveva discorso alla villa. Non era dunque un argomento nuovo quello di cui s'intrattenevano adesso i tre oziosi.

—È stata poco bene iersera.

—Si vede.

—È molto patita.

—Il primo giorno pareva tutt'altra, ma da ieri in poi ha fatto un tal cambiamento!…

—È la passione… Si capisce, poverina!

—Chi se lo sarebbe immaginato? Lei ch'era la casta Susanna?

—Eh, vien l'ora topica per tutte quante:—notò il cocchiere da uomo d'esperienza.

—Sì, ma poteva sceglier meglio.

—Oh, per questo, è un gran bel pezzo di ragazzo.

—Uno che non tornerà più e che quando tornasse avrebbe ben altro pel capo…

—Si sa che non può sposarla… Ma neanche lei vuol saperne del matrimonio!… Se avesse voluto!

—C'è il conte Vergalli che sospira da tanti anni…

—Quello è un vecchio, e con un vecchio c'è poco gusto.

—Per me—disse il giardiniere che aveva una morale di manica larga—se fossi stato nei panni della signora, intanto sposavo il vecchio che ha un bel nome, ch'è ricco, ch'è innamorato cotto, e poi, se mi saltava l'estro, mi divertivo coi giovani.

Gli altri si misero a ridere.

La Teresa aveva percorso il viale dei tigli ove le foglie secche scricchiolavano sotto i suoi piedi, e prendendo un sentiero coperto di ghiaia minuta s'era spinta fino al piccolo lago ingrossato dalla pioggia recente. Voltò a destra, salì una viottola serpeggiante intorno a una collinetta, ridiscese dal lato opposto, e giunse ad un punto ove le due sponde del laghetto si restringevano e l'acqua frenata da una doppia fila di sassi si frangeva rumorosamente e rimbalzava dall'altra parte fuggendo via in sottile rigagnolo e lambendo i rami di un gruppo di salici. Lì presso, in un'insenatura della riva, a due o tre metri sul livello dell'acqua era un rustico sedile di legno, e dietro al sedile, sopra un piedestallo, una statuina di Diana alla quale da tempo immemorabile mancava un braccio.

Quante volte la Teresa aveva cercato questo tranquillo recesso! Quante volte, a metà del giro del giardino, vi aveva fatto una breve sosta in compagnia dei suoi ospiti! Anche oggi il romito asilo le piacque. Ella sedette e pensò. Pensò alla sua vita onesta di cui tanta parte s'era svolta in quei luoghi. Da bambina veniva ogni autunno con la madre a passare un mesetto nella villa non sua ma dei genitori di colui che doveva diventar suo marito e che allora, maggiore di lei di ben quindic'anni, le badava appena. Ella faceva il chiasso con altri fanciulli della sua età, ormai dispersi pel mondo, saliva sull'altalena, s'arrampicava sugli alberi, ruzzolava giù per le collinette, scendeva nel canotto e tragittava il lago minuscolo. Più tardi, uscita d'infanzia, appassionata della lettura e dello studio ella preferiva la solitudine, e a passi taciti e quasi furtivi s'avviava alla statuina di Diana, portando seco qualche suo libro favorito. Però, accadeva assai di rado che non la disturbassero. E il disturbatore perenne era Tullio Valdengo, un uomo maturo al paragone di lei, che da un po' di tempo non si sapeva che gusto potesse trovare a discorrere con una ragazzina. Eppure egli ne trovava tanto che un bel giorno, proprio sotto gli occhi di Diana, egli le domandò a bruciapelo se voleva esser sua moglie.

—Le nostre due famiglie—egli le disse—sarebbero così contente di questo matrimonio!—Côlta alla sprovveduta, ella si sbigottì e fuggì via senza rispondere, correndo in traccia della sua mamma. E la sua mamma e il suo babbo, che si era recato apposta a Mogliano, e il babbo e la mamma di Tullio Valdengo l'assediarono con tante sollecitazioni, le magnificarono con sì vivi colori la felicità che l'aspettava, ch'ella, sebbene non innamorata di Tullio, si lasciò strappare il sì desiderato. E del resto, perchè avrebbe detto di no? Se non era innamorata di Tullio, non era innamorata di nessun altro. Nessuno fra i giovani ch'ella aveva visto, neanche tra quelli che le avevano dati segni manifesti di simpatia, era riuscito a guadagnarsi il suo cuore. Tullio Valdengo almeno ella lo conosceva (le famiglie erano legate da una lontana parentela e da una strettissima intimità), lo sapeva buono, intelligente, leale, e s'egli aveva trentaquattr'anni quand'ella non ne aveva che diciannove, l'era forza convenire che non era lecito chiamarlo un vecchio. Le ragioni economiche che avevano avuto tanta parte nell'assenso entusiastico dei suoi genitori, avevano minor valore per lei. Tuttavia, cresciuta fra gli agi, benchè non avesse che una piccolissima dote, ella capiva che, senza un grande amore, non si sarebbe acconciata volentieri a nozze troppo modeste. Sposò dunque Tullio Valdengo e gli fu moglie savia e fedele, com'egli le fu affettuoso e fedele marito. Con lui ella ignorò l'ebbrezze della passione, ignorò le gioie soavissime dell'assoluto consentimento di due anime; troppo gli era superiore per forza d'ingegno, per vivacità di fantasia, per raffinatezza di gusti. Pur non era e non si credeva infelice. Era convinta che ad altre donne la vita desse di più di quel che non dava a lei, ma le pareva che, tranne forse per poche privilegiate dalla fortuna, quel di più dovesse portar seco il rischio di amari disinganni e di crudeli inquietudini. Difesa dal rispetto di sè, dal rispetto del nome di suo marito, ell'era passata vincitrice attraverso alle insidie. Nè si vantava di aver superato grandi pericoli. Ell'aveva ben compreso che appena una volta su mille le dichiarazioni galanti esprimono un sentimento vero e profondo, e provava un disprezzo incommensurabile pei libertini, pei seduttori di professione. Ella fulminava con la sua ironia tutti questi don Giovanni proteiformi; gli audaci e i timidi, i piagnucolosi e i gioviali; li fulminava e se li levava d'attorno in un batter d'occhio, con grande meraviglia di qualche conoscente sua altrettanto virtuosa ma meno risoluta, che non riusciva a liberarsi dagl'importuni. In un solo caso, e non si trattava d'un don Giovanni, la Teresa s'accorse d'aver destato in un uomo un affetto degno di lei; nel caso del conte Mario Vergalli. Ah, quello sì che le voleva bene; quello sì che meritava d'essere amato. Ma era anche più innanzi negli anni di Tullio Valdengo; gli mancava il fascino, l'impeto della gioventù, e a lei non fu difficile di moderarne i trasporti, pur conservandoselo amico. Solo alle donne illibatamente oneste è dato operar il miracolo di trasformare in amicizia l'amore che inspirano. E un'amicizia nata in tal modo ha una poesia, una fragranza che le solite amicizie non hanno. Certo si è che quella di Mario Vergalli aveva finito di riconciliare la Teresa Valdengo con la propria sorte; l'intimità con un cuore così nobile, con uno spirito così elevato la compensava a dovizia della scarsa idealità del marito… E talora ella diceva a sè stessa che se il cielo le avesse accordato le dolcezze della maternità ella non avrebbe avuto più nulla a desiderare… Invece ell'era rimasta vedova, giovine ancora… e non era passata a seconde nozze. Perchè? Era un mistero anche per lei. Sebbene ell'avesse assistito con mirabile abnegazione il suo fedele compagno di oltre quindici anni, ell'era troppo schietta da dire che Tullio Valdengo, morendo, aveva aperto nel suo cuore una di quelle ferite che non si rimarginano. O perchè dunque non aveva ella voluto ricominciar la vita con l'uomo che, nell'intimo suo, ella preferiva a ogni altro, perchè non aveva voluto premiare un così raro disinteresse, una costanza sì rara? Era lì, nel giardino, era presso al lago ch'egli l'aveva pregata di accettare il suo nome; era lì che, stendendogli la destra, ella gli aveva risposto:—Perdonatemi, amico mio, non intendo rimaritarmi. Ove mutassi idea, sarei orgogliosa d'appartenervi… Ma ricordatevi che non dovete incatenare la vostra libertà, sacrificare il vostro avvenire a me… che lo merito così poco… Se un'altra…

Egli l'aveva interrotta.—Non parlatemi d'un'altra … Qualunque cosa vi piaccia essere, sposa od amica—(amante non disse perchè troppo la rispettava)—ci siete voi sola per me.

La Teresa sentiva ancora negli orecchi il suono di quelle dolci parole, aveva ancora davanti agli occhi l'atto cavalleresco con cui il conte Mario le accompagnava, chinandosi alquanto verso di lei e baciandole rispettosamente la mano.

Ah sciocca, sciocca, che avrebbe potuto posar la fronte su quel petto leale e trovare un asilo sicuro fra quelle braccia di soldato e di gentiluomo!

Non più ora, non più… Quand'anche egli le avesse perdonato il suo fallo, ella non sarebbe stata mai la contessa Vergalli… Un momento d'oblio aveva distrutto tutta l'opera laboriosa del suo passato, aveva distrutto ogni speranza dell'avvenire.

Nè in questo completo naufragio della sua vita la Teresa pensava che un soccorso qualsiasi potesse venirle da Guido di Reana. In nessun caso sarebbe ricorsa a lui, in nessuno… nemmeno se l'orribile dubbio che l'angosciava si fosse tramutato in realtà. Aveva creduto d'amarlo; glielo aveva detto, glielo aveva provato con quel dono di sè che gli uomini, a torto o a ragione, reputano la sola valida prova d'amore; e adesso, tre giorni dopo ch'egli era partito, adesso, col terrore d'una catastrofe ond'egli sarebbe stato la causa, adesso il suo cuore era già insensibile e muto per lui. Non lo amava e non l'odiava. Solo non era spento nel suo animo quel senso di pietà femminile, quasi materna, ch'egli aveva inspirato sin dal primo vederlo. Lo considerava come un fanciullo cieco ed irresponsabile al quale non si può domandar conto del male che ha fatto.

XIV.

—Disturbo?

Era Sauri, il dottore, che s'era fermato, col cappello in mano, a pochi passi dalla Teresa.

Ella dissimulò a fatica la sua noia. Pur troppo ell'avrebbe dovuto interrogare un medico. Non avrebbe però interrogato nè Sauri, nè altri ch'ella conoscesse… Sauri, a ogni modo, meno di tutti.

—Avanti pure—ella rispose.—E si copra, chè non fa mica caldo.

—Ho sentito—ripigliò il dottore—ch'ell'era in giardino e mi son immaginato che sarebbe stata qui nel suo posto prediletto… Ma badi ch'è un posto umido, e se non istà perfettamente…

—O perchè vuole ch'io non stia perfettamente?—replicò la Teresa colorandosi in viso.

—Non so… Or ora era pallida… E qualche parola della cameriera…

—Pettegola!… O dica la verità… È stata lei a farlo venire?

—No, da galantuomo… Era una visita che le facevo io spontaneamente… E dal momento che son qui…

La Teresa capì che non sarebbe stato opportuno il voler nasconder tutto, e soggiunse:—Ho avuto iersera un disturbo di stomaco… Questa è la gran malattia.

—Mi vuol mostrar la lingua?

—Non ho più nulla!

—Via—insistè Sauri,—lasci vedere.

—Oh che noioso… Ecco la lingua… È contento?

—È bianca… sporca…

—Tornerà pulita.

—Non c'è dubbio… Ma prenda due polverine di Seidlitz.

—Domani… se ne avrò bisogno… le prenderò.

—E il polso?… Mi dia il polso.

—O Sauri… non la finiamo?

—Il polso poi… Che cos'è un medico che non tasta il polso?

La Teresa dovette rassegnarsi.

—Un po' frequente… un po' agitato—disse Sauri,—Ma non c'è febbre… Credo che una purgatina basterà… Però io la consiglierei di aversi qualche riguardo… O che bisogno ha di venir qui in riva al lago?

—Non son mica le paludi pontine… E se crede ch'io sia disposta a rimaner tappata in casa…

—No… Ma per un paio di giorni potrebbe contentarsi di star sul davanti ove c'è più sole…

—Ce n'è anche qui del sole…

—Ce n'è meno… E poi c'è l'acqua e ci son troppi alberi… Non convien dimenticarsi che siamo al 2 di novembre.

—Il giorno dei morti.

—Già, quest'anno è caduto di domenica.

—È vero, è domenica… Essendo stata festa ieri mi confondevo… credevo fosse lunedì.

Il dottore parlò alquanto delle corse di Treviso, dello spettacolo d'opera al Teatro Sociale. Ella non ci andava?

—Se sono un'invalida!—disse la Teresa sorridendo.

—Oh per sabato prossimo che c'è la corsa grande sarà perfettamente guarita… Intanto, badi a me, venga via di qua…

E per darle il buon esempio si alzò.

La Teresa si strinse nelle spalle. Tuttavia ella consentì ad avviarsi verso casa in compagnia del dottore, chiacchierando di cose indifferenti.

—Passerò domattina—disse Sauri accommiatandosi.

Ella si chinò su un cespo di rose.—Arrivederci.

Oh come gli sarebbe stata riconoscente s'egli le avesse scoperto il principio d'una grave infermità; d'una buona tifoidea, d'una polmonite doppia, d'una congestione cerebrale o di qualche cosa di simile! Come si sarebbe messa a letto docile e rassegnata, rassegnata a morire se la Provvidenza voleva così, rassegnata a guarire se, guarendo, ella non avesse più sentito la spina acutissima che ora le trafiggeva le carni. Per un istante ell'ebbe l'idea di tornarsene laggiù, appunto perchè Sauri le aveva detto che non era senza pericolo il rimanervi. Sì, ma era poi certa di pigliarsi una malattia mortale? E che ci avrebbe guadagnato a esser côlta da una febbre che la tenesse prigioniera in camera per due o tre settimane? Forse che il nuovo germe morboso da lei assorbito avrebbe distrutto la causa preesistente del suo malessere? O non l'avrebbe invece svelata più presto? Ma intanto come saper la verità, temuta e pur necessaria? Sicuro; aspettando ella l'avrebbe saputa… nello stesso tempo degli altri… e questo no, ella non voleva a niun patto, decisa com'era a portar nella tomba l'umiliante segreto.

Fu per qualche ora inquieta, irascibile; sgridò la cameriera ostinandosi a credere che fosse stata lei ad avvertire il dottore Sauri e a farla passar per malata, e dicendo che non permetteva alla sua servitù di tenerla sotto tutela. Era lei la padrona di casa, se lo ricordassero bene. E per cominciare, rinnovava, nel modo più categorico, l'ordine di non ricever nessuno.

Poi, sola nel suo salotto terreno, sprofondata in una poltrona, ella cadde in un assopimento doloroso. Si scosse ch'era già vicina la notte, balzò in piedi, sonò il campanello. La Luisa le portò il lume, le portò due o tre carte da visita ch'eran state lasciate per lei e un paio di giornali giunti per la posta.

—Comanda altro?

—Sì… allontana quelle rose. Mandano un odore troppo acuto.

—Devo riaccendere il foco in salotto da pranzo?

—Riaccendi… Non fa freddo, ma è umido…

La Luisa s'indugiava; pareva aver un'interrogazione sulla punta della lingua.

—Va, va—le disse la signora.

—Le rose le metto in sala?—chiese la cameriera.

—Sì, sì, dove vuoi—replicò la Teresa,—Spicciati.

Ella amava tanto le rose una volta. Perchè le ripugnavano adesso? Era un sintomo anche questo?

Guardò appena le carte da visita. Che le importava de' suoi visitatori? Che le importava di alcuna cosa al mondo, se ciò ch'ella temeva era vero?

Dei due giornali che la posta le aveva recati ella ne aperse distrattamente uno a cui era abbuonata da un pezzo, il Corriere della Sera di Milano. Lo spiegò, e scorrendone la terza pagina, l'occhio le cadde sopra un annunzio che certo doveva esservi comparso altre volte, ma che l'era sempre sfuggito o sul quale ella non aveva fermato mai l'attenzione. L'annunzio, stampato in caratteri piccoli, era il seguente: Il dottore Ermete Boni, chirurgo ostetrico, riceve ogni giorno dall'una alle tre. Piazza Beccaria, n. 5.

Strana combinazione! Il nome di questo dottor Boni, menzionato nella lettera recente della sua sarta con l'appellativo di celebre ostetrico, le ricompariva dinanzi a così breve intervallo e proprio nel momento in cui ella aveva il bisogno di consultare un medico, uno specialista che dimorasse in altra città e che non la conoscesse. La Teresa Valdengo non era superstiziosa, non credeva agli avvertimenti soprannaturali; pur quella coincidenza non poteva a meno di colpirla, di suggerirle un'idea molto semplice ed ovvia. O perchè non sarebbe andata a Milano, perchè non avrebbe consultato il dottor Boni? Ora, dai fondi oscuri della memoria, sorgeva in lei la vaga reminiscenza di un discorso udito tempo addietro in un crocchio di signore, non ricordava bene nè il dove, nè il quando, un discorso nel quale alcuno aveva accennato a questo dottor Boni, milanese, come a un ginecologo insigne, uno dei migliori d'Italia. Forse non era, forse si trattava di un altro. Ma invero, nel caso di lei, non occorreva affatto un medico insigne. Bastava uno al quale ella potesse aprirsi con minore vergogna.

Quando l'animo è agitato dalle tempeste, ogni risoluzione, anche d'indole secondaria, dà pur qualche istante di calma. Così la Teresa Valdengo, di mano in mano ch'ella si raffermava nel proponimento di ricorrere al dottor Boni, si sentiva più tranquilla, più forte, più padrona di sè. E nel resto di quel giorno e nei due dì successivi ella seppe adattarsi al viso la maschera dell'impassibilità, seppe celar ai familiari e agli estranei la cura assidua, affannosa ond'ella studiava sè stessa, intenta a cogliere ogni segno, ogni indizio che avvalorasse o affievolisse i suoi crudeli sospetti. Al medico ella dichiarò ch'era perfettamente guarita.

—Guarita senza bisogno delle due polveri di Seidlitz—ella disse. E poich'egli stentava a persuadersene e la trovava giù di cera,—Oh, la cera—ella ribattè—non significa nulla. Non sono stata mai color di rosa, e adesso sarò in un cattivo momento. S'invecchia, caro Sauri, e le donne che hanno resistito più a lungo danno un crollo più rapido… Convien rassegnarsi.

XV.

Ma la sera del terzo giorno, sentendosi più inquieta del solito, la Teresa decise di romper gl'indugi e disse alla Luisa:—Preparerai subito la mia sacca da viaggio, quella piccola, mettendovi lo stretto necessario per un'assenza brevissima.

La cameriera la guardò attonita.

—Parte?

—Sì, domattina presto… Verrai a chiamarmi alle sei e mezzo… E che per le otto ci sia il brougham.

—Va a Venezia?

—No, faccio una corsa a Milano… Voglio intendermi con la mia sarta che non può venir lei… Sarò di ritorno per la fine della settimana.

—E… parte sola?

La domanda, fatta senz'ombra di malizia, parve indiscreta alla Teresa che aggrottò le ciglia e disse brevemente:

—Sì. Perchè?

—Perchè… non essendo stata bene…

—Sto bene ora… Dunque, bada d'esser esatta… Alle sei e mezzo. E la sacchetta, mi raccomando.

La Luisa chinò il capo e non soggiunse altro.

Alle sette della mattina la Teresa era già nel salotto terreno ad attender la carrozza.

—È poi abbastanza coperta?—chiese la cameriera mentre le infilava l' impermeabile.

—Sì, sì, oltre al bisogno… Non vado mica in Siberia…

—È un aria umida, fredda…

—Siamo ai cinque di novembre, ragazza mia—notò la Teresa accostandosi alla portiera e guardando in alto.

Il cielo era grigio; pareva quasi notte. Infatti sulla tavola del salotto ardeva ancora una candela.

Incoraggiata dai modi affabili della signora, la Luisa disse:

—Come l'avrei accompagnata volentieri a Milano!

—Grazie. Sarà per la prossima volta.

Il brougham venne a fermarsi davanti alla scalinata. La cuoca e l'ortolano erano lì a salutar la padrona. Andrea, il giardiniere, salì a cassetta.

—Buon viaggio, buon viaggio.

—Scriverò o telegraferò per avvertir dell'ora del mio ritorno—disse la Teresa ricambiando i saluti.

Il treno giunse alla stazione in orario. Ella entrò in uno scompartimento di prima classe ove non c'era che un signore vecchio, sonnecchiante in un angolo.

A Mestre salì sul diretto Venezia-Milano. Ella tremava all'idea di trovar qualche conoscente che percorresse la medesima linea e la importunasse con la sua conversazione o con le sue offerte di servigi; per fortuna non ebbe a compagni dal principio alla fine che due Inglesi, marito e moglie, immersi nel loro Baedeker: Northern Italy. Solo una volta, verso Peschiera, la signora si rivolse dalla parte della Valdengo e mostrando col dito una striscia azzurra di là dal finestrino disse in tuono interrogativo:—Garda?

La Teresa accennò di sì col capo. Parlava correntemente l'inglese, ma non era in vena di attaccar dialogo nè in quella lingua, nè in altra, e preferì lasciar credere ch'ella non sapesse neanche dir yes. E non si mosse mai dal suo posto, non lesse un libro; stette per lo più col velo calato, con gli occhi socchiusi, cercando di dormire, lottando col malessere che la riprendeva di quando in quando e che aveva sempre gli stessi caratteri.

A Brescia sentì il giornalaio che gridava: La Perseveranza, Il Secolo, Il Corriere. Affacciatasi al finestrino, si fece dar Il Corriere, lo aperse, guardò nelle inserzioni a pagamento. L'avviso in terza pagina, che da due giorni mancava, oggi c'era: Il dottore Ermete Boni, chirurgo ostetrico, riceve, ecc.

La Teresa Valdengo scese a Milano in un albergo ch'ella sapeva goder buona riputazione, La bella Venezia. Richiesta del nome, trasalì, e poichè, contro ogni sua abitudine, ella era entrata nella via delle finzioni scrisse sul libro, anzichè il proprio, il nome di una zia materna, vedova di un Francese, morta anni addietro senza lasciar discendenti, madame Gilbert. Si fece portar in camera una tazza di brodo ristretto con un rosso d'ovo e dicendosi lievemente indisposta non uscì in tutto il restante della giornata e si coricò prestissimo. Dormì forse un paio d'ore di un sonno agitato, e svegliatasi in sussulto credendo che fosse quasi il mattino accese il lume e con sgomento si accorse che non era ancor mezzanotte. Tentò di riaddormentarsi e fu vano; aperse un libro e non le venne fatto di leggere due righe di seguito. Rimase lì immobile, supina, con gli occhi sbarrati, con la mente fissa in un pensiero. Nell'andito, nelle stanze vicine si udivano suoni e bisbigli; stropiccio di piedi e fruscio di vesti; voci sommesse di forestieri discreti e voci tonanti di forestieri maleducati che senza riguardo dell'ora chiamavano dall'alto al basso della scala; usci che si aprivano e si chiudevano; campanelli elettrici che tintinnavano. O era finito allora qualche teatro, o era arrivata una corsa. Alla lunga i romori cessarono; solo ogni tanto il silenzio era rotto dallo strepito di un veicolo che traversava piazza San Fedele o dai rintocchi di un orologio. La Teresa contò successivamente l'una, le due, le tre. Oh la tristezza d'una notte insonne d'albergo ove l'orecchio non coglie un romore domestico nè l'occhio si riposa sopra un oggetto familiare; oh il senso di solitudine, d'abbandono, d'angoscia all'idea che tutto quanto ne circonda ci è estraneo e che noi siamo estranei a tutto; alla camera che ci accoglie, al letto su cui giacciamo, alla gente che divisa da una sottile parete, russa accanto a noi, e che è venuta oggi non si sa di dove e andrà domani non si sa dove! Oh il desiderio affannoso del sole, del sole mite e benefico, che dissipa l'ombre, che calma i terrori, che mette un po' di pace nei nervi agitati!

Ma quando, a giorno fatto, la povera donna si alzò, non brillava il sole. Dal cielo grigio di novembre scendeva un'acquerugiola fina, di quelle che minacciano di durar per un pezzo. Dalla finestra che dava sulla piazza di San Fedele la Teresa vedeva i fiacres gocciolanti immobili sotto la pioggia, coi cocchieri avviluppati nell' impermeabile e i cavalli coperti il dorso da una tela cerata. In mezzo alla piazza la statua in bronzo di Alessandro Manzoni acquistava in quell'umidità una lucentezza insolita; i pedoni passavano silenziosi sotto gli ombrelli, evitando le larghe pozze sparse qua e là.

La Valdengo ordinò la colazione in stanza per le undici e mezzo e un fiacre per l'una in punto.

—Devo aspettare a far la camera allora?—chiese la donna dell'albergo.

—No, no—rispose la Teresa.—Fate come s'io non ci fossi… O piuttosto sbrigate ciò ch'è più necessario, e finirete quando non ci sarò.

Alla richiesta se si tratteneva la notte ella ebbe un momento di esitazione; poi rispose di sì. L'era duro il passare un'altra notte all'albergo, ma non sarebbe potuta partire che alle undici di sera, e a quell'ora, così sola, non le piaceva.

La fantesca andava, veniva, portava gli asciugamani puliti, rifaceva il letto, spolverava i mobili, guardando di sottecchi quella signora dall'aspetto sofferente che sedeva nell'angolo del canapè, tutta imbacuccata nello scialle per ripararsi dall'aria umida che entrava per la finestra aperta. Aveva voluto lei che si spalancassero i vetri, per ventilare la camera, e anzichè scendere nella sala di lettura era rimasta lì a prendersi il freddo. E sì ch'era una dama. Lo si capiva dalla fisonomia, dal vestito, dai modi, dal portamento; era una dama e non doveva essere avvezza ai disagi. Ed era maritata; aveva l'anello al dito. O perchè non aveva portato seco la cameriera? Perchè schivava la gente? Aspettava qualcheduno? O doveva lei andare a cercar qualcheduno con quel fiacre che aveva ordinato pel tocco? Non c'era verso d'attaccar discorso. La Teresa pareva una statua. Non che fosse superba o sprezzante; che anzi se diceva qualche parola, la diceva con una voce dolce, con un tono affabile, come di persona che si raccomanda: ma era chiaro che aveva di gran pensieri pel capo e che desiderava esser lasciata tranquilla.

Alla fine la donna richiuse la finestra e piantandosi dinanzi alla Teresa:—Ha bisogno d'altro?—le domandò.

—No, grazie—rispose l'interrogata.

Appena fu sola, la prese una delle sue nausee violente, ed ella dovè portarsi il fazzoletto alla bocca… Ahimè, quei sintomi che si ripetevano ostinatamente, uniti ad altri indizi non dubbi, quasi rendevano superfluo il consulto. Che male poteva essere il suo, se non era il male che tante spose invocano come pegno di gioie soavi e ineffabili?

Comunque sia, se il suo non era che un sospetto, ella voleva mutarlo in certezza; s'era già una certezza, ella voleva avere una certezza più grande. L'orologio segnava le dieci e un quarto. Ancora tre ore, ancora tre ore e mezzo prima di poter recarsi dal dottor Boni. E s'egli non fosse in città? Se impegni precedenti gli avessero impedito di riceverla? Che avrebbe ella fatto? A chi si sarebbe rivolta, ella che non conosceva nessuno?

Pur l'animo della Teresa Valdengo era così pieno d'angoscia che non le restava posto da accoglier questa nuova ragione d'ansietà, ed ella cacciò da sè il dubbio che il dottor Boni non si trovasse in paese o fosse impedito. E intanto, ritta dietro i vetri, ella assisteva distratta allo sfilar delle carrozze che a tre, a quattro, a cinque, sboccando da Santa Radegonda, da piazza della Scala, da via dell'Agnello, portavano al municipio i corteggi nuziali, e si fermavano sotto la pioggia, davanti al palazzo Marino, di fronte all'albergo. Scendeva dal primo legno la sposa, per lo più con un mazzo di fiori in mano; scendeva protetta dall'ombrello del compare, vigilata teneramente dai parenti; poi con passo ora tardo e vacillante, ora svelto e sicuro, saliva la piccola scalinata, ed entrava nel portone del palazzo di cui gli uscieri municipali tenevano aperti i battenti. Seguiva la seconda vettura con lo sposo e altri congiunti più stretti, fratelli, sorelle, testimoni; quindi, nei legni successivi, venivano gli amici e i semplici conoscenti. Le carrozze, deposto il loro carico, lasciavano il posto ad un altro corteggio e andavano a schierarsi in un angolo della piazza, o intorno alla statua del Manzoni, il vecchio arguto e immortale, che dal suo piedistallo di marmo pareva sorridere all'amore e alle nozze. Di tratto in tratto, dal portone del Palazzo civico, un usciere faceva un segno. E un gruppo di vetture si muoveva, tornava a fermarsi davanti alla scalinata, ove, dopo il irrevocabile, s'affacciavano sposi quelli ch'erano saliti fidanzati. Gli sportelli si aprivano e si richiudevano, i cocchieri toccavano le redini o agitavano la frusta, e via tra il fango e la pioggia… Che destino attendeva le nuove famiglie?… Che gioie, che dolori, che disinganni?

XVI.

—Piazza Beccaria, numero cinque—disse la Teresa al fiaccheraio, mettendo il piede sul predellino. Ell'era bianca in viso come una morta, ma risoluta.

Il cameriere dell'albergo, salutando, chiuse lo sportello; la vettura partì.

Lungo la strada, la Teresa Valdengo pensò a ciò che avrebbe detto al dottore, a ciò che il dottore le avrebbe chiesto. Il suo nome, nè il vero nè il finto, ella non aveva bisogno di dirglielo; ma la natura de' suoi disturbi, ma i suoi dubbi, quelli certo non poteva nasconderglieli… se andava da lui appunto per questo. E c'erano tanti particolari ch'egli avrebbe voluto sapere, ch'egli avrebbe avuto il diritto di sapere. Ella non era obbligata a confessar ch'era vedova, ma d'altra parte una donna che vive in condizioni normali non s'avvolge nel mistero per chiarire un fatto così semplice, e se pur crede di dover sentire l'opinione d'un medico, non va in persona a casa di lui… lo chiama a casa sua, e se non è del paese, lo fa venire all'albergo. Onde, senza ch'ella glielo dicesse, egli avrebbe indovinato ch'ella aveva le sue ragioni per agire così… Pazienza!… A ogni modo, egli l'avrebbe creduta una forestiera, una francese, perch'ell'era deliberata di parlargli francese, e confidava che la sua pronuncia perfetta l'avrebbe tratto in inganno. Ma com'era doloroso per lei, per lei franca, schietta, leale, questa necessità di ricorrere a continui sotterfugi!

Il fiacre si fermò, il cocchiere saltò da cassetta.

—Piazza Beccaria?—chiese macchinalmente la Teresa.

—Sissignora, numero cinque—replicò il fiaccheraio. E l'aiutò a scendere.—Aspetto qui?

Ella fece un segno affermativo col capo ed entrò in un portone che aveva due grandi cariatidi ai lati.

Passando per la portineria ella domandò:

—Il dottor Boni?

—Seconda scala, a destra, primo piano—rispose dal fondo dei suo bugigattolo una voce irrugginita.

La scala, in quella giornata buia, era illuminata da una lampada elettrica. Un tappeto, alquanto logoro, ne copriva gli scalini. Dopo la prima branca, sul pianerottolo, c'era un sedile di velluto cremisi. Al sommo della seconda scala una porta s'aperse, forse per un segnale dato dal basso, e un servitore in livrea accolse rispettosamente la visitatrice e la introdusse in un'anticamera ove alcune donne aspettavano sedute. Nessuna si alzò, ma tutte fissarono con curiosità la nuova arrivata, dal vestito così elegante, dal portamento così signorile. Anch'ella sedette nell'angolo d'un divano e guardò le sue compagne di dolore. Erano quattro in tutte; due parevano popolane, giovani ancora, ma d'una giovinezza sfiorita dalle fatiche e dalle privazioni; d'una terza, incappucciata dalla testa ai piedi, non si avrebbe potuto indovinare nè l'età, nè la condizione; la quarta, all'aspetto, doveva appartenere alla piccola borghesia; mostrava una trentina d'anni, aveva la fisonomia dolce e malinconica di persona avvezza e rassegnata a soffrire; vestiva dimessa, ma non senza un certo decoro.

Si udì, dal di fuori, un rintocco di campanello, e gli occhi di quelle donne aspettanti si volsero tutti verso un uscio laterale, dissimulato da una pesante portiera di stoffa.

Di lì a pochi secondi il cameriere in livrea sollevò la portiera, e tenendosi immobile sulla soglia accennò alla Valdengo. Ella, ch'era l'ultima arrivata, girò gli occhi intorno dubbiosa; le altre mormorarono ostili. Ma il cameriere rinnovò il segno, ed ella si fece innanzi.

—Avanti, avanti—disse l'uomo, senza curarsi delle proteste.

—Perch'è una signora—borbottò stizzosamente la femmina incappucciata.

—S'intende… ungerà la ruota—soggiunsero le due popolane.

Solo la modesta borghese non aperse bocca, ma una lacrima silenziosa le inumidì la pupilla.

La portiera si riabbassò; la Teresa, sempre preceduta dal servo, percorse un andito breve, una delle cui pareti era fatta di cristalli appannati; un altro uscio si aperse ed ella si trovò al cospetto del dottor Boni in persona che la invitò cortesemente a sedere.

Ella lo aveva creduto vecchio e non era; poteva avere tutt'al più cinquant'anni. Aveva statura giusta, fronte spaziosa, barba e capelli appena brizzolati, occhi da miope, grigi, intelligentissimi… Ah quegli occhi quante cose dovevano aver visto, quanti segreti dovevano aver penetrato!

Ritto dinanzi alla sua cliente, egli la interrogava con lo sguardo. Ella, turbatissima in quell'ora decisiva della sua vita, aveva come paralizzata la lingua.

—Si ricomponga, signora—egli disse, sedendole accanto.—Desidera prender qualche cosa? Dell'acqua? Del marsala?

Ella fece segno che non aveva bisogno di nulla. E gli chiese:

Vous parlez français?

Il dottore rispose di sì, pur dubitando, nonostante il correttissimo accento, ch'ella si servisse d'una lingua non sua.

La Teresa intanto, sempre in francese, cominciò a descrivere i disturbi di cui soffriva da alcuni giorni.

Il dottor Boni l'ascoltava con attenzione benevola. Non lo imbarazzava la diagnosi del male di cui gli si esponevano i sintomi. Più difficile gli riusciva invece di farsi un'idea esatta della signora che ricorreva al suo consiglio. Non un'avventuriera, egli sarebbe stato pronto a giurarlo; anzi, secondo tutte le apparenze, una signora molto per bene che aveva qualche forte ragione per nascondere il vero esser suo; perch'ella non era francese, il dottor Boni avrebbe giurato anche questo; era italiana come lui, sebbene non certo milanese, non lombarda… Del resto, con un po' di furberia, gli sarebbe riuscito di scavar terreno. Ma egli era troppo pratico dell'arte sua da non sapere che la discrezione è uno dei requisiti più necessari del medico.

E le prime parole ch'egli le indirizzò quand'ella ebbe finito parvero più ch'altro intese a schermirsi dall'obbligo di pronunziare un responso assoluto.

—Niente di grave, niente che debba impensierirla… Fenomeni transitorî… naturali… Ma, scusi, lei resta assente per un pezzo da casa sua?

—Nossignore.

—Ebbene… quest'assenza io le consiglierei d'abbreviarla ancora… La quiete sarebbe il migliore dei rimedi… La quiete ed il tempo… Il suo medico, che certo la conosce a fondo…

—Mi perdoni—interruppe la Teresa Valdengo, e ormai la sua voce era ferma—io sono venuta da lei per sapere positivamente la causa del malessere che mi turba… Vorrei ch'ella me lo dicesse senza frasi ambigue.

Il dottor Boni chinò il capo rassegnato.

—Allora, mi permetta qualche interrogazione.

—Sono a' suoi ordini.

Chiariti alcuni punti d'indole tecnica, il medico domandò:

—La signora ha già avuto bambini?

Ella ormai sentiva quale sarebbe stato il verdetto, sentiva che tutto quanto era perduto; nondimeno, irrigiditasi in uno sforzo supremo, rispose:

—No… ebbi uno sconcerto pochi mesi, dopo sposata… sedici o diciassett'anni fa…

—Sposata da più di diciassett'anni!—esclamò Boni con sincera meraviglia. Ma capì che il momento non era propizio alla galanteria, e soggiunse:—E… da quel tempo in poi… nulla?

—Nulla.

—Dunque c'era un marito—pensò fra sè il dottore.—Sta a vedere se c'è più.

Indi continuò a voce alta:—In ogni modo son casi che succedono… anche con intervalli più lunghi.

—Sicch'ella è d'opinione?…—riprese la Teresa dopo un breve silenzio.

—Per me non c'è il minimo dubbio—replicò il dottore—a meno ch'ella non mi assicurasse che non può essere.

Ella ebbe un gesto che significava: Può essere.

—Non ha consultato nessuno prima di me?—chiese il dottor Boni proseguendo il suo interrogatorio.

—Nessuno.

—Certo i sintomi l'hanno sorpresa durante il viaggio?

—Appunto.

—Ebbene, quand'ella sarà rimpatriata, il suo medico le ripeterà quello che le ho detto io… Son mali che guariscono da sè… Non c'è che da aspettare… E, almeno in principio, convien evitare ogni movimento eccessivo, evitar le emozioni… Ella mi assicurò che la sua assenza non durerà molto…

—No.

—Nè il ritorno sarà troppo lungo, troppo faticoso?

—No.

Egli non insistette. Disse solamente:

—Se vuole, le ordino un calmante.

—E per quelle insonnie, quelle insonnie terribili?

—Ci va soggetta, mi pare?—chiese il dottore tenendo la penna sospesa fra le dita.

—Da un pezzo… Prendevo il cloralio.

—Posso ordinarle anche quello… in piccola dose… Io non ho simpatia per questi veleni.

Completò la ricetta e gliela porse.

—Grazie—ella disse ripiegando la carta e riponendola in un elegante portamonete. Nello stesso tempo tolse di tasca una busta già preparata e la consegnò al dottor Boni.

Fece per rialzarsi, ma le forze la tradirono, e ricadde sulla sedia. Era livida.

Il medico le fece aspirare una boccetta di sali, la indusse a bevere alcune goccie d'un tonico.

—Non è niente—disse la Teresa passandosi la mano sulla fronte e levandosi in piedi. Le gambe le tremavano; pur si reggeva da sè. E soggiunse:—Sono disturbi inerenti al mio stato, non è vero?

Egli accennò di sì.

A lei errava un sorriso enigmatico sulle labbra esangui.

L'altro capiva che non erano soltanto disturbi fisici; che, a ogni modo, i disturbi fisici erano inaspriti da una grande angoscia morale. Capiva che la dichiarazione strappatagli da quella povera donna aveva esercitato sopra di lei un'influenza sinistra, sentiva inevitabile un dramma di cui forse egli non avrebbe conosciuto mai i particolari, ma di cui credeva di poter indovinare a un dipresso i personaggi e la tela: due coniugi separati di fatto; un marito pronto a valersi di ogni arma contro la compagna infedele; una moglie impreparata all'onta che le pendeva sul capo; un amante atterrito dalla nuova responsabilità che lo minacciava e impaziente di scuotere un giogo che diveniva troppo pesante; dei figli forse, dei figli legittimi che non avrebbero mai perdonato il fallo materno… Povera, povera donna!… Del resto, che colpa ne aveva lui, il medico? Un suo responso diverso avrebbe mutato la condizione delle cose? Avrebbe impedito alla verità di venire in luce? E, infine, non aveva quella signora voluto saper tutto a ogni costo?

—Ha la carrozza?—egli chiese con sollecitudine.

—Sì, grazie.

—Perchè… posso farla accompagnare—soggiunse il dottore mentre suonava il campanello.

—Oh no, no—disse pronta la Teresa, agganciandosi un guanto. Abbassò la veletta e s'accommiatò con un inchino.

Tenendo sollevata la portiera, il dottor Boni fece un cenno al domestico. Questi mostrò d'avere inteso e precedette la signora lungo il corridoio e fin giù per le scale.

—Se non c'ero io—susurrò lo strisciante lacchè—la signora contessa aspetterebbe ancora nell'anticamera.—Il titolo era buttato lì a caso, in omaggio alla massima: Melius abundare quam deficere.

La Valdengo, turbata com'era, sulle prime non capiva.

L'altro si decise a mettere i punti sugl' i.

—Il dottore vuole che si rispetti il turno… La signora contessa era l'ultima arrivata.

—È vero—balbettò la Teresa, e ormai parlava in italiano.—Non era giusto ch'io passassi avanti.

E pensò a quelle donne che avevano diritto di esser ricevute prima di lei e il cui tempo era più prezioso del suo; perchè la loro mancanza dalla casa voleva dire il disordine nella famiglia, la loro mancanza dall'officina voleva dire una giornata di salario perduta. Sempre, sempre le disuguaglianze sociali; persino nella malattia, nella morte, nella vergogna!

—Ma bisogna saper distinguere le persone—riprese il servo con un'aria da cui traspariva la serena coscienza dei propri meriti.

E poich'erano sotto il portone che dava sulla strada, soggiunse:—La signora contessa ha ordinato al suo cocchiere d'attenderla qui? Non vedo nessun legno.

—Ma sì… Dev'essere quel fiacre, dall'altra parte.

—Ah… è un fiacre?—disse l'uomo alquanto sconcertato dalla rivelazione. Egli s'aspettava di veder almeno una carrozza di rimessa.

Intanto il vetturino, ravvisata la Teresa, aveva scosso le briglie sul collo al cavallo.

Fermo che fu davanti al portone, scese di cassetta con l'ombrello aperto.

Il servo del dottore rinnovò i suoi salamelecchi, che divennero più umili e più ossequiosi quando la Valdengo, senza nemmeno guardarlo in faccia, gli ebbe messo in mano un biglietto da cinque lire.

—All'albergo?—domandò il fiaccheraio.

—No, prima al telegrafo.

Parlava come trasognata, con una voce che non le pareva la sua; agiva come un automa serbando la chiara coscienza di due cose sole, avendo chiare nella mente due sole idee: ch'ella era perduta e che doveva morire col suo segreto.

L'ufficio telegrafico era pieno di gente, ed ella fu costretta ad aspettar qualche minuto per scrivere e consegnare un dispaccio diretto alla sua cameriera, con l'annuncio che domani sarebbe arrivata a Venezia verso le sette pomeridiane e con l'ordine a lei e alla cuoca di precederla in città e di farle trovare il desinare pronto e la stufa accesa.

Risalì in vettura e ne discese ancora una volta, davanti a una farmacia. Voleva consegnar ella stessa la ricetta del dottor Boni.

—Se ci dà il suo indirizzo?—le dissero.

—Ci sarebbe da attendere un pezzo?

—Oh no… ci si spiccia in un momento.

—Attendo.

Il garzone di farmacia le additò una sedia. Un medico giovine la fissò con l'occhialino.

Entrarono tre o quattro persone: una donna con un bambino che soffriva d'occhi, un servo gallonato con una chiamata d'urgenza per un dottore, un artigiano che voleva un pezzo di cerotto per un taglio… Tutti guardavano curiosamente quella signora velata.

—Ecco—disse il farmacista porgendole due boccette, involte in due pezzi di carta. E soggiunse:—La ricetta desidera tenerla lei?

—Sì—ella rispose; intascò ogni cosa, pagò, uscì. L'esodo era finito.

Di lì a poco ella si trovava sola nella sua triste camera d'albergo. E pioveva, pioveva sempre.

XVII.

Non c'era rimedio; ella doveva morire. Ma come? ma quando? Non in quella triste camera d'albergo, non fuori della sua città, non fuori della sua casa, non senza aver disposto prima di ciò che possedeva. Eredi necessari ella non ne aveva; fra i suoi parenti ce ne erano di ricchi e di meno agiati; non era giusto che la sua successione andasse distribuita fra tutti in egual misura. E oltre ai parenti non aveva ella qualche persona amica da ricordare, qualche persona amica da beneficare? La bontà, ch'era il fondo del suo carattere, le faceva, nello stato angoscioso del suo animo, trovare un conforto al pensiero di coloro che per effetto della sua morte avrebbero migliorato alquanto le proprie condizioni. Questi almeno avrebbero detto:—Povera Teresa!

E per lui, per l'uomo al quale, in una incomprensibile sorpresa dei sensi, ell'aveva sacrificato il suo pudore e il suo orgoglio, per lui non avrebbe lasciato una memoria, un saluto, un rimprovero? La notizia che la Teresa Valdengo era morta doveva giungergli laggiù nei mari lontani senza una parola di lei, senz'altre spiegazioni, senz'altri commenti, tranne quelli delle gazzette? Ma, scrivendogli, che avrebbe potuto dirgli?… Gli avrebbe detto tutto?… Anche il segreto ch'ella voleva portar nella tomba?… A che prò? Per avvelenargli l'anima con un rimorso più grande? Non era già espiazione maggiore della colpa ch'egli la credesse morta per cagion sua?… Perchè la colpa di Guido di Reana era lieve, era pari a quella di cento, di mille giovani della sua età che cercano il piacere dove lo trovano. Ella sola non aveva scusa, ella che aveva l'obbligo di sapere e di prevenire.

E Mario Vergalli, l'amico leale, il vero, l'unico amico, non lo avrebb'ella aspettato prima di porre ad effetto il suo divisamento? Poichè gli preparava un così acerbo dolore non gli avrebbe dato il conforto di dirgli ch'era pentita di non aver, già da tempo, accolta la sua onesta profferta?… Sì, ma che necessità c'era di dirglielo a voce? Non era meglio scriverglielo insieme alla piena confessione de' suoi traviamenti? Perchè mostrarsi a lui così diversa da quella ch'egli aveva lasciata, così scaduta, almeno le pareva, anche fisicamente, e forse coi segni sul viso di ciò che a lui pure ella voleva nascondere?

Ella rammentò l'ultima lettera di Mario. Egli fissava circa pel 20 del mese la data del suo ritorno. E non era adesso che il 7. Ella non aveva bisogno di decidersi così presto… Già ella non voleva uscir dalla vita come un codardo che fugge, ma come un forte che sente vana la lotta e piega il capo al destino.

Sempre assorta in un pensiero che le si affacciava sotto cento forme diverse, ella badava appena a quello che succedeva intorno a lei. In quella cupa giornata di novembre la notte era discesa precipitosa; poco dopo le cinque la cameriera dell'albergo era entrata ad accendere il lume, a chiuder le imposte, a domandare alla misteriosa forestiera che cosa desiderasse da pranzo e a che ora volesse esser servita. E, senza dubbio, la Teresa aveva detto:—Alle sette—; senza dubbio ell'aveva ordinato una tazza di brodo ristretto, un'ala di pollo, un frutto, un dito di vino; perchè alle sette in punto la cameriera era ricomparsa portando seco sopra un vassoio l'ala di pollo, la frutta, la tazza di brodo, il quinto di vino.

—Non mangia nulla la signora! Sta poco bene?—Queste parole erano state sicuramente dirette alla Valdengo, che non si ricordava se avesse risposto e che avesse risposto…

Alle sette e mezzo della tavola improvvisata non restava traccia alcuna; però qualche cosa la Teresa doveva aver preso; glielo dicevano le nausee rivelatrici, sempre più violente dopo ogni boccone mangiato. Con la testa arrovesciata sul canapè, con gli occhi semichiusi, perchè così aveva l'illusione di soffrir meno, ella cercava d'ingannare il tempo, il tempo che non passava mai, cercava di far arrivare un'ora ragionevole per coricarsi.

In certi momenti le sembrava che tutto dovess'essere un sogno; un sogno il suo viaggio a Milano, un sogno la sua visita al medico, un sogno la sua presenza in quella camera d'albergo. La donna abbandonata lì sul canapè in preda a strazi fisici e morali era un'altra, una dalle tante martoriate del mondo; era un'altra la donna risoluta a morire. Ell'aveva bensì commesso un fallo, ma il suo fallo non aveva conseguenze; con gli anni ell'avrebbe potuto dimenticarlo.

Fugaci allucinazioni dei sensi! Era lei che soffriva, era lei che espiava!

Andò a letto alle nove. La boccetta del cloralio era sul comodino. Ma nell'atto di vuotarla nel bicchiere parve alla Teresa che alcuno le fermasse la mano. Un lampo sinistro aveva attraversato la sua anima. Se il poco liquido chiuso nella piccola ampolla le assicurava il riposo d'una notte, non avrebbero potuto più dosi accumulate darle un ben altro riposo? O come mai l'era sfuggito dalla mente un fatto accaduto anni addietro a Venezia, d'una signora che aveva voluto morire così? S'era addormentata per non svegliarsi. Oh il dolce suicidio, senza spasimi, senza contrazioni, senza dolori!

Fino allora la Teresa aveva detto soltanto:

—Bisogna morire.

Ma restavano i due grandi problemi:—Come? Quando?—Ed ecco che a una delle due interrogazioni ella trovava risposta. Al pari della signora di cui non le risovveniva più il nome, avrebbe accumulate le dosi del cloralio sin da averne raccolto la quantità che sarebbe bastata ad ucciderla.

Passò una notte insonne, non però troppo agitata. Forse le aveva giovato il calmante ordinatole dal dottor Boni e preso sul far della sera; forse della morte, non lontana ma non imminente, ella pregustava la pace senza provarne ancora i terrori. E anche i suoi vicini di camera erano meno inquieti quella notte: quando il tintinnio dei primi campanelli eccheggiò negli anditi era già l'alba.

—Fa bel tempo oggi—disse la cameriera dell'albergo entrando nella stanza.

E aprì la finestra. Dirimpetto, la facciata del Palazzo Marino era illuminata dal sole.

La Teresa si alzò, avvertì che sarebbe partita col diretto dell'una, mandò alla farmacia con la ricetta del cloralio perchè le rinnovassero la pozione, e poich'ebbe avuta la boccettina la ripose gelosamente nella sacca da viaggio insieme all'altra ch'era rimasta intatta. Quella sera stessa, a Venezia, ne avrebbe versato il contenuto in una bottiglia più grande, e così avrebbe fatto nelle sere successive per una, per due settimane… Pur l'angustiava un dubbio… Quante dosi le sarebbero occorse per ottenere l'effetto? Non troppe a ogni modo, se i medici somministravano il rimedio con una tal quale ripugnanza e solo in dosi minuscole.—Io non ho simpatia per questi veleni—s'era lasciato scappar di bocca il dottor Boni, non supponendo di che pensieri quella frase gittata lì a caso avrebbe deposto il germe nella sua ascoltatrice.

E anche oggi, come ieri, dopo le dieci del mattino la piazza di San Fedele cominciò ad animarsi per l'arrivo dei corteggi nuziali che si recavano al Municipio. Ma ieri quegli sposi, quei parenti, quei testimoni che scendevano dalle vetture rattrappiti sotto gli ombrelli e coi piedi nel fango avevano un aspetto grottesco; oggi le nuove maritate, riaffacciandosi dopo il sì irrevocabile al portone del palazzo, entravano baldanzose nel sole.—Per qualcheduno la vita è bella—sospirava la Teresa. Ella doveva morire… Non per il suo fallo (quanti suicidi ci sarebbero al mondo!), non per la vergogna, non per lo scandalo, ch'ell'avrebbe accettati se non avessero colpito che lei; doveva morire per risparmiare il dono fatale dell'esistenza a una creatura innocente a cui gli ipocriti e i vili avrebbero rinfacciato l'irregolarità della nascita e che forse un giorno ne avrebbe chiesto conto a sua madre, che forse, anche amandola, non l'avrebbe stimata, che certo non avrebbe mai potuto perdonare a un'altra persona … se pur ne avesse sempre ignorato il nome… Ed era presumibile che l'ignorasse?… No, no; c'era un'unica uscita; la morte.

Verso mezzogiorno il direttore dell'albergo picchiò all'uscio.

—Desidera approfittar del nostro omnibus, o preferisce che chiamiamo una vettura—egli domandò alla Teresa.

—Chiamino la vettura—ella disse—e la mettano nel conto.

—E il biglietto della ferrovia lo ha?

—No.

—Se vuole, poichè c'è tempo, possiamo mandar subito a prenderglielo in Galleria.

—Grazie.

—Un primo per Venezia, non è vero?

—Sì… Non so quanto costi precisamente.

—Trentatre lire giuste… Ma non si confonda. Mettiamo nel conto anche queste.

—E mi raccomando di non farmi perder la corsa.

—Si figuri!

Alle dodici e mezzo, tra i profondi inchini della servitù a cui era stata larga di mancie, la Teresa Valdengo montava nel fiacre … Addio, Milano!… Ella sapeva bene che non vi sarebbe tornata mai più.

XVIII.

Erano circa le dieci del mattino. La Teresa, in veste da camera, nel suo salottino verde, sfogliava le lettere e i giornali che la posta aveva portati durante la sua breve assenza e a cui ell'aveva appena data un'occhiata la sera precedente. Già aveva visto subito che fra quelle lettere non ce n'era nè di Mario Vergalli nè di Guido di Reana. Il silenzio di Vergalli la stupiva: circa a Guido ella pensava con amarezza:—Quello lì ha bell'e dimenticato.—Era ingiusta, perchè il Colombo non toccava terra prima di Porto Said e una lettera scritta di là non poteva ancora esser giunta.

Curva dinanzi alla stufa, la cameriera attizzava silenziosamente il fuoco.

—Non arde?—domandò la signora.

—Ora sì—rispose la Luisa. E alzandosi in piedi, soggiunse:—Comanda altro?

—Nulla… Sì… a proposito… Non occorre dire alla gente della mia gita a Milano… Torno dalla campagna, ecco.

La cameriera chinò il capo:—Come la signora vuole.

In quella si udì una scampanellata alla porta di strada e la Luisa corse a veder chi fosse.

Rientrò di lì a un momento rossa in viso, trafelata:—Signora, signora, c'è il conte Mario.

La Teresa sentì rimescolarsi il sangue. Non se lo aspettava così, senza una riga che lo annunziasse. Nell'eccitamento de' suoi nervi, le parve indiscreto quell'arrivo improvviso, le parve che Vergalli avesse l'aria di voler sorprenderla, di voler togliere il merito della spontaneità alla confessione dolorosa ch'ella si proponeva di fargli.

E il suo cuore si rinchiuse in sè stesso, e quand'egli si precipitò nella stanza, le sue labbra non trovarono che un freddo saluto, le sue mani, le ceree mani dimagrite, ricambiarono mollemente la stretta vigorosa dell'amico, reduce dopo circa tre mesi di lontananza.

—Teresa, che cos'avete?—egli le domandò turbato, più che dalla strana accoglienza, dall'aspetto mutato e sofferente di lei.—Non istate bene?

—Non è niente—ella rispose invitandolo a sedere e abbozzando un languido sorriso.—Mi avete fatto paura.

—Io?

—Siete piombato qui come un fulmine.

Anche a lui si stese una nuvola sulla fronte, ed egli balbettò:—Ma… se vi disturbo…

—Via… che discorsi?—ella riprese trattenendolo con un gesto.—Ditemi piuttosto quando siete arrivato…

—Stanotte… anzi stamattina, alle cinque, da Milano…

—Da Milano?—ella esclamò, pensando che forse egli era in quella città contemporaneamente a lei e che si sarebbero potuti incontrare.

—Sì… Non mi son fermato che tra una corsa e l'altra. Arrivavo dalla via del Gottardo… Vengo dall'Olanda tutto d'un fiato… E vi credevo a Mogliano… L'ultima vostra lettera mi avvisava della vostra partenza per la villa… Tardi partivate quest'anno… Ero deciso di farvi una visita in campagna oggi stesso… Però volli passar prima da casa vostra per sentire se mai foste tornata.

—Sì… sono tornata—ella ripetè, guardando da un'altra parte. Le doleva il nascondergli la sua gita a Milano; ma più la sgomentava il pensiero delle spiegazioni ch'egli le avrebbe chieste. Preferì interrogarlo.—Perchè non mandare una riga?

—Non so…. Fu una risoluzione presa lì per lì.

—In fatti, secondo le vostre lettere dall'Aja, non dovevate essere a Venezia che al 20 del mese.

—Ho anticipato, è vero… Mi s'era cacciata addosso una di quelle impazienze che non si possono frenare. Già ero stato assente più del solito.

—Avete visto molte cose… molti paesi nuovi.

—Di nuovo non ho visto che l'Olanda… Ma nei luoghi che conoscevo ho trovato tanti cambiamenti!… Tutto cambia, tutto si trasforma.

—Tutto!—ella sospirò.—Mi discorrerete del vostro viaggio.

—Abbiamo tempo… Ma voi Teresa—riprese Vergalli cercando la mano dell'amica—ma voi, siate sincera, che cos'avete?

—Che cosa debbo avere?—ella ribattè un po' infastidita.—Non è amabile, sapete, il far capire a una signora ch'ella è malandata.

—O che c'entra l'amabilità?… Ci possono esser cerimonie fra noi due?… Anche un cieco s'accorgerebbe che non istate bene.

—Ho avuto un'indisposizione di nessun conto. Adesso sono guarita.

—Sarà—soggiunse il conte Mario tentennando il capo.—Tuttavia…

—Tuttavia—ella disse, fingendo di prender la cosa in celia—non ho l'apparenza fiorente… Eh, caro Vergalli, gli uomini devono essere preparati a queste sorprese sgradevoli dalle donne della mia età… Le lasciano giovani e di lì a un mese le trovano vecchie.

—Vecchia, voi?

—Ho trentott'anni sonati.

Egli si strinse nelle spalle.—Se siete vecchia voi a trent'otto anni, io sarò addirittura decrepito… Gli è che siete pallida, che avete gli occhi pesti, che sembrate stanca, affranta….

—Oh insomma, corvo dalle male nuove, volete finirla?—ella interruppe alzandosi dalla sedia e avvicinandosi alla finestra.

Egli pure si alzò e la seguì, le cinse amorevolmente con un braccio la vita, e poich'ella tentava ritrarsi—Non abbiate paura—le disse.—Dovreste esser persuasa che la mia affezione per voi è altrettanto disinteressata quanto profonda.

La Teresa assentì con un cenno del capo.

—Ebbene, in nome di quest'affezione, io non vi domando oggi che una cosa sola: curate la vostra salute. Dopo la morte del dottor Pozzi, voi siete rimasta senza medico… credo almeno…

—La gran disgrazia!

Vergalli continuò:

—Sceglietene uno di vostra fiducia… Cerchiamo insieme…

—No, no, no—ella rispose reagendo contro la commozione che la vinceva al suono di quella voce così dolce nella sua gravità triste e solenne. Ed ella sentiva che qualunque altra cosa egli le avesse chiesto in quel momento ella gliel'avrebbe accordata. Ma questa no. Non avrebbe chiamato un medico, non avrebbe subito un nuovo interrogatorio umiliante.—Non insistete, Vergalli, non voglio saperne di medici.

E allontanandosi da lui si rimise a sedere.

—Siete strana, Teresa, molto strana… Non vi conoscevo così.

—Non si conosce a fondo nessuno. Non si conosce neanche sè stessi—ella borbottò fra i denti.

—Mi fate tanto male—egli soggiunse.—Torno da un lungo viaggio, corro a questa casa ch'era il mio rifugio, il nido della mia anima, corro dall'amica per la quale avrei dato fin l'ultima stilla del mio sangue, e m'accorgo subito che non ho più nido, che non ho più amica.

La Teresa lo guardò con infinita malinconia.

—Perchè dite questo?

Seduto presso al tavolino, con la faccia nascosta fra le mani, egli, come se le parole di lei non gli fossero giunte all'orecchio, riprese quasi parlando a sè medesimo:

—Oh, non è un colpo improvviso… Già le vostre lettere erano un avvertimento…

—Le mie lettere?… Che vi scrivevo?—ella esclamò sgomentata.

—Non erano le vostre lettere d'una volta—egli replicò—le vostre lettere belle, serene, trasparenti come l'anima vostra, come la vostra fisonomia… Nell'aprirle tremavo… Sentivo che qualcheduno s'era posto fra noi… sentivo che non mi dicevate tutto… Era meglio non dirmi nulla… o dirmi tutto… Già, anche lontano, le indiscrezioni arrivano…

—Quali indiscrezioni?—ella balbettò con un filo di voce. Capiva che la sua domanda era sciocca, ipocrita quasi, capiva che la confessione schietta, sincera, era la sola degna di lei… e pur nell'istante decisivo gliene mancava il coraggio.

—Oh!—fec'egli, alzando lentamente gli occhi in cui tremolava una lacrima—gli amici zelanti non mancano mai… nemmeno a chi vive solo e sdegnoso.

Vergalli raccolse tutte le sue forze per un'interrogazione suprema.

—Dite la verità, Teresa, quell'ufficiale l'avete amato?

Dio, Dio, che momento terribile per la Teresa!… E che poteva ella rispondere, ella che, prima e dopo della partenza di Guido di Reana, aveva invano rivolto un'identica domanda a sè stessa? Era amore quello che l'aveva spinta in braccio di Guido?… E se non erano amore quei baci, quelle carezze ricambiate, che cos'erano mai? Come scusare se non con l'amore quell'assoluto abbandono di sè?

Ella taceva.

—Oh!—proseguì Vergalli nell'angoscia di quel silenzio rivelatore.—Io dicevo: Il mondo è tanto cattivo… è così pronto a giudicar dalle apparenze… Li avranno visti insieme;… egli, come accade sempre alla sua età, le avrà fatto la corte; ella, trattandosi d'un ragazzo, avrà preso la cosa in ischerzo, e la gente, che trova una voluttà perversa a straziar le migliori riputazioni, si sarà affrettata a concludere: Ah finalmente, anche lei, la irreprensibile, la purissima, anche lei ha un'amante… Questo io mi dicevo…. E dicevo anche: Ne rideremo insieme…

—Per carità, Vergali!, basta così—ella supplicò. Troppo soffriva, troppo soffrivano tutti e due.

—No che non basta—egli ribattè, cedendo a quella tendenza fatale che hanno gli uomini di tormentar le proprie ferite. E sia che volesse vuotare il calice sino alla feccia, sia che gli balenasse ancora un pallido raggio di speranza, soggiunse insidiosamente:—Del resto non sarà stato che un romanzetto sentimentale. Giudiziosa come siete, non avrete dato il vostro cuore a un fanciullo in modo da non poterlo riprendere.

Un sorriso amaro le sfiorò le labbra.

—Oh, il mio cuore!—ella mormorò.—So molto io dov'è il mio cuore!… C'è poi il cuore?

—Oh Teresa, Teresa, che linguaggio tenete?… C'è dunque di peggio?… Siete stata… sua?

Prima ch'egli potesse meravigliarsi seco medesimo d'aver tanto osato, ella, a voce bassa ma ferma, aveva risposto:—Sì.

La brutalità dell'inchiesta non l'aveva offesa. Quasi avrebbe ringraziato Vergalli d'aver trovato la formula che consentiva a lei di liberarsi con un monosillabo solo dal peso intollerabile che l'opprimeva.

Egli represse un gemito e dovette tenersi forte al piano della seggiola. Era come se avesse ricevuto una mazzata sul capo.

Due volte si provò a parlare e non gli venne fatto di articolare una sillaba. Due volte cercò i cari occhi fissi ostinatamente al suolo. Alla fine si alzò lento lento, prese il cappello che aveva deposto sopra un mobile e barcollando si avviò verso l'uscio.

—Ve ne andate?—ella susurrò ansiosamente.

Egli accennò di sì.

—E tornerete… Quando?

—Non so… Probabilmente riparto.

—Ripartite?

—Che devo fare?

—Non senz'avermi risalutata, spero… Arrivederci, Mario.

—Addio.

Ella fu a un punto di balzar dalla sedia, di corrergli dietro, di richiamarlo; ma le forze la tradirono. Non potè che esclamare:—Dio mio, Dio mio!

Vergalli era ormai fuori della stanza, scendeva come un ebbro la scala, non poteva udirla.

XIX.

Aveva disceso come un ebbro la scala, come un ebbro aveva percorso la strada fino a casa sua; s'era chiuso nel suo studio dicendo al servitore:

—Badate che non ci sono per nessuno.

Ah quel, quel della Teresa gli sonava dentro come un rintocco d'agonia, agitava nel suo animo un tumulto di sensazioni affannose che lo straziavano a gara. Vi sono malattie che portano lo sfacelo del corpo; così vi sono dolori che portano lo sfacelo dell'anima; non c'è parte che non ne resti ferita. Il conte Mario era colpito nel suo amore, nella sua fede, nel suo culto, nella sua vanità, nel suo orgoglio; tutto ciò che gli era più caro e più sacro, tutto quel breve monosillabo aveva scosso dalle fondamenta. Quella donna egli l'aveva adorata dal dì che l'aveva vista; l'aveva rispettata prima come moglie d'un amico, poi, quand'era rimasta vedova, le aveva offerto il suo nome e la sua fortuna; e poich'ella, aliena dal riprender marito, non aveva accolto le sue proposte, egli, povero sciocco, s'era contentato di ciò ch'ella gli dava, un'affezione calma, tranquilla, un'affezione che non ricambia ma permette l'amore. Mai egli aveva tentato di rompere il loro tacito accordo; un giorno solo, singolare atto d'audacia, aveva osato sfiorarle con le labbra i capelli, e dopo averne arrossito come un bambino, ne aveva chiesto perdono come un colpevole. Non doveva bastargli di aspirar la fragranza di quel fiore gentile? Non doveva bastargli di esser l'intimo fra gli amici, poichè a nessuno era concesso di più? Non doveva consolarlo quel pensiero che il Petrarca esprime in versi soavissimi:

Presso era 'l tempo dov'amor si scontra Con castitate, ed agli amanti è dato Sedersi insieme e dir che loro incontra?

Ahi, troppo presto il suo desiderio l'aveva invecchiata! Ecco, il fiore gentile s'era lasciato cogliere! Un ignoto era giunto, un adolescente quasi un fanciullo, e aveva trionfato di quell'austera virtù. Nè ella celava, nè attenuava il suo fallo. Aveva appartenuto a quell'adolescente, a quel fanciullo. Vergalli si dibatteva nelle smanie della gelosia, una folla d'immagini impure gli passava rapidamente dinanzi. La vedeva, l'amica irreprensibile, immacolata, la vedeva in braccio del seduttore; le labbra pudiche, che a lui si erano negate sempre, vibravano sotto i baci del giovinetto, gli occhi dolci, ov'egli non aveva mai sorpreso una fiamma meno che onesta nuotavano nella voluttà, tutta l'armonia della bella persona era turbata da quel delirio dei sensi che ci par così ignobile quando non siamo noi a destarlo… E pensieri anche peggiori torturavano Mario Vergalli. Era quello il primo amante della Valdengo? O non ne aveva avuti degli altri?… Che altri l'avessero insidiata, quest'era certo, ed egli si ricordava di qualcheduno che le aveva fatto una corte assidua, insistente… Ma se gli erano sorti dei dubbi, la Teresa li aveva dissipati così presto! Ed era tanta la fiducia ch'ella riusciva a inspirargli ch'egli non tardava a pentirsi de' suoi sospetti oltraggiosi… E dire che fors'ella mentiva, che forse co' suoi cicisbei si prendeva giuoco di lui, credulo e ingenuo! Vergalli rievocava i nomi e le figure di coloro la cui presenza in casa della Teresa gli aveva dato più ombra. Un tempo era stato Venosti Flavi, lo zio, col suo ghiribizzo di sposarla. Ella ne aveva riso con Mario.—Non isposo voi che mi siete caro e che stimo; vorreste che sposassi mio zio, col quale siamo agli antipodi in tutto?—Dopo s'era atteggiato a pretendente un forestiero, un tedesco, di modi eletti, di rara cultura; a questo era successo un comandante di marina, capitano di fregata, un bell'uomo, parlatore facondo, noto per una giovinezza avventurosa; e anche questo, scapolo impenitente, aveva dichiarato d'esser pronto a convertirsi al matrimonio per amore della simpatica vedovella. Ed ella aveva respinto lui, aveva respinto il tedesco, aveva respinto un pittore di grido, ripetendo sempre a Vergalli:—Non abbiate paura; se mi rimaritassi, sareste voi il prescelto.—E infatti tutti si dileguavano; egli solo le restava vicino come un cane fedele… E adesso un'idea orribile gli si affacciava alla mente sconvolta. Quei galanti, quei vagheggini s'erano dileguati per scoraggiamento o per sazietà? Ella che non li aveva voluti per mariti, aveva accondisceso ad averli per amanti?… Ma a questo punto l'eccesso dell'ingiuria provocò in lui un principio di reazione. O come mai la donna ideale poteva, nella sua fantasia insozzata, trasformarsi in una volgare Messalina? Ella, che oggi era così pronta alla confessione d'un fallo, avrebbe per anni ed anni coperto le sue sregolatezze con la maschera dell'ipocrisia? Ella che oggi portava in viso i segni della vergogna e del rimorso avrebbe saputo in passato serbarsi imperterrita, serena, ridente, come chi non ha neppur peccati di desiderio? E nessuno avrebbe scoperto nulla, nessuno dei felici avrebbe parlato, nessuno fra i tanti ricercatori di scandali avrebbe colto un indizio, slanciato un'accusa?… No, no, il sospetto era turpe ed assurdo. Prima che la cieca fatalità spingesse sulla sua via quell'ufficialetto, quel Guido di Reana, la Teresa non aveva fallito mai; ell'era veramente la creatura nobile ed alta che Mario Vergalli aveva posta in cima de' suoi pensieri, e per amor della quale egli aveva rinunciato alle attrattive della società, alle distrazioni della galanteria, alle gioie della famiglia, a tutto tranne al suo viaggio annuale… Oh se avesse rinunciato anche a quello!… Se l'estate scorsa, anzichè girar per l'Europa, fosse rimasto a Venezia, a consigliarla, a difenderla!… Guido di Reana avrebbe probabilmente avuto la sorte degli altri corteggiatori, ed egli, Vergalli, non avrebbe perduta, irremissibilmente perduta, la sua impareggiabile amica.

Gli occhi di lui si fissavano sopra una fotografia della Valdengo ch'egli teneva sempre sul suo tavolino. Era una fotografia di due anni addietro, e negl'intendimenti della Teresa doveva esser l'ultima ch'ella si sarebbe fatta fare prima d'avere i capelli bianchi… Invece, in ottobre, cedendo alle istanze di Guido, era tornata dal fotografo… ma, questo, Vergalli non lo sapeva. Il ritratto che egli aveva davanti a sè non gli era mai parso così bello… Oh la fronte limpida e onesta! Oh la bocca incantevole e sorridente in cui si maritavano insieme arguzia e bontà!… Dunque d'ora innanzi quella bocca, quella fronte, quello sguardo, egli doveva contentarsi di vederli così, nella fredda effigie fotografica; mai più li avrebbe visti rischiarati dalla luce interiore dell'anima, mai più avrebbe udito la cara voce soave… Se pure gli avvenimenti irreparabili non avessero alzato una barriera fra lui e la Teresa, se pur egli avesse potuto impor silenzio al suo risentimento, al suo orgoglio, alla sua dignità, come osar di comparirle dinanzi dopo averla lasciata in sì brusca maniera, senza attendere, senza chiedere una spiegazione?… S'egli avesse atteso, se avesse chiesto, chi sa che cosa ella gli avrebbe detto?… Perchè ella forse non era che una vittima, vittima di qualche violenza o di qualche insidia, e a lui non toccava di condannarla ma di vendicarla… Vendicarla? E come? Doveva correr sulle traccie di quel don Giovanni minuscolo viaggiante nei mari d'Oriente? O spedirgli fino in China o nel Giappone un cartello di sfida? Follie! Con che titolo si sarebbe fatto paladino della Valdengo?… Ma sapere almeno, sapere i particolari del triste dramma!… Certo sol che avesse voluto sobbillare la servitù gli sarebbe stato facile raccogliere una larga messe d'informazioni… Figuriamoci se una cameriera, se una cuoca non s'accorge delle tresche della padrona!… Ma questo mezzo ripugnava troppo a Vergalli… E con disgusto anche maggiore egli pensava alle allusioni velate dei falsi amici, ai pettegolezzi del club, ai conforti ipocriti che gli sarebbe toccato subire… Ah no! Mille volte meglio lasciar Venezia per sempre, andar lontano… Ma dove?… C'era un posto al mondo ove il suo dolore non l'avrebbe seguito?

Si picchiò all'uscio.

—Chi è?—gridò irosamente Vergalli.—Non ricevo nessuno.

—Ero io—rispose il domestico senza entrare.—Venivo a sentire se vuole il lume, se debbo rifonder legna nella stufa… e se pranza a casa… perchè… non c'è nulla.

Il conte Mario si ricordò allora soltanto che dopo il caffè della mattina non aveva preso neppure un bicchier d'acqua, allora soltanto avvertì che la stanza era quasi buia e quasi fredda.

—Pranzerò fuori—egli disse.—Accendete una candela nella mia camera.

Per solito il primo giorno ch'egli tornava da un viaggio, se la Teresa era a Venezia, egli desinava da lei; oggi egli cercò un restaurant di secondo ordine, e sedette a una tavola in disparte. Non aveva fame, ma era sfinito, e si sforzò di mangiar un boccone e di ingoiare un bicchiere di vino.

Pagato il conto, uscì senza uno scopo, senza una meta, deciso soltanto a evitar le vie frequentate, a non metter piede in piazza San Marco ove si sarebbe imbattuto in qualche conoscente.

Ma la precauzione gli giovò poco, che all'angolo d'una calle sentì mettersi una mano sulla spalla e chiamarsi a nome:

—Vergalli, o Vergalli!

XX.

Era Venosti Flavi. Non erano amici, tutt'altro; non avevano forse un'idea, un'opinione comune; ma si vedevano spesso al club, s'incontravano di tratto in tratto dalla Valdengo, e mantenevano fra loro quelle relazioni di buona società che possono assumere perfino le apparenze d'una cordiale dimestichezza. Convien aggiungere che il barone Amedeo, dopo che gli era passato lo strano ghiribizzo di sposar la nipote, aveva espresso il parere ch'ella dovesse almeno accettar l'offerta di Mario Vergalli. Egli non capiva che gusto ci trovasse la Teresa a tenersi attorno quell'adoratore platonico invece di farsene un marito che le avrebbe dato una posizione nel mondo.

È vero che non capiva nemmeno il gusto che aveva Vergalli a filare il sentimento … alla sua tenera età.

Comunque sia, quella sera il conte Mario dissimulò a fatica la noia che gli recava l'incontro.

L'altro non se ne diede per inteso.

—Bene arrivato—disse.

—Grazie.

—E… da quando?

—Da stamattina all'alba.

—È vero… Da stamattina…

—Lo sapevate?

—Sì.

—Come?

—Vengo da casa di mia nipote—soggiunse il barone.

—Ah!—fece Vergalli imporporandosi in viso.

—È molto deperita—riprese Venosti Flavi.

—Sì… forse…—balbettò il conte.

E si ricordò che al primo momento era parsa tanto deperita anche a lui, si ricordò che l'aveva supplicata di chiamare un medico. Poi non aveva insistito, assorto com'era nelle proprie sofferenze, nel proprio dolore.

Venosti continuò:

—A me non dà retta. Ma io le dissi: Ti persuaderà Vergalli a curarti… Sapete quel che mi ha risposto?… «Oh, Vergalli riparte. Non lo vedrò più…» È possibile?

—Non capisco perchè dica questo—borbottò Mario con manifesto imbarazzo.

—È assurdo, non è vero? Perchè, fra vecchi amici, se pur vi sono dei malintesi…

Mario Vergalli era sulle spine. Il barone parlava per conto proprio, o per incarico della Teresa? E come mai la Teresa si sarebbe confidata a un parente del quale non aveva nessuna stima, avrebbe scelto lui a intermediario d'una riconciliazione col suo amico più caro?… A ogni modo, poichè Venosti Flavi parlava del solo argomento che potesse interessare Vergalli, questi stava tutt'orecchi a sentirlo.

—Quella benedetta donna—proseguì l'amorevole zio—ha qualità eccezionali di cuore e d'ingegno, ma talvolta è aspra, tagliente…

—Non mi sembra—ribattè Mario, già disposto a difenderla.

—Sì, sì, anche contro sè stessa… Abbiate pazienza, Vergalli, io la conosco fin da bambina… Per una bravata, invece di chieder scusa d'un piccolo fallo, era capace di esagerarlo ad arte, era capace perfino d'accusarsi di colpe non commesse… E non si è corretta con gli anni… Ultimamente…

Qui Venosti si guardò intorno, abbassò la voce, e passò il braccio sotto quello del suo interlocutore.

—Ultimamente… non è un segreto per nessuno, nemmeno per voi ch'eravate lontano… mi disse lei che sapete tutto… ultimamente ell'ebbe il torto di lasciarsi far la corte da quell'ufficialetto di marina… quel di Reana… figliuolo di un'antica compagna di collegio, un ragazzo.

—In fin dei conti—insinuò Vergalli con uno sforzo—la signora Valdengo è padrona di sè… non ha obblighi verso nessuno…

—Sì e no… Verso di voi, per esempio…

—Nè verso di me, nè verso altri—replicò Mario Vergalli in tono reciso.

Il barone si strinse nelle spalle.

—Sarà come vi piace… Voglio dire soltanto che novantanove donne su cento si sarebbero lasciate far la corte quanto lei e più di lei, ma tutte avrebbero avuto certi riguardi, certe cautele… Nessuna avrebbe messo il suo amor proprio a sfidare l'opinione pubblica.

Il conte Mario s'agitava, cercava interrompere.

—Basta, Venosti…

—Tollera tanto l'opinione pubblica, ma non vuol essere sfidata… E badate che in questo caso io credo in coscienza che non ci sia stato nulla di grave… Senonchè mia nipote, mi par di sentirla, alla minima osservazione avrà preso fuoco e avrà ammesso il peggio.

Come Venosti s'ingannava! Come aveva torto di dire che conosceva sua nipote! Sì, forse con lui, con lo zio, nauseata di quella morale tutta di convenzione, la Teresa poteva aver ceduto ad un impeto subitaneo, aver risposto con l'alterezza di chi crede il suo fallo meno spregevole di certe virtù di parata. Ma non a quel modo aveva risposto a Vergalli; nel che con voce languida, quasi morente, ell'aveva lasciato cader dalle labbra, non c'era il vanto spavaldo di una colpa non commessa; c'era la confessione umile e penosa della caduta profonda e irreparabile.

Pure al conte Mario non era lecito di mostrarsi meno convinto dell'innocenza della Valdengo di quello che se ne mostrasse Venosti.

—Voi fantasticate—egli disse, e ogni parola gli costava una fatica immensa—donna Teresa non aveva niente da ammettere, e… almeno con me… non ha ammesso niente… Del resto, io son convinto al pari di voi ch'ella non abbia da rimproverarsi colpa alcuna.

—Tanto meglio—replicò il barone con aria un po' scettica,—Allora non sarà neanche difficile che facciate la pace.

—Non c'è da far pace quando non c'è stata guerra—osservò Vergalli.

—Meglio, meglio—ripetè Venosti Flavi,—Ma quest'è un'altra prova che mia nipote è un po' squilibrata e ha bisogno più che mai dell'indulgenza de' suoi amici. Se ne avesse perduto uno come voi, sarebbe una gran disgrazia.

Mario Vergalli taceva, smarrito dietro mille congetture. Perchè il barone Amedeo lo adulava in tal maniera? Che pretendeva da lui? Egli, il vero tipo dell'egoista volgare, poteva esser mosso da un affetto sincero verso la Teresa, poteva agire senza secondi fini?

—Non tocca a me a darvi consigli—riprese untuosamente il barone.—Fate quello che il cuore v'inspira… Nessuno ha sull'animo di mia nipote l'ascendente che avete voi… Se, imponendo silenzio anche alle vostre giuste suscettività, tornerete da lei, se le parlerete da amico, se le raccomanderete la calma, farete un'opera buona… Che non commetta pazzie, che non si condanni da sè… che non si isoli come uno che abbia la lebbra addosso. Io l'ho detto sempre che quella non era donna da viver sola… Perchè non s'è rimaritata? Le occasioni non le sarebbero mancate… Che non abbia voluto sposar me, transeat … Non eravamo adattati l'uno per l'altra, e anzi, io devo ringraziarla d'avermi risparmiato un solenne sproposito. Ma perchè non ha sposato voi?

—Son discorsi vani, caro Venosti—interruppe il conte Mario.

—D'accordo… forse oggi non la sposereste più, nemmeno se fosse lei a pregarvene… Credo tuttavia ch'ella non durerebbe fatica a trovare un marito… È ricca, è piacente, ha trentott'anni… figuriamoci se non troverebbe…

—E perchè no il sottotenentino di vascello?—saltò su il Vergalli con amara ironia. L'idea del matrimonio della Teresa gli faceva perdere il lume della ragione.

—Volete scherzare?—ripigliò Venosti.—Il sottotenentino di vascello!… Un fanciullo!… Un bel partito sarebbe!… No, no, a mia nipote conviene un uomo serio, posato, maturo…

—E affidereste a me l'ufficio di cercarlo?

—Nemmen per sogno… Si parla accademicamente, per l'interesse che portiamo tutti e due alla Teresa Valdengo… Dicevo quale sarebbe, secondo me, la linea di condotta ch'ella dovrebbe tenere.

—Donna Teresa non è una bambina—notò il conte Mario.—Sa regolarsi da sè.

—Bene, bene—fece Venosti a modo di conclusione.—Se ve ne lavate le mani voi, tanto più posso lavarmele io. E sarà quel che sarà… Davvero partite?

—È probabilissimo.

—Allora buon viaggio, e grazie d'esser venuto fin qui.

Senza porvi mente Mario Vergalli aveva accompagnato il barone Amedeo alla porta di casa.

—Vado a far toilette —disse questi.—Sono a cena dai Marvesi che festeggiano le loro nozze d'argento… Gran brava donna quella contessa Silvia! Ha saputo conservarsi il marito e gli amanti.

Il barone, ch'era d'umore espansivo, soggiunse, con un sorriso fatuo e misterioso:

—Saremo in cinque stasera, e se non fosse morto il povero Castellini si farebbe la mezza dozzina.

—Compreso il marito?

—Senza.

XXI.

Vergalli continuò a girar solo per strade poco frequentate, in preda a un'agitazione vivissima. Mai egli avrebbe creduto che un colloquio col barone Venosti Flavi potesse turbarlo così. Quell'uomo mediocre, vanitoso, volgare, mondano, che aveva sempre in bocca le sue relazioni titolate, i suoi príncipi forestieri, quell'uomo che per solito Mario non istava nemmeno a sentire, era riuscito oggi con le sue parole a insinuargli nel sangue un veleno sottile che gli bruciava le vene. Aveva destato in lui gli scrupoli della coscienza, aveva inasprito le smanie della gelosia, lo aveva reso più incerto che mai sulla via da seguire. Partire, e lasciar la Teresa malata, affranta d'animo e di corpo; partire perch'ella morisse senza di lui, o, peggio ancora (sì, peggio, giacchè gli amanti sono profondamente egoisti), perchè stringesse nuove amicizie, perchè, accettando il suggerimento dello zio commendatore, si decidesse a prender marito? Non bastava ch'ell'avesse appartenuto a quel di Reana? Ce n'era in serbo un secondo, uno sposo legittimo? Se almeno, allontanandosi, Mario avesse potuto ignorare! Ma la notizia di quelle nozze lo avrebbe raggiunto ovunque egli fosse, gli sarebbe forse venuta dalla Teresa medesima! Restare invece? Ma era concepibile di restare a Venezia e non andar da lei, e non vederla più che a caso, come una estranea, in compagnia d'altri, col rischio, s'ella si maritava, d'incontrarla per via insieme al consorte?… C'era sì un mezzo termine: quello di restare fingendo d'aver tutto perdonato, tutto dimenticato, e intanto vigilarla come una prigioniera, chiudere ogni spiraglio da cui potesse entrare un soffio d'aria nuova nella sua vita! Ma era una cosa ignobile, era una cosa vile, era il vero modo di guadagnarsi l'odio della persona di cui s'era invocato ardentemente l'amore!… Ah no, questo Mario Vergalli non lo avrebbe mai fatto; piuttosto…. Qui, al punto di fermar la mente sopra una soluzione eroica che lo avrebbe ricondotto ai piedi della Teresa, implorante ancora la grazia di farla sua moglie, egli sentì un impeto di rivolta nel sangue…. No, no, non era da pensarci…. tanto più che, chi sa, a questo forse miravano i discorsi tortuosi e avviluppati di Venosti Flavi…. Sua nipote s'era compromessa, sua nipote non era donna da portare con disinvoltura una così piccola disgrazia…. bisognava cercare un pietoso Cireneo, e se il Cireneo tentennava, farlo decidere eccitando la sua gelosia, agitandogli dinanzi lo spettro di altri pretendenti possibili…. L'idea era degna del barone Venosti, che probabilmente non l'aveva nemmeno comunicata alla Teresa troppo orgogliosa da prestarsi ad un giuoco simile…. Troppo orgogliosa? Tale era certo prima del fallo…. Se non fosse più tale ora? Se fiaccata dalla caduta, si piegasse ad artifizi già ripugnanti alla sua natura?… Ebbene, egli non avrebbe messo a repentaglio la sua dignità, egli, dei vari partiti che gli si offrivano, avrebbe adottato quello che, sebbene doloroso, lo difendeva meglio dalle insidie altrui e dalle debolezze proprie, avrebbe, l'indomani, lasciato Venezia.

Con questo proposito ritornò a casa ch'erano quasi le dieci. Avrebbe detto al cameriere di rifargli subito le valigie e di chiamarlo presto la mattina. Voleva prender la corsa delle dieci per Roma e Napoli. A Napoli si sarebbe imbarcato per l'Egitto.

Ma mentre stava per dar gli ordini i suoi occhi si posarono sopra una lettera ch'era sulla scrivania. Non ebbe bisogno di chiedere chi l'avesse mandata; chiese soltanto con emozione repressa:

—Quand'è venuta?

—Un paio d'ore fa—rispose il servo.

—Va bene…. Andate pure.

—Desidera nulla?

Mario restò dubbioso un istante; poi disse guardando l'orologio:—Aspettate di là…. Se prima delle dieci e mezzo non vi chiamo, potete coricarvi.

Appena fu solo, Mario Vergalli ruppe con mano tremante la busta ch'esalava il noto profumo di violetta.

Amico mio—gli scriveva la Teresa,— Probabilmente riparto, mi dicevate oggi nel lasciarmi. Non oso cercar di rimovervi dalla vostra idea, non voglio discuterla. Può darsi che abbiate ragione; può darsi che, dopo quanto è successo, la vostra risoluzione sia la più savia. Ma in nome dell'affetto che mi avete portato e che meritava migliore ricambio, vi supplico, Mario, prima della vostra partenza, di passare un'altra volta, un'ultima volta, da me…. Passate domani a qualunque ora vi piaccia. Sarò sempre in casa e non ci sarò che per voi. Non temete di nulla. Non voglio che vedervi, non voglio che domandarvi perdono d'aver spezzata la vostra esistenza…. Per colpevole ch'io vi sembri, esaudite questa preghiera suprema. V'aspetto, Mario.

TERESA.

Così ella scriveva, e Mario Vergalli, divorando le poche righe di cui la commozione aveva resi incerti e confusi i caratteri, sentiva fondersi la sua collera in una grande tenerezza, in una grande pietà. Povera e buona Teresa, che non sapeva se non accusare sè stessa e chieder perdono agli altri! E quest'era la donna ch'egli insozzava co' suoi sospetti, ch'egli, un momento prima, aveva creduto capace di bassi artifizi, ella che, spontanea, confessava il suo unico fallo, e non aveva una parola acerba pel vile abbandono dell'amico di quasi vent'anni? Ma, in verità, che diritto aveva Vergalli d'essere inesorabile con lei? Che diritto hanno gli uomini d'imporre al sesso più debole un'austerità di costumi ch'essi non si sognano di avere? Egli, Vergalli, il giudice inflessibile, dacchè conosceva la Teresa Valdengo, non aveva nulla a rimproverarsi? Sicuro…. per gli uomini la cosa è diversa;… ciò ch'essi dànno non importa il sacrifizio della loro dignità…. Eppure…. eppure questa disuguaglianza, che la natura ha iniziata, non fu ingigantita artificialmente dalle ipocrisie sociali, quelle ipocrisie medesime che tutto permettono e assolvono tutti, maschi e femmine, sol che si salvino le apparenze? Ah che mondo di tristi e codardi! Ecco, la Teresa Valdengo, libera, padrona delle sue azioni, era umiliata, reietta per un istante di oblio, mentre intorno a lei si pompeggiavano inchinate, invidiate le mogli adultere, le ragazze corrotte, le avventuriere che non furono mai nè ragazze nè mogli…. E a quante non aveva anch'egli in gioventù, schivo e sdegnoso com'era, a quante non aveva baciato la mano; a quante non aveva offerto il braccio per condurle trionfalmente in mezzo alla folla pigiata negli eleganti salotti!… Ah valeva proprio la pena di essersi emancipato a poco a poco dalle menzogne convenzionali, valeva la pena di far professione di filosofia per non trovare in sè che la severità del fariseo nel giorno in cui più sarebbe occorsa la equanimità dello stoico!…

Ohimè, questa equanimità calma e serena Mario Vergalli la invocava senza frutto. Egli amava troppo per poter essere equanime. Nella lunga notte insonne egli fu continuamente palleggiato da pensieri diversi. Ora tornava all'idea di partire, di partir subito, senza veder la Teresa, tutt'al più accommiatandosene con un bigliettino per iscusarsi s'evitava un colloquio che li avrebbe fatti soffrire tutti e due, per dirle ch'egli non le serbava rancore, per assicurarla che dovunque egli andasse l'avrebbe rammentata con dolcezza; ora invece la sua titubanza gli pareva un delitto e affrettava col desiderio il momento di poter essere ai piedi dell'amica; e avrebbe voluto balzar dal letto e correre sotto le finestre di lei e gridare:—Teresa, Teresa, son qui umiliato, contrito, pronto a morire per voi.—E intanto egli, l'uomo forte, egli giunto ormai all'età in cui si quetano le passioni, singhiozzava, gemeva, inzuppava di lacrime il capezzale. Quando la mattina si alzò e si guardò nello specchio, aveva la fisonomia sfatta, scomposta.—Oh, il bel damerino!—egli disse fra sè, contraendo le labbra a un sorriso doloroso. E, involontariamente, il suo pensiero corse all'altro, all'altro che aveva poco più di vent'anni e co' suoi vent'anni aveva trionfato. O giovinezza, giovinezza! Come presumere di gareggiar teco? Tu hai l'ali che volano, hai la luce che splende, hai la fiamma che brucia….

XXII.

La Teresa era sdraiata sull'ottomana. Al suono del noto passo ella si mise a sedere, annodò rapidamente la vestaglia, si ravviò con la mano i capelli, e un rossore fuggevole si dipinse sulle sue guancie smorte.

—Grazie, Vergalli—ella disse… E lo guardò… Era pallido anche lui, aveva le palpebre gonfie dall'insonnia e dal pianto, e il suo aspetto rivelava una sofferenza assidua e profonda.

Ella riprese, fissandolo con occhi dolci e pietosi:—Vi ho dato un gran dolore, non è vero, amico mio?

Mario Vergalli scosse il capo come chi vuol cacciar da sè una cura molesta.—Non parliamo del mio dolore…. Avevate ragione. Non posso partire senza avervi rivista.

—Quando partite?—ella chiese.

—Non so.

—Per dove?

—Non so—egli ripetè con voce sorda.

Ella congiunse palma a palma le mani diafane e sottili, ed esclamò:—Per colpa mia!

—Non lo dite…. Forse non ha colpa nessuno…. È il destino…. Dovevo non volere una cosa impossibile…. Allorchè vi proposi d'essere mia moglie e m'avete risposto di no, dovevo avere il coraggio di fare uno strappo e allontanarmi da voi.

Con le pupille fisse a terra, con le mani intrecciate sulle ginocchia, ella mormorava:—Perchè ho risposto di no?… Perchè?

Mario trasalì. Agitato da affetti contrari, il cuore gli martellava nel petto. Che senso avevano le parole di lei? Si offriva ella adesso, si offriva con le labbra calde del bacio d'un altro? E avrebb'egli accettato l'offerta? Sì, diceva il cuore. No, dicevano l'orgoglio, la vanità, i pregiudizi sociali.

Senza mutare atteggiamento, ella proseguì:—Sciocca che avevo la fisima di non sacrificare la mia libertà! Come se a una donna che non sia una civetta la libertà serva a qualche cosa!… Ho rovinato voi, ho rovinato me irreparabilmente. È vero, per voi sarebbe stato meglio, assai meglio l'allontanarvi. Ma potevo suggerirvelo io, io che del vostro affetto andavo superba, io che nella nostra intimità d'anima e di pensiero provavo la maggior dolcezza della mia vita, io che speravo che potesse durar sempre così?

—Ma non m'amavate—sospirò Vergalli. E soggiunse, cedendo a una suggestione cattiva:—È naturale…. L'amore dev'esser giovine…. almeno da una delle due parti.

Ella sentì la punta, ma non s'offese, ma non protestò. Era rassegnata alle battiture. Sollevando lenta lenta le ciglia, riprese:—L'amore? Ma che cos'è l'amore?… È quella febbre che invade i sensi, che offusca il lume della ragione, che in un attimo accomuna la donna più onesta e più schiva alla più volgar cortigiana, e che lascia dietro di sè la nausa e il disgusto? O è quel sentimento pieno di soavità che ci fa cara e preziosa la compagnia d'una persona, non per un minuto, non per un'ora, ma in ogni ora, ma in ogni minuto; quel sentimento che esalta, che affina, che nobilita?

Poichè Mario tentennava il capo, ella credette ch'egli negasse.—Non è questo dunque? È quell'altro?… Voi mi amavate… in quella ma- niera?

—No, no—egli rispose. Quindi, come pentito della finzione, proruppe con impeto:—Eppure sì… Anche in quella maniera… Qual'è l'uomo che, amando, non desidera? Qual'è la donna che tollererebbe di non esser desiderata?… Ma il mio desiderio era velato da tanto rispetto… Solo in un modo ammettevo che poteste esser mia.

—Grazie—ella mormorò a fior di labbro, guardandolo in atto pieno di devozione e di riconoscenza. E soggiunse:—Quale di noi due fu più punito?

Egli lasciò cader la domanda. Soffriva acerbe torture. I discorsi della Teresa avevano inasprito la sua gelosia. Quelle febbri dei sensi le facevano orrore, ma ella confessava d'averle provate e le aveva provate con un suo rivale… Vergalli non pensava in quell'istante a ciò che la Teresa aveva dato a lui solo e ch'ella mostrava di pregiar sopra tutto; pensava a ciò ch'ell'aveva dato all'intruso, al giovinetto cinico e audace al quale era bastato presentarsi per vincere e che ora forse ingannava i lunghi ozi del suo bastimento vantandosi della facil vittoria. Perchè, in verità, di che si vantano gli uomini? Non già di un affetto casto e profondo, ma di quelle ch'esse chiamano le loro buone fortune d'un capriccio soddisfatto, d'una insidia riuscita, d'una violenza coronata dal successo.

—A che giova discutere?—egli sospirò.—Piuttosto… come state? Siete molto pallida ancora.

—È una fissazione la vostra—replicò la Teresa, dominando a fatica l'impazienza che le destava ogni richiesta intorno alla sua salute…—Sto meglio… Ma a forza di volermi ammalata mi farete ammalare davvero.

—Nessuno vi vuole ammalata, Teresa… E non avrete nulla, lo credo… Pur chi vi ha conosciuta fiorente non può non notare una differenza in voi… Anche vostro zio…

—Il barone? L'avete visto?

—Sì, iersera.

—M'aveva onorata della sua visita.

—Ne tornava appunto quando c'incontrammo… E anch'egli dice che dovreste curarvi…

—Oh, l'oracolo!

—Non occorre essere oracoli per aver ragione qualche volta… In ogni modo, se non volete badare a lui, badate a me. Datemi retta, chiamate un medico.

—Ecco il solito ritornello!… Quando vi dico che non ho bisogno di medici… Fui un po' indisposta; adesso sto meglio… Del resto, in campagna vidi il dottor Sauri.

Le parole le bruciavano la lingua… Se Mario venisse a scoprire da altra parte il suo viaggio a Milano?

—Ora siete a Venezia—insistè Vergalli.—Permettetemi di mandarvi il medico mio, Dalla Bruna, un ometto di garbo, colto, attento… Ve lo mando oggi stesso… Va bene?

Ella s'oppose recisamente.—Questo poi no… Diavolo!… Come se fossi una bimba… Chiamerò il vostro Dalla Bruna, ci tenete proprio?… lo chiamerò fra alcuni giorni, se non sarò guarita del tutto…

—Voi non confesserete mai di non esser guarita.

Ella parve raccogliersi alquanto; indi riprese:—Ebbene, facciamo così. Di qui a una settimana, se non avrete mutato idea, verrete voi col dottore… Forse non sarete ancora partito, di qui a una settimana…

—Ma… veramente…

—In tal caso sarà pur necessario che vi fidiate di me.

—No, per una settimana resterò.

—Si capisce che non vi fidate—ella soggiunse con dolce rimprovero. Ma con lo sguardo lo ringraziava di rimanere.

Chiuse un istante gli occhi, evocando la scena tragica. Di lì a una settimana ella sarebbe morta, ed egli piangerebbe presso al suo cadavere.

—A che pensate?—egli chiese, prendendole delicatamente la mano. Un bottone della vestaglia si slacciò; la manica s'aperse e lasciò vedere il polso esile e il principio del braccio nudo. Mario posò la bocca avida su quella pelle candida e delicata sotto cui appariva il fine intreccio delle vene cerulee.

Si scosse ella dalla funebre visione, con moto rapido tirò indietro il braccio e si riabbottonò la manica.

—Quanto vi pesano le mie carezze!—egli disse. E nell'accento ond'egli pronunziò queste parole c'era un misto di collera, d'ironia, di dolore.

Ella non rispose, ma gli occhi le si gonfiarono di lacrime, nella coscienza dell'irreparabile ch'era sorto fra loro. Mai più, se pur ella fosse vissuta, mai più la loro affezione si sarebbe svolta limpida e calma come l'acqua d'un gran fiume che corre tra due rive fiorite; mai più nelle placide sere, seduti l'uno accanto all'altra, avrebbero discorso tranquillamente d'arte, di letteratura, di musica; mai più ell'avrebbe suonato per lui i pezzi ch'egli preferiva. La battaglia, ch'ella lo aveva aiutato a vincere sopra sè stesso, ricominciava. Poich'egli conosceva il suo fallo, che ragione aveva di rispettarla?

Anche in lui era il vano, angoscioso rimpianto di ciò che non poteva tornare. Egli guardava quella stanza piena dei ricordi del loro affetto, quei libri che avevano sfogliato insieme e tanti dei quali erano stati comperati e offerti da lui, guardava quel cembalo chiuso, quei quaderni di musica di cui egli le aveva voltate le pagine, quelle tappezzerie, quelle stampe, quei mobili, quei gingilli, quei quadri, tutte forme note e care, parlanti al suo cuore un linguaggio domestico. Mai più, esse gli dicevano adesso, mai più.

Ed egli, ribellandosi alla cruda sentenza, era tratto irresistibilmente a pensare all'unico modo per cui il mai più avrebbe potuto mutarsi in sempre. Poichè non c'era altra via: o sposarla o partire.

Pur non ancora osava fare il gran passo. Lo tratteneva l'idea del ridicolo. Che si sarebbe detto di lui? E come avrebbe trionfato Venosti Flavi a vederlo così presto abboccare all'amo!

Per non cedere alla tentazione, Vergalli si accommiatò.

—Quando ci rivedremo?—chiese la Teresa, tendendogli la mano.

—Ma… anche stasera, se credete.

—No… questa sera no… Fin che non mi son rimessa interamente voglio andare a letto presto… Così non vi lagnerete ch'io non mi curi.

—E se venissi col medico?—ripigliò il conte Mario.

—Caro amico, osserviamo i patti… Col medico non vi voglio che di qui a una settimana.

—Come siete ostinata!… Dunque, stasera, niente?…

—No, domani… a qualunque ora… e venite con buone disposizioni.

—Cioè?

Ella si sforzò di celiare.—Intanto venite con una faccia meno scura… E poichè il peggio ce lo siamo detto, venite a parlarmi d'altro… del vostro viaggio, per esempio… Nulla mi avete raccontato del vostro viaggio…

—Oh il mio viaggio!… Io lo abbomino il mio viaggio. Darei dieci anni della mia vita, se me ne restassero tanti, per non averlo fatto.

Ella chinò il capo in silenzio.

XXIII.

Tutte le sere, dopo il suo ritorno a Venezia, la Teresa Valdengo fingeva, anche con la servitù, di andare a letto presto, e prima delle nove si chiudeva nella sua camera. In realtà ella occupava un paio d'ore a riordinar le sue carte, a far la scelta delle lettere da distruggere, a rivedere accuratamente i suoi conti, a redigere il suo testamento. Aveva un'amministrazione semplicissima, che teneva, si può dire, da sè; solo per le riscossioni ed i pagamenti ricorrendo all'opera d'un vecchio ragioniere che passava da lei una volta alla settimana. Del resto, la sostanza non poteva esser più liquida. Un venticinquemila lire di rendita in titoli dello Stato, depositati presso una Banca; altre cinque o sei mila lire all'anno fruttavano due o tre case possedute in città, oltre a quella ch'ella abitava; una passività era la villa di Mogliano che le assorbiva su per giù il prodotto degli stabili di Venezia. Sola, di gusti eleganti, ma aliena da ogni sfarzo, ella sarebbe stata una donna agiata in qualunque parte del mondo; per Venezia era ricca, e poteva concedersi la soddisfazione di far del bene. E ne faceva in palese e in segreto, mai così contenta come quando le riusciva di scoprire e alleviare qualcheduna di quelle miserie che si nascondono. Onde, a lato delle carità fatte una volta tanto, ce n'erano di ricorrenti e periodiche: quella Marcella a cui ella forniva i mezzi di perfezionarsi nella musica; quel Massimo Scilla ch'ella, insieme con Vergalli, manteneva all'Università; quell'antica condiscepola che abitava in Polesine e alla quale ella mandava un centinaio di lire a ogni cambiar di stagione perchè provvedesse al vestito suo e dei figliuoli; e una vecchia cameriera inferma e impotente, e un gondoliere che l'aveva servita in passato e che adesso era condannato all'ozio metà dell'anno da una sciatica, ed altri ancora che s'erano rivolti a lei e avevano trovato aperta la sua borsa e il suo cuore. Nessuno di questi beneficati doveva soffrire della sua morte. Anche a quelli che, per uno scrupolo di delicatezza, ella non voleva nominare nel suo testamento, anche a quelli ella avrebbe provvisto, legando fiduciariamente una certa somma a Mario Vergalli affinchè, ne disponesse secondo le istruzioni particolari ch'ella gli avrebbe lasciate. Coll'associarlo a questa sua carità d'oltretomba ella gli dava la miglior prova d'affetto e di stima che fosse in suo potere di dargli: e l'era dolce il pensiero che la loro intimità sopravvivesse nella sua parte più nobile e pura. Così dolce, che sentiva empirsene il cuore di tenerezza e gli occhi di lacrime.

Ma non eran queste le sole lacrime ch'ella spargesse. Ella piangeva altresì sul proprio destino, e, pur risoluta a morire, piangeva la sua vita infranta, piangeva tutte le cose buone e belle che doveva abbandonare, e il suo concetto della giustizia era offeso dall'idea d'un'espiazione tanto maggior della colpa. Non tentennava però; più che mai convinta che la morte fosse il suo unico scampo.

Per solito verso le undici si decideva a coricarsi… sebbene fosse certa di non chiuder quasi occhio in tutta la notte. Sul comodino presso il letto l'attendeva la boccettina del cloralio che l'avrebbe fatta dormire, ma ogni sera ella ne versava il contenuto in una bottiglia che l'era rimasta in seguito ad una cura. E ogni sera, dopo aver visto il livello del liquido alzarsi, ella riponeva la bottiglia in un piccolo armadio a muro che si trovava nel suo spogliatoio, e di cui custodiva gelosamente la chiave… Quando la bottiglia fosse piena, ella sapeva quel che le restasse da fare.

A letto si sforzava di leggere. Aveva due o tre volumi, mandati dai librai per esame durante la sua assenza, aveva alcuni numeri di Riviste, e sfogliava questi e quelli senza poter fermar la mente sulle cose lette. Solo seguiva con qualche attenzione un romanzo della Revue des deux mondes ch'era giunto alla seconda parte e che aveva un punto d'analogia con la sua storia. Si trattava anche lì di una donna matura che s'era data in braccio a un uomo assai più giovine di lei. Ma l'analogia non andava più oltre; i caratteri, gl'incidenti del racconto erano affatto diversi. Nondimeno il romanzo l'interessava e si doleva di non poter conoscerne la fine. Prima che arrivasse il prossimo fascicolo della Revue ella non sarebbe più a questo mondo… E allora perchè leggeva?… In verità, non questo solo, ma ogni suo atto era vano. Tutto è vano per chi sa che deve morire a una scadenza fissa, vicina… E pur la vita va innanzi, meccanicamente, come un orologio fin che la molla sia esausta. La vita va e si continua a parlar del domani, e a iniziare cose che non si compiranno e a dar ordini che non si vedranno eseguiti.

Appena verso la mattina la Teresa trovava un'ora di riposo. Si svegliava poi in sussulto, con un'inquietudine, con un'ambascia, con un malessere indescrivibile. Pareva che si accumulassero tutti in quell'ora i sintomi del suo stato anormale, che la calma relativa della giornata avrebbe potuto farle dimenticare. Talvolta, nella sua agitazione, nel terrore che il suo segreto venisse scoperto, ella pensava se non fosse meglio per lei di affrettar la catastrofe. Ma in qual modo? Armi non ne possedeva, e pur possedendone, non sarebbe stata capace d'usarne; l'asfissia col carbone esige preparativi che non sarebbero rimasti celati: una cosa forse non le sarebbe stata difficile: uscire inosservata nel cuor della notte e gettarsi nella laguna ch'era a due passi dalla sua porta di casa; ma poichè era buona nuotatrice non era ben sicura che nel momento supremo il naturale istinto della vita non prendesse in lei il disopra condannandola al ridicolo onde son coperti i suicidi che non voglion morire. Cosicchè ella, di necessità, si raffermava nel suo primo proposito; chieder la morte al farmaco che in piccola dose le avrebbe dato il sonno, e chiederla soltanto quando di quel farmaco avesse raccolto una quantità sufficiente da non fallire allo scopo.

Comunque sia, dopo le undici, ricomposta alquanto, ell'era nel suo salottino ad aspettarvi Mario Vergalli che veniva appunto sul mezzogiorno. Lo aspettava con un misto d'impazienza e di paurosa inquietudine. Temeva le sue domande, le sue offerte, i suoi scatti; temeva il suo sguardo acuto, penetrante, ove di tratto in tratto passava l'ombra di un dubbio, il lampo di un desiderio.

Com'era mutato anche lui! Com'era piena di tempeste quella fisonomia un tempo così nobilmente calma e serena! Si vedeva ch'egli era in lotta con sè medesimo; ora soffocando qualche basso impulso, ora frenando qualche slancio donchisciottesco.

—Io lo abbomino il mio viaggio—egli aveva detto un giorno alla Teresa che lo pregava di parlargliene. Tuttavia il giorno appresso la compiacque e gliene parlò. Le descrisse una rappresentazione del Parsifal di Wagner al teatro di Beyreuth; le descrisse alcuni capolavori della galleria di Dresda… Aveva percorso altri paesi, visitato altre città, ma non gli restava che una gran confusione in capo; a Dresda appunto, all'ufficio postale, leggendo una lettera della Teresa, era stato assalito da un triste presentimento che non aveva potuto cacciar da sè. Una voce gli diceva:—Torna a Venezia.—E una voce più forte copriva la prima.—È troppo tardi.—E le due voci l'avevano seguito sempre, da per tutto, in Olanda, in Belgio, davanti alle tele di Rubens e di Rembrandt, nella quiete raccolta della campagna fiamminga, nel moto vorticoso degli opifici ov'è più frequente e febbrile il palpito della vita moderna, sugli epici campi di Waterloo; da per tutto egli aveva portato quella punta confitta in cuore. E non si ricordava di nulla, tranne che di lunghe corse in ferrovia, di polizze d'albergo pagate, di tavole rotonde intorno a cui sedeva una folla indifferente ed ignota…

—E mi dicevate che qualcheduno alimentò i vostri sospetti?—ella balbettò, mossa da una istintiva curiosità femminile.—Chi? Chi?… Una donna?…

Vergalli si schermì dal rispondere.

—Che importa ormai?

Ella assentì sospirando.

—È vero… Non c'è più cosa alcuna che importi.

Così l'argomento voluto evitare penetrava insidioso nei colloqui di quei due infelici. Quand'egli soffriva troppo, quando s'accorgeva di farla troppo soffrire, si alzava con uno sforzo.—A domani.

XXIV.

Uno di quei giorni, poco dopo che Mario Vergalli era uscito, la Teresa si vide comparir dinanzi la sua amica Giulia Orfei, la stessa che un paio di settimane addietro le aveva scritto dai colli Berici. La contessa Giulia entrò come un uragano, gettando le braccia al collo della Valdengo e sprigionando da tutta la persona un acuto profumo d' ireos.

—Lo so, lo so che non vuoi ricever nessuno… Me l'ha detto la tua cameriera… Ma non la strapazzare… Io le ho risposto: Rompo la consegna e assumo io l'intera responsabilità… Se mi scaccierà via, pazienza… Mi scacci?

—No; ma, veramente, potevi avvertirmi con una riga.

—Chè?… Quello non era il modo di riuscire… Avresti trovato una scusa… E io ci tenevo a darti un bacio… Dopo tanto tempo!… Perchè sono quattro mesi, lo sai?

—Eh sicuro… Da quando sei andata a Aix-les-Bains.

—Una stagione brillantissima… Ti racconterò, ti racconterò… Ma dimmi di te adesso… Ho sentito che non istai bene… Infatti hai l'aria sofferente…

—Oh!—interruppe la Teresa—Cominci anche tu?…

—Sfido io!… Sei pallida… Hai certe occhiaie… Ti curerai almeno. Chi è il tuo medico dopo la morte di Pozzi? Vuoi il mio?

—Ma lasciatemi in pace… Mi curerei se stessi peggio. Invece sono stata poco bene e sto meglio.

—Che male hai avuto?

—Ma niente… ma inezie.

La Orfei sorrise maliziosamente.—Capisco…

—Che cosa capisci?—saltò su la Valdengo, imporporandosi in viso.

—Eh, patèmi d'animo—disse l'altra. E soggiunse carezzevole:—Via, con me non dovresti avere segreti?…. Ne ho mai avuti io per te?

In realtà non ne aveva avuti mai nè per lei, nè per nessuno; non aveva mai nè voluto, nè saputo nascondere le sue avventure galanti. Già suo marito chiudeva gli occhi e le orecchie. Ciò non toglie che la Giulia Orfei, se quello che le si era riferito era vero, giudicasse alquanto imprudente la condotta della sua amica. E non glielo dissimulò. In autunno nella sua villeggiatura di Colle Berico, l'era giunta notizia della simpatia della Teresa pel sottotenentino di vascello, Reana, il figliuolo della Maria Scotti ch'era stata con loro in collegio… Niente di male. Anzi era sempre parso assai strano che una donnina bella come la Valdengo dovess'essere inaccessibile alle debolezze umane, e la sua austerità le aveva fatto più torto che no nella buona società… Ma forse ci voleva un po' più di politica…

La Teresa la lasciava dire, sorridendo d'un suo sorriso triste ed ironico.—Eh, cara mia—soggiunse la contessa Giulia—tu puoi sorridere fin che ti piace, ma in queste cose devi prender lezione da me. Una donna che non ha marito è tenuta ad aver maggiori riguardi di una donna che lo ha… Non ci vuol molto ad intenderlo… Se c'è il marito, è lui la bandiera che copre il contrabbando… Contento lui, contenti tutti… Se non c'è lui, tutti fanno i dottori… E, vedi, uno dei grandi benefizi del marito è questo. Fin che c'è lui non si può mutar di punto in bianco le proprie abitudini… seppellirsi vive, chiuder la porta alle amiche, ecc., ecc… Fossimo pure innamorate come Didone…

—Appunto anche lei era vedova—interruppe la Teresa.

—Per sua disgrazia—ribattè la Giulia Orfei.—Se viveva il marito, non avrebbe fatto la bestialità di gettarsi sul rogo dopo la partenza di Enea… Insomma, se c'è il marito, per quanto spleen si abbia addosso, si fa uno sforzo in riguardo a quel pover'uomo, che ha il diritto di non avere un mortorio in casa… E allora, poichè ogni cosa seguita ad andar co' suoi piedi, la gente smette presto di malignare.

—Tu parli su per giù come mio zio—osservò la Valdengo.

—Il barone Venosti Flavi? Tanto meglio. Ho piacere d'esser d'accordo col tuo più stretto congiunto, un uomo che t'è sinceramente devoto e a cui sta a cuore la tua riputazione.

—Figuriamoci!—esclamò in tono ironico la Teresa.—Non gli era, anni fa, saltato il grillo di sposarmi?

—Mi ricordo. E non sarebbe poi successo un cataclisma se tu avessi accettato.

—Secondo te avrei fatto bene ad accettare?

—Ma sì…. Tu dovevi rimaritarti. Del resto non dico che il prescelto avesse a esser lui…. Dico che ti occorreva un marito…. E non mi son mai potuta capacitare perchè tu abbia fatto languire inutilmente quel povero conte Vergalli.

—Ma, Giulia, non discorrere con leggerezza. Io non ho fatto languire il conte Mario Vergalli. Gli ho detto sempre che non avevo intenzione di passare a seconde nozze…. Egli mi rispettava troppo da chiedermi d'esser la sua amante. Si contentò di quello che gli offrivo… un'amicizia schietta, profonda, un'affezione fraterna…. O che non vi possa essere tra uomo e donna una di queste affezioni?

La Orfei si strinse nelle spalle.—Sarà… È una stranezza, ma sarà…. E nel caso vostro il mondo ci credeva. Sono due originali, si diceva, superiori alle passioni umane…. Sta a vedere quel che si dirà adesso….

La Valdengo non rispose. Forse la Giulia aveva ragione, forse adesso non si crederebbe più alla purezza de' suoi rapporti con Mario Vergalli…. Ma che andava ella almanaccando, ella che fra due o tre giorni sarebbe morta? Il mondo non aveva più nulla da credere o da non credere sul conto suo.

Posandole una mano sulla spalla, la Giulia riprese a bassa voce:—E pure io scommetterei che, se vuoi, il conte Vergalli ti sposa ancora.

—Basta, Giulia, te ne prego.

—Non era lui, non era Vergalli che usciva di qui poco fa?

—Sì. Che importa?

—Ci siamo quasi urtati col gomito a due passi dalla tua porta. Egli non mi ha riconosciuta… Già è miope, ed è un orso. E poi ha ben altro pel capo che salutar le signore… Quello è sempre un uomo innamorato cotto… Gli si legge in viso… e io me ne intendo.

—Ma Giulia…

—Tanto ci tieni a quel di Reana?

La Teresa scattò.—Che c'entra di Reana?… Pensa quel che ti pare delle mie relazioni passate con lui, ma lévati dalla mente che ci sia oggi tra noi nulla di comune.

—In nome del cielo!—esclamò la Orfei.—Così mi piace. Che avresti da sperare da quel ragazzo?… Scusa però… Dal momento che confessi di non aver più nulla di comune con lui, perchè esiti a sposar Vergalli?

Visibilmente infastidita, la Teresa si alzò dalla seggiola.—Ancora una volta, Giulia, ti prego di non tirar in campo l'argomento del matrimonio… Tu hai le migliori intenzioni del mondo, ma mi fai molto male.

—Sei un enigma ambulante—disse la Orfei alzandosi anch'ella.

La Teresa allargò le braccia.—Sono così.

La Giulia Orfei che aveva qualche cos'altro sulla punta della lingua non seppe trattenersi dal soggiungere:—Però la gente se ne inventa di belle.

—Cioè?

—Ecco… ora mi fulmini.

—No… Spiegati.

—Si sono inventati che circa una settimana fa eri a Milano col conte Mario.

La Valdengo impallidì. Era dunque vana la speranza che il segreto di quel viaggio non fosse divulgato?

—Giurano d'averti vista—riprese la Orfei.

—D'avermi vista con Vergalli?—esclamò la Teresa.—È impossibile.

—Questo non l'ho inteso… Giurano d'aver visto te e lui nel medesimo giorno.

—Ebbene, sì—rispose la Teresa, convinta ormai dell'impossibilità di negar tutto.—Siamo stati a Milano a poche ore d'intervallo, ma senza saper niente l'uno dell'altra. E non solo non ci siamo incontrati ma non potevamo incontrarci, perchè quando il conte Mario arrivò io ero già partita.

—Sai che mi racconti una di quelle storie!…

—Cara mia, è la verità pura e semplice.

—È curiosa… fosti a Milano sola?

—Ti pare ch'io debba aver paura?

—No…. ma tu che non viaggi mai…

—Auff!… Avevo da parlare con la mia sarta… Ti basta?

Quantunque poco persuasa, la Giulia Orfei non insistette più oltre. E, sempre sul punto di congedarsi—Oh—disse—ora che il primo passo è fatto, ci rivedremo.

—Sì, sì, fra tre o quattro giorni.

—Fra tre o quattro giorni?…. È troppo lunga… Permettimi di venir domani.

La Teresa accennò negativamente col capo.—No, domani non posso…

—Dio, che donna occupata! Non puoi?… Perchè?… Ah, un'idea!

E la Giulia Orfei battè l'una contro l'altra le sue manine inguantate.—Di' la verità; dacchè hai fatto quartiere d'inverno non hai neanche messo il piede fuori di casa?

—No certo… Ero indisposta.

—Ora assicuri di star meglio, e l'aria non può che giovarti… E poichè il tempo è bello…

—No, non esco.

—Aspetta un momento… Senti… domattina alle nove suono il tuo campanello, tu scendi, e facciamo due passi sulla Riva al sole…

—Grazie, no.

—Come sei caparbia!… No… sempre no… Ci penserai su… Io sarò qui lo stesso… Se assolutamente non vorrai scendere, se non vorrai ricevermi un minuto, mi farai licenziare dalla Luisa… E intanto addio… È quasi notte e ho ancora da far qualche spesa… Vengo proprio, sai, alle nove…. Oh sono mattiniera, io.

—Bada, Giulia. Sarà una strada gettata.

—Disgrazia piccola… Addio, addio.

Escì com'era entrata, vispa, saltellante, ridente.

—Che creatura felice!…—pensò la Valdengo.—È ricca, è piacente, non s'avvede degli anni che passano, fa una vita allegra, ha un marito filosofo… tutti l'accolgono a braccia aperte… È vero che di cuore è buona, e nonostante la sua leggerezza ha molta facilità ad affezionarsi… A me vuol bene… Forse però è venuta qui per curiosità… Sì, anche per curiosità, ma non soltanto per questo… M'ha mostrato sempre molta simpatia. Ho piacere d'averla vista ancora una volta… Non la vedrò più… Domani le farò dire che non posso… Darò ordini precisi alla cameriera… Non vedrò più nessuno, tranne Vergalli… Già si tratta di poco…

XXV.

Quella sera la Teresa s'accorse che la bottiglia ov'ella versava il cloralio, ormai, ristringendosi verso il collo, s'empiva rapidamente. Una o due dosi ancora, e sarebbe stata colma fino all'orlo…. Ma era poi indispensabile ch'essa fosse colma fino all'orlo?… La quantità raccolta non poteva bastare?… Perchè attendere uno o due giorni di più?… Perchè prolungar l'atroce agonia?

Un brivido corse per le vene della Teresa Valdengo. Era dunque giunto l'istante supremo? Era quella la sua ultima sera?

Con mano tremante ell'aperse la sua scrivania, rilesse e firmò il suo testamento. La distribuzione ch'ell'aveva fatta della sua fortuna le pareva equa; le pareva, ne' suoi legati, di non aver dimenticato nessuno; nè gli amici, nè la gente di servizio, nè i suoi beneficati ordinari. Ad altre carità in cui ella usava metter la sua borsa in comune con quella di Vergalli ella provvedeva appunto per mezzo del conte.

Gli occhi della Teresa si fermarono più a lungo su quel passo che si riferiva a Vergalli.

«Al mio fedele e impareggiabile amico conte Mario Vergalli—ell'aveva scritto—lascio tutti i miei libri, tanta parte dei quali mi fu regalata da lui; lascio il mio album d'autografi, il piccolo quadro con la Vergine e il putto ch'è appeso sul mio letto e che i pittori Angelo Alessandri e Marius de Maria giudicarono della scuola di Giambellino, le due incisioni di Calamatta, lo schizzo di Giacomo Favretto e il bronzo di Francesco Jerace che si trovano nel mio salotto.

«Gli lascio poi una volta tanto ventimila lire italiane perchè egli voglia continuar quell'opere buone a cui egli mi aveva associata e che non devono patire per la mia morte nè imporre a lui un maggior sacrifizio. Che se la somma fosse esuberante non dubito che egli saprà, con quello che avanza, venir in soccorso ad altre miserie. Ce ne son tante nel mondo!

«In fine nomino lui, conte Mario Vergalli, mio esecutore testamentario. Confido ch'egli non rifiuterà l'ufficio, che vorrà dar quest'ultima prova di devozione a una donna che porta nella tomba il ricordo del suo affetto alto, nobile, disinteressato, e gli chiede perdono d'averlo fatto soffrire».

E ora, se veramente ella non voleva veder l'alba novella, ora le conveniva scrivere al Vergalli la lettera a cui il suo testamento accennava. Triste lettera che avrebbe rivelato a lui solo la causa della sua risoluzione disperata!

Ma dopo aver tracciata l'intestazione con pugno malfermo, la Teresa non riusciva a mettere insieme una riga. La penna le restava sospesa fra le dita paralizzate, una nebbia offuscava le sue pupille; di tratto in tratto un sudor freddo le gocciolava giù dalla fronte…. Avrebb'ella presunto troppo delle sue forze? Avrebbe avuto paura?

No, non era, non doveva essere questo; nondimeno sul punto di dir per sempre addio ad ogni cosa, la Teresa sentiva una ribellione di tutte le sue intime fibre, e suo malgrado era tratta a ripiegarsi su sè medesima, a considerare se non vi fosse altra uscita da quella in fuori ch'ell'aveva scelta. E pensava alle donne che s'eran trovate nel caso suo; alle fanciulle divenute madri senza esser mogli e abbandonate dagli amanti nella miseria e nel disonore. Alcune, sì, avevano creduto sfuggire all'infamia col suicidio o col delitto: ma quante più, eroine oscure e modeste, avevano portato mansuetamente la loro croce, affinandosi nella lotta quotidiana, riabilitandosi con l'abnegazione e col sacrifizio! Perchè non s'inspirerebbe all'esempio di queste, ella a cui gli agi della vita rendevano pur tanto meno difficile il combattere e il vincere?

E come nel bagliore improvviso d'un lampo la Teresa vide aprirsi dinanzi a sè una via lunga, irta di triboli, ma illuminata dal sole, ma conducente a una meta eccelsa. Non a Mario Vergalli; a Guido di Reana, al complice del suo dolce peccato, avrebb'ella scritto per comunicargli ciò ch'egli aveva l'obbligo e il diritto di sapere; nulla implorando, nulla chiedendo da lui, ma deliberata a nulla rispingere avventatamente di ciò ch'egli fosse per offrirle, a non inspirarsi nelle proprie risoluzioni che al sentimento del dovere e al desiderio del bene. Che se il dovere ella rimaneva sola a compierlo, e sola lo avrebbe compiuto…. Un giorno forse, chi sa, presso al termine della via faticosa, un braccio amorevole l'avrebbe sorretta, una voce soave le avrebbe susurrato:—Alza la fronte, mamma!

Ahimè, per adottar questo partito era necessaria una dose di energia che la Teresa Valdengo, esausta dall'emozioni e dalle sofferenze degli ultimi giorni, non possedeva. Le restava appena coraggio bastante per morire, non gliene restava per vivere.

E quando la visione si fu dileguata e gli occhi di lei caddero di nuovo sul foglio bianco, ove non si leggevano che due parole, Amico mio, ella abbandonò il capo sul tavolino e sentì che mai, mai avrebbe spezzato il cerchio di ferro che la stringeva.

Ma la notte era già molto inoltrata, la candela era quasi interamente consunta; non c'era tempo di finir la lettera prima che sorgesse il mattino. Pazienza! La Teresa sarebbe vissuta un giorno di più.

Si coricò, spense il lume ch'erano circa le tre.

Verso le otto sonò il campanello.—Fa bel tempo, non è vero?—ella chiese alla cameriera.

—Bellissimo—rispose la Luisa, aprendo le imposte. Il sole irruppe trionfalmente nella stanza, e infrangendosi sulla spera dell'armadio mandò un fascio di raggi sul letto.

—Abbassa le tende—disse la signora, mentre si faceva schermo con la mano. E soggiunse:—Mi porterai il vestito grigio di lana e la mantellina solita….

—Esce?

—Sì, per le nove voglio esser pronta. Passerà la contessa Orfei a prendermi. Le risparmierò le scale.

S'era decisa lì per lì, nell'inquietudine di quella notte insonne.

—Le farà bene a uscire—notò la Luisa.

La Teresa ebbe una scrollatina di spalle.

—Sì, creda pure—insistè la cameriera—ha bisogno di moto…. anche per dormir meglio…. perchè non dorme, questo si vede.

—Eh no, non dormo—assentì la Teresa costretta ad ammettere una cosa tanto manifesta.

—Quel famoso cloralio doveva essere un tocca e sana.

—Ma!

—Cambi rimedio.

—Lo cambierò.

—Pur che si decida a chiamare un medico—ripigliò la Luisa incoraggiata dalla tolleranza della sua padrona.

—Chiamerò il medico quando mi piacerà—rispose questa seccamente.—E ora fine alle chiacchiere…. Se no, non sarò pronta per le nove…. Va, va…. Che cos'hai da guardarmi in quel modo?

Nulla l'irritava tanto come il vedersi piantati gli occhi addosso. Le pareva che volessero strapparle il suo segreto. E forse la Luisa già sospettava….

XXVI.

—Che bella sorpresa!—esclamò la Giulia Orfei, scambiando un bacio con l'amica.—Dopo le tue parole di ieri temevo proprio di far fiasco.

—Ho mutato idea, non so nemmen io perchè.

—Ma diamine! Non devi mica restar sempre tappata in casa…. E se vuoi rifar un po' di colore….

La Valdengo abbassò il velo. Alla luce fulgidissima del sole che inondava la Riva degli Schiavoni apparivano assai meglio che nella penombra delle stanze il pallore della sua tinta e i solchi delle sue gote.

Ella domandò:—Dove andiamo?… Ai giardini?

—Ho paura che sia troppo umido. È cascata la brina stanotte. Sarebbe meglio dirigersi verso il Molo.

—Come vuoi.

Dopo pochi passi, accanto al monumento di Vittorio Emanuele, incontrarono il postino, che si toccò il berretto.

—Ha salutato te?—chiese la Giulia.

—Sì.

La Teresa lo seguì con lo sguardo e soggiunse:—Ecco, si ferma alla porta di casa mia.

—Vedrai la tua corrispondenza al ritorno—disse la contessa.

—Già….

—Aspetti lettere sue?—riprese la Orfei.

—Di chi?

—Via… dell'ufficiale.

—Perchè questa domanda?

—Oh Dio…. È una domanda così semplice.

—Non so…. Scriverà forse…. per creanza.

E accompagnò la parola con un sorriso amaro.

—Ci pensi ancora—esclamò la Giulia.—Credi a me, è meglio non pensarci.

—È meglio anche non parlarne.

—Hai ragione. Parliamo di quell'altro.

—Ti prego, non parliamo di nessuno dei due.

Erano già sul Molo, quasi deserto.

—Gondola, gondola!—gridavano i barcaiuoli, come nel pomeriggio in cui di Reana aveva indotto la Teresa a fare una corsa in laguna. Dopo quel giorno ella non era più uscita di casa che per andare alla stazione. Solo adesso ella rivedeva il Molo, rivedeva la Piazzetta e il Palazzo ducale, tanto diversamente illuminati in quell'ora tanto diversa.

—Hai l'aria incantata d'una forestiera—notò la Orfei con tenue ironia.

La Valdengo rispose:—Come li invidio i forestieri che arrivano per la prima volta a Venezia! Come si capisce che debbano andare in visibilio!

—Loro?… È naturale. Per noi è un altro affare. Toujours perdrix, toujours perdrix!

—Oh, quando la pernice è così prelibata!

Giunsero fino al caffè del Giardinetto Reale, ch'era chiuso.

—Non c'è proprio anima viva—disse la contessa.—T'assicuro che potresti senza paura dare una capatina in piazza San Marco.

—Aspetta…. Restiamo un poco sul Molo.

Tornarono sui loro passi, col sole in faccia. Aprendo l'ombrellino la Giulia domandò:—Tu non l'hai preso?

—Ho il velo e mi basta…. Sole di novembre.

—Però negli occhi dà noia…. Ecco, con questo tempo la campagna è ancora piacevole…. Ma son giornate a prestito. E non intendo quelli che prolungano la villeggiatura fino a Natale…. È la moda…. Almeno la Marvesi è andata a San Remo.

—Davvero?

—Sì, col marito…. Dopo le nozze d'argento, il viaggio di nozze…. A proposito, m'immagino che tuo zio Venosti Flavi t'avrà descritto per filo e per segno quelle nozze d'argento.

—Mio zio? L'ho visto la sera che ci andava…. Dopo non l'ho visto più.

—Peccato!… Perchè egli era…. come si dice?… uno dei protagonisti—riprese la Orfei.—È stato uno dei mille.

—Andiamo, Giulia.

—Uno dei mille è un'iperbole, lo so…. Ma la frase non è mia. A ogni modo, è noto urbi et orbe che tra Venosti Flavi e la Marvesi ci fu del tenero.

—Sarà…. Per me….

—E il barone—continuò la loquace contessa—ha fatto anch'egli il suo bravo regalo…. un cofano d'ebano con intarsi d'avorio…. bellino tanto…. Tutti i…. soci hanno regalato qualche cosa. Viani un lampadario di Murano, Terenzi un servizio da tè di porcellana di Sèvres, Faroglio un paravento giapponese, di Frasca una cartella con l'occorrente da scrivere, rilegata in pelle di bulgaro con borchie d'argento, Castellini….

—S'è morto?

—Non conta…. S'è fatto rappresentare da sua moglie…. È un comble …. La vedova Castellini ha creduto d'interpretare il desiderio del suo indimenticabile defunto mandando una lettera patetica e dei fiori…. molti fiori. Figurati i commenti!

—E non c'erano altri regali?

—Sì, sì…. una quantità…. Il marito, i figliuoli, gli amici…. E poi una poesia dell'abate Visiani…. degna di lui…. E tanto basta.

—Quella Marvesi è nata sotto una buona stella—notò la Valdengo.

—È un fatto…. Per lei c'è indulgenza plenaria…. Io non ho sulla coscienza la metà di quello che ha lei, e nondimeno ho un'assai peggiore riputazione…. Non dico di mio marito ch'è un angelo….

La Orfei inviò con la mano un bacio all'indirizzo dell' angelo e proseguì:—Non dico di mio marito, ma mia suocera, fin ch'è vissuta, e le mie cognate e tante mie carissime amiche mi han tagliato i panni addosso senza misericordia…. Perchè questa ingiustizia?… E anche tu, povera santa, per un'unica leggerezza, rischi di trovar dei giudici arcigni…. Ma coraggio, sai…. Io ti difenderò sempre.

—Grazie—mormorò la Teresa. Ma era stanca di questi discorsi, e propose alla Giulia di tornare a casa traversando la Piazza e voltando poi dalla parte della Canonica.

Neanche in piazza la Valdengo era più stata dopo quel giorno con di Reana. Si ricordava la basilica fiammeggiante nel tramonto; ora il tempio era avvolto da una luce discreta; il sole batteva invece sulle Procuratie vecchie, facendone spiccare il fine trapunto marmoreo, lambiva la facciata bianca, ahi troppo bianca, di quel lato della piazza che gli architetti del primo Regno d'Italia rifabbricarono, male imitando le linee della vicina fabbrica di Vincenzo Scamozzi. Il campanile gettava attraverso la piazza come una gran fascia d'ombra.

Le porte della chiesa erano spalancate.—Entriamo un momento—disse la Orfei.

—Perchè no?

In chiesa la Valdengo andava di rado e la sua intimità con Mario Vergalli ch'era in voce di libero pensatore l'aveva allontanata ancor più dalle pratiche esteriori del culto; tuttavia San Marco non poteva non esercitare un fascino sulla sua anima meditativa e poetica, e le accadeva talora di entrarvi con religioso raccoglimento, di soffermarsi qualche minuto davanti a un altare, non biascicando orazioni imparate a memoria, ma sollevando lo spirito in alto, compresa del mistero dell'infinito.

—C'è una messa alla cappella del Sacramento—disse piano la Orfei. E precedendo l'amica s'inginocchiò in prima fila. La Teresa rimase indietro. Due popolane si ristrinsero per farle posto su una delle ultime panche; una signora di mezza età, che aveva l'aria di un pinzochera, disturbata da quel movimento, le lanciò uno sguardo ostile; una vecchia dall'aspetto ignobile si chinò per susurrare qualche parola all'orecchio della vicina. Quelle donne allineate richiamarono alla mente della Valdengo un bel quadro di Cesare Laurenti, ammirato all'Esposizione artistica del 1887, Frons animi interpres, ed ella tremò all'idea che si potesse leggerle in fronte ciò che le passava nell'anima. Sedeva col viso nascosto fra le mani, le piccole mani di cui un raggio di sole, scendente dal finestrone circolare che illumina la crociera, faceva risaltar la purezza e il candore. Di quando in quando ella udiva come in un sogno la cadenza dei versetti latini recitati dal prete con voce nasale, udiva il borbottio monotono della pinzochera, e il fruscio dei foglietti voltati dei libri di divozione. Intanto a lei saliva dal cuore un'altra preghiera: «O Signore che tutti invocano, che tutti cercano per vie diverse, vi vedrò io dunque fra poco? Vi vedrò corrucciato o benigno? E comparendovi innanzi così, avrò io veramente infranto i vostri decreti, mi sarò meritata i vostri castighi? O Signore, Signore, se a Voi nulla sfugge, se d'ogni creatura umana Voi conoscete gli atti e i pensieri, sarò io per Voi una tal peccatrice che non mi possa arridere la vostra clemenza? Io non mi son prosternata spesso, lo so, ai piedi dei vostri altari, ma ho sempre procurato di seguire la vostra legge d'amore e di carità; ho sempre procurato di fare il bene, di accostarmi agl'infelici ed agli umili; ho compatito agli errori, ho perdonato alle offese; deh, perdonatemi Voi!… Se ho errato credendomi superiore alla fragilità del mio sesso ne fui crudelmente punita. Sono caduta, ho perduto il diritto alla stima di me stessa e all'altrui. Ma avrei sopportato coraggiosamente l'umiliazione; ciò che mi spinge al passo estremo Voi non lo ignorate, o Signore. Io non mi sento la forza di gettare nel mondo un innocente che mi chiamerebbe responsabile de' suoi dolori…. La vita è triste per tutti, o Signore; che sarà per quelli che portano seco una debolezza di più?… Perdonatemi, Signore, perdonatemi».

Uno stropiccio di piedi, un concerto di gole raschiate e di nasi soffiati con forza avvertì la Teresa che la messa era terminata. Le sue vicine uscirono dall'altra parte della panca. Ritta presso a lei, la Giulia Orfei le toccò leggermente la spalla.—Non vieni?

La Valdengo si scosse.—Hai fretta?

—Che vuoi restare?

—No vengo…. or ora.

—Ebbene resta fin tanto ch'io saluto Wolff, il pittore tedesco. Torno subito a prenderti.

E s'avvicinò a un artista che addossato a uno dei pilastri dell'intercolunnio centrale copiava l'ambone e la Vergine col bambino che lo sormonta.

La Teresa Valdengo non pregava più. Con le mani intrecciate sulle ginocchia ella guardava intorno a sè, di sotto il velo abbassato. Dinanzi all'altare da cui il prete era sceso ardeva qualche candelabro, qualche fiammella solitaria tremolava nelle lampade massiccie d'argento pendenti dal sommo degli archetti. Gruppi di forestieri giravano qua e là levando gli occhi verso i mosaici delle cupole, procedendo guardinghi sul pavimento liscio e ondulato. Bella come un'apparizione, una coppia di sposi dal tipo anglosassone saliva i cinque gradini del presbiterio; egli spirante dalla fisonomia la calma leonina dei forti, ella appoggiata al braccio di lui, stretta alla vigorosa persona come l'edera al tronco; saliva lenta la fulgida coppia sui gradini marmorei e pareva lasciar dietro a sè un solco d'amore e di giovinezza…. Dalla parte opposta della crociera un'altra messa cominciava; le panche si empivano di fedeli; per l'aria tiepida e grave errava un profumo d'incenso; dalla nicchia d'un confessionale spuntava il lembo d'un vestito di seta. Di quali colpe s'accusava quella donna sconosciuta? A quali pene cercava un conforto?…

—Eccomi—disse la Giulia Orfei che s'era congedata dal pittore.

La Teresa sorse in piedi e si mise a fianco della sua compagna. Questa, presso alla porta, bagnò le dita nella pila dell'acqua santa e si fece il segno della croce; indi ripigliò:—Io, vedi, quasi ogni mattina la mia messa l'ascolto. Se ne faccio a meno sento che mi manca qualcosa.

—Parli della messa come parleresti del caffè che si prende appena alzate—osservò la Valdengo.

—Non scherzare, Teresa…. Mi conosci da bambina. Ho sempre avuto religione, io.

L'altra sospirò.—E credi che io non ne abbia?

—Oh, lo so…. La vostra religione fumosa, vaporosa…. Tant'è non averne.

—Ti pare?

—Ma sì…. Che cos'è la religione senza preti, senza chiese, senza cerimonie?… Però oggi hai rotto il ghiaccio, e ci verremo ancora insieme a San Marco…. Ah se tu mi permettessi di presentarti un sacerdote di mia conoscenza…. un teologo….

—Per amor del cielo! Ieri il medico, oggi il prete. Mi consideri bell'e spacciata.

—Dio me ne guardi…. T'ho consigliato anche un marito…. Dunque….

—Troppa roba in una volta—rispose la Teresa, sforzandosi di celiare. E soggiunse:—Grazie a ogni modo, cara Giulia, delle tue premure, grazie dell'amicizia che mi dimostri.

Erano uscite dalla basilica, avevano svoltato per la piazzetta dei Leoncini, prendendo poi la strada del ponte di Canonica e di San Filippo Giacomo.

—Uno di questi giorni potremo fare una passeggiata più lunga—propose la Orfei.—Domattina aspetto la sarta…. ma doman l'altro….

Poichè la Valdengo non rispondeva, l'amica la urtò col gomito.—Oh, sei nelle nuvole?

—Scusa, non ho sentito.

La Orfei rinnovò la sua proposta.

—Doman l'altro?—ripetè macchinalmente la Teresa.—Che serve impegnarsi per doman l'altro? Tante cose possono succedere….

—Mi fai ridere…. Che vuoi che succeda? Tutt'al più può cambiare il tempo.

—Appunto.

—E allora, festa…. O preferisci ch'io salga da te domani a qualche ora per combinare?

—Domani!—pensò la Valdengo.—Ma domani io sarò morta!

Alla Giulia disse però:—Fa come ti piace… Ma smemorata ch'io sono!… Perchè ti lascio venir fin qui?….Tu ti svii.

—Oh, importa molto!—esclamò la Orfei.

E insistè per accompagnar la Teresa sino alla porta di casa.

XXVII.

—È stato il conte—disse la cameriera dal pianerottolo.

—Quando?

—Mezz'ora fa, e si mostrò molto dispiacente di non averla trovata.

—Ha lasciato detto nulla?

—Che tornerà verso il tocco.

—Bene. Badate che, tranne il conte, non ricevo altri in tutta la giornata.

—Nemmeno suo zio, se venisse…?

—Nemmeno. Parlo chiaro. Nessuno…. E che non accada come ieri.

—La contessa Orfei volle a tutti i costi….

—Non avrebbe già sforzato la porta…. Del resto, è inutile tornar sulle cose vecchie…. C'è posta?

—Un giornale e una lettera…. di là, sulla scrivania.

Quantunque i vestiti le dessero noia ed ella non vedesse l'ora di mettersi un po' in libertà, la Teresa entrò nel suo salottino senza neanche levarsi il cappello. La lettera era lì, sopra il giornale. Portava il bollo di Porto Said.

—Ha bisogno di me?—chiese la Luisa che aveva seguito la sua padrona.

—No, chiamerò.

Quella lettera doveva arrivare. Pur non confessandolo, la Teresa l'aspettava; non per mutare o raffermare la sua determinazione ch'era ormai incrollabile, ma perchè il silenzio di Guido di Reana, dopo i rapporti esistiti tra loro, le sarebbe parso tale un oltraggio da avvelenarle gli ultimi istanti.

Quella lettera doveva arrivare, e la Teresa l'aspettava. Tuttavia nel vederla sul suo tavolino, il sangue le dette un tuffo. Sentì come una voce che le dicesse:—Se ciò che attendevi è giunto, quali ragioni d'indugio avrai più?

Ella ruppe la busta civettuola chiusa da un elegante monogramma, spiegò il foglio profumato di muschio. E s'accinse a leggere, turbata sì, ma non tanto che non le riuscisse di analizzare il suo turbamento, e di non trovarvi, meravigliata, neanche un briciolo d'amore. C'era la vergogna del fallo commesso, c'era la pietà del proprio destino, c'era l'indulgenza, il perdono per chi l'aveva tratta a rovina; amore non ce n'era. Non un palpito del cuore, non una vibrazione dei sensi; nulla. Così lontano le pareva quel tempo e non erano trascorse che poche settimane!

Nè la lettura di ciò che di Reana le scriveva sprigionò una favilla dalle ceneri spente.

Ella si ricordava di alcune parole di lui.—Ti scriverò un fascicolo da Porto Said.—Non erano invece che quattro paginette d'una intonazione sbagliata da cima a fondo. Qua e là una frase inopportuna, un'allusione sguaiata, e, in mezzo all'espressioni sentimentali, romantiche, qualche spiritosità di cattiva lega, qualche motto francese riportato con ortografia malsicura. Non aveva saputo, Guido di Reana, trasfondere nella sua epistola artificiosa nulla della grazia spontanea e dell'ardor giovanile a cui egli era andato debitore dell'insperato trionfo. Anche il tu confidenziale ch'egli doveva pur credersi in diritto d'usare, anche quel tu offendeva la Teresa. Ella pensava alle lettere ch'era avvezza a ricevere da Mario Vergalli, tenere e rispettose ad un tempo, rivelanti un'anima alta e leale, un cuore pieno di gentilezza, un ingegno robusto, nudrito di studi, atto a intender tutte le manifestazioni del bello. Che confronto, Dio buono, che confronto!

Del resto, Guido adduceva due scuse del non scriver più a lungo: le esigenze del servizio che gli avevano impedito di prender la penna in mano durante tutto il viaggio e il desiderio di punir la mammina cattiva che a Porto Said non gli aveva fatto trovar nemmeno una riga. Ora la mammina (due volte Guido ripeteva la parola malaugurata) doveva affrettarsi a inviargli sue notizie a Massaua, ove il Colombo si sarebbe trattenuto circa un mese. Da Massaua naturalmente avrebbe riscritto anch'egli per dir la sua impressione sulla nostra colonia e sulle donne abissine per le quali i suoi compagni mostravano una curiosità indiscreta ed incomprensibile. In quanto a lui aveva troppo impresse nella memoria certe donne bianche per sentir la tentazione delle negre. Di Reana finiva ringraziando la Teresa d'avergli dato una felicità di cui egli non era degno e che non avrebbe dimenticato giammai, e rievocando le memorie dell'ultimo giorno passato insieme. Egli sentiva che, avesse pur vissuto cent'anni, non si sarebbe più rinnovato per lui un giorno simile a quello.

La Teresa ripose silenziosamente la lettera nella busta. L'idea che, nel corso di quella notte, aveva un istante attraversato il suo spirito la faceva sorridere d'un sorriso amaro. Bene in verità ella si sarebbe rivolta a questo ragazzo leggero, sensuale, avido di piaceri, per dirgli:—Bada, caro, la nostra relazione ha avuto conseguenze che tu non t'immaginavi; prendine anche tu la tua parte.—Bene si sarebbe rivolta; bene avrebbe provvisto all'avvenire della creatura che portava in grembo!

Ah no, nemmeno gli avrebbe scritto. Nel suo cassetto, insieme con gli altri ricordi ch'ella lasciava a conoscenti ed amici ce n'era uno per lui, un anello di zaffiro ch'egli aveva ammirato. Era in una piccola scatola suggellata, con l'indirizzo di pugno della Teresa: «Al signor conte Guido di Reana, sottotenente di vascello, a bordo del Cristoforo Colombo.» Mario Vergalli avrebbe avuto la bontà di recapitarlo. Tanti sacrifizi ella aveva chiesto a Mario che osava chiedergliene uno di più.

E ora, infilata ch'ebbe la sua vestaglia e fatto il suo simulacro di colazione, ella stette ad aspettarlo con un'ansietà maggiore dell'usato. Perchè aveva egli quella mattina anticipata la visita quotidiana? Che aveva saputo? Che aveva supposto?

XXVIII.

Mario Vergalli giunse un po' prima dell'una, pallido, stravolto.

—Mi duole che non m'abbiate trovata in casa questa mattina—ella disse.—La Giulia Orfei ha voluto a tutti i costi trascinarmi a far quattro passi… Ma che avete?… Siete turbato!… Via, accomodatevi, parlate.

—Oh sì, molto turbato—egli rispose afferrandole la mano.—Teresa, Teresa, perchè tanti sotterfugi con me?

Ella impallidì.

—Quali sotterfugi?

—Voi foste a Milano—riprese Vergalli.—C'eravate nel giorno che ci fui io di passaggio… Vi hanno vista in un fiacre. E poichè quella sera la stessa persona deve aver visto me, si è creduto che fossimo insieme… Voi sapete pure che non eravamo insieme… Con chi eravate?

L'insinuazione contenuta in questa domanda fece salire una fiamma al viso della Valdengo. Pur si frenò. Non erano più i tempi in cui ella poteva fulminare col suo disprezzo chi dubitava di lei.

—Hanno ardito sostenere ch'io ero con qualcheduno?—ella chiese.

—No… almeno non credo… Ma è vero dunque che voi foste a Milano?

—È vero.

—E perchè tacerlo?

—Non si presentò l'occasione di discorrerne.

—Come? La mattina che venni da voi vi avevo detto che arrivavo da Milano, appunto allora. Voi eravate giunta con una corsa prima, e non vi pare che fosse naturale il discorrerne?

—Dovreste ricordarvelo, amico mio—replicò la Teresa—il nostro colloquio di quella mattina. C'era qualche cosa di più importante e più grave che la combinazione d'essere stati tutti e due a Milano con poche ore d'intervallo.

—Non lo nego… ma…

La Teresa continuò:

—E non fui schietta, non fui leale con voi quella mattina? Confessandovi le mie debolezze, rivelandovi, a costo di farvi tanto soffrire, ciò che una donna è così restia a rivelare, non vi ho dato la miglior prova della mia sincerità?

—Ebbene… in tal caso dev'esservi facile spiegarmi quella vostra gita.

Bisognava mentire, e la Teresa ripetè a Vergalli la storia della sarta.

—Per questo siete andata a Milano?—proruppe il conte Mario.

—Sì, qual meraviglia? Non lo sapevate che una parte de' miei vestiti li ordino a Milano?… Per solito la sarta vien lei un paio di volte all'anno a Venezia; quest'autunno non poteva venire; sono andata io…. Ecco, anche per la toilette sono come le altre donne.

Vergalli tentennò la testa con aria scettica.

—Vi siete messa in viaggio sola, senza nemmeno la vostra cameriera… mentre stavate già poco bene?… No, no, Teresa, dite ch'io non ho il diritto d'interrogarvi, dite che siete padrona assoluta di voi stessa, ch'io non sono nè vostro marito, nè vostro padre, nè vostro fratello, nè vostro amante; ma non mi trattate come un bambino al quale si dà a credere quello che piace.

Egli chinò la testa sul petto, schiacciato sotto un peso intollerabile.

—In nome del cielo—esclamò la Valdengo—che supponete? Ch'io fossi a Milano con un uomo, con un amante… un secondo amante… perchè il primo era ormai…?

Fece con la mano quel gesto che si fa per accennare a cosa molto lontana. E seguitò con amarezza:—A qualche giorno di distanza sarei passata dalle braccia dell'uno alle braccia dell'altro?….

Vergalli le troncò le parole a mezzo.—No, Teresa, non mi attribuite questo pensiero… Mai, mai esso mi è balenato nella mente.

—E allora?

—Allora… non so… che volete?… Sono un pazzo, sono un visionario… Perdonatemi, Teresa, perdonatemi… Era proprio partito, colui?

—S'era partito? Ne dubitate? Non è ufficiale del Cristoforo Colombo? Non deve seguire il suo bastimento?… Procuratevi i giornali, confrontate le date, e vedrete crollare il vostro castello di carte.

—Però di Reana poteva aver ottenuto il permesso di raggiungere la nave più tardi…

—Ed essere intanto a Milano con me?…. O perchè non sarebbe rimasto a Venezia?

Vergalli trasse un profondo sospiro dal petto.—Sì, sì, avete ragione… Ma in ogni caso, se pur i miei dubbi fossero fondati, di che avrei a lagnarmi? Che ci sarebbe di peggio di quello che è stato?

Benchè la Teresa dovess'esser contenta che i sospetti di lui si sviassero dietro una falsa traccia, ella non potè trattenersi dal protestare energicamente.

—Sarà verissimo; quel viaggio galante non avrebbe reso nè più grave, nè più lieve il mio fallo… Ma non fu così.

—Poichè lo assicurate voi…—fece Mario con piglio rassegnato.

—Dubitate sempre, lo vedo—diss'ella—dubitate che Guido di Reana sia rimasto in Italia, ch'egli abbia chiesto un congedo, che la nostra tresca non sia interrotta che momentaneamente.

—No, no.

La lettera di Porto Said che la Teresa aveva collocata sotto un calcafogli esalava il suo profumo di muschio.

—Vi occorre una prova autentica, irrecusabile—ripigliò la Valdengo.

—Quale prova?

—Eccola.

La Teresa mostrò la lettera a Vergalli.

Egli comprese.—È di lui?

—Da Porto Said… È arrivata questa mattina… Verificate il bollo postale.

—Vi ha scritto?—balbettò il conte.

—Vi mostrerò anche la data, anche la firma, se sarà necessario—insistè la Valdengo.

—Perchè mi torturate così? Perchè?

—Dio mio! Siete voi che mi tirate per i capelli.

—Vi ha scritto!—ripetè Vergalli con voce sorda.—Naturalmente gli scriverete anche voi.

Senza rispondere, ella lo pregò di dar un'occhiata alla stufa.

Vergalli esitava, non intendendo a che cosa ella mirasse.

La Teresa rinnovò la preghiera:—Usatemi la cortesia di guardare se c'è foco.

Egli si chinò e aperse lo sportello.—C'è un po' di brace.

—Allora prendete questa lettera e bruciatela voi.

—Io?

—Sì… voi… Prendete… L'odore mi fa male.

—Che significa ciò?

—Significa che fra me e di Reana è finito tutto… M'avete pur creduta quando vi confessai il mio fallo; credetemi anche adesso… Coraggio, prendete questa lettera e bruciatela.

Vergalli si decise finalmente a ubbidire. Strinse fra le dita tremanti la busta lucida, profumata, e dopo aver consultato ancora una volta con lo sguardo la Teresa, la gettò nella stufa. La carta s'arricciò, si contorse, s'ingiallì, si carbonizzò a poco a poco senza dar fiamma.

—Oh—disse la Teresa—non è già ch'io presuma distruggere il passato. Le lettere si possono distruggere, non i fatti.

Il conte Mario, che s'era rimesso a sedere, con gli occhi ostinatamente fissi al suolo, alzò il viso trasfigurato. Aveva l'aspetto dell'uomo che ha fermato la mente in un'eroica risoluzione.

—È vero, Teresa, i fatti non si distruggono. Ma a quelli che ci addolorano e ci avviliscono altri se ne possono sovrapporre che scancellino le impressioni dei primi.

Ella accennava di no col capo.

—Sì, amica mia, da noi dipende… Pur di non irrigidirci nel nostro orgoglio, pur di non respinger sdegnosamente l'aiuto che ci si offre… L'orgoglio, ecco l'avversario implacabile… Anch'io ho lottato con esso, ma ora, grazie al cielo, ho vinto.

La Teresa sentì gelarsi il sangue. Che voleva egli dire con queste parole?

—Nella vostra vita bella, nobile, pura—egli proseguì—vi fu un giorno di debolezza e d'oblio… Può quel giorno annullar tutto il resto? Può rendervi men degna dell'affetto, della stima dei buoni, della stima di voi stessa?… Vile chi l'ha pensato!… E se l'ho pensato io, mille volte più vile degli altri!… Ma io non l'ho pensato, io ho ceduto ad un impeto di gelosia, perchè vi amavo, perchè vi amo.

—Per carità!—interruppe la Teresa.—Non parlate d'amore.

—Del mio amore ho diritto di parlarvi… Non vi domando il vostro… Ma se in quest'ora di supremo sconforto voi provate il bisogno d'un braccio che vi difenda, d'un petto su cui riposarvi, se una dolorosa esperienza vi avvertì dei danni, dei pericoli della solitudine, accettate, Teresa, accettate quello ch'io v'offro… la mia mano, il mio nome.

Ella fece un gesto per trattenerlo.

Mario non le diede retta, trascinato dall'onda della passione.

—Se vorrete, non sarò vostro marito che in faccia alla legge, che in faccia al mondo… Sarò per voi un amico come prima… Studieremo insieme… viaggeremo insieme… Ma io vi avrò presso di me… sempre… sempre… perchè, vedete, a tante cose posso rassegnarmi… non a esser diviso da voi…

Egli era caduto a' suoi piedi, cercava le sue mani, baciava l'orlo della sua veste.

Che strazio, che supplizio per lei, e com'ella avrebbe voluto esser già morta e sepolta!… È vero, sarebbe morta domani, poteva finger oggi d'acconsentire… Ma no, nelle condizioni in cui ella si trovava, anche il finger l'assenso le pareva codardo.

—Alzatevi, Mario—ella supplicò. E per dargli l'esempio si alzò ella stessa, svincolandosi dolcemente.—Voi siete nobile e buono, Mario.

Egli pestò il piede con impazienza.—Non voglio lodi.

—Meritereste d'essere, non che amato, adorato in ginocchio—continuò la Teresa.

—Non vi chiedo nè adorazione, nè amore—ribattè Mario Vergalli.—Vi chiedo d'esser la compagna della mia vita… Ho fede in voi… A occhi chiusi vi darei da custodire il mio onore. Nulla vi domanderei del passato, di quel breve passato che fu come una nube improvvisa e fuggevole in un cielo sereno… E vi cingerei di tante cure, che, se non l'amore, l'affetto vostro saprei conquistarmelo.

—Non si conquista quello che si ha—ella rispose.—Voi l'avete da anni il mio affetto. Ma in nome di questo affetto, vi scongiuro, Mario, abbandonate la vostra idea.

—No, dunque? Voi dite no?

La voce del conte s'era fatta dura e cupa; la sua fisonomia esprimeva una sofferenza atroce.

La Teresa gli posò una mano sulla spalla.—Mario…

Egli la respinse.—Non perifrasi… Sì o no?

—Ascoltatemi, Mario—ella cominciò con dolcezza. Ma che poteva dire? Che le restavano poche ore da vivere e che tutto era vano? O doveva spogliarsi dei suoi ultimi pudori, rivelargli il suo stato?… O, infine, doveva, per guadagnar tempo, accatastar nuove menzogne?

—Lo vedete—egli proruppe—il vostro labbro non riesce a trovar scuse all'incomprensibile rifiuto… O se vi sono motivi seri, son tali che non osate manifestarli.

Ella taceva.

Vergalli l'afferrò per un braccio.—Ma parlate, per Dio… Dite una ragione… una ragione che abbia almeno un'apparenza di fondamento, e vi prometto che vi lascerò in pace oggi e per sempre… che partirò stasera…

—No… non stasera.

—Ch'io non parta?… Badate, Teresa, s'io rimango non sarà che per scoprire ciò che vi ostinate a nascondermi… E lo scoprirò, ve lo giuro.

—Un inquisitore, voi?… Non vi riconosco più, Mario—ella disse con mite rimprovero.

—Di chi la colpa?… Siete tanto mutata voi… E come non capite che il vostro silenzio autorizza qualunque sospetto?

Le dita di Mario Vergalli stringevano l'esile polso di lei come in una morsa d'acciaio.

Ella cercò di liberarsi.—Mi fate male, Mario.

Senza lasciarla, egli allentò alquanto la stretta,—Parlate. Perchè avete respinta la mia offerta, perchè?… È forse l'idea del matrimonio che vi ripugna così?

—Ecco—ella rispose aggrappandosi a questa tavola di salvamento.—Può darsi che abbiate indovinato. Vi basta adesso?

Ma la fronte di Vergalli non si rischiarò e e le sue labbra si atteggiarono a un amaro sarcasmo.

—Una volta poteva bastarmi—egli disse.—Quando credevo che a nessun altro deste più di quello che davate a me, allora poteva bastarmi… Oggi no… È troppo crudele il torto che mi avete fatto, il torto che mi fate… Come?… Avete consentito d'esser l'amante d'un libertino qualunque e ricusate d'esser mia moglie?… E vi amo da anni, e voi da anni accettate questo culto come una Madonna inaccessibile nel suo tabernacolo… Ora l'altare è vuoto… Voi ne siete discesa… Non avete più il diritto di esigere un'adorazione mistica… Io, io ho il diritto di dirvi: Che idea vi fate di me? Perchè ho la barba e i capelli grigi, perchè la mia giovinezza è tramontata da un pezzo, voi mi credete decrepito addirittura, voi credete che tutti i miei sensi sian morti, anche quello della mia dignità? V'ingannate, Teresa… Non sono nè così vecchio nè così santo da aver cessato d'essere un uomo…

Di nuovo ella sentì stringersi il polso; sentì ch'egli tentava di attirarla a sè, gli vide una strana fiamma nella pupilla, e n'ebbe terrore. Le tornò alla mente il ricordo d'un'altra violenza patita, e quell'altra violenza le parve meno ignobile di questa che l'era minacciata: men vile le parve il giovinetto lontano, cagione d'ogni sua sventura, men vile dell'amico rivelantesi d'improvviso tanto diverso dal solito. Colui soccombeva a una forza cieca della natura; in Mario c'era un'eccitazione artificiale premeditata, alimentata dalla fantasia e dal ragionamento.

Ella si svincolò con uno strappo, e ritta, addossata al tavolino, con un'espressione di ribrezzo, di sdegno, di dolore nello sguardo, con le labbra livide, esangui, balbettò:—Voi, Mario… voi mi costringereste a chiamare la mia cameriera?

Simile a un ubbriaco sul cui capo si rovescia una secchia d'acqua gelata, Vergalli si ridestò alla coscienza della brutalità commessa. Un rossore intenso gli salì al viso; le braccia gli ricaddero inerti lungo i fianchi.—Perdonate—egli bisbigliò in un soffio.

Alzò lento lento gli occhi verso di lei… Oh com'ell'era pallida, come ansava!—Teresa—egli soggiunse con voce affannosa—ma voi soffrite…

—Un poco.

Egli si voltò verso l'uscio.

—No—ella disse vivamente, lasciandosi ricader sulla sedia—non voglio nessuno… non ho bisogno di nulla… Ossia… datemi un gocciolo di cognac… il servizio dei liquori è lì sulla mensola… Una volta non ne bevevo mai… vi ricordate?… Appena di quando in quando un dito di curaçao.

Celiava, mossa a pietà di lui, desiderosa di cancellar l'impressione delle parole dettegli pur dianzi.

Beato di servirla, egli le mescette il cognac e glielo porse. La sua mano tremava.

Ella accostò il bicchierino alla bocca, ma non potè trangugiar che poche stille. Socchiuse gli occhi, arrovesciò la testa sulla spalliera della seggiola.

—Teresa! Teresa!—gridò Vergalli raccogliendo il bicchierino che le scivolava tra le dita, mentre il liquore le si spargeva sulla vestaglia.

Indi corse alla finestra e l'aprì, corse al campanello elettrico e ne premette con forza e ripetutamente il bottone.

Vennero in due, la cameriera e la cuoca, attratte dalla violenza della scampanellata.

—Presto, presto—disse il conte—la signora è caduta in deliquio.

E quasi volesse giustificarsi, soggiunse:—L'è capitato così da un punto all'altro… mentre si discorreva… Aveva desiderato lei una goccia di cognac.

—Eh, non istà bene la mia signora—sospirò la Luisa.

—Ma che cos'ha, in nome del cielo?

La Luisa si limitò a tentennare il capo; poi si rivolse alla cuoca.—Senta, Edvige, la regga lei un momento finch'io vado di là a prendere una boccetta di sali.

Entrò nella camera da letto e ne uscì tosto con la boccetta che fece fiutare alla sua padrona. Questa ritorse il viso con una smorfia.

—Ecco… rinviene…

—Pare… sì…

La Teresa mosse le braccia, sollevò alquanto le palpebre e girò intorno le pupille incantate.

—Potrei andar per un medico—disse piano Vergalli.

La cuoca, che fino allora non aveva aperto bocca, fece una spallucciata, e non badando agli occhiacci della Luisa, borbottò con un pronunciato accento tedesco:—Importa molto il medico per questi mali!

—Insomma, che mali sono? Che mistero c'è?—esclamò il conte Mario. E mentre formulava la domanda, rapida come il tuono che succede al lampo, gli s'affacciava un'idea terribile, dolorosa, umiliante, e pur naturale… così naturale che lo stupiva il non averci pensato prima.

—Roba da nulla…. nervi….—rispose la Luisa.—Signora, signora, come sta?

—Meglio—susurrò la Teresa con un filo di voce.—Perchè siete qui voialtre?… Chi vi ha chiamate?… Non c'era il conte?

—Ci ha chiamate lui—replicò la cameriera. E si voltò per cercarlo. Ma il conte s'era dileguato.

XXIX.

Erano le nove di sera. Nonostante le prove fisiche e morali della giornata, nonostante l'imminenza della catastrofe, la Teresa era calma, padrona di sè. Della tempesta, che aveva agitato così fieramente la sua anima nella notte scorsa, non rimaneva la minima traccia; gli ultimi tenui fili che la univano alla vita s'erano spezzati dopo la scena dolorosa con Mario. Non ch'ella gli serbasse rancore; ma nella passione senile di lui ella trovava una ragione di più per morire. Adesso, già da un'ora, ella stava scrivendogli, e vinte le difficoltà dell'esordio la sua penna correva sicura sopra la carta. Quell'esordio diceva così:

«Avrei voluto che solo da questa lettera voi apprendeste ciò che non ho ardito confessarvi a voce; avrei voluto che foste l'unico depositario di questa parte del mio segreto; vedo pur troppo che il mio desiderio fu vano; sento che avete indovinato tutto. Me lo dice la vostra improvvisa scomparsa dopo il mio breve malessere d'oggi (e vi ringrazio d'aver mandato a prendere mie notizie); me lo dice il linguaggio pieno di reticenze delle mie donne; le quali, ormai ne son certa, avevano indovinato prima di voi. Ebbene, amico mio, se sapete tutto, avrete già compreso e perdonato il rifiuto che opposi alla vostra offerta. Potevo forse accettare?»

Dopo questa introduzione, la Teresa veniva a spiegare i punti della sua condotta che, per forza di cose, erano dovuti rimanere oscuri, e si diffondeva a parlare della sua gita a Milano che prima ell'aveva cercato di nascondere e di cui poi aveva dissimulato il motivo reale. Ah sì, aveva accumulato artifizi e bugie ripugnanti all'indole sua, e ora, in procinto di abbandonar per sempre la terra, la sua anima cedeva a un bisogno prepotente di verità e di sincerità. Nè si contentava di chiarire i fatti, ma scendeva con spietata analisi dentro sè stessa, studiando le deficienze del suo organismo morale ch'ella aveva avuto il torto di creder sano ed equilibrato. Sana ed equilibrata lei, ch'era caduta quasi senza lotta, nè dopo la dedizione repentina e umiliante aveva trovato l'energia di rialzarsi! Sana ed equilibrata lei che, per quanto avesse scrutato nel proprio cuore, non vi aveva mai scoperto quella fiamma divoratrice che avrebbe potuto attenuar la sua colpa; che oggi, pensando al suo seduttore, non provava nè amore, nè odio, nessuno di quei sentimenti che nelle nature logiche e vigorose sopravvivono alle grandi passioni? Ah, se il caso fosse toccato ad un'altra, quanto volentieri ne avrebbe parlato con lui, col suo sereno filosofo!… Ma ora ella capiva la vanità dei nostri giudizi. Come giudicare senza conoscere, e come pretendere di conoscer gli altri, se ognuno di noi riserba a sè medesimo così strane sorprese? Ecco, anche oggi, guardandosi intorno, le pareva di vedere una corruzione molto maggior della sua, le pareva ingiustizia suprema l'essere schiacciata sotto il peso d'un unico fallo, mentre il vizio cinico e impudente correva le piazze e trionfava nei salotti eleganti. Pur la fiera protesta le si spegneva sul labbro nell'incertezza delle leggi che regolano le azioni umane e del grado di responsabilità che incombe a ciascuno. Solo una cosa ella credeva di aver imparato, oimè troppo tardi. La donna scelga la sua via. Se ha scelto quella dell'onestà, sappia che deve percorrerla sino in fondo, senza un'esitazione, senza una titubanza. Al suo primo scappuccio non s'aspetti misericordia. È lei, la donna onesta, che sarà chiamata a pagare anche per quelle che non sono tali.

Proseguendo nella sua lettera, la Teresa esponeva le ragioni che la spingevano a morire. Vergalli non l'avrebbe condannata, egli che tante volte aveva compatito con lei ad altri suicidi, egli che aveva mostrato comprendere come vi possano esser momenti in cui al più coraggioso degli uomini manchi la forza di vivere. Ed ella diceva che sarebbe morta prima, appena inteso il verdetto del medico milanese, se non avesse voluto metter ordine alle sue faccende e riveder l'amico buono e fidato ch'ella aveva offeso e che meritava di ricevere il suo atto supremo di contrizione. Indi, accennando ai loro recenti colloqui, ella ricercava le cause che avevono impedito la pienezza delle sue confidenze. Piccole cause che non avrebbero dovuto farla deviare dal suo cammino; ma basta sì poco a gelar talvolta una parola sul labbro, ad arrestare uno slancio del cuore! Ed ella gliene chiedeva perdono; gli chiedeva perdono dei malintesi che una sua maggiore franchezza avrebbe certo evitati. Tanto le premeva di non offendere, di non ferir Mario Vergalli che quasi accusava sè della scena penosa d'oggi! Nè gli disse, troppo egli ne avrebbe sofferto, che s'egli fosse tornato da lei come amico e non altro, egli forse, egli solo avrebbe potuto salvarla….

Non glielo disse; nell'ultima parte della lettera riassunse, completò, illustrò il suo testamento, specificando quelle disposizioni che ella desiderava rimanessero segrete fra loro due, scusandosi di non averlo esonerato nemmeno dall'incarico, che doveva riuscirgli sì grave, di far pervenire un suo ricordo a Guido di Reana. E la Teresa conchiudeva in questi termini:

«Addio, Mario. Non vi dico di dimenticarmi. Nonostante il male che vi ho fatto, vi dico piuttosto: Ricordatemi senz'amarezza. Pensate a me come a una povera donna a cui è mancato qualche cosa per esser felice e per render felici le persone che amava. E non vi lasciate abbattere nè dalla memoria dei torti patiti, nè dal dolore che vi darà la mia morte. Non siete giovine più, ma le abitudini austere hanno conservato intatta la vigoria del vostro corpo e del vostro spirito; il libro della vita non ha svolto per voi tutte le sue pagine; potete chiederne e sperarne altre consolazioni; dallo studio, dal lavoro…. forse dalla famiglia…. forse da nuovi affetti….

Addio, Mario. Confido, che se pur avete deciso di partire, domattina sarete ancora a Venezia, e la mia lettera potrà esservi recapitata prontamente…. Consacratemi poche ore…. le ultime…. Difendete il mio cadavere dalle curiosità indiscrete…. Procurate ch'io sia sepolta nella veste che ho addosso; cercate di ottenere dai giornali, se non il silenzio circa al mio suicidio, almeno un riserbo pietoso circa ai motivi che lo hanno determinato; cercate (e non vi strappi un sorriso di compassione la mia debolezza) che la mia bara non sia respinta dalla chiesa della mia parrocchia…. Grazie, Mario…. E addio…. e perdonatemi.

TERESA.»

Poich'ebbe riletto il foglio da capo a fondo, lo piegò e lo chiuse entro una busta. Ma mentre stava scrivendone l'indirizzo, la scosse una scampanellata alla porta di strada. Ell'aveva dato ordini precisi, assoluti; non riceveva nessuno: nè lo zio Venosti, nè il conte Vergalli, nè la Giulia Orfei, nessuno insomma; ed era naturale che quegli ordini, dati il giorno, dovessero aver maggiore efficacia la sera; tanto più che alle sette e mezzo, nel congedar la Luisa, ell'aveva soggiunto che sarebbe andata a letto presto, da sola, secondo la sua consuetudine. Checchè le fosse occorso, avrebbe chiamato.

Tuttavia, alla scampanellata, la Teresa nascose rapidamente la lettera nella cartella ove c'era anche il testamento, e riparò nella sua camera come in un rifugio più intimo ed inviolabile. Ivi, posata la candela sul comodino, tese l'orecchio e stette in ascolto.

Certo qualcheduno aveva salito la scala, era di là, in conferenza con la Luisa. Chi poteva essere? Il servitore di Mario che per la terza volta veniva a informarsi della sua salute? O Mario stesso, portato da una forza irresistibile alla casa dell'amica? O era invece un'ambasciata indifferente di cui ell'avrebbe riso domani, se il domani fosse esistito per lei?

In quella sospensione dell'animo, la Teresa provava una specie d'impazienza nervosa contro l'ignoto, chiunque fosse e fosse pur Mario, che turbava la quiete di quegl'istanti solenni.

Senonchè, ad un tratto, i suoni fino allora piuttosto indovinati che percepiti si fecero chiari e distinti; ella sentì veramente dei passi, delle voci rattenute e sommesse, sentì picchiare all'uscio del salottino verde. Con una decisione subitanea ella spense la candela e si gettò sul letto.

Una persona era entrata nel salottino e s'avvicinava guardinga; una mano girò adagio adagio la gruccia nell'uscio. Irrigidita in uno sforzo supremo, la Teresa non gridò, non si mosse, e riuscendo con la volontà a disciplinar perfino i battiti tumultuosi del cuore parve respirar come uno che dorme.

—Dorme—disse in fatti una voce. Era quella della Luisa, e sembrava rivolta ad uno che fosse lì ad attendere risposta. I battenti dell'uscio, come s'erano aperti pian piano, pian piano si riaccostarono. Ma un'altra voce, una voce d'uomo cognita e cara, giunse all'orecchio della Teresa.—Se dorme, lasciatela tranquilla…. Pur che domattina, appena si sveglia, abbia questo biglietto.

—Non dubiti, signor conte—rispondeva la cameriera.—Glielo porterò io stessa.

—Va bene. Lo metto qui sulla scrivania.

I passi, lievi lievi, si allontanarono; gli usci si chiusero; si chiuse, di lì a pochi secondi, la porta di strada. Allorchè tutto fu tornato nel silenzio, la Teresa riaccese il lume e balzò dal letto. Le gambe le tremavano, un sudor freddo le gocciolava giù per la fronte; ella potè nondimeno trascinarsi nel suo salottino. Sotto un calcafogli, sulla cartella ov'ella aveva pur dianzi riposta la sua lettera, c'era il bigliettino di Mario Vergalli. Che voleva egli ancora da lei?

XXX.

«Teresa mia.

Qual giudizio farete di me? Vi ho oltraggiata oggi due volte; prima cercando usarvi violenza, poi abbandonandovi bruscamente quando non eravate ancora ben rinvenuta dal vostro deliquio. E vedete fatalità! Mentre arrossisco e mi vergogno della mia condotta, sono forse in procinto di recarvi un oltraggio nuovo. Sì, Teresa, non ve lo nego; sono fuggito oggi dalla vostra casa perchè ho creduto scoprire il vero motivo del vostro linguaggio ambiguo, del vostro malessere fisico, del vostro rifiuto d'esser mia moglie; sono fuggito sopraffatto da quel senso del ridicolo che soffoca tanti impulsi generosi, che inspira tante vigliaccherie a noi uomini raffinati e moderni. Ora, o Teresa, ho vinto il nemico. Ignoro, badate bene, se le mie supposizioni siano fondate; ma so che il fallo vostro, già così lealmente confessato, non diventa più grave, se, per un'amara ironia della sorte, esso ebbe conseguenze che altri falli simili non hanno; non più colpevole dovete apparir voi agli occhi degli uomini onesti, ma più degna di compianto, di soccorso, d'affetto. E, appunto per questo, l'offerta ch'io vi feci poche ore addietro e che allora eravate forse in obbligo di respingere, ve la rifaccio adesso che so, o che immagino, il peggio. Accettatela, Teresa. Siate mia moglie. Imponetemi le vostre condizioni. Desiderate lasciar Venezia, l'Italia, l'Europa? Ditelo. Ci trapianteremo lontano, ove gli echi del passato non giungano, ove la quiete nella nostra famiglia non tema insidie. Chi saprà nulla? Chi chiederà nulla? Chi sospetterà nulla? E di me non vi fidate, Teresa? Non mi credete capace di riversar sopra una creatura innocente uscita dalle vostre viscere una parte del mio amore immenso per voi?… Rifletteteci, Teresa. Non rispondete con leggerezza; non lasciatevi accecar dall'orgoglio…. Verrò domani a udir la mia sentenza…. Intanto porto questa lettera io stesso, ma non ho speranza di vedervi; è tardi e forse sarete già coricata. A domani dunque.

Vostro per tutta la vita

MARIO VERGALLI.

Quantunque gli occhi della Teresa fossero stanchi, e, leggendo, si velassero tratto tratto di lacrime, ella non durò fatica a decifrare il biglietto di Mario, scritto nella nota calligrafia, minuta, ma nitidissima. E finito che l'ebbe, lo baciò e ribaciò con effusione, paragonandolo, suo malgrado, all'epistola frivola, insignificante che la mattina ell'aveva ricevuta da Guido di Reana. Ma non per questo ebbe un dubbio, un'esitanza su ciò che le restava da fare. Ella non agognava ormai che alla pace, e non c'era pace per lei che nella tomba. Come un corpo piegato sull'orlo del precipizio a poco a poco vi è attratto per lo stesso suo peso, e gli ostacoli, anzichè rallentarne, ne affrettano la caduta, così succedeva alla Teresa Valdengo. S'ell'avesse avuto bisogno d'una spinta, la magnanimità di Vergalli gliel'avrebbe data. In un lampo ell'ebbe la visione del vero; sentì che non poteva nè respingere, nè accettare l'offerta dell'amico suo. Respingendola sarebbe stata ingrata e crudele, accettandola avrebbe preparato all'amico e a sè quelle acerbe delusioni che seguono inevitabilmente i sacrifici troppo superiori alle forze umane.

Ella prese la lettera che aveva già apparecchiata per Mario Vergalli, ne lacerò la sopraccarta e vi aggiunse un poscritto:

«10 e mezzo di sera. Voi avete voluto colmar la misura della vostra indulgenza verso di me. Avete voluto darmi una prova di più del vostro affetto e dell'altezza dell'animo vostro. Grazie, Mario. E perdonatemi se neppure tanta vostra bontà può scuotere la mia risoluzione. In altre condizioni sarei stata orgogliosa di appartenervi; il destino non lo consente. Voi siete un santo e un eroe; ma ricordo d'aver udito dalle vostre labbra che non è lecito chiedere neanche ai santi o agli eroi di esser tali per tutta la vita, e che la natura ha le sue leggi contro cui non val ribellarsi…. No, Mario, credetelo. È meglio per voi, per me, per tutti, che io muoia…. Vi conforti la certezza che il mio ultimo pensiero è per voi…. Ve lo avrei detto or ora, quando ho sentito i vostri passi e la vostra voce nella stanza vicina…. Ma dovevo tacere, dovevo fingermi addormentata… Ve lo dico adesso, e vi mando un bacio di sorella, di sposa, di amante.

TERESA.»

Chiuse la lettera in una nuova busta, vi fece la soprascritta, tolse dalla cartella il testamento già suggellato, e il testamento e la lettera portò con sè nella sua camera e li posò sul piano di marmo del cassettone, in modo che cadessero subito sottocchio a chi entrava.

Macchinalmente, com'ella faceva tutte le sere dopo il suo ritorno in città, la Teresa aperse, l'armadio ch'era nello spogliatoio, e ne prese la bottiglia ov'ell'era andata accumulando le dosi del cloralio, macchinalmente v'aggiunse il contenuto della boccettina che anche oggi stava sul comodino accanto al suo letto. Due dita sole mancavano a riempir la bottiglia; un'altra dose l'avrebbe fatta traboccare. Con un movimento rapido, deciso, la Teresa Valdengo se ne versò un primo bicchiere e lo tracannò tutto d'un fiato; dopo quello un secondo, colmo fino all'orlo, che le costò maggior fatica e le parve ripugnante al palato e allo stomaco.

Ma quand'ella staccò, vuotò, questo secondo bicchiere dal labbro, quando vide dinanzi a sè, vuota, quella bottiglia di cui aveva visto alzarsi lentamente il livello ogni sera, ella sentì correrle un brivido dalla punta dei piedi alla radice dei capelli. Non era pentimento; era una specie di stupore muto, era la coscienza dell'irrevocabile, era il fantasima della morte che si svolgeva fuor delle nebbie onde la lontananza l'aveva cinto. Come sarebbe venuta la morte? Dolce e lieve, simile al sonno, o piena di spaventi e di strazi?

Vestita com'era, la Teresa si buttò sul letto, chiuse gli occhi, intrecciò le braccia sul seno, aspettando…. Ancora non soffriva…. Oh se si fosse potuta addormentare, addormentare per non svegliarsi!… Ma in breve l'assalse un'inquietudine, una smania febbrile che la costrinse prima a mettersi a sedere, poi a scender dal letto. Aveva la testa in fiamme, il respiro difficile; aveva vertigini, e nausee e sforzi di vomito, contro i quali reagiva vigorosamente, sentendo che il vomito avrebbe distrutta o attenuata l'azione del veleno. Le sue pupille offuscate avevano perduto la netta visione degli oggetti; il pavimento, la vólta, le suppellettili le giravano intorno in ridda fantastica, la fiamma della candela si sminuzzava in cento punti luminosi vagolanti per la stanza. Non poteva giacere e non poteva reggersi in piedi senz'appoggi; errava qua e là abbrancandosi ai mobili, ora cadendo spossata sopra una poltrona, sopra un canapè, ora rizzandosi d'improvviso, come per virtù d'una molla. L'ambascia le strappava rotti lamenti, e insieme coi lamenti le uscivano dalla bocca frasi sconnesse, disordinate, confuse, quali sogliono uscire dalla bocca d'un ebbro. Ma in quello sfacelo dell'organismo, della memoria, della ragione, della volontà, una cosa restava presente al suo spirito: ch'ella doveva morire, che non doveva a nessun costo invocar soccorso. E frenava i suoi gemiti, e frenava gli scatti della sua voce, e si studiava di smorzare ogni remore cha potesse tradirla. A poco a poco una sensazione prevalse in lei alle altre, quella d'un'immensa stanchezza. Indi, vinta dalla paura di stramazzar sul pavimento e di esser trovata colà freddo cadavere la mattina, ella raccolse le sue forze, si trascinò di nuovo al letto, che per fortuna era basso, e vi si abbandonò sopra spossata, ingegnandosi di compor la persona in un'attitudine decente. Correvano ancora delle vibrazioni dolorose attraverso al suo corpo, ancora nel bisogno istintivo d'aria la sua testa si agitava affannosamente sul guanciale ed ella inarcava il collo per sollevarsi; ma un peso enorme, come d'una massa di piombo, la teneva incatenata al suo posto, le inchiodava le braccia, le irrigidiva le gambe. E sempre più densa, più scura si faceva la nube che le ingombrava gli occhi e la mente. Ella si sentiva sprofondar nel letargo; brandelli d'idee sornuotavano appena nel gran naufragio; immagini vaghe, fuggevoli apparivano, si dissolvevano dinanzi alla moribonda;… un uomo dai capelli grigi, chinato su lei, chiamava disperatamente: «Teresa, Teresa!…»; nella notte luminosa una nave passava in silenzio sotto gli astri del Tropico; ritto sul castello di prua un giovine ufficiale pensava a novelli amori….

XXXI.

Il salotto della Teresa Valdengo era debolmente rischiarato da un lume à carcel posato sopra una mensola, e di cui un cappello di cartoncino verde moderava e raccoglieva la luce. In fondo, nell'ombra, con la testa curva sul petto, coi pugni chiusi sotto il mento, sedeva il conte Mario Vergalli, esprimendo nella fisonomia scomposta un dolore che non spera e non vuole conforti. Di tratto in tratto, se un romore veniva dalla camera a sinistra, egli girava il capo lento lento da quella parte, e ne' suoi occhi appariva un'angoscia ancora più intensa, e le sue labbra lasciavano sfuggire un gemito sordo.

Un uscio, non quello della camera a sinistra, si aperse, ed entrò un signore elegante, maturo, in cappello a tuba e soprabito.

—Sempre qui?—egli disse.

L'altro non rispose.

—E contate di restar tutta la notte?

L'interrogato si decise a rompere il silenzio.

—Non lo permettete?

—Io?… Io non ho nulla in contrario…. Passo anch'io la notte in questa casa…. per forza…. E io mi son fatto preparar da dormire…. Ma voi dove dormirete?… Non so proprio se ci sia un letto…. perchè una stanza è occupata dal mio domestico….

—Non ci pensate…. Non dormirò…. Tutt'al più sonnecchierò su una di queste poltrone….

—Son gusti…. Se poteste risuscitarla, capirei…. E, scusate, non avete mangiato oggi?

—Ho preso qui due tazze di brodo…. Mezz'ora fa il vostro servitore mi ha portato spontaneamente un caffè…. Anzi gli son grato….

Il barone Venosti Flavi, poichè il signore in soprabito non era altri che lui, depose il cappello e i guanti e si avvicinò alla stufa.

—Diamine, è fredda.

—Non ci avevo badato.

—Farò rifonder della legna.

—Non vi disturbate…. Io non soffro il freddo.

—Caro Vergalli—riprese il barone—dal momento che avete l'intenzione di rimanere, non potete star in una Siberia.

Suonò il campanello e ordinò di riaccendere il fuoco.

Quando il servo se ne fu andato, Venosti tirò fuori un dispaccio e lo gettò in un ampio vassoio d'argento ove c'erano altri telegrammi e biglietti.

—Anche la zia di Torino ha telegrafato…. Quella naturalmente non viene…. per la distanza… per l'età…. Avremo invece la gioia delle due cugine a cui avete desiderato che si desse l'annunzio…. Sta a vedere che son loro le eredi…. Dite la verità, voi conoscete su per giù il testamento?…

—Come posso conoscerlo?… Sapevo io forse ch' ella voleva morire?—balbettò Vergalli.

—Non è questo…. Ma se avete tirato fuori i nomi di quelle cugine di cui io ricordavo appena l'esistenza, è segno che la lettera….

—Dio buono! Devo ripetervelo? Nella lettera ci sono delle allusioni che m'han fatto credere opportuno di avvertire quelle signore…. E non eravamo d'accordo? Non si è telegrafato in vostro nome?

—Oh, per me!—ripigliò il barone con un gesto magnanimo.—Non calcolavo certo su quell'eredità, io…. sebbene sia il congiunto più stretto che la povera Teresa avesse…. Mia nipote era padrona di lasciare il suo a chi le piaceva, pur che non avesse lasciato a me tante seccature….

—Non l'ha fatto per divertimento—notò Vergalli.

Ma il barone, ch'era di malumore, proseguì, senza raccoglier l'interruzione:

—E le seccature, sono il meno…. Il peggio è lo scandalo…. uno scandalo di cui sarò un poco la vittima anch'io….

—Voi?—esclamò il conte Mario.

—S'intende…. Un suicidio in famiglia!… E in quelle condizioni!… Perchè non mi negherete che la nostra diplomazia fa un buco nell'acqua. È ormai il segreto di Pulcinella…. Le serve han fatto capire che se lo immaginavano…. i dottori l'hanno indovinato…. E se pur i giornalisti tengono la loro promessa di tacere, fra una settimana il paese saprà perchè mia nipote si sia tolta la vita…. Ho già sentito certe insinuazioni qua e là….

—Basta, Venosti, basta, per amor del cielo—supplicò Mario Vergalli, a cui ognuna di quelle parole era una stilettata nel cuore. Se le ricordava le reticenze delle donne di servizio, pur così affezionate alla loro padrona da volerla vegliare esse medesime, se le ricordava ieri, quella mattina stessa, al cospetto dei medici, quando la Teresa respirava ancora, benchè non parlasse, non riconoscesse nessuno e fosse ormai agli estremi. E i medici se li ricordava comunicantisi i loro dubbi, spianti, in nome del dovere professionale, il bel corpo adorato ch'egli non aveva potuto difendere dalle curiosità indiscrete. Appunto di questa inefficace tutela egli si rodeva dentro come d'un tradimento alla sua Teresa, e i singhiozzi lungamente rattenuti prorompevano dal suo petto ed echeggiavano nella stanza.

Venosti Flavi assunse le parti di confortatore.

—Coraggio, via, Vergalli…. Le volevate un gran bene, lo capisco, e beata lei se si fosse appoggiata interamente a voi…. Ma, in fine, bisogna farsi una ragione.

—Per me era una santa—gemette il conte.

—Aveva molti buoni numeri, non lo nego—disse il barone commendatore—e mi guardi il cielo dall'esser troppo severo con lei per questo suo fallo, di cui, se non c'erano le conseguenze, non si parlerebbe neanche più…. Pare impossibile, certe disgrazie non accadono che alle donne oneste…. Non è mica giusto il proverbio che chi va al molino s'infarina…. Oh sì!… Ne conosco io di quelle che dovrebbero essere infarinate fin sopra gli occhi, e invece….

Accorgendosi che le sue spiritosità non erano gustate da Mario, il barone mutò argomento.

—Meno male che i preti fanno finta d'ignorare il suicidio, e avremo il funerale religioso…. Questo l'ho ottenuto io….

—Grazie per lei …. Io sarei stato un cattivo negoziatore….

—Diamine!—esclamò Venosti.—Il funerale puramente civile sarebbe un comble …. Della religione si può averne o non averne, ma le forme vogliono essere rispettate…. Sarà per doman l'altro mattina, alle nove…. Mah!… Chi lo avrebbe creduto?… Domani stesso, all'una, verrà qui il pretore per l'apertura del testamento.

Il barone guardò l'orologio, e tentennò il capo con l'aria seccata d'un uomo che vede alterate tutte le sue abitudini.

—Ebbene—egli soggiunse rizzandosi in piedi e raccogliendo i guanti e il cappello—qui non resta che andare a letto. Ho i giornali della sera. Ne volete uno o due?

Vergalli fece segno di no.

—Buona notte, allora. Qualunque cosa vi occorra non avete che da sonare…. Di là ci sarà sempre qualcheduno alzato. Ho dato anche ordine di non lasciar spegnere il foco in cucina pel caso che quelle donne—e accennò alla camera della nipote—avessero bisogno di un caffè… Ma voi se aveste giudizio andreste a riposare a casa vostra, nel vostro letto…. No?…. Fate come vi piace…. Buona notte.

Di nuovo Mario Vergalli era solo; solo nel salottino della Teresa. Dio, Dio! E non più tardi di ieri ell'era lì, seduta accanto a lui, ed egli la rivedeva nel suo pensiero, così dolce, così triste, così sofferente. Ed egli aveva osato esser brutale nel linguaggio e nei modi con la poveretta; aveva potuto lasciarsi trasportar dall'ira, dalla gelosia, dal cieco impulso dei sensi! Mai, mai egli dimenticherebbe quelle parole ch'ell'aveva pronunziate con voce fioca e tremante, le ultime quasi ch'egli aveva udito da lei: «Voi, Mario, voi mi costringereste a chiamar la mia cameriera?…» Poco dopo, ell'era svenuta; la gente di servizio era accorsa; a lui s'era squarciata una benda dagli occhi, ed egli era fuggito via come un pazzo…. Non per questo ella s'era data la morte; pur quella era stata forse l'ultima goccia che aveva fatto traboccare il vaso…. E perchè aveva egli indugiato tanto a tornare? Troppo tardi il suo biglietto era giunto nelle mani della Teresa, troppo tardi per ricompor l'equilibrio nella mente sconvolta, e per ritrarla dal passo disperato…. E perchè, iersera, venendo da lei, non aveva egli insistito per entrar nella camera, per svegliarla, s'ella dormiva, per parlarle a ogni costo?… Un amante giovine non avrebbe esitato…. Oh triste, triste la saviezza dei vecchi!

E a che ora aveva ella bevuto il veleno? Certo dopo le 10 e mezzo, ch'era l'ora indicata in cima del suo poscritto, ma certo anche prima di mezzanotte, stando al giudizio dei medici che l'avevano vista fra le otto e mezza e le 9, e avevano trovata già completa la paralisi cerebrale…. Ahi, ahi, egli pure l'aveva vista contemporaneamente a loro, chiamato a casa Valdengo da un appello pressante. Giaceva ella supina, nella sua vestaglia di lana che la copriva fino ai piedi, con la testa arrovesciata sul guanciale, coi bei capelli castani sciolti in parte e ricadenti sugli omeri, con gli occhi aperti, vitrei, senza sguardo. Sulla fronte, sulle guancie, agli orecchi, alle mani, apparivano delle chiazze rossastre, il petto ansava, un rantolo usciva dalla bocca semichiusa.

—Teresa!—egli aveva gridato, stringendo nelle sue quelle mani già quasi fredde—Teresa, Teresa!—Ma non un muscolo del caro viso s'era contratto, non un lampo d'intelligenza era passato sulle pupille immobili….

—Almeno non soffre più—affermavano i medici…. Verso le dieci era spirata.

Placida era stata l'agonia, placida la morte; ma chi sa quanto ell'aveva patito in principio, allorchè la coscienza non era spenta e l'organismo vigoroso lottava per la propria conservazione? Questo i medici non s'attentavano di negare; dicevano solo:—Non sarà stato per molto tempo.—O chi li misura gli istanti del dolore?… Dio, Dio! E forse s'era pentita, forse aveva invocato aiuto, forse coi pronti soccorsi sarebbe stata salvata!… Nessuno l'aveva intesa, nessuno!

Sciagura all'infame ch'era stato cagione di tutto! Potesse la sua nave sfasciarsi, potess'egli, lontano alla patria, alla madre, esser ingoiato dall'onde, esser fatto a brani dai pesci.

Ecco, circa un mese addietro egli portava in giro per quelle stanze la sua figura scialba di damerino, la sua vanità soddisfatta, sedeva su quei mobili, susurrava nell'orecchio della Teresa le parole insidiatrici, stendeva la mano all'impure carezze…. Come s'era ella lasciata prendere al laccio?

Era per Vergalli un troppo intollerabile strazio il fermarsi su questo pensiero, ed egli cercava, quasi balsamo alla ferita, la lettera ultima della Teresa, quella lettera piena d'ineffabile tenerezza ovv'ella confidava a lui i suoi desiderii più intimi, e a lui chiedeva perdono, e lui proclamava il migliore de' suoi amici…. La cercava, la tirava fuori della busta sgualcita, e benchè, in quella luce fievole e incerta, i suoi occhi annebbiati non riuscissero a decifrarne una riga, solo a vederla, solo a palparla, sentiva nell'anima un'amara dolcezza. Era sua, ben sua, la donna che, sull'orlo della tomba, gli aveva scritto così.

Crudele ironia! Era sua unicamente perchè era morta.

In queste alternative di dolore pacato e di spasimo delirante Mario Vergalli passò gran parte della notte. Tre volte egli s'accostò all'uscio della camera della Teresa, vinto dal bisogno di dar un estremo saluto alla diletta estinta, tre volte gli mancò il coraggio e la forza d'entrare.

Appunto dopo il terzo inutile tentativo egli s'era lasciato ricader sulla sedia velandosi la faccia col fazzoletto, quando la Luisa, che insieme con la cuoca vegliava la sua padrona, spinse adagio adagio i battenti dell'uscio, e sporgendo la testa disse:

—È lei, signor conte?

Egli trasalì.

—Che c'è?

La Luisa, anch'ella pallida e sfatta, s'avanzò di alcuni passi e soggiunse:

—In una saccoccia della vestaglia della povera signora…. quella che aveva addosso e in cui vuol essere seppellita…. abbiamo trovato una carta….

—Qual carta?—balbettò Vergalli.

—Questa.

—Date….

—Mi pare—riprese la cameriera—il biglietto che abbiamo posato iersera qui sulla scrivania….

—Il mio biglietto!—esclamò il conte strappandoglielo dalle mani.

Era quello veramente, e Mario non tardò a riconoscerlo. Stette in dubbio un istante; poi, con una subitanea risoluzione, disse, riconsegnandolo alla Luisa:

—Rimettetelo dov'era.

—Nella saccoccia della vestaglia?

—Sì…. sarà sotterrato con lei.

Non si portava ella sotterra il suo cuore? Non si sarebbe egli augurato di scender con lei nella fossa?

—Come desidera—rispose la Luisa. E s'avviò a capo chino, divorando le sue lacrime, ma giunta che fu sulla soglia non potè a meno di voltarsi indietro, e in forma di timido invito chiese a Vergalli:—Non vuole?…

Egli taceva, combattuto fra il sì e il no, con gli occhi immobili, fissi verso l'uscio semichiuso da cui veniva un chiarore giallastro di faci e un odor greve d'incenso bruciato.

La cameriera seguitò a voce bassa, quasi con aria di mistero:—È pronta….

E poichè il conte non capiva ella spiegò:

—L'abbiamo vestita…. Domattina alle dieci devono metterla nella bara.

—Oh!… Così presto?—fece Mario torcendosi le mani.

L'idea ch'egli non l'avrebbe vista mai più ebbe ragione delle sue ultime ripugnanze…. Strascicando i piedi, appoggiandosi ai mobili, egli entrò nella camera mortuaria….

Oscillavano in un vapore fumoso le fiamme dei ceri, s'agitavano in un movimento ritmico le tende calate sulle finestre aperte…. Nella bianca vestaglia, con le braccia in croce, ell'era distesa sul letto…. Ma era lei, era proprio lei? Era quella la Teresa che Mario aveva amata, la Teresa che anche la mattina, nell'agonia, conservava pur qualche traccia della sua bellezza gentile?… Oh come pronta e terribile era stata l'opera dissolvitrice!

Non resse egli allo strazio; appena sfiorò con un bacio quelle mani più fredde del marmo, e s'allontanò singhiozzando….

Provava un bisogno irresistibile d'essere all'aperto, di respirar l'aria libera, e senza chiamar nessuno uscì nell'andito, staccò dalle gruccie il cappello e il soprabito, scese a tentoni la scala e si trovò fuori della porta, sulla Riva degli Schiavoni. Era notte ancora, i lampioni del gaz erano tutti accesi, ma le stelle si scoloravano in cielo e l'alba doveva esser vicina. Mario Vergalli errava senza meta, malfermo sulle gambe, borbottando un nome adorato: Teresa Teresa!

Due popolani che lo videro in quello stato s'urtarono coi gomiti, e uno disse all'altro:

—Anche i signori prendono le loro sbornie.

FINE.