I FILTRATI DOLCI

GIUSEPPE DE-ASTIS

Direttore della R. Cantina Sperimentale di Barletta

I FILTRATI DOLCI

MONOGRAFIA

della filtrazione dei mosti e della preparazione dei cosidetti «filtrati dolci» e «lambiccati».

CASALE MONFERRATO TIPOGRAFIA E LITOGRAFIA CARLO CASSONE 1901.

INDICE

Capitolo I. — Definizione e classificazione dei filtrati. Cenno storico dell'industria dei filtrati dolci in Italia Pag. 1

Cenno storico dell'industria dei filtrati dolci in Italia 7

Capitolo II. — Materie prime per la preparazione dei filtrati dolci 11

a) Le uve 12

b) Il mosto grezzo delle uve rosse 19

Capitolo III. — Preparazione dei filtrati rossi. Processi e pratiche speciali di vinificazione 21

Metodo napoletano pei lambiccati di Torre del Greco 23

Metodo brindisino 26

Metodo barlettano 28

Metodi diversi 31

Pratiche dirette ad accelerare la dissoluzione della materia colorante e ad accrescere la densità del mosto 34

Capitolo IV. — Preparazione dei filtrati bianchi 40

Capitolo V. — La filtrazione del mosto. — Filtri e filtrerie 48

Filtri a cappuccio 50

Filtri a telaio 53

Filtri a sacchi 57

Pratica della filtrazione del mosto 64

Durata e numero delle filtrazioni 69

Condizioni propizie e contrarie al buon andamento della filtrazione 71

Filtrerie 72

Costo della filtrazione 75

Capitolo VI. — Conservazione e trasporto dei filtrati 76

Conservazione ivi

Antisettici 80

Anidride solforosa 81

Solfiti e bisolfiti 89

Bisolfito di potassio, o bisolfitina 90

Solfito di calcio 91

Pratica della solforazione e della solfitazione 93

Trasporto dei filtrati. — Trasporto della materia prima — uve e mosti grezzi 96

Trasporto del filtrato 100

Calo 103

Trasporto per via di mare 107

Capitolo VII. — Commercio dei filtrati dolci 109

Prezzi delle materie prime e dei filtrati 113

Prezzi dei mosti grezzi e dei filtrati a Barletta nella vendemmia 1900 117

Produttori e commercianti di filtrati 120

Dazî doganali sul filtrato in alcuni Stati esteri 122

Capitolo VIII. — Impiego dei filtrati dolci 124

1. Correzione dei vini e dei mosti settentrionali incompleti o difettosi ivi

2. Abboccato ad alcuni vini da pasto e da taglio 126

3. Fabbricazione dei vini spumeggianti 127

4. Fabbricazione di vini speciali 128

5. Consumo diretto ivi

Capitolo IX. — Analisi e composizione chimica dei filtrati 130

Analisi ivi

Determinazione della densità 131

Id. dell'alcool 132

Determinazione dell'acidità totale 133

Id. del glucosio 134

Id. delle sostanze estrattive 135

Id. delle ceneri 136

Composizione chimica dei filtrati ivi

Id. dei filtrati bianchi 138

Id. dei filtrati rossi 144

Capitolo X. — Residui dei filtrati 151

1. Torchiato ivi

2. Vinaccie 152

3. Residui fecciosi 153

ai carissimi amici EDOARDO OTTAVI ed ARTURO MARESCALCHI in segno di stima e di affetto l'autore dedica.

Capitolo I. Definizione e classificazione dei filtrati. Cenno storico dell'industria dei filtrati dolci in Italia.

Nel linguaggio enotecnico e commerciale chiamasi oggi in Italia filtrato dolce o semplicemente filtrato o lambiccato, il mosto di uva fresca, appena spremuto, ovvero già fermentato in parte, da solo o a contatto delle buccie, il quale sia stato sottoposto alla filtrazione per conservarne intatto, durante un certo tempo, il principio dolce, eliminando le cellule del fermento.

Dagli studi geniali del Pasteur ci fu dato apprendere che la fermentazione del mosto d'uva, come in genere di tutti i liquidi zuccherini, devesi alla vita di esseri organizzati, infinitamente piccoli, o fermenti, visibili soltanto al microscopio, i quali, in condizioni adatte di ambiente e di temperatura (20° — 25° C.) hanno la preziosa facoltà di scomporre il principio dolce (glucosio) disciolto nel mosto, in alcool, acido carbonico e in altri prodotti meno importanti, come la glicerina, l'acido succinico, ecc., che pure si riscontrano nel vino.

Il fermento tipico o predominante nel succo d'uva, come si sa, è il saccharomyces ellipsoideus, composto di cellule ellittiche, i cui germi ( spore ) si trovano diffusi, assieme a quelli delle muffe, dei bacterii, ecc., abbondantemente nel pulvisco atmosferico, nel terreno e accumulati, per opera del vento o degli insetti, specialmente sugli acini dell'uva matura, d'onde passano poi nel mosto al momento della pigiatura, si sviluppano, si moltiplicano rapidamente per gemmazione e trasformano il succo dolce in vino.

Ora, è chiaro che uccidendo queste cellule con un mezzo qualsiasi (calore, antisettici) oppure separandole completamente dalla massa liquida con un apparecchio filtrante, il mosto cessa di fermentare e potrà conservarsi dolce per un tempo anche indefinito, sino a quando nuovi microorganismi uguali ai primi o di altra specie, non intervengano ad intaccare il principio zuccherino rimasto indecomposto, la qual cosa del resto si potrà impedire con opportune cure di conservazione.

Con la filtrazione però, anche la più accurata e ripetuta, eseguita specialmente cogli ordinari filtri da cantina, non si riesce mai a separare rigorosamente dal mosto tutte le cellule del fermento e dei bacterii che vi si possono trovare sospese; un certo numero di queste passano col liquido limpido a traverso i meati del filtro, onde spesso avviene che, o per questa ragione, o per l'inquinamento prodotto dai germi esistenti nell'aria e nei recipienti, la fermentazione finisce per riattivarsi ed il filtrato torna a intorbidirsi dopo un certo tempo più o meno breve, secondo le condizioni propizie all'attività fisiologica del fermento.

Ma, d'altro canto, per le osservazioni del Dumas, sappiamo che la rapidità di scomposizione dello zucchero, a parità di altre condizioni, è proporzionale al numero delle cellule del fermento, per cui, tanto maggiore sarà la quantità dei fermenti sottratta al mosto con la filtrazione e tanto più si attenuerà il moto fermentativo, o si allungherà il periodo di conservazione del filtrato allo stato dolce. Esso potrà così venire trasportato a grandi distanze, perchè, se anche durante il viaggio dovesse rimettersi, come di solito avviene, in fermentazione, questa procederà sempre assai lenta e difficilmente arriverà a far perdere al filtrato le qualità che presentava al luogo di partenza, semprechè s'intende, siano osservate le volute cure nella preparazione e nel trasporto.

La filtrazione quindi, quantunque non arrivi da sola a sterilizzare il mosto, rende tuttavia un grande servigio alla industria enologica, perchè permette di utilizzare in modo molto razionale nel nord una materia prima importantissima qual'è quella rappresentata dai mosti meridionali ad alta gradazione zuccherina.

Quando il filtrato si prepara dalle uve bianche, raramente si fa subire al mosto un principio di fermentazione, ma non appena esso scorre dal pigiatoio si mette a defecare per alcune ore, praticandovi anche la collatura e quindi si filtra. Il filtrato rosso invece proviene sempre da un mosto già fermentato in parte a contatto delle bucce, in modo da fargli acquistare una certa gradazione alcoolica 1 a 6% ed una sufficiente intensità di colore. La durata della fermentazione varia secondo i climi da 12 a 48 ore.

Chimicamente il lambiccato è da ritenersi identico al filtrato; la distinzione consiste soltanto nella forma degli apparecchi filtranti usati nella preparazione.

La parola lambiccato deriva appunto da ciò, o, più precisamente, dalla somiglianza che presenta il gocciolìo del mosto limpido quando scorre dalla punta del caratteristico sacchetto a cappuccio (specie di mollettone) adoperato a Torre del Greco, allo stillicidio dell'alambicco da spirito: per cui, con linguaggio figurato si disse lambiccare o lammiccare il mosto, invece di filtrare, e lambiccato si chiamò, come tuttora si chiama a Torre del Greco, il mosto stesso filtrato al cappuccio. Oggi tale distinzione di nomi si va disusando in Puglia e altrove in cui il cappuccio, introdotto dal napoletano, è stato sostituito in gran parte dai veri filtri di sistemi più perfezionati, e quei pochi elio lavorano ancora col vecchio metodo, danno al prodotto il nome di filtrato (in dialetto barlettano trafilato ) invece che di lambiccato.

Non bisogna confondere, come ha fatto qualcuno, il filtrato dolce col noto torbolino dell'alta Italia, col Sauser della Svizzera o coi vini muti. Questi sono prodotti che si preparano con mezzi e scopi diversi dal semplice filtrato, il quale ha importanza commerciale assai più vasta, perchè serve, per lo più, da utile correttivo nella vinificazione.

* * *

I filtrati si distinguono in commercio, secondo il colore, in filtrati bianchi se ricavati da mosti di uve bianche e in filtrati rossi se provenienti da uve rosse. Fra gli uni e gli altri ci sono i filtrali speciali, preparati con uve di lusso o aromatiche, come il moscatello, la malvasia, l'aleatico, ecc. Queste diverse classi di filtrati non solo differiscono tra loro pei caratteri organolettici e chimici, ma eziandio per il metodo di preparazione, come vedremo.

Tutti poi indistintamente i filtrati prendono la qualifica di dolci allorchè conservano ancora un'alta proporzione di zucchero indecomposto. Quando invece la fermentazione fu inoltrata al punto da trasformare oltre la metà dello zucchero originario del mosto, il filtrato va perdendo il dolco sino a diventare asciutto o magro. Allora perde di pregio e il suo impiego si riduce a un numero ristretto di casi.

Vi sono infine i filtrati grassi che derivano da mosti ricchi di materie azotate e da uve di vigneti giovani, coltivate in terreni fertili o umidicci. Questi filtrati non si dovrebbero però preparare che in casi di assoluta necessità, perchè sono di qualità scadente.

I filtrati dolci, a qualunque categoria appartengano, se sono preparati di recente e con cura, devono presentare anzi tutto una limpidezza irreprensibile, non devono accusare nessun odore all'infuori di quello naturale del mosto d'uva o dell'aroma dei vitigni speciali. Il sapore dev'essere franco, non deve cioè neanch'esso marcare[1] gusti difettosi, di graspi, di legno, di cochylis, di marcio, di amaro, ecc. come suole avvenire allorquando non si fece il diraspamento totale delle uve al momento della pigiatura, ovvero si spinse troppo oltre la fermentazione, si abusò del torchiato o si vinificarono uve difettose.

Il filtrato bianco deve avere pochissimo alcool, da una frazione di grado al 2-3% al massimo: il filtrato rosso invece occorre che ne contenga, come si disse, una certa dose, in media 4-5% per essere ben colorato, ricco di materie estrattive, a schiuma viva e poco persistente.

La produzione dei filtrati bianchi è piuttosto limitata in confronto di quella dei rossi, si preparano in Piemonte a scopi speciali o a scopo industriale nelle Romagne, nel Circondario di Bari e in alcuni comuni del Leccese. Essi non superano, secondo le notizie da noi assunte, il 10% della totale produzione e commercio dei filtrati dolci in Italia.

A Torre del Greco, da quanto scrive l'egregio prof. Eugenio Casoria, si producono da 15 a 20 mila ettolitri annui di filtrati; in Puglia la produzione oscilla molto a norma dell'andamento dello stagioni, ma nelle annate normali si può calcolare intorno ai 600 mila quintali, di cui 9 ⁄ 10 rossi e 1 ⁄ 10 bianchi. Nel 1899 da Brindisi solo partirono 200 mila quintali di filtrati pel Veneto.

Mancano notizie statistiche esatte delle altre regioni italiane, ma non crediamo di errare se valutiamo la produzione complessiva dei filtrati dolci in Italia intorno a un milione di quintali all'anno, cifra questa che segnerà ancora un notevole incremento per l'estensione continua che va prendendo la pratica della filtrazione dei mosti nel mezzogiorno.

I filtrati rossi attualmente più conosciuti per ordine di merito intrinseco o meglio di alta gradazione zuccherina sono in prima linea quelli di Barletta, poi i filtrati del Leccese, i lambiccati napoletani e quelli delle Romagne.

I filtrati brindisini sono i primi a comparire sui mercati dell'alta Italia, trovano perciò un più largo smercio e vengono in gran parte impiegati per la rifermentazione o il taglio dei vini duri dell'annata precedente che voglionsi dare al consumo durante i mesi di settembre-ottobre.

Cenno storico dell'industria dei filtrati dolci in Italia

La pratica della filtrazione del mosto d'uva appena spremuto dagli acini, o dopo avere subìto una breve fermentazione, venne introdotta in Italia dagli enologi francesi, specialmente della Champagne, dove si usava da tempo filtrare i mosti destinati alla fabbricazione dei vini spumanti col metodo naturale. Prima ancora del 1848, degli albori cioè del nostro risorgimento politico, si cominciarono in Piemonte, specie a Canelli, Acqui ed Asti a filtrare i mosti di malvasia e di moscato per la razionale fabbricazione dei vini omonimi di lusso o spumanti. Verso il 1850 sorse a Napoli una società che impiantò uno stabilimento di champagne e che si fornì di lambiccati di Torre del Greco, dove, secondo il signor Giuseppe Perelli Minetti, i piemontesi avevano già precedentemente introdotto l'uso della filtrazione del mosto, secondo altri invece furono gli stessi enologi francesi che insegnarono quasi contemporaneamente a preparare i filtrati del Piemonte e i lambiccati di Torre del Greco.

Nel 1855, causa lo stremato raccolto del vino per gli effetti delle prime invasioni dell'oidio nel Napoletano, alcuni commercianti di là si recarono a fare le provviste di mosti in Puglia, specialmente nel Barlettano. Quivi prepararono loro stessi, con operai propri e col mezzo dei cappucci, i lambiccati che spedivano a Napoli. D'allora cominciò a diffondersi in Puglia la pratica della filtrazione dei mosti appresa dai commercianti locali, che procurarono naturalmente di soddisfare le nuove richieste del mercato napoletano prima e di quelli dell'alta Italia poi.

In questo frattempo (1864-65) per opera di negozianti lombardi e piemontesi si cominciarono a preparare i primi filtrati anche nelle Romagne, a Lugo, Bagnacavallo, Massa Lombarda e Cotignola (prov. di Ravenna) mentre nel 1870-73 il signor Giuseppe Perelli Minetti introduceva a Brindisi il vecchio filtro astigiano a un sacco semplice, da un ettolitro, e poscia modificava il filtro Mesot, adattandolo al mosto con l'aggiunta di rubinetti e con la riduzione del serbatoio metallico a cassone quadrato di legno, foderato di latta.

Verso il 1876 s'iniziò il grande lavoro di esportazione dei vini pugliesi da taglio in Francia, dove la fillossera aveva decimata la produzione vinaria, il Rouhette introdusse allora in Puglia il suo filtro a telai, munito di rubinetti, che servì e serve ancora oggi così alla filtrazione del vino come del mosto per la preparazione dei filtrati dolci.

Il filtro Rouhette, che per la celerità del lavoro venne tosto preferito ai cappucci napoletani, diede il primo impulso alla industria dei filtrati dolci nel Barlettano e nel Brindisino, industria che oggi ha raggiunto un notevole sviluppo, perchè si è ormai estesa a molti comuni vinicoli della Puglia, della Basilicata, del Napoletano, delle Romagne e del Piemonte, mentre accenna a diffondersi anche in Calabria, in Sicilia e in altre importanti regioni italiane.

In Puglia esistono oggidì parecchi stabilimenti che si occupano quasi esclusivamente della preparazione dei filtrati dolci durante il periodo della vendemmia, ma oltre a ciò, quasi tutti i commissionari e anche qualche produttore sono provvisti di filtri per allestire qualche vagone di filtrato ai loro clienti dell'alta Italia.

Nella scorsa campagna, notizie particolareggiate ci furono richieste dalla Sicilia relative alla preparazione dei filtrati, specialmente per conto di S. E. l'on. marchese Di Rudinì che volle già tentare la nuova industria nelle sue vaste cantine di Pachino, dove erano sin ora completamente sconosciuti i filtrati dolci.

Il filtro Rouhette che fece presto abbandonare in Puglia l'uso dei cappucci napoletani, ha perduto oggi anch'esso un pò della sua rinomanza e va rapidamente cedendo il posto ai filtri a sacchi pieghettati, sul tipo olandese-Carpenè, ma reso più semplice e più adatto alla filtrazione del mosto che non siano gli altri tipi di filtri conosciuti in enologia.

Capitolo II. Materie prime per la preparazione dei filtrati dolci.

I punti di partenza, ossia i prodotti da lavorarsi nella preparazione dei filtrati dolci sono due soltanto:

a ) Le uve fresche, di varietà bianche e rosse appena vendemmiate che vengono sottoposte a processi speciali di vinificazione.

b ) Il mosto grezzo delle sole uve rosse già messo a fermentare assieme alle bucce dallo stesso produttore, secondo la consuetudine locale, ma svinato assai precocemente per venderlo all'industriale che prepara i filtrati.

In alcune regioni, come nel Piemonte, nel Brindisino e nei casali di Bari (Castellana, Locorotondo, Cisternino, Alberobello) si lavorano quasi da tutti direttamente le uve; nelle Romagne, nel Napoletano e nel Barlettano, salvo poche eccezioni, si ricorre in genere all'acquisto del mosto dolce al palmento, o come si dice in Puglia, al trappeto, che è uno stabilimento quasi primitivo, dove i proprietari vanno a vinificare le loro uve e poi a frangere le olive, a pagamento. In questo caso non si adottano dal produttore norme speciali di vinificazione, ma egli ha soltanto cura di destinare per filtrato, e quindi anticiparne la svinatura a suo rischio, il mosto delle uve più fini, di località pregiate, essendone così assicurata la vendita sollecita, a prezzo remuneratore.

Naturalmente dalla buona qualità delle uve o del mosto che si compera dipende poi la bontà del filtrato, a parte l'influenza che può esercitare il sistema di lavorazione; occorre quindi di sapere bene apprezzare il valore della materia prima da scegliere, conoscere i principali requisiti ai quali deve rispondere per essere utilmente destinata allo scopo cui si vuole raggiungere.

Noi diremo quel tanto che ci fu dato sin ora di raccogliere su questo interessante argomento con ripetute osservazioni e con lo studio nel campo pratico, fatti specialmente negli stabilimenti vinicoli della regione pugliese.

a ) Le uve.

Le uve adatte alla preparazione dei filtrati dolci possono essere tanto quelle bianche che le nere, le une e le altre a gusto neutro o a sapore aromatico, come il Moscatello, la Malvasia, l'Aleatico, il Fiano, il Primativo di Gioia del Colle ecc. Ma le uve più apprezzate all'uopo sono quelle più zuccherine, molto colorate, se nere, e di maturazione precoce. Il Primativo sarebbe eccellente sotto questo riguardo se non avesse un gusto speciale alquanto palese che non ne permette una larga utilizzazione nei tagli delle uve o dei mosti di altre regioni.

Qualunque sia la varietà cui l'uva appartiene e l'epoca della sua maturazione, essa sarà tanto più adatta a dare buoni filtrati, quanto più denso ne è il mosto, ossia ricco di principio zuccherino e meno pronunziato nell'acidità. Deve essere perciò l'uva vendemmiata a perfetta maturazione e se possibile anche un po' inoltrata, specialmente se di varietà bianca.

Ad eccezione dei filtrati speciali di Primativo, di Malvasia, di Aleatico ecc. tutti gli altri difficilmente si preparano da una sola varietà di uva, ma quasi sempre dal miscuglio di due o più varietà, come si trovano coltivate nel vigneto; solo si ha cura di separare le uve bianche dalle nere.

Le varietà di uve che in Italia più comunemente s'impiegano per la preparazione dei filtrati sono quelle predominanti nelle regioni ove si esercita l'industria, le più ricche di glucosio e le primaticce.

In Piemonte, ad Asti, Acqui e Canelli, sono il Moscato e la Malvasia che si destinano alla filtrazione per fabbricare i rinomati vini spumanti o il Vermouth, nelle Romagne sono preferite il Sangiovese, l' Uva d'oro (molto tannica) e la Canina fra le uve nere; il Trebbiano e l'Albana fra le uve bianche. A Torre del Greco il lambiccato è a base di mosto di Lugliese, varietà primaticcia da tavola e da vino, seguono poi la Nocella, l' Olivella, il Piede di Colombo ed altre meno pregiate.

In Puglia predomina l' Uva di Troia che spesso va accompagnata da un po' di Lagrima in provincia di Bari; nel Circondario di Altamura il Primativo, nel Brindisino il Negro amaro, la Malvasia e il Sussimanniello.

Crediamo opportuno riportare a pag. 15-16 alcuni saggi analitici fatti sulle qualità più scelte di queste diverse uve che si destinano per la preparazione dei filtrati nelle regioni succennate, limitandoci solamente ai dati della densità, della gradazione zuccherina e dell'acidità complessiva del mosto che sono quelli di maggiore interesse pratico.

  • a. N. d'ordine
  • b. Nome dell'uva
  • c. Luogo di produzione
  • d. Anno della vendemmia
  • e-f-g. Composizione del mosto
  • e. Densità a 15°C
  • f. Glucosio %
  • g. Acid. totale in ac. tart. ‰
  • h. Analizzatore

Uve nere

a b c d e f g h

1 Uva di Troia Barletta 1898 1,1122 25,76 4,12 G. De Astis

2 id. id. » 1,1094 22,60 3,60 G. Corrà

3 id. id. » 1,1038 21,96 3,28 D. Stragapede

4 id. id. 1899 1,1151 24,36 3,98 id.

5 id. id. » 1,1102 23,78 3,55 id.

6 id. id. » 1,1164 24,82 3 — id.

7 id. id. » 1,1062 23,05 3,30 id.

8 id. id. 1900 1,1155 27,60 4,28 G. De Astis

9 id. id. » 1,1153 25,98 4,10 id.

10 id. id. » 1,1166 26,72 4,50 id.

11 id. id. » 1,1129 23,71 3,41 id.

12 id. Molfetta 1898 1,1112 22,22 4,27 id.

13 id. Andria 1899 1,1205 24,75 3,30 G. Corrà

14 Negro amaro e Sussimanniello Brindisi » 1,1086 21,25 6,30 id.

15 Negro amaro Lecce » 1,0943 20,20 6,00 id.

16 id. Brindisi » 1,1105 22,00 5,91 G. De Astis

17 Aleatico Barletta 1899 1,1185 24,60 6,22 G. Corrà

18 id. id. 1900 1,1161 24,50 6,15 G. De Astis

19 Olivella S. Anast. 1886 1,0820 20,77 7,60 F. Rossi

20 Nocella Torre d.G. » 1,0810 19,49 6,20 id.

21 Mista id. 1894 1,0892 20,84 [2] 9,75 E. Casoria

22 Uva d'oro Ravenna 1889 — 14,70 8,30 A. Pasqualini

23 id. Lugo » — 13,90 8,10 id.

Uve bianche

1 Bombino Sansevero 1898 1.1009 21.60 5.85 G. Corrà

2 Malvasia Ruvo di P. » 1.0981 21.27 4.42 D. Stragapede

3 Moscato Trani 1899 1.1318 28.20 4.10 G. De Astis

4 Fiano Castellana » 1.0989 20.85 5.40 G. Corrà

5 Malvasia id. » 1.0966 20.40 4.80 id.

6 id. Lecce » 1.1002 22.80 5.10 id.

7 id. Galatina » 1.1178 23.75 4.42 id.

8 id. Squinzano » 1.1109 24.41 4.95 G. Mohrhoff.

9 id. S. Vito N. » 1.1099 23.47 4.87 id.

10 id. Andria » 1.1205 24.75 3.30 G. Corrà

11 Verdèa Martina F. » 1.0925 20.05 6.23 D. Stragapede

12 Buonvino Andria » 1.1068 23.05 4.95 G. Mohrhoff

13 Moscato Trani 1900 1.1106 24.07 5.40 G. De Astis

14 Uve miste Barletta » 1.0988 20.75 4.98 id.

15 Trebbiano Ravenna 1889 — 16.90 7.70 A. Pasqualini

16 id. Faenza » — 19.23 5.40 id.

17 Albana id. 1890 — 17.22 3.10 A. Pasqualini e Serughi

18 id. id. » — 17.47 3.60 id.

19 Trebbiano id. » — 16.42 5.10 id.

20 id. Lugo » — 22.50 4.90 id.

21 Moscato Canelli » 1.1180 24.65 6.30 E. Silva

22 id. id. » 1.1230 25.31 6.40 id.

23 id. id. » 1.1470 30.45 6.00 id.

24 id. id. » 1.1170 23.82 6.50 id.

25 id. id. » 1.1210 24.74 5.90 id.

Come facilmente si scorge da queste analisi, i mosti di uve nere, di qualità superiore, hanno una densità variabile da 1.110 a 1.119 (14° a 17° Baumé) cui corrisponde una ricchezza zuccherina di 23 a 28%; i mosti invece di qualità comune, con 17 a 22% di glucosio, hanno una densità minore che può comprendersi tra i limiti di 1.08 a 1.109 (12° a 14° B°).

Si noti però che non sempre la densità cresce in rapporto diretto della quantità di zucchero nel mosto, potendo influire ad aumentarla anche la dose del cremore e delle materie estrattive. Tuttavia le cifre accennate hanno un valore molto attendibile nella generalità dei casi: giova soltanto avvertire che le densità elevate di 1.110 a 1.119 non sono comuni ai mosti rossi scelti delle diversi regioni italiane, e di ogni annata, ma piuttosto speciali a quelle plaghe meridionali assai favorite dal clima, dove si producono robusti vini da taglio come ad esempio il circondario di Barletta, varï comuni del Leccese (Gallipoli, Nardò, Pulsano) produttori di buoni filtrati e tutte le plaghe, in genere, bene esposte, del basso continente e delle isole.

Non è stato possibile rintracciare analisi delle uve scelte delle Romagne, all'infuori di quelle riportate nella pubblicazione del Ministero di agricoltura sui vini e uve d'Italia, fatte negli anni anteriori al 1890 e che però si devono riferire a uve scadenti o immature, stante la scarsa gradazione zuccherina del mosto. Il prof. Alessandro Pasqualini, direttore della R. Stazione agraria di Forlì, in data del 13 aprile 1901 ci scriveva che la cifra dello zucchero nelle annate normali per le buone uve coltivate nelle Romagne, deve ritenersi intorno ai 22-23 %, specialmente per l'Albana.

I mosti delle uve bianche, di qualità superiore o speciale, con 23 a 30 % di glucosio, presentano, come si osserva dalle 23 analisi su riportate, una densità di 1.110 a 1.147 (14 a 19° B°) e le qualità comuni, con 20 a 22 % di zucchero, da 1,092 a 1.105 (12.75 a 13.75 B°).

Il peso specifico, o densità, che è lo stesso, è da ritenersi un dato importantissimo, che occorre di sapere ben valutare nella scelta o negli acquisti delle uve da adibirsi alla preparazione dei filtrati dolci, poichè le contrattazioni di questi ultimi, come vedremo appresso, si basano spesso su quel dato, specialmente per le vendite all'estero.

Il semplice assaggio organolettico, anche se fatto dal più esperto degustatore, non può tanto facilmente apprezzare da solo la densità di un mosto, grezzo o filtrato che sia, e per conseguenza la relativa ricchezza zuccherina; è necessario quindi ricorrere all'uso di un areometro o del gleucometro, quando non si disponga di altri mezzi di precisione da laboratorio. In pratica si possono assai utilmente impiegare all'uopo, o un densimetro capace di fornire direttamente il peso specifico del mosto, oppure l' areometro di Baumè, che viene, frequentemente adoperato in Francia. Vi sono inoltre i pesamosto che rendono un buon servigio: il più consigliabile pel caso che ci occupa è il gleucometro Guyot perchè munito di tre scale sull'asticina, una per lo zucchero, l'altra per l'alcool a prodursi sul vino fatto e la terza per la densità in gradi Baumè.

Stimiamo superfluo soffermarci qui a descrivere le diverse forme di detti strumenti e il modo semplice di usarli; per cui rimandiamo senz'altro il lettore al pregevole manuale del dott. E. De Cillis sulla densità dei mosti e dei vini (Hoepli, Milano 1899).

Dicemmo già che le uve scelte da adibirsi alla preparazione dei filtrati vanno vendemmiate a maturazione perfetta: il momento giusto della vendemmia è indicato dal massimo di produzione zuccherina nel mosto e dal grado di acidità alquanto ridotto rispetto alla varietà e all'andamento della stagione. Dando uno sguardo alle cifre delle analisi riportate innanzi, si rileva che, eccettuata qualche varietà di uve romagnole, l'acidità totale, valutata in acido tartarico, varia da un minimo di 3 grammi a un massimo di 6,50‰.

Un'acidità molto elevata tende a far diminuire i pregi dei filtrati dolci o della corrispondente materia prima, perchè toglie al prodotto la voluta morbidezza.

b ) Il mosto grezzo delle uve rosse.

Quando il commerciante va ad acquistare al palmento il mosto per filtrare, come frequentemente suole avvenire nel circondario di Barletta e in altri comuni vinicoli della Puglia, d'ordinario è il produttore stesso che, in base a criterii proprii, eseguisce la svinatura per far trovare il mosto pronto al momento del contratto. Una volta si usava di andare a fare il saggio, anche di notte, commerciante e produttore insieme, nel tino stesso di fermentazione, forando col succhiello una doga, per stabilire preventivamente, di comune accordo, il giusto punto della svinatura; ora invece il commerciante, ovvero il suo mediatore, si disinteressa della svinatura, limitandosi a scegliere, fra le partite pronte nei sottotini, svinate di recente dal produttore, quelle che all'assaggio meglio corrispondono per qualità e per prezzo alla preparazione del filtrato.

I criterï che servono di base per l'apprezzamento della materia prima, in tale circostanza, sono sempre la densità, il colore e il gusto del mosto. Non tutti i commercianti però si avvalgono del densimetro o del gleucometro per accertare la densità o la gradazione zuccherina, qualcuno ricorre sovente ai mezzi empirici, quali, ad esempio, quello di immergere le dita della mano destra nel mosto e sentire se questo vi aderisce più o meno, oppure di farlo scorrere nella tazza di argento, sopra un pezzo di porcellana ecc.

In generale nel mosto per filtrato si richiedono un'alta gradazione zuccherina, accompagnata da una forte intensità colorante, caratteri questi che tendono ad elidersi scambievolmente, perchè l'intensità colorante è in diretto rapporto coll'alcool prodottosi nella fermentazione, a spesa dello zucchero. Occorre quindi, da parte del produttore, di saper determinare il giusto punto di fermentazione, per la svinatura, nel quale al voluto grado di dolcezza nel mosto corrisponda la massima colorazione possibile.

Si richiedono inoltre nel mosto un sapore franco alla degustazione, quasi vellutato, e la schiuma rossoviva, poco persistente.

I mosti troppo dolci, o crudi, che furono per la fretta svinati dal produttore troppo per tempo, fanno, come dicesi in gergo commerciale, la schiuma di lumaca e non sono perciò ancora idonei alla preparazione dei filtrati. La pratica acquistata con l'esperienza di qualche anno è l'unica guida sicura e infallibile in questa operazione dell'apprezzamento della materia prima, quando però non si trascuri di ricorrere all'aiuto degli appositi strumenti per determinare, con sufficiente esattezza il grado di densità.

Pei novelli, come si dice, del mestiere possono giovare molto le indicazioni che abbiamo date innanzi e le analisi dei filtrati esposte a pag. 15-16 di questo lavoro.

Capitolo III. Preparazione dei filtrati rossi. Processi e pratiche speciali di vinificazione.

I filtrati rossi, rispetto ai bianchi, hanno un'importanza, dicemmo, assai più notevole, sia per il largo impiego che trovano nelle cantine dei produttori settentrionali, sia per le contrattazioni numerose cui dànno luogo nel periodo della vendemmia e la facilità di acquistare la materia prima adatta anche nei palmenti, allo stato di mosto grezzo. L'industria dei filtrati rossi ha preso infatti uno sviluppo fortissimo in questi ultimi anni, specialmente in Puglia, ove la ricchezza zuccherina elevata, l'intensità colorante e le materie estrattive, anche abbondanti, nei mosti, permettono di soddisfare a tutte le esigenze degli osti dell'alta Italia.

I filtrati rossi pugliesi inoltre sono i primi della penisola a comparire sul mercato nazionale, per la precocità di maturazione delle uve, che nel Leccese cominciano a vendemmiarsi ai primi di settembre, e durano poi sino a tutto ottobre con la vendemmia del circondario di Barletta.

Offrono essi anche tutte le gradazioni di colore, di dolcezza, di acidità, di gusto, e infine di prezzo per le svariate qualità e la celerità di trasporto verso il nord, a confronto di altre regioni più meridionali ed insulari.

Le materie prime pei filtrati rossi sono, come già accennammo al Cap. II, le uve nere, scelte con preferenza dalle vigne vecchie, ed il mosto svinato precocemente dal tino. Descriviamo intanto alcuni processi di preparazione direttamente dalle uve, poi diremo di quello dal mosto grezzo quale si suole acquistare dai commercianti nei palmenti o nei trappeti.

Le uve vendemmiate a perfetta maturazione, per utilizzare tutto il principio zuccherino che si forma sotto l'azione benefica del sole, o per avere la materia colorante (enocianina) ad uno stato più facilmente solubile, si diraspano a mano, o alla diraspatrice, e si pigiano su graticcio di legno o su palmento in muratura se coi piedi nudi dell'uomo, in pigiatolo meccanico se non si voglia o non si possa adottare il primo modo di pigiatura. Non è però indifferente scegliere l'uno piuttosto che l'altro sistema, dovendosi tener presente che allorquando non si abbiano da lavorare forti masse di uve, i piedi nudi dell'uomo sono sempre da preferirsi al pigiatojo meccanico.

In Puglia, i metodi di preparazione dei filtrati, direttamente dalle uve, variano alquanto nei loro particolari, da contrada a contrada, e qualche volta anche da uno stabilimento all'altro; tutti però si prefiggono lo scopo di ottenere mosti che, ad una massima gradazione zuccherina possibile, uniscano i pregi di una forte intensità colorante, con schiuma rosso-viva, ed un gusto netto, rotondo come dicono i pratici.

Trattandosi di un argomento di cui la letteratura enologica è poverissima, non offrendo per quanto noi sappiamo quasi sin ora nessuna pubblicazione, all'infuori di un solo studio analitico del chiarissimo dott. Eugenio Casoria, pubblicato negli annali della R. Scuola Superiore di agricoltura di Portici, e di qualche breve articolo di giornali agrari, crediamo utile di descrivere con qualche particolarità i principali metodi di preparazione dei filtrati rossi, seguiti nel mezzogiorno d'Italia, e cominceremo per ordine — diremo così — di anzianità, dal lambiccato di Torre del Greco; poi diremo del metodo brindisino, di quello usato nel circondario di Barletta e di altri metodi varii.

* * *

Metodo napoletano pel lambiccato di Torre del Greco. — Abbiamo spiegata innanzi l'etimologia della parola lambiccato che deriva dallo sgocciolare del mosto limpido dal vertice del cappuccio, o sacchetto filtrante, simile allo stillicidio che si osserva nell'alambicco da spirito, e quindi si è chiamato dal volgo, con espressione figurata, lambiccato il mosto limpido filtrato. Il lambiccato non è dunque che il filtrato dolce, rosso o bianco, ottenuto coi filtri a cappuccio, specie di mollettoni (fig.4 e 5 ) che vengono quasi esclusivamente adoperati a Torre del Greco ed ora raramente in Puglia.

Secondo quanto scrisse il prelodato prof. Casoria, direttore del laboratorio chimico municipale di Torre del Greco, il lambiccato ivi si ottiene con diverse varietà di uve nere locali, tra cui primeggiano la Lugliese, precoce, la Nocella, l' Olivella, e il Piede di Colombo, delle quali abbiamo riportato qualche saggio analitico nel capitolo precedente.

Ecco come il prof. Casoria si esprime riguardo al metodo di preparazione del lambiccato:

«Le uve pigiate sono introdotte nei comuni tini aperti ed il mosto è versato sin presso l'orlo. I produttori meno ignari delle pratiche enologiche lasciano uno spazio vuoto di circa 30 a 40 centimetri, per modo che l'anidride carbonica prodotta dalla fermentazione impedisca il libero accesso dell'aria, pel quale potrebbe aversi l'inacidimento delle vinaccie.

La durata della fermentazione è subordinata a varie condizioni, la principale è la temperatura dell'ambiente, nonchè la qualità del prodotto che si vuole ottenere. Essa varia dalle 24 alle 48 ore.

La svinatura si compie, per giudizio dei pratici, quando il mosto comincia ad avere sapore di vino e di questa ne avverte il gleucometro o qualunque altro areometro.

Gli agricoltori torresi, che sono molto esercitati in tale preparazione, misurano la temperatura, introducendo, nel tino a fermentazione, il braccio oltre il gomito; e per giudicare del momento più opportuno per svinare, essi praticano il seguente saggio:

Si versa il mosto in un piatto e lo s'inclina: il liquido dev'essere scorrevole più del mosto primitivo e deve formare un'onda ascendente per l'alcool che si evapora.

A questo ingegnoso mezzo, con maggior criterio, si supplisce usando il gleucometro, e procedendo alla svinatura quando il liquido vinoso segna il 3 al 5% d'alcool in volume.

In tali condizioni il mosto, parzialmente fermentato, viene estratto dai tini, ed indi sottoposto a filtrazione attraverso i così detti cappucci o filtri di tela, dai quali è sceverato dalle materie in sospensione e dalla maggior quantità di fermento.

Questa operazione erroneamente è detta lammiccare, il cui significato dialettale è filtrare.

Riassumendo quanto si è fin qui esposto, emerge chiaro, che lo scopo al quale si mira nella preparazione del lambiccato è quello di ottenere un liquido vinoso, limpido, parzialmente fermentato; sceverato dal maggior numero di fermenti e contenente poco alcool od eccesso di glucosio.

I metodi di preparazione sono, però, suscettibili di modificazioni, ed infatti, la filtrazione quale ora si pratica attraverso i cappucci, è troppo lenta e non si eliminano del tutto i fermenti. Occorrerebbe in tal caso sostituire uno dei tanti filtri meccanici, che meglio rispondono allo scopo.

In tal modo si avrebbero dei lambiccati meno soggetti a rientrare in fermentazione e più adatti all'esportazione».

* * *

Metodo brindisino. — A Brindisi si lavorano notevoli quantità di uve espressamente per la preparazione dei filtrati rossi e con criterï molto razionali. Le uve, ben mature e sanissime, vengono ammostate a piedi nudi di uomini e diraspate sul palmento di pietra viva, proveniente da roccia calcare molto compatta. Questo palmento si riduce a una grande vasca rettangolare, addossata alle pareti del muro, dell'area di metri 4 × 5, e profonda circa 80 centimetri, col fondo piano, leggermente inclinato in avanti.

Mano mano che le uve si pigiano, il mosto scorre dalla vasca, o dal palmento, per un foro, in un fosso sottostante, scavato nel suolo, mentre la pasta si diraspa colle mani, in tutta o in parte, e si ammucchia in un canto dello stesso pigiatoio. Di solito si preferisce lasciare una piccolissima parte dei graspi ( 1 ⁄ 10 a 2 ⁄ 10 ) per non avere poi una poltiglia soverchiamente densa, e perchè, sollevandosi quelli nella massa fermentante, assieme al capello, spogliano il mosto dalle sostanze mucillagginose.

Quando si è giunto a una certa quantità di uva pigiata, si ottura il foro di scolo, si distende la pasta, formata dalle bucce e dai pochi graspi, a strato sul pigiatoio e si versa su il mosto estratto dal fosso, col mezzo di pompe, o, più comunemente, colle secchie di rame.

Comincia allora la caratteristica passeggiata che dura oltre sei ore continue: nel palmento entrano cinque a sei uomini con le gambe nude quasi sino alle coscie, armati di pale di legno; con le quali, mentre passeggiano rimescolando la vinaccia, sollevano questa per lasciar penetrare il mosto da pertutto, ottenendosi così una vera poltiglia.

La prima passeggiata incomincia, per lo più, verso sera, dopo cessa e segue, durante la notte, il riposo; indi, alla mattina si pratica la seconda passeggiata, che è una vera follatura diretta ad affondare bene il cappello delle vinacce. Segue ancora un riposo di tre a quattro ore, indi si svina, al mosto fiore si uniscono le prime torchiature leggere e si comincia subito la filtrazione.

Dall'arrivo al palmento del primo carro di uve, sino alla svinatura che si effettua all'inizio della fermentazione tumultuosa, passano, in condizioni normali di temperatura ambiente, 28 a 30 ore.

I criterii che servono a fissare il momento opportuno della svinatura, si basano, in genere, sull'impiego di un mostimetro (il pesa-mosto Babo, o il gleucometro Guyot) il quale deve segnare da 17 a 19 gradi di zucchero indecomposto pei mosti di prima vendemmia e 19 a 21% per quelli provenienti da uve ben mature.

I primi getti del filtro segnano le gradazioni di 20 a 18, che poi scendono, alla fine della filtrazione sino 12-10, perchè nel filtro continua il moto fermentativo; si ha quindi una massa con la gradazione media di 14 a 16% di glucosio.

(

18 + 10 2

e

20 + 12 2

)

Del sistema e dell'uso degli apparecchi filtranti diremo al Cap. V.

* * *

Metodo barlettano. — I filtrati di Barletta, o dei paesi vicini, differiscono da quelli brindisini e leccesi per la più alta gradazione zuccherina, maggiore intensità colorante ed estratto secco. Essi provengono quasi tutti da vigne vecchie, di località scelte, per cui risultano di qualità superiore, hanno un prezzo molto più elevato e sono ricercatissimi nell'alta Italia, nonostante che vi giungano dopo gli altri, per la vendemmia più tardiva.

Il metodo di preparazione differisce dai precedenti, specie da quello adottato a Brindisi, perchè non ci sono a Barletta palmenti in muratura per la vinificazione, ma si usano invece, da tutti, i tini di legno, della capacità di 50 a 60 ettolitri. Inoltre sono assai poche le ditte commerciali che sogliono lavorare direttamente le uve per proprio conto; la gran maggioranza ricorrendo agli acquisti del mosto grezzo nei pubblici palmenti. Tra queste ditte sono da notarsi specialmente i signori Francesco Piccapane e figli; Pasquale Fusco; B. Palmieri, di Barletta; Maurizio Annese e Vito Balacco di Molfetta; M. Fabiano di Trani; fratelli Lembo di Canosa; Riccardo Fuzio di Andria ed altri.

Le uve del circondario di Barletta raramente sono trasportate alla tinaia intatte nelle ceste o nelle cassette, esse si diraspano dapprima e si pigiano grossolanamente nel vigneto, si trasportano quindi in città coi tinelli o grossi bottoni, adagiati sui carri, oppure nelle bigonce. Giunte allo stabilimento se ne completa la pigiatura su graticci di legno, a piedi nudi dell'uomo, o al pigiatolo meccanico, la pasta col mosto vengono posti a fermentare nel tino, che si riempie sino ai 5 ⁄ 6 dell'altezza interna, lasciando così alla parte superiore uno spazio vuoto sufficiente per non fare emergere dall'orlo delle doghe il cappello e per potere eseguire comodamente le frequenti follature. La bocca del tino si copre poi con un fondo libero, di legno, oppure con stuoie; molti però trascurano questa semplicissima precauzione, indispensabile a impedire il libero afflusso dell'aria sulle vinacce e mantenervi costante uno strato di gas acido carbonico, che mette al sicuro il cappello da possibile inacidimento.

Le follature si ripetono tre a quattro volte nella giornata, poscia, dopo 24 a 48 ore, secondo la temperatura ambiente, quando si è appena iniziata la fermentazione tumultuosa, in modo che il mosto abbia acquistato i voluti caratteri, si svina, ed il mosto fiore, assieme alla prima torchiatura moderata si passa alla filtrazione.

Taluni, oltre alle follature frequenti ricorrono anche al rimontaggio, spillano cioè il mosto, quando è avviato nella fermentazione, dalla parte inferiore del tino e lo riversano sul cappello. Il rimontaggio completa molto bene l'ufficio delle follature, perchè distribuisce meglio le cellule del fermento in tutta la massa, agevola la dissoluzione della materia colorante aderente alle bucce e ossida, per mezzo dell'ossigeno dell'aria, buona parte delle sostanze azotate disciolte nel mosto.

Per eseguire il rimontaggio si fa cadere il mosto in una sottotina e di qua, con dei mastelli, o con una pompa, si riversa sul tino di fermentazione, avendo cura nel caso che s'impieghi la pompa, di suddividere il getto, o di spostare continuamente l'estremità del tubo di gomma per inaffiare tutta la superficie del cappello.

Nel barlettano la svinatura del mosto-vino da destinarsi alla preparazione del filtrato, si fa dai più in base a criterï empirici, quali, ad esempio, l'osservazione ad occhio della intensità colorante e l'assaggio organolettico. I più intelligenti ricorrono all'aiuto del gleucometro o di un areometro, specialmente quando nel contratto di compra-vendita si garantisce la densità che deve avere il filtrato.

Pei filtrati di qualità finissima, alcuni non mescolano nessun torchiato al mosto fiore svinato dal tino, allo scopo di ottenere un sapore più delicato e neutro; però giova rilevare che il mosto proveniente da una leggera torchiatura delle vinacce, quando si lavorano uve sane, piuttosto che nuocere al filtrato giova, perchè ne aumenta la intensità colorante, le sostanze tanniche ed anche il grado zuccherino. La separazione completa del torchiato è invece consigliabile quando le uve, pure essendo di ottima qualità, avessero subìto qualche piccolo guasto causato dalla cochylis, o da altre malattie, oppure fossero imbrattate di terra, affine di evitare, o quanto meno attenuare, qualche difetto di gusto.

Le vinacce, leggermente torchiate o non torchiate affatto, vengono poi adibite alla fabbricazione di vinelli, o di vini da taglio, lasciandole, in quest'ultimo caso, fermentare col solo mosto naturale di cui sono impregnate. Sovente però si torchiano subito per ricavare quel tanto di mosto che possono cedere, e si vendono senz'altro ai distillatori.

Il processo di vinificazione qui sopra descritto viene seguito da quegli industriali, o grossi proprietarï, che lavorano le uve proprie, o acquistate da terzi, nei loro stabilimenti, espressamente per la preparazione dei filtrati dolci.

I piccoli o medi possidenti poi, che vanno a vinificare le uve nei trappeti o palmenti pubblici, pagando una tassa fissa, seguono il sistema locale, che differisce dal primo per l'esclusione del rimontaggio, per il più limitato numero delle follature e per una meno accurata scelta delle uve.

* * *

Metodi diversi. — Oltre ai processi di cui abbiamo fatto menzione, che sono i più generalizzati nel mezzogiorno d'Italia, per la preparazione dei filtrati dolci del commercio, altri ve ne sono che differiscono in qualche punto, come già dicemmo, da regione a regione, da un paese all'altro ed anche da uno stabilimento ad un altro.

A Squinzano (Lecce), per esempio, non si hanno nè i larghi palmenti brindisini, nè i tini di legno come nel barlettano, ma il mosto o le bucce diraspate si pongono a fermentare in vere fosse di circa 80 ettol., a forma di botte, scavate nel suolo (fig. 1) e cementate, ove la follatura del cappello delle vinacce viene eseguita coi piedi d'uomini. A Gallipoli, nell'elegante stabilimento Brunelli e Gatti, si adottano pure le vasche in muratura, della stessa forma tronco-conica dei tini di legno, ma sono costruite alla superficie del suolo. Queste ultime vasche, così emerse possono andare bene in sostituzione dei comuni tini di legno, specialmente nei luoghi soggetti a grandi calori, ma le altre infossate, di Squinzano, non ci sembrano punto consigliabili, anzitutto per l'incomodo che cagionano nel governo della fermentazione (follature razionali, rimontaggio, ecc.) in secondo luogo presentano il brutto inconveniente di facilmente comunicare al mosto cattivi odori, di sentina o simili, in terzo luogo; essendo tali fosse piuttosto numerose e vicine, disposte ordinariamente come un cinque d'oro, con le bocche allo stesso livello del suolo, possono occasionare facili disgrazie o accidenti nel personale lavorante.

Fig. 1.

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Il miglior sistema di preparazione dei filtrati da grande commercio, nei paesi caldi, a noi sembra sia il brindisino, almeno per quelle uve che dànno mosti nè soverchiamente densi, nè troppo poveri di acidità naturale. In quelle larghe vasche di muratura, della superficie libera di 20 metri quadrati, la massa fermentante, che non supera mai lo spessore di 50 a 60 centimetri, disperde rapidamente il calore sviluppato dalla fermentazione, non si scalda perciò che lentamente e lascia il tempo necessario alle energiche e prolungate follature, con le quali meccanicamente; prima di iniziarsi la fermentazione tumultuosa, si arriva ad estrarre la massima parte della materia colorante, tanto apprezzata nei filtrati rossi da taglio, e si provoca una forte ossidazione delle sostanze azotate.

Per mosti assai densi che avessero da 24% in su di glucosio, e un'acidità inferiore al 6‰, come a Barletta, il metodo brindisino non è più consigliabile, perchè si otterrebbe una materia prima quasi melmosa, di difficile filtrazione. Nei siti caldi però, dove la fermentazione del mosto si svolge, in certe annate, con estrema rapidità, da doversi svinare dopo 36 ed anche 24 ore appena, il metodo brindisino potrà convenientemente adottarsi, quando si vogliano preparare i filtrati dolci, restringendo soltanto un poco le follature se i mosti fossero troppo zuccherini.

Il metodo barlettano invece è da preferirsi nelle regioni più temperate, o fredde, dove si adoperano esclusivamente recipienti di legno, di capacità moderata per la fermentazione.

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Pratiche dirette ad accelerare la dissoluzione della materia colorante e ad accrescere la densità del mosto. — Tutti i processi speciali di vinificazione, nella preparazione dei filtrati rossi, hanno per comune intento quello di ottenere una materia prima (mosto grezzo) la quale, ad una forte ricchezza zuccherina e di materie estrattive, unisca il pregio di una intensa colorazione.

Dicemmo che queste due qualità tendono ad elidersi scambievolmente, perchè, nelle condizioni ordinarie, il principale solvente della sostanza colorante è l'alcool, che si produce colla fermentazione a spese dello zucchero.

La sostanza colorante dell'uva rossa (enocianina) risiede nelle piccole cellule della pellicola che riveste l'acino, e secondo gli studi fatti in Francia dal Glénard, dal Cazeuneuve, Duclaux ed altri, nonchè in Italia dai professori Comboni e Carpenè, essa è solubile nell'alcool etilico o nell'acqua acidulata, ma il potere solvente di questi due liquidi cresce parecchio se interviene in aiuto il calore. In ogni caso però, perchè la dissoluzione avvenga, è necessario che sia rotta o lacerata la parete delle cellule, ove trovasi racchiuso il principio colorante e che questo venga a intimo contatto coi solventi.

Ora, il mosto fresco, o succo dell'uva, in massima parte non è che acqua zuccherata e acidulata da diverse sostanze acide: esso può quindi, anche senza intervento dell'alcool, disciogliere la materia colorante, se si ha cura di realizzare le condizioni testè accennate e di accrescere il potere solvente col mezzo del calore artificiale.

Da qui emerge chiara la grande utilità anzitutto di una buona pigiatura delle uve da vinificare e poi delle energiche e continuate follature, dirette a estrarre meccanicamente il principio colorante dalle bucce. Un moderato riscaldamento della massa, o di parte di essa, potrà infine completare l'azione efficace delle follature, purchè, come tosto vedremo, non si giunga ad alterare la natura chimica della sostanza colorante.

Nel brindisino le follature sono spinte al punto da ridurre il mosto e le bucce ad una vera poltiglia, e si lascia dentro una piccola parte dei graspi per sgrassare — secondo l'espressione locale — il mosto. Le follature eccessive non sono però consigliabili, come già avvertimmo, per tutti i mosti, ma bisogna tener presente la qualità delle uve. Nelle plaghe produttrici di vini da taglio, molto alcoolici e ricchi di estratto secco, non si possono spingere soverchiamente le follature, perchè si avrebbe un mosto quasi impossibile a poter filtrare per l'eccessiva densità.

La pratica locale è quella che deve in questo caso servire di guida per ben misurare il limite delle follature, in armonia alla colorazione e alla filtrabilità del mosto di cui si dispone, astrazione fatta dal perfezionamento degli apparecchi filtranti.

Gli acidi liberi, o i sali acidi del mosto, agiscono come mordenti sulla materia colorante, la rendono cioè più brillante e ne facilitano la dissoluzione; ond'è che giova molto accertarsi se l'acidità naturale del mosto è soverchiamente scarsa (inferiore al 4‰) come non di rado suole presentarsi nelle regioni meridionali e, all'occorrenza, correggerla con una moderata aggiunta di acido tartarico del commercio, o di altri acidi organici permessi dalle vigenti leggi.

La gessatura permette di raggiungere il medesimo effetto in riguardo alla materia colorante, però essa tende a produrre una rapida spogliazione del mosto, al quale toglie spesso la rotondità di gusto che è un carattere assai apprezzato nei filtrati dolci.

L'aggiunta dell'acido, quando occorre, si deve fare sciogliendo i grossi cristalli di acido tartarico in pochissima acqua bollente, e versando la soluzione nel tino, al momento delle prime follature. Non bisogna troppo abusare dell'acidulazione del mosto, perchè si corre il rischio di romperne la morbidezza di gusto e di avere, per conseguenza, filtrati magri, come si dice in pratica.

Allorquando occorre di correggere la deficiente acidità di un mosto conviene farlo in ristretti limiti, non superando la quantità di 50 a 100 grammi di acido tartarico per ettolitro. Molti sono addirittura contrarii a qualunque aggiunta di acidi, appunto per insuccessi avuti, ma fa d'uopo rilevare che tali insuccessi si sono verificati quando l'acidulazione è stata fatta senza criterii razionali, senza cioè analizzare prima il mosto per constatarne il grado di acidità naturale.

Spesso si sono acidulati erroneamente dei mosti che non ne avevano bisogno; si tenga dunque presente che un'acidità del 5‰ in media è sufficiente, ma un'acidità più scarsa del 3 al 4‰ è bene sia corretta, elevandola nella proporzione sopra accennata di 50 a 100 grammi per ettolitro, se si vuole rinforzare l'intensità e la vivacità del colore nel filtrato, ed anche creare condizioni più propizie al regolare e breve periodo della fermentazione.

Non pochi viticoltori e industriali ricorrono al riscaldamento di una piccola parte della massa, per rendere la materia colorante delle bucce più prontamente solubile. Ecco come si suole procedere in questa operazione, che si fa per lo più dai piccoli produttori in campagna stessa, al momento della vendemmia.

Si scelgono un po' di uve delle varietà più colorate, come ad esempio, la Lagrima di Barletta, il Sussimanniello di Brindisi, ecc., si ammostano e si riscalda il tutto, liquido e bucce, a fuoco diretto, in caldaia di rame stagnata, quasi sino all'ebollizione (78°-80° C.).

Qualcuno acidula prima il mosto coll'acido tartarico per ottenere un effetto maggiore. Gli acidi organici, a quanto afferma il Miroy, impediscono al mosto di contrarre il gusto di cotto, durante il riscaldamento, e ostacolano la coagulazione delle sostanze albuminoidiche.

Alla temperatura di 70-80 gradi tutta la materia colorante, contenuta nelle buccie, viene disciolta, e resa atta a disciogliersi con facilità: per cui, aggiungendo a un tino carico, qualche caldaiata di queste uve così riscaldate, si ha un mosto più colorato e meglio apprezzato in commercio per la filtrazione.

Il calore però, anche breve e moderato, altera chimicamente il principio colorante naturale, che finisce, dopo qualche tempo, col precipitare, in gran parte, nel mosto filtrato; l'effetto utile raggiunto dapprima può considerarsi quindi effimero, diretto, più che altro, a ingannare la buona fede dell'industriale, o del commerciante, che acquista la materia prima allo stato di mosto grezzo. Non sono rare infatti le contestazioni che sorgono, per questa circostanza, tra commercianti e produttori furbi di talune plaghe.

Conviene ancora osservare che appena appena si esageri un po', così nel riscaldamento della piccola massa contenuta nella caldaia, come nella proporzione delle uve riscaldate per ogni tino, si avverte subito, nel mosto grezzo o nel filtrato, un gusto empireumatico, che ne fa ribassare il prezzo, là dove invece si mirava con artifizio a rialzarlo.

Ci mancano esperienze dirette su questo argomento: possiamo soltanto dire che in pratica, allorchè si ricorre al riscaldamento parziale delle uve pigiate, o semplicemente acinate, si fa sempre con moderatezza, in ragione del 5 al 10%, al massimo, della massa totale del tino.

Nelle annate cattive, il riscaldamento dell'8% delle uve sino alla temperatura di 70° è un ripiego cui ricorrono alcuni produttori di filtrati dolci per correggere o mascherare i difetti derivanti dalle uve bagnate dalla pioggia o dalle rugiade abbondanti.

Questa pratica del riscaldamento non deve confondersi coll'altra, seguita in qualche località, di aggiungere al mosto un pò di cotto o di zucchero del commercio, per rialzarne il grado di densità o di dolcezza. Ma l'aggiunta del cotto non si può fare che in misura molto ristretta, perchè facilmente si avverte alla degustazione e il filtrato perde in tal guisa parte del suo pregio invece di guadagnare.

Capitolo IV. Preparazione dei filtrati bianchi.

La preparazione dei filtrati dolci bianchi ha cominciato ad assumere vero carattere industriale verso il 1885, per opera di alcune case vinicole pugliesi e specialmente della benemerita ditta G. De Bellis, di Castellana (Bari), la quale prepara ed esporta annualmente sui mercati dell'alta Italia, circa dieci mila quintali di filtrati, ricavati dalle uve bianche che si coltivano nei comuni di Castellana, Conversano, Cisternino, Locorotondo e Martina Franca, ove predominano le varietà Alvese, Verdèa, Biancolassano, Fiano e Malvasia.

La sullodata ditta possiede un impianto speciale, di notevole importanza, nello stabilimento di Villanova di Castellana, con un macchinario tutto moderno e oltre a quattromila sacchi filtranti.

Essendo il sistema di lavorazione molto razionale, stimiamo opportuno darne qui un breve cenno, che potrà servire di guida a chi abbia desiderio di dedicarsi a questa speciale industria dei filtrati bianchi nelle regioni meridionali.

Il cav. De Bellis così ci scriveva in una sua lettera, in data del 19 settembre 1900, di risposta ad un quistionario da noi rivoltogli: «Generalmente si usa passare al filtro il mosto, dopo avergli fatto subire una breve fermentazione, e ciò perchè esso possa più facilmente scorrere dai sacchi filtranti. Io invece uso filtrare il mosto freschissimo, appena esce dal pigiatoio e perciò ottengo un prodotto più fine e più vellutato.

Sezione longitudinale della diraspatrice Lindemann a vapore. Fig. 2.

«Per la scelta delle uve da filtro ricorro al saggio col mostimetro Babo, e per la preparazione dei miei filtrati impiego soltanto quelle che mi danno una gradazione non inferiore al 22% di glucosio».

Le uve bianche che il cav. De Bellis acquista con la guida del pesa-mosto, vengono passate alla diraspatrice-pigiatrice Lindemann, a vapore (fig. 2) privata del pigiatoio inferiore, a due cilindri differenziali. Questa diraspatrice, posseduta dalle più importanti case pugliesi, anche per la ordinaria vinificazione, si compone di una tramoggia (fig. 3) dentro la quale girano, in senso contrario, due cilindri a palette incrociate E, F.

Sezione trasversale della diraspatrice Lindemann. Fig. 3.

Le palette sbattono con forza i grappoli d'uva, che vanno poi a cadere nella camera inferiore L, dov'è un apparecchio a 3 eliche alternate con tre sistemi di palette. Le uve subiscono così una perfetta diraspatura ed una discreta pigiatura: i graspi vengono espulsi in K (fig. 2), mentre il mosto e le bucce cadono dall'apertura N, in una vasca in muratura, infossata, sopra un falso fondo a graticcio per lo scolo del liquido che va poi a riunirsi in un pozzetto.

Le vinaccie scolate passano al torchio, indi si distillano. Il torchiato si riunisce in una botte dove fermenta dando un vino asciutto.

Alla filtrazione si destina il solo mosto fiore di cui se ne ottiene il 50% dalle uve lavorate.

Mercè una pompa, mossa a vapore, il mosto si pesca dal pozzetto e si trasporta in altre vasche di muratura, della capacità di 30 ettolitri ciascuna, messe tutte in fila in ambiente attiguo a quello della pigiatura. In queste vasche si eseguisce subito la schiumatura e la collatura del mosto, con mezza tavoletta di gelatina per ettolitro, indi, dopo 12 a 24 ore di riposo, avvenuta la deposizione grossolana delle sostanze solide più pesanti e del chiarificante, che precipita le materie azotate, si decanta il mosto meno torbido, che viene aspirato, con altra pompa, a un locale superiore, dove subisce la prima filtrazione ai filtri a sacchi.

Ogni filtro è composto di un cassone rettangolare montato su armatura a cavalletto, e porta 60 sacchi, che possono dare circa due a tre fusti di filtrato da litri 650, in 10 ore di lavoro.

Dopo questa prima filtrazione, il mosto scende al piano sottostante, per mezzo di tubi di gomma, nei filtri Simoneton, a telai alla seconda filtrazione ed infine qualche volta ad una terza filtrazione coi filtri a pasta, indi si fa entrare nei fusti da trasporto, previamente solforati.

I fusti si lasciano un pò smezzati e si spediscono aperti, muniti di apposita cannula al foro del cocchiume, perchè, durante il trasporto per ferrovia, facilmente si inizia la fermentazione. Per questa ragione la ditta non garantisce mai il grado zuccherino del filtrato, bastando la sola marca per garanzia.

I mercati di esportazione, sui quali la ditta invia i suoi filtrati bianchi, sono il Veneto, la Lombardia, il Piemonte e l'Emilia.

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Allorchè si voglia ottenere un filtrato di colore giallo-ambra, per soddisfare l'esigenza di qualche cliente, oppure quando occorre preparare filtrati bianchi speciali, di uve aromatiche, per destinarli alla fabbricazione di vini da dessert, è necessario lasciar fermentare, per 24 a 48 ore, il mosto con tutte le bucce, previa completa diraspatura e accurata pigiatura. In tal guisa il poco alcool che si forma, da incipiente fermentazione, scioglie il pigmento giallo e le sostanze aromatiche, che trovansi assieme a quello, sotto lo strato interno della buccia.

La fermentazione però non deve mai protrarsi oltre le 48 ore nelle regioni temperate e 12 a 24 ore nelle regioni caldissime, come ad esempio il sud della Sicilia, diversamente si scomporrebbe una buona parte dello zucchero, che costituisce il maggior pregio del filtrato. Basta che si producano due a tre gradi di alcool, al massimo, corrispondenti a grammi 3 a 4 1 ⁄ 2 % di glucosio.

Veggansi al cap. IX alcune analisi di filtrati bianchi meridionali.

I filtrati bianchi analizzati al momento della loro preparazione, o poco tempo dopo, hanno un'alcoolicità tenuissima, che va poi aumentando con la conservazione, sia in botte come in bottiglie chiuse, dove, restando limpidi sempre, fermentano lentamente.

Abbiamo avuto occasione, varie volte, di degustare filtrati bianchi conservati in bottiglie da un anno all'altro e li abbiamo trovati quasi sempre limpidi, con piccolo deposito al fondo, ma spumanti addirittura.

Ci venne a tal proposito riferito dal Sig. G. Perelli Minetti che nei primi anni della nascente industria dei filtrati in Puglia, una ditta di Casamassima prese a servizio un cantiniere dell'Astigiano, il quale, basandosi sulla pratica della fabbricazione dei vini spumanti di Asti, imbottigliava il mosto bianco filtrato, a fermentazione già avviata, per venderlo poi in uno spaccio aperto a Bari, allo stato di mediocre spumante.

Certo i filtrati bianchi, come vedremo appresso, possono trovare, anzi trovano anche il loro impiego nella fabbricazione dello champagne, ma non in quel modo troppo diretto e primitivo come faceva la ditta menzionata, che, naturalmente, dovette chiudere ben tosto lo spaccio barese.

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Ove non si disponga di macchinario importante e perfezionato, come lo possiede il Cav. De Bellis di Castellana nonchè altre ditte pugliesi che lavorano grandi masse di uve, la preparazione dei filtrati bianchi si può fare in modo più semplice, adatto alle medie e piccole cantine. Le uve in tal caso si diraspano a mano, sopra un diraspatore a maglie di filo di ferro e si pigiano gli acini coi piedi nudi sul palmento o sopra un pigiatoio di legno munito di falso fondo a griglia serrata. Si possono anche utilmente impiegare per queste due operazioni le diraspatrici-pigiatrici a mano o a piccolo motore, tipo Garolla, Beccaro, Brüggemann, ecc. La pigiatura coi piedi non dev'essere troppo spinta se si vogliono filtrati a gusto morbido.

Il mosto che scola dal pigiatoio si fa cadere, o si versa, in un tino o in una vasca in muratura, attraverso alla cesta di vimini che trattiene le parti solide più grossolane e provoca una forte aereazione del liquido. Tale aereazione è indispensabile per ossidare nel mosto le sostanze azotate non solo, ma principalmente per prevenire o attenuare il difetto dell'imbrunimento del filtrato o del vino che ne deriverà in seguito.

Coi pigiatoi meccanici, a forza centrifuga, come quelli dei tipi succitati, l'aereazione avviene in grado sufficiente durante il lavoro stesso della macchina, mentre nella pigiatura coi piedi bisogna provocarla col far cadere il mosto suddiviso da una certa altezza.

Il mosto si colla con circa 5 grammi di gelatina per ettolitro, aggiungendo anche un po' di tannino, si lascia in perfetto riposo per 10-12 ore, tempo necessario per la deposizione al fondo del recipiente di un grosso strato feccioso con abbondanza di cellule di fermento. Durante questo intervallo si avrà cura di togliere con una ramaiola la schiuma, ricca di lievito alto, e le mucillagini che si raccolgono alla superficie del mosto, il quale poscia viene decantato per separarlo dal fondaccio e versato, senz'altro nel serbatoio del filtro.

La collatura accelera la deposizione delle sostanze solide in uno strato più sottile mentre con la defecazione e la schiumatura si vengono a separare, senza troppo incomodo, oltre alla maggior parte di queste sostanze intorbidanti, un numero rilevante di cellule del lievito che sarebbero pronte a provocare l'attiva fermentazione del mosto durante il lavoro di filtrazione. Inoltre il mosto s'impoverisce delle sostanze albuminoidiche che servono di alimento al lievito e ai bacteri, di cui si viene perciò a ostacolare, in certa guisa, il facile sviluppo in seno alla massa, prima e dopo la filtrazione.

Nella preparazione dei filtrati bianchi le operazioni essenziali sono dunque la pigiatura con energica aereazione del mosto, la collatura, la defecazione e schiumatura, e la filtrazione, della quale parleremo al capitolo seguente.

Capitolo V. La filtrazione del mosto. — Filtri e filtrerie.

In materia di filtrazione delle bevande fermentate in genere, e in ispecie della birra e del vino, si sono fatti, in questi ultimi anni, studi e progressi notevoli, così all'estero come in Italia: non si può invece dire altrettanto per la filtrazione dei succhi dolci, privi o poveri di alcool, com'è il mosto d'uva fresca o parzialmente fermentato. La meccanica enologica non è riescita fin ora a risolvere il problema della filtrazione rapida del mosto; ciò nonpertanto l'industria dei filtrati dolci ha raggiunto uno sviluppo veramente lusinghiero, e gl'industriali hanno dovuto da loro stessi risolvere le difficoltà pratiche incontrate nell'uso degli apparecchi più semplici ed anche primitivi.

Tutti i sistemi di filtri che oggi si conoscono e che vengono impiegati nelle diverse industrie, considerati rispetto alla natura degli elementi filtranti, si possono raggruppare nelle seguenti cinque categorie:

  • a ) filtri a tela;
  • b ) filtri a carta;
  • c ) filtri ad amianto;
  • d ) filtri a pasta;
  • e ) filtri di terra porosa o a candele.

In enologia hanno trovato sinora larga applicazione pratica quelli del gruppo a e del gruppo d. I primi, cioè i filtri a tela, vengono esclusivamente impiegati nella industria dei filtrati dolci, di essi perciò noi ci occuperemo in questo capitolo.

La tela di cotone si presta meglio d'ogni altra per la filtrazione del mosto e quella più adatta per filtri è poi speciale, non solo per la qualità, ma anche perchè viene tessuta fitta, a fili serrati ed a spessore omogeneo. La scelta della tela ha un'importanza grandissima sul lavoro e sul rendimento del filtro, più che non ne abbia la ingegnosa costruzione o il sistema degli apparecchi.

Si è deplorato da molti che in Italia, nonostante vi abbondi la materia prima, non si trovino tessuti di cotone adatti per la filtrazione, e che perciò ne siamo tributarï all'estero. Certamente la Francia ha portato, da tempo, il massimo perfezionamento in tal genere di tessuti, perchè ivi la filtrazione del vino nacque e si sviluppò assai prima che da noi, ma oggi le cose si vanno cambiando e, dopo la diffusione dei filtri, anche in Italia si sono cominciate a produrre tele speciali, che se non gareggiano, molto si avvicinano alle più pregiate tele francesi del Mirepoix, di Bézier (Hérault).

I nostri commercianti, o i produttori di vino, dapprima infatti ritiravano, quasi tutti, la tela da filtro dalla suddetta casa francese o dai rivenditori, come il Rouhette, e il Vidal, di Parigi, oggi invece molti si provvedono in Italia dalla Casa Ottavi di Casale Monf., dall'Agenzia enologica di Milano, dai Cotonifici lombardi di Ponte Lambro, dei fratelli dell'Acqua di Legnano ecc., i quali preparano tele speciali, a spiga, al prezzo medio di una lira al metro.

Nel mezzogiorno, e specialmente nella regione pugliese, non ci sono fabbriche di tessuti che forniscano della buona tela da filtro, ma è a sperare che il cav. De Bellis, proprietario della grande tessitoria meccanica di Castellana, voglia studiare, come ci ha fatto comprendere verbalmente, la questione.

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Filtri a cappuccio. — Il filtro a cappuccio, tipico, è considerato ormai piuttosto primitivo: esso però ha reso bene i primi servigi alla industria dei filtrati dolci nell'Italia meridionale, ed ancora oggi trova larga applicazione a Torre del Greco, presso Napoli, e in qualche caso anche in Puglia, per la preparazione del lambiccato.

È un sacchetto di cotone (fig. 4 e 5), a forma di vero cappuccio, o più precisamente di una mammella di capra quando è pieno di liquido, con la punta sporgente dal lato più corto e coi bordi ripiegati superiormente, a mo' di guaine, allo scopo di potervi introdurre due cannucce parallele che servono a mantenere sospeso il sacchetto sopra un cavalletto qualunque di legno. In a d (fig. 4) sono due piccoli rinforzi della stessa tela per impedire la scucitura delle guaine, altri due ce ne sono dalla parte opposta.

La capacità del cappuccio è variabile ordinariamente dai 15 ai 20 litri, e variabili quindi sono anche le sue dimensioni. Un cappuccio di 15 litri circa, come quello da noi riprodotto nelle figure 4 e 5, ci ha dato le seguenti misure: lunghezza o altezza sulla verticale m. 0,65, larghezza massima della bocca, sulla orizzontale, m. 0,43.

Filtro a cappuccio. Fig. 4. Fig. 5.

Nel lavoro di filtrazione i cappucci vengono collocati su travi parallele, situate in linee orizzontali, all'altezza dal suolo di circa un metro, in modo che ogni quattro cappucci formino un gruppo a sè, con le punte vicine in basso, quasi a 'toccarsi, affinchè il mosto possa cadere nel medesimo mastello messo di sotto.

Tale disposizione si osserva bene nella fig. 6, che rappresenta una nostra istantanea, presa a Barletta nello stabilimento del sig. M. Del Vecchio e figli.

Batteria di filtri a cappucci in azione. Fig. 6.

Il riempimento dei cappucci col mosto grezzo da filtrare si eseguisce, di solito, la mattina presto, indi si continua, di tanto in tanto, ad alimentare la carica; verso il mezzogiorno si fa il ricambio di ciascun sacchetto, dopo scolato bene tutto il mosto contenutovi, con altro sacchetto pulito, che resta poi in funzione sino alla sera. Si hanno così, con un solo ricambio, da ogni cappuccio 45 a 50 litri di filtrato, in 12 ore di lavoro, a seconda la densità del mosto.

I cappucci smontati si nettano dai residui fecciosi, che vengono raccolti a parte, e si passano alla lavanderia, dove vengono lavati con acqua fresca, quindi sciorinati per l'asciugamento all'aria libera. Prima di rimetterli in funzione si bagnano in acqua e si torcono semplicemente, se non sono già umidicci, allo scopo di far gonfiare e quindi rinserrare il tessuto.

Il più grave inconveniente che presentano questi cappucci e che li fa riprovare dagli enotecnici, è la troppo limitata superficie filtrante rispetto al volume che occupano quando sono carichi di liquido. Tale inconveniente si traduce naturalmente in lentezza e incomodità di lavoro, per cui in Puglia i cappucci sono stati in gran parte abbandonati per sostituirli con altri filtri più perfezionati dal lato della resa.

L'esposizione all'aria libera dei cappucci durante il lavoro non ha nessuna influenza nociva sul mosto, anzi in tutti gli apparecchi per la filtrazione del mosto, tale condizione si rende necessaria per la comoda sorveglianza del lavoro e pel facile ricambio degli elementi filtranti.

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Filtri a telaio. — I filtri a telaio sono abbastanza noti negli stabilimenti enologici; essi si compongono, in massima, di due recipienti metallici, o anche di legno: in quello superiore trovansi disposti gli elementi filtranti, che sono per lo più telai di legno di forma rettangolare, rivestiti da una camicia di tela: nel recipiente inferiore si raduna il liquido filtrato che proviene, per mezzo di rubinetto dallo interno dei telai.

I filtri di questo genere più diffusi sono il Rouhette, modello vecchio e nuovo modificato dal Virdia, il filtro Simoneton ed il filtro Gasquet, o bordolese a pressione.

Filtro Rouhette. Fig. 7.

Il filtro Rouhette (fig. 7) fu introdotto nel mezzogiorno d'Italia dai francesi all'epoca del florido commercio di esportazione dei vini da taglio nella vicina Repubblica, e devesi propriamente all'introduzione di questo filtro l'allargamento della industria dei filtrati nella regione pugliese. Oggi però esso va cedendo il posto ai filtri a sacchi, di cui parleremo più sotto, sebbene ci siano molti commercianti che se ne servano ancora per non affrontare nuove spese, con l'acquisto di modelli più convenienti.

Questo filtro del Rouhette è costruito in lamiera robusta, stagnata internamente.

Nel cassone superiore, o vero filtro, si collocano verticalmente i telai, in numero variabile, a seconda la portata dell'apparecchio. Ogni telaio è rivestito della sua camicia di tela, che si chiude a rotolo, oppure a busta da lettere.

L'enotecnico signor Vincenzo Virdia, il bravo direttore della Società vinicola brindisina, apportò una modificazione utile al sistema di chiusura, che rese assai più sicura e perfetta, legando la camicia lateralmente al telaio, a guisa di sacco.

La resa del filtro Rouhette, allorquando si lavora il mosto vergine o fermentato in piccola parte, è minore di quella che si ottiene filtrando il vino; varia poi a seconda la densità del liquido e la grandezza dell'apparecchio. I commercianti sono per lo più provvisti di filtri Rouhette di 30 a 40 rubinetti, o telai, i quali sono capaci di dare un vagone di filtrato (8 a 10 tonnellate) al giorno, in 12 ore di lavoro.

Alcuni hanno modelli più piccoli che fanno però lavorare a coppia, ed altri ancora posseggono modelli grandi di 50 rubinetti, capaci di filtrare 200 ettolitri di mosto per giorno.

Per mosti non eccessivamente densi, che abbiano subita una fermentazione di 24 ore in media, la resa approssimativa, computata su 12 ore di lavoro, può ritenersi di 80 quintali, con un filtro da 30 rubinetti, di 100 quintali con un filtro a 35, e 120 quintali con uno a 40 rubinetti.

Tali cifre sono generalmente inferiori alla resa che viene indicata nei cataloghi dalle ditte costruttrici, le quali si sono riferite quasi sempre ai vini, oppure ai mosto-vini settentrionali.

I prezzi dei modelli ora citati del filtro Rouhette variano rispettivamente da L. 1000, 1150 e 1300.

Nella regione pugliese si trovano collocati molti esemplari di filtri Rouhette venduti in Italia dalla Casa Ottavi di Casale Monf., dall'Agenzia enologica italiana, dalla ditta Vandone e dal signor Agostino Invernizzi, di Milano. Essi fanno un lavoro abbastanza buono e rapido, anche nella preparazione dei filtrati dolci, presentano soltanto l'inconveniente di non permettere la facile sorveglianza degli elementi filtranti durante il lavoro e di agevolare troppo la fermentazione tumultuosa del mosto grezzo nel serbatoio chiuso, rischiandosi così di produrre talvolta un filtrato poco zuccherino da una materia prima normalmente dolce.

Degli altri tipi di filtri a telaio, citati innanzi, ci asteniamo di dare qui la descrizione, perchè raramente si adoperano per la filtrazione del mosto: il lettore che avesse vaghezza di conoscerli può consultare le due pubblicazioni del Ministero di Agricoltura sui risultati dei concorsi di filtri tenuti nel 1893 ad Avellino, e nel 1897 a Catania ( Annali di agricoltura, numeri 198 e 213).

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Filtri a sacchi. — Il filtro a sacchi olandese-Carpenè (v. fig. 8), già da tempo diffuso e notissimo nelle cantine, è quello che oggi, opportunamente modificato, rende il più utile servigio alla industria dei filtrati dolci, ed è preferito per questo uso a tutti gli altri sistemi di filtri sin ora conosciuti. Il vecchio tipo è formato, come si sa, da un tinozzo R a tronco di cono, di legno o di rame stagnato internamente, al fondo del quale si sospendono i sacchetti filtranti mediante coni a vite, sporgenti in basso nel serbatoio chiuso, ove si raccoglie il liquido limpido.

Filtro olandese-Carpenè. Fig. 8.

I sacchi del filtro olandese comune (fig. 9) sono semplici, di forma cilindrica, di 40 a 50 centimetri di diametro e 70 a 80 centimetri di altezza.

Ogni sacco si piega in senso longitudinale, in tre a quattro falde, a ventaglio, come chiaramente si osserva nella fig. 9 e si introduce nella relativa fodera, pure di tela ma a maglie più larghe. Il sacco quindi si lega per la bocca superiore fortemente al cono metallico del filtro e leggermente anche la fodera.

Sacco piegato. Fig. 9. Sacco disteso. Fig. 10.

Il filtro-olandese Carpenè, nella sua primitiva forma, come viene usato in enologia per la filtrazione dei vini, non risponde bene alla filtrazione dei mosti, sia per la limitata superficie filtrante dei sacchi semplici, sia ancora per l'incomodo che presenta nella sorveglianza e nel ricambio dei sacchi stessi, durante il lavoro, ricambio che non ha luogo per la filtrazione del vino, ma che è indispensabile invece allorchè si tratta del mosto. Per tali ragioni l'enotecnico sig. Angelo Battaglia pel primo, direttore della filiale di Bari dell'agenzia enologica italiana, ebbe la felice idea di applicare al filtro olandese i sacchi pieghettati, a manicotto, del filtro francese Privat, aumentando così, straordinariamente, per lo stesso volume, la superficie filtrante, e rendendo assai più rapida la filtrazione di un liquido molto denso, qual'è il mosto fresco, o poco fermentato, dell'uva.

Sacco Battaglia, s sacco, f fodera. Fig. 11.

Il sacco Battaglia è ottenuto da una striscia della solita tela speciale, di cotone a tessuto fitto, di m. 0,80 di altezza per m. 4 di lunghezza, sviluppante così una superficie filtrante di mq. 3,200, e aumentando la resa sei a sette volte di più del sacco semplice.

Esso è foggiato, come nel filtro Privat a manicotto (fig. 11 s), coi due orli pieghettati (70 a 80 pieghe) e guarniti ciascuno di manico cilindrico che misura 7 centimetri di diametro per 25 di altezza. Ad evitare l'eccessivo rigonfiamento quando è carico di liquido, si munisce della fodera cilindrica f, a larga rete di canape, che per le due estremità si lega leggermente al sacco. Quest'ultimo poi, per la sua forma a manicotto, si può agevolmente rivoltare allorquando occorre lavarlo ed asciugarlo; ha inoltre i due manichi perfettamente eguali, di modo che lo si può legare al cono metallico a piacere, per l'uno o per l'altro manico.

La montatura del sacco Battaglia è quindi identica a quella dei sacchi semplici del vecchio filtro olandese, con la sola differenza che si deve legare stretta la bocca inferiore e su questa poi leggermente la fodera. Ad una delle estremità del sacco è unito un nastro per la comoda sospensione quando si vuole asciugare.

Un sacco Battaglia può rendere, a norma la densità del mosto, da 4 a 5 ettolitri di filtrato al giorno, in 12 ore di lavoro, eseguendo il ricambio una sola volta. Costa lire 6,25 e lire 1,50 la fodera.

L'enotecnico sig. Giulio Ferrario ha, recentemente, apportata ancora una modificazione al sacco Battaglia, adoperando, nel confezionarlo, una striscia più grande di tela, che misura m. 1.10 di altezza per m. 5 di lunghezza. La superficie filtrante cresce così a mq. 5.50, e siccome il sacco diviene più lungo aumenta anche, per conseguenza, la pressione del liquido all'interno, mentre diminuisce lo spessore dello strato feccioso che si deposita sulla tela, e si prolunga il periodo utile del lavoro. Tali vantaggi si riducono infine a una più forte resa di ogni elemento filtrante, per la stessa unità di tempo, e a maggiore economia di spesa.

Però non bisogna credere che i vantaggi crescano senza limiti coll'ingrandirsi dei sacchi: un soverchio volume può fare ridurre il numero degli elementi filtranti nell'apparecchio e può rendere il lavoro pesante o incomodo. Inoltre, non tutti i mosti comportano indifferentemente la grandezza libera dei sacchi, quelli non molto densi filtrano meglio in sacchi piuttosto piccoli, mentre tardano un po' più a passare limpidi nei sacchi troppo lunghi, causa la pressione.

In conseguenza dell'allungamento del sacco il Ferrario ha dovuto allargare una delle due bocche che si distinguono, per la posizione obbligatoria da darsi al sacco nell'apparecchio, in bocca superiore ed inferiore, quest'ultima essendo quasi doppia della prima. Lo scarico dei residui fecciosi è reso così possibile e comodo, perchè il sacco, dopo smontato dal cono, si scioglie alle due estremità e si rivolta facilmente, sia per vuotarlo, sia per raschiare o spazzolare lo strato di feccia aderente alla tela.

Fig. 12. Filtri a sacchi per mosti, in azione, nello Stabilimento dei Fratelli Ferrario, a Barletta.

Il filtro olandese-Carpenè, con le modificazioni succennate dei sacchi e con l'eliminazione della chiusura del raccoglitore, si riduce oggi, nella industria dei filtrati, a un semplice cassone, o tino, provvisto al fondo di robusti coni metallici, per attaccarvi i sacchi, e montato sopra un cavalletto o ad un supporto qualsiasi, con sotto un altro recipiente aperto a vasca per raccogliere il mosto limpido e incanalarlo in un tubo di gomma.

Nella fig. 12, che riproduce un'istantanea da noi presa nello stabilimento dei fratelli Ferrario, a Barletta, vedonsi tre tipi, di forma e grandezza diverse, di filtri a sacchi, in azione per la preparazione dei filtrati dolci.

Il filtro più grande, a cassone rettangolare, rappresenta un modello molto semplice e smontabile pel comodo trasporto da un sito all'altro, ideato dal sig. Adolfo Marani, impiegato capo alla manutenzione dei serbatoi a Barletta, presso la Ditta Padoa e Semplicini. Esso consta di un telaio di ferro a squadro, su cui sono montate il cassone superiore, o serbatoio e la vasca inferiore o raccoglitore. Il serbatoio ha la capacità di circa mille litri, è munito di un tubo di livello e porta 24 coni metallici, ai quali si legano i sacchetti.

La vasca inferiore è più bassa, con uno o due fori provvisti di relativa spina di scarico. Entrambe poi le vasche, la superiore e l'inferiore, sono di legno, foderate internamente da lamina di zinco, che viene ancora rivestita da un sottilissimo strato di enofillassina. Questa enofillassina è un intonaco speciale, a base di paraffina ed altri prodotti tenuti segreti dal suo inventore ing. Ghinozzi di Firenze. Applicata al serbatoio del filtro, essa non esercita nessuna azione nociva sul mosto, perchè inerte, mentre isola completamente la superficie metallica, che non viene punto intaccata dagli acidi del mosto, e non può arrugginire.

Lo strato di materia colorante che debolmente aderisce all'enofillassina durante la filtrazione dei mosti rossi, si distacca completamente mediante una semplice lavatura ad acqua fresca: il filtro quindi si può adoperare alternativamente, tanto pei mosti bianchi che per quelli rossi.

Il filtro ideato dal signor Marani con 24 sacchi arriva a una resa normale di un vagone di 10 a 12 tonnellate di filtrato al giorno, se ben condotto.

Quando si voglia trasportarlo da un sito all'altro su carro o per ferrovia, si tolgono le vasche, si smonta il telaio di ferro, legando in fascio i pezzi e si formano così tre a quattro colli, di volume ristretto, non molto pesanti. Nelle vasche si collocano i sacchi, le fodere, con tutti gli altri accessori, come i tubi, le spine di scarico, ecc.

Un tale filtro può dirsi racchiuda sinora i principali requisiti desiderati dai commercianti e dagli industriali di filtrati, perchè considerato rispetto agli altri di tipo affine presenta i vantaggi di costare relativamente poco, circa lire 400 compresi i sacchi, di essere solido, di occupare poco spazio, e di lasciarsi agevolmente trasportare a qualunque distanza; esso perciò si va diffondendo in Puglia a preferenza degli altri filtri, specialmente a Barletta.

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Pratica della filtrazione del mosto. — Il mosto grezzo da filtrare si pompa nella vasca superiore, o serbatoio, del filtro, nella quale siano stati precedentemente otturati tutti i fori dei coni, con tappi di sughero legati, mediante un filo di spago, a un bastone che poggia attraverso sull'orlo. Quando la vasca è piena, o quasi, di mosto torbido, si solleva il bastone, tutti i fori dei coni si aprono così di un colpo e il mosto precipita nei sottostanti sacchetti, otturando in breve i meati della tela con le sostanze solide. Il primo mosto filtrato si riversa nel cassone, sino a quando non esca perfettamente limpido, in capo a 5-10 minuti al massimo.

Messo così in funzione il filtro, si ha cura di alimentare continuamente, col mosto grezzo, il serbatoio, destinando un uomo fisso alla pompa. Il mosto limpido, dal raccoglitore si avvia direttamente per mezzo di tubo di gomma nei fusti da trasporto.

I sacchetti vanno cambiati dopo 5 o 6 ore di lavoro, secondo la densità del mosto che si filtra, perchè oltre questo lasso di tempo, il lavoro che essi fanno non è più utile.

Il ricambio di ogni sacchetto si eseguisce otturando prima il foro del cono corrispondente nel serbatoio col tappo di sughero, che l'operaio applica introducendo il braccio nudo nel mosto, indi si svita il cono, si scioglie il sacchetto e si lega l'altro. Il nuovo sacchetto dev'essere bagnato e ritorto di fresco per le ragioni che abbiamo dette innanzi a proposito dei cappucci, per avere cioè il tessuto gonfio e ristretti i meati che trattengono più presto le sostanze fecciose del mosto.

Messo a posto il nuovo sacchetto si toglie il tappo di sughero dal rispettivo foro del serbatoio e si lascia penetrare il mosto torbido.

Similmente si procede avanti, mano mano che occorra ricambiare gli altri sacchetti.

Alcuni non seguono questo sistema, ma giunti a un certo punto sospendono l'alimentazione nel serbatoio e fanno scolare tutto il mosto contenuto nei sacchetti, ossia lasciano, come si dice in pratica, andare a secco, o quasi, il filtro. In questo modo però bisogna avere un filtro di più per non ridurre il lavoro, tuttavia è il metodo da preferirsi anche con un solo filtro, perchè più razionale e più conveniente, sia rispetto alla qualità del lavoro, sia pel minore sfrido della materia prima. Infatti, col ricambio parziale e successivo dei sacchetti mentre il filtro è in funzione, non si può evitare che una parte di mosto, che comincia a scorrere dal nuovo sacchetto leggermente torbido, vada a mescolarsi con la massa limpida nel raccoglitore, mentre il sacchetto ricambiato non è, a sua volta, bene esaurito.

Lo scarico di ciascun sacchetto smontato si pratica nel modo seguente: Tolta la fodera a rete, l'operaio, o una donna, rivolta il sacchetto cacciando dentro il braccio nudo dalla bocca più larga (sacchetto Ferrario) e afferrando, con la mano, l'orlo della bocca più stretta opposta. Con una stecca di legno raschia la tela per distaccare la feccia aderente, quindi lava il sacchetto nell'acqua coll'aiuto di una spazzola.

I residui fecciosi si radunano in un tino o in botte per utilizzarli nel modo che diremo al Cap. X. Alcuni industriali concedono alle donne addette alla lavatura quella parte di residui fecciosi che aderisce alla tela dei sacchetti dopo svuotati, affinchè la raschiatura e la pulitura siano fatte con maggiore accuratezza.

I sacchetti vengono lavati ancora ben bene in acqua fresca, si ritorcono e si adoperano umidi o parzialmente asciugati, pel ricambio; se poi non si devono adoperare presto si fanno asciugare completamente al sole.

Quando il lavoro di filtrazione del mosto è continuo, come avviene nelle filtrerie di una certa importanza, una volta la settimana i sacchetti si mettono al bucato, o almeno si lavano in acqua calda, per disciogliere la colla aderente alle fibre del tessuto che ne diminuisce la resa. Alla fine della campagna si fa l'ultimo bucato, si risciacquano i sacchetti nell'acqua semplice, e dopo asciugati bene, si conservano in un locale riparato dall'umido e dalla polvere.

A rendere più agevole l'operazione del ricambio dei sacchetti, mentre il filtro è in azione, qualcuno ha pensato di applicare un rubinetto ad ogni cono.

L'ingegnere Ghinozzi che abbiamo citato innanzi a proposito della enofillassina, ha costruito appunto un cono speciale a rubinetto (fig. 13), che si applica contro il fondo del serbatoio, in corrispondenza del foro, mediante quattro viti robuste. Il rubinetto è nel primo braccio superiore, a questo poi si congiunge il cono, mediante un raccordo.

I coni a rubinetto sono certamente utili e accrescono perfezione agli apparecchi filtranti, ma vi apportano anche un po' di complicazione, e, quel che è peggio, ne accrescono il costo, che è il più forte ostacolo alla diffusione di un buon filtro da mosto. Quando poi si mette in funzione un filtro, specie se a molti sacchi, l'apertura di tanti rubinetti, oltre che importare una perdita di tempo non indifferente, presenta l'inconveniente che i sacchi non si possono riempire simultaneamente, come avviene col sistema semplicissimo e poco costoso dei tappi di sughero. Per queste ragioni i coni a rubinetti non hanno incontrato il favore dei pratici, almeno per quanto riguarda la filtrazione del mosto.

Fig. 13.

La grandezza dei filtri a sacchi varia parecchio: se ne costruiscono ordinariamente da 24 a 60 coni o sacchetti, con resa pure variabile da uno a due vagoni di filtrato al giorno, di dieci a dodici tonnellate l'uno. Le forme più comuni sono quella rettangolare, la forma circolare ed ovale, questa ultima preferita nel brindisino pei grossi filtri, perchè offre maggiore comodità di maneggio a confronto delle altre.

Il costo varia da un minimo di lire 300 a lire 400 per filtri di 24 sacchetti, tutto compreso, sale poi a un massimo di lire 600 a lire 800 per la portata di 60 sacchi.

I filtri a semplice cassone con la vasca bassa raccoglitrice, aperti e liberi per tutta la lunghezza dei sacchi, si prestano meglio di tutti nella filtrazione del mosto, sia perchè lasciano facilmente sorvegliare l'andamento del lavoro ed eseguire i frequenti ricambi, sia anche per la semplicità di costruzione possibile ad eseguirsi in ogni piccolo centro.

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Durata e numero delle filtrazioni. — Quando si può, sia che si lavorino le uve direttamente o che si ricorra all'acquisto della materia prima allo stato di mosto grezzo, al palmento, la filtrazione s'incomincia la mattina per tempo e dura circa dodici ore, sufficienti ad allestire un vagone o due di filtrato che si spedisce subito.

La sera poi viene ripulito il filtro che trovasi pronto per l'indomani. Non sempre però si può seguire questo orario, che è il più conveniente; molte volte bisogna adattarsi a iniziare il lavoro nell'ora in cui capita la svinatura, che può essere tanto durante il giorno come di notte; ond'è che in alcuni stabilimenti il lavoro procede continuo, con operai di ricambio che hanno il loro turno.

Nei casi ordinarï il mosto grezzo si filtra una sola volta, ottenendosi spesso una limpidezza piuttosto relativa, quanto basta a far viaggiare il filtrato sino al luogo di destinazione senza alterarsi sensibilmente nella gradazione zuccherina. Non di rado però si è costretti a rifiltrare prima della spedizione, allorchè si hanno mosti che facilmente sono soggetti a rientrare in fermentazione attiva.

Perchè la seconda filtrazione riesca efficace, i provetti filtratori usano collare un fusto di mosto, con tre tavolette di gelatina Coignet, o di altra marca, e riversare quel fusto pel primo sul filtro. La collatura si può fare anche direttamente nel cassone pieno di mosto, collando in proporzione secondo la capacità.

Quelle case che posseggono appositi impianti per la preparazione dei filtrati, non si limitano quasi mai ad eseguire una sola filtrazione, ma spesso ne fanno due e anche tre sullo stesso mosto, come già abbiamo visto parlando dello stabilimento del Cav. De Bellis di Castellana.

Le Ditte F. Piccapane, P. Fusco, G. Perelli Minetti ed altre che sono le più notorie a Barletta per questo genere di lavoro e che esercitano il commercio dei filtrati anche all'estero, filtrano il mosto sempre due a tre volte, per raggiungere una perfetta limpidezza e per assicurarne meglio la conservazione sia sul posto che durante i lunghi viaggi.

Prima di eseguire la seconda filtrazione conviene fare, quando si crede opportuno, la massa unica del filtrato, affine di avere la uniformità della partita da spedire. Se non si dispone all'uopo di un grosso tino o recipiente adatto, si possono distribuire gli ultimi fusti raccolti dal filtro in quelli riempiti prima e lasciati appositamente smezzati, e ciò per evitare una troppo differente gradazione zuccherina nei diversi fusti, essendo più fermentato il mosto che esce verso la fine della filtrazione.

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Condizioni propizie e contrarie al buon andamento della filtrazione. — Sulla rapidità ed il regolare andamento della filtrazione influiscono principalmente la qualità della tela, la composizione chimica del mosto, la pressione, i venti e la temperatura ambiente.

La tela, dicemmo, dev'essere di tessuto e di spessore omogenei, perchè la sua resistenza o la penetrabilità del liquido sia uguale in tutti i punti della superficie filtrante.

La composizione del mosto ha influenza notevole per la densità, l'alcool e gli acidi. I mosti molto densi, poco alcoolici e poveri di acidità stentano più di tutti gli altri a filtrare, perchè hanno una forte aderenza alla superficie della tela; i mosti invece meno densi, aciduli e provvisti di una certa dose di alcool sono assai più scorrevoli, dotati di una maggiore forza di penetrazione attraverso i meati del filtro.

Il calore agisce per la diminuzione di densità che induce nel liquido e per la dilatazione dei pori della tela. Si sa, a questo riguardo che molte soluzioni nei laboratori chimici esigono di essere filtrate a caldo per non impiegare un tempo eccessivamente lungo. Ma se da un lato il calore agevola la filtrazione, dall'altro influisce sfavorevolmente sul filtrato, perchè provoca una più rapida fermentazione del mosto nel serbatoio del filtro durante il lavoro. Esso quindi è da evitarsi meglio che si può, perchè in ultimo effetto riesce dannoso anzichè utile.

I venti secchi e freschi del nord sono i più propizï al lavoro di filtrazione; i venti del sud invece, specialmente lo scirocco, sono perniciosi; eccitano la fermentazione tumultuosa nella massa filtrante, fanno alleggerire la pressione atmosferica, provocando un continuo squilibrio fra l'interno e l'esterno degli apparecchi filtranti, per lo sprigionamento del gas acido carbonico. La filtrazione riesce allora male, disordinata, irregolare, per cui i filtratori temono molto lo scirocco.

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Filtrerie. — Dove esistono impianti appositi ed estesi per la preparazione di grandi quantità di filtrati, in tempo relativamente breve del periodo della vendemmia, i locali sono disposti in modo da avere la filtreria completamente separata dalla tinaia, talvolta anche a un piano superiore, come nello stabilimento De Bellis a Castellana, tuttavia, in qualche raro caso, si possono trovare i filtri collocati nello stesso locale della fermentazione, per economia di spazio e di trasporto del mosto.

Le filtrerie appartate sono più consigliabili, perchè l'aria della tinaia è ricca di germi delle fermentazioni, che facilmente cadono nel mosto filtrato, attivandone il moto fermentativo dopo qualche tempo. Basta all'uopo una semplice tettoia o magazzino ben ventilato, possibilmente fresco, riparato dallo scirocco.

Accanto a questa tettoia è necessario un cortile o recinto, piuttosto spazioso, munito di un getto d'acqua o di un pozzo per la lavatura dei sacchetti, che vanno poi distesi alle corde per asciugarsi. In questo cortile si eseguiscono anche il movimento del carico e scarico, l'abbonimento dei fusti, la pesatura, ecc., quindi è bene sia munito di larga entrata a cancello e di un piano caricatore.

I fusti già pieni di filtrato, prima della partenza conviene siano tenuti al riparo dal sole per evitare il soverchio riscaldamento del mosto e la facile tendenza a riprendere la fermentazione.

Oltre ai commercianti, ed anche produttori, che preparano e spediscono i filtrati per loro conto, in Puglia, specialmente a Barletta, esiste una classe numerosa di mediatori o commissionarii, i quali sono provvisti di locali e di attrezzi per la filtrazione del mosto a conto di terzi.

Fanno il lavoro, a richiesta, con operai proprii e percepiscono un compenso che varia intorno ai 50-60 centesimi per ettolitro di filtrato. Si hanno insomma a Barletta delle vere filtrerie industriali, allo stato ancora rudimentale, perchè non si tratta di impianti espressamente fatti, con criteri tecnici.

Il defunto prof. Antonio Fonseca proponeva, a ragione, parecchi anni fa al Ministero di agricoltura, di incoraggiare lo sviluppo di queste piccole filtrerie per dare maggiore incremento alla industria ed alla esportazione dei filtrati dolci pugliesi, ma sin ora nulla è stato fatto in proposito, nè dal Governo, nè dagli enti locali. Ci auguriamo si voglia bandire almeno una gara a premio fra i più volontierosi per viemeglio stimolare l'iniziativa privata.

L'industria dei filtrati dolci è tutta italiana; essa rende un grande servigio alla enologia nazionale, perchè mette in grado i produttori del nord di riparare agli effetti delle cattive annate, con i prodotti dolci, naturali, del mezzogiorno. È utile quindi curare che si allarghi maggiormente e si sviluppi su basi sicure, mercè una lavorazione più rapida e con filtrerie razionali che siano a disposizione del commercio durante il frettoloso periodo della vendemmia.

Le piccole filtrerie dei mediatori, o dei commercianti pugliesi, i quali comperano nei palmenti il mosto grezzo, sono per lo più molto distanti dai locali di fermentazione, la materia prima viene perciò trasportata con servizio celere delle così dette trainelle, ossia carretti a due cavalli che corrono sempre di trotto.

Queste filtrerie sono dei magazzini non sempre provvisti di cortile, i quali servono per preparare anche spedizioni di mosti, di uve e di vini, durante l'anno, per eseguire dei tagli, ecc. Generalmente vi si trova depositato qualche filtro di proprietà dei negozianti dell'Alta Italia che li mandano giù all'approssimarsi della vendemmia per la filtrazione del mosto a loro necessario.

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Costo della filtrazione. — Per un esatto conto di spesa necessaria alla preparazione di un vagone di filtrato dolce occorrerebbe tener presente la quota annua di ammortamento del filtro con tutti gli accessorii, il fitto dei locali e la mano d'opera. Solamente nelle filtrerie industriali si potrebbe ciò fare, ma, nella generalità dei casi, i locali e gli stessi filtri adibiti alla preparazione dei filtrati, servono anche, come abbiamo detto innanzi, ad altri usi.

I mediatori e i commissionari che approntano alcuni vagoni di filtrati pei clienti, calcolano, di solito, una spesa oscillante da 40 centesimi a 1 lira per quintale di mosto limpido, a seconda l'importanza del lavoro. In base a questo criterio un vagone di filtrato della portata di 10 tonnellate viene a sovraccaricarsi di una spesa di L. 40 a 100 sul costo della materia prima.

Capitolo VI. Conservazione e trasporto dei filtrati.

Conservazione. — Il rischio maggiore al quale è soggetto il mosto durante e dopo la filtrazione è la fermentazione alcoolica, la scomposizione cioè dello zucchero per opera dei fermenti.

Abbiamo già detto in principio di questo libro che la filtrazione più accurata e ripetuta due, o anche tre volte, così come vien fatta coi descritti apparecchi, non giunge mai ad eliminare, in modo assoluto, tutte le cellule del fermento; un certo numero di queste sfuggono all'azione del filtro e possono, dopo un certo tempo, riattivare sensibilmente il moto fermentativo, moltiplicandosi e agendo sul principio zuccherino. Per conservare quindi limpido e dolce il mosto filtrato, più a lungo che è possibile, fa d'uopo anzi tutto impedire la facile riproduzione delle poche cellule sfuggite alla filtrazione, indi bisogna sottrarre il mosto stesso allo inquinamento dei germi che trovansi diffusissimi nel pulviscolo atmosferico, oppure aderenti alle pareti interne dei vasi vinari.

Le cure di conservazione però riesciranno tanto più facili ed efficaci quanto più limpido sarà il mosto filtrato da conservare, ossia quanto minore è il numero delle cellule di lievito e di germi, in esso contenuti. Emerge quindi da ciò la opportunità se non la necessità delle filtrazioni reiterate, le quali non solo tolgono al mosto una quantità maggiore di fermenti, ma lo impoveriscono eziandio delle sostanze nutritive delle cellule del lievito. Laonde un mosto il quale, ad esempio, venne filtrato due o tre volte, diventa meno atto a rifermentare di un altro mosto, di identica qualità, che avesse subìta una sola filtrazione e che contenesse esattamente il medesimo numero di cellule di fermento. Quest'ultimo infatti ha bisogno di nutrimento per potersi sviluppare e quindi agire normalmente sul principio dolce, dal quale prende soltanto una piccola parte del materiale necessario alla sua costituzione fisica. La maggior quantità di tale materiale viene fornito dalle sostanze azotate e minerali, naturalmente contenute nel succo dell'uva.

Ora, con la filtrazione ripetuta le materie azotate vengono mano mano ad eliminarsi, sia per l'azione ossidante dell'ossigeno dell'aria che le rende insolubili, sia per lo stesso effetto meccanico dell'apparecchio filtrante. Tuttavia non bisogna abusare troppo della filtrazione, specialmente se si tratta di mosti fermentati in parte, perchè si va incontro a sensibili perdite di alcool ed anche di altri elementi del mosto.

Una doppia filtrazione è sufficiente a preparare un filtrato di limpidezza irreprensibile, di facile conservazione allo stato dolce, sia durante il viaggio che in cantina.

È indispensabile poi un'accurata pulizia dei recipienti da trasporto o da cantina, assoggettandoli possibilmente alla disinfezione col mezzo del vapore acqueo sotto pressione o ad una lavatura all'acido solforico.

Le botti da cantina basta trattarle col vaporizzatore, come di uso, prima della vendemmia. Il vapor d'acqua, generato da una caldaia alla pressione di 2 a 3 atmosfere, si fa penetrare nella botte rovesciata, dal foro della spina messo in alto e si lascia liberamente uscire, in basso, dal cocchiume. Il trattamento si fa durare 15 a 20 minuti, tempo sufficiente a pulire ben bene e sterilizzare completamente l'interno della botte, perchè il vapore sotto pressione penetra nei pori del legno, uccidendo tutti i germi ed i microorganismi che vi si possono trovare.

Scolata bene la botte, si rimette al posto, nella sua posizione normale, si solfora e si tiene chiusa sino al momento di riempirla di filtrato.

Non potendo disporre del vapore a pressione, conviene lavare la superficie interna della botte con acido solforico al 20% e poscia con acqua bollente (sterilizzata, in modo da asportare tutto l'acido). Il mezzo pratico, più conveniente, della lavatura all'acido solforico, è quello di rotolare a terra la botte, in tutti i sensi, per bagnare tutta quanta la superficie interna. Se trattasi di grosse botti si manda dentro un operaio a strofinare energicamente il legno con una robusta spazzola.

I fusti da trasporto, ov'è possibile, si tengono al mare per 48 ore; ove no, si lavano nello stesso modo indicato per le botti piccole.

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Il mosto ben filtrato e riposto in recipienti sterilizzati, si può conservare dolce e limpido se viene presto introdotto in cantine infossate molto fredde, dove la temperatura massima non superi i 10-12 gradi centigradi nella stagione più calda. Basta aver cura di eseguire frequenti travasi fuori del contatto dell'aria, affine di separare, mano mano che si formi, il piccolo deposito feccioso, che in massima parte è costituito dalle cellule del fermento, sfuggite alla filtrazione, da cristalli di cremore e da altre sostanze solide precipitate al fondo.

Non pochi commercianti dell'Alta Italia riescono a conservare qualche botte di filtrato da un anno all'altro, colle semplici cure suaccennate e specialmente coi travasi frequenti, eseguiti a mezzo di pompe, o meglio con solo tubo di gomma che si fa funzionare da sifone per evitare l'aereazione e lo sbattimento del mosto.

Ma questo mezzo così facile di conservazione non è possibile seguire ovunque, perchè non dappertutto è dato di possedere cantine fredde, nelle quali la bassa temperatura costituisca di per sè un forte ostacolo alla fermentazione; esso non offre poi nessuna sicurezza per quanto riguarda il trasporto del filtrato sulle strade ferrate o per via di mare, trasporto che si effettua, come si sa, nel periodo stesso della vendemmia, ad una temperatura più che favorevole all'attività dei fermenti. In tal caso il filtrato, che al luogo di partenza si presenta di una limpidezza brillante, finisce per giungere a destino più o meno torbido, causa la fermentazione, riattivatasi durante il viaggio, e a seconda il tempo o la temperatura cui deve sopportare, può anche perdere una parte sensibile della sua ricchezza zuccherina, discapitando nel suo valore commerciale. Non sono difatti tanto rare le contestazioni che sorgono tra speditore e destinatario per inconvenienti dovuti alla circostanza testè citata, specialmente nei casi di lunghi percorsi o di ritardata spedizione.

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Antisettici. — Per meglio ostacolare lo sviluppo della fermentazione si ricorre all'aiuto di alcune sostanze chimiche dotate di proprietà antifermentative, le quali oggi si riducono all'alcool etilico rettificato e all'anidride solforosa. Gli altri antisettici, consigliati in passato da qualche enologo, come il fluoruro d'ammonio, l'acido salicilico, l'acido borico, l'abrastol, ecc. che si adoperano spesso fraudolentemente per la conservazione della birra o del latte, sono da proscriversi, perchè riescono effettivamente nocivi alla salute di chi consuma i prodotti derivanti dai filtrati e come tali ne è vietato dalla legge l'aggiunta al mosto e al vino.

L'alcool si adopera soltanto in casi eccezionali, allorchè si vogliano ammutolire i mosti destinati alla fabbricazione di vini liquorosi, tipo Marsala, Xères, Malaga, Moscato, ecc. Pei filtrati da gran commercio, l'unico antisettico lecito e preferibile, perchè innocuo sino a un certo limite, è l'anidride solforosa, che si prepara e s'impiega in enologia sotto tutti e tre gli stati fisici, gassoso, liquido e solido.

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Anidride solforosa. — Allo stato gassoso e liquido si ha libera e semplicemente disciolta nell'acqua o nell'alcool: allo stato solido invece è sempre in combinazione chimica con un radicale metallico.

Non sarà privo d'interesse per l'enologo e nel nostro caso pei produttori e commercianti di filtrati, conoscere le principali sorgenti di anidride solforosa e le proprietà specifiche dei diversi preparati del commercio, affine di sapersi regolare con discernimento nella scelta e nell'uso dei medesimi, a norma il caso pratico che lo riguarda.

Nelle condizioni normali di temperatura e di pressione l'anidride solforosa è un gas incolore, di odore vivo, soffocante, incombustibile. Chimicamente viene contraddistinta con la formola SO₂, perchè è un biossido di zolfo, la cui molecola risulta dalla intima unione di due atomi di ossigeno con un solo atomo di zolfo, ossia da 32 parti in peso del primo con altrettanto quasi del secondo, essendo il peso molecolare 63,98.

Si può ridurre il gas solforoso allo stato liquido ad una temperatura di 10° sotto zero, oppure a temperatura ordinaria, ma sotto pressione di due atmosfere, essendo allora capace di evaporarsi con grande rapidità se lasciata all'aria libera, perchè bolle a -8° con assorbimento considerevole di calore. Tale proprietà viene utilizzata per produrre il raffreddamento artificiale.

L'anidride solforosa si produce tutte le volte che si abbrucia lo zolfo all'aria, per cui volgarmente si chiama anche fumo di zolfo. È questo il processo più comune di preparazione, cui si ricorre in cantina con l'abbruciamento delle micce; ma ve ne sono parecchi altri anche semplici che si adottano nelle industrie chimiche e nei laboratori. Così nelle fabbriche di acido solforico, acido che deriva dall'anidride solforosa, quest'ultima si ottiene arrostendo alcuni solfuri o piriti (più comunemente la pirite di ferro) in appositi forni. In laboratorio invece si scalda in un pallone di vetro, una miscela di ritagli di rame con acido solforico, ottenendosi solfato di rame e acqua con sviluppo di gas anidride solforosa; ovvero si decompone un solfito del commercio collo stesso acido solforico concentrato.

L'anidride solforosa è abbastanza solubile nell'acqua, colla quale si combina formando l'idrato o acido solforoso (SO₃H₂); in più forte proporzione si scioglie anche nell'alcool. Essa quindi viene facilmente assorbita tanto dal mosto che dal vino, nei quali però in gran parte si trasforma in acido solforico, o si combina con le aldeidi.

Alla temperatura ordinaria di 15° centigradi un litro di acqua può assorbire o disciogliere 47 litri di gas solforoso, e un litro di alcool assoluto, cioè a 100°, circa litri 155.

Il gas ottenuto dalla combustione dello zolfo, o cogli altri processi anzicennati, si può conservare in recipienti chiusi tanto in soluzione acquosa come in soluzione alcoolica. Entrambe queste soluzioni si vendono in commercio a buon prezzo, ma occorre assicurarsi, prima di adoperarle, del contenuto in anidride, perchè variano facilmente di titolo, a causa dell'avidità che ha l'anidride idratata per l'ossigeno dell'aria, col quale si combina, trasformandosi in acido solforico, e per la tendenza a sprigionarsi dal liquido col variare della pressione e della temperatura. Inoltre conoscendo esattamente il titolo si può misurare la quantità di gas che occorre aggiungere a un ettolitro di mosto o di vino.

L'acqua solforosa a 4° Beaumé, contenente circa 50 grammi di biossido di zolfo disciolto, si vende in commercio a 90 centesimi — una lira al litro —. La soluzione alcoolica costa di più pel valore dell'alcool e per la maggiore quantità di gas che contiene. Di rado però, anzi quasi mai si adopera per prepararla il vero alcool assoluto, generalmente si impiega invece l'alcool di cereali, rettificato a 96° centesimali.

Per avere una idea del coefficiente di solubilità del gas solforoso nell'acqua e nell'alcool del commercio a diverse temperature, diamo nelle due tabelle seguenti alcune cifre in volume e in peso che si riferiscono a soluzioni sature:

Solubilità dell'anidride solforosa nell'acqua.

Quantità in volume e in peso di gas anidride solforosa solubile in 1 litro d'acqua alla pressione di mm. 760 e alla temperatura di:

Temperatura C. 0° 4° 10° 15° 20°

litri 79.79 69.83 56.65 47.28 39.37

grammi 228.99 197.33 156.49 128.63 105.29

Solubilità dell'anidride solforosa nell'alcool.

Quantità in volume e in peso di gas anidride solforosa solubile in 1 litro di alcool a 96° e alla pressione di mm. 760.

Temperatura C. 0° 4° 10° 15° 20°

Litri 318.66 257.97 184.96 140.66 111.47

Grammi 914.67 729.02 510.90 382.68 298.11

In pratica, come giustamente fa osservare il prof. Sannino, non conviene preparare le soluzioni sature, ma un po' diluite, alla metà od a un terzo, per evitare la facile variazione del titolo. — Tali soluzioni vanno riposte in recipienti di vetro ben tappati e conservate in luoghi freschi.

Il titolo della soluzione acquosa, o alcoolica di anidride solforosa si determina in laboratorio con una soluzione titolata normale di jodio, la quale viene schiarita e privata della proprietà di colorirsi in azzurro in presenza di alcune gocce di salda d'amido che funziona da indicatore.

Per la soluzione acquosa si può anche ricorrere, con maggiore sollecitudine, alle indicazioni della densità; conosciuta questa si ricava subito approssimativamente il percento di anidride solforosa con la tavola qui appresso di H. Schiff.

Densità della soluzione acquosa a 15° C. Anidride solforosa in peso % Densità della soluzione acquosa in peso % a 15° C. Anidride solforosa in peso %

1.0049 2 — 1.0343 12 —

1.0102 4 — 1.0410 14 —

1.0158 6 — 1.0480 16 —

1.0217 8 — 1.0553 18 —

1.0278 10 — 1.0629 20 —

La densità costituisce un dato attendibile per la valutazione del titolo, quando la soluzione non fu aereata, perchè si forma allora dell'acido solforico che fa crescere il peso specifico.

Si trova anche oggi in commercio l'anidride solforosa liquida che si prepara prima allo stato gassoso nelle stesse fabbriche di acido carbonico liquido, e mediante potenti cilindri compressori si introduce nelle così dette bombole di acciaio, dove si liquefa sotto la pressione; poi si estrae da queste bombole al momento di adoperarlo, col mezzo di apposita valvola di riduzione, nello stesso modo con cui si estrae l'acido carbonico.

L'uso delle bombole di anidride solforosa comincia a diffondersi nelle cantine di una certa importanza, per la solforazione dei vasi vinari e delle grandi masse di mosto; esso però presenta la difficoltà di non lasciare facilmente misurare le piccole quantità di gas per sospendere il getto in tempo utile.

Si può, è vero, valutare il gas consumato dalla differenza di peso della bombola prima e dopo la solforazione, ma ciò oltre a essere malagevole in pratica, ove non si possono fare pesate esatte, non giova, come abbiamo detto a far sospendere l'operazione in tempo utile.

Occorrerebbe un piccolo misuratore applicabile alla valvola di riduzione, il quale dovrebbe presentare i requisiti di costare relativamente poco e di non complicare troppo l'apparecchio riduttore. Raccomandiamo la cosa all'egregio ingegnere Ghinozzi che si è in special modo occupato della preparazione del gas solforoso liquido per uso enologico, e degli apparecchi relativi, perchè sarebbe sommamente giovevole, tanto in cantina, come nelle filtrerie, di poter disporre a ogni occasione di qualunque quantità abbisognevole di anidride solforosa liquida o gassosa, racchiusa in bombole a perfettissima tenuta.

L'anidride solforosa secca, o idratata, possiede in grado diverso delle proprietà antisettiche ma non disinfettanti. Non uccide quindi i microorganismi delle fermentazioni se non in condizioni speciali e ad alte dosi, ne arresta però l'attività fisiologica, sia per la sua azione diretta come acido, sia per il forte potere riducente, di sottrarre cioè l'ossigeno ai liquidi e alle sostanze che ne contengono, per trasformarsi in acido solforico. Assorbendo l'ossigeno nel mosto, mette le cellule del fermento nella condizione di non potersi sviluppare e le costringe a depositarsi al fondo della massa liquida, allo stato inattivo completo o parziale, secondo le dosi.

In dose moderata essa agisce anche come acido sui bacterï delle malattie e specialmente sopra certe secrezioni del fermento, conosciute coi nomi di diastasie, enzimi, ecc. le quali divengono incapaci di provocare taluni fenomeni a loro proprii, come l'annerimento del vino o casse dei francesi, la inversione del saccarosio, ecc.

Ma oltre che sui microorganismi e sulle secrezioni ossidanti di questi, l'azione della anidride solforosa si estende anche a parecchi componenti del mosto e del vino, sopratutto sul cremore, sulle aldeidi e sulla materia colorante.

Quella parte di gas solforoso idratato che assorbe l'ossigeno disciolto nella massa liquida e che si trasforma in acido solforico, scompone il cremore o tartrato acido di potassa, di cui l'acido tartarico resta libero e la potassa si unisce all'acido solforico, formando il solfato acido di potassio che va ad aumentare, sebbene in tenue quantità, gli effetti della gessatura. La proporzione di questo solfato cresce, sempre in ristretti limiti, in ragione del volume di aria contenuta nel liquido solforato.

Nei vini, e nei mosti già fermentati in parte, una quantità più sensibile di acido solforoso si unisce con le aldeidi che sono prodotti di prima ossidazione degli alcool, formando dei composti solforoso-aldeidici, che sono meno attivi dell'acido solforoso libero e che, per conseguenza, vengono dall'igiene tollerati nelle bevande vinose in più alta proporzione.

Assai più energica, per quanto indefinita, che non sugli altri componenti, è l'azione dell'anidride solforosa sulla materia colorante, ed è questo il più serio inconveniente che fa restringere ed anche eliminare completamente da alcuni la pratica della solforazione nell'industria dei filtrati rossi. Per fortuna però la decolorazione che essa produce non è stabile: il colore riappare in gran parte dopo che il gas solforoso si fa sprigionare dal liquido, mediante l'arieggiamento.

Inoltre, l'azione decolorante sull'enocianina, o pigmento dell'uva, non si manifesta di fronte a piccole dosi dell'antisettico. Ne occorre una quantità superiore ai quattro grammi per ettolitro per incominciare a vedersi un leggero scoloramento della massa, mentre si può arrivare anche ai dieci grammi senza temere di compromettere l'intensità colorante del vino o del mosto, la quale si può attenuare provvisoriamente, ma è capace di riacquistare il primitivo tono al solo travaso all'aria.

D'altronde, sia che si voglia prevenire o curare la casse dei vini, sia, come nel caso che ci riguarda, che si miri a tener inerti i microorganismi della fermentazione nel filtrato, le dosi suindicate di anidride solforosa sono bastevoli per lo scopo che si vuole raggiungere.

Ad arrestare completamente la fermentazione alcoolica nel mosto occorrono invero circa 30 grammi di anidride solforosa libera per ettolitro, ma questa forte proporzione si riferisce a mosti normali, ricchi di lievito e di nutrimento azotato; i filtrati invece, siccome abbiamo fatto rilevare, specie se preparati con la voluta accuratezza, contengono un numero molto esiguo di cellule del fermento e sono altresì un po' spoveriti delle sostanze nutritive per quelle. Essi perciò senza altro trattamento arrivano a conservarsi muti per un certo tempo, basta una piccola dose di antisettico per aiutarne e protrarre efficacemente la conservazione.

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Solfiti e bisolfiti. — L'anidride solforosa impiegata in enologia allo stato gassoso, e in soluzione, spiega un pronto effetto sul mosto o sul vino; la sua azione cioè è immediata ed anche troppo energica per certe circostanze, senza che permanga a lungo. Essa è preferibile perciò in quei casi in cui si voglia reprimere una malattia già scoppiata, o togliere un difetto manifesto. Quando invece si tratta di prevenire un malanno o d'impedire, per certo tempo, lo sviluppo della fermentazione, come nel caso dei filtrati, conviene meglio provocare un'azione meno potente, ma continuata dell'antisettico. In questo caso si ricorre con maggior profitto alle combinazioni solide dell'anidride.

Se il gas solforoso che si produce dalla combustione dello zolfo, dall'arrostimento delle piriti ecc., si fa gorgogliare in una soluzione di potassa, oppure nell'acqua di calce, si possono avere due serie di composti solforosi: solfiti primarï o bisolfiti, e solfiti secondarï o neutri, a seconda che venga sostituito uno solo o tutti e due gli atomi di idrogeno basico.

Fra i composti primari i più importanti in enologia sono il bisolfito di potassio (SO₃KH) e il bisolfito di sodio (SO₃NaH); tra quelli secondarï i solfiti delle stesse basi (SO₃K₂) (SO₃Na₂) e il solfito di calcio (SO₃Ca). Di questi si preferiscono principalmente il bisolfito potassico e il solfito di calcio, preparati puri per uso enologico.

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Bisolfito di potassio, o bisolfitina. — È un sale incolore, a reazione acida, cristallizza in aghi prismatici idrati con una molecola d'acqua di cristallizzazione. È molto solubile nell'acqua, insolubile nell'alcool assoluto; a contatto dell'aria si altera facilmente e sprigiona molto gas solforoso, bisogna perciò conservarlo in vaso di vetro a colore, tappato bene con tappo di caoutchouc o di sughero paraffinato, in modo da impedire la penetrazione dell'aria.

In commercio si vende tanto in soluzione, che non conviene acquistare per la facile variazione del titolo, come in blocchi cristallini, racchiusi in flaconi da 500 e da 1000 grammi al prezzo di L. 4,50-5 al kg.

Il suo peso molecolare è 138, in cui sono contenute 63,98 parti di anidride solforosa, pari a 46,38%. Viene facilmente decomposto dagli acidi e dai sali acidi del mosto e del vino, coi quali si combina, cedendo la potassa, mentre si sprigiona il gas solforoso che agisce con abbastanza rapidità ed energia.

Il bisolfito di potassio quindi, per la sua prontezza di azione viene subito dopo alle soluzioni solforose; si adopera specialmente per arrestare la casse o le malattie del vino, alla dose di 10 a 20 grammi per ettolitro. Nella industria dei filtrati bianchi può impiegarsi come utile surrogato alla diretta solforazione del mosto per agevolare la defecazione, e pei filtrati rossi noi lo abbiamo spesso consigliato in piccole dosi (5 a 10 gr. per ettol.) allorquando si è voluta frenare la fermentazione tumultuosa del mosto nel serbatoio del filtro, durante il lavoro di filtrazione, specialmente nelle giornate di scirocco e coi filtri chiusi del Rouhette. Si evita così il pericolo di ottenere filtrati magri, a lavoro inoltrato, per soverchio riscaldamento della massa nel cassone del filtro, senza tema di vedere attenuata l'intensità colorante del filtrato, o di saturare una parte sensibile dell'acidità naturale.

Quando si vuole invece conseguire un effetto più duraturo, conviene ricorrere al solfito di calcio che è meno solubile del bisolfito di potassio.

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Solfito di calcio. — È anche questo un sale incolore, inodore e a sapore neutro. Cristallizza in piccoli prismi aghiformi con una molecola d'acqua, quello preparato in commercio, per uso enologico, è in polvere bianca, amorfa. Il suo peso molecolare è 138, perfettamente uguale a quello del bisolfito di potassio: contiene anch'esso la medesima proporzione del 46,38% di anidride solforosa combinata, con la sostanziale differenza però che, essendo poco solubile, abbandona molto lentamente il gas solforoso.

Aggiunto infatti al mosto, o al vino, precipita subito al fondo del recipiente, dove viene decomposto dall'acidità naturale del liquido adagio adagio, senza interruzione, dando luogo ad uno svolgimento ininterrotto e costante di gas solforoso, che si diffonde nella massa ostacolando lo sviluppo o l'attività dei microorganismi della fermentazione e delle comuni malattie.

Il solfito di calcio per questa sua proprietà, di essere assai meno solubile degli altri composti affini, è un ottimo agente conservatore del mosto e del vino, in seno ai quali spiega il suo potere antisettico per un tempo variabile dai 30 ai 40 giorni, alla dose di 10 a 15 grammi per ettolitro. Esso viene frequentemente adoperato per aiutare la conservazione del mosto filtrato, durante il viaggio.

Il solfito di calcio agisce chimicamente sul mosto e sul vino nello stesso senso del bisolfito di potassio: la calce precipita nelle feccie allo stato di bitartrato e di malato di calcio insolubili, che agevolano, cadendo, la defecazione del liquido, mentre l'anidride solforosa viene assorbita dalla massa liquida, dando luogo in parte alle reazioni chimiche accennate innanzi.

L'acidità complessiva del mosto o del vino solfitato subisce, per effetto della precipitazione dei sali di calcio, una leggera diminuzione, ad evitare la quale opportunamente si suggerisce di aggiungere, assieme al solfito, una quantità doppia di acido tartarico allorquando si tratti di liquidi vinosi piuttosto scarsi di acidità naturale.

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Pratica della solforazione e della solfitazione. — Nell'industria e nel commercio dei filtrati dolci, le solforazioni dei recipienti e dei filtrati stessi debbono essere praticate con molto maggiore discernimento che nella conservazione del vino, sia per il fatto menzionato di dovere evitare la possibile scolorazione dei filtrati rossi, sia anche per non alterare menomamente il gusto, che deve presentarsi in tutta la sua vellutata freschezza.

Abbiamo già detto che lo scoloramento del mosto rosso per effetto dell'anidride solforosa in moderata quantità aggiunta, non è permanente, ma piuttosto temporaneo, perchè il colore ricompare quando l'anidride si sprigiona dalla massa liquida mediante opportuna aereazione. Ma in commercio raramente si tien conto di questa circostanza dai commercianti più colti; la maggior parte di essi invece vuole il filtrato rosso col suo colore intenso e vivace, alla consegna, pronto a imporre una diminuzione di prezzo nel caso contrario. Da ciò si deduce che allorquando si preparano filtrati rossi per conto di terzi, se non si vuole rischiare di indebolire, anche apparentemente, in certo grado, l'intensità del colore e non si vogliono per conseguenza offrire al compratore motivi di lagnanze o di proteste, conviene o bandire del tutto l'uso del fumo di zolfo e dei prodotti solforosi, ovvero adoperarli in leggerissime proporzioni, in modo da non introdurre nel mosto più di 5 grammi di gas anidride solforosa per ettolitro. Bisogna allora curare di conseguire, al massimo grado, la perfetta limpidezza del prodotto.

Trattandosi invece di filtrati bianchi, la solforazione o l'aggiunta di solfito si può sempre fare, anzi conviene farla, senza però abusarne per non sciupare il sapore del filtrato che può contrarre facilmente il gusto di zolfo e pungere la gola all'assaggio organolettico.

Per la solforazione dei fusti da trasporto, prima del riempimento, o delle botti da cantina, il mezzo più acconcio è quello di ricorrere alla combustione delle micce di zolfo, nel solito cestellino metallico, pensile, o meglio col fornello solforatore esterno. Due a tre grammi di zolfo per ogni ettolitro di capacità sono sufficienti, perchè teoricamente producono da 4 a 6 grammi di anidride solforosa. Le micce però devono essere preparate con zolfo puro, non solo, ma con tela o carta pulita, essendo probabile che vengano in commercio adoperate persino le strisce di cenci di ospedali impregnate di sostanze cattive medicamentose.

A tal proposito un cantiniere bordolese, il signor Grégor, per evitare l'introduzione nelle micce di qualsiasi sostanza estranea nociva, prepara le pastiglie a guisa delle tavolette di cioccolata, senza la pezzuola interna, che egli chiama soufre sans linge e che abbrucia in apposito fornelletto.

Comunque poi si operi bisogna aver cura di non far cadere nei fusti delle gocciole di zolfo fuso durante la combustione delle micce, perchè si potrebbero sviluppare poi nel filtrato odori cattivi di acido solfidrico o di mercaptani.

I fusti solforati si tengono chiusi sino al momento di riempirli di mosto filtrato, che si fa cadere al fondo con un tubo di gomma se non si vuole fargli assorbire troppo vapore solforoso.

Per la solforazione diretta del mosto grezzo, o del filtrato, è più conveniente ricorrere alle soluzioni titolate, indicate innanzi, di anidride solforosa e al bisolfito di potassio allorchè si desidera un'azione immediata, al solfito di calcio come preventivo. Le soluzioni titolate e il bisolfito presentano il vantaggio, di fronte al gas solforoso libero, di permettere la esatta misura, e la più completa utilizzazione, della quantità di anidride che si vuole aggiungere a ogni ettolitro di liquido, mentre agiscono identicamente nel loro effetto pronto e breve. Nella preparazione dei filtrati bianchi sono perciò da preferirsi alle micce, così pure quando occorra frenare la fermentazione troppo violenta del mosto grezzo durante la filtrazione o prima.

La quantità di soluzione o di bisolfito da aggiungere dev'essere tale da non superare, un massimo di 10 grammi di anidride nei mosti bianchi e di 5 grammi nei mosti rossi. L'aggiunta si fa direttamente alla massa liquida che va rimescolata in recipiente chiuso per meglio distribuire l'antifermentativo, senza provocare soverchio arieggiamento.

Il solfito di calcio è da preferirsi per la conservazione del filtrato durante il trasporto: nei filtrati rossi, quando non se ne può fare a meno, se ne aggiungono 5 a 8 grammi per ettolitro, ossia 30 a 50 grammi per ogni fusto ordinario di 650 litri. Questa dose è sufficiente a ostacolare il riattivarsi della fermentazione, specie se il filtrato è ben limpido, e l'azione antisettica può durare per 10-15 giorni. Nei filtrati bianchi se ne può mettere anche una quantità doppia (10 a 15 grammi) se non abbiano subiti precedenti solforazioni durante il processo preparatorio.

L'aggiunta del solfito di calcio si fa pure direttamente dal cocchiume, nei fusti pieni, perchè essendo pesante va presto a depositarsi al fondo, dove viene intaccato lentamente dagli acidi.

Nei filtrati di limpidezza incerta o torbidicci la fermentazione non si può frenare senza una dose abbastanza forte di solfito di calcio, dose che dovrebbe arrivare anche ai 200 grammi per ettolitro nei casi di fermentazione normale[3], ma allora si altera la composizione del mosto, per cui miglior partito sarebbe quello o di filtrare il mosto, oppure destinarlo alla vinificazione invece di esitarlo come filtrato dolce.

Trasporto dei filtrati.

Trasporto della materia prima — uve e mosti grezzi. — Il trasporto delle uve dal vigneto alla tinaia, o al palmento, varia nei suoi modi col variare dei mezzi che sono in uso nelle diverse regioni. Sarebbe troppo lungo e anche fuori di luogo il volerli qui descrivere; diremo solo che il miglior modo è quello, quando si può, di trasportare le uve intatte allo stabilimento, in ceste, cassette ecc., perchè l'ammostatura grossolana, o completa, eseguita in campagna sul vigneto può dar luogo a vari inconvenienti, primi fra tutti l'inquinamento di germi di malattie del vino e uno sfrido non indifferente.

Quando si adopera come materia prima dei filtrati il mosto grezzo dei palmenti pubblici o privati, il trasporto alla filtreria si eseguisce in Puglia, a Barletta dalle squadre dei cosidetti tramutatori o brentatori. Ogni squadra si compone di tre brentatori propriamente detti e di un carrettiere che appresta per suo conto il carretto ( trainella ) con due cavalli. I brentatori provvedono 14 barili solidi della capacità di 60 litri l'uno.

Negli stabilimenti importanti, dove si vinificano le uve di molti proprietarii si trovano una o due squadre fisse di brentatori che stabiliscono col proprietario dello stabilimento una specie di convenzione, in base alla quale tutto il mosto che esce dallo stabilimento, detto a Barletta anche trappeto, dev'essere trasportato dai brentatori ivi addetti. Una squadra di brentatori può anche abbracciare due o tre stabilimenti piccoli, situati nelle vicinanze.

Il mosto si misura al trappeto col decalitro di legno: uno dei brentatori riempie i primi sette barili, mentre gli altri due li caricano sul carro, la cui lettiera presenta una imbottitura di sarmenti o di gabbiuzze. Adagiati i sette barili in fila, l'uno accanto all'altro, li legano con due tratti di fune, due dei brentatori montano sul carro mentre il carrettiere sferza i cavalli al trotto. Nella figura 14 si osserva uno di questi carri che a Barletta, in vendemmia sono frequentissimi e anche pericolosi quando sono in corsa, pei passanti. Giunto il carro a destino si vuota con rapidità il mosto dai barili che vengono tosto riadagiati sul carro e via di corsa un'altra volta al trappeto, ove il terzo brentatore fa trovare gli altri sette barili pieni.

Fig. 14 — Trasporto del mosto a Barletta.

Il servizio dei brentatori a Barletta è caratteristico ed è organizzato in modo da riescire così celere che può dirsi unico del genere in Italia. I brentatori sono uomini robusti, di muscoli, dicono in linguaggio locale, e sembrano artiglieri agilissimi. Un barile pieno, con 60 litri di mosto, ha il peso lordo di circa 75 kg. che essi maneggiano da soli con una grande facilità e destrezza, poi montano sul carro, mentre questo è in movimento, poggiando uno dei piedi sopra un raggio della ruota e slanciandosi come abili ginnasti.

Fig. 15 — Trasporto del mosto negli otri.

Un carro carico di mosto ha precisamente sei barili da 60 litri, il settimo è da 50 che dicesi mantegna per formare giuste due some (litri 410). Secondo le distanze può fare in 12 a 14 ore da 30 a 40 viaggi, trasportando così da 60 a 80 some di mosto (120 a 160 ettol.) con una spesa di trasporto che varia pure a norma le distanze, da 50 centesimi a una lira per soma.

La celerità del servizio porta però l'inconveniente di uno sfrido piuttosto forte, perchè con gli urti ed anche cogli sbalzi del carro, spesso saltano i tappi di sugheri, applicati leggermente con una pezzuola al cocchiume dei barili e si getta una porzione di mosto: per cui il carro trovasi sempre bagnato di mosto che sgocciola continuamente dalla lettiera.

In altri paesi della Puglia il trasporto dei mosti si fa anche in otri di capra a spalla d'uomo o su carri (fig. 15), ma raramente questi si adoperano per trasportare il mosto da filtrare.

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Trasporto del filtrato. — Il filtrato dolce, appena esce dal filtro vien messo negli ordinarii fusti da trasporto, della capacità di 600 a 650 litri e della tara di kg. 90 a 95, se di castagno, kg. 120 a 125, se di rovere. Questi fusti si lasciano un pochino smezzati, con circa 10 a 15 litri di vuoto e si chiudono al cocchiume con tappo di sughero (raramente di legno) forato nel mezzo, per applicarvi la solita cannula a imbuticino di latta (fig. 16) necessaria allo sfogo del gas acido carbonico in caso di risvegliata fermentazione del mosto durante il viaggio. La cannula porta due striscette che s'inchiodano, assieme a un foglio della latta, sulle doghe attorno al cocchiume, per tener fermo l'imbuto e nascondere il tappo. L'applicazione della cannula naturalmente vien fatta nel vagone ferroviario o a bordo del vapore se la merce viaggia per mare.

Fig. 16 — Fusto da trasporto pieno di filtrato.

I fusti devono essere precedentemente abboniti come dicemmo innanzi.

Il trasporto del filtrato si fa tanto per via mare che per via di terra, a servizio accelerato, per evitare che la fermentazione si ridesti e scomponga buona parte dello zucchero del mosto durante il viaggio. Pei trasporti dalla Puglia ai diversi mercati dell'alta Italia ed anche all'estero, il viaggio dura da 3 a 8 giorni al massimo. Quasi sempre il trasporto si fa in fusti, dei quali un vagone da 10 tonnellate può contenerne 13 a 14 in carico anormale, cioè sovrapposti. Un vagone da 12 tonnellate può contenere 15 a 17 fusti. Lo speditore deve firmare, alla partenza del carro, un bollettino di garanzia, col quale esonera l'amministrazione ferroviaria da qualsiasi responsabilità, per spandimenti o altro, e di più si obbliga a indennizzare la ferrovia nei casi di guasti prodotti al vagone dalla conseguenza del carico mal fatto. Un tale bollettino ha suscitate vive proteste nel ceto commerciale, proteste delle quali si è fatto eco presso il governo l'onorevole Spagnoletti, deputato di Barletta, ma l'amministrazione ferroviaria per varie ragioni non ha concessa nessuna modificazione. È bene perciò affidarsi, pel trasporto, a qualche ditta specialista che assuma per proprio conto la responsabilità del servizio (vedi pag. 105).

Il filtrato si può trasportare anche nei serbatoi di legno, a due botti o in quelli metallici intonacati di enofillassina internamente e racchiusi nei vagoni per sottrarli alle manomissioni e all'azione diretta dei raggi solari, che riscalderebbero il mosto eccitandone la fermentazione.

Per quanto poi si siano adottati i mezzi di conservazione durante il viaggio, la fermentazione facilmente si ridesta, specialmente se favorita dal calore eccessivo. Il vento di scirocco anche in questo caso è lo stimolante più temibile della fermentazione. Il commerciante perciò difficilmente si arrischia a garantire il grado zuccherino del filtrato allo arrivo a destino, ma ne fa la consegna al luogo di partenza o lavora in base alla marca.

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Calo. — Durante il viaggio si verifica sempre un pò di calo in peso, dovuto allo svolgimento del gas acido carbonico se si ripristina la fermentazione del filtrato, e in piccola parte anche all'evaporazione attraverso i pori delle doghe.

Il calo per fermentazione non si può tradurre in cifra da servire di norma in commercio, perchè dipende dalle circostanze che agevolano o impediscono il ridestarsi della fermentazione stessa durante il viaggio del filtrato; questo calo varia perciò in proporzione dello zucchero decomposto dal fermento.

Tenendo presente che 100 parti in peso di glucosio, secondo Pasteur, danno origine colla fermentazione a parti 46,67 di gas acido carbonico, che in massima parte si sprigiona dal liquido e si sperde nell'aria, mentre gli altri prodotti vi rimangono, si può agevolmente stabilire, come dato, s'intende, approssimativo, un calo teorico di kg. 0,4667 per quintale di filtrato e per ogni grado di zucchero decomposto nell'intervallo tra la pesata alla stazione di partenza e quella di controllo alla stazione di arrivo, o allo svincolo della merce.

Così, ad esempio, supponiamo che un vagone di filtrato, caricato a un dato giorno alla stazione di Brindisi, pesasse netto quintali 100 ed il filtrato segnasse al gleucometro il 16% di zucchero indecomposto. Dopo 5 giorni, poniamo, di viaggio il filtrato giunge a Milano in discreta fermentazione e col titolo zuccherino di 14.50%, quale sarà il calo dovuto alla fermentazione?

Basta moltiplicare i gradi di zucchero scomparsi per 0,4667; ossia (16-14,50) × 0,4667 = 0,70%.

Il dato, come abbiamo detto, è teorico, perchè una parte del gas carbonico rimane disciolto nel mosto, mentre quello che si sperde nell'aria, attraverso la cannula applicata al cocchiume dei fusti, trascina anche con sè una piccolissima quantità di vapori alcoolici, di vapor d'acqua e di prodotti volatili; tuttavia esso si avvicina molto al vero e può servire in pratica a risolvere le eventuali contestazioni tra speditore e acquirente per differenze nel peso della merce.

Il calo per evaporazione, varia anch'esso a seconda la qualità e lo spessore delle doghe di cui sono costruiti i vasi vinari da trasporto, a seconda della temperatura, della densità del mosto, della capacità dei fusti, del tempo ecc. È ben difficile perciò di potere determinarlo con sufficiente approssimazione.

Da varie notizie assunte presso i commercianti di filtrati, abbiamo avuto dati assai diversi, varianti dal 1 ⁄ 2 al 3%, per viaggi della durata di 3 a 8 giorni. In queste cifre è compreso anche lo sfrido per spandimenti. Ad ogni modo, riunendo assieme tutte le cause di diminuzione, compresa la fermentazione si può stabilire con abbastanza approssimazione, un calo variabile da 1 a 3% in peso, per viaggi della durata non superiore agli otto giorni, qualunque sia la percorrenza, semprechè, s'intende, il filtrato giunga a destino in condizioni normali.

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I filtrati dolci, rispetto al trasporto sulle strade ferrate italiane, vengono considerati come mosto e quindi tassati con le tariffe interne n. 204 A per le percorrenze inferiori ai 600 Km e n. 204 B per le percorrenze superiori ai 600 Km.

In base a queste tariffe, un vagone di filtrato, da Barletta a Milano, per esempio, (Km. 811) paga L. 2,90 per quintale, incluso il peso dei fusti vuoti.

Le spedizioni per l'estero cadono sotto il regime delle tariffe internazionali, concordate nella convenzione di Berna. In Italia, ai vagoni per l'estero si applica, sino al confine, la tariffa eccezionale 1002, che si divide in due serie a seconda la quantità di merce che lo speditore s'impegna di trasportare. La serie A è per trasporti liberi, senza vincolo di tonnellaggio, la serie B implica l'obbligo di caricare un minimo di 200 vagoni (2000 tonnellate) ed offre un risparmio sulla precedente di circa 40 lire a vagone, per effetto del rimborso, a lavoro compiuto, da parte dell'amministrazione ferroviaria.

Un tale trattamento di favore, fatto sulla base della quantità di prodotto trasportato, non gioverebbe che soltanto a qualche grosso commerciante, se, per fortuna, non vi fossero delle ditte od associazioni private, che trasportando con materiale proprio i mosti e i vini per conto di terzi, mettono ogni piccolo commerciante in condizione di partecipare largamente al rimborso della tariffa 1002, serie B. Così abbiamo in Italia la ditta Padoa e Semplicini di Firenze, successori di Cirio, la ditta Fratelli Gondrand di Milano e l'Unione lombarda cooperativa fra i commercianti di vino in Milano, le quali compiono a questo riguardo un ottimo servizio.

La ditta Padoa e Semplicini dispone di circa 300 serbatoi montati su carri, alcuni a due botti di rovere, altri metallici, ma enofillassinati internamente col sistema Ghinozzi. Essa fa anche il servizio pei vagoni di fusti presentati dal commerciante e spedisce per conto proprio, come pure assume l'incarico dei rischi e della riscossione degli assegni che possano gravare sulla merce.

Analogo servizio fa pure la ditta Fratelli Gondrand di Milano, sebbene con materiale più limitato.

L'Unione lombarda possiede ora 125 serbatoi a disposizione dei proprii socii.

Le due ditte succitate hanno uffici primari a Barletta e Bari, la prima poi mantiene delle succursali a Brindisi, Alezio e Gallipoli, in provincia di Lecce.

Il deposito dei serbatoi della Padoa e Semplicini è alla stazione di Ofantino, tra Barletta e Trinitapoli, su binari proprii, con apposita officina per la manutenzione del materiale, il quale viene consegnato ai caricatori in perfetta regola.

Stimiamo opportuno portare due esempi di spesa di trasporto, di mosto o di filtrato dolce, per l'estero, calcolata in base alla tariffa eccezionale 1002, serie A, che è senza vincolo di tonnellaggio. Un vagone di filtrato per la Francia, da Barletta a Parigi paga: Sino a Modane (Km. 1024) lire 3,85 al quintale; da Modane a Paris-Bercy (Km 672) franchi oro 2.785 al quintale.

Un vagone da Barletta a Zurigo (Svizzera) sino a Chiasso (Km. 863) paga fr. 2,80 per quintale, da Chiasso a Zurigo (Km. 244) fr. 2 al quintale.

Da questi esempii si vede che la tariffa internazionale 1002, serie A, a parità di distanze chilometriche, è più mite in Italia che all'estero.

Il trasporto del filtrato in serbatoio costa meno, anche per l'interno, che non quello in fusti, per ragione di spazio.

La spesa varia anche secondo che si tratti di serbatoio di legno a due botti o di serbatoio metallico, con una differenza di circa 40 lire a vantaggio dell'ultimo. Da ciò si potrebbe subito dedurre la convenienza di preferire senz'altro i serbatoi ai fusti, ma in pratica s'incontrano delle difficoltà pel fatto che non si può avere il serbatoio alla filtreria, come i fusti. Il travaso del filtrato dai fusti al serbatoio, se non viene fatto con precauzione, provoca l'arieggiamento del mosto e l'inquinamento di nuovi germi della fermentazione che si vuole invece evitare e che trova condizioni più propizie nei grossi recipienti anzichè nei piccoli.

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Trasporto per via di mare. — Il trasporto per via di mare dei filtrati si fa in quantità rilevante dai porti di Brindisi e Gallipoli: qualche piccola cosa anche da Barletta, il rimanente va tutto dalla Puglia per via di terra, a vagoni completi.

Da Brindisi e da Barletta i filtrati si caricano in fusti, sui vapori della Società Puglia e della Navigazione Generale che fanno servizio diretto accelerato nell'Adriatico. I vapori impiegano da 30 a 40 ore pei viaggi dai porti pugliesi a Venezia.

La spesa del trasporto è di lire 0,85 per quint. lordo da Barletta e L. 1,35 da Brindisi, per Venezia. Queste tariffe non sono invero tanto a buon mercato, perchè in addietro si erano ridotte quasi alla metà, ma dopo la convenzione del pooll che stabilì l'obbligo di un minimum di tariffa fra le compagnie coalizzatesi e di non esercitare la libera concorrenza, sono rimaste sempre allo stesso livello piuttosto alto, non ostante che alcune di dette compagnie siano tuttora largamente sovvenzionate dallo Stato.

Ad ovviare a tale inconveniente, si è costituita lo scorso anno in Brindisi, una nuova Società di navigazione fra i caricatori riuniti della regione pugliese, la quale ha già acquistato qualche vapore dall'Inghilterra.

I filtrati di Gallipoli in gran parte si trasportano a Genova con velieri che impiegano 8 a 10 giorni per la traversata dei due mari Ionio e Mediterraneo, con una spesa relativamente mite.

I lambiccati di Torre del Greco viaggiano pure per via di mare quando sono diretti sulla Riviera, per ferrovia se verso le altre regioni del nord, invece i filtrati romagnoli vengono trasportati esclusivamente sulle strade ferrate.

Capitolo VII. Commercio dei filtrati dolci.

Il commercio dei filtrati dolci esercita una notevole e benefica influenza su l'andamento generale del commercio vinario nelle regioni dove l'industria dei filtrati è estesa, specialmente in Puglia, nel Napoletano e nelle Romagne. Infatti è desso che comincia a richiamare nel mezzogiorno i commercianti e gli osti dell'alta Italia, e le prime contrattazioni di filtrati aprono l'adito al gran movimento dei mercati vinicoli meridionali. Il commerciante non lesina tanto nello acquisto delle partite di uva o di mosti grezzi da destinarsi alla filtrazione, quando la roba è buona, come dicesi in pratica, cosicchè i prezzi dei filtrati, che sono sempre bene, regolano, su molte piazzo anche i prezzi delle uve comuni e dei mosti-vini, di cui aumentano le contrattazioni.

Nelle Puglie, specie a Barletta, chiamano oggi con la parola di gergo giargianese qualunque forestiere che vi si rechi per fare acquisti di uve, mosto o vino. Basta che qualcuno di questi giargianesi cominci a vedersi allo approssimarsi della vendemmia per fare il suo vagone di filtrato, in un mercato della Puglia, che i mediatori, o gli speculatori, si mettono in movimento e la gara degli acquisti incomincia subito, accompagnata da un certo rialzo nei prezzi. Queste prime avvisaglie, diremo così, della campagna vinicola pugliese, che per l'enorme traffico cui dà luogo non ha uguale riscontro in nessun altro paese del mondo, sogliono verificarsi nella provincia di Lecce.

Verso la fine del mese di agosto, o nei primi giorni di settembre, si vedono nel porto di Gallipoli ancorati i bastimenti a vela carichi di fusti vuoti. Appartengono a commercianti od osti della riviera ligure, che scendono giù, fittano per loro conto gli stabilimenti locali, provvisti di materiale per la vinificazione e incominciano i lavori di filtrazione, acquistando per lo più uve o mosti del territorio di Gallipoli e dei paesi circonvicini.

A Gallipoli viene immediatamente dietro Brindisi per la campagna dei filtrati, arrivandosi talvolta per la impazienza degli acquirenti a vendemmiare le uve non perfettamente mature.

A Brindisi, a Gallipoli, a Nardò, Squinzano, Novoli, Taranto, ecc., numerosi stabilimenti pubblici e privati vengono adibiti alla preparazione dei filtrati, con un lavoro febbrile, incessante, di giorno e di notte, perchè preme ai commissionarï di soddisfare gli impegni contratti prima che si inizi la vendemmia nel barlettano, col sopraggiungere del mese di ottobre, dove poi molti si recano coi loro filtri per lavorare a conto di terzi o dei proprii clienti dell'alta Italia.

I filtrati di Barletta chiudono la campagna, verso la seconda quindicina di ottobre, e la chiudono quasi sempre con successo, perchè nelle annate normali sono prodotti fini, destinati a correttivo di lusso o all'onore della bottiglia, e vengono pagati bene, a prezzi più che remuneratori, con immediata soddisfazione economica dei produttori.

Il commercio dei filtrati nel mezzogiorno viene esercitato dalle ditte o dai commissionari che posseggono sul luogo locali e materiale adatti, spesso anche direttamente dagli osti del nord, che, mediante contratti anticipati, impegnano, per loro conto, gli stabilimenti di qualche privato; di rado se ne occupano gli stessi produttori del luogo, ammenochè non siano produttori e commercianti ad un tempo.

In Puglia, per quanto ci è noto, conosciamo un solo proprietario intelligente e solerte, il sig. Francesco De Bellis di Taranto, che nella sua cantina lavora la maggior parte delle uve di sua produzione per preparare filtrati dolci, bianchi e rossi e che vende poi, durante l'inverno, ad alcuni clienti fissi dell'Italia settentrionale.

Certamente non è agevole cosa il conservare nelle cantine pugliesi, sia pure durante la sola stagione invernale, i filtrati dolci, ma non può dirsi che sia impossibile, specialmente per chi dispone di locali freschi.

Non sono rari, difatto, quei commercianti che tengono in Puglia qualche avanzo di filtrato e anche delle partite intiere, a scopo di speculazione.

L'esito dei filtrati è più facile e più conveniente, dal lato economico, di quello del vino; sarebbe perciò opportuno che una parte maggiore della produzione in uve venisse trasformata in filtrati dolci che andrebbero, senza dubbio, ad accrescere, a vendemmia finita, l'esportazione nell'interno del regno, dei prodotti genuini dei vigneti meridionali.

Le contrattazioni dei filtrati, durante il periodo della vendemmia, di solito si fanno senza garanzia del titolo zuccherino, però questa pretesa da parte degli acquirenti comincia ad affacciarsi, specialmente pei filtrati bianchi. Le ditte solide, di nome conosciuto, che lavorano anche con Case importanti del nord, dànno, come già dicemmo, per garanzia la propria marca, la quale serve di base nei contratti subordinatamente alle condizioni dell'annata.

La mancanza di criterï precisi, per quanto riguarda i caratteri chimici del filtrato, nelle contrattazioni, dipende più che altro, dalla poca o nessuna conoscenza che tuttora si ha relativamente alla composizione dei filtrati di ogni plaga viticola ove si producono. Non avviene lo stesso pei vini da taglio, che oggi si contrattano a base di alcool sino al decimo, e dell'estratto secco. Inoltre il commercio dei filtrati, per quanto abbia avuto in questi ultimi anni un impulso notevole, si può dire che sia ancora bambino; fra qualche anno ancora forse adotterà norme più concrete e più esatte nei rapporti fra produttore o industriale e acquirente. Saranno allora evitate quelle numerose lagnanze e contestazioni che spesso noi abbiamo dovuto comporre per difetti preesistenti nelle modalità dei contratti, o per impegni assunti che non era possibile mantenere alla stregua dei fatti.

Le contrattazioni in base al campione sono possibili soltanto tra luoghi vicini, o sul posto. Per siti lontani non conviene l'invio del campione e l'attesa della risposta, ammenochè non si avessero i mezzi opportuni e la sicurezza di conservazione della massa da vendere. I contratti lontani si fanno perciò a base della densità, all'areometro Beaumé, o sull'indicazione, un po' lata, del mostimetro, quando il compratore non voglia affidarsi completamente alla fiducia del fornitore.

Sul posto serve di norma l'assaggio organolettico, accompagnato, qualche volta, dal dato gleucometrico, o, raramente, dal certificato di analisi di un istituto chimico.

* * *

Prezzi delle materie prime e dei filtrati. — Le uve acquistate espressamente per la preparazione dei filtrati dolci si pagano una a due lire in più, a quintale, sui prezzi correnti, perchè vengono preferite le qualità scelte dei vigneti vecchi, o adulti, e di contrade asciutte, molto rinomate.

I mosti grezzi dolci, per la filtrazione, si acquistano quasi ovunque a volume, adottandosi l'ettolitro in alcuni paesi, la soma in altri, specie nelle Puglie, ove la misurazione si fa ancora con la vecchia quartara di dieci litri, o col vero decalitro bollato. — Per il vino si adopera anche il barile da 50 litri.

La soma o salma varia da comune a comune nelle tre provincie di Bari, Foggia e Lecce; stimiamo perciò utile riportare qui sotto i dati di ragguaglio pei principali mercati pugliesi:

PROVINCIE Soma di litri

mosto vino

Provincia di Bari

Altamura 186 175

Acquaviva delle Fonti 186 175

Andria 186 175

Barletta 205 175

Bisceglie 186 175

Canosa 186 175

Canneto 186 175

Cassano Murge 186 175

Corato 200 186

Gioia del Colle 187 175

Grumo Appula 186 175

Locorotondo 143 132

Molfetta 186 175

Montrone 186 175

Palo del Colle 186 175

Ruvo di Puglia 186 175

Terlizzi 186 175

Taritto 186 175

Trani 186 175

Provincia di Foggia

Cerignola 186 175

Foggia 198 175

Lucera 142 118

Margherita di Savoia 205 175

Ortanova 186 175

San Ferdinando 205 175

Sansevero 100 100

Trinitapoli 212 175

Provincia di Lecce

Alezio 189 175

Brindisi quintale quintale

Fagiano 140 a 142 132

Gallipoli 189 175

Leporano 140 a 142 132

Martina Franca 140 a 142 132

Matino 186,40 175

Nardò 187 175

Parabita 186,40 175

Pulsano 140 a 142 132

Taranto 132 120

Tuglie 189 175

Altri comuni 175 a 190 175

La consegna del filtrato, a differenza del mosto grezzo, si fa sempre, sugli stessi mercati della Puglia e nelle altre regioni d'Italia, a quintale, al luogo di produzione o di spedizione. Questo uso generale giova molto al commercio, sia per la facilità dei calcoli e del conteggio, sia per l'unicità di criterio e la speditezza nelle pesature.

Sarebbe desiderabile che anche il vino fosse contrattato in commercio in base al peso netto, anzichè sul volume.

La relazione che passa tra il volume del mosto grezzo e il peso del filtrato varia a seconda la densità del mosto e la proporzione dei residui fecciosi che trattiene il filtro. Pei mosti di Barletta, che sono i più densi, noi abbiamo ottenuto in varie prove condotte con tutta esattezza, una differenza media del 10 %; ossia 110 kg. di filtrato limpido da 100 litri di mosto grezzo, fermentato in parte.

In pratica ai noleggiatori di filtri o ai proprietarï di filtrerie industriali, converrebbe filtrare il mosto per conto di terzi, senza pattuire compenso alcuno in denaro, ma riceversi semplicemente il mosto grezzo a volume e consegnare una eguale quantità in peso di filtrato. Di queste convenzioni se ne sono fatte qualche volta, ma non si sono estese, perchè il margine del guadagno per chi filtra supera la spesa strettamente necessaria alla filtrazione, tra fitto di apparecchi, mano d'opera, ecc., sopratutto quando si tratta di mosti fini, i cui filtrati si pagano dalle 30 alle 35 lire l'ettolitro.

I commissionarï, i mediatori e i sensali che preparano i filtrati per conto dei loro clienti, presentano, a lavoro finito, la nota delle spese di filtrazione effettivamente sostenute, ovvero computano, previo accordo, un compenso che varia dai 50 centesimi a una lira al quintale, oltre i diritti di mediazione, identici a quelli che si usano nelle contrattazioni del mosto-vino.

I prezzi dei filtrati sono sempre alquanto superiori ai prezzi del mosto-vino e della materia prima, anzitutto perchè i filtrati provengono dai mosti più fini, fermentati solo in parte, secondariamente perchè sono gravati delle spese di preparazione, sfrido, calo, ecc. Per dare una idea esatta dei prezzi dei filtrati, in relazione a quelli della materia prima, riportiamo qui sotto alcune mercuriali che dobbiamo alla cortesia del sig. Giuseppe Mulazzi, della ditta L. Mulazzi e figlio di Barletta. Queste mercuriali rispecchiano con fedeltà l'andamento del mercato dei filtrati a Barletta nella ultima campagna vinicola.

Prezzi dei mosti grezzi e dei filtrati a Barletta nella vendemmia 1900.

DATA Mosti grezzi (per soma di litri 205) Filtrati per doppio ettol. Osservazioni

fini mercantili

1900 mass. lire min. lire mass. lire min. lire mass. lire min. lire

Ottobre 4 — — — — 49 40 I filtrati riescono amari, tondi

» 5 43 40 — — 51 42 Id. id.

» 6 44 38 — — 52 42 Id. id.

» 7 44 42 — — 60 44 I filtrati riescono dolci

» 8 45 43 — — 60 46 Id. id.

» 9 46 44 — — 60 50 Id. id.

» 10 48 42 — — 62 48 Id. id. e fini

» 11 45 41 — — 50 — I filtrati come sopra, i grezzi ottimi

» 12 46 41 38 35 55 50 I filtrati idem, grezzi fini come sopra, i mercantili discreti

» 13 46 44 35 — 56 54 Immuni da peronospora

» 14 47 44 35 32 58 52 Id. id.

» 15 47 42 39 32 50 — Id. id.

» 16 — — 36 30 — — Id. id.

» 17 — — 37 31 68 52 Filtrati impareggiabili

Il maggior valore dei filtrati rispetto a quello dei mosti grezzi, come si scorge dal listino sopra riportato, è di 6 a 10 lire per soma di mosto, ossia di 3 a 5 lire per ettolitro. Tale differenza si riscontra a un dipresso su tutti gli altri mercati della Puglia.

Il prof. Casoria afferma che i prezzi dei lambiccati a Torre del Greco, erano altissimi un quindicennio addietro, indi, con la rottura del trattato di commercio colla Francia, discesero alla metà circa.

Oggi ai lambiccati fanno seria concorrenza i filtrati pugliesi, per cui la produzione di quelli alle falde del Vesuvio si è ridotta del cinquanta per cento.

I prezzi dei filtrati di Barletta sono i più alti per la loro eccezionale ricchezza zuccherina; in provincia di Lecce costano da 1 ⁄ 4 a 1 ⁄ 3 di meno, a seconda le qualità.

Non in tutti i paesi vinicoli della Puglia si producono o si preparano filtrati richiesti dal gran commercio; i centri accreditati sin ora per questa speciale produzione sono, in provincia di Bari, i comuni di Barletta, Andria, Canosa, Trani, Bisceglie, Molfetta pei filtrati rossi, Castellana, Conversano, Cisternino e Locorotondo pei bianchi; in provincia di Lecce i comuni di Brindisi, Mesagne, Novoli, Squinzano, Nardò, Gallipoli e Taranto pei rossi, San Vito de' Normanni, Martina Franca pei bianchi: in provincia di Foggia Trinitapoli, Cerignola e San Ferdinando pei filtrati rossi, San Severo potrebbe dare eccellenti filtrati bianchi, ma non ne produce affatto, trovando esito rimuneratore il vino sui mercati Austro-Ungarici per effetto della clausola di favore doganale.

Altri centri di produzione di filtrati in Italia sono, come facemmo rilevare nel Cap. I. i paesi posti alle falde del Vesuvio sopratutto Torre del Greco, e varii comuni delle Romagne, specialmente in provincia di Ravenna. Ma si potrebbero produrre filtrati in tante altre plaghe vinicole, se fossero ben conosciuti i metodi di preparazione.

I due mercati italiani più importanti per le contrattazioni dei filtrati dolci del mezzogiorno sono Venezia e Genova. Una enorme quantità di filtrati affluisce nelle annate normali a Venezia da Brindisi, per via di mare. Sono alcune ditte pugliesi e qualche grosso commerciante settentrionale che li preparano o li acquistano sui luoghi di produzione e li trasportano a Venezia per la rivendita all'ingrosso.

Nella piazza marittima di Venezia è costruito un capannone sotto il quale, mediante un binario Decauville, vengono accatastati migliaia di fusti di filtrati che arrivano tutti i giorni, durante i mesi di settembre e ottobre, dalle Puglie, e tutti i giorni se ne vendono agli osti veneti, lombardi, emiliani, che accorrono ivi a fare i loro acquisti.

I principali grossisti che vendono sul mercato veneziano sono i fratelli Guadalupi e il sig. De Torti di Brindisi, il cav. Maurelio Bassi di Padova, il sig. Macerata ed altri.

Al porto di Genova si riversa invece la gran massa dei filtrati gallipolini che incontrano meglio il favore degli osti e degli esportatori della Liguria e del Piemonte.

I velieri che partono da Gallipoli carichi di filtrati, o di mosti sfecciati con una sola filtrazione rapida, toccano specialmente Viareggio, Spezia ed altri paesi marittimi della Riviera di ponente, dove vendono a piccole partite una parte del carico, indi vanno a finire a Genova, dove presso a poco si fa quello che abbiamo notato per Venezia.

Le contrattazioni dei filtrati dolci, in questi due grandi mercati dei due mari italiani procedono con meravigliosa sollecitudine, mediante il semplice assaggio organolettico, fusto per fusto, raramente aiutato dall'indicazione del gleucometro o del grado alcoolico. Il pagamento delle partite vendute si esige a pronti contanti dagli acquirenti non conosciuti, alla clientela accreditata si accorda di solito una dilazione di qualche mese.

Quando la vendita non ha luogo entro pochi giorni, il filtrato si estrae dal deposito per evitare la fermentazione e si inoltra nell'interno del continente per la conservazione in cantine fresche.

Ecco ora un elenco dei principali produttori e commercianti di filtrati dolci in Italia:

Provincia di Lecce. — 1 Consiglio e Foscarini, Gallipoli; 2 Dr. Emanuele Consiglio, id.: 3 Edoardo Fiorentino, id.; 4 Brunelli e Gatti, id.; 5 Fratelli Pepe, id.; 6 Le Marchan et Picot, Squinzano; 7 Vedova Spacciante, id.; 8 Luigi De Blasi, id.; 9 Nicola Papa, id.; 10 Fratelli Folonari di Brescia, id.; 11 P. e V. Fratelli Antoniazzi, Nardò; 12 Carlo Arisi, Alezio; 13 Giovanni Stefanelli, Brindisi; 14 Gaston Giran, id.: 15 Fratelli Guadalupi, id.; 16 De Torti, id.; 17 Società Vinicola Brindisina, id.; 18 Francesco De Bellis, Taranto; 19 Aniceto Murri, Mesagne; 20 Guglielmi De Vito e C., Martina Franca; 21 Principe di Frasso Dentice, S. Vito dei Normanni.

Provincia di Bari. — 23 cav. Giuseppe De Bellis di S., Castellana; 24 Fratelli Mastromattei, Castellana; 25 Pietro Liguori, Cisternino; 26 cav. Angelo Agrusti, Alberobello; 27 Vito Balacco, Molfetta; 28 Maurizio Annese, id.; 29 Gambardella e Durazzini; id.; 30 Antonio Pasquale fu M. Bisceglie; 31 Giuseppe Logoluso, id.; 32 Fratelli Fabiano, Trani; 33 Pantaleo Fabiano, id.; 34 Fehr e Senn, id.; 35 Felice Ragno e figli, id.; 36 Francesco Piccapane, Barletta; 37 Pasquale Fusco, id.; 38 Biagio Palmieri, id.; 39 Giulio Ferrario, id.; 40 Luigi Mulazzi e figlio, id.; 41 Fratelli Straniero, id.; 42 Michele Borgia, id.; 43 Nicola Borgia, id.; 44 Michele Del Vecchio e figli, id.; 45 Giuseppe e Matteo Del Vecchio, id.; 46 Alfonso Laurora, id.: 47 Giuseppe Laurora, id.; 48 Fratelli d'Amato, id.; 49 Riccardo Fuzio, Andria; 50 Società Vinicola produttrice, Corato; 51 Barone di Faivano, id.; 52 Vincenzo Casalino, id.; 53 Fratelli Lembo, Canosa.

Provincia di Foggia. — 54 Domenico Palmieri, Trinitapoli; 55 Perego e Ausenda di Treviglio, id.; 56 Vincenzo Comitangelo, Margherita di Savoia; 57 Pavoncelli, Cerignola; Duca de La Rochefoucauld, id.; 59 F. Tannoia, id.

Provincia di Napoli. — 60 Francesco Colantuono, Torre del Greco; 61 Savarese, id.; 62 Attanasio, id.; 63 Francesco Scudieri, Ottaviano; 64 Fratelli Scudieri, id.: 65 Fratelli Cola, id.; 66 Raffaele Saggese, id.; 67 Francesco Giordano, id.; 68 Pasquale Bifulco, Tersigno; 69 Carmine Giuseppe Bifulco, id.; 70 Prisco Contaldi, id.; 71 Minichini Luigi, id.; 72 Giuseppe Giordano, id.

Provincia di Ravenna. — 73 Giulio Ponzi, Bagnacavallo; 74 Vincenzo Ruvaghi, id.; 75 Giuseppe Argnani, id.; 76 Montanari, id.; 77 Fratelli Longhi di Milano, Lugo e Bagnacavallo; 78 Adamo Dondena di Milano, id.; 79 Bassano Ferrari di Lodi, id.; 80 Fratelli Ferrari di Soresina, id.; 81 Ditta Nobili di Milano, id.; 82 Clemente Ciarli di Modena, id.: 83 Bini di Bologna; 84 F. Valli e figlio, Lugo, ecc.

Oltre ai nomi succitati ci sono molti commercianti di vini delle altre regioni italiane che pure si occupano del commercio dei filtrati, come la ditta Maurelio Bassi di Padova che fa un lavoro fortissimo su Venezia, Valerio Bruno e Comp. di Milano, i Fratelli Lucchini pure di Milano, ecc.

* * *

Dazî doganali sul filtrato in alcuni Stati esteri. — Come nei trasporti, così nel regime doganale il filtrato viene considerato come mosto se non supera un certo grado di alcool. Coi trattati vigenti sino al 1903 con le nazioni centrali esso paga le seguenti tariffe:

Germania. — Marchi 10 per quintale lordo, sotto riscontro e dopo eseguito il taglio. Deve avere un minimo di 28 grammi di residuo di estratto e almeno 12% tra alcool prodotto e quello a prodursi dallo zucchero indecomposto.

Il filtrato in Germania va come mosto di vino rosso da taglio, i filtrati bianchi sono esclusi.

Austria-Ungheria. — I filtrati non entrano in questo impero a tassa ridotta; pagano quindi la tariffa generale di 20 fiorini per quintale lordo.

Svizzera. — Pagano come il mosto, franchi 5 per quintale.

Francia. — In virtù della legge 1º febbraio 1899 e del decreto 21 novembre 1898, i filtrati possono entrare in Francia, sotto la voce di mosto fresco, a fermentazione incipiente, sino a 6% di alcool e a un massimo zuccherino di 12° Beaumé, con franchi 12 di dazio; da 12 a 20° Beaumè pagano come sciroppo. Con oltre il 6% di alcool vengono tassati come vino.

Capitolo VIII Impiego dei filtrati dolci.

Ad eccezione di quelle poche partite che si esportano all'estero (Francia e Svizzera) i filtrati vengono quasi totalmente consumati in Italia, con utile profitto in ispecie dell'enologia settentrionale.

Passiamo in rapida rassegna, per ordine di importanza, gli usi principali dei filtrati bianchi e rossi:

Correzione dei vini e dei mosti settentrionali incompleti o difettosi. — Una parte più notevole di filtrati comuni o di mosti semplicemente sfecciati con una rapida filtrazione, provenienti specialmente da Gallipoli e dal brindisino, serve da correttivo.

Il prof. Ravizza di Asti, nella sua « Agricoltura pratica », consiglia i mosti filtrati o i lambiccati, per la correzione dei vini piemontesi, deboli di colore e di corpo, ma di alcoolicità naturale già sufficiente. Oltre che per questo caso i filtrati trovano però più larga applicazione per migliorare, in genere, i vini settentrionali, anche dell'annata precedente, che riuscirono troppo aspri, austeri, o acerbi, non per eccesso di tannino, ma di acidità libera. Tali vini, che di solito provengono da uve imperfettamente mature, delle sommità delle colline, o di esposizioni poco soleggiate, fatti rifermentare con opportuna aggiunta di filtrato dolce meridionale (5 a 10%) e di lievito attivo di feccie sane, o magari selezionato, acquistano un gusto rotondo, morbido e piacevolmente abboccato, divenendo così adatti al pronto consumo, mentre rialzano nel valore commerciale.

Gli osti poi dell'Alta Italia dispongono sempre, nelle proprie cantine, di una certa riserva di vini di scarto, spunti, mezze acquette, ecc., che nel filtrato trovano un efficace rigeneratore, con l'abilitazione al consumo.

Quando, per l'andamento della stagione, o per altre cause inerenti alla difficoltà di procurarsi le uve meridionali, per correggere le uve e i mosti del nord, deficienti di grado zuccherino, tiene luogo dello zuccheraggio l'aggiunta moderata di filtrato, che, oltre al principio dolce, vi apporta la materia colorante e le sostanze estrattive.

Il filtrato però, per essere utilmente impiegato come correttivo della vinificazione, non deve costare troppo, altrimenti non torna il conto economico. Per questa circostanza si sogliono destinare a tale scopo quei filtrati di qualità piuttosto corrente, la cui preparazione fu fatta con minore accuratezza e che chiamansi più propriamente mosti sfecciati, o sgrossati, al filtro.

Il fermento settentrionale, delle uve o del mosto corretti, spiega un'azione miglioratrice sul filtrato aggiunto come correttivo, traendo dalla massa un prodotto di costituzione normale non solo, ma di gusto molto vicino, se non identico al tipo locale, senza nulla accusare di meridionale, perchè la filtrazione, per sè stessa, elimina le cause di sapori ordinari e rende neutro il mosto.

Taluni arrivano, per questa via, a fabbricare i vini di imitazione, versando semplicemente sulle vinacce di prima svinatura del barbera, del nebbiolo, ecc. il filtrato meridionale. In tal guisa si vengono utilmente a sfruttare l'influenza benefica del fermento e le sostanze vinose contenute nelle vinacce delle uve settentrionali.

Abboccato ad alcuni vini da pasto e da taglio. — In questi ultimi anni si è esteso parecchio, in alcune classi di consumatori, specialmente delle nostre colonie di America e di alcune regioni italiane, il gusto del vino da pasto abboccato. L'enologia intransigente deplora questo fatto, perchè vuole che il vino da pasto sia perfettamente asciutto, senza proporzioni sensibili di zucchero indecomposto, che, secondo le norme igieniche, mal si sopporta in una regolare digestione. Ma, a torto o a ragione, non pochi consumatori amano la vena del dolce ed il commerciante, o l'enologo, sapendo che de gustibus non est disputando, si adopera a soddisfarli ricorrendo assai spesso all'aggiunta del filtrato.

A Napoli è molto generalizzato, nelle classi popolare e borghese, l'uso di bere a tavola vini piuttosto alcoolici e leggermente abboccati, mentre i forestieri preferiscono vini asciutti.

L'abboccato, quando manca, si dà con moderate aggiunte di lambiccato che si produce alle falde del Vesuvio.

I vini da taglio, destinati in alcuni mercati esteri (Germania, Austria, America, ecc.) e anche interni, si pagano a prezzo più alto, se, oltre ai caratteri proprï di forte alcoolicità, estratto secco e materia colorante, siano un pò abboccati. Quest'ultimo requisito, se manca, può darsi o col taglio del vino asciutto con altro vino dolce, o con aggiunta di filtrato dolce ben conservato.

Fabbricazione di vini spumeggianti. — I veri filtrati rossi, di qualità fine, preparati con ogni cura, difficilmente si aggiungono ai vini od ai mosti settentrionali come correttivo, perchè costano di più del prodotto che ne risulterebbe, ammenochè non si volesse produrre qualche vino superiore da bottiglia. Essi invece, appena giungono nell'alta Italia, vengono sottoposti a una nuova filtrazione, quindi si conservano in cantine fredde, dentro botti piccole, assoggettandoli a frequenti travasi (uno al mese) per separare il piccolo deposito feccioso, mano mano che si forma, ed impedire così ogni accenno di fermentazione.

All'avvicinarsi della primavera, nei mesi di marzo-aprile, un quinto, o due quinti, di filtrato si mescolano a quattro quinti o a tre quinti di buon vino di barbera o di nebbiolo, ma più spesso di uvaggi piemontesi, si colla subito il taglio così fatto per conseguire una perfetta amalgama o fusione di gusto, assieme alla limpidezza brillante, e quindi, verso il maggio s'imbottiglia. Con la dolce temperatura primaverile il vino nelle bottiglie entra in lenta fermentazione e diviene ben presto spumeggiante, conservando anche il gusto amabile. Così si consuma in larga scala nelle osterie piemontesi, sotto il nome bugiardo di nebbiolo o barbera spumeggiante.

Similmente nel Veneto, nell'Emilia, nelle Romagne, ecc., coi filtrati meridionali e coi vini locali preparano il tipo lambrusco spumeggiante, di uso comunissimo.

Fabbricazione di vini speciali. — A questo ufficio si adibivano quasi esclusivamente i vecchi lambiccati del napoletano, oggi vi si destina anche la massima parte dei filtrati bianchi pugliesi e romagnoli, di uve comuni e di quelle aromatiche.

In Piemonte si preparano, da tempo, nella fabbricazione dello spumante d'Asti, i mosti filtrati di moscato e malvasia, perchè la filtrazione, eliminando tutte le sostanze solide e i germi dei microorganismi cattivi, raffina la qualità del mosto stesso e, conseguentemente, del prodotto che ne deriva.

Le grandi fabbriche piemontesi di vermouth, ed anche molte altre oggi sparse nelle diverse regioni della penisola, assorbono una notevole quantità di filtrati bianchi delle Romagne e delle Puglie; questi ultimi a preferenza per la loro alta gradazione zuccherina e l'armonicità di gusto, suscettibile anche di perfezionamento nelle cantine fredde del nord.

Consumo diretto. — I filtrati finissimi, provenienti da vigneti molto vecchi di località pregiate, come la maggior parte dei filtrati di Barletta, vengono venduti dai commercianti grossisti agli osti dell'alta Italia tali e quali, spesso nascondendone il vero nome e l'origine per farli passare come vini dolci, di uve appassite del nord. Gli osti li pagano bene, li imbottigliano e li vendono nell'inverno come vini di lusso, perchè dopo alcuni mesi di imbottigliamento e di soggiorno nelle cantine settentrionali, si perfezionano acquistando un grato profumo di viola.

Nello stesso modo, si consuma a Napoli, durante le feste di Natale e di carnevale, il lambiccato, che tiene luogo di vino da dessert nelle famiglie.

Ma oltre ai filtrati di qualità fine, anche quelli più correnti trovano in parte esito pel consumo diretto, specialmente in alcuni centri del Veneto e dell'Emilia, durante il periodo dalla vendemmia al San Martino, quando scarseggia il vino vecchio.

Capitolo IX. Analisi e composizione chimica dei filtrati.

Analisi. — Gli elementi più importanti che giova determinare in un filtrato dolce, dal punto di vista dell'utilità pratica, sono il peso specifico o la densità, l'alcool, l'acidità totale, gli zuccheri riduttori, le materie estrattive e le sostanze minerali. In via secondaria possono anche interessare le determinazioni dell'intensità colorante nei filtrati rossi, della quantità di cremore, glicerina, ecc.

Per ottenere dati confrontabili è d'uopo seguire processi uniformi, per cui conviene attenersi, come abbiamo fatto noi, ai metodi per l'analisi dei vini concordati fra i direttori delle R. Stazioni agrarie, dei Laboratori di chimica agraria e dei Laboratori municipali del Regno, nel Congresso di Roma 1896[4].

L'analisi del mosto, e quindi anche dei filtrati dolci, non è però del tutto identica, nelle particolarità dei procedimenti, a quella dei vini, e siccome non si trovano nelle pubblicazioni fatte tutte le necessarie indicazioni a questo riguardo, così stimiamo opportuno dare qualche breve cenno in questo libro per le più importanti determinazioni.

Anzitutto l'analisi del filtrato dev'essere fatta con la maggiore possibile speditezza e su campione ancora limpido, prelevato di recente dalla massa. In tal guisa si evitano gli errori dovuti alla fermentazione, la quale facilmente si riattiva e oltre a scomporre lo zucchero con alquanta rapidità, altera sensibilmente i limiti e i rapporti degli altri componenti, fa precipitare il cremore, provoca un maggiore assorbimento di gas acido carbonico, ecc. Se l'analisi dura qualche giorno a compiersi, si possono avere risultati disformi per le determinazioni che si fanno all'ultimo in confronto di quelle fatte allo inizio dell'operazione. Ad evitare perciò ogni causa di errore noi preferiamo di avviare contemporaneamente tutte le determinazioni a farsi sopra lo stesso campione, avendo cura altresì di raffreddare il mosto alla temperatura ordinaria di 15° a 17° C. e di agitarlo fortemente per 5 a 10 minuti al momento di misurare le porzioni occorrenti ai singoli saggi, per scacciare la maggior parte del gas acido carbonico. Non conviene, come suggerisce qualcuno, di aggiungere al campione un antisettico per poterlo conservare in caso di analisi protratta.

* * *

Determinazione della densità. — Il peso specifico in laboratorio si determina come nel vino, alla nota bilancetta di Westphal-Rumann, o mediante il picnometro, alla temperatura di 15° C. Per analisi commerciali si possono avere dati di sufficiente esattezza, sino alla terza cifra decimale, anche con un densimetro campionato, purchè si abbia cura di raffreddare il mosto alla suddetta temperatura, e questa avvertenza devesi anche osservare quando si adopera l'areometro di Beaumè.

I mosti torbidi sono più densi di quelli perfettamente limpidi, della stessa composizione chimica: per avere quindi risultati incensurabili sarà bene rifiltrare il campione che eventualmente si fosse intorbidato per effetto della fermentazione.

* * *

Determinazione dell'alcool. — Si distillano 100 cm³ del filtrato sino ai due terzi, aggiungendo un pizzico di tannino per prevenire qualche grossa bolla di schiuma e possibili sussulti del liquido durante l'ebollizione. Se questi si dovessero verificare provocando il passaggio di qualche spruzzo di mosto nel distillato, bisogna continuare la distillazione e ripeterla sul distillato, di cui se ne raccolgono circa i 3 ⁄ 4 del volume primitivo del mosto. Quando il distillato è ottenuto perfettamente limpido o incolore si riporta esattamente al volume di 100 cm³, alla stessa temperatura a cui si misurò il mosto, con acqua pura, anche distillata, e se ne prende la densità nel modo indicato innanzi. Ottenuto il dato della densità sino alla quarta cifra decimale, si cerca con la tavola di Haas, il corrispondente grado alcoolico.

In mancanza della bilancetta Rumann, o del picnometro, dati di sufficiente esattezza si possono ottenere con l'uso di un piccolo alcoolometro centesimale Gay Lussac, in peso o in volume, la cui scala porti le divisioni in quinto di grado.

La determinazione dell'alcool nel filtrato dolce con un ebulliometro (Malligand, Salleron, ecc.) non può dare che risultati in meno assai discosti dal vero, anche diluendo molto il mosto, perchè la presenza dello zucchero e delle sostanze estrattive elevano il punto di ebollizione del liquido in esame. Bisognerebbe prima distillare, poscia sul distillato eseguire il saggio all'ebulliometro, ma in questo caso conviene meglio determinare la densità o fare uso dell'alcoolometro.

* * *

Determinazione dell'acidità totale. — In una bevutina conica di vetro, si versano 10 cm³ di mosto, misurato con una pipetta, si agita la bevuta con la mano destra, imprimendo al liquido un movimento rotatorio per la durata di circa dieci minuti, così tutto l'acido carbonico viene scacciato e sostituito dall'aria. Si diluiscono i 10 cm³ di mosto con circa 20 cm³ di acqua distillata e vi si fa cadere da una buretta un sottile filetto di soluzione di idrato sodico decinormale, sino al punto giusto di neutralizzazione, che si avverte dal cambiamento di colore del mosto rosso, confermato anche dal saggio sulla cartina azzurra di tornasole, molto sensibile. Ai mosti bianchi si aggiungono, prima di farvi cadere la soluzione sodica, quattro o cinque goccie di tintura di lacmus che fa da indicatore. Il numero di cm³ di soda impiegati si moltiplicano per 0.0075 per avere l'acidità totale ‰, espressa in acido tartarico.

La determinazione esatta dell'acidità, con le soluzioni alcaline titolate, esige molta pratica da parte dell'operatore per arrivare a precisare bene il punto neutro, che si basa sopra un cambiamento di tinta non molto netto. Si possono avere, così in commercio, come anche in laboratorio risultati egualmente esatti e più costanti, con l'uso dell'acidimetro da noi ideato due anni addietro ed ora abbastanza diffuso presso i commercianti di vini[5].

* * *

Determinazione del glucosio. — Approssimativamente si può conoscere la quantità di zucchero indecomposto nel filtrato, col saggio del pesamosto o del gleucometro, di cui abbiamo parlato al cap. II. Per determinazioni esattissime si deve ricorrere al metodo chimico di Fehling-Soxhlet.

Nelle analisi dei mosti e dei filtrati dolci noi misuriamo, per questa determinazione, sempre 10 cm³ di liquido, li neutralizziamo con soda caustica decinormale e vi aggiungiamo, a poco a poco, l'acetato basico di piombo, sino a leggero eccesso. Filtriamo in matraccino di 100, laviamo 5 a 6 volte il precipitato rimasto sul filtro con acqua bollente, togliamo nel liquido l'eccesso di acetato con carbonato sodico, lasciamo ben raffreddare alla temperatura ambiente, portiamo il volume a 100 cm³ con acqua e filtriamo nuovamente per filtro asciutto. Del liquido filtrato, limpido prendiamo, con una pipetta, 50 cm³ che portiamo ancora a 100 in matraccino tarato, in modo da avere così una diluizione del mosto primitivo di 20 volte, il quale conterrà circa gr. 0,5 a gr. 1% di glucosio. Versiamo in una buretta questo liquido così diluito e lo facciamo cadere a poco a poco in una bevuta conica da 200 cm³ dove trovansi 10 cm³ di reattivo di Fehling in ebollizione su fiamma a rete metallica, sino ad avere la scomparsa del colore azzurro secondo le norme del Soxhet.

La cifra costante 4,75 (titolo) divisa per il numero dei cm³ di soluzione dolce impiegati ci dà il percento di glucosio nel liquido diluito; per avere la quantità contenuta nel mosto in esame, occorre moltiplicare il risultato per 20, che indica la diluizione fatta.

A risparmio di calcoli e di possibili errori, noi abbiamo in laboratorio le tavole murali con le cifre già calcolate.

* * *

Determinazione delle sostanze estrattive. — La determinazione dell'estratto, così del mosto e quindi anche dei filtrati dolci, come del vino, dev'essere fatta in laboratorio esclusivamente in capsula di platino, di date dimensioni e spessore. L'uso delle capsule di porcellana o di vetro è da riprovarsi, perchè non può fornire risultati attendibili e confrontabili con quelli ottenuti da altri analizzatori.

Noi ci serviamo costantemente di capsule di platino cilindriche, modello Zecchini, le quali hanno il diametro di mm. 85 per mm. 30 di altezza, ed un forte spessore per evitare la curvatura del fondo e potere ottenere sempre uno strato uniforme, in tutti i punti, di estratto. La tara di queste capsule varia da 43 a 45 grammi per ognuna.

Del filtrato previamente diluito 5 volte, misuriamo, con la pipetta, 50 cm³ che facciamo evaporare nella capsula sul bagno maria, sino alla consistenza di denso sciroppo, indi teniamo la capsula nella stufa a 100° per due ore e mezza, dopo di che, raffreddata sotto essicatore ad amianto imbevuto di acido solforico, la pesiamo e calcoliamo l'estratto per mille nel mosto, moltiplicando il peso netto per 100.

* * *

Determinazione delle ceneri. — Le sostanze minerali dei filtrati dolci si determinano esattamente come nel vino, su 25 cm³ di liquido evaporato prima a bagno maria o su bagno di amianto in capsula di platino.

* * *

Composizione chimica dei filtrati.

Sulla chimica dei filtrati dolci la letteratura enologica è poverissima; non si hanno fin ora che solamente due lavori, l'uno del Prof. Casoria relativo alla composizione dei lambiccati di Torre del Greco, l'altro, dello scrivente, eseguito nella scorsa vendemmia, sui filtrati dolci pugliesi: poco più di un centinaio di analisi in tutto.

Sarebbe interessante che queste analisi fossero non solo estese alle altre regioni italiane, ma che venissero eziandio proseguite per parecchie vendemmie di seguito, affinchè si potesse giungere a determinare con criteri esatti, le medie dei singoli componenti, relativamente alla qualità del filtrato e alla influenza delle diverse annate viticole per ciascuna regione.

In tal guisa si potrebbero dedurre delle norme pratiche utili ai produttori ed ai commercianti, in ogni comune viticolo, nel quale la industria dei filtrati dolci è penetrata da qualche tempo o accenna ora a diffondersi.

Mentre noi ci ripromettiamo di continuare su questo argomento, nelle prossime vendemmie, le ricerche in Puglia, ci auguriamo che qualche nostro egregio collega faccia altrettanto per altre regioni e ci permettiamo anzi di rivolgere intanto una speciale preghiera al chiarissimo Prof. Pasqualini, direttore della R. Stazione agraria di Forlì, perchè faccia iniziare da qualcuno dei suoi coadiutori un diligente studio analitico sui filtrati delle Romagne, dei quali non si ha ancora nessun dato.

Nel quadro analitico qui appresso abbiamo riunite le analisi fin ora eseguite sui lambiccati napoletani e sui filtrati pugliesi. Da esse possiamo intanto trarre alcune conclusioni intorno alla composizione chimica dei filtrati meridionali.

Filtrati bianchi.

Sono pochissime le analisi di filtrati bianchi, cinque appena ne abbiamo potuto riunire in questo lavoro, due di lambiccati napoletani e tre di filtrati pugliesi. Le osservazioni quindi che su di esse possiamo per ora fare hanno un valore molto relativo, ciò non pertanto è sempre utile soffermarci un pochino all'esame dello cifre esposte nel quadro.

Densità. — Il dato della densità è importantissimo pei filtrati, perchè trovasi in stretto rapporto col grado alcoolico e la ricchezza zuccherina. Nei filtrati bianchi analizzati varia da un minimo di 1,0375 al massimo di 1,0976, la qual cosa vuol dire che un ettolitro di filtrato bianco, alla temperatura di 15° C. pesa da Kg. 103,75 a Kg. 109,76, secondo la ricchezza zuccherina, la qualità del filtrato e la sua età.

L'analisi n. 3 si riferisce a un buon tipo di filtrato bianco pugliese, proveniente da mosto dolce, con circa 21 % di glucosio.

La media densità delle cinque analisi è 1,06494, cui corrisponde una media alcoolica di 3,07 % e zuccherina di 8,98 %. Questa media densità è da ritenersi un pò bassa, specialmente pei filtrati bianchi pugliesi, che oggidì si preparano, come il n. 3, con pochissimo alcool e con la totale ricchezza zuccherina del mosto quasi intatta. Il peso medio quindi di un ettolitro di questi filtrati, con oltre il 20 % di zucchero, si deve avvicinare a 109 per la Puglia, per quelli napoletani e settentrionali forse dovrà scendere sotto a 104.

Alcool. — Nelle cinque analisi riportate varia da 0,28 % a 4,78, con una media di 3,07, da ritenersi troppo elevata per le ragioni testè dette.

Zucchero. — Varia da un minimo di gr. 8,40 a gr. 20,30 %, con la media di circa 13 %. Pei filtrati bianchi settentrionali questa media forse è giusta, per quelli pugliesi, deve salire da 4 a 5 gradi almeno.

Acidità. — L'acidità complessiva nei filtrati bianchi varia meno che nei rossi, perchè le uve bianche giungono, su per giù, dappertutto a regolare maturazione, essendo sempre le prime a vendemmiarsi. Essa si mantiene anche in limiti più normali, senza toccare estremi larghi come nei rossi. Dalle analisi sin ora eseguite si rilevano le seguenti cifre: minima 4.20 per ‰, massima 6,75, media 5,07.

Estratto secco. — Le materie estrattive sono importanti, perchè dànno al filtrato o ai suoi derivati il corpo e la solidità, accrescendone anche il peso specifico e il potere nutritivo. Nelle analisi sono espresse in grammi per ogni litro di filtrato, escluso lo zucchero.

Ceneri. — Le sostanze minerali sono in rapporto col contenuto di estratto, netto di zucchero. Per ora le cifre trovate sono in numero troppo esiguo per poter dedurre qualche conclusione pratica.

Quadro analitico dei filtrati dolci.

N.º d'ordine Luogo ed anno di produzione Densità a 15° C. Composizione del filtrato

Areometro Beaumé Bilancia Westphall Ruman Alcool % in vol. Glucosio % Acidità totale ‰ in acido tartarico

Filtrati bianchi.

1 Torre del Greco (Napoli) 1894 — 1.0523 4.78 11.11 4.20

2 » » — 1.0375 4.42 8.40 6.00

3 Barletta (Bari) 1900 — 1.0976 0.28 20.30 4.80

4 » » — 1.0691 3.40 11.87 6.75

5 » » — 1.0712 2.45 13.20 6.60

Filtrati rossi.

6 Torre del Greco (Napoli) 1892 — 1.0608 3.69 13.16 —

7 » » — 1.0542 3.98 11.11 7.50

8 » » — 1.0468 5.47 8.06 8.24

9 » » — 1.0490 4.71 9.34 8.99

10 » » — 1.0549 5.32 11.23 —

11 » » — 1.0482 3.83 10.11 —

12 » » — 1.0575 4.78 10.99 8.38

13 » » — 1.0594 3.62 13.00 8.25

14 » » — 1.0594 3.62 12.50 8.25

15 » » — 1.0426 3.98 9.50 8.25

16 » » — 1.0394 4.20 9.00 8.25

17 » » — 1.0375 3.82 7.72 9.13

18 » » — 1.0552 2.51 11.66 7.50

19 » » — 1.0314 3.28 10.00 7.63

20 » » — 1.0423 4.12 9.09 8.34

21 » » — 1.0574 3.62 11.70 —

22 » » — 1.0596 3.07 12.65 8.38

23 » » — 1.0612 3.07 13.33 6.65

24 » » — 1.0526 3.49 10.52 7.34

25 » » — 1.0359 5.63 8.00 7.79

26 » » — 1.0514 4.12 11.36 8.61

27 » » — 1.0546 4.27 12.19 8.54

28 » » — 1.0549 3.07 11.50 7.57

29 » » — 1.0353 5.32 7.91 7.24

30 » » — 1.0462 3.90 10.10 9.04

31 » » — 1.0508 3.62 10.52 7.50

32 » » — 1.0444 4.85 9.02 7.59

33 » » — 1.0503 3.00 11.23 8.09

34 » » — 1.0331 5.39 7.75 7.04

35 » » — 1.0352 6.71 7.46 8.54

36 » » — 1.0346 5.39 7.51 7.34

37 » » — 1.0427 5.39 9.25 7.63

38 » » — 1.0408 5.55 9.21 9.00

39 » » — 1.0390 5.32 9.00 6.88

40 » » — 1.0307 6.32 7.42 6.29

41 » » — 1.0296 6.55 6.93 6.67

42 » 1893 — 1.0530 4.42 11.23 —

43 » » — 1.0552 4.12 13.00 7.65

44 » » — 1.0533 4.78 9.76 6.75

45 » » — 1.0548 5.78 13.07 6.30

46 » » — 1.0233 7.17 6.30 6.00

47 » » — 1.0239 6.10 5.98 7.95

48 » » — 1.0290 7.09 4.70 7.04

49 » » — 1.0287 7.40 6.70 7.04

50 » » — 1.0125 7.40 2.78 7.19

51 » » — 1.0276 7.32 6.79 6.59

52 » » — 1.0370 5.94 7.95 8.17

53 » » — 1.0331 5.16 8.00 —

54 » » — 1.0266 7.57 6.43 6.73

55 » » — 1.0190 7.66 4.54 6.74

56 » » — 1.0239 6.10 5.98 7.95

57 » » — 1.0671 3.43 15.72 —

58 » » — 1.0444 4.63 10.42 9.18

59 » 1893 — 1.0567 3.42 13.18 9.45

60 » » — 1.0599 3.55 13.89 9.15

61 » » — 1.0558 3.90 13.23 9.45

62 » » — 1.0510 4.12 12.00 9.52

63 » » — 1.0470 4.27 9.50 7.20

64 » » — 1.0333 3.55 8.00 6.90

65 » » — 1.0379 3.76 9.00 6.60

66 » » — 1.0380 5.78 8.00 6.24

67 Gallipoli (Lecce) 1900 — 1.0523 6.40 10.10 7.24

68 » » — 1.0310 8.65 7.20 7.35

69 Brindisi (Lecce) » — 1.0912 1.05 16.40 8.82

70 » » — 1.0545 6.45 11.31 8.32

71 » » — 1.0709 3.38 12.84 9.23

72 » » — 1.0828 2.20 17.37 7.22

73 » » — 1.0802 2.80 16.20 8.19

74 Novoli (Lecce) » — 1.0545 4.45 11.05 6.15

75 » » — 1.0539 4.61 10.22 6.60

76 Squinzano (Lecce) » — 1.0752 5.20 15.57 9.15

77 Barletta (Bari) » — 1.1022 1.82 20.60 6.22

78 » » — 1.0760 6.20 13.97 6.75

79 » » — 1.1030 2.80 19.80 8.95

80 » » — 1.0808 3.60 17.28 5.50

81 » » — 1.0701 5.15 14.61 5.18

82 » » — 1.0629 5.60 13.57 6.75

83 » » — 1.0970 1.22 19.38 6.02

84 » » — 1.0731 4.44 16.05 6.00

85 » » — 1.0890 2.80 19.00 6.00

86 » » — 1.0889 2.92 18.95 6.53

87 » » — 1.0931 5.20 18.26 7.00

88 » » — 1.0679 5.80 14.84 6.00

89 » » — 1.0812 5.30 16.38 6.52

90 » » — 1.0759 4.90 14.62 5.78

91 » » — 1.0990 1.42 19.00 5.10

92 » » 11.75 1.0888 3.88 17.98 6.22

93 » » 11.75 1.0890 4.10 18.26 6.15

94 » » 11.00 1.0835 3.42 17.26 6.00

95 » » 12.25 1.0921 4.30 18.62 6.95

96 » » 14.00 1.1080 0.80 21.64 5.47

97 » » 14.75 1.1040 0.75 21.86 6.07

98 » » 10.00 1.0752 5.58 15.32 6.82

99 » » 9.75 1.0720 5.90 15.18 5.95

100 » » 11.75 1.0891 4.20 18.41 5.47

101 » » 10.25 1.0782 4.41 16.10 5.93

102 » » 11.25 1.0848 3.40 17.92 6.52

103 » » 9.60 1.0720 6.60 15.08 7.35

104 » » 13.25 1.1018 4.20 21.64 7.65

105 » » 12.69 1.0981 2.00 21.12 6.60

106 » » 9.50 1.0721 5.40 15.32 7.42

107 » » 12.00 1.0918 4.33 18.81 7.35

108 » » 10.00 1.0770 5.02 16.38 6.22

109 » » 13.69 1.1049 4.00 22.27 7.35

110 » » 13.00 1.1001 1.91 22.10 6.60

111 » » 9.75 1.0737 5.20 16.66 6.53

112 » » 11.65 1.0882 4.41 18.44 7.12

113 » » 14.70 1.1140 2.29 25.68 6.60

114 » » 9.50 1.0701 4.40 15.57 6.00

Composizione del filtrato Data dell'analisi Analizzatore

Estratto secco ‰ detratto il glucosio Ceneri ‰ Zucchero origin. % calcolato nel succo d'uva Alcool del vino calcolato a fermen. completa

Filtrati bianchi.

14.40 — 18.76 11.72 26 Gennaio 1894 Casoria 1

26.45 — 15.47 9.67 » » » » 2

49.10 5.04 20.75 12.98 29 Settembre 1900 De Astis 3

41.00 4.92 17.31 10.82 1 Ottobre » » 4

62.10 5.84 17.12 10.70 1 » » » 5

Filtrati rossi.

40.40 — 19.06 11.91 10 Settembre 1892 Casoria 6

43.10 — 17.48 10.92 23 » » » 7

43.54 — 16.81 10.51 » » » » 8

50.64 — 16.88 10.55 » » » » 9

34.00 — 19.74 12.34 15 » » » 10

45.40 — 16.24 10.14 17 » » » 11

41.94 — 18.64 11.64 20 » » » 12

40.50 — 18.79 11.75 24 » » » 13

— — 18.29 11.43 » » » » 14

31.12 — 15.87 9.92 25 » » » 15

28.05 — 15.72 9.83 » » » » 16

35.00 — 13.83 8.64 27 » » » 17

35.64 — 15.67 9.81 » » » » 18

43.82 — 15.24 9.53 » » » » 19

31.90 — 15.68 9.80 » » » » 20

49.28 — 17.49 10.93 29 » » » 21

47.22 — 17.56 10.98 1 Ottobre » » 22

33.60 — 18.24 11.40 » » » » 23

41.00 — 16.10 10.06 » » » » 24

27.14 — 17.01 10.63 » » » » 25

34.24 — 17.95 11.22 3 » » » 26

29.10 — 19.02 11.89 » » » » 27

29.90 — 16.41 10.27 » » » » 28

30.12 — 16.42 10.26 5 » » » 29

30.72 — 16.34 10.21 6 » » » 30

36.50 — 16.31 10.20 » » » » 31

30.20 — 16.88 10.49 » » » » 32

29.80 — 16.03 10.02 11 » » » 33

23.49 — 16.37 10.23 » » » » 34

— — 18.20 11.37 13 » » » 35

— — 16.13 10.09 » » » » 36

— — 17.87 11.17 » » » » 37

29.14 — 18.09 11.31 » » » » 38

27.35 — 17.51 10.95 » » » » 39

21.34 — 17.53 10.96 » » » » 40

26.78 — 17.41 10.88 » » » » 41

29.90 — 18.30 12.44 14 Settembre 1893 » 42

17.10 — 19.54 12.75 27 » » » 43

— — 17.41 10.88 11 Ottobre » » 44

14.80 — 22.32 13.95 21 Novembre » » 45

66.20 — 17.47 11.10 » » » » 46

— — 15.54 9.84 » » » » 47

24.39 — 16.04 10.03 24 » » » 48

25.46 — 18.54 11.00 » » » » 49

26.14 — 14.62 9.19 6 Dicembre » » 50

23.10 — 18.50 11.56 14 » » » 51

23.50 — 17.45 10.91 » » » » 52

24.75 — 16.25 10.16 » » » » 53

23.60 — 18.54 11.59 18 » » » 54

— — 16.80 10.50 26 Gennaio 1894 » 55

— — 15.74 9.84 » » » » 56

25.60 — 21.51 13.45 14 Settembre » » 57

21.20 — 17.83 11.14 5 Ottobre » » 58

30.60 — 18.65 11.66 9 Ottobre 1894 » 59

30.00 — 19.57 12.23 » » » » 60

22.25 — 19.47 12.17 » » » » 61

23.90 — 18.59 11.62 10 » » » 62

36.00 — 16.33 10.21 17 » » » 63

— — 13.68 8.55 » » » » 64

58.30 — 15.02 9.39 » » » » 65

26.60 — 17.25 10.78 31 » » » 66

53.30 4.24 20.34 12.71 24 Settembre 1900 De Astis 67

33.70 4.56 21.04 13.15 » » » » 68

74.50 5.64 18.08 11.30 » » » » 69

48.00 4.72 21.63 13.52 28 » » » 70

26.30 5.44 18.24 11.40 29 » » » 71

47.20 5.48 20.89 13.06 8 Ottobre » » 72

56.00 5.24 20.48 12.02 9 » » » 73

43.10 5.86 18.17 11.36 » » » » 74

50.30 5.56 17.59 10.75 » » » » 75

56.10 4.25 23.89 14.93 7 » » » 76

69.30 4.60 23.51 14.72 » » » » 77

75.80 4.80 23.89 14.93 » » » » 78

75.70 4.92 24.68 15.18 » » » » 79

63.20 5.04 23.04 14.40 » » » » 80

48.70 4.92 22.85 14.28 » » » » 81

46.40 4.32 22.53 14.10 » » » » 82

70.20 4.72 21.33 13.33 » » » » 83

47.00 4.36 23.15 14.47 » » » » 84

51.70 5.20 23.48 14.67 8 » » » 85

53.20 5.13 23.62 14.76 » » » » 86

80.40 5.84 26.58 16.61 9 » » » 87

59.40 5.16 24.12 15.08 » » » » 88

68.10 5.98 24.86 15.54 » » » » 89

64.40 5.18 22.46 14.08 10 » » » 90

77.70 5.80 21.47 13.22 » » » » 91

69.10 5.68 24.19 15.20 11 » » » 92

65.30 5.20 24.82 15.51 » » » » 93

57.70 5.00 22.73 14.21 » » » » 94

71.00 5.24 25.50 15.94 » » » » 95

— 5.02 22.92 14.33 13 » » » 96

77.20 5.80 23.06 14.41 » » » » 97

57.30 5.36 24.25 15.15 » » » » 98

— 5.76 24.62 15.40 » » » » 99

63.20 4.88 25.13 15.71 » » » » 100

56.30 4.92 23.16 14.47 » » » » 101

56.50 5.28 23.32 14.60 15 » » » 102

56.90 5.52 25.64 16.02 » » » » 103

68.20 5.32 28.36 17.72 » » » » 104

54.20 5.48 24.32 15.20 » » » » 105

49.10 5.20 23.96 14.98 » » » » 106

66.60 5.24 25.74 16.08 » » » » 107

49.20 5.14 24.41 15.26 » » » » 108

68.00 5.62 28.67 17.92 17 » » » 109

51.50 5.16 25.15 15.72 » » » » 110

40.90 5.44 24.98 15.61 » » » » 111

60.60 5.48 25.49 15.94 18 » » » 112

56.80 5.40 29.34 18.34 » » » » 113

41.40 5.20 22.61 14.13 » » » » 114

Filtrati rossi.

Dalle 100 analisi di filtrati rossi, contenute nel quadro, si scorge che vi ha una larga oscillazione fra i diversi componenti, dipendente dalle diverse qualità delle uve, da cui i filtrati derivano, dall'influenza del clima e del suolo sui vitigni, dai metodi di preparazione e dalla età o periodo di conservazione dei filtrati stessi. Non è possibile perciò formulare delle conclusioni generali che potessero avere un valore in pratica. Torna più utile, e più agevole, ripartire l'esame provincia per provincia, distinguendo anche i filtrati dei diversi comuni o gruppi di comuni viticoli, come si è fatto dal Ministero dell'agricoltura per le uve e i vini d'Italia. Abbiamo perciò raggruppati in un secondo quadro, qui appresso (a pag. 145), le medie, massime e minime per ciascun componente determinato e per ogni provincia.

* * *

Provincia di Napoli. — La minima densità di 1.0125 trovata dal prof. Casoria si riferisce a un filtrato (nº 50) analizzato in dicembre e conservato male, perchè il contenuto di glucosio si era in esso ridotto a gr. 2.78% appena.

Prendendo invece ad esaminare i lambiccati nel periodo della vendemmia, in cui maggiormente vengono richiesti dal commercio vinicolo, e tralasciando quelli conservati, o eccessivamente fermentati, il prof. Casoria osserva che, pei migliori tipi, la densità oscilla fra il massimo di 1.0671 e un minimo di 1.0408.

Quadro delle medie, massime e minime.

PROVINCIE Media Massima Minima

Provincia di Napoli (lambiccati)

Densità su 61 analisi 1.0426 1.0671 1.0125

Alcool su 61 analisi 4.75 7.66 2.51

Zucchero su 61 analisi 9.75 15.72 2.78

Acidità totale su 55 analisi 7.68 10.80 6.00

Residuo di estratto su 54 anal. 32.17 66.20 14.80

Ceneri — — —

Provincia di Lecce

Densità su 10 analisi 1.0646 1.0912 1.0310

Alcool su 10 analisi 4.51 8.65 1.05

Zucchero su 10 analisi 12.82 17.37 7.20

Acidità totale su 10 analisi 7.82 9.23 6.15

Resid. di estratto su 10 analisi 48.85 74.50 26.30

Ceneri 5.09 5.86 4.35

Prov. di Bari (filtrati rossi di Barletta)

Densità su 38 analisi 1.0860 1.1140 1.0629

Alcool su 38 analisi 3.93 6.60 0.75

Zucchero su 38 analisi 17.99 25.68 13.57

Acidità totale su 38 analisi 6.43 8.95 5.10

Resid. di estratto su 38 analisi 61.06 80.40 40.90

Ceneri 5.24 5.80 4.32

Alcool. — I lambiccati più alcoolici sono quelli segnati ai numeri 54 e 55 che contengono rispettivamente 7,57 e 7,66% di alcool in volume. Questi lambiccati però sono conservati sino al mese di gennaio e presentano un residuo di zucchero indecomposto, come altri simili, alquanto esiguo, perchè possano dare una idea esatta dei veri e proprii lambiccati, preparati di recente. Tuttavia, siccome si usa nel Napoletano di tenere una discreta quantità di lambiccati sino all'inverno, così anche le analisi eseguite nei mesi di dicembre e gennaio hanno un certo valore, che giova tener da conto.

Il minimo di alcool si riscontra nel lambiccato n. 18, che proviene da un mosto piuttosto povero di glucosio; la media, come si vede, è espressa da 4 gradi e 3 ⁄ 4 di alcool in volume.

Zucchero. — Le medesime osservazioni fatte per l'alcool si possono ripetere sullo zucchero per quanto riguarda i lambiccati conservati, poichè la conservazione o l'invecchiamento, tende a far crescere la percentuale dell'alcool, per effetto della fermentazione lenta, con corrispondente diminuzione del grado zuccherino. Per cui noi troviamo, nel lambiccato n. 50, appena 2,78% di glucosio, proporzione troppo esigua, da rendere il lambiccato stesso commercialmente asciutto anzichè dolce.

Il massimo di zucchero si trova nel lambiccato n. 57, con 15,72%, la media è di 9 3 ⁄ 4.

Acidità. — L'acidità totale, valutata in acido tartarico, può dirsi che nei lambiccati si mantenga in giuste proporzioni. Il massimo di 10.80‰ si riferisce a un lambiccato (n. 57) analizzato il 14 settembre, proveniente forse da uve non ancora ben mature.

Estratto secco. — Le materie estrattive sono determinate insieme allo zucchero e calcolate poi per differenza. Lo zucchero invero fa crescere sensibilmente la cifra del residuo netto di estratto per la difficoltà di evaporazione dei liquidi dolci, sciropposi, nella stufa a 100°. Per questa ragione le cifre relative all'estratto non hanno un valore intrinseco molto importante, come quelle dell'alcool, dello zucchero, dell'acidità e delle ceneri, tuttavia riescono utili per il confronto tra campioni diversi sottoposti all'analisi, purchè il metodo e il grado di diluizione adottati siano identici e costanti.

La media del residuo di estratto che si riscontra nei lambiccati napoletani è bassa in confronto a quella dei filtrati pugliesi, raggiunge appena i 2 ⁄ 3 della media relativa alla provincia di Lecce e la metà circa dell'altra relativa alla provincia di Bari, o, più precisamente, al circondario di Barletta.

* * *

Provincie di Lecce e di Bari. — I filtrati pugliesi furono tutti analizzati al momento stesso, o qualche giorno dopo, della preparazione. Essi, come vengono messi oggi in commercio, presentano la caratteristica di una forte densità, dovuta all'alta ricchezza zuccherina, e di materie estrattive.

Là dove i lambiccati di torre del Greco toccano il massimo di densità, comincia il minimo pei filtrati di Barletta, mentre quelli della provincia di Lecce occupano il posto intermedio.

I filtrati barlettani, di migliore stoffa, come si dice in pratica, e delle annate più favorevoli, o normali, presentano una densità compresa tra 1,07 e 1,114, ossia 9,50 a 15 gradi Beaumè, con una ricchezza zuccherina di 14,50 a 26% e con 1 a 6 gradi di alcool in volume.

La vendemmia 1900, cui si riferiscono le ultime 38 analisi del quadro innanzi riportato, fu ottima sotto il riguardo dei filtrati a Barletta, perchè, sebbene danneggiata in tutta la Puglia da una forte infezione peronosporica, non pochi vigneti delle primarie contrade, irrorati ripetute volte a tempo giusto, portarono l'uva a perfetta maturazione, in grazia del tempo splendido che si ebbe in fine settembre e principio di ottobre.

Nella provincia di Lecce invece i filtrati riescirono piuttosto scadenti, sempre a causa della eccezionale infezione di peronospora che distrusse gli 8 ⁄ 10 del raccolto, nè si verificò colà il gran movimento di filtrati brindisini e gallipolini che rappresentano tanta parte di questo prodotto nuovo dell'enologia meridionale.

L'acidità complessiva è pressochè negli stessi limiti tanto pei lambiccati napoletani che pei filtrati del Leccese; in quelli di Barletta scende invece di uno a due gradi circa.

Nell'estratto si osserva la scala ascendente che si nota pure nello zucchero, a cominciare dal Napoletano e finire a Barletta.

Le sostanze minerali dei filtrati pugliesi variano da 4 a 6 grammi per litro; pei lambiccati mancano ancora i dati relativi alle ceneri.

A complemento delle cifre e delle considerazioni esposte in questo capitolo facciamo seguire un ultimo specchietto nel quale sono ordinati i filtrati sottoposti ad analisi secondo la loro densità crescente e i rispettivi gradi alcoolico e zuccherino.

Densità dei filtrati dolci disposte in ordine crescente coi relativi gradi zuccherini e alcoolici

N. d'ordine Gradi Baumé Densità a 15° C. Zucch. % Alcool in volume %

Provincia di Napoli (lambiccati).

1 — 1.0125 2.78 7.40

2 — 1.0190 4.54 7.66

3 — 1.0233 6.30 7.17

4 — 1.0239 5.98 6.10

5 — 1.0266 6.43 7.57

6 — 1.0276 6.79 7.32

7 — 1.0287 6.70 7.40

8 — 1.0290 4.70 7.09

9 — 1.0296 6.93 6.55

10 — 1.0307 7.42 6.32

11 — 1.0331 7.75 5.39

12 — 1.0331 8.09 5.16

13 — 1.0333 8.00 3.55

14 — 1.0346 7.51 5.39

15 — 1.0352 7.46 6.71

16 — 1.0358 7.91 5.32

17 — 1.0359 8.00 5.63

18 — 1.0370 7.95 5.94

19 — 1.0375 7.72 3.82

20 — 1.0375 8.40 4.42

21 — 1.0379 9.00 3.76

22 — 1.0380 8.00 5.78

23 — 1.0390 9.00 5.32

24 — 1.0394 9.00 4.20

25 — 1.0408 8.06 5.47

26 — 1.0408 9.21 5.55

27 — 1.0423 9.09 4.12

28 — 1.0426 9.50 3.98

29 — 1.0427 9.25 5.39

30 — 1.0444 9.02 5.39

31 — 1.0444 10.42 4.63

32 — 1.0462 10.10 3.90

33 — 1.0470 9.50 4.27

34 — 1.0482 10.11 3.83

35 — 1.0490 9.34 4.71

36 — 1.0503 11.23 3.00

37 — 1.0508 10.52 3.62

38 — 1.0514 10 — 3.28

39 — 1.0510 12 — 4.12

40 — 1.0512 11.36 4.12

41 — 1.0523 11.11 4.78

42 — 1.0526 10.52 3.49

43 — 1.0530 11.23 4.42

44 — 1.0533 9.76 4.78

45 — 1.0542 11.11 3.98

46 — 1.0546 12.19 4.27

47 — 1.0548 13.07 5.78

48 — 1.0549 11.23 3.32

49 — 1.0549 11.50 3.07

50 — 1.0552 11.66 2.51

51 — 1.0552 13 — 4.12

52 — 1.0558 13.23 3.90

53 — 1.0567 13.18 3.42

54 — 1.0574 11.70 3.62

55 — 1.0575 10.99 4.78

56 — 1.0594 12.50 3.62

57 — 1.0594 13.00 3.62

58 — 1.0596 12.65 3.07

59 — 1.0599 13.89 3.55

N. d'ordine Gradi Baumé Densità a 15° C. Zucch. % Alcool in volume %

Provincia di Lecce (lambiccati).

1 — 1.0310 7.20 8.62

2 — 1.0523 10.10 6.40

3 — 1.0539 10.22 6.60

4 — 1.0545 11.05 4.45

5 — 1.0545 11.31 6.45

6 — 1.0709 12.84 3.38

7 — 1.0752 15.17 5.20

8 — 1.0892 16.20 2.80

9 — 1.0828 17.37 2.20

10 — 1.0912 16.40 1.05

Provincia di Bari (Filtrati rossi di Barletta).

1 — 1.0629 13.57 5.60

2 — 1.0679 14.84 5.80

3 — 1.0701 14.67 5.45

4 9.50 1.0701 15.57 4.49

5 9.60 1.0720 15.08 6.60

6 9.75 1.0720 15.18 5.99

7 9.50 1.0721 15.32 5.40

8 — 1.0731 16.05 4.44

9 9.75 1.0737 16.66 5.20

10 10.00 1.0752 15.32 5.40

11 — 1.0759 14.62 4.99

12 — 1.0769 13.97 6.20

13 10 — 1.0770 16.38 5.02

14 10.25 1.0782 16.10 4.41

15 — 1.0812 16.38 5.39

16 11 — 1.0835 17.26 3.42

17 11.25 1.0848 17.92 3.40

18 — 1.0868 17.28 3.60

19 11.65 1.0882 18.44 4.41

20 11.75 1.0888 17.98 3.83

21 — 1.0889 18.95 2.92

22 11.75 1.0899 18.26 4.10

23 — 1.0899 19 — 2.80

24 11.75 1.0891 18.41 4.20

25 12.00 1.0918 18.81 4.33

26 12.25 1.0921 18.62 4.30

27 — 1.0931 18.26 5.20

28 — 1.0970 19.38 1.22

29 — 1.0981 21.12 2.09

30 — 1.0990 19.00 1.47

31 13.00 1.1001 22.10 1.91

32 13.25 1.1018 21.64 4.20

33 — 1.1022 20.60 1.82

34 — 1.1039 19.80 2.80

35 14.75 1.1049 21.86 0.75

36 13.60 1.1049 22.27 4.00

37 14 — 1.1089 21.64 0.80

38 14.70 1.1149 25.68 2.29

Capitolo X. Residui dei filtrati.

I cascami da utilizzare nella industria dei filtrati dolci sono tre: il mosto delle torchiature, le vinacce fresche o parzialmente fermentate e i residui fecciosi trattenuti dal filtro.

1. Torchiato. — Il mosto che si ricava dalla prima e anche dalla seconda torchiatura leggera, spesso si aggiunge alla massa del mosto fiore svinata dal tino, specialmente se debbonsi preparare filtrati di qualità comune.

Pei filtrati bianchi e pei rossi fini, si destina alla filtrazione il solo prodotto della svinatura, senza alcuna aggiunta di torchiato.

Quest'ultimo allora si utilizza in diversi modi, secondo le circostanze o la qualità delle uve. Uno dei mezzi più comuni consiste nel riunire separatamente, in due recipienti distinti, che possono essere botti o tini, i torchiati intieri o residuali delle vinacce di uve bianche e di quelle rosse. Si lasciano fermentare sino ad avere un vino asciutto, di colore giallo-paglia nel primo caso e un vino rosso da pasto o da mezzo taglio nel secondo caso.

Entrambi i torchiati, specialmente il rosso, si possono anche mescolare alle uve fresche pigiate nella ordinaria vinificazione, oppure si possono lasciare colle rispettive vinacce da destinarsi alla fabbricazione di vino da taglio intensamente colorato, e dei vinelli.

2. Vinacce. — Le vinacce dei mosti destinati alla filtrazione sono molto ricche di parte zuccherina e piuttosto povere di cremore.

Il cremore per la temperatura di fermentazione piuttosto alta e la moderata dose di alcool, passa in gran quantità disciolto nel mosto svinato precocemente dal tino; poco o nulla ne rimane nelle vinacce non essendosi verificate le condizioni favorevoli alla sua precipitazione in minuti cristalli come nella fermentazione completa. Dette vinacce quindi, se vengono cedute al distillatore, potranno dare una resa maggiore in alcool quando saranno ben fermentate nelle fosse di conservazione, ma daranno al contrario uno scarso rendimento in cremore per la ragione ora ora accennata, per cui, a rigore, non avrebbero lo stesso valore di altre vinacce egualmente buone ma provenienti dalla vinificazione fatta col sistema comune per produrre vini asciutti o quasi.

Siccome per la preparazione dei filtrati si destinano le migliori uve, così le vinacce fresche, o fermentate in parte, costituiscono un ottimo correttivo per altri mosti di qualità scadente, provenienti da uve peronosporate, guaste dalla cochylis, ecc., oppure per la rifermentazione dei vini malati e difettosi dell'annata precedente (vini agro-dolci, spunti, girati ecc.). Il mosto delle uve non sane si versa senz'altro sulle vinacce del filtrato, si rimescola la massa con una follatura e si lascia fermentare come nei casi ordinarï per un tempo variabile, a norma della temperatura ambiente e della quantità del mosto da correggere.

Allo stesso modo si procede per la rifermentazione dei vini guasti, avendo cura soltanto di affrettarne la svinatura dopo 36 a 48 ore al massimo nei paesi meridionali specialmente.

Oltre che come ottimo correttivo per mosti e vini anormali o difettosi, le vinacce dei filtrati presentano dei pregi speciali per la fabbricazione dei secondi vini, perchè ricche di zucchero e di tutti gli altri costituenti dei mosti da taglio. Sui diversi modi di sfruttare razionalmente queste vinacce stimiamo superfluo intrattenerci in questo libro, essendovi altre pubblicazioni pregevoli e anche recenti in proposito[6].

3. Residui fecciosi. — I residui fecciosi che rimangono sul filtro contengono ancora da 75 a 80% di mosto della stessa composizione chimica del filtrato e 20 a 25% di sostanze solide che si compongono per la massima parte di cellule di fermenti, accompagnate da cristalli di cremore, frammenti di bucce e da qualche vinacciuolo. Tali residui stanno nella proporzione di 2 a 3 p. % rispetto al mosto grezzo, a seconda le annate e le qualità dei mosti. Quando si tratti di piccole quantità si vendono ai fecciaioli a metà prezzo circa della feccia umida del vino, per quantità invece di una certa importanza, si usa riunire tutti i residui di diversi giorni di lavorazione in una botte o tino, ove completano la fermentazione alcoolica producendo un vino quasi normale.

Terminata la fermentazione tumultuosa si decanta il liquido vinoso con la svinatura, la feccia si filtra, si torchia e si vende allo stato umido, oppure si dissecca al sole, per l'estrazione del cremore.

FINE.

NOTE:

1 . Nel linguaggio e nel carteggio commerciale il verbo marcare si adopera frequentemente per indicare che il vino accusa un sapore difettoso, specialmente di terra. 2 . Alcool in volume 0,60%. 3 . G. De Astis — Nuove esperienze sull'azione del solfito di calcio sulla fermentazione alcoolica. Stazioni sperimentali agrarie. Modena 1894. 4 . Stazioni sperimentali agrarie , vol. XXX, fasc. IX — Modena, 1897. 5 . G. De Astis . — La determinazione dell'acidità nei mosti e nei vini. — Giorn. Vinicolo Italiano , 1899. 6 . Si consulti il volume XXIX della biblioteca Ottavi « I residui della vinificazione » di Ottavi e Marescalchi (L. 4,50).