GIUSEPPE GIACOSA

Diritti dell'Anima

Commedia in un atto in prosa.

MILANO

FRATELLI TREVES, EDITORI

1900.

Ad Antonio Fogazzaro

con affetto fraterno

Giuseppe Giacosa.

PERSONAGGI.

PAOLO. MARIO. ANNA. MADDALENA.

La scena in una villa in Brianza.

Epoca presente.

Questa commedia fu rappresentata la prima volta a Verona dalla Compagnia Zacconi-Pilotto-Sciarra al teatro Nuovo il 26 febbraio 1894.

PROPRIETÀ LETTERARIA

———

I diritti di riproduzione, di traduzione e di rappresentazione sono riservati per tutti i paesi, non escluso il Regno di Svezia e di Norvegia.

———

È assolutamente proibito di rappresentare questo dramma senza il consenso scritto dell'autore. ( Articolo 14 del Testo unico, 17 settembre 1882 ).

ATTO UNICO.

Camera signorile ma semplice, mobili vecchi, non antichi nè logori. Un camino dove si possa bruciar carte. Un sofà. Una scrivania. Nel fondo la comune. A sinistra porta che mette nelle stanze di Anna. A destra finestra.

SCENA PRIMA.

PAOLO e MADDALENA.

PAOLO, è seduto alla scrivania sulla quale si vede un mucchio di carte sciolte.

MADDALENA, entra.

PAOLO.

Ebbene è tornato?

MADDALENA.

Non ancora.

PAOLO.

Ce ne hai messo del tempo!

MADDALENA.

Sono stata a cercarlo al caffè della Posta.

PAOLO.

Ti avevo detto di vedere in camera sua od in giardino. C'è bisogno di andar via per il paese?

MADDALENA.

Non c'era, ho creduto…. Non c'era nemmeno al caffè; ma mi hanno detto dove è.—Può star poco a rientrare. È andato alla stazione di Poggio a ricevere l'ingegnere delle acque. L'esattore lo ha veduto avviarsi a piedi. Va sempre a piedi; ma tornerà coll'omnibus per riguardo all'ingegnere. L'omnibus dovrebbe esser qui a momenti. È certo però che…. mi sta a sentire?

PAOLO.

No. Puoi andartene.

MADDALENA.

Sissignore. È certo però che se è veramente arrivato l'ingegnere delle acque suo fratello domani non va via. Lei e la signora contano di partire domani, non è vero?

PAOLO.

Sì, va. Non so.—Sì, partiremo domani.—Lasciami stare.

MADDALENA.

Ebbene, vedrà se sbaglio; io dico che suo fratello domani non va. E nemmeno doman l'altro. Eccolo qui.

SCENA SECONDA.

MARIO e detti.

MARIO.

È vero che cercavi di me?

PAOLO.

Sì, da un'ora.

MADDALENA.

Mi domandava qui il signor Paolo….

PAOLO.

Io non ti domandavo nulla. Va via.

La prende per un braccio e la mette fuori.

MARIO.

Cos'è stato?

PAOLO.

È insopportabile. Non starà mica ad ascoltare agli usci?

MARIO.

No. Sta tranquillo. Sentila, è già in giardino.—Cos'è stato? Hai la faccia stravolta.

PAOLO dopo una pausa.

Sai perchè Luciano si è ucciso?

MARIO.

No.

PAOLO.

Si è ucciso per amore. Per amore di Anna. Ne ho le prove…. sono là.—L'ho saputo oggi,—un momento fa. Per amore di mia moglie si è ucciso. Tu ed io eravamo i suoi soli parenti; egli era il mio compagno d'infanzia, il mio più caro amico. Ha tentato di farsi amare. Anna lo ha respinto. Ha insistito. Anna gli ha risposto duramente. Egli esaltato com'era si è ucciso.

MARIO.

Come l'hai saputo?

PAOLO.

Ne ho le prove, ti dico.—È un'ora che le rileggo. Sono ancora sbalordito! Erano là da un mese….—Sai che appena mi giunse a Milano il telegramma da Londra che annunciava il suicidio, io sono corso nell'alloggio di Luciano, vi ho raccolto tutte le carte, e ne ho fatto un plico suggellato che portai poi qui.

MARIO.

Ti avevo detto di bruciarle.

PAOLO.

Volevo infatti, ma poi credetti bene di aspettare che l'amministrazione dell'Ospedale, quale erede, avesse verificato i conti. Un'ora fa, venne qui il Sindaco, d'incarico del Sotto-Prefetto, a consegnarmi il portafogli che si era trovato indosso al cadavere e che il nostro Console aveva spedito da Londra al Ministero degli esteri. Stavo per chiuderlo nella scrivania, quando mi prese, non so come, la smania di cercarvi la ragione di quel suicidio che nessuno di noi aveva saputo spiegare.

MARIO, movimento.

PAOLO.

Tu sì? Tu avevi indovinato la ragione…?

MARIO.

Indovinato….

PAOLO.

Sospettato, via. Tu sapevi di quest'amore?

MARIO.

Va, va, racconta, non ti esaltare.

PAOLO.

No, rispondi. Sapevi?

MARIO.

Mi ero accorto, sì, che Luciano andava via colla testa.

PAOLO.

E non me ne hai detto nulla?

MARIO.

Che dovevo dirti? Apprese dagli altri, queste cose appaiono più grosse e sono più offensive. E poi potevo sbagliare: io non vedo te ed Anna che il breve tempo della campagna; se tu che vivi con lei tutto l'anno non ti eri accorto di nulla…. D'altronde Anna stava in tanto riguardo, sapeva così bene difendersi!

PAOLO.

Oh Anna! Anna è una santa! L'ho sempre pensato di lei questo. Ma ora….

MARIO.

Va avanti, racconta.

PAOLO.

Nel portafogli trovo una lettera e riconosco sulla soprascritta il carattere di Anna.

MARIO.

Era così naturale che tua moglie scrivesse a nostro cugino!

PAOLO.

Naturalissimo. Infatti l'ho letta. Eccola.

MARIO, fa per prenderla.

PAOLO.

No. Stalla a sentire.

Legge.

«Mi scrivi

Parla.

Non c'è intestazione.

Legge.

«Mi scrivi che se non rispondo tu ritorni immediatamente. Amo mio marito, ecco la mia risposta. Questa, solamente questa, per sempre questa. Ti supplico di non tormentarmi.— Anna

MARIO.

E già!

PAOLO.

Canaglia!

MARIO.

Che data ha quella lettera?

PAOLO.

Luciano stesso ha avuto cura di farci sapere il giorno e l'ora che gli fu consegnata. Ha scritto sotto a matita: Ricevuta oggi 20 giugno ore 11 antimeridiane. Si è ucciso prima di mezzogiorno.

MARIO.

Povero diavolo! Si vede che è stato un colpo di pazzia: quella scritta stessa lo dimostra.

PAOLO.

Capisci bene che non mi sono fermato lì. Ho aperto il plico. Ci ho trovate altre quattro lettere di Anna, tutte sullo stesso argomento e nello stesso tono. La prima è di tre anni fa. Sono poche parole: respinge a Luciano una lettera che questi le aveva scritto. Ho cercato questa lettera di Luciano—non c'è. L'avrà distrutta.—Teneva solo quelle di lei.—Poi c'è un bigliettino da Roma: sai che Anna l'inverno passato è stata un mese a Roma da sua madre. Bisogna dire che l'amico le fosse corso dietro. Anna non lo vuol vedere. Poi ce n'è una lunga che dev'essere di quando egli fu malato per quella caduta da cavallo.—È la sola lunga delle cinque…. scritta in termini affettuosi, ragionando e pregando; una stupenda lettera, buona, elevata: leggi, leggi.

MARIO.

No, no, no.

PAOLO.

Senti solo….

MARIO.

No, non mi piace.

PAOLO.

Non fa che parlare di me, della nostra giovinezza fraterna. Anche di te parla. Dice….

MARIO.

No, ti prego. E inutile. So che donna è mia cognata e non mi occorrono prove della sua onestà.—Perchè tornare su quelle povere lettere? È così doloroso che tu le abbia conosciute?

PAOLO.

Doloroso!? È doloroso che non seguiti più a piangere un falso parente che mi voleva rubare….

MARIO.

Lascia stare! È morto, e non ti ha rubato nulla.—E se fosse vissuto non ti rubava nulla lo stesso.—Anna ha saputo….

PAOLO.

E questo? e questo? lo conti poco? È doloroso questo? Non ho mai avuto un'ombra di dubbio sul conto di Anna, mai,—e non mi è mai nemmeno passato per la mente il pensiero…. ma altro è non dubitare e non aver pensato, altro è possedere la prova palpabile della sua fede e del suo amore.—Amo mio marito.—È il ritornello di tutte le sue lettere.

MARIO.

Bisognava proprio che te lo dicesse!

PAOLO.

Non lo diceva a me, lo diceva a lui. A lui lo diceva, intendi? Luciano aveva tutte le qualità che possono sedurre una donna. Era più giovane, più bello di me, parlava bene, era pieno di ardore e di coraggio.

MARIO.

Come fa piacere eh? lodarlo ora!

PAOLO.

Doloroso! quando avessi bruciato, come tu volevi, quelle carte, e che poi un bel giorno fossi venuto a sapere di questo amore, chi avrebbe potuto levarmi di mente…?

MARIO.

La certezza ti rende sospettoso!

PAOLO.

Che vuoi dire?

MARIO.

Ma sì. Se temevi un anno prima, forse quello che avvenne non sarebbe avvenuto. Ho fatto male a non aprirti gli occhi. Allontanato da te, forse Luciano non si uccideva.

PAOLO.

Ma la prova mi sarebbe mancata.

MARIO.

La tua tranquillità costa cara…. agli altri.

PAOLO.

Non pretenderai mica che mi intenerisca sulla sorte di Luciano.

MARIO.

Non parlo di lui.

PAOLO.

E di chi?

MARIO.

Di tua moglie. Pensa che stato dev'essere il suo.

PAOLO.

Credi che si attribuisca…?

MARIO.

Eh sfido!

PAOLO.

L'ho veduta molto afflitta, ma non agitata.

MARIO.

Tu non vedi le cose continue, vedi solo quelle improvvise.—D'altronde Anna è padrona di sè.

PAOLO.

E ha fatto il suo dovere.

MARIO.

È da un pezzo che lo fa.

PAOLO.

Saprò rasserenarla, va, saprò consolarla.—Vedrai, Mario: Mi pare di essere tornato ai primi giorni del nostro matrimonio, di possederla da oggi soltanto.

MARIO.

Lascia fare al tempo. Hai letto, hai saputo, ti basti. È inutile che Anna sappia che tu sai.

PAOLO.

Era qui or ora quando il sindaco mi ha consegnato quel portafogli. Ma è uscita subito.

MARIO.

Non sa dunque che hai letto….

PAOLO.

L'avrà imaginato.

MARIO.

No. E ad ogni modo ti sarà riconoscente se fingerai d'ignorare….

PAOLO.

Andiamo. Non facciamo sottigliezze. Nulla è più arido del meditare il piano di condotta in queste cose. Quello che ha fatto, Anna lo ha fatto per me. Sono io che devo pensare a ripagarnela. Per me lo ha fatto, per me, per me, intendi?

MARIO.

E chi ti dice il contrario. Vedi come ti inquieti?

PAOLO.

M'inquieto! Sicuro che non andrò a dirle: Ho letto le tue lettere e ti ringrazio tanto! Si capisce che quando parlo di rasserenarla e di consolarla intendo colla tenerezza…. colla confidenza la più illimitata.—Sono sempre stato così.—Mi ha voluto bene così.—Non c'è ragione di cambiare, se anche non piace a te.

MARIO.

Come la pigli!

PAOLO.

Sei tu che la pigli male. Non mi hai detto una parola giusta. Mi aspettavo ben altro da te. Si direbbe, a sentirti che questa scoperta sia una disgrazia. Cosa ha portato di nuovo questa scoperta? Luciano è morto da un mese, il primo dolore era già passato. Se anche io seguitavo ad ignorare ogni cosa, non tornava in vita già! Non è riuscito a farmi il male che avrebbe voluto: sia pace all'anima sua. Mi resta la certezza dell'amore di mia moglie, e di questa, pensa come vuoi, io mi rallegro come della migliore fortuna che mi potesse capitare.

MARIO.

Vieni qui.

Gli mette un braccio al collo.

Sei persuaso che ti voglio bene?

PAOLO.

Sì.

MARIO.

E allora contento tu, contento io. Ti va?

PAOLO.

Sì. E adesso va a fare la valigia.

MARIO.

Ah giusto. Domani non posso partire.

PAOLO.

—No!?

MARIO.

È arrivato l'ingegnere Falchi. Posdomani c'è la seduta per il consorzio delle acque.

PAOLO.

Mandalo al diavolo.

MARIO.

Non posso, sono il presidente.

PAOLO.

S'era già fissato di partire oggi. Abbiamo tardato per cagion tua.

MARIO.

Come si fa? Dovevo vendere il fieno. È questione di tre giorni, quattro al più.

PAOLO.

Se andassimo Anna ed io intanto? La pigione del châlet ci corre da quindici giorni. Tu verresti a raggiungerci appena sei libero.

MARIO.

Se credi….

PAOLO.

Ti dirò. Posdomani è la festa di Anna. Finchè gli affari mi trattenevano a Milano tutto il luglio, quel giorno l'abbiamo sempre passato soli Anna ed io. Non lo facevamo di proposito, ma le cose portavano così. L'anno scorso ho potuto esser libero in principio di luglio e siamo venuti qui per non muoverne fino a settembre. Ebbene, tre giorni prima della sua festa, Anna, mi pregò di portarla a fare un giro in Svizzera.—Non mi disse, ben inteso, la ragione del suo desiderio, ma insistette perchè si partisse subito. Siamo andati a Interlaken e di là siamo saliti sino a Murren.—Il giorno di sant'Anna eravamo a Murren. Il luogo ci parve così incantevole, Anna se ne compiaceva tanto, che fin d'allora io fissai uno châlet per quest'anno. Quindici giorni fa, tu che non ti muovi mai, proponesti improvvisamente di accompagnarci….

MARIO.

M'hai trovato indiscreto?

PAOLO.

No. Hai visto che Anna ne ebbe piacere. Essa ti vuol molto bene.

MARIO.

Lo so.

PAOLO.

Quando dovesti ritardare fu lei stessa a proporre che ti aspettassimo. Ma quel primo ritardo ci lasciava ancora arrivare in tempo, questo secondo non ci lascierebbe più, e io proprio, ora, specialmente, ci tengo ad esser là a giorno fisso. È puerile se vuoi….

MARIO.

No. Va bene. Io vi raggiungerò.

PAOLO.

Si era rimandata la partenza a domani per aspettarti; ma dacchè non vieni subito si potrebbe partire stasera.

Scattando.

Ho bisogno di andarmene, di levarmi di qui. Quelle lettere mi….

MARIO.

Bruciale. Dalle a me.

PAOLO.

Ah no.—Non ancora.

MARIO.

Parti, parti stasera è meglio. Ma Anna sarà poi lesta?

SCENA TERZA.

ANNA e detti.

ANNA, che è entrata.

A far che?

MARIO.

Dicevo a Paolo che io domani non posso partire, ne ho ancora per tre o quattro giorni. È inutile che voi altri rimaniate qui al caldo ad aspettarmi. Paolo ai primi di settembre deve trovarsi a Milano; ogni ritardo gli abbrevia la dimora. Io sono già in età di viaggiar solo: appena libero vi raggiungo.—Che ti pare?

ANNA.

Come vorrete.

MARIO.

Ho anzi piacere di far dare una gran ripulita alla casa e al giardino. La vostra presenza disturberebbe, e la mia è necessaria.

PAOLO.

E poichè Mario rimane, io dicevo di andar via stasera.

ANNA.

Così presto?

PAOLO.

I tuoi bauli erano già quasi fatti.

MARIO.

Ci guadagnate una giornata. In questa stagione meglio viaggiare la notte che il giorno. È tempo di luna, la strada del Gottardo è incantevole.

ANNA, tra svogliata e disattenta.

Sì, sì.

MARIO, a Paolo.

Allora vai subito dal vetturale lì sulla piazza, e digli che tenga pronta una carrozza…. A che ora parte il treno da Poggio?

PAOLO.

Alle sette e venti.

MARIO.

Digli che si trovi qui alle sei. Ci manderei Battista ad ordinarla, ma l'ingegnere lo ha preso con sè. D'altronde è meglio vederla la carrozza, quello là ha certe arche antidiluviane.

PAOLO.

Se ci andassi tu. Tu lo conosci e conosci il suo arsenale…. potresti scegliere meglio…. scusa….

MARIO.

Hai ragione. Anna, ti mando Maddalena che ti aiuti a chiudere i bauli?

ANNA.

Sì, grazie, Mario. Mandami Maddalena che mi aiuti.

MARIO, uscendo.

E allora il pranzo alle cinque.

PAOLO.

Sì.

Mario esce.

SCENA QUARTA.

PAOLO e ANNA.

Silenzio. ANNA fa qualche passo verso la scrivania. PAOLO s'avvicina con impeto ad ANNA, la prende fra le braccia e la bacia.

ANNA, sciogliendosi con violenza.

Ah! che orrore!

Le parole «che orrore» le sfuggono involontarie dalle labbra, più esalate che dette.

PAOLO, atterrito.

Anna!

ANNA.

C'era una mia lettera in quel portafogli, eh?

PAOLO.

Sì—c'era.

ANNA.

Tu l'hai letta.

PAOLO.

Sì.

ANNA.

Ho ucciso un uomo e mi hai abbracciata per questo.

PAOLO.

Non volevo. Mi ero proposto di non dirtelo. Anche Mario me lo aveva consigliato. Poi ti ho guardato—mi hai fatto tanta pietà!—Ma che parola hai detto, Anna!

ANNA.

Perdonami. E promettimi che non mi parlerai mai di tutto ciò—nè da vicino, nè da lontano, nè aperto, nè velato, mai!

PAOLO.

Te lo prometto.

ANNA.

Non terrai la promessa.

PAOLO.

Oh!

ANNA.

Non la terrai—ti conosco.—Che disgrazia che tu abbia saputo! L'ho veduto entrando, nei tuoi occhi, che sapevi.—Speravo tanto che avresti sempre ignorato,—pregavo. Ma appena entrata l'ho veduto subito.

Con un impercettibile accento di pietà canzonatoria.

Avevi un'aria modesta e imbarazzata. Ti conosco tanto io! Vuoi sentire? Quando Mario ti propose di andare per la carrozza—ho pensato—non ci va.—Quando hai mandato lui ho sorriso.

PAOLO.

Ti ho vista—non capivo.

ANNA.

Si eh? Anche Mario mi ha vista a sorridere e ha capito.

PAOLO.

Non dire.—Che tu legga in me è naturale.

ANNA.

In ricambio eh? E guarda, quando Mario stava per uscire, ho anche pensato…. ora appena siamo soli—mi si avvicina e mi abbraccia.

PAOLO.

Vedi bene….

ANNA.

Che era naturale anche questo, non è vero?

PAOLO.

Ti amo tanto, Anna!

Lunga pausa.

È strano che mi dai soggezione. Ti dico una cosa e subito penso: dovevo dirla? Era meglio tacere? È la prima volta che provo un tale sentimento con te. Abbiamo bisogno tutti e due di distrazione.

ANNA.

Sì,—ma oggi non parto, sai.

PAOLO.

No? Avevi detto….

ANNA.

Ho pensato meglio. Non c'è nemmeno il tempo di preparare.

PAOLO.

I tuoi bauli sono già fatti.

ANNA.

Oh ne manca tanta della roba!

PAOLO.

Abbiamo otto ore di tempo.

ANNA.

Sono stanca.

PAOLO

Adesso Mario è andato ad ordinare la carrozza.

ANNA.

Sarà per un altro giorno.

PAOLO.

Domani in caso.

ANNA.

Non oggi, ecco.

PAOLO.

Non so nemmeno come fare a dirlo a Mario. Pare un capriccio.

ANNA.

Oh Mario capirà!

PAOLO.

Meglio di me.

ANNA.

Non volevo dire….

PAOLO.

Anna, tu non mi perdoni di aver letto quelle lettere.

ANNA.

Vedi che ne riparli già! Ebbene, no, no, no, povero Paolo, non è questo. Non ho nulla da perdonarti io. Credilo. Non c'è in me nè ira, nè amarezza. Avrei dato non so che perchè tu avessi ignorato; per te, per bene tuo, per la tua pace, non per me. Ma già sentivo che una volta o l'altra….

Pausa.

È stata una tragedia inutile, vedrai.

PAOLO.

Cosa vuoi dire?

ANNA.

Non lo so, non badare…. scusami….

Si avvia.

PAOLO.

Vai?

ANNA.

Sì.

PAOLO.

Così non mi dici nemmeno se si andrà via domani?

ANNA.

Abbiamo tempo a decidere.

PAOLO.

Oh altro!

Anna via.

SCENA QUINTA.

PAOLO poi MARIO.

PAOLO, silenzio.

Una tragedia inutile!

Siede coi gomiti sulle ginocchia e la testa fra le mani.

MARIO.

Ecco fatto. E Anna?

PAOLO.

Di là.

MARIO.

Maddalena verrà subito, era andata al lavatoio. Ebbene? Andiamo, scuotiti, caccia via quell'idea fissa. Si sa che al primo momento…. Fai bene a partir subito, il viaggio ti snebbierà.

PAOLO.

Non si parte.

MARIO.

Come?

PAOLO.

Anna non vuole.

MARIO.

Perchè?

PAOLO.

Mah!

MARIO.

Le hai detto….

PAOLO.

Ha capito, mi ha domandato…. non potevo mica negare.

MARIO.

Ti ha domandato così di suo, senza che tu le dicessi nulla?

PAOLO.

Fammi la grazia di non farmi il processo ora. Se tu sapessi cosa ho nella testa!

MARIO.

Vuoi tu che provi a parlarle io? Sono proprio persuaso che a star qui è peggio.

PAOLO.

Prova, chissà. Tu la capisci così bene! Lo ha detto lei.

MARIO.

Ma tu mi prometti di non almanaccare intanto?

PAOLO.

Che devo prometterti? Non mantengo. Anche questo lo ha detto lei. Mi conosce.—Tu non mi conosci?

MARIO.

È in camera sua?

PAOLO.

Credo.

MARIO.

Lascia fare.

PAOLO.

Ah, bada! Se…. No, va, va…. va, va, vedremo poi.

Mario esce.

SCENA SESTA.

PAOLO poi MADDALENA, indi MARIO di dentro.

PAOLO prende la lettera dal portafogli, legge con molta ponderazione accentando le parole.

«Mi scrivi che se non rispondo tu ritorni immediatamente».

Parlato.

Mi scrivi! Dove sarà quella lettera?

Legge.

«Amo mio marito, ecco la mia risposta. Questa, solamente questa, per sempre questa.—Ti supplico di non tormentarmi».

Parlato.

Ti supplico di non tormentarmi.—Uhm!

MADDALENA.

Sono qui.

PAOLO.

Non c'è bisogno di te…. non ce n'è più bisogno per ora. Se occorrerà ti chiameremo.

MADDALENA.

Scusi, signor Paolo: è vero quello che dicono in paese?

PAOLO.

Che cosa?

MADDALENA.

Che il Sindaco le ha portato stamattina il portafogli del signor Luciano con dentro tanti denari per i poveri.

PAOLO.

Ma che!

MADDALENA.

Lo ha detto adesso al lavatoio la serva del Sindaco.

PAOLO.

Non c'era dentro nulla, va, ha visto anche il Sindaco.

MADDALENA.

Oh perchè non faceva stupire. Il signor Luciano veniva di rado in paese, ma quando ci veniva ne spendeva.

PAOLO.

Me ne rallegro.

MADDALENA.

Anche l'anno passato sa, Liberata, la vedova del minatore che andava in America a raggiungere il figliuolo…. che lei le aveva dato cinquanta lire…. ebbene il signor Luciano glie ne ha date cento.

PAOLO.

Ma che storie! non era nemmeno qui.

MADDALENA.

Come non era qui? Ho visto io….

PAOLO.

Ma fammi…. Quella donna ha ricevuto l'annunzio che le era morto il marito nella miniera, e che il figlio la chiamava in America, la vigilia del giorno che io partii per la Svizzera, un anno a ieri o ad oggi, me lo ricordo perchè ho potuto darle quel poco danaro in oro che mi ero già procurato…. Essa doveva partire dopo due giorni….

MADDALENA.

Ecco.

PAOLO.

Come ecco? Luciano non era qui.—Lo so.

MADDALENA.

È arrivato il giorno che Liberata si è messa in viaggio.

PAOLO.

Ah! Due giorni dopo che eravamo partiti noi.

MADDALENA.

Sarà. È arrivato alla mattina.

PAOLO.

Alla sua villa.

MADDALENA.

No, no qui: ma ha trovato il signor Mario solo: si seccava poveretto, è ripartito subito.

PAOLO.

Ah…. non sapevo…. allora hai ragione tu.—Ah è venuto? Hai ragione tu.—Oh era generoso! Ha lasciato tutto il suo all'ospedale.

MADDALENA.

Sì, ma sa l'ospedale!…

MARIO di dentro chiamando.

Maddalena!

MADDALENA.

Eccola!

SCENA SETTIMA.

MARIO e detti.

MARIO.

Vai di là che la signora ha bisogno di te.

Via Maddalena—a Paolo.

L'ho persuasa.

PAOLO.

Che fortuna avere un buon avvocato.

MARIO.

E come vedi non c'è voluto molto.

PAOLO.

Scommettere che indovino come te la sei pigliata?

MARIO.

Oh, semplicissimo! Le ho….

PAOLO.

No—lascia dire a me. Lo voglio anch'io il mio piccolo trionfo. Hai rinunciato agli affari che ti trattenevano e ti sei deciso a partire con noi.

MARIO.

Anche questo.

PAOLO.

Eh? Se lo sapevo? Quando andavi di là stavo per dirtelo, e poi ho voluto vedere. E allora Anna si è subito disposta?…

MARIO.

Ti dispiace?

PAOLO.

Figurati! Quanti più siamo…. Non andiamo per distrarci?—I luoghi, il viaggio, gli alberghi…. sì, sta bene!… Ma la compagnia!—È per fuggire che bisogna essere in pochi.

MARIO.

Cosa dici?

PAOLO gli mette le due mani sulle spalle e gli parla viso a viso scuotendolo.

È per fuggire, intendi? che bisogna essere in pochi. Per fuggire, come abbiamo fatto Anna ed io l'anno passato.

MARIO.

Non capisco.

PAOLO.

Non me l'hai mica detto che Luciano era stato qui l'anno passato—nè il giorno che c'è stato.

MARIO.

Non so—non ricordo….

PAOLO.

Va là, va là, va là—lo sapevi. E sapevi che Anna s'era fatta condur via per fuggirlo.—E io fuggivo con lei tutto beato!—Lo vedi questo marito che piglia il treno e…. via! innanzi che arrivi quell'altro.

MARIO.

Metti che sia vero. Ciò ti dice nè più ne meno di quello che ti hanno detto le lettere.

PAOLO.

No. Un po' di più. Tutto dice un po' di più.—Vedi un granellino sull'altro, uno sull'altro, si fanno delle macine che ti schiacciano. Dice un po' di più. Altro è tener lontano, altro è fuggire. Si allontana un importuno, senza supplicarlo però!—Ma si fugge per paura.

MARIO.

Uh!

PAOLO.

E guarda, guarda, guarda, facciamo un po' di esame, così per fare. Vediamo. È improbabile che lui le avesse scritto che stava per venire. Anzi è certo che non le aveva scritto, perchè lei avrebbe risposto:—Mi scrivi che vieni…. amo mio marito—ti supplico di rimanere.

MARIO.

Oh!

PAOLO.

Era dunque stata lei—a prevedere le intenzioni…. lo sentiva arrivare…. per quella divinazione….

MARIO.

Sei il primo marito che si cruccia perchè la moglie ha fatto il suo dovere.

PAOLO.

Uhum! Dovere! Brutta parola!

MARIO.

Se c'è al mondo un'onesta donna!…

PAOLO.

Donna o moglie?

MARIO.

Fa lo stesso.

PAOLO.

No, no. Donna è per tutti: moglie è per me solo. Credi tu che si sposi una donna perchè è onesta? Mai più! La sposo perchè l'amo e perchè credo che mi ami. Ci sono mille donne oneste—ce n'è una che amo, una sola che mi ama…. se c'è!

MARIO.

Paolo!

PAOLO.

E se lo amava? Di'. Se lo amava? E se lo ha respinto per virtù, per dovere? Di'.—Cosa resto io?—Se fosse vivo, potrei lottare, potrei vincerlo—ma è morto—ma si è ucciso per amor suo.—Se lo amava nessuna forza glielo strappa più dal cuore.

MARIO.

Tu pensi….

PAOLO.

Non lo so.—È ben questo! Che non lo so.—E voglio saperlo—voglio sentirmelo gridare da lei sulla faccia.—E me lo dirà….—Oh ne ho avuto il sentimento appena ho letto la prima lettera.—Non capivo ancora nulla, anzi, credevo: «Amo mio marito.» Ma sentii subito un martello qui, che mi faceva un male! un male! E non sapeva cosa fosse. Oh prima che certe paure prendano corpo, ce ne vuole del tempo.—Prima mordono, mordono…. e non si sa che cosa sia.—Ero contento…. ti dicevo che ero contento, volevo persuadermene, ma tu hai veduto che mi mordeva la paura.—E se lo amava? Oh! sicuro! Tanto più ammirevole, eh? Tutto il mondo l'ammirerebbe.—Bella grazia!… Anch'io l'ammirerei in ginocchio se fosse la moglie di un altro. Ma è la mia.—Non sono il giudice di mia moglie, io. Sono in causa, non posso giudicare, sono il possessore…. è mia, è cosa mia! Devo ammirarla perchè potendo frodarmi tutto, mi ha frodato solo una parte!—Io guardo quello che mi ha tolto non quello che mi rimane.

MARIO.

Sei pazzo, va.

PAOLO.

Ma non vedi che le sono odioso!

MARIO.

Oh Dio!

PAOLO.

Odioso! Tu non eri qui un momento fa. Non ha forse bisogno che tu l'aiuti a sopportare la mia presenza?

MARIO.

Oggi. Perchè sa che hai letto—te lo dicevo io? Perchè è imbarazzante.

PAOLO.

Non oggi soltanto. Tu non ti muovi mai di qui, mai.—In quindici anni che fai il campagnuolo non sei stato fuori una settimana. E quindici giorni fa ti è venuta improvvisamente l'idea di girare il mondo.—Te ne aveva pregato essa.

MARIO.

Ti giuro….

PAOLO.

Non ti credo a te.—Me lo dirà Anna.

Si avvia.

MARIO.

Cosa fai?

PAOLO.

Vado a domandarglielo.

MARIO.

No, Paolo.

PAOLO.

Lasciami andare….

MARIO.

Ma no…. c'è di là Maddalena.

PAOLO.

Oh per questo.

Chiama ad alta voce.

Anna! Anna!

MARIO.

Sei un ingrato!

PAOLO.

Se amava me, non le è costato molto respingerlo.—Se amava lui non le devo riconoscenza.

SCENA OTTAVA.

ANNA e detti.

ANNA.

Mi hai chiamato?

PAOLO, a Mario che fa per andarsene.

No, no, resta. Sì, Anna. Volevo domandarti una cosa. Qualunque sia la tua risposta, ti credo.

ANNA.

Ne sono persuasa.

PAOLO.

Sei tu che hai pregato Mario di venire con noi? Non oggi, sai.

ANNA.

Nè oggi, nè prima.

MARIO.

Vedi?

ANNA.

Non l'ho pregato e non glie l'ho proposto. Devo dire però che se Mario non veniva non sarei andata nemmeno io.

PAOLO.

Oggi. Ma quindici giorni fa?

MARIO.

Ah senti, è ridicolo. Ti ha già detto….

ANNA.

No, Mario, non è ridicolo. È naturale che Paolo desideri di sapere e ha il diritto d'interrogarmi.

PAOLO.

Non voglio far valere i miei diritti.

ANNA.

Hai torto. Bisogna far valere i nostri e rispettare quegli degli altri. Quindici giorni fa sarei andata anche con te solo.

MARIO.

O benedetto Iddio!

PAOLO.

Temevi eh? che dicesse di no.

ANNA.

Ma la sua proposta di accompagnarci mi è stata di un grande sollievo.

PAOLO.

Vale a dire che ti sarebbe pesata la mia sola compagnia.

ANNA.

Non pesata. Mi avrebbe inquietata.

PAOLO.

E si può sapere perchè?

ANNA.

Oramai si può.—Perchè era seguita una disgrazia della quale tu allora ignoravi le ragioni, mentre adesso le sai. Sapendole, capirai che io dovessi esserne molto turbata, ma per la tua pace, dovevo nasconderti il mio turbamento, e avevo diritto di nasconderlo, poichè non avevo nulla a rimproverarmi verso di te. Capisci che ad essere in due, sempre insieme è più difficile simulare…. tutte le ore…. tutte le ore!… mentre la presenza di un terzo….

MARIO.

Ma vedi! ma vedi!

ANNA.

Mario ebbe la buona idea di accompagnarci.

PAOLO.

Mario che sapeva lui!

ANNA.

Questo lo ignoro.

PAOLO.

Non te ne ha mai parlato?

MARIO.

Non rispondergli, Anna, non rispondergli, vieni via—è malato…. non ragiona…. povero diavolo…. gli passerà…. e capirà allora….

ANNA.

Oh no…. è inutile….

PAOLO.

Una tragedia inutile, è vero Anna?

ANNA.

Non hai più nulla da comandarmi?

PAOLO, imperioso, acciecato.

Sì. Voglio le lettere che ti ha scritto Luciano.

ANNA.

È giusto.—Vado a prenderle.

si avvia.

PAOLO.

Tutte!

ANNA torna e gli dà una chiave.

Sono nella mia scrivania, nel primo cassetto a destra. Sono legate da un nastro nero.

PAOLO.

Va bene.

Via.

SCENA NONA.

ANNA, MARIO, poi PAOLO.

MARIO.

Perdonalo, Anna, non sa quello che si faccia.—Ti ama tanto.—È un carattere debole.

ANNA.

Oh! senza pietà.

MARIO.

Come i deboli. Ti ama, ti ama.

ANNA.

Tanto male mi ama. Si perderà.

MARIO.

No, tocca a te sostenerlo.

ANNA.

Finchè giova.

PAOLO torna colle lettere in mano—va alla scrivania, prende le altre, le getta tutte nel camino, le accende.

MARIO.

Che fa? Guarda, Anna.

ANNA rigida, immobile, guarda le lettere bruciare, e mormora a mezza voce come trasognata.

Via! Via! Via! Via!

PAOLO viene verso Anna colle mani giunte in una esaltazione supplichevole, scoppia in pianto, le si inginocchia davanti.

MARIO esce tra commosso e dispettoso.

SCENA DECIMA.

ANNA e PAOLO.

PAOLO, sempre in ginocchio.

E adesso…. Puoi perdonarmi?

ANNA riluttante gli pone una mano sulla testa, poi indulgente e scorata.

Alzati, alzati.

PAOLO.

Dimmi che mi perdoni. Ti giuro che vorrei morire qui.

ANNA.

Sì, sì. Alzati, non stare così. Mi fai pena.

PAOLO, levato.

Io non so cosa mi sia passato per la testa…. ma ho sofferto tanto!

ANNA.

Si è visto…. sì…. calmati.

PAOLO.

Mario non ha tatto…. è stato lui ad irritarmi fin dal principio.

ANNA fa per avviarsi.

PAOLO.

Non andartene—sta qui un momento.

ANNA siede sul sofà.

PAOLO.

Vedi bene che mi è passato subito quell'accesso di violenza. È proprio perchè c'era Mario qui. Mario è buono, è giudizioso, ma la sua presenza mi irritava.—Sì sì, avevi ragione tu! ma devi anche capire lo stato dell'animo mio.

Si alza a passeggiare.

In fin dei conti tutta questa burrasca cosa vuol dire? Vuol dire che ti voglio bene—e questo è l'essenziale, mi pare! Bisogna considerare il fondo delle cose. Sono cinque anni che siamo marito e moglie, e puoi dire tu se ti ho mai dato il più leggero motivo di lagnanza. Io credo proprio di no, e cinque anni sono cinque anni. Mi sono fatto una bella posizione lavorando, tu hai sempre figurato in società; un divertimento che è un divertimento, da solo non me lo sono preso mai. Avevo gli amici, il circolo…. gli altri mariti dopo un anno la sera…. io ho rinunziato ad ogni cosa.—Non voglio farmene un merito, ma….

ANNA.

Fammi il piacere, non girare tanto!

PAOLO.

Scusa.—Mi lasci sedere qui accanto a te?

Lungo silenzio.

Quand'è che ti vedrò sorridere, Anna? No, non levarti. Allora non è vero che mi hai perdonato!

ANNA.

Cosa vuoi, Paolo…. neh?…. cosa vuoi da me?… dillo subito.

PAOLO.

Mi hai fatto promettere che non ti avrei mai parlato….

ANNA.

Oh ma ti ho detto subito che avresti mancato alla promessa. Hai torto però! Credi a me. Non mi domandar nulla. Quando non ci sarà più pericolo, ti prometto, ed io mantengo, ti prometto che ti dirò io ogni cosa, senza che tu me lo domandi. E sarà un bene per tutti e due. Ma voglio essere io giudice del momento.

PAOLO.

Ebbene, sì, non mi dir nulla, ma vieni via con me, con me solo; penso io a persuader Mario; egli veniva per compiacerti e sarà molto più contento di vederci partire insieme, in segno di pace. Capisco che ti ripugna di risvegliare quelle memorie, ebbene, invece di risvegliarle, io te le farò dimenticare,—ti giuro,—ti giuro che non se ne parlerà mai più, ma vieni via con me; vieni via con me e vedrai quanto amore….

ANNA.

Non pretendere, Paolo. Se lo pretendi ti seguirò, ma….

PAOLO.

No, no, non pretendo. Vedi bene che sono qui supplichevole, non ti vorrei a forza. Ma senti ancora, senti ancora. Riconosco, sai, quello che hai fatto. Oh te ne saprò rimunerare per tutta la vita. Lo riconosco, non c'è al mondo una donna più santa di te; ma tu devi entrare nell'animo mio e avere qualche pietà anche di me.

ANNA.

Ah, ah!

Ride amaramente.

PAOLO.

Perchè vuoi prolungarmi questo tormento? quando non ci sarà più pericolo, hai detto! Che pericolo c'è? Da chi dipende questo pericolo? Da te? o da me? Che cosa può mutare in noi il tempo? Ti ho sempre amata, ti amo, e guarda, in questo momento ti amo come non ti ho amata mai!—Dammi la mano, la mano soltanto. Dio! Anna! sei tanto bella! E sei mia, sei mia moglie, e il giuramento che mi hai fatto quando ci siamo sposati, non è solamente di fedeltà, ma è di amore. Vieni via, vieni via.

ANNA.

No, no, no.

PAOLO.

No!? Hai paura, eh? di essergli infedele?

ANNA.

Paolo! Paolo!

PAOLO.

E se ti voglio?

ANNA.

Non puoi volerlo.

PAOLO.

E se voglio?

ANNA.

Paolo!

PAOLO.

E se comando?

ANNA.

Distruggerai in un momento tutta l'opera mia. Ma pensa che la tua violenza è una liberazione per me.

PAOLO.

O vieni, o parli!

ANNA.

Vuoi così? Ci siamo arrivati? Io ho fatto quello che potevo…!

PAOLO.

Sì, va.—Parla!

ANNA.

Amavo Luciano e lo amo ancora!

PAOLO.

Oh!

ANNA.

Lo amavo, lo amavo.—Senti? lo amavo e godo una gioia immensa a dirtelo qui,—e tu non hai veduto che morivo dalla voglia di gridarlo…. e quando ti vedevo serrarmi da vicino colla tua curiosità feroce, mi dicevo: ci viene…. ci viene…. Ci sei venuto. Lo amavo, lo amo, e non ho amato che lui al mondo, e provo il rimorso della mia virtù.—Lo sai ora?

PAOLO.

Va bene!

Si avvia.

ANNA.

Ah no.—Stai qui ora, ora mi senti.—Hai voluto che parlassi, ora parlo…. ora sono io che ti trattengo. Capirai bene che dopo un colloquio come questo, fra te e me è finita—bisogna dunque dirci ogni cosa—io ti ho ascoltato, ti ascolterò ancora se vorrai, ma devi ascoltarmi tu pure. Cosa hai fatto tu per me? Che aiuto mi hai dato? Hai saputo vedere, quando era giusto che tu vedessi? Hai saputo nemmeno sospettare? È bisognato che un uomo morisse…. ma che! nemmeno questo! Quando tu non soffrivi come soffri ora, hai saputo vedere quello che soffrivo io? Ti è parso che il mio dolore fosse il dolore per la morte di un tuo parente! Non hai capito che ero atterrita: mi dormivi accanto e non ti sei accorto che le prime notti mordevo le coperte per non gridare. In un momento vieni a conoscere tutti i fatti. E che cosa sono questi fatti? Che io tua moglie per anni, in silenzio, ho difesa la tua pace, ho compiuto quello che la gente chiama il mio dovere. Allora la tua curiosità si sveglia, e per guadagnare il tempo perduto vuole violentarmi l'anima e penetrarvi giù, giù fino al fondo. Ah, no, Paolo, no: non si fa così, nè per te, nè per me. No, non conviene saper tutto. E non si entra per la gran porta nelle anime; vi si entra a tradimento. Hai voluto spalancarla: ebbene hai visto: non c'è dentro più nulla per te.

PAOLO.

No? hai ragione tu, eh?—Hai ragione tu, è vero, lo riconosco anch'io che hai ragione. Ma il tuo amore non l'ho avuto mai, eh? L'hai detto tu; non l'ho avuto mai il tuo amore? E allora?… Hai ragione tu.—Eppure sai cosa faccio io? Ti scaccio da casa mia!

ANNA, giubilante.

Oh vado, vado, vado, e non ritornerò mai più! E non pregare, sai, e non venire a me. Non ho più forza di avere pietà. Quando ti avrò detto addio, sarò morta per te!

Entra correndo nella sua camera.—PAOLO immobile, esterrefatto aspetta.—ANNA ritorna con cappello e mantiglia, traversa e fa per uscire.

PAOLO.

No, Anna, no, no, no. Anna, no. Per carità aspetta. Siamo pazzi tutti e due. Che sarebbe di noi? Tu mi sei necessaria.

Le si avviticchia.

Non andare, non voglio, sai, resta qui.—Ero pazzo, non andare, vedrai—tutta la vita….

Anna vuole sciogliersi.

No, per carità…. se vai, se ti sciogli, se parli, sento che è inesorabile.—Resta, resta, Anna…!

ANNA si scioglie.

Addio!

Via.

Cala la tela.