DELLA SCIENZA MILITARE
LUIGI BLANCH
DELLA SCIENZA MILITARE
A CURA DI AMEDEO GIANNINI
BARI GIUS. LATERZA & FIGLI TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI 1910
PROPRIETÀ LETTERARIA NOVEMBRE MCMX — 26149INDICE DELLA SCIENZA MILITARE
CONSIDERATA NE' SUOI RAPPORTI COLLE ALTRE SCIENZE E COL SISTEMA SOCIALE
DISCORSI NOVE
PREFAZIONE A QUESTA SECONDA EDIZIONE
Se a questa seconda edizione aggiungiamo una prefazione invece di un avvertimento, come facemmo prima, crediamo necessario dar conto ai nostri lettori delle ragioni che ci hanno ciò consigliato, e dire che cosa in essa ci siamo proposti. La ragione principale che ci ha determinato a mettere una prefazione innanzi al nostro lavoro, deriva particolarmente dai giudizi dei giornali militari stranieri, da alcune opere e da alcune opinioni di celebri personaggi e competenti giudici, i quali ci hanno spinto a modificare, per effettuarlo quando che fosse, il disegno che indicammo nell'avvertimento pubblicato in testa della prima edizione, e che è di dare un piú largo sviluppo al nostro lavoro, trasformandolo in una storia della bellica scienza considerata sotto l'aspetto da noi prescelto. Ancora indicammo quali subbietti meritavano di essere piú svolti e piú completamente posti in luce di quello che erano nei Discorsi. Dicemmo infine che per imprendere questo nuovo lavoro avremmo aspettato la critica per trarne profitto, ed alcun incoraggiamento per istabilire fermamente il nostro proposito. L'indulgenza benevolente con che hanno trattato il nostro lavoro i vari giornali italiani, lo Spettatore francese, il Giornale militare di Prussia, i generali Jomini e Oudinot, lo Zambelli ed altri autori e giornali di cui abbiamo mediate e non dirette notizie, fa che profittando anche delle critiche urbanissime e limitate che ci si sono fatte, ci siamo determinati a continuare il lavoro intrapreso. Ma due metodi ci si offrivano; e in prima quello enunciato nell'avvertimento, cioè di servirci del lavoro fatto per prima bozza e dargli un tale sviluppo che ogni discorso divenisse un libro, e l'opera tutta non un saggio sulla storia della scienza ma la storia della scienza nel suo senso compiuto. Questo modo però di trattare il subbietto ci parve che avesse un difetto essenziale, che sorgeva dall'aspetto sotto cui consideravamo la storia militare. Infatti noi la consideriamo come espressione della societá, e perciò credemmo dover in essa e per essa scovrire le condizioni della societá e lo stato del suo scibile, cioè tutto ciò che il grado di civiltá di un popolo costituisce. Ora niun dubbio vi è che per tesserla come storia sotto questo aspetto, bisognava far conoscere lo stato delle scienze esatte e naturali. Era anche piú necessario di dare alle scienze morali, come la legislazione, l'economia pubblica, la filosofia e la letteratura, uno sviluppo corrispondente alla loro importanza, per la tesi che sosteniamo e per il nesso e le moltiplici relazioni che sono tra esse e la scienza della guerra; perché un esercito è una societá compiuta, meno la famiglia, ond'è piú artificiale e piú difficile ad esser diretta nelle sue operazioni. Per tutto ciò trovammo che non si poteva che indicar solo e non mostrare come queste scienze tutte avevano seguíto quasiché parallelamente le stesse fasi che le militari, e che avevano tutte conferito di spontaneo concerto ad operare tutte quelle successive modificazioni che hanno finito per trasformare la societá antica in quella del medio evo e questa nella moderna. Fatto che per i suoi caratteri, per la costanza del risultamento finale, malgrado le lagune e le apparenti contraddizioni, si mostra come un avvenimento determinato in una piú alta regione, per modo che l'umanitá vi ha operato come istrumento senza aver avuto coscienza del suo fine. Penetrati da questa veritá, che senza sviluppo per le scienze morali poteva essere contraddetto il principio che imprendemmo a svolgere, sentimmo la necessitá di far precedere la composizione della storia, aggiornandola indefinitamente, da una serie di lavori parziali, ma rannodati dal loro scopo finale e dal nesso che in esso vi era, giacché questi offrivano sui vari rami dello scibile e sulle scienze belliche una larga ripruova di quanto nei Discorsi avevamo esposto; e cosí allora, se avevamo tempo, forza e vita, potevamo tesser detta storia condensando tutti questi lavori, oppure lasciarli come materiali a chi con maggior senno e sapere volesse questa impresa condurre a fine. Perciò nel 1836 pubblicammo una Miscellanea, ove riunimmo con una prefazione alcuni nostri discorsi pubblicati nel Progresso sull'economia pubblica e uno sulla filosofia, ch'erano o memorie originali o analisi di opere sorte alla luce, e sette discorsi sulla legislazione considerata sotto lo stesso aspetto che le scienze belliche. Successivamente abbiamo in una serie d'articoli riguardato dallo stesso lato la filosofia e la letteratura, e abbiamo cosí fatto aumento a quelli giá pubblicati sull'economia e sulla legislazione. Indipendentemente da questi lavori nel Progresso, abbiamo dall'anno primo dell' Antologia militare collaborato, e vi abbiamo scritto parecchi articoli che sono stati trattati con eguale indulgenza dai giornali di Francia, di Germania e d'Italia e ch'egualmente avevano per fine principale di servire di sviluppo e dimostrazione alla tesi primitiva e di dare una idea piú compiuta di alcune parti della scienza bellica che prevenimmo dover essere piú estesamente trattate. Esposta la ragione per la quale questa prefazione in testa alla nuova edizione mettiamo, prenderemo ora, per darle tutta l'importanza che si lega al suo titolo, a trattare qualche quistione che mette in luce il nostro lavoro e fa piú che mai conoscere perché questo secondo metodo al primo indicato preferiamo. Ecco appunto ciò che tratteremo prima di far termine e conchiusione a questo discorso preliminare.
La genesi di questo lavoro venne dalla sua utilitá; il subbietto che contiene si riduce a determinare l'origine della guerra come fatto sociale, i suoi effetti nell'ordine generale e le sue relazioni con esso: come si manifestò presso i popoli colti dell'antichitá e nel medio evo, come contribuí a trasformar questo stato nella moderna societá, quale fu l'azione ch'esercitò sullo scibile e sullo stato sociale e quale influenza ebbero questi su di essa, tanto come scienza che come fatto sociale, e come da ciò derivi che può esserne il simbolo e l'espressione.
Cominciato avendo la carriera delle armi nel primo anno del presente secolo, ci sforzammo di comprendere la scienza che al mestiero nostro corrispondeva, e tosto vedemmo che tante piú difficoltá incontravamo quanto piú alto ci innalzavamo nel suo studio, e scorgemmo che non poteva essere ben compresa una scienza nel suo piú ampio significato se non si acquistavano nozioni positive sulle scienze che con essa avevano molteplici relazioni. E poiché la base della guerra è nel suo principale agente ch'è l'uomo, e il suo teatro è il mondo, ne deducemmo che le scienze morali, che riguardano l'uomo nella sua natura e nelle sue manifestazioni e che fornivano le regole per facilitargli il cammino nel mondo, erano quelle che solo potevano dare spiegazione del grande fenomeno che le storiche composizioni e la piú alta parte delle poetiche narravano e rappresentavano. Considerammo egualmente che oltre a questi studi che l'agente riguardano, bisognava conoscere ove operava, cioè il mondo, per potersi calcolare il valore dello spazio, del tempo e dei locali accidenti, ed in ultimo tutte quelle sostanze che contengono gli attributi necessari per divenire propri istrumenti, cioè le armi di cui gli uomini dovevano far uso e tutto ciò che per materiale di guerra è necessario. Da ciò conchiudemmo che le scienze morali, le esatte e le naturali corrispondevano ai principali elementi della guerra, cioè agli uomini, alle armi e agli ordini, con la cognizione degli spazi ove quelli e questi operavano. Ciò fissato, ci sembrò che una scienza la quale aveva sí estese relazioni e che aveva servito di mezzo alle piú grandi trasformazioni sociali ed altre ne aveva impedite, doveva rannodarsi alla destinazione di tutta quanta la umanitá, e che doveva potentemente influire sulla fisionomia che riveste ogni periodo importante della storia delle nazioni. La quantitá degli avvenimenti che si passavano nel tempo, la loro potente azione sulle sorti dei popoli, la rapiditá delle trasformazioni sociali, tutto questo grandioso spettacolo richiamava la nostra attenzione e ci confermava nelle nostre prime idee, le quali per lo spazio di trentacinque anni acquistarono maggior valore cosí per i fatti come per le scientifiche produzioni. Per cui, osservando che l'organizzazione della forza pubblica, le somme che assorbiva, che piú o meno equivalgono ad un terzo della pubblica rendita degli Stati; dippiú che tutte le determinazioni di politica esterna, come trattati di pace, di alleanza e anche di commercio dai quali le guerre potevano derivare, erano tutti fondati sulla forza delle diverse potenze, e che questa si misurava sul suo sistema militare strettamente rannodato al finanziario che lo alimenta; e finalmente che siffatte quistioni erano quelle che naturalmente preoccupavano tutt'i corpi consultivi o deliberanti dei diversi Stati di Europa; ci persuademmo che era anormale che i membri che componevano queste congreghe fossero nel maggior numero estranei alle nozioni delle scienze belliche, e che i militari che vi si trovavano non avessero nozioni in generale dei rapporti della guerra con lo stato sociale. Da ciò deducemmo che le decisioni dovevano sovente risentirsi di questa mancanza di cognizioni e i loro effetti aver grandi e larghe conseguenze sulle sorti delle nazioni. Cosí immaginammo in una serie di brevi discorsi di svelare queste relazioni e metterle a portata di tutti gli uomini che di pubblici affari si occupano, non certo per completare la loro istruzione su questo punto, ma per eccitarli e facilitar loro il mezzo di acquistarla. Lo Spettatore militare di giugno 1835 nell'analizzare il nostro lavoro ha fatto osservare questo aspetto della quistione.
Ora che abbiamo esposto la genesi e il fine del nostro lavoro, ci resta a svolgere gli oggetti che ivi si sono trattati con un po' piú di estensione, come enunciammo. Il primo che ci si fa innanzi tanto nell'ordine de' tempi che in quello delle idee è l'origine della guerra, giacché sembra un atto sí demente quello di accrescere i mezzi di distruzione quando l'umanitá lotta invano contro quelli che sono nella natura, che tale fenomeno non si è potuto che attribuire alla depravazione ed al capriccio dell'umanitá, vale a dire ad una origine derivante da un principio anormale. Perciò noi cercammo dargli una base piú razionale, piú in armonia e in proporzione con i suoi effetti e la sua durata; e trovammo che se era qualche volta istrumento del male, non era l'origine di questo, ma serviva a reprimerlo, come le leggi fanno per ogni societá, e che invece di essere un'anomalia, era un fatto naturale delle condizioni dell'umanitá, e perciò non incompatibile con esse, che anzi dava impulso a certe virtú che l'umana natura rilevavano; che stabilita questa origine, era divenuta scienza ed arte, e perciò era stato mezzo conservatore da render atto a difendersi, ed anche da far soggiogare dalle piccole nazioni incivilite le orde piú numerose de' barbari, e cosí aver conservato ed esteso la civiltá e dimostrato la superioritá della intelligenza che dirige la forza minima sulla massima priva d'intelligenza; che ciò fissato, lo stato sociale e lo scientifico in ogni popolo doveva essere in relazione con la militare organizzazione e risentir dei cangiamenti e modificazioni che essa subiva, e in essa far penetrare quelle modificazioni che accadevano nell'insieme della societá in tutto ciò che la sua civiltá costituiva. Per dar di ciò pruova dovemmo esporre il movimento parallelo della guerra e della societá presso i popoli dell'antichitá, indicare le cagioni della loro decadenza, se era, come si asseriva dai piú, perché erano giunti all'apice della civiltá o se perché erano molto da essa lontani. Dovemmo anche dire come lo scioglimento dell'antica societá nel medio evo e l'oscuritá de' secoli sotto l'aspetto dell'intellettuale coltura fecero sparire la guerra come fatto collettivo regolarmente operato e la sua scienza, ma senza che l'umanitá fosse meno manomessa: pruova positiva che non sono i metodi che producono i mali della guerra, che anzi li raddolciscono regolarizzandoli, ma che i suoi tristi effetti stanno sulla terra e nascono da un piú alto principio, che l'umana volontá può aggravare o scemare ma non distruggere intieramente. Egualmente ci sforzammo di dimostrare per la societá moderna come all'epoca del risorgimento scientifico e letterario e della regolaritá de' governi la guerra riprese forme scientifiche e metodi razionali, come si serví de' progressi dello scibile e gli accelerò con la sua vigorosa azione, come segnò l'èra di tutte le modificazioni che l'ordine politico, il sociale e l'intellettuale subirono, come i primi inciviliti dominarono quelli che ancora non erano, e come in ragione che alla civiltá s'iniziarono, i loro sforzi materiali dall'intelligenza diretti ebbero nella bilancia politica quel peso che prima non avevano.
Fermato il metodo seguito per esporre la nostra tesi, passeremo ad indicare brevemente i lavori sussidiari che prendemmo a svolgere per dimostrare ciò che sembrar poteva una semplice asserzione. Perciò credemmo necessario mostrare, come indicammo, che la legislazione, che dá leggi, regole e limiti alla volontá umana assegnandole un fine nella civile societá, aveva subito le stesse fasi che le scienze belliche nel loro svolgimento, perché la forza pubblica è costituita dalla legislazione ed è destinata a garentirla contro gl'interni nemici ed esterni. Egualmente mostrar volemmo come è l'economia pubblica che fissa i metodi e spiega le leggi con cui l'uomo può e deve con la sua intelligenza e la sua forza ai suoi bisogni far servire gli attributi della materia, e trasformare in mezzi quegli elementi che sono ostacoli per una barbara societá, per farla progredire nella civiltá; e con memorie originali o con analisi di opere che trattavano dell'economia pubblica, dei suoi metodi e delle sue vicende presso i popoli orientali, presso i greci e i romani, nel medio evo e nella moderna societá, cercammo dedurne le relazioni ch'erano tra la scienza che espone i metodi di produrre, consumare e distribuire le ricchezze e quella che deve garentirli contro tutte le opposizioni che può incontrare nel proprio seno o nella rivalitá delle altre nazioni. Cosí ci parvero chiaramente stabilite le relazioni tra la legislazione, l'economia pubblica e le scienze belliche. Mostrammo che tutte avevano tre periodi percorsi: uno spontaneo, uno intuitivo ed un ultimo renduto dimostrativo dalla deduzione che sorgeva dalla sintesi della scienza, quando i suoi elementi erano divenuti noti mercé l'analisi induttiva; e come per ben provar ciò bisognava cercarne la pruova nella storia nel senso piú esteso, cioè tanto in quella dei fatti che in quella delle idee che avevano influito sulle sorti dell'umanitá. Perciò consacrammo all'esame dell'opere letterarie rinomate del tempo, particolarmente nella storia sí civile che letteraria, una serie d'articoli che ci facilitavano questo fine, con far apparire dalle svariate vicende che gli storici avvenimenti offrono, certi risultati costanti, i quali dimostravano che quell'apparente disordine che offre l'urto degl'interessi, delle passioni e delle idee nella loro lotta, erano sottomessi a regole costanti nei loro ultimi risultamenti, quando s'integravano e non differenziavano solo i fatti, e cosí considerati corrispondevano a certe cause finali che presiedono al progressivo svolgimento dell'umanitá, in armonia con i destini che la provvidenza le assegnò compiere sulla terra. Per mostrare l'accordo che ci è tra l'intelletto e la volontá esaminammo qualche ramo parziale di letteratura che si svolge nella societá; e trovammo che nella drammatica letteratura ciò si rendeva piú facile, perché ivi si mostravano le umane passioni nella loro sorgente e nei mezzi che impiegavano per trionfare degli ostacoli che la natura o gli uomini ad esse opponevano, e quali caratteri doveva un uomo rivestire per ispirar la simpatia e l'ammirazione ne' suoi simili. E qui trovammo relazioni tra la lotta che l'uomo è destinato a subire sulla terra (poiché niun dubbio può sorgere che l'uomo sulla terra deve combattere le forze della natura, scovrirne i segreti, opporre ostacoli alle passioni dei suoi simili che vogliono sopraffarlo) e la lotta con le proprie passioni, che tendono sempre a far prevalere le impulsioni dei sensi o i voli dell'immaginazione sulle fredde conchiusioni della ragione, le quali impongono il costante sagrifizio di preferire i propri doveri ai propri desideri. Ebbene, questo quadro ove si mostra compiutamente? Nella guerra e in quella organizzazione preparatoria per poterla con successo fare, ove tutto è prescritto, tutto determinato, ove piú naturali desideri debbono essere repressi, ove le pene e i pericoli che piú all'uomo ripugnano debbono accettarsi ed ove il piú alto sagrifizio deve farsi, cioè l'abnegazione della volontá. Per acquistare una chiara idea di quanto dicemmo, necessario ci sembrò, profittando delle piú scelte produzioni dell'epoca, di ritrarre dal loro esame quasi la scienza prima che dá delle altre ragione e loro assegna il posto nell'ordine dello scibile umano.
La filosofia è questa scienza legislatrice suprema: in essa si condensano e cercano spiegazione tutt'i fatti che dall'intelligenza o dalla volontá sorgono. Trattando dell'uomo, del mondo e di Dio ci eleva alle piú alte questioni sui nostri destini, descrive e circoscrive le nostre forze deducendole dalle nostre facoltá, misura le relazioni della intelligenza con la volontá e della volontá con l'intelligenza, e spiega perché il detto di Bacone è una veritá primitiva «che la scienza è forza e che l'uomo tanto può per quanto sa», giacché è costante che l'uomo è debole in presenza de' fenomeni che non comprende e riprende forza quando in una legge gli ha fatti rientrare. Quali sieno le relazioni della filosofia con le scienze belliche è facile il conoscere, perché altro non sono che quei rapporti naturali che aver deve una scienza superiore con le subordinate. E come la filosofia tratta dell'uomo, del mondo e di Dio, e la guerra ha per agente principale l'uomo, per teatro il mondo ed è un istromento de' misteriosi fini di Dio, ne risulta che queste relazioni vi sono piú complete, perché in un esercito vi è una societá tutta intera con le sue condizioni ed ha un fine a raggiungere.
In fuori di una memoria originale sulla teorica, cercammo su questo ramo dello scibile come negli altri profittare delle pregevoli opere uscite alla luce per isvolgere queste idee e dedurne gli enunciati rapporti, e preferimmo, com'era naturale, quelle che trattavano della storia della scienza e la coordinavano con quella della societá nei diversi periodi, mostrando come nel movimento della intellettuale coltura era stata una determinata disposizione a rinnovare l'influenza della civiltá antica che era stata oscurata dalla dominazione dei popoli del nord nelle contrade occidentali, perché consideravamo questo fatto morale e sociale come il piú importante a notarsi nella storia moderna, che sorgeva con abbattere quella del medio evo negli elementi che dalla conquista sorgevano; e le scienze che trattammo, nelle loro relazioni tutte, a questo fine conducono nel loro svolgimento. Ciò fatto, ci era meno difficile dedurne il nesso che tutte le scienze hanno tra esse e quello che costituiva l'oggetto principale del nostro lavoro. Tutti questi lavori sussidiari sulle scienze morali formano trentanove discorsi, di cui quattordici sono di giá nella Miscellanea pubblicata al 1836 e preceduti da una prefazione per mostrarne il legame.
Cosí credemmo che quanto asserimmo nei nostri Discorsi veniva appoggiato dai nostri lavori sussidiari; e che se in essi si trovava che da qualunque punto si prendeva ad osservare il movimento della societá e dello scibile, questo svelava la loro unitá, ben dicevamo in conseguenza quando stabilimmo che lo stato della scienza militare presso un popolo doveva iniziare all'insieme del suo stato sociale. Il che dir voleva il chiaro signor Cousin quando nella sua lezione nona del Corso del 1828 queste eloquenti parole pronunziava: — «Datemi — egli diceva — lo stato militare di un popolo e il suo modo di far la guerra, ed io m'incarico di rintracciare tutti gli altri elementi della sua storia, poiché tutto a tutto si lega e si risolve nel pensiero come principio e nell'azione come effetto, nella metafisica e nella guerra. Perciò l'organizzazione degli eserciti, la strategia stessa importa alla storia. Voi tutti avete letto Tucidide. Vedete il modo di combattere degli ateniesi e de' lacedemoni. Atene e Sparta vi son tutte intiere».
Questo luogo riportato, che basta al nostro fine e che dá un appoggio autorevole alla nostra tesi, vien confermato da quanto un uomo illustre nella guerra, nella pace e nelle lettere diceva sullo stesso subbietto. Ecco come il generale Foy si esprime nella Guerra della penisola da esso dettata (pagina 259, libro quinto): — «Il genio della distruzione ha le sue sublimi rivelazioni, le quali risvegliano una potenza di pensiero superiore a quella che presiede alla creazione della poesia e della filosofia, e la piú alta parte dell'arte, la strategia, è filantropica nei suoi svolgimenti».
Chiara è la concordanza de' due autori i quali partendo l'uno dalla filosofia e l'altro dalla guerra, giungono ad esporre la stessa veritá, base del nostro lavoro.
Avendo cosí dimostrato il nesso della guerra con le scienze fisiche e morali, dovemmo per il metodo adottato trattare piú particolarmente le quistioni secondarie della guerra e farne apparire le relazioni ed il nesso con le principali; per cui profittammo della militare Antologia, di cui il benemerito redattore fu compiacente a permetterci d'inserire una serie d'articoli che avevano per fine di risolvere alcune quistioni della scienza che importanti ci sembrano e che sono le seguenti:
1. La guerra è una scienza?
2. Si può col solo entusiasmo popolare combattere con successo eserciti regolari?
3. Vi sono dei limiti nella scienza della guerra, nella sua applicazione, che derivano dallo spazio, dal tempo e dagli accidenti locali? questi ostacoli possono dal genio essere sormontati? i metodi possono contribuirvi? i grandi capitani fanno scuola? fino a che punto la loro azione è circoscritta? le guerre fatte ad un popolo barbaro sono sufficienti a stabilir la riputazione di un gran capitano?
4. Che azione esercita la militare amministrazione sulle operazioni belliche? il comando ed il governo di un esercito richieggono identiche o diverse qualitá? dallo stato dell'amministrazione di un esercito può dedursi lo stato di civiltá di un popolo e fino a che punto?
Gli articoli sulle Lezioni di strategia del capitano Sponsilli sí giustamente apprezzate dai conoscitori, e l'analisi del Saggio di fortificazioni del tenente colonnello Uberto, opera pregevole, ci posero al caso di determinare che la guerra era una scienza non esatta ma approssimativa, che rivestiva piú il carattere delle scienze morali che dell'esatte e naturali, perché né la geometria né le sostanze erano esseri liberi ed atti ad operare d'appresso la loro istantanea determinazione, e che facendosi la guerra con gli uomini e per gli uomini, per quanto artificialmente si circoscrivesse la volontá de' piú, questa sovente si mostrava, e sempre nell'alta gerarchia era piena ed intera, e che in conseguenza era speranza vana sottometterla alle regole delle scienze esatte; che se ciò si era potuto fare non completamente ma in un modo piú largo per la guerra d'assedio, era giusto, perché ivi gli elementi materiali accennati avevano una maggiore importanza, e se le previsioni scientifiche di quelle operazioni non si realizzavano pienamente, era sempre l'effetto della influenza delle milizie, cioè degli uomini, che impedivano l'esito calcolato; e questo esempio dimostrava l'impossibilitá di sottomettere la guerra di campagna a risultamenti esatti e preveduti, e che vera restava la massima del grandissimo in guerra, che in essa la parte morale determinava i risultamenti per tre quarte parti.
L'articolo che dettammo sulla Filosofia della guerra dello Chambray e quello sulla Biblioteca storica militare pubblicata dal Souvant e dal Leskine ci servirono a fermare lo stesso enunciato principio, cioè che stabilendo che la guerra come le scienze tutte aveva la sua parte filosofica, bisognava da un tal lato considerarla per iscovrire le sue intime relazioni con le scienze morali, e che perciò rivestiva lo stesso carattere di esse, cioè di essere per loro natura non esatte ma approssimative. E al proposito della scelta collezione storica indicata, cercammo dimostrare che la cognizione delle storie era necessaria agli uffiziali, perché in esse si osserva l'influenza della libera volontá dell'uomo sugli avvenimenti, e che quella dell'antichitá metteva in luce che nelle belliche scienze vi era una parte fissa indipendente dai tempi e dai luoghi.
Risoluta cosí la prima quistione con corrispondente sviluppo, consacrammo diversi articoli a mettere in luce la seconda.
Gli articoli sulla guerra di Spagna dal 1808 al 1814, sulle Memorie del maresciallo Saint-Cyr che trattavano delle campagne del Reno fino al trattato di Campoformio, e sulla corrispondenza del general Washington ci hanno offerti tre teatri diversi e tre guerre celebri, il cui risultamento è stato egualmente favorevole al popolo che si difendeva; perciò bisognava, per cosí dire, decomporre tutti gli elementi di difesa, calcolarne il valore, metterli in equazione con gli estranei ad essi, che erano antico retaggio o accidenti fortuiti i quali hanno facilitato il risultamento, e avendoli cosí ridotti, esaminare qual era stata la parte reale e positiva del successo, e se separato da elementi ad esso estranei e di altra natura, avrebbe l'istesso felice successo avuto la gente che si difendeva.
Per la Spagna trovammo che senza le condizioni di spazio, di suolo, degli antecedenti storici e del carattere nazionale e peculiare, l'alleanza e i soccorsi degl'inglesi, e le guerre che dal nord richiamavano tutta l'attenzione della Francia, e senza che la reazione generale della coalizione non solo di diverse nazioni, ma anche di princípi che affini non erano tra essi, avesse rovesciato l'impero, la nobile perseveranza degli spagnuoli non gli avrebbe preservati dalla sommissione che potevano senza disonore accettare dopo tanti sforzi fatti. Per la Francia mostrammo che le tradizioni militari, lo spirito bellicoso del popolo, la fortificata frontiera, la civiltá sparsa nelle classi che rendeva un uffiziale atto a rimpiazzare anche nei gradi piú elevati, la forte e solida istruzione dei corpi scientifici hanno potuto dar vita e direzione all'entusiasmo da cui le masse erano animate, le quali soccombevano e di panico terrore erano prese quando queste condizioni mancavano; e in ultimo che senza gli errori dei coalizzati politici e militari, sembrava ai piú caldi amatori della patria molto incerta anzi funesta la lotta. Per gli americani considerammo tutt'i vantaggi che ha un paese sí vasto, dove gli accidenti naturali del terreno, come fiumi e monti, sono di una dimensione superiore alle proporzioni degli stessi accidenti in Europa, ove l'esercito nemico doveva essere trasportato e alimentato per mezzo del mare; ciò che circoscrive il numero e rende incerte le operazioni che su di un elemento al calcolo ribelle debbono combinarsi senza poterlo evitare, anche aggiungendo a ciò le difficoltá locali e gli aiuti della Francia e della Spagna e il merito relativo ma incontestato del duce americano. Posti questi elementi a calcolo, ridotto al suo vero valore l'entusiasmo popolare dalla corrispondenza confidenziale ed uffiziale di Washington, dá per le sorti dell'America lo stesso risultamento che per la guerra della Spagna e della Francia, sostenuta contro eserciti potenti ed agguerriti. E non senza ragione ci siamo su questo subbietto fermati, perché abbiamo veduto lagrimevoli effetti, quando si è voluto dedurre da questi tre esempi che indipendentemente da tutti gli altri elementi o di circostanze naturali o fortuite, ogni azione solo con il popolare entusiasmo poteva bilanciare con successo eserciti numerosi, agguerriti e disciplinati; per cui credemmo dovere nei limiti de' nostri mezzi combattere un errore che se aveva fatto del male nel passato, poteva farne anche nel tempo avvenire.
Alla terza quistione ch'è piú comprensiva dedicammo l'articolo sulla Spedizione di Russia dello Chambray, sulle Guerre della rivoluzione dal 1792 al 1815, sulla Guerra della successione di Spagna pubblicata dal general Pelet, sui Grandi capitani, sulle Osservazioni di Napoleone sui commentari di Cesare, sulla Campagna del maresciallo Paskievicht nell'Asia minore e sulle Guerre dei russi contro i turchi del general Valentini.
Noi non esitammo ad asserire che la guerra era limitata dallo spazio, dal tempo, dai mezzi di sussistenza e dal numero delle milizie, poiché il genio stesso nelle sue piú luminose intuizioni non può interamente a suo modo regolare e spingere un grande e complicato esercito, il quale, anche con il perfezionamento de' metodi e la piú artistica classificazione degli uomini e delle cose, supera la forza e l'intelligenza umana; e che quando dei grandi spazi separavano dal campo i luogotenenti, e che non era poco il tempo per far loro pervenire e rettificare i propri ordini, questi restavano giudici supremi nei decisivi momenti, e le ispirazioni del genio dileguavansi in ragione delle distanze che separavano chi le produceva da chi doveva averne l'impulso. Ed appoggiandoci ai fatti sí ben narrati dai due indicati storici, potemmo mostrare che entrata la Francia nella carriera di rilevar sé e il mezzogiorno di Europa e ritornare al tempo anteriore al trattato di Utrecht, la spedizione di Russia era necessaria; che la riuscita era possibile ma non durevole; che cominciava piucché terminava una serie di guerre; e che la rovina era possibile e poteva e doveva divenir estrema, come il fatto ha dimostrato; e finalmente che il quadro delle guerre della rivoluzione è istruttivo oltremodo, giacché si vedono tanta gloria, tanti sagrifizi, tanti sforzi, tanti uomini superiori e il genio piú vasto che l'arte e la scienza conti nella storia far sí che la Francia, che da Filippo Augusto quasi in ogni regno aveva fatto delle riunioni, degli acquisti e conquiste, dopo ventiquattro anni di guerre sia la sola ch'è rientrata nei limiti che aveva un secolo fa, anzi un po' diminuita, al contrario dei suoi nemici che si sono di tutte le rovine da essa fatte impinguati. Eppure queste guerre han potentemente modificato il mondo sotto tutti gli aspetti civili, politici, commerciali e morali; per cui se si vuol misurare geograficamente, sono tristi i risultamenti per la Francia; considerati sotto l'aspetto del cammino della societá, offrono una vasta importanza: ma che non perciò ne soffre la grave veritá che non si può lottare alla lunga con molti, che si trae profitto da' prodigi propri come dagli errori degli avversari, ma che è piú che leggerezza il fondare un sistema su fortuiti ed incerti accidenti che possono e non possono realizzarsi, ma che compromettono la sorte de' popoli e ciò che di piú caro essi hanno. La preziosa corrispondenza della guerra della successione di Spagna pubblicata dal general Pelet e corredata da una dotta introduzione da lui dettata, ha completato questa prima parte della quistione, mostrando che in quell'epoca era fissata la guerra con i suoi elementi e i suoi metodi; che se i risultamenti non erano proporzionati, ciò si doveva alla poca mobilitá degli eserciti, e che questa, ottenuta nel nostro secolo, aveva prodotto quei grandi effetti di cui siamo stati testimoni, e come in quell'epoca la decadenza del mezzogiorno cominciò ad apparire: fatto che si è sviluppato ai dí nostri con l'elevazione progressiva delle potenze del nord, da cui derivati sono gli ultimi trattati che rincarito hanno su quello di Utrecht che questa tendenza aveva segnalato. Per esaminare se i grandi capitani facevano scuola e in che limiti ciò operavano, dettammo l'articolo sui grandi capitani, analizzando le guerre che seguirono la loro morte; e in tutte vedemmo che i metodi non erano sufficienti per menare ad effetto le grandi concezioni, ma il genio ci voleva dell'artista, perché la guerra nella sua pratica applicazione è piú arte che scienza, per cui sfugge al calcolo esatto delle scienze ed ha bisogno dell'ispirazione dell'artista per render fecondi i grandi aiuti e i metodi che la scienza le fornisce.
Naturalmente si presentava un altro lato del complesso problema che volevamo risolvere, cioè di determinare fino a che grado le guerre fatte a popoli ove s'incontrano piú ostacoli nella natura che negli uomini, e piú in questi che nell'intelligenza di chi i loro sforzi dirige, possono far rilevare in un capitano le qualitá trascendenti che lo pongono tra i grandi che la storia registra. Le osservazioni preziose di Napoleone sulle guerre di Cesare, la campagna del maresciallo Paskievicht nell'Asia minore e la relazione del general Valentini delle guerre tra i russi e i turchi in questo secolo ci sembrarono atte a facilitarci lo svolgimento di tale quistione. Le guerre di Cesare ci servirono anche a meglio svolgere e riformare il nostro secondo discorso, ove ci occupammo di esporre in che risiedevano le differenze tra la scienza e l'arte della guerra fra gli antichi e i moderni. Dalle luminose osservazioni che il piú gran capitano dei moderni tempi fa sulle geste del piú celebre dell'antichitá viene sviluppato il carattere di questa diversitá ed i suoi effetti sono determinati nelle belliche operazioni, mostrandosi come ciò che allora era possibile con quegli ordini e quelle armi non sia piú ai nostri dí con egual bravura, e si mette in luce come ciò sia avvenuto e come la perdita della parte vinta era sí disproporzionata a quella che i vincitori soffrivano. Indi passammo ad esaminare da un luogo delle osservazioni se vero era che se Cesare non avesse combattuto altri che i Galli, non si sarebbe potuto giudicare di tutto il suo merito che svolse nelle guerre civili, in cui aveva a fronte eserciti e capitani formati a una stessa scuola. Mostrammo che anche convenendo che certo la riputazione di Cesare sarebbe stata minore, pur nondimeno vi era in quella guerra nella quale ostacoli naturali, difesa ostinata di masse numerose benché mal dirette operavano, di che scorgere quelle qualitá che distinguono un gran capitano, come la forza di carattere, la pronta risoluzione, il vigore della volontá nell'operare, il conservare impero sopra milizie che sono disposte a demoralizzarsi in faccia a pene continue, pericoli oscuri e privazioni costanti; e conchiudemmo che se Napoleone non avesse fatto che la campagna di Egitto, pure poteva desumersi di che quel genio fosse capace in un altro teatro e con piú degni avversari. Questa stessa tesi sostenemmo nell'analizzare le campagne de' russi nell'Asia minore nel ventotto e ventinove del secolo nostro sotto il comando del maresciallo Paskievicht, la cui storia fu dal Fonton narrata; e facemmo a quelle campagne l'applicazione de' principi esposti, conchiudendo che il duce russo aveva dato de' lampi di genio nelle operazioni parziali, come a Milledux e Kneli, che egli non operava né poteva essere classificato con il comune de' generali che ottengono successi contro le orde orientali, nei quali si scorge sovente che essi sono alla superioritá degli ordini dovuti e non al concepimento del capitano; perché integrando quelle operazioni, vedevasi nell'insieme della condotta del duce russo quelle qualitá che avevamo detto costituire un gran capitano.
Senza le qualitá i successi sono poco ricchi di risultamenti e non si mettono pienamente a profitto tutti gli svantaggi che il nemico offre per l'inferioritá della sua organizzazione militare, che deriva dalla sua poco avanzata civiltá come popolo. La storica narrazione del general Valentini ci serví a meglio rifermare e con piú numerosi esempi l'opinione da noi emessa. Cercammo anche scrutare se poteva una nazione livellarsi militarmente a nazioni piú incivilite senza livellarsi prima ad esse nello stato sociale, e credemmo che non poteva o che sarebbe presto decaduta, perché da questo non era appoggiata.
In un particolare articolo sull' Amministrazione militare degli eserciti dell'antichitá cercammo esaminare la quarta quistione, e fissammo che il governo dell'esercito non era lo stesso che il comando, che qualitá diverse ci volevano nei due casi, che rari esempi vi erano della loro riunione in una persona, che il piú sovente le disgrazie militari sorgevano da questa disarmonia, che spesso un esercito ben governato era mal comandato e che altre volte accadeva l'inverso, e ciò nuoceva al successo, che l'amministrazione dipendeva dal governo e doveva supplirvi con i suoi metodi per rendere il capo piú libero, che in quello degli antichi non vi era traccia di ospedali militari, fatto che derivava dall'insieme delle loro sociali condizioni, subbietto che sviluppar dovevamo ancora. Tali sono gli oggetti trattati negli articoli nell' Antologia militare inseriti, come quelli che cadevano particolarmente sulla quarta quistione di cui non abbiam trattato che nel generale e sotto un punto solo esaminandola. Questi articoli formeranno un secondo volume di questa seconda edizione dei Discorsi.
Se saremo dal suffragio pubblico incoraggiati potremo poi riprodurre uniti quegli altri che le scienze morali hanno avuto per obbietto, giacché speriamo che da questa prefazione chiaro apparisca il nesso che ad essi li congiunge e che tali lavori possano condurre al fine che ci proponemmo, cioè a dimostrare l'importanza delle belliche scienze e la loro potente influenza in tutti i grandi avvenimenti che mutarono e modificarono la faccia del mondo. E se ciò è accolto, niun dubbio può sorgere che chi prende parte nei pubblici affari e coloro che si limitano a volerli comprendere non debbono essere estranei alle nozioni di quella scienza che crea e conserva gl'imperi.
AVVERTIMENTO DELLA PRIMA EDIZIONE
Nel determinarci a riunire in un volume i nove discorsi sulla scienza militare pubblicati nel Progresso, sentiamo il bisogno di esporre, com'è dovere, quali ragioni ci abbiano spinto a riprodurre sotto altra forma ciò che era di giá pubblicato.
L'indulgenza dei lettori ed il consiglio d'amici che veneriamo sott'ogni aspetto hanno vinta la nostra esitazione a produrre riuniti i mentovati discorsi. Solo nel mentre che ci veniva consigliato con ragione di dar loro una forma piú atta ad una pubblicazione compiuta e di svolgere maggiormente il nostro soggetto, noi abbiam creduto doverli riprodurre identicamente, non dissimulandoci punto che vi sieno in essi molte ripetizioni, indispensabili alle pubblicazioni che si succedono a distanza di mesi, le quali non presentano nessun vantaggio allorché si riuniscono in un corpo. Per conseguenza ci prendiamo la libertá di esporre i motivi che non ci han fatto deferire a' loro benevoli e savi consigli.
È nostro progetto, se questo imperfetto lavoro attirerá l'attenzione dei sapienti ed i giornali letterari ci onoreranno della loro critica, di rettificare e modificare le nostre idee, riducendole ad una storia delle scienze belliche considerate sotto l'aspetto stesso che abbiam preso di mira in questo lavoro preliminare. In quella potremo svolgere il soggetto e trattarlo con maggiore sviluppamento, particolarmente rispetto ad alcune sue parti; il che i limiti in cui eravamo ristretti nel suddetto giornale ci vietavano di fare. E per enumerare qualcheduna di queste parti, tratteremo la parte antica piú distesamente, analizzando le campagne dei gran capitani dell'antichitá e le opere degli scrittori militari di quel tempo; cercheremo penetrare nello spirito delle istituzioni militari dei popoli colti dell'antichitá, mettendo il tutto in confronto dello stato scientifico e sociale di quei periodi istorici; daremo maggior estensione a ciò che riguarda l'amministrazione militare in tutt'i tempi; entreremo in qualche particolare sul soldo delle truppe e sullo stato contemporaneo delle rendite pubbliche; faremo conoscere piú minutamente l'organizzazione e i metodi seguiti negli ospedali militari, importanti stabilimenti come segno di civiltá e di umanitá; i progressi della legislazione militare, la natura delle pene ed il metodo di procedura saranno egualmente trattati piú a lungo; il dritto delle genti considerato nei suoi rapporti con la guerra per la sorte de' prigionieri di guerra e del loro trattamento, i sistemi delle capitolazioni e trattati militari, della gestione e sorte dei paesi militarmente occupati, sviluppati piú estesamente; daremo novelle pruove dei rapporti dello stato della civiltá con quello della guerra. Se vita e forza avremo e se saremo incoraggiati nella nostra impresa, ce ne occuperemo caldamente, avendo di giá meglio di cinquanta memorie composte sopra oggetti che vi corrispondono, ove è deposto il frutto delle nostre letture, delle nostre osservazioni e delle interessanti conversazioni avute cogli scrittori militari piú distinti dell'epoca e con sapienti e capitani tali che se volessimo nominarli, sarebbero garentia sufficiente della nostra asserzione. Illuminati ed incoraggiati da uomini distinti e modesti, ci auguriamo di poter menare a buon fine un'impresa che ci ha occupato dall'anno 1804, epoca in cui il nostro primo informe progetto a questo riguardo fu concepito.
Tanto tempo e tanta perseveranza se non sono una guarentigia di buona riuscita, il sono almeno di buona volontá e di coscienza nel lavoro: questa convinzione ci consola e ci conforta al tempo stesso.
DISCORSO I
Idee generali intorno alla scienza militare ed alle sue relazioni colle altre scienze e collo stato sociale.
Volendo pubblicare alcune idee sulla scienza militare, crediamo utile anzi indispensabile esporre innanzi ogni cosa il metodo piú atto a seguire in questo lavoro, a fine di renderlo piú chiaro ai lettori. E perché abbiamo in animo di scrivere non solamente pei militari ma bensí per coloro che attendono all'altre scienze, stimiamo sia d'uopo far noto il rapporto e il collegamento che la scienza della quale trattiamo ha colle altre. Ad ottener questo fine conviene risolvere le seguenti quistioni:
1. La disposizione alla guerra nasce forse dalla nostra natura ovvero dalla corruttela di essa?
2. Quai sono le relazioni che passano tra lo stato sociale e la scienza bellica?
3. In che modo la scienza bellica si lega alle arti e alle scienze i cui progressi costituiscono la civiltá di un popolo? Indispensabile è dessa per conservare?
4. Giova forse a sviluppare l'intelletto e la volontá?
La storia dell'umanitá come pure l'analisi del cuore umano rispondono alla prima quistione con buone ragioni, con molti fatti.
Ogni volta che si considerano i mali della guerra e si calcolano gli effetti che avrebber prodotti tanti mezzi rivolti a distruggere se in quella vece fossero stati impiegati a creare, e da ultimo s'ha riguardo all'umanitá oltraggiata in mille guise, debbono al certo riputarsi giustissimi i precetti della religione, i consigli della filosofia contro questo flagello, e parimente si scorge perché sia stata attribuita la guerra piuttosto alla corruttela della nostra natura che alla stessa natura.
Ciò non pertanto una piú grave ed accurata disamina fa chiaro esser ella inevitabile non solamente, ma utile ancora nella nostra imperfetta esistenza, perocché egli è mestieri che sia negli uomini una forza la quale difenda contro l'assalitore e i prodotti del proprio lavoro e l'altre cose piú care.
Se lo scopo di una bene ordinata societá si è quello di rendere la ragione forte e la morale armata, secondo la felice espressione del traduttore di Platone, risulta che nelle societá non ancora del tutto formate, per conservarsi a fronte di altre meno avanzate in pubblica ragione ed in viver civile, sia d'uopo quella disposizione indicata di sopra, la quale fa risaltare una delle piú nobili passioni che toccata sia in sorte all'umanitá, cioè quella mercé della quale ciascuno sagrifica se stesso a pro del comune. Dove un tal sentimento invale in una societá, dee questa stimarsi arrivata al piú alto grado di forza, e l'amor della patria riposa su condizioni ben differenti da quelle che nascono dall'informe aggregato di uomini legati soltanto da materiali interessi dai quali scambievolmente sono occupati. Puossi dunque asserire la disposizione alla guerra altro non essere di sua natura negli uomini che il sentimento della loro dignitá, la quale non piegano al capriccio di esseri dotati delle medesime facoltá e che da interessi personali guidati vogliono offendere quei dritti che ogni uomo deve difendere sotto pena di avvilire e degradare se stesso, secondar l'ingiustizia ed infrangere ogni morale. Nelle nazioni bene ordinate suppliscono in gran parte le buone leggi, ma ogni nazione d'altronde, come societá particolare, è tenuta ad opporre quella medesima resistenza che abbiamo notata negl'individui rispetto alle altre nazioni; e questo per le cause medesime, comeché con effetti piú gravi, perché la sfera nella quale si agisce diventa piú vasta. Possiam però dire che il sentimento della difesa è nella natura umana, che egli è necessario allo sviluppo non meno che all'esistenza di lei, e che finalmente la corruttela di essa natura può fare in maniera che quella facoltá anzidetta, degenerata, si volga in offesa. In tal caso la guerra non è giá l'effetto della natura corrotta, ma effetto bensí dell'abuso operato del sentimento il piú nobile e insieme il piú utile all'uomo e alla societá.
Stabilita l'origine morale della disposizione alla guerra, risponderemo alla seconda quistione, vale a dire quali sieno le relazioni che passano fra la scienza bellica e lo stato sociale di un popolo ovvero di un'epoca.
Un illustre oratore ha detto in una sua arringa che il dritto e la forza si disputano il mondo. Queste parole rinchiudono non solo un principio, ma la storia tutta nel senso il piú alto: l'antagonismo morale dal quale provengono i movimenti e gli sconvolgimenti dell'umanitá. Se ciò è vero, è impossibil cosa il negar che le forme, i metodi che piglia ed impiega la forza conservatrice o distruggitrice a fine di far trionfare il dritto ovvero di conculcarlo, debbono avere grande influenza sulle vicende politiche e sopra i loro effetti morali. Difatto dai piú grandi storici dell'antichitá costantemente rilevasi l'influenza che ottiene questo o quel metodo di combattere di questa o di quella nazione. Il giudizioso Polibio volle disingannare i suoi concittadini sulle vittorie dei romani sí funeste alla Grecia e tanto importanti pel mondo, facendo loro conoscere nella superioritá della legione sulla falange il vero segreto di quelle vittorie e non nell'ira de' numi, come i superstiziosi credevano, o nell'abbandono dell'antiche massime, sopra di che i severi gridavano, o finalmente nella perfidia di pochi che la salute della patria alle loro mire private sagrificavano.
Vegezio attribuiva alla decadenza di quel sistema militare che Polibio aveva notato come cagione de' prosperi successi dei romani, la rovina dell'impero e l'invasione dei barbari.
Queste due citazioni bastano, a nostro credere, a chiarire la veritá del principio che di sopra enunciammo. La storia intera della scienza bellica mostra come lo stato di questa è in ragione dello stato sociale, giacché nella composizione, nell'ordinamento, nelle morali tendenze della pubblica forza, nei suoi metodi operativi, si scorge appuntino qual sia la classe che domina nello Stato e che piú ha in cuore la conservazione di esso, quali sieno i principi preponderanti nella societá ed a qual grado sian giunte e le arti e le scienze. Egli è mestieri osservare come spesso avvenga che anche in una societá rozza la civiltá penetri alquanto mercé di alcun metodo di guerra, che venga introdotto a fine di secondare con piú vantaggio il movimento ascendente il quale corrisponde nelle nazioni all'epoca del loro sviluppo; ma se la societá tutta non progredisce in fatto di civiltá per modo ch'ella non superi quella del proprio esercito, questo ricadrá prestamente nell'ignoranza e diventerá uguale all'intera nazione, come può dirsi dei musulmani. Altre volte egli accade che le arti della pace perfezionino nelle nazioni pacifiche le arti della guerra e che la decadenza dell'une si faccia sentire nell'altre. I popoli commercianti fanno di questo continua fede.
Mercé delle cose predette ne sembra aver dimostrato passare una relazione costante fra lo stato della scienza e quello della societá; ma relazione siffatta, che vien sottoposta a perpetue alterazioni secondo che maggiore o minore è l'influenza di questo e di quello.
Ma rispondiamo alla terza quistione la quale deriva interamente dalla seconda. Basta considerare alcun poco la scienza della quale teniamo discorso per far chiaro esser ella nel centro di tutte le umane cognizioni.
Dichiareremo piú minutamente questa correlazione, e ciò dará a divedere l'altezza della scienza e conseguentemente la somma importanza di lei. Un nostro scrittore, la cui sagacitá discopriva quello che ingegni meno sottili non iscoprono se non mercé di lunga esperienza, determinando gli elementi primari della guerra affermava consistere essi elementi negli uomini, nelle armi e negli ordini. E questa sí chiara esposizione del fu marchese Palmieri risponde del tutto all'idea che qui vogliamo sviluppare.
Difatto il trascegliere uomini a fin di ordinarli secondo uno scopo speciale suppone il dovere di soddisfare ai bisogni tutti che in una qualunque associazione si fanno sentire. Questa riunione di uomini ha d'uopo di ordinamento non solo, ma di tai mezzi bensí che la sostentino e la conservino; oltre di che son bisognevoli e pene e ricompense e tutto quanto richiedesi a mantenere l'ordinamento e l'unione che di sopra dicemmo. Da questo conséguita la scienza militare esser legata alla politica, la quale reggendo gli uomini esercita su di loro una impulsione uniforme, e mentre dall'una parte garantisce i loro diritti, li costringe dall'altra alla severa osservanza dei doveri sociali. In quanto all'amministrazione la quale risguarda i materiali interessi della milizia, tiene la scienza bellica alla pubblica economia, e in quanto alle pene ed alle ricompense, alla giurisprudenza ed alla legislazione. E però vediamo la scienza bellica nel primo elemento dovere ricorrere alle scienze morali, politiche ed economiche, come ancora alle mediche per tutto quel che s'aspetta alla scelta degli uomini, al loro sviluppo e conservazione, a fine di renderli tali da ottenere con essi lo scopo pel quale furono sotto quella forma riuniti.
Passando al secondo elemento, vale a dire alle armi, egli è chiaro che visto l'immenso miglioramento del materiale di guerra avvenuto a' dí nostri, sopra le scienze fisiche e naturali si fondano la confezione dell'armi e la maniera onde valersene, e basta notare che oltre la fisica, la mineralogia e la metallurgia debbono assai ben conoscersi per avere ed usare le buone armi. Usciremmo dai limiti del nostro discorso se volessimo dilungarci piú oltre su questo particolare.
Quanto agli ordini considerati come metodo necessario onde operar grandi cose nel minore spazio e nel minor tempo possibili, di leggieri si scorge esserne fondamento le scienze esatte, le quali si occupano delle quantitá e misurano appunto lo spazio ed il tempo, e ogni volta che sono applicate ai solidi ed alla meccanica, servono di guida alla costruzione ed ai movimenti del materiale di un esercito. Tai movimenti son conosciuti sotto il nome di «manovra di forza», come quelli che son fondati sopra le proporzioni che passano tra l'agente e la macchina.
E fin qui dimostrammo le relazioni della scienza militare ne' suoi elementi colle scienze morali, economiche, fisiche, naturali ed esatte, e la sua dipendenza da esse.
Ma queste relazioni ingrandiscono in ragion della macchina chiamata «esercito», appena che in tutte le sue parti elementari compiuto, entra in operazione, vale a dire esercita la sua azione nel senso piú alto, nel senso piú esteso.
Non cosí tosto un esercito è sul piede di guerra, non cosí tosto perviene in paesi stranieri, eccolo diventare una colonia operante. Tutte le sue operazioni proporzionare egli debbe alla propria natura, allo scopo che si propone, al paese nel quale entra ed agisce. Tutte le scienze, morali, politiche ed economiche, che abbiam dimostrato essere base all'ordinamento della pubblica forza, debbono a tal punto conoscersi da poterne modificare l'applicazione senza ledere in guisa veruna i loro principi nelle molteplici e complicatissime combinazioni della guerra. Immensa è la differenza che passa fra il tener riuniti mercé della regola militare molti uomini in una caserma, dove ogni cosa è ordinata esattamente e dove monotono è il modo di vita, e il reggerli nelle marcie tra le difficoltá infinite e gli ostacoli d'ogni maniera che gli uomini e la natura vanno opponendo ai concepiti disegni. Grandissimo è inoltre il divario che corre tra il fare sussistere frazioni di truppa nel proprio paese ove tutto si ottiene agevolmente, e di procacciar vettovaglie a masse di truppa, e quel che piú monta, in ispazi non grandi e in paesi nemici o guasti e impoveriti mercé della guerra. Aggiungi che facil cosa ella è il curare e il guarire un picciol numero di malati nella tranquillitá della pace col soccorso del clima nativo, ed assai malagevole in quella vece si è il combattere le epidemie che mena seco la guerra, il piú luttuoso corteggio che ella aver possa, e che offendono al tempo stesso il fisico e il morale della soldatesca la quale vive ed agisce per forza d'abito. Oltre a ciò si consideri come le pene e le ricompense diventino presso che inutili con uomini la cui fantasia è alterata e dei quali però conviene eccitare o calmare le varie passioni; con uomini che in faccia alla morte, fra i piú acerbi dolori ed anche le mutilazioni e le privazioni d'ogni sorta che fan precoce la vecchiezza, acquistano siffatta energia di volere che rende inefficace l'azion delle leggi fatte pei tempi ordinari, laddove oltremodo severa ne dovrebbe essere in quel tempo l'applicazione. Può egli altresí istituirsi alcun paragone tra il modo sí facile di conservare il materiale e le armi nella pace, dove in gran copia sono i depositi, e la rovina sí subitanea che trae seco la guerra, cosí di uomini come di cose, e il piú delle volte in tai luoghi dove non v'ha alcun mezzo da racconciare o rifare quel che si guasta o consuma? Di che arte finissima, di che intelligenza, di che energia non han d'uopo gli uffiziali di artiglieria e quelli del genio a fin di eseguire opere di grande importanza, quantunque la storia sdegni di tramandarle alla posteritá? Riporre si debbono in questo novero la ricomposizione e il trasporto di un parco di assedio, la creazione di un trinceramento o di una piazza momentanea. In quanto agli ordini, molta è pure la differenza che corre tra i movimenti di poca truppa operati in piccioli spazi onde piegarsi e spiegarsi o mutare la fronte, in un terreno sicuro dove spessissimo ogni arma si esercita separatamente, senza combinazioni fortuite ovvero ostacoli naturali, e quel che piú vale, senza nemici a fronte; e le grandi operazioni della tattica le quali preparano e seguono quelle grandi tragedie chiamate «battaglie», a cui tiene la sorte degl'imperi e che dir si potrebbero i punti trigonometrici della storia la quale riempie i vuoti. Quivi le differenti arme delle quali un esercito si compone debbono combinarsi in tal modo che tutte concorrano a quello scopo che il capitano si prefigge, e sovente in luoghi non conosciuti e di natura sí varia che malagevole riesca l'applicazione di quegli esercizi medesimi fatti durante la pace. Quivi un nemico vigile e attivo le sue forze ti cela, ostacoli ti frappone a ogni passo, controccava i tuoi movimenti quando meno tel pensi. Niuna cosa è di poco momento in giornate siffatte, dove in breve ora si perde o si vince la fortuna d'un secolo. Un picciol variare di suolo può cagionare i piú gravi, i piú vasti risultamenti; e però le cognizioni geografiche, topografiche e geodetiche, le quali si fondano sopra i sublimi calcoli dell'astronomia, riescono indispensabili e costituiscono la superioritá dello Stato civile sul barbaro e la sicurezza di cui può godere una societá bene ordinata contro la forza brutale di orde nomadi. E difatto alla superioritá della scienza bellica siam debitori della conservazione della civiltá greca e romana e conseguentemente di tutto quanto di bello e gentile d'ogni maniera è sino a noi pervenuto. Temistocle a Salamina, Cimone a Platea e Mario a Vercelli la civiltá difendevano contro la barbarie. Altri esempi ha pure la storia di quanto affermiamo. Tutto quello insomma che l'uomo incivilito piú ama, il deve alla scienza della qual ragioniamo, difesa e conservazione.
Ne sembra aver dimostrato in che modo e le arti e le scienze di che abbisogna la guerra sieno utili a questa ne' suoi elementi e ne giovino lo sviluppo.
Ma una relazione piú alta si scorge nella parte trascendentale della scienza, vale a dire in quella dove si formano i piani di guerra, si stabilisce il sistema della difesa d'uno Stato o si pon mano alla militare costituzione di un popolo, che molti cospicui scrittori hanno denominata «filosofia della scienza bellica», o meglio «politica militare». Egli è d'uopo conoscere ed applicare ora questa ed ora quella di moltissime scienze. Basterebbe cennare un sistema di reclutazione ovvero di avanzamenti, un sistema di fabbricazione o di amministrazione, o finalmente un sistema di difesa a fine di combinare le fortificazioni colle forze che si hanno, perché si vedesse qual serie di cognizioni si leghi alla scienza bellica. Arrivata questa a un'altezza siffatta, strettissima è la sua relazione colla storia, col dritto pubblico, colla diplomatica e però colle forme che una tale scienza richiede, dovendo l'uomo di guerra assai di frequente fare trattati o capitolazioni o tregue o conchiudere paci. Per la qual cosa gli è d'uopo ancora aver cognizione delle varie parti del dritto applicato alla politica esterna. La guerra ha per se stessa pochi principi ed una assai breve legislazione. Nell'applicare quei principi, nell'usare di questa legislazione, consiste l'ingegno e il valore di chi comanda. Conviene studiare attentamente la storia la quale, come di sopra notammo, componesi di urti di uomini, d'interessi e d'idee. In effetto non v'ha un interesse, non una credenza, non un sentimento, il quale non siasi ingrandito e messo non abbia forti radici mercé della conquista o della resistenza che alla conquista opponevasi. Nella missione divina di Mosè vediamo la provvidenza medesima far della guerra uno strumento di religioso propagamento, e la denominazione di «Dio degli eserciti» data all'Eterno si è trasmessa da quella rimota epoca fino a' dí nostri.
La quarta ed ultima quistione cui ne rimane a rispondere, vale a dire se la scienza militare influisca sullo sviluppo dell'intelligenza e della volontá, potrá a molti sembrar risoluta mercé delle antecedenti, e però inutile il riparlarne. Pure abbiam voluto separatamente toccarla a fine di combattere una opinione comunemente invalsa, cioè che il mestier delle armi abbrutisca l'uomo e renda inerte la sua intelligenza e sregolata e feroce la sua natura. A prima vista, non lo neghiamo, sembra fondata una tale opinione; ma esaminandola un po' piú addentro, scorgiamo esser ella non giusta. Perocché il mestiere dell'armi interamente dipende dalla societá nella quale si esercita, e ogni volta che in questa è ignoranza e barbarie, ignoranza e barbarie è ancor nella soldatesca, sebbene il piú delle volte si scorga piú intelligenza, piú civiltá ed anche piú umanitá in un esercito appartenente a nazione involta nella barbarie ma militante in paese straniero, che nel restante della nazione rimasta in patria. Della qual cosa potremmo recare esempi moltissimi; il che non facciamo perché portiamo opinione non essere alcuno dei nostri lettori che per se medesimo non li vegga.
Ma proseguiamo. Non può negarsi che niuna cosa piú facilmente promove e sviluppa l'intelligenza quanto il numero e la forza delle impressioni che la mente riceve. Niente meglio rafferma la volontá quanto gli ostacoli i quali si attraversano al conseguimento dei desidèri o alla esecuzione dei doveri. Ora è certissimo che la guerra fatta in un campo un po' vasto cosí nello spazio come nel tempo, possiede le condizioni tutte che abbiamo notate, promovendo lo sviluppo ed insieme l'esercizio dell'intelligenza e raffermando la volontá.
In effetto la storia degli uomini grandi (ne fa Plutarco ampia fede) piú che d'ogni altro è abbondevole d'uomini di guerra, e negli Stati dove le istituzioni e le tradizioni rendevano il mestiere dell'armi un dovere dal quale nessun cittadino poteva esentarsi, copia maggiore di uomini grandi sorgeva, ma grandi piú che nell'altre cose nella milizia. E questo può dirsi riguardo ai popoli un po' inciviliti. In quanto ai popoli barbari non v'ha illustrazione possibile fuorché nella guerra, e dove le classi son molte e distinte fra loro, torna piú facile il fare di un buon capitano un ambasciatore, un amministratore, un tribuno, un uomo di Stato, che di un di costoro un buon capitano. Non mancano esempi di questa versatilitá d'ingegno la quale s'incontra nei militari.
Lo sviluppo della volontá è conseguenza dello stato violento che seco mena la guerra, di sua natura esaltatrice delle passioni al sommo grado. In prova di questo ricorderemo che soggetto delle opere letterarie piú scelte, dei piú famosi poemi, è la guerra, niente meglio valendo a dipingere la forza sublime, l'alta energia dell'umano volere. Basta citare Omero, Virgilio, il Tasso e il Camoens onde chiarire che nella guerra piú che in tutt'altro suole mostrarsi l'umanitá nel suo piú compiuto sviluppo, e però agevolmente si può ingrandire nel metterla in scena senza uscire del tutto dal mondo reale. Alle autoritá che recammo in esempio aggiugneremo altri argomenti desunti dalle cose predette, cioè:
1. La varietá delle impressioni, il rapido passaggio dalle une alle altre, la quantitá degli oggetti che si offrono all'occhio secondo i paesi che si attraversano e i climi e le opinioni che variano di continuo, creano, e non v'ha dubbio, nuovi pensieri e in gran numero.
2. Nelle menti regolarmente formate questi pensieri debbon fruttare di molto, e ingrandire e attivare le facoltá intellettuali, e suscitare morali bisogni, e spegnere pregiudizi, e fare acquistare il potere insieme e il diletto sí del pensare che del giudicare. Quest'ultima cosa è bastante a dissipare qualsiasi frivolezza nell'abito della vita o nei sentimenti e ad imprimere nell'uomo un carattere piú morale, piú grave, piú solenne. Tutte le opere messe a luce dagli uomini di guerra presentano questo carattere, e sí nell'antichitá che a' dí nostri, perciocché se gli uomini i quali dánno opera ai buoni studi nel lor gabinetto posson condurre le scienze, o matematiche o fisiche o naturali che dir vogliamo, ad un alto grado di perfezione, ogni volta che l'ingegno sará uguale avranno sempre vantaggio coloro che l'uomo han potuto osservare dove la natura è combattuta, dove ogni cosa è sforzo, dove insomma l'umanitá è costretta ad usare ogni modo a fine di vincere gli ostacoli che si attraversano ad ogni passo. Le autoritá non mancano neppur qui: staremo contenti a Cartesio, la cui carriera conferma essere assai grande la superioritá dell'uomo di azione sopra di quello che l'umanitá interamente non vede ma quasi a metá, perché non conosce il piú alto e difficile punto nel quale vien posta alla prova.
3. Per quel che riguarda la volontá, che scuola migliore fu mai della guerra? S'egli è vero che le forze dell'uomo son reazioni, s'egli è vero che tutte le religioni ed ogni specie di filosofia non ad altro ebber riguardo se non che a mantenere la dignitá umana, consigliando e imponendo una nobile rassegnazione a qualsivoglia dolore fisico e morale, può liberamente asserirsi che si rinviene piú stoicismo recato ad atto, piú nobil rassegnazione religiosa in un campo che nel portico ovvero in un chiostro.
Non crediamo sia al mondo spettacolo piú sublime di questo: vale a dire di un capitano che dalla sua tenda opera l'ordinamento di grandi masse, che sonata l'ora della battaglia è costretto a risolvere una serie gravissima di problemi, i cui dati incompleti mutano ad ogni istante; e questo non piú sotto la tenda, ma in campo, ma spossato dalle fatiche, ma senza conforto di cibo o di sonno, ma premuto, schiacciato dal peso d'una grande responsabilitá, ma avendo spesso oltre il nemico che deve affrontare molti gelosi ai fianchi e alle spalle, ed il quale nulla curando la propria persona, in faccia alla morte, dee conservare la mente chiara, fredda, tranquilla e fortissima la volontá. L'amore che portiamo alla scienza della quale parliamo ci fa uscire dai termini che si convengono a questo discorso, e però conchiudiamo coll'emettere questo voto: che alcun valente scrittore (e bramiamo che sorga in Italia, nella maestra di ogni scienza) la faccia argomento di un'opera d'importanza.
Crediamo aver risoluto le quattro quistioni proposte, perocché abbiam chiarito la relazione della scienza bellica con gli altri rami dell'umano sapere, la relazione dello stato sociale colla scienza suddetta, la potenza conservatrice e la storica importanza di lei e da ultimo la sua influenza sullo sviluppo dell'intelletto e della volontá. Niente altro ci resta se non dichiarare il metodo che terremo per isvolgere storicamente le idee sopra enunciate, il quale sará il seguente.
Nel secondo discorso tratteremo dello stato delle scienze belliche presso i popoli dell'antichitá, segnalando le differenze che lo separano da quello de' moderni. Nel terzo tratteremo dello stato dell'istessa scienza dal medio evo fino alla scoverta della polvere. Nel quarto dalla scoverta della polvere fino all'abdicazione di Carlo quinto. Nel quinto da quest'ultima epoca fino al trattato di Westfalia. Nel sesto da questo fino al trattato di Passarowitz. Nel settimo da quest'ultimo fino alla rivoluzione francese. Nell'ottavo da questa al congresso di Vienna. Nel nono esporremo i rapporti delle scienze belliche colla letteratura e colle belle arti, determineremo in quale scientifica categoria la guerra possa essere considerata e quale sia l'importanza dello studio di essa per la sua pratica applicazione come arte, e termineremo col riassumere tutto quanto dicemmo nei nostri discorsi. Confidiamo che il piú dei lettori voglia prender diletto da una scienza di cui è tanta l'importanza e l'altezza che piú addentro si guarda e piú s'ama.
DISCORSO II
Delle differenze tra la scienza militare degli antichi e quella de' moderni.
Avendo nel primo nostro discorso dichiarato i legami che ha la scienza militare con le altre tutte, mostreremo ora in questo le differenze di essa scienza tra' vari popoli in tempi diversi. E perché la piú chiara ed esatta distinzione si è quella fra antichi e moderni, cosí riserbando ad altro luogo il parlar d'altre cose attinenti all'arte della guerra, terremo qui ragionamento dei caratteri particolari i quali separano le usanze guerriere degli antichi da quelle de' popoli moderni, e dimostreremo come tali differenze risultino dallo stato civile e dalla istruzione scientifica delle nazioni.
Non v'ha dubbio che presso le genti barbare non v'ha scienza bellica, ma sí veramente solo ci ha in quella vece l'istinto della guerra. Di strattagemmi componesi, per cosí dire, la guerra, la quale è soggetta ad un certo calcolo. Per esserci dunque una scienza bisogna che lo stato delle societá sia tale che nelle loro leggi e nella loro coltura intellettuale ci sia qualche cosa di comune. La scienza militare in tal caso seguirá questa tendenza e salirá veramente a quel grado che se le conviene. Dopo le quali premesse ci occorre questa prima quistione: fino a qual punto la scienza militare ottenne ne' prischi tempi il carattere di generalitá che hanno le scienze tutte?
L'antichitá presentava nel suo complesso popoli costituiti in una gradazione diversa della scala sociale. Leggi teocratiche ed una civiltá stazionaria regnavano nelle vaste e misteriose contrade dell'Egitto e delle Indie. Misto di leggi militari e teocratiche era il reggimento della monarchia persiana. Le coste dell'Asia minore si governavano con forme republicane, le quali meglio si confacevano allo spirito commerciale che dominava in quei popoli. Delle orde nomadi occupavano il centro dell'Asia. La gran famiglia celtica stendevasi in quasi tutta l'Europa meridionale, ed i sarmati e gli scandinavi ne tenevano il settentrione. Tutte queste nazioni erano veramente societá poco avanzate per rispetto alla civiltá ed alla scienza in gradi diversi. La Grecia con le sue colonie e Roma con l'Etruria presentavano i soli popoli in cui la civiltá non solo era inoltrata, ma portava seco medesima il seme di maggior progresso. La civiltá delle coste occidentali dell'Africa avea apparenza di forestiera, perché introdotta dalle colonie colá stabilite, ma l'interno del paese era barbaro o ignoto. Da questa breve esposizione risulta che piú differenze che somiglianze vi erano tra le varie nazioni del mondo antico; e sarebbe un far onta alla sagacitá de' nostri lettori il dimostrare la disparitá compiuta cosí negli usi e costumi come nelle idee e ne' sentimenti onde era separato il mite popolo delle Indie dall'orgoglioso persiano o dal parto feroce, il superstizioso egiziano dall'ateniese elegantissimo, e la intelligenza pronta del greco dalla gravitá de' romani o dall'ignoranza de' celti.
Or se ne' popoli dell'antichitá le differenze erano molto maggiori delle somiglianze nel complesso della loro esistenza, per logica deduzione ciò doveva dare le stesse conseguenze riguardo alla coltura ed allo scibile. L'applicazione di questo principio al nostro scopo ci rende certi che l'arte militare appresso gli antichi aveva un carattere proprio e locale che la faceva rassomigliare ad una letteratura anzi che ad una scienza, giacché quella è sempre l'espressione della societá nella quale fiorisce, e questa veste sempre il carattere dell'universalitá.
Ed ecco pertanto la piú evidente diversitá tra l'arte militare degli antichi e quella de' moderni: che l'una è locale, l'altra generale, perché tra i primi le differenze sono maggiori delle somiglianze e nei secondi le somiglianze sono molto piú delle differenze. Infatti la dominazione romana, il cristianesimo, il sistema feudale, la letteratura classica hanno stabilito fra' moderni popoli quella specie di comunione, quella somiglianza, diciam cosí, di fisonomia che non poteva, come notammo, esser mai tra i loro predecessori. E però l'arte militare nella novella Europa ha preso quel carattere scientifico ed universale che non si ebbe mai appresso gli antichi. Per giugnere a questa veritá, ricordevoli del metodo da noi adottato nel precedente discorso, dimostreremo come gli uomini, le armi e gli ordini antichi, comparati co' nostri, indicano nel tempo stesso non meno le differenze dello stato dell'arte militare presso i popoli dell'antichitá che quelle delle arti e delle scienze tutte. E però si consideri:
1. La facilitá che essi avevano di muovere i loro eserciti formati in ordine profondo grazie al limitato materiale di cui usavano, perché le loro armi non domandavano una consumazione perenne di munizioni da guerra.
2. La parte secondaria che la cavalleria e le macchine di guerra tenevano ne' loro eserciti.
3. La facilitá di governare masse limitate nel numero e nei bisogni in virtú della scelta degli uomini e dell'educazione che ricevevano.
4. La poca importanza delle nozioni topografiche e geografiche, la quale risulta dalle antecedenti circostanze che erano proprie del sistema guerriero dell'antichitá, ond'è che il lavoro della penna e lo studio, cosí importanti pei moderni, erano quasi di niun valore per gli antichi; diversitá, secondo noi, la piú notabile, perché ben applicata può servir di misura al merito de' gran capitani delle varie etá e giovare ad assegnar loro quel posto che meritano nella opinione dei posteri.
Ma qui crediam necessario prevedere qualche obbiezione che alla terza di queste proposizioni potrebbe farsi. Forse ci si dirá che il numero limitato è tutto al piú applicabile solo a' greci ed a' romani ne' loro tempi gloriosi, ma non mai a' popoli orientali o a' barbari nomadi cosí dell'Europa come dell'Asia e dell'Africa.
A ciò rispondiamo che sebbene il padre della storia ci dia convincenti pruove della massa quantunque esagerata pur sempre numerosa dei persiani e di altri popoli dell'Oriente, nondimeno facciamo osservare che noi ignoriamo come sussistevano queste informi aggregazioni di uomini e come si amministravano, che poco sappiamo anche come combattevano, e che dalla sola rassegna dell'esercito persiano deduciamo che non vi era né scelta negli uomini né uniformitá nelle armi né in conseguenza negli ordini. Ma conosciamo per altro che metodi imperfetti servivano a muovere masse enormi, le quali operavano col loro peso e non mai con la loro intelligenza, e che l'arte mancava di regole certe e non poteva essersi elevata all'altezza di scienza. Il primo carattere, del pari che il piú gran risultamento di essa, consiste non solo nel far vincere, ma nell'avere negli ordini di che riparare ai rovesci. Imperciocché come osserva col suo alto senno il Segretario fiorentino, non ci è scienza guerresca ove non ci è un sistema di spiegare le proprie forze a proposito o con misura perché le speranze rinascano di continuo; speranze che non ingannano finché quell'ordine sussiste, laddove il valore individuale privo di direzione e di speranze perde il suo primo vigoroso impulso. E cosí quel grande ingegno nota e spiega la salda intrepidezza delle legioni anche ne' loro giorni sinistri e lo scoraggimento dei Galli dopo il primo loro assalto non riuscito[1].
L'osservazione del Machiavelli è applicabile cosí a' popoli nomadi d'Oriente che alle nazioni celtiche ed alle orde scitiche. Senonché queste avevano sui primi il vantaggio di uomini meglio preparati alla guerra pel loro stato sociale, di un armamento piú uniforme e piú compito, e se non di ordini militari positivi, almeno di quelle abitudini che ne tengono luogo e che ne producono i risultamenti. Crediamo cosí aver risposto all'obbiezione che poteva farcisi e dichiarato perché ci limiteremo a comparar coi moderni i soli popoli inciviliti dell'antichitá, giacché questi soli avevano fatto della guerra una scienza.
La piú ristretta cognizione dell'istoria antica è sufficiente a far conoscere che i greci ed i romani, benché forniti di ordinanze ed armi diverse, avevano di comune la profonditá dell'ordine piú o meno flessibile nel movimento delle sue frazioni. È chiaro come simile ordinanza non solo agevoli i movimenti, ma renda il capitano padrone di masse disposte in un ordine mobile e concentrate sui circoscritti spazi; vantaggi tutti di cui sono privi i moderni per la natura delle armi da fuoco, che portano la distruzione sulle masse disposte in ordine profondo, dove con lo spiegamento di esse la mobilitá è diminuita e la difficoltá del comando si complica per lo spazio occupato e pel bisogno di avere due ordini diversi, l'uno per attaccare, l'altro per difendersi. L'uso quasi esclusivo delle armi da fuoco rendendo le macchine moltiplicate e frequente il rinnovamento delle munizioni da guerra, ha fatto crescere le difficoltá delle operazioni tutte, dalle marcie e dall'ordine primitivo di battaglia fino alle operazioni strategiche le piú trascendenti. Le macchine antiche, importanti negli assedi, erano di quasi nessuna importanza nelle battaglie. Al che aggiugni la ristretta azione della cavalleria, la quale essendo disposta in ordine profondo e non operando mai contro la infanteria nemica se non quando i suoi ordini erano sciolti, si limitava a combattere solo la cavalleria. Al contrario oggidí la cavalleria combatte co' fanti, particolarmente se è secondata da un'agile artiglieria. La quale inferioritá delle antiche armi ausiliarie produceva come principale effetto la superioritá della difesa all'attacco.
Gli antichi eserciti si componevano di soldati scelti tra uomini giá educati a un tale scopo ed erano perciò facilmente governati. Né le cognizioni geografiche o l'importanza del tempo erano per un capitano dell'antichitá se non secondarie, il che succede appunto tutto all'opposto per un capitano de' moderni tempi. Quegli ridotto ad operare con una ordinanza forte da per sé ed appoggiandosi ad essa, aveva tutto sotto gli occhi, ed a renderlo grande bastava il merito tattico; laddove questi dev'essere strategico, vale a dire dee saper dirigere e muovere le sue truppe su terreni che non vede. Quindi il primo va giudicato dalle sue azioni, il secondo dalla sua corrispondenza; dappoiché l'uno poteva riparare gli errori de' suoi collaboratori, essendo ciò in sua balía, l'altro non giá, perché fuori del suo potere. Ci resta ora a determinare come lo stato della societá tra gli antichi e delle scienze economiche, politiche e morali, esatte e naturali si palesi nelle loro composizioni, nelle armi e negli ordini da essi adottati; ci rimane a stabilire fino a che punto i loro militari ordinamenti hanno avuto potere sopra gli avvenimenti istorici. Le quali quistioni serviranno di conclusione, perché dimostrano la nostra primitiva asserzione, la quale andremo successivamente svolgendo negli altri nostri discorsi cosí pel medio evo come pe' secoli seguenti.
Esaminando le societá incivilite dell'antichitá, troviamo nella loro filosofia e legislazione la pruova compiuta del grado eminente cui erano pervenute le scienze morali, le quali tanto contribuivano a formare gli uomini e dirigerli ad uno scopo di sociale utilitá. Ecco perché gli uomini che componevano le falangi e le legioni avevano indubitatamente una gran superioritá sopra quella moltitudine di che si compongon gli eserciti delle moderne nazioni. Perciò tutto quello che riguarda la disciplina e la forza morale degli eserciti greci e romani eccita non solo la nostra ammirazione, ma sovente ci sembra un fenomeno inesplicabile, se pure non si vuole ammettere una degradazione nella specie umana. Or quest'alta disciplina non era solo fondata su metodi meccanici, buoni senza dubbio ed indispensabili, ma essa risultava altresí dall'azione sull'intelligenza e la volontá umana, richiedendosi dal soldato antico non la limitata cooperazione che l'ubbidienza inspira, ma quella piú elevata, piú compiuta, piú feconda per sua natura di grandi effetti, perché spontanea. Di ciò fanno fede le concioni degli antichi e tutta la loro legislazione militare, che mirava ad infervorare la mente delle persone senza che il disordine s'introducesse nelle schiere.
Da questo adunque possiamo inferire che gli uomini degli eserciti vetusti erano superiori agli uomini degli eserciti moderni, benché questi, a dir vero, migliorino a misura che negli Stati si adotta la massima che il servizio militare è un dovere di tutti temporaneamente.
Non diremo lo stesso delle armi, mentre le scienze naturali ed esatte erano nell'infanzia anche nelle colte nazioni dell'antichitá, e le opere stesse di Aristotele e di Plinio dimostrano insieme e la superioritá degli uomini e lo stato poco soddisfacente delle scienze naturali. Epperò i moderni hanno una indeterminata superioritá a questo riguardo; ma bisogna osservare che non è solo alla scoperta della polvere che si dee attribuire tal differenza, ché essa poteva farsi anche nell'antichitá, ma questa scoperta stessa non ha dato tutti i suoi risultamenti se non quando il progresso di tutte le scienze esatte e naturali l'ha secondata nel suo crescere e nel suo perfezionarsi. In effetti ci sono popoli selvaggi e popoli barbari che conoscono e si servono dell'armi da fuoco, ma non perciò posseggono la scienza militare. E se fosse vero che i chinesi, come alcuni pretendono, avessero preceduto gli europei nella scoperta della polvere, ne risulterebbe una pruova piú chiara di quanto asserimmo.
Gli ordini come dipendenti dalle armi hanno dovuto risentirsi, siccome facemmo osservare, dello stato delle scienze che loro servono di base. Ma gli antichi possedevano le scienze esatte ch'erano necessarie per servire di princípi alla tattica, ed in effetto ingegnosi e matematicamente ragionati erano tutti i movimenti della falange e della legione. Tutto ciò però che dipendeva dalle scienze geodetiche, geografiche ed astronomiche non avea base larga; per cui la parte trascendente della guerra presso gli antichi era piú nell'istinto degli uomini grandi che nello stato della scienza.
Tale a noi sembra il potere che ha avuto lo stato delle scienze sui militari ordinamenti degli antichi. Ci resta ora a considerare fino a qual punto sí fatto stato dell'arte militare abbia influito sulle fasi dell'istoria dell'antichitá e sulla sorte dell'umana specie.
Noi abbiamo indicato nel precedente discorso l'influenza che esercitò la resistenza della Grecia alla Persia, coronato dal buon successo nella guerra contro i medi a pro della civiltá della specie umana. Nessuno disconviene dell'immensa spinta che diedero allo spirito umano le conquiste di Alessandro, la conoscenza dell'Oriente, la formazione di un impero greco in Egitto e la fondazione di Alessandria; cittá che non solo serví al commercio delle derrate, ma a quello delle dottrine, ed ove conservò lo spirito umano un asilo per esercitarsi nella doppia decadenza letteraria della Grecia e di Roma. E questi grandi risultamenti nessuno negherá esser dovuti agli ordini greci, i quali guidati da mente sublime prevalsero sull'ignoranza militare dell'Oriente.
Le conquiste de' romani costituiscono l'importanza e l'unitá dell'istoria di quel tempo e hanno preparato piú di ogni altra cosa l'avvenire d'Europa. Perciò l'illustre Bossuet nel suo magnifico Discorso sulla storia universale ha considerata la vasta dominazione romana e la sua caduta come il grande strumento di cui la provvidenza usò per propagare il cristianesimo; alti risultamenti che si legano allo stato della scienza presso i romani ne' periodi diversi della loro politica esistenza. Tali conquiste sarebbero state certamente impossibili se ne' popoli che i romani attaccavano fosse fiorita la scienza militare. Ma fino a che punto la correlazione tra le scienze e la guerra si conservò nella decadenza dell'impero quando fu aperto il varco alle barbare dominazioni?
Uomini eminenti nelle scienze morali hanno manifestata la loro opinione intorno al circolo inevitabile che le nazioni percorrono, discendendo di bel nuovo dopo di essersi elevate all'apice della civiltá. Il nostro altissimo Vico ne ha fatto un sistema intiero ch'è rifermato da molti. Ma si domanda se i romani avevano attinto l'ultimo grado di civiltá, posto che nello Stato una ferrea schiavitú imbarbariva la maggior parte della popolazione e le classi alte erano ammollite, le medie avvilite; posto che in esso la religione non avea nulla di spirituale e si riconoscevano negli dèi piú vizi che non in qualunque uomo ordinario; posto che infine le scienze esatte e naturali erano nell'infanzia. Ivi gli spettacoli atroci ed altri particolari caratteri dimostrano una societá che conserva un gran fondo di barbarie e che non è compiutamente incivilita; per cui può dirsi che la decadenza dell'impero procedeva da ciò che gli mancava di civiltá anziché da eccesso della medesima. L'applicazione di questo principio allo stato dell'arte militare ne dará una pruova e servirá di risposta alla quistione ultima che ci siam proposta.
La degradazione degli uomini togliendo alla milizia romana quella superioritá di composizione che noi facemmo osservare, portò un colpo mortale alla milizia, poiché solo espediente dell'impero contro i barbari fu il sistema di reclutare tra questi; il che compiutamente dimostra la deteriorazione degli uomini d'arme. Si comprende egualmente come questa introduzione de' barbari qual nuovo elemento della forza militare avesse dovuto produrre il doppio effetto d'insegnare ad essi alcunché della tattica romana e d'involgere questa nelle costumanze barbariche; doppio effetto che tornava a favore del barbaro i cui metodi progredivano, ed a danno dei romani che deterioravano i loro. Le armi romane furono alterate dal loro buon lato, ch'era la parte difensiva, giacché davano maggior confidenza al soldato; la mollezza le fece cadere in disuso, ed barbari ebbero un ostacolo di meno.
Gli ordini si risentirono della decadenza degli uomini e del cambiamento nelle armi: essi furono meno solidi e meno mobili, furono alterati in tutte le loro proporzioni dalla diffidenza che avevano gl'imperatori d'Oriente, dalla forza ed unitá dell'antica legione la quale tanto aveva influito nel governo.
Ecco a nostro credere dimostrato che la superioritá degli antichi essendo stata interamente negli uomini, la sola degenerazione di costoro alterò tutti gli elementi del sistema militare e produsse il grande avvenimento della dominazione de' barbari. Se al contrario le scienze fossero state nell'impero ciò che sono tra le nazioni incivilite d'oggidí, l'arte militare si sarebbe mantenuta al loro livello ed i barbari non avrebbero potuto osare l'invasione, siccome oggi non l'osano e per le cause medesime. Basta vedere come il fuoco greco contribuisse sí lungamente alla conservazione dell'impero d'Oriente malgrado la corruzione e l'abbietta esistenza di questo, per comprendere che se l'impero romano fosse stato veramente incivilito e se questa civiltá avesse potuto reagire sulle sue forze conservatrici, avrebbe esso data alla storia un altro colore ed all'umanitá altri destini.
Nella stessa guisa e col metodo stesso ci faremo a svolgere lo stato dell'arte militare nel medio evo, per continuare sotto questo rapporto la comparazione de' moderni con gli antichi e renderla cosí piú compiuta. Nel quale imperfetto lavoro ci dá coraggio il vivo interesse che nell'animo nostro si sveglia allo scorgere nella serie degli avvenimenti quanto potere abbia avuto su di essi un'arte che a prima vista pare speciale, un'arte che ci sta molto a cuore e che vorremmo vedere presso di tutti considerata come scienza conservatrice e come parte dell'economia sociale.
DISCORSO III
Della scienza della guerra nel medio evo e delle sue relazioni con le altre scienze e con lo stato sociale.
Il medio evo, considerato come un'èra di distruzione e di rinnovazione, è una delle epoche piú importanti dell'istoria dell'umanitá.
In effetto quale spettacolo piú atto a risvegliar la meditazione che la distruzione successiva dell'antico mondo? La quale vedesi compiere per lo spazio di piú secoli nelle leggi del pari che nei costumi, sí nelle istituzioni come nelle credenze, tanto nelle idee quanto nelle passioni; e scorgiamo poi questi elementi scomposti dell'antico ordine fondersi coi nuovi e preparare un sistema di progressiva civiltá che fa l'orgoglio della presente Europa e ch'è la piú bella pagina degli annali della specie umana.
Un punto di veduta sí elevato sfuggí alla sagacitá dei filosofi del secolo scorso, i quali non considerarono questo istorico periodo se non come quello nel quale il mondo classico antico era scomparso, dando luogo ad una vasta colonizzazione di barbari, che avevano col loro dominio fatto retrocedere lo scibile umano in tutte le sue diramazioni. Nel nostro secolo al contrario i sapienti deplorando tutto ciò che si distruggeva dal quinto all'undecimo, hanno veduto da questo al decimoquinto una serie di progressi importanti, che menavano ad un sistema di civiltá superiore a quello degli antichi, piú in armonia con le leggi di un vasto perfezionamento sociale comune a tutti gli uomini ed in conseguenza piú compiuto e piú solido.
Stabilita una volta questa partizione del medio evo in due periodi, uno che tendeva a scomporre l'antico ordine che reggeva l'Europa sotto la dominazione romana, l'altro che intendeva a creare il nuovo sotto il quale l'Europa è ordinata oggidí, crediamo importante esaminare qual sia stata la sorte dell'arte militare in questi due periodi; ricerca che può servire a verificare lo stato delle scienze e della societá in quella epoca, per le relazioni costanti e moltiplici tra l'una e le altre.
Le tre quistioni nella soluzione delle quali crediamo poter trovare di che raggiugner l'oggetto che ci proponemmo, sono:
Determinare qual fu lo stato dell'arte militare dal quinto all'undecimo secolo, considerandolo negli uomini, nelle armi e negli ordini.
Determinare quale fu il suo stato sotto lo stesso aspetto dall'undecimo secolo fino alla scoperta della polvere da sparo.
Determinare i legami dello stato delle scienze e della societá con lo stato dell'arte militare in questi due periodi.
Nel primo periodo indicato noi esporremo succintamente lo stato dell'arte militare presso le nazioni piú nominate a quel tempo, che si riducono ai greci, ai saraceni ed ai barbari, e particolarmente ai franchi, per la parte che hanno avuto sotto la seconda razza negli affari principali di Europa.
L'impero greco che conservava le forme e le tradizioni della civiltá greca e romana, non ne perfezionava i metodi, perché gliene mancava lo spirito in letteratura, in legislazione ed in filosofia, e però se ne rimaneva alle nude forme. Cosí fu nell'arte militare, languida imitazione dell'infanteria delle legioni; la greca non aveva che un ordine misto, preso dalla falange e dalla legione, che non produceva nessuno dei grandi effetti delle due ordinanze, l'una fondata sul suo peso e l'altra sulla sua flessibilitá. Il decadimento degli uomini scorgesi dalla difficoltá di conservare le armi difensive, e dallo stato in cui era la cavalleria che non poteva uguagliar quella dei persiani e dei barbari, e dal numero delle macchine che dovevano supplire al vigore delle truppe. I fuochi greci furono il solo spediente contro il valore dei saraceni e dei franchi.
Dalla natura degli uomini, degli ordini e delle armi dei greci può dedursi lo stato di una societá della quale un illustre storico ha detto che «i greci, contenti al minuto commercio ed alle manifatture le quali non dimandano l'uso di alcuna facultá, si abbandonavano fuori di queste due professioni ad una infingarda mollezza»; per cui — soggiunge l'autore — quantunque conservassero tutte le cognizioni pratiche della civiltá, nondimeno perché privi della vita la quale solo le anima, non potevano resistere a popoli ad essi inferiori in ricchezza, in potenza, in scienza ed in arte militare. Possiamo quindi conchiudere che quanto abbiam detto nel precedente discorso sull'impero romano nel suo periodo di decadimento è applicabile al basso impero nella sua lunga epoca d'ingloriosa carriera.
I saraceni offrono uno spettacolo opposto a quello de' greci, mentre la loro maggior possa stava nel vigor fisico, nell'entusiasmo degli uomini, nella loro individuale destrezza a maneggiare le armi da getto e da ferir dappresso e nella facilitá con la quale guidavano i loro cavalli. La parte piú debole erano gli ordini che, secondo gl'istorici contemporanei, possono ridursi per le battaglie ad un parallelogrammo di due linee profonde e solide, l'una d'arcieri e l'altra di cavalieri, che dovevano dar preludio e fine al combattimento, adoperando successivamente la prima e poi la seconda linea. Inferiori ai greci rispetto agli ordini ed al meccanismo, superiori come individui, erano vani i loro assalti, non avendo di che riordinarsi e ritornare alla mischia. In tutto ciò che riguardava la guerra di assedio e le macchine corrispondenti erano inferiori ai greci pel loro stato di civiltá: avevano però il merito d'imitare con sagacitá ciò che non potevano creare per princípi.
I franchi come rappresentanti principali dei popoli barbari formavano una societá tutta guerriera, il cui viver civile era subordinato allo scopo militare: da ciò risultava che gli uomini erano di una rara intrepidezza ed erano spinti alla guerra dalla inclinazione e dall'abitudine. Le loro armi essendo ridotte alla «francisca», ad una lunga spada e ad un pesante scudo, e non venendo perciò conceduto loro l'uso delle picche e delle armi da getto, non potevano combattere né alla spicciolata né in massa, e però lor mancavano tutti i vantaggi di un ordine tattico; difetto che bilanciava il poter superiore delle individuali qualitá. Forniti appena di cavalleria, era questa un'altra inferioritá per le battaglie e pei loro risultamenti. La mancanza di macchine d'assedio si rileva da questo stato imperfetto dell'arte militare come sua natural conseguenza. Tra i barbari i goti erano i piú avanzati in ordinamento militare. Le loro armi erano piú compiute, i loro ordini piú regolari e la parte che riguardava le macchine piú fornita; e ciò provava il loro stato di civiltá inoltrata. I vandali, i borgognoni ed i longobardi occupavano un posto intermedio nella scala dell'incivilimento relativo. Tra i franchi ed i goti, gli uni i piú rozzi e gli altri i piú inciviliti tra i barbari, si osserva la stessa proporzione nell'arte militare. Gli unni che non ebbero certa sede nel mezzo dell'Europa ma vi fecero soltanto incursioni, differivano nel combattere a cavallo dagli altri barbari, come facemmo osservare.
Da questo breve cenno sullo stato della scienza bellica nel periodo che abbiamo additato si deduce facilmente che l'arte militare seguiva la decadenza rapida ed universale di tutte le scienze e di tutte le istituzioni che costituivano la civiltá dell'antico mondo, e che in conseguenza né le grandi combinazioni della guerra né i gran capitani potevano sorgere per mancanza di tutt'i mezzi ausiliari, che abbiamo mostrati nei nostri precedenti discorsi essere indispensabili condizioni. La societá romana, dominata da' suoi invasori, era da essi per l'interesse della loro conservazione allontanata dall'uso delle armi, le quali non poteva impugnare per difendere un ordine di cose tutto a suo svantaggio: circostanza che concentrando in una sola classe l'esercizio delle armi, faceva presagire che ogni rilassatezza nell'ordinamento di questo dovea produrre necessariamente la debolezza. Questi effetti furono prodotti presso i barbari piú segnatamente dopo la rovina dell'impero goto in Italia e piú compiutamente dopo la morte di Carlo Magno, il quale fece sostituire il principio feudale alla unitá amministrativa che quel grand'uomo si era sforzato di stabilire nel suo governo. I greci dopo le vittorie di Belisario e di Narsete, che chiusero la gloria delle legioni romane non ostante i vizi che vi si erano introdotti, perdettero per la loro decadenza morale ed intellettuale tutti i vantaggi che dovevano al meccanismo, alle pratiche ed alle tradizioni ereditate dalla potenza da cui traevano l'origine. È un curioso fenomeno il vedere coincidere cronologicamente l'ultime vittorie di Giustiniano con l'abolizione da questo principe decretata delle scuole d'Atene. Gli arabi trovarono nei loro prosperi successi, nell'estensione smisurata delle loro conquiste e nella loro imperfetta civiltá che non si prestava al progresso costante, quella decadenza militare che abbiamo segnalata nelle barbare nazioni e nel basso impero, ma che procedette fra loro con piú lentezza. Per la quale conservarono prima superioritá, poi eguaglianza con gli europei, finché la civiltá progressiva di questi ultimi non decise la loro superioritá.
Ci resta ora ad esaminare nel secondo periodo l'istesso andamento, additarne i princípi e le conseguenze, segnalandone le cause, gli effetti e la loro correlazione.
Il secondo periodo che ci facciamo ad esaminare offre due epoche diverse che debbono essere segnalate pe' tratti caratteristici che presentano. La prima si rannoda al periodo antecedente e corrisponde alla formazione del governo feudale; la seconda al suo insensibile decadimento e alla lenta formazione dell'unitá nazionale e di un governo centrale. Che cosa poteva essere l'esercito ove non vi era Stato? Che cosa erano gli uomini, le armi e gli ordini in una federazione imperfetta di dominatori che vivevano ed esercitavano tutti i dritti dell'individuale sovranitá sulle loro possessioni? Tali sono le prime e piú naturali quistioni che si presentano in questa epoca, in cui la societá pare disciogliersi nei suoi ultimi elementi per ricomporsi indi con essi sotto altra forma. È ben semplice rispondere che in questa epoca tutta d'individualitá l'arte doveva finire, perché essa suppone una aggregazione d'individui ordinata ad uno scopo, ed il ben indirizzarvela è il suo fine. Non vi resta dunque altro che gli uomini. Or la societá allora si componeva dei dominatori e de' loro vassalli. Fra le armi sceglievansi quelle che si confacevano col comodo e con la sicurezza; per cui cavalli ed armi difensive. Ordini non ci potevano essere e si trasformavano nell'individuale destrezza, come si vede dagli esercizi militari, immagine della guerra. Essi erano ridotti alle giostre, e ciò dimostra che gli scontri altro non potevano essere che una serie di singolari combattimenti, il cui risultamento era il frutto del valore, della destrezza, della bontá delle armi e dei cavalli e non degli ordini. Quindi la distruzione di ogni scienza bellica. Ciò si desume chiaramente in primo luogo dalla composizione dei drappelli che non erano il frutto di un calcolo militare ma bensí delle possessioni territoriali de' baroni, secondariamente dall'assenza di ogni fanteria che costituisce il nerbo degli eserciti, e finalmente dall'inespugnabilitá delle castella, perché mancava ciò che forma il materiale di guerra per gli assedi, il che ne rendeva facile la difesa. È inutile il far osservare che non vi era alcun segno che facesse presumere nulla di trascendente nell'arte della guerra, e che dopo Carlo Magno che teneva e doveva muovere masse riunite, queste dileguaronsi in Europa all'elevazione della terza razza in Francia.
In Ispagna si lottava tra gl'indigeni ed i saraceni, e tale stato di guerra permanente manteneva la necessitá di riunire masse numerose per aggredire o difendere. Perciò non dovea mancare alcuna pratica d'ordini militari; ma la poca conoscenza che abbiamo degli scrittori arabi e la poetica esagerazione degli autori spagnuoli ne' loro racconti non ci ha lasciato di che formarci un'idea del metodo di guerra allora usato. Vi si osserva però che le qualitá individuali costituivano l'eroe, il quale dovea la vittoria non alle sue disposizioni, ma al proprio valore, alle proprie armi, al terrore che metteva il solo suo nome ne' nemici ed alla fiducia che ispirava ne' suoi. Il gran Cid del pari che gli altri eroi contemporanei appalesano questo carattere, e i loro piú caldi panegiristi non notano mai tratto alcuno della loro intelligenza, ma sí bene della loro ferrea volontá.
Nel basso impero si osserva l'istesso sistema che nel periodo antecedente, ma sempre in decadenza, secondo che piú si discostava dalla sua origine e che le forze dell'impero diminuivano con essere ristrette nei loro limiti materiali.
Negli arabi alcun cambiamento positivo non vi era e conservavano tuttavia sui greci i vantaggi che enunciammo.
Le imprese dei normanni eran dovute piú particolarmente alla loro abilitá per mare, tutta di abitudine, di coraggio e di pratica, e per terra a quella superioritá che dovevano avere siccome barbari non ammolliti né sformati dalla conquista e combattenti con nemici sparsi, in vaste terre che occupavano fra popolazioni avverse sí, ma avvilite, le quali non potevano resistere ai nuovi invasori perché non avevan resistito ai primi. E ciò spiega gli straordinari successi dei normanni, che non possono essere attribuiti a nessuna superioritá militare scientificamente considerata.
Resta ad osservare che cosa fosse lo stato dell'arte militare nelle repubbliche italiane, le quali ordinate sotto altra forma avevano resistito a Federico Barbarossa, avevano difeso Milano e Crema con ostinazione e trionfato a Legnano in aperta campagna.
La lega lombarda fu la prima che in quell'epoca presentasse lo spettacolo di una milizia comunale ragunata dal popolo senza distinzione di classi: metodo ch'era il risultamento del suo stato sociale e politico e degl'interessi delle comunitá estese con la lega, la quale offre il simbolo dell'unitá federale e la sua pratica applicazione nell'esercito collegato che pugnò a Legnano. Questa prima riunione di italiani dopo l'invasione de' barbari ci fa ricercare con ansietá che cosa fossero le loro armi e i loro ordini, giacché abbiamo veduto come gli uomini si scegliessero. Gli storici contemporanei dicono che un elmo, uno scudo, con braccialetti e cosciali, erano le armi difensive delle milizie delle cittá lombarde, e le armi offensive una spada larga e tagliente. Solo qualche corpo di alabardieri e di arcieri erano eccezioni e non regola. Quest'armamento non comportava nessun ordine tattico da piegarsi ad ogni variazione della guerra, ma tutta affidava la riuscita al valore individuale, il quale aveva una direzione nel dover difendere il carroccio, che era il mistico e sacro simbolo della vittoria e della patria. Gli eserciti di Federico, al dire degli storici, non differivano dagli eserciti italiani, tanto piú che si osserva che le genti d'arme tedesche non erano né numerose né perfezionate ne' loro metodi come lo furono dipoi. Ed infatti da un illustre storico di quel tempo è attribuito a questo perfezionamento delle genti di arme alemanne la superioritá ch'ebbero sugli abitanti delle cittá italiane; il che con altre cagioni produsse la successiva conquista degli italiani o per gli stranieri o pei condottieri, e divennero perciò alcuni di essi signori del luogo, come lo Sforza di Milano.
Le crociate considerate come imprese comuni dell'Europa, mosse da un principio e tendenti ad uno scopo comune, fanno presentire al tempo stesso che il potere sociale si concentrava nelle nazioni, che delle relazioni si stabilivano tra esse e che in conseguenza masse numerose dovevano essere guidate in lontane regioni per compiere l'oggetto che avevasi in mira. Una volta ciò fermato, è importante ricercare se i metodi di guerra si elevarono all'altezza del loro fine, cosí diverso da quello delle piccole guerre locali. Pur nondimeno non vediamo dagli storici contemporanei nessun perfezionamento positivo negli uomini, negli ordini e nelle armi di quegli eserciti. I primi furono scelti non dall'interesse solo dei dominatori feudali, ma dalle pie disposizioni delle classi tutte della societá, in quel tempo comuni a tutti. Ma ciò non impedí che la forza non restasse nella cavalleria, composta dai potenti e dai loro vassalli, la quale conservò le sue armi, e che i drappelli non fossero formati in una scala piú vasta, non secondo un principio razionale, ma della importanza de' capi e delle nazioni; e si vedeva sempre il federalismo feudale predominare in questi eserciti male accozzati.
La fanteria, se tale può chiamarsi una riunione di uomini privi di fortuna e di sostegno, era una massa informe senza regolaritá nelle sue armi né nei suoi ordini, che poca parte aveva nella guerra di campagna e negli assedi e che serviva piú alle fatiche che agli scontri.
La curiositá di sapere il modo come si movevano e sopratutto come vivevano le schiere persiane nella guerra dei medi si rinnova a questo periodo, ma s'ignora egualmente per quali metodi vi si giugnesse. Del resto può concludersi dalle perdite immense che soffrirono i crociati e dall'esame delle loro vittorie e delle loro sconfitte che quelle prime erano dovute all'individuale valore, alla destrezza personale ed all'entusiasmo, e le altre all'ignoranza dei princípi della guerra, alla mancanza di metodo e di disciplina. In effetto tutti gli eroi delle crociate sono celebri per il loro valore, per la loro pietá, e non per la loro intelligenza militare. Goffredo, Riccardo e san Luigi ci mostrano un carattere diverso, ma non sono mai considerati come capitani esperimentati; e ciò ch'è piú da riflettersi si è che all'ultime crociate, cioè quelle di san Luigi, gli errori sono gli stessi che per lo innanzi, e nessun progresso si ottiene per due secoli di guerra e di esperienza, e l'istessa ignoranza di geografia, di topografia e di tattica si scorge nella quinta del pari che nella prima crociata[2]. La guerra di assedio si faceva con le macchine antiche e vi si aggiungeva il sacrifizio della fanteria che poco si stimava. I loro avversari parevano piú nell'arte istruiti, ma può dirsi che non mai lotta piú lunga abbia meno perfezionato direttamente la scienza e la ragione, e che il poter che le crociate ebbero sulla civiltá europea fosse quasi in germe e non operasse che lentamente, ond'è che la guerra andò del pari col resto dello scibile umano. Volendo ricercare l'effetto piú reale che produssero le spedizioni dell'Oriente, pare che sia quello di aver abituata l'Europa alle riunioni di grandi masse, come si vede a Bovines, battaglia dalla quale si scorge che le comuni giá avevano un essere, giacché fornivano un contingente; ma l'uso di esso era di formarsi in ordine circolare e servir di baluardo alle nobili genti d'arme, che ne uscivano per combattere e vi si rifuggivano per riposarsi ed essere in sicuro. Quest'uso di una soldatesca prova secondo noi lo stato della societá, le relazioni tra le classi diverse e la stima in che queste eran tenute, meglio che nol facciano molte dissertazioni. Le guerre degl'inglesi in Francia, le battaglie famose di Creci ed Azincourt dimostrano e l'indisciplinatezza e l'ignoranza dei nobili uomini d'arme, come l'avvilimento e la nullitá della fanteria dei comuni e l'ignoranza dell'arte. Negl'inglesi al contrario i loro arcieri formavano un corpo assai ben composto, perché fornito dai comuni i quali avevano acquistato una grande importanza in quello Stato, e secondo i piú accurati istorici, le vittorie furono dovute a questa superioritá delle milizie comunali inglesi sulle francesi. Gli arcieri genovesi che si vedono essere la miglior fanteria dei francesi dimostrano che il sistema di soldar genti straniere per supplire a quelle qualitá che mancavano alle proprie, era l'effetto della persuasione in cui erasi che le qualitá militari fossero naturali e non acquistate per mezzo d'istituzioni e di metodi, il quale principio esclude quello di un'arte a tutti comune.
I condottieri e le loro bande che presero origine nel corso del decimoquarto secolo mostrano un principio della divisione della fatica applicata all'arte militare, mentre d'altra parte fan supporre un certo progresso nei metodi, incompatibile con l'indisciplinatezza dei nobili e l'avvilimento de' plebei. E però vi doveva essere una classe speciale che vi si dedicasse. Il germe degli eserciti permanenti e del progresso dell'arte sta nella istituzione di tali bande, giacché altro non bisognava che renderle nazionali perché si operasse la trasformazione. Queste compagnie erano composte di uomini che spontaneamente si dedicavano a quel mestiere per cui il gusto di esso suppone le qualitá che non ne vanno mai disgiunte. La mancanza però di amor patrio e di tutti i generosi sentimenti li cangiò in mercenari, inferiori a quelli dell'antichitá per valore e per disciplina; e se si paragonino gli antichi mercenari di Cartagine con le bande del decimoquarto secolo, si vedrá che queste non reggono al confronto. Nelle armi e negli ordini non troviamo progressi positivi, giacché sempre la cavalleria forma il nerbo degli eserciti, e questa totalmente carica di armi difensive ridusse la guerra ad una parodia che muove giustamente a sdegno gli storici. In Italia l'indole nazionale e lo stato di civiltá del paese fecer vedere che la gran guerra avrebbe fatto rapidi progressi se il poco sangue sparso e la venalitá delle bande non avessero rese le battaglie prive di gravi effetti politici; ma Aguto e la scuola italiana di Sforza, Braccio, Piccinino, Del Verme, Carmagnola, Gattamelata, i quali nei loro movimenti si mostrano strategici, riguardar ci fanno come campi d'istruzione queste guerre. Si vede che vi erano grandi capitani i quali non potevano levarsi in fama perché corrotti dal loro mestiere, dalle abitudini che ne risultavano e dalle truppe che comandavano; pur nondimeno è da notarsi la guerra di Gattamelata e Piccinino sul lago di Garda tra i Visconti e Venezia, che sarebbe stata piú celebre se fosse terminata con battaglie pari a quelle di Montechiaro e Castiglione.
In Italia tutto ciò che apparteneva all'architettura militare seguiva i suoi progressi, perché l'architettura civile e l'idraulica erano di molto progredite ed hanno piena questa contrada di monumenti di lusso e di utilitá. La torre di Pisa egualmente che gli argini del Canal bianco attestano lo stato florido di queste arti che dovevano rendere agevole quella parte di esse applicata alla pubblica difesa.
Gli svizzeri ed i boemi nella guerra degli ussiti sotto Ziscka nel decimoquarto secolo, furono i primi a preparare il risorgimento dell'arte militare con ricomporre la fanteria: essi, posti nelle stesse condizioni che i greci coi persiani, ne adottarono (e l'avrebbero inventata) la scelta degli uomini, le picche e l'ordine profondo per opporlo alla cavalleria tedesca, come quelli l'opposero alla persiana. Questo rinnovamento della falange doveva essere ricco di conseguenze militari e venir modificato dalla scoverta della polvere, come nel susseguente discorso faremo conoscere. Ma ricreata la fanteria, il gran passo era fatto, e l'arte non poteva piú retrocedere del pari che piú nol potea la civiltá.
Ci resta ora a determinare rapidamente la correlazione che hanno avuto le vicende dell'arte qui esposte con lo stato delle scienze e della societá, di cui abbiamo indicato i legami.
La societá nel primo periodo dell'epoca, dal quinto all'undecimo secolo, offriva una sterile civiltá nell'impero greco, sostenuta dal nome, dal meccanismo del potere e non dalla passiva ed avvilita indole dei suoi popoli, indifferenti alla sorte politica dello Stato.
L'Occidente era occupato militarmente dai barbari: non vi era altro che il clero il quale conservava vita, vigore ed ordini e cercava convertire i conquistatori che una societá invilita non aveva potuto respingere. L'islamismo sorgeva in questo periodo e minacciava l'Europa delle sue conquiste e delle sue dottrine. Le scienze morali in Oriente si riducevano al sincretismo della scuola di Alessandria, ed il merito di quella etá è riposto nei santi padri, i quali nella doppia lotta che il cristianesimo sosteneva col paganesimo e coll'eresia, spiegarono eloquenza, sapienza e forza d'animo; ma la tendenza all'ascetismo, che doveva nascere dallo spettacolo del mondo e delle sue vicende, dovette privare gli eserciti dei caratteri piú vigorosi, i quali cercarono ne' deserti e nei chiostri di esercitare il coraggio nel martirio. Le scienze esatte decadevano, le naturali erano soperchiate dalla magia e dalla tendenza mistica degli alessandrini a spiegare i fenomeni non con l'analisi de' fatti naturali ma con le cause occulte e fuori di essi. Le arti si risentivano dello stato delle scienze, delle quali sono sempre il lento ma costante riflesso.
Nelle contrade occidentali la decadenza era piú compiuta, il clero meno istruito che nell'Oriente, e le invasioni de' barbari non lasciavano altra disposizione che il terrore o la rassegnazione; il perché l'immaginazione era sbalordita e la ragione inerte. Le scienze esatte e naturali si perdettero intieramente in queste contrade le quali sono oggidí sí colte.
Gli arabi non avevano ancora quel gusto per la coltura intellettuale il quale seguí le loro intraprese e non le precedette.
Nel secondo periodo, dall'ottavo all'undecimo secolo, l'impero greco seguiva lo stesso andamento. Nell'Occidente Carlo Magno fu una meteora improduttiva. Il regime feudale disciogliendo la societá, le tolse tutti quei mezzi d'associazione che solo possono farla progredire. Gli arabi in compenso modificarono le loro inclinazioni e divennero piú umani, piú colti e meno ardenti. Le scienze morali si sostenevano nel basso impero sotto l'aspetto delle controversie religiose, ma lo studio de' classici diveniva sempre piú raro. Nell'Occidente la scolastica prese origine; le scienze esatte e naturali non erano coltivate per le ragioni sopra esposte. In Oriente gli arabi cominciarono a divenire conservatori delle classiche cognizioni e fecero qualche tentativo d'invenzione nelle scienze mentovate.
Nel periodo dall'undecimo al decimoquarto secolo il basso impero piegava al suo fine preceduto da lunga agonia. La societá restava l'istessa. In Occidente coi comuni ed i legisti si enunciavano i nuovi elementi che dovevano cosí potentemente modificare in appresso la societá. In Oriente la razza turcomanna, introdotta tra gli arabi, li spingeva alla decadenza per mezzo dell'ignoranza.
Lo stato delle scienze sempre peggiorando tra i greci che ne conservavano per cosí dire il materiale nelle biblioteche, cominciò a rinvigorire in Occidente, ove la scolastica aguzzava gl'ingegni che i bisogni della societá facevan dirigere verso la coltura delle lettere classiche. E questo movimento dello spirito umano fece sí che le scienze esatte e naturali risorgessero a mano a mano in Italia da un lato ed in Ispagna dall'altro.
Possiamo ora riepilogare il nostro dire, credendo aver risoluto le tre quistioni che ci siamo proposti, ed indicato chiaramente come le vicende dell'arte militare nei due periodi del medio evo hanno corrisposto costantemente allo stato dello scibile e della societá, e come la decomposizione e la ricomposizione di questa sono chiaramente indicate dalla distruzione e dalla lenta ricomposizione di ogni militare ordinamento.
Qui terminiamo questo discorso che abbiamo limitato all'epoca dell'invenzione della polvere da sparo di cui nel seguente faremo parola, e sull'importanza della quale, sotto i vari aspetti in che noi consideriamo l'arte militare, ci giova di poter citare l'opinione dell'illustre sapiente di cui l'Europa deplora la recente perdita. Cosí si esprime il Cuvier nel suo discorso intorno all'influenza delle scienze sullo stato sociale: — «Allorché un buon monaco nell'oscura cella d'un chiostro d'Alemagna arse per la prima volta un misto di zolfo e di salnitro, qual uomo avrebbe potuto predire tutte le grandi cose che andavano a sorgere da quella sua esperienza? Chi gli avrebbe detto che per essa l'arte della guerra sarebbe cangiata, il coraggio sottratto alla superioritá della forza fisica, ristabilita la regia autoritá in Occidente, impedito che mai non potessero i paesi inciviliti esser di nuovo la preda di barbare nazioni e svolta una delle solenni cause della propagazione de' lumi, obbligando ad istruirsi quegli stessi popoli conquistatori che sino allora erano stati presso che da per tutto il flagello dell'istruzione? Eppure tal fu il destino d'uno de' piú semplici composti della chimica».
DISCORSO IV
Della scienza della guerra e delle sue correlazioni con le altre scienze e con lo stato sociale dalla scoverta della polvere fino al suo risorgimento sotto Nassau e Gustavo Adolfo.
Il periodo che ci siamo proposti di trattare in questo discorso comprende lo spazio di tempo trascorso fra 'l 1350 e 'l 1560, cioè tra la scoverta della polvere ed il rinascimento dell'arte militare in un modo piú compiuto. Il carattere di questo periodo differisce da quello dell'antichitá ove segnalammo la diversitá grande che interveniva tra le nazioni, e da quell'epoca distruggitrice dell'antica civiltá e del lento risorgimento della nuova che nel medio evo riconoscemmo. Qual è dunque il marchio caratteristico di un tale periodo? Questa è la prima quistione che ci mettiamo innanzi come una nozione preliminare e necessaria.
Il decimoquarto e decimoquinto secolo è l'epoca in cui tutti gli elementi della nuova civiltá erano in fermentazione ed in urto coi vecchi elementi che dominavano nel primo periodo del medio evo e che tendevano spesso ad amalgamarsi perché eguali di forza, e quindi nessuno poteva distruggere quello che gli era contrario. Per la qual cosa può asserirsi francamente che il carattere di questo periodo sia quello di un'epoca transitoria, ove un ordine di sentimenti, d'idee e d'istituzioni finisce ed un altro ne incomincia, com'era il passaggio dal medio evo all'epoca moderna.
Fedeli al nostro sistema noi divisiamo di dedurre il carattere che segnalammo in questo periodo dallo stato contemporaneo dell'arte militare. Per ciò conseguire ci proponghiamo i seguenti problemi:
1. Determinare qual era lo stato della scienza militare dalla scoverta della polvere al risorgimento dell'arte, considerata negli uomini, nelle armi e negli ordini.
2. Determinare la correlazione dello stato della scienza bellica con quello delle altre scienze tutte e collo stato sociale.
3. Esporre gli effetti istorici che derivano dallo stato dell'arte militare in questo periodo.
L'Europa nel decimoquinto secolo presenta all'osservatore uno spettacolo quanto grandioso altrettanto importante. La Spagna con la riunione dei regni di Castiglia e di Aragona combatte e discaccia i mori che da secoli dominavano nella penisola, per la presa di Granata.
L'unitá nazionale si formava in Francia dalla riunione dei grandi feudi alla corona, e la lotta contro gl'inglesi e la loro espulsione dal territorio furono fondamento e dimostrazione dei progressi verso un sentimento comune di nazionalitá.
L'impero germanico cercava di ordinare le sue leggi e tendeva a concentrare la dignitá imperiale nella famiglia divenuta potente di Hapsbourg.
In Inghilterra la guerra civile delle due rose si terminava, pel bisogno d'ordine e di calma che vi era, colla concentrazione del potere nel regno del primo dei Tudor.
L'Italia vide succedere locali dominatori all'indipendenza di una gran parte delle sue cittá. Le dissensioni intestine, l'usanza de' mercenari, tutto faceva presagire una intervenzione straniera, la quale sarebbe stata egualmente determinativa sí per la parte politica che pel benessere civile di questa bella contrada.
L'impero ottomano si stabiliva solidamente in Europa con la presa di Costantinopoli e la distruzione dell'impero greco, e l'Europa era atterrita di questo nuovo elemento che nel suo seno si creava, estraneo ai suoi costumi ed alle sue credenze religiose.
Le nazioni slave avevano sorte diversa. La Russia cercava di scuotere, e gli riuscí, il giogo dei tartari; e la Polonia riuniva a sé la Lituania ed era considerata come il baluardo della civiltá europea e del cristianesimo contro la barbarie e le religioni dell'Oriente. La penisola scandinava formava un mondo politico a parte ora separando ed ora riunendo le nazioni che la componevano sotto la stessa autoritá.
Dopo questo breve cenno ci affrettiamo di rispondere ai quesiti che ci siamo proposti.
Gli eserciti nel periodo di cui discorriamo cominciarono a divenire permanenti, venendo sostituiti alle mercenarie, feudali e comunali milizie, come abbiamo indicato nel nostro precedente discorso. Ma questo cangiamento, importante per la sua influenza politica sulla composizione della forza pubblica, non fu operato né in tutti gli Stati né compiutamente, per cui il nuovo sistema si trova coesistere coi precedenti. Infatti le milizie feudali, le cerne delle comuni e i mercenari ordinati componevano gli eserciti delle potenze principali e belligeranti in quel tempo. La proporzione tra questi diversi elementi corrispondeva allo stato sociale di ogni nazione, ed indicava nettamente che l'ordine antico era giá scosso nelle sue basi ed il nuovo piú inoltrato nel suo progressivo sviluppamento. Facevan fede di ciò l'importanza de' jommenry ossia milizie comunali inglesi, la gendarmeria francese, le milizie delle comuni nelle Fiandre, gli ordini cavallereschi nella monarchia spagnuola, la nazionalitá delle milizie svizzere, la decadenza delle italiane alle quali venian sostituiti i mercenari, le compagnie d'ordinanza di Carlo settimo, prima fanteria permanente e regolare di Francia, lo stabilimento di una fanteria permanente sotto il nome di «giannizzeri» nell'impero ottomano, infine la mista composizione degli eserciti germanici. Tutti questi, a nostro credere, sono segni evidenti dello stato di quelle societá e spargono luce sulle classi che piú avevano importanza sociale in ognuno di quegli Stati.
Per le armi è necessario osservare che la scoperta della polvere è separata cronologicamente dal suo uso negli eserciti per lo spazio che separa il 1330 dal 1460, venendo a quest'ultima epoca segnalate dagli storici le prime armi da fuoco che furono piccioli cannoni e non moschetti, vale a dire che erano un'arma ausiliaria nulla cangiante nell'armamento degli ordini principali, e particolarmente della fanteria di cui le armi da fuoco son divenute in séguito l'armamento unico. Da ciò possiamo dedurre e dimostrare che l'arco, cioè l'arbalete, formava l'armamento delle truppe leggiere le quali servivansi con preferenza delle armi da trarre; che l'infanteria era armata di lunghe spade, cominciando le picche a prevalere in ragione dei progressi che si facevano nell'arte; che l'esempio degli svizzeri, seguíto dagli spagnuoli, avvalorava quest'uso per l'utile impiego che ne avevano fatto nelle loro guerre; e che in séguito furono introdotti i plotoni di moschettieri (quando il moschetto divenne piú maneggevole) destinati piú a supplire gli arcieri che l'infanteria di battaglia. Non è se non nel principio del decimosesto secolo che nell'ordinanza generale dell'infanteria si trovano miste le armi da trarre e da ferir da presso, e pare che negli eserciti di Carlo quinto si sia cominciata questa piú larga applicazione delle nuove armi derivanti dalla scoperta della polvere. Possiamo quindi conchiudere che nel periodo che discorriamo le armi si conservarono in principio come nell'antecedente periodo, particolarmente per tutto ciò che riguarda quelle difensive e per la cavalleria che poco risentivasi dei nuovi metodi e nella sua composizione e nel suo armamento. Piú positivo e piú compiuto divenne il cambiamento per la guerra d'assedio a cagione dell'uso di nuove macchine che mostraron facilmente la loro superioritá sulle antiche.
Gli ordini, che sono una conseguenza necessaria ed un riflesso della natura delle armi, si risentivano di ciò che vi era di misto e d'indeterminato in queste ultime. Le armi da fuoco dovevano direttamente mutare gli ordini nel far diminuire la profonditá ed estendere il fronte; ma questo risultamento, lento come tutte le innovazioni, trovava ostacoli nella forza di ciò che esisteva per costumanza. Da quanto dicemmo è ben chiaro che in questo periodo l'ordine profondo restò l'ordine primitivo ed abituale della fanteria di battaglia. Quelli che lo sostenevano si appoggiavano alle classiche tradizioni dei popoli colti della antichitá, che a quell'epoca erano considerati come modelli di tutte le discipline e la cui imitazione piú compiuta era la scala sulla quale si misurava il merito dei detti e dei fatti. L'espressione di questa disposizione degli spiriti elevati, che si congiungevano alle masse per l'erudizione come gli altri per abitudine, si trova nell'opera piú notabile di quel tempo sull'arte della guerra, la quale ha il raro vantaggio di essere sempre piú apprezzata nel progresso della scienza e con l'andar dei secoli, vogliam dire l' Arte della guerra del Segretario fiorentino. Quel sagacissimo ingegno, non ostante l'imperfezione delle armi da fuoco, ne aveva prevedute tutte le conseguenze nelle future guerre, e ciò che ha detto sugli effetti dell'artiglieria sorprende oggidí i militari piú istruiti e piú ricchi in esperienze guerriere. Ma il Machiavelli, dominato dall'ammirazione dei romani, si trova combattuto tra la sua alta intelligenza e gli usi del popolo che tanto venerava; per cui sostiene l'ordine profondo come abituale, non ostante la scoperta della polvere di cui aveva calcolato le ultime conseguenze sull'arte. È giusto il far osservare che la fanteria svizzera, la prima che tra i moderni si fosse formata, aveva avuto successi tali da non mettere in dubbio alcuno la bontá degli ordini da essa adottati. La battaglia di Marignano fu quella che mostrò non potere una fanteria in ordine profondo lottar con vantaggio contro eserciti forniti di artiglierie, ma debbe ancora aversi in considerazione che questa pruova decideva piú contro il sistema greco della falange che contro quello romano della legione. Epperò il Machiavelli nelle sue Legazioni, ove descrive le truppe e gli ordini degli Stati che è destinato a far conoscere, indica questo difetto dell'ordinanza svizzera, come Polibio accusava la falange macedone di mancanza di flessibilitá nei suoi movimenti. Infatti Francesco primo chiamò «legioni» le prime truppe che ordinò. Per il che possiamo conchiudere che a quell'epoca la quistione era tra i due ordini profondi dei greci e dei romani e non tra l'ordine profondo ed il sottile dei moderni. La cavalleria aveva le stesse armi, la stessa composizione, come abbiamo veduto; e questo feudale elemento perdeva della sua importanza militare in modo che dall'essere il nerbo dell'esercito passava ad essere un'arma ausiliaria. Le truppe leggiere mutavano armi ed erano in un insensibile movimento ascendente che corrispondeva a quello delle comuni, da cui erano tolte il piú sovente. L'artiglieria che rappresentava la scienza si mostrava subordinata, ausiliaria, ma piena d'avvenire. Le fortificazioni che possono risguardarsi come ordini immobili dovevano essere grandemente modificate dalla scoperta della polvere, e può considerarsi come determinato questo cangiamento dall'epoca in cui i bastioni furono sostituiti alle torri; trasformazione che dimostrava l'effetto delle nuove armi e che corrispondeva all'abbandono dell'ordine profondo nella fanteria. Ma è da riflettere che non ostante la minor difficoltá ad ordinare gli uomini in un modo differente da quello delle mura, pure cronologicamente la modificazione fu operata prima in fortificazione che in tattica, benché riguardo alla prima esistessero contemporaneamente, e ve ne sono ancora i vestigi, il sistema antico delle torri con quello moderno dei bastioni.
La logica conseguenza di quanto esponemmo sugli uomini d'armi e gli ordini del periodo che trattiamo ci conduce naturalmente a determinare qual fosse il sistema generale di guerra derivante dagli elementi che abbiamo esaminati, giacché nella loro applicazione, che forma la parte trascendente dell'arte, si riassume al tempo stesso la loro natura, il loro uso ed il loro scopo.
La strategia che forma i piani di campagna e dá i metodi delle grandi operazioni della guerra, la tattica che decide delle battaglie che compiono i movimenti strategici, e l'attacco e la difesa delle piazze che hanno per oggetto di difendere il proprio suolo o di solidamente stabilirsi su quello del nemico, costituiscono la parte alta della scienza militare.
Far conoscere brevemente le pratiche di quei tempi su questi tre oggetti è il mezzo piú accurato a nostro credere per risolvere compiutamente il problema che ci siamo proposti.
La strategia non è se non le leggi della guerra: ed applichiamo la definizione del Montesquieu, che considera le leggi come i rapporti tra le cose, vale a dire naturali, eterni, che l'uomo non crea, che può scovrire con la scienza, sconoscerli quando n'è privo, ma anche in questo caso averne l'istinto ed il presentimento.
E tal era a nostro credere il caso della strategia nell'epoca di cui discorriamo, mentre l'antichitá militare era male studiata e non bastava a risolvere tutte le quistioni che le nuove armi facevano nascere e per teorica e per pratica. In sostegno di questa opinione citeremo quella di un sapiente italiano che ha corredata la bella edizione di Montecuccoli da lui data di note sagacissime, il signor Foscolo, il quale cosí si esprime sul proposito dello stato teorico della scienza col periodo che seguí la scoperta della polvere. — «Ma le divisioni provinciali, il sistema feudale d'Europa e le cattedre della letteratura usurpate da gente senza amor di patria e senza cuore allontanarono dalle guerre del secolo decimosesto le grandi teorie degli antichi. Molte furono le battaglie, poche le risultanze: si operò sempre e non si meditò mai. E mentre la fortuna e le passioni governavano la guerra, innumerevoli traduttori e interpetri desunsero esattamente le istituzioni e i metodi della Grecia prima inventrice della disciplina militare, e di Roma conquistatrice del mondo; ma si tradusse col lessico e si commentò colla grammatica. Raro la filosofia e rarissimo l'esperienza concorrevano negli studi eruditi. Si ammirava l'antica milizia, si notomizzavano ad una ad una le imprese; ma chi mai dalle scuole di Giusto Lipsio e di Giovanni Meursio poteva risalire alle ragioni universali delle vittorie greche e romane? Cosí i guerrieri abbandonavano i maestri di guerra agli antiquari. Questi per fastidio delle cose contemporanee, quelli per poca stima dell'antichitá, credeano che la diversitá originata dalle armi, dalle artiglierie e dalle fortificazioni non ammettesse piú omai né paragone né imitazione tra gli eserciti antichi e i moderni».
Questo passaggio sí sublime fa chiaramente conoscere la veritá della nostra assertiva, cioè che la strategia era nell'infanzia e le sue leggi eterne ignote ai guerrieri ed ai sapienti. Il Machiavelli stesso che il suo ingegno distingue dagli altri eruditi pel carattere positivo e chiaro che prendevano le scienze da esso trattate, si attiene anch'egli troppo alla stretta imitazione delle marcie e degli accampamenti dei romani, che non erano del tutto applicabili e lo divenivano ogni giorno meno. Ma bisogna osservare che come filosofo politico volea ottenere questi successi per l'ordinamento di eserciti nazionali, per le istituzioni e per le discipline che ha sí ben osservate ed esposte ne' suoi Discorsi su Livio; per lo che intendeva egli, per rilevare la grandezza italica, ad opporre anziché metodi puramente guerrieri, la forza morale degli eserciti al tristo spettacolo che i conduttori gli presentavano. Ci resta ora ad esaminare se nell'ignoranza della scienza vi fosse in alcuni capitani l'istinto ed il presentimento. Noi rispondiamo affermativamente a questa dimanda.
L'invasione di Carlo ottavo in Italia, la lega che si gli formò contro per chiuderlo in essa, la sua ritirata troncata strategicamente dall'Alviano general veneziano, la difesa della Calabria fatta da Aubigny, la fine della battaglia di Fornuovo che aprí la strada all'esercito francese, rassomigliano di molto alle operazioni che precedettero la battaglia della Trebbia nel 1799, al passaggio della Beresina nel 1812, alla battaglia di Hanau nel 1813, e dimostrano che i capitani di quel tempo avevano l'istinto delle grandi operazioni di guerra, mentre veggiamo che cercarono con le marcie di prevenire il nemico in un punto geografico importante e di giugnere allo stesso scopo che a' nostri tempi cercan di conseguire generali istruiti e che la scienza ridotta a regole chiare indica e facilita. Se vi aggiungiamo il merito militare di Marcantonio e Prospero Colonna, che seguivano ed ingrandivano le strategiche combinazioni le quali noi segnalammo nel precedente discorso non essere ignote ai piú illustri condottieri del decimoquarto e decimoquinto secolo, troviamo la serie di queste regole non interrotta. La campagna del gran capitano Gonsalvo sul Garigliano, quelle di tutta la scuola dei capitani spagnuoli sotto Carlo quinto, le sue imprese di Affrica, ove era indispensabile la cooperazione della marina militare che si personificava in Andrea Doria, tutto pruova il progresso in cui erano le combinazioni militari, giacché uno de' suoi segni piú evidenti è quello della combinazione degli eserciti con le armate di mare. Le guerre di Solimano e quelle dei capitani francesi del tempo sono pruove novelle che vengono ad avvalorare la nostra assertiva. Maurizio elettore di Sassonia era un generale pieno del vigoroso istinto della gran guerra, di cui vediamo indicato il carattere in tutti gli Stati belligeranti di allora. Ciò doveva essere, mentre il combattimento si era ingrandito, le guerre civili della feudalitá finite, le nazioni combattevano tra esse per mezzo di eserciti permanenti, con vasti spazi da percorrere, da conquistare, da difendere, e le campagne dovevano avere una durata corrispondente allo scopo della guerra. Tutte queste circostanze forzavano l'ingegno umano a svilupparsi nella direzione delle sue necessitá, per la qual cosa, come dicemmo, la strategia fu sentita, presentita e praticata, benché non composta ed elevata a grado di scienza. Queste istesse circostanze resero indispensabile un sistema di amministrazione militare, essendo divenuti gli eserciti colonie operanti. Ma l'imperfezione dell'amministrazione degli Stati faceva sentirsi nell'esercito, per cui la guerra era funesta alle contrade che n'erano il teatro; e basta la presa di Roma del contestabile Borbone, cosí per la cagione come per gli effetti, a far comprendere che cosa fosse l'amministrazione di un esercito del piú potente sovrano di que' tempi. Può dirsi per la tattica che le stesse enunciate circostanze che aveano fatto giungere gli spiriti elevati alle combinazioni della parte trascendente dell'arte, dovevano produrre lo stesso risultamento per muovere le masse che si urtavano tra esse, per ordinarne e sottometterne a calcolo i movimenti ed i loro effetti. Ma benché sembri piú naturale e piú ragionevole che la tattica, meno sublime nei suoi metodi, dovesse progredire prima della strategia, pur nondimeno il contrario è provato dall'istoria militare. Ed acuta quanto profonda troviamo l'osservazione di un uffiziale sapiente, vogliam dire del general Pelet, cioè non essere anche oggidí la tattica in armonia con la strategia, anzi dover fare assai progressi per livellarsi con quelli da questa fatti.
Con estrema diffidenza osiam proporre una spiegazione di questo fenomeno, e diremo, se cosí possiamo esprimerci, che la strategia, come tutto ciò ch'è generale nello scibile, si rivela piú facilmente al genio, qualunque sia lo stato della societá, mentre che la tattica, piú metodica e piú artistica, ha bisogno di piú condizioni prese nello stato generale della societá per fissarsi. Osiam ancor dire che in un'epoca poco inoltrata in civiltá si ritrovano uomini superiori che giungono con la forza del loro genio a penetrare le grandi leggi della natura, ma non a ridurle a metodo. I filosofi sono piú antichi della filosofia, i gran poeti della poetica ed i legislatori dei giureconsulti, come i capitani degl'ispettori. Del resto abbiamo veduto dall'incertezza degli ordini che produceva quella delle armi, che tattica non ve n'era, e non ostante accurate ricerche, noi non possiamo citare nelle battaglie di quell'epoca nessuna di quelle finezze dell'arte che restano modelli in tutt'i tempi per gl'imitatori illuminati[3], come osservammo per le operazioni generali tra le quali citammo la guerra del gran capitano Gonsalvo di Cordova sulle rive del Garigliano.
Per la fortificazione e la guerra di assedio noi facemmo notare nel precedente discorso che l'Italia, essendo molto innanzi nella civiltá e coltivando tutte le scienze esatte, base della civile architettura e dell'idraulica, doveva naturalmente essere la prima ad applicarla all'arte militare. Infatti il Tartaglia di Brescia, il Lanteri, il Zanca, il Cataneo ed il Castrioto, e tutta la scuola celebre d'ingegneri militari che si riassume nel De Marchi, avevano esposto in teoriche chiare e positive la scienza della fortificazione e ne praticavano l'arte da per tutto, con Solimano come con Carlo quinto. Gli assedi di Rodi, di Malta, d'Algieri e di Granata confermano questo nostro detto, giacché si trovano ingegneri italiani che ne diriggono l'attacco o la difesa. Non solo a quei tempi alle torri venivano sostituiti i bastioni, ma Pietro di Navarra inventava la guerra sotterranea in Napoli e ne faceva la prima pruova; ed il Darçon osserva che la difesa esterna da lui e dal Carnot tanto raccomandata ai nostri tempi, era in quell'epoca praticata talmente che all'assedio di Granata di Ferdinando il cattolico vi fu un'opera esterna presa e ripresa trentasei volte.
Ora ci resta per seguire il nostro ragionamento a determinare l'ultima parte del problema, cioè lo stato delle scienze e della societá, per metterlo in comparazione di quello dell'arte militare che abbiamo giá esposto ed indicarne gli storici risultamenti.
La tendenza del secolo che abbiamo fatto osservare era doppia: aveva per oggetto di ristabilire la civiltá degli antichi e di entrare in quella che corrispondeva agli elementi ed ai destini delle moderne societá. Una combinazione comune legava queste due disposizioni, cioè quella di combattere il medio evo nelle sue massime e nelle sue istituzioni. Ma queste, forti del loro dominio e della loro durata, reagivano contra tutte le contrarie tendenze. Nello stato dello scibile si vede chiaramente questa lotta ed i suoi caratteri. L'amore dei classici dell'antichitá spinto fino alla superstizione faceva entrare la filosofia antica, la giurisprudenza ed il dritto romano negli studi dell'epoca, i quali dovevano combattere la filosofia scolastica ed il dritto canonico, che si difendevano e si amalgamavano a vicenda con questi nuovi elementi. La letteratura e le lingue della classica antichitá si trovavano nella stessa posizione in presenza delle nuove lingue europee e della letteratura che ne derivava nelle diverse nazioni formate sulla rovina dell'impero romano. Le scienze esatte contavano giá egregi cultori come Regio Montano, Liva Poggioli, Lucio di Borgo celebre nel calcolo algebraico, e Copernico che aveva applicato le matematiche ed il calcolo all'astronomia. La bussola ritrovata nel decimoquarto secolo, i nomi di Gioia, di Lullo e di Musa, l'invenzione della stampa circa il 1440, tutte sono pruove del progresso delle scienze in quel periodo. Le naturali non potevano fare gran passi, giacché le esatte non erano giunte ad un grado da renderne l'applicazione compiuta. Ma il carattere generale della coltura può riassumersi dicendo che la scienza era piú considerata come una serie di veritá la cui cognizione doveva soddisfare la intelligenza umana, che come una utile applicazione ai bisogni generali della societá; disposizione naturale a tutte l'epoche di creazione e di risorgimento, mentre vi sono degli sforzi che l'uomo fa per l'amore del bello e del vero piú che non farebbe per quello dell'utile.
Da quanto dicemmo possiamo dedurre che la separazione degli eruditi dagli uomini pratici, come delle scienze dalla loro utilitá pratica, fece sí che l'arte militare non trovasse in esse quei mezzi e quei metodi che corrispondevano al loro stato; il che aggiunge veritá al citato passo del Foscolo.
Ed invero non si vedono ancora né collegi militari né grandi arsenali di fabbricazione di armi, nel mentre che le universitá eran in gran progresso e le istituzioni di questa natura si stabilivano per le altre carriere pubbliche, quali la medicina ed il fòro.
Indicando brevemente lo stato dell'Europa al principio di questo discorso, abbiamo dato le idee preliminari che necessarie erano per far ben concepire lo stato sociale del periodo che ci occupa.
La prima considerazione che dee aversi presente per ben giudicare dello stato sociale nel decimoquinto secolo l'abbiamo indicata nel nostro secondo discorso, ove comparando e mostrando le differenze dell'arte militare delle nazioni antiche da quelle delle moderne, facemmo osservare che ciò che caratterizzava le nazioni antiche si era la loro differenza tra esse, la loro intiera ed originale individualitá; l'opposto di ciò che vedesi tra i moderni, presso i quali le differenze sono le eccezioni e le somiglianze la regola. Questo principio sussiste tanto per lo stato scientifico quanto per lo sociale. Ciò premesso, possiamo dire che ciò che caratterizza questi secoli si è che le nazioni cominciavano a ricreare l'unitá nazionale; la feudalitá decaduta dal grado di assoluta dominatrice pare aver servito d'istrumento a questa metempsicosi politica, che aveva trasformato in nuova vita le moderne nazioni dopo averle decomposte negli ultimi loro elementi. Ma la feudalitá era rimasta un elemento forte il quale aveva piú pretensioni che forze, piú forze però di quelle che dee avere chi fa parte dello Stato senza rappresentarlo solo. Debole come governo era formidabile come opposizione.
Le comuni al contrario erano deboli: incapaci di aver forza preponderante dovevano essere protette dal poter centrale contra il poter feudale, e secondo che questo decadeva, il poter centrale sentiva meno il bisogno di proteggerle e considerava i loro privilegi come ostacoli all'azione amministrativa e non come mezzi di aiuto. La Chiesa combatteva da un lato per lo limite del potere spirituale con le sovranitá e dall'altro pei suoi dritti spirituali e per le sue dottrine con gli eresiarchi che si succedevano in questo periodo da Viccleffo fino a Lutero. Tutti i poteri aveano pretensioni esclusive, ma mancavano di forze preponderanti per effettuare le pretensioni e ridurle a realitá. Ecco perché vi erano urti continui e poi transazioni, le quali tutte cedono alle circostanze cercando di salvare il principio per farlo valere a miglior tempo. Epoca di tregua e non di pace, ma che mentre non impediva il progresso della societá e la lenta migliorazione delle condizioni delle ultime classi, rilevava l'importanza delle medie, le quali entravano nelle politiche riunioni in Francia, in Inghilterra, in Germania ed in Ispagna. Quando si paragona questa combinazione di monarchia in avanzamento, di aristocrazia in insensibile decadimento e dei comuni che progrediscono con eguale lentezza, se ne trova il compiuto nesso negli eserciti, i quali erano formati di gendarmeria nobile che rappresenta la feudalitá combattente, composta ed armata come nel medio evo; delle truppe leggiere, cerne delle comuni armate con le armi da trarre, le quali debbono predominare nell'avvenire dell'arte, ma che nel momento non rappresentano che un'arma ausiliaria; della fanteria mercenaria che rappresenta con la sua organizzazione il potere centrale reso sempre piú dominante; delle artiglierie e degli attrezzi di guerra che sono il mezzo piú naturale e al tempo stesso la dimostrazione della vittoria indistruttibile riportata sulla federazione feudale e della unitá della forza pubblica nello Stato. Ecco come questo periodo di fatica, ove nello scibile e nella societá si vede riunirsi, coesistere e combattersi elementi diversi, trova il suo compiuto simbolo nello stato dell'arte militare dai suoi elementi fino alla sua parte trascendentale. I politici e morali effetti delle guerre di questo periodo e quindi dei progressi dell'arte militare possono ridursi alla distruzione dell'impero greco e all'occupazione di quelle contrade dai turchi, che creavano in Europa un interesse comune in politica, ed al sistema di equilibrio che era il prodotto naturale dei rapporti che le nazioni acquistavano tra esse per operare con interessi comuni al di fuori del loro territorio. In conseguenza l'adoperare dei negozianti e delle negoziazioni, vale a dire la creazione della diplomazia, faceva presentire che la giurisprudenza sarebbe stata applicata alle quistioni tra le nazioni; il che doveva produrre la scienza del dritto pubblico, ch'è la misura del progresso della civiltá e ch'era ignota alla colta antichitá, l'abbassamento degli Stati repubblicani e quindi dell'Italia, contro la quale si rivolgevano le grandi scoperte di quell'epoca, cioè quelle dell'America e del passaggio pel capo di Buona speranza.
Crediamo aver raggiunto il nostro scopo avendo determinato lo stato dell'arte militare nel periodo che abbiamo impreso a trattare, e avendo mostrato la sua connessione con lo stato delle scienze e quello della societá e 'l modo di chiarire le loro strette correlazioni; quali sieno stati gli effetti istorici delle belliche operazioni; e come la scoperta della polvere da cannone dovesse nei susseguenti periodi partorire tutte le sue conseguenze, nel mentre che in questo avea giá fatto stabilire gli eserciti permanenti, la fanteria per arme principale, la cavalleria e l'artiglieria per ausiliarie, il bisogno d'ordine, d'amministrazione e d'istituzioni per reggere una societá che dee operare per uno scopo dato, e l'importanza della castrametazione, della tattica e della strategia. Chiuderemo questo discorso col quale ci avevam proposti di dimostrare nello sviluppamento dell'arte militare la costante relazione della guerra considerata come scienza alle altre scienze ed allo stato sociale, con le seguenti parole del Foscolo: — «Se si fosse considerato che le arti tutte sono fondate sui principi veri ed eterni della natura delle cose; che dallo scoprimento, dal calcolo e dall'applicazione de' principi derivano le scienze e che quindi una scienza piú o meno sviscerata fu sempre la mente dell'arte della guerra; si sarebbero, investigando questi princípi, riconciliate le diversitá accidentali dei metodi antichi e moderni».
DISCORSO V
Delle relazioni della scienza della guerra colle altre scienze e con lo stato sociale nel periodo compreso tra il 1555 e il 1648, vale a dire tra l'abdicazione di Carlo quinto e la pace di Westfalia.
Per tre principali caratteri si distinguono i diversi periodi della storia dell'umanitá.
1. Quei periodi che hanno un sistema sociale quasi compiuto per l'armonia delle sue parti e una durata corrispondente al tempo necessario per alterarne gli elementi e le proporzioni e per esaurire i risultamenti che ne derivano.
2. Quelli che a questi succedono, nei quali è un interno lavoro, una sorda lotta tra i bisogni, i sentimenti, le idee ed i costumi che hanno corso il loro tempo e quelli che germogliano e tendono a svolgersi e dominare. Epoche vaghe e incerte il cui marchio è il non averne alcuno, perché transitorie di loro natura: in esse esistono contemporaneamente l'elemento antico e 'l moderno che lottano insieme, il primo destinato a perire, ma che sembra ancor forte, l'altro a trionfar destinato. Non pertanto senza una sagace e laboriosa osservazione, sfugge allo sguardo comune se la vittoria sará dal lato di ciò che resiste o da quello di ciò che invade.
3. I periodi che a questi vengon dietro tanto nell'ordine dei tempi che in quello delle idee, ove la lotta non è piú tenebrosa ma a campo aperto, ove le dottrine e gli uomini si urtano, ove il nuovo trionfa ed il vecchio, condannato alla sorte passiva di una retroguardia destinata a perdere uomini e spazi, ritarda la sua disfatta non per trionfare ma per ritardare il trionfo de' suoi avversari. In essi campeggiano errori, debolezze, per conseguente poca prudenza, intempestivo ardore, un compromettere sovente la causa dell'ordine, ché nelle vedute della provvidenza l'imperio del futuro gli è devoluto per alcun tempo. Ma questi incidenti, decisivi per la vita limitata degl'individui, non portano che diversitá cronologiche nei risultamenti misurati sulla vasta e indeterminata scala nella quale la specie esiste, si agita e si trasforma.
Nel seguire il nostro lavoro possiamo ricapitolare mostrando che i periodi trascorsi dai popoli dell'antichitá e da quelli del medio evo rivestono il primo carattere che indicammo nella esposizione sopra fatta; che il periodo trattato nel quarto nostro discorso riveste quello che al primo succede secondo la nostra divisione; e che quello che in questo quinto discorso ci occupa corrisponde all'ultimo carattere che segnalammo, avendone al tempo stesso e la fisonomia e le condizioni tutte da noi indicate.
Il problema che vogliamo risolvere non è né può essere altro che quello che ci siamo sforzati di risolvere nei periodi anteriori. Lo scopo essendo lo stesso, il metodo non può variare. Ma prima di dar forma al problema deducendo dall'influenza della scienza militare e dai suoi rapporti lo stato delle arti e delle scienze e lo stato sociale nel periodo che comincia dall'abdicazione di Carlo quinto nel 1555 e termina al trattato di Westfalia nel 1648, ci è necessario espor brevemente lo stato dell'Europa; punto di veduta generale che ci faciliterá il discendere a' particolari, come è necessario per raggiugnere il nostro scopo.
La potenza spagnuola che aveva dominato l'Europa sotto Carlo quinto era per essere privata della corona imperiale, dove giá quella di Spagna e quella di Germania erano state amendue riunite sulla testa del padre di Filippo secondo. Malgrado questa apparente detrazione di forza, ciò che restava era di un peso bastante per minacciare l'Europa tutta di una indiretta e non moderata dominazione. Vasti regni ricchi di prodotti e d'industrie diverse, capitani abili, soldati agguerriti e forti nell'opinione della loro superioritá, i tesori del nuovo mondo, quelli delle Fiandre e dell'Italia ch'eran gli Stati piú ricchi dell'antico, tutto annunziava che la supremazia spagnuola non aveva né rivali forti né ostacoli potenti a superare per conservarsi sotto Filippo quale da Carlo era stata a questi legata. Ma considerato sotto un aspetto piú profondo, si osservavano in questo vasto corpo cagioni di decadenza e di scomposizione. L'oro del nuovo mondo fomentava l'indolenza piú che l'industria in Ispagna ove si prendeva il segno per la cosa. I fiamminghi e gl'italiani subivano senza consentire un dominio che contrariava il loro carattere, umiliava il loro amar proprio e comprometteva la loro prosperitá. Gli uomini di Stato ed i capitani spagnuoli erano discreditati per la lor mala fede ed il loro orgoglio, i soldati detestati per la loro brutalitá. La severitá delle dottrine che si professavano in Ispagna non era accettata dagli altri popoli soggetti. L'amministrazione consumava le rendite ed aggravando i tributi attentava ai capitali. Per il che non vi era unitá geografica né morale in questo corpo, il quale per la sua natura aveva ricevuto missione di comprimere e non di convertire. Cosí subiva il tristo destino in cui la forza senza moralitá è condannata a trionfare per non perire.
La Francia presentava uno spettacolo opposto. Benché fosse molto avanzata nell'unitá politica e nazionale sotto Francesco primo, pur nondimeno la sua falsa direzione nell'esterna politica e le sue dissensioni religiose nell'interno le davano aspetto di uno Stato in decadenza. Ma pochi e rari osservatori vi scorgevano un principio di vita e di progresso, che si sarebbe sviluppato nel terminare le civili discordie e si sarebbe rivolto alla politica importanza.
L'Inghilterra per quella individualitá ch'è il marchio delle nazioni circondate dal mare tendeva ad emanciparsi cosí nella sua politica esterna come nel suo interno ordinamento. Maria arrestava questa doppia tendenza, il che dava poca importanza a questo Stato che consumava le sue forze in una lotta con chi la reggeva. Il regno di Elisabetta rivelò quanta energia vi fosse in quel popolo, perché quell'intelligente sovrana ne comprese i bisogni e ne divenne la piú viva espressione sí nell'interno che nell'esterno; ed a questa condizione, come sempre addiviene, il suo potere non fu né contrariato né male accetto alle popolazioni.
Nel corpo germanico tre tendenze scorgevansi: unitá contro i musulmani, laonde accettava per capo la casa d'Austria che meglio raggiugnea un tale scopo per le sue ereditarie possessioni; conservazione ai principi di Germania dei dritti di sovranitá; maggior regolaritá data alle leggi comuni dell'associazione. Ma la riforma religiosa gittava un dissolvente in questo aggregato di elementi diversi, per cui tendeva all'unitá da un lato e all'individualitá dall'altro; il che faceva presumere che sarebbe stato piuttosto teatro che protagonista di grandi avvenimenti.
L'Italia dopo la caduta di Firenze e di Siena non ha in Genova e Venezia che i pallidi simulacri o i dolorosi ricordi di una estinta nazionalitá. La sua storia non ha altro colore che l'agitazione tenebrosa degl'indigeni e le azioni e reazioni degli oltramontani che se ne disputano il possesso.
L'impero ottomano declinava sensibilmente dopo Solimano che l'avea messo tanto in alto. Del resto l'Europa lo temeva con ragione e solo mercé dei progressi della scienza militare, effetto di quelli della civiltá, ella dovea acquistare su di esso quella superioritá che il condannava ad una lunga ed ignobile esistenza prima di dare il grande spettacolo della sua distruzione.
Nel nord la Polonia cedeva e resistea a vicenda, e con egual sorpresa, all'assurditá delle sue leggi ed alla mancanza di progresso nel suo sistema sociale che si diffondea negl'individui e non nel popolo. La Russia ignota a se stessa preparava i materiali per un grand'uomo avvenire. La Svezia presentava una meteora brillante, ma mancava di base e di proporzione per sostenersi nell'alto posto che accidentalmente occupava.
Il Portogallo dopo un'epoca luminosa, dopo avere prodotto uno de' piú vasti avvenimenti, qual era la rivoluzione commerciale, frutto delle sue scoperte marittime, era esausto di forze, e però destinato a un tristo riposo e ad accrescere gli Stati di Filippo secondo per indi scuoterne il giogo.
Si può riassumere questo stato generale dicendo operarsi con piú rapiditá la distruzione de' bisogni, dei sentimenti, delle idee e delle forme che nel medio evo dominavano. Ed uno degli effetti piú significativi si era la distruzione dell'individualitá, cui venía sostituita la forza popolare che esclusivamente dirigeva il potere secondo i suoi fini e le forze morali e scientifiche che si elaboravano per pesare nell'ordine sociale e che costituirono la civiltá, facendo sí che l'ingegno umano appropriandosi le forze della natura le trasformasse in mezzi, da ostacoli quali erano nelle societá dalla barbarie dominate.
Or ricercheremo la soluzione del problema che forma l'oggetto di questo discorso nella soluzione delle cinque quistioni seguenti:
1. Quali erano gli uomini, le armi e gli ordini nel periodo decorso tra il 1555 al 1648?
2. Qual era lo stato, quali le pratiche di guerra nella tattica, nella strategia, negli assedi e nei sistemi amministrativi militari durante lo stesso periodo?
3. Qual era lo stato, quali i progressi delle scienze esatte, naturali, morali e delle arti che ne derivano nella stessa epoca?
4. Qual era lo stato sociale che predominava in Europa, nell'interno e nell'esterno, frutto del trattato di Westfalia che chiude questo periodo con sí strepitosi avvenimenti?
5. Come tutto questo insieme può esser dedotto dallo stato della scienza militare considerato come simbolo dello stato sociale, e quali conseguenze ne derivano?
Noi segnalammo nell'epoca anteriore che giá la scelta degli uomini si risentiva del passaggio che la societá faceva dallo stato sociale del medio evo a quello conosciuto sotto il nome di «epoca moderna». Ma in questo periodo che descriviamo, gli eserciti permanenti eran piú solidamenti stabiliti; si formava un modo di reclutamento, il quale tendendo a contenere l'aristocrazia e le comuni piú che a giovarsene, escludeva l'influenza e la gerarchia feudale o comunale, dava alla forza pubblica una forma di ordini indipendenti dal suolo e dai luoghi, fondeva in uno le forze del paese pria sparse e discordi e le opponea concentrate a ciascuna forza dissidente; l'unitá monarchica e la centralizzazione apparivano; le guerre cessando di essere piú interne che straniere, incursioni brevi e devastatrici incominciarono ad apparire, ma regolate da metodi piú determinati, da istruzione piú unisona, da previdenze piú scientifiche, calcolate e appropriate a ciascuna specie di spedizione.
Radunata la forza armata indistintamente da per tutto, raccolta in nome dell'autoritá regia e da lei mantenuta ed amministrata, ridotta a vivere costantemente sotto il medesimo tetto, lontana dalla famiglia e dalle affezioni locali, sottratta ai doveri della comune e del feudo, potettero allora apparire la istruzione uniforme e la disciplina; cioè potettero i soldati presentarsi sul campo preventivamente istruiti coi medesimi princípi, informati dalle medesime abitudini, animati dal medesimo spirito e stretti dall'intimitá della continua obbedienza ai capi, nei quali rispettavano non giá i loro padroni ma i depositari del potere monarchico, alle cui leggi capi e soldati erano egualmente e promiscuamente soggetti. L'esercito divenne una corporazione compatta, con leggi, doveri, diritti, vizi e virtú speciali, cessando di essere un accozzamento incoerente di genti tra loro sconosciute e sovente nemiche.
L'aristocrazia ritenne, egli è vero, il dritto di comandare, generalmente parlando, ma non quello di possedere il corpo militare. Essa poté comandare la forza pubblica, non giá secondo i suoi interessi, non nel modo e pei fini dell'ordine feudale, ma dirigendola con leggi da lei non fatte né consentite. Il monarca scelse tra i baroni, ma ciascuno di loro non sovrastò al monarca: furono stimati soli atti al comando, ma comandarono per elezione, fecero la guerra per dovere e non per diritto. L'uso e l'abuso della guerra e degli armati passò in altra mano. Essi in una parola comandarono come ufficiali e non come baroni a soldati non propri. Il passo e la novitá erano di gran momento pei progressi della scienza della guerra e per l'ordine sociale: la forza della societá aveva cambiato di posto, di scopo e di mezzi. Servire la societá allora rappresentata dalla monarchia era ben differente dal comandarla: servir lungamente, servire uniti, stabilire nella scienza della guerra esclusivamente il proprio Stato, ivi temer le pene e sperare i compensi, ravvisar nel monarca non l'emulo, non il primo tra i pari, ma il distributore quasi che esclusivo della sventura o della fortuna, erano potenti incitamenti a pensare, a volere, a poter promuovere i progressi della disciplina e della scienza della guerra. Tornata che fu cittadina divenne nel tempo medesimo professione, abitudine, orgoglio e speranza, piú nobile nello scopo, piú vasta nelle sue applicazioni.
Per le armi operavasi un movimento che corrispondeva a quello osservato nella scelta degli uomini, cioè che se nel periodo antecedente quelle da fuoco erano considerate come ausilio destinato a venire in luogo dell'arco e della fionda e non ad entrare come elemento nell'ordine di battaglia della fanteria, nell'epoca di cui discorriamo si vide i moschetti essere in una proporzione sempre crescente con le picche ed alternare con esse a vicenda negli ordini e nelle file. La cavalleria stessa cominciò ad essere fornita di armi da fuoco e, al dire degli storici militari, a farne talmente uso da mancare alle condizioni e allo scopo della natura dell'arma. Le armi difensive seguivano l'impulso che derivava dalla introduzione delle armi da fuoco, poiché bisognava che fossero in istato di mettere a coperto dall'effetto di esse (il che ne accresceva il peso) e che fossero insieme diminuite, per non nuocere alla mobilitá che i nuovi ordini richiedevano: cosí avvenne, benché lentamente. Le artiglierie subirono un cambiamento che pareva operare in un modo inverso delle altre modificazioni, mentre il numero dei cannoni fu inferiore a quello impiegato nel precedente periodo e gli eserciti di Carlo ottavo n'erano piú forniti che quelli di Enrico quarto e dello stesso Gustavo Adolfo. Ma migliorati i calibri, resi i carriaggi migliori, distinta l'artiglieria di campagna da quella di assedio, ne risultò che acquistarono i cannoni in mobilitá ciò che perdettero in numero ed in calibro, e cosí erano piú utili e piú in armonia coi movimenti richiesti dai nuovi ordini che dal loro aiuto dovevano essere sostenuti.
Gli ordini seguendo le modificazioni che le armi subivano, divennero piú sottili, perché le armi da fuoco a questo tendono per loro natura. La profonditá fu ridotta ad otto e poi a sei file, miste di picchieri e di moschettieri. Ma giá si vedevano reggimenti formati nell'esercito svedese. Si fece ancora un passo di piú, cioè si formò la brigata, introdotta da Turenna negli eserciti francesi, elemento primo della specialitá di comando, e perciò dei metodi di distribuire, dividere e facilitare i movimenti, i doveri e la responsabilitá nelle operazioni di guerra. Queste brigate contraddistinte da un colore che dominava nel loro vestire erano il principio del sistema delle divise uniformi, il quale dovea compire la separazione dell'ordine militare dal civile. Ma la riunione delle due armi che avevano uno scopo opposto — mentre l'una tendeva a tener lontano l'avversario, l'altra a raggiungerlo — dovea lasciar dell'incerto e del vago negli ordini, considerati questi come metodi per ben servirsi delle armi a seconda della loro natura. Questo stato facea presentire che se non si fosse trovato un mezzo di unitá nelle armi e di separazione fra loro, gli ordini se ne sarebbero risentiti ed ogni vero progresso nella tattica elementare sarebbe stato aggiornato fino all'epoca in cui si fosse risoluta la quistione delle armi. Di piú i partigiani delle armi diverse doveano produr nell'esercito una doppia disposizione degli spiriti, la meno atta a facilitarne i progressi per l'esagerazione de' contendenti, cioè fanatismo per le armi diverse nei caratteri ardenti, scetticismo nei deboli e nei freddi. Ed una pruova di questo si è che nella cavalleria si diminuí la profonditá, il che era in regola; ma si giunse a pretendere che non operasse con le armi bianche, il che le toglieva la mobilitá e l'impeto che la rendono importante per decidere la vittoria e completarne gli effetti. Da ciò risultò che la lancia cominciasse a diminuir d'importanza.
Nel periodo antecedente vedemmo che la guerra fatta tra nazioni intere e non tra porzioni di esse, operata per lungo tempo ed in vasti spazi ricchi di tutti quegli accidenti di terreno che costituiscono i limiti geografici degli Stati, aveva preso il suo vero carattere, quello appunto che nell'antichitá videsi rivestire nell'epoca macedonica e in Roma nella prima guerra punica. Ma facemmo osservare del pari quello che il Foscolo con rara sagacitá aveva desunto dalla storia militare del tempo, cioè che l'istinto piú che le regole prese dall'essenza della scienza governasse le guerre di quel periodo. Però questo che ci occupa è considerato di comune accordo come quello in cui la risurrezione della scienza militare è stata fermata.
Il nostro assunto non ci obbliga che a stabilire un tal fatto, senza entrare nella quistione sollevata a' nostri giorni dagli scrittori militari francesi[4], se le scuole olandese e svedese sieno state prodotte ed arricchite dalle pratiche e dalle lezioni dei capitani francesi nelle guerre di religione che agitarono la Francia. Nessun uomo può senza antecedenti far prevalere un metodo. Lo spirito umano procede per gradi, e colui che ha la fortuna di riassumere le scoperte di molti è proclamato il ristauratore di una scienza, siccome l'essere fortunato ed accorto che mette in valore le lente economie dai suoi antenati silenziosamente accumulate. Perciò noi fermiamo in Nassau il risorgimento della guerra difensiva ed in Gustavo Adolfo quella dell'offensiva; il che non ci dispenserá dal segnalare, brevemente parlandone, tutti i gran capitani che abbondarono in quell'etá, a' comuni sforzi de' quali la scienza dovette il suo risorgimento ed i suoi ulteriori progressi.
Ciò che costituisce il vero merito della gran tattica è la rapida formazione degli ordini di battaglia e la ricomposizione di quello di colonna per operare i movimenti, il sostegno concorde delle diverse armi combinate con gli accidenti locali che la topografia del campo di battaglia offre, ed infine la disposizione e l'uso delle riserve. Le battaglie di Coutras, Arques, Nieuport, Lipsia, Lutzen e Nordlingen non presentano compiutamente questo stato avanzato della gran tattica. Invece di corpi mobili si vedono sovente, come a Lipsia, grossi quadrati immobili contro gli svedesi, i quali piú svelti nella loro formazione e piú mobili non erano giunti a combinare il sostegno delle armi, ma nel loro ordinarsi la cavalleria avea de' plotoni di moschettieri a piedi per sostenerla, il che interrompea l'ordine; per cui si notava che nella stessa arma vi erano armi diverse e queste armi erano riunite nell'ordine di battaglia, il che dovea rendere i movimenti contradittorii perché doveano servire ad elementi diversi: inconveniente tolto fin da radice dal sistema fondato sul sostegno reciproco delle armi, poiché allora ogni arma opera secondo la sua natura e nel terreno che piú gli conviene, senza confondersi colle altre e mirando sempre ad uno scopo comune. Montecuccoli, l'uomo che ha riassunto nelle sue memorie lo stato della scienza nell'etá sua, raccomanda egli pure il mischiare le armi, mentre dai suoi aforismi stessi può ricavarsi che ciò è contrario ai veri principi della scienza: tanto le pratiche di un tempo soggiogano persino gli uomini grandi, che sembra dovessero aver la missione di combatter gli errori e ristabilire i princípi che dalla natura delle cose derivano[5]. Ma pur convenendo di questa inferioritá della tattica, vi era progresso sull'antecedente periodo, e le riserve dal Montecuccoli fortemente raccomandate come grande strumento di salvezza nei rovesci, si veggono adoperate con maggiore o minor riuscita e previsione in tutte le battaglie di questo memorabil periodo. La proporzione delle diverse armi era ancora a favore della cavalleria, meno che negli eserciti olandesi, perché il terreno del paese era contrario a quest'arma. Presso gli svizzeri avveniva lo stesso per la medesima causa, ed ancora presso gli svedesi ove si cominciava a dar maggior valore e importanza alla fanteria appoggiata da una piú mobile artiglieria. La formazione dei dragoni che non erano nella loro origine altro che una fanteria a cavallo, perché non aveano l'armatura della cavalleria, era una nuova pruova dell'importanza che si dava alla fanteria; fatto notevolissimo che segnalava il rinascimento della scienza, come anche una trasformazione negli elementi dello stato sociale.
Si può quindi conchiudere che sebbene i promotori della tattica cercassero i loro metodi negli scrittori della scienza e nella storia militare della colta antichitá, come in tutti i rami dello scibile si costumava, pur nondimeno l'effetto delle nuove armi modificava l'entusiasmo degli amatori della tattica greca e romana, sicché abbandonavano tutto ciò che si deduceva dal sistema della falange come incompatibile con l'effetto dell'uso della polvere. Tutto l'ingegno dei piú sapienti era adoperato a rendere possibile la combinazione dei metodi della romana legione colle armi novellamente adottate.
Nel precedente nostro discorso non senza ragione facemmo osservare che se la strategia, giusta l'ordine scientifico, dee compire i perfezionamenti dei rami della scienza militare e della tattica in particolare, la quale essendone l'ultimo perfezionamento li suppone e riassume tutti, pur nondimeno storicamente non cosí accadde; e nel periodo del quale andiamo a discorrere ampia dimostrazione possiam presentar di quanto asserimmo. In effetto mentre la letteratura militare ci lascia di quell'epoca rare ed incompiute opere dogmatiche e quasi nessun regolamento di tattica elementare, la storia di questo stesso periodo ci presenta una quantitá di capitani che operavano con alta intelligenza della scienza, con l'istinto e sovente coi metodi della strategia. Al duca d'Alba, allo Spinola, ad Alessandro Farnese, ad Enrico quarto, a Coligni, a Nassau, a Vallstein, a Tilli, a Bernardo di Weimar, a Savelli, a Piccolomini, a Isolani, a Veterani, a Montecuccoli, a Gustavo Adolfo, a Banner, a Torstestdon e a Turenna non possono negarsi con gradazioni diverse le qualitá che costituiscono i gran capitani, e tutte le loro operazioni[6] possono essere comparate a quelle degli ultimi periodi delle guerre europee. I limiti in cui ci siamo ristretti non permettono di svolgere (ciò che forse piú tardi faremo) in queste campagne il pensiero strategico, se cosí possiamo esprimerci, non solo istantaneo ma seguíto, regolarizzato, non con la metafisica della scienza ma con la sua logica[7].
Segnaleremo solamente le operazioni del duca di Parma per soccorrere Parigi e Rouen assediati da Enrico quarto ed i movimenti da questo opposti, la campagna del duca di Alba per impadronirsi del Portogallo che finí con la battaglia di Alcantara. Le campagne di Gustavo Adolfo in Germania sono miste di precauzioni e di ardire, di marcie rapide e di posizioni ben prese, e i movimenti non si veggono fatti se non dopo avere assicurato una base nella Pomerania. I suoi successori ne seguirono le impulsioni con minore intelligenza, e spariti Wallstein e Gustavo, la guerra fatta secondo le regole della scienza non rinacque se non con Turenna in quelle sue belle campagne di Germania. L'ingegno del Montecuccoli si formava in posti secondari, per indi innalzarsi all'altezza di quei che fissarono le strategiche pratiche e ne trasmisero alla posteritá i precetti. Gli eserciti poco numerosi, mobili e disciplinati per quanto comportavano la loro composizione ed i metodi che si seguivano, facean sí che la guerra fosse piú di movimenti che di posizioni.
L'imperfezione dei sistemi amministrativi, benché superiori agli antecedenti, era supplita dalla durezza con la quale trattavansi i paesi nemici e dai soccorsi che trovavansi negli amici; ma questo sistema fece sí che la guerra dei trent'anni fosse la piú devastatrice e arrestasse la civiltá negli Stati ove fu combattuta, i quali erano giá in progresso poiché subirono questa pruova senza soccombervi. Possiamo ora riassumere il fin qui esposto dicendo che se i piani di guerra non erano scientificamente stabiliti, vi era però uno scopo, un nesso tra le operazioni; ed in effetto quelle operazioni sono citate dai moderni capitani come modelli da venire imitati tanto per le marcie che per la scelta de' campi e pel passaggio dei fiumi: in particolare la marcia di Gustavo da Magonza al Leck, il suo campo di Norimberga ed il passaggio del sopraddetto fiume, operato in faccia al nemico di viva forza e preparato e protetto dall'artiglieria[8].
Nel nostro quarto discorso facemmo vedere come la polvere da sparo avesse influito sulle fortificazioni e sulla guerra di assedio, e che ciò che avea piú caratterizzato il progresso del disegno era il sostituire i bastioni alle torri; il che era un immenso passo nella difesa, giacché da diretta rendevasi fiancheggiante, perciò piú compiuta e spinta fino al punto che l'operazione del nemico di penetrare sotto i rampari sarebbe stata inutile, se prima non avesse spento i fuochi di fianco. Questa direzione data alla scienza della fortificazione, riassunta nelle opere del conte di Pagan e di tutta la scuola degl'ingegneri italiani che abbiamo citata, si proseguiva con miglioramenti che rendevano il disegno piú compiuto mercé l'adozione di nuove opere avanzate, e cosí la difesa si trovava renduta superiore all'attacco, finché non si fosse trovato il metodo di estinguere i fuochi di fianco e di spingersi al coperto colle parallele. In effetto la difesa di Ostenda che nel 1601 occupò tre anni Spinola; quella di Leida anteriore a questa, nel 1574, che si sostenne contro le forze spagnuole; quella di Anversa dove l'italiano Giambelli contraccavò con arte ed ingegno le operazioni ardite del suo compatriota Barrocchi, che dirigeva i portentosi lavori che si facevano dall'esercito guidato da Alessandro Farnese; il ponte sulla Schelda gittato dall'esercito assediante, sono imprese ricche di scienza e di valore e dimostranti come le scienze e le arti che vi dovevano concorrere erano avanzate[9], mentre possono sostenere a nostro credere il paragone dei giganteschi ed intelligenti lavori fatti nell'isola di Lobau nel 1809 per domare il Danubio e decidere la sorte della guerra.
La fortificazione di campagna fu creata dal genio dei principi di Nassau nei terreni difficili dell'Olanda per arrestare l'impeto delle vecchie bande spagnuole contro gl'inesperti e nuovi difensori dell'Olanda. Del resto Gustavo e Vallstein nei campi di Norimberga fecero vedere che anche negli eserciti piú mobili e nei terreni meno accidentati sapevano far servire le fortificazioni di campagna per rimaner liberi di accettare o rifiutar la battaglia; e la sapiente inazione di quei capitani è la pruova piú significativa del rinascimento della scienza, e trasporta con l'immaginazione ai campi di Durazzo ove due gran capitani dell'antichitá si preparavano alla giornata decisiva di Farsaglia.
La castrametazione non poteva che progredire con queste pratiche di guerra, ed era il segno del progresso fatto nel guidare gli eserciti e della regolaritá delle loro imprese. Un altro sintoma dell'importanza che acquistavano i corpi scientifici si è che si cominciava la division del lavoro negli eserciti: nel vedere Sully rivestire la carica di gran maestro d'artiglieria e creare arsenali, parchi, riserve, laboratori, in una parola un sistema compiuto di ciò che chiamasi «materiale», dobbiamo veder pure l'origine di tutte le future istituzioni le quali si riassumono ai dí nostri nella scuola politecnica, giacché a reggere la pace o la guerra è necessaria la scienza; la qual cosa dimostra compiutamente la caduta del sistema sociale del medio evo ed insieme il progresso della civiltá.
Da quanto dicemmo sugli eserciti e sulle loro pratiche si deduce che queste colonie operanti avean bisogno di essere amministrate a fine di soddisfare a bisogni moltiplici, quanto alle munizioni da guerra e quanto a quelle da bocca, in lunghi assedi e in campagne attive e prolungate. E' non v'ha dubbio alcuno su questo, benché gli autori contemporanei non ci tengano istrutti de' metodi coi quali si nutrivano, s'approvigionavano e si conservavano gli eserciti di quei tempi, nessun trattato essendocene rimasto. Questa scienza è tuttavia nell'infanzia e forse un dí sará riguardata siccome un ramo dell'economia politica applicata ai bisogni degli eserciti. Ma allora l'amministrazione era presso che ignota, e la potente monarchia di Filippo non poteva pagare i suoi eserciti, i quali perciò sovente si ammutinavano con danno della disciplina. Questo carattere dell'intima esistenza degli eserciti spagnuoli era conseguenza dell'amministrazione cattiva di quella vasta monarchia; amministrazione i cui effetti dolorosi si risentono ancora dopo qualche secolo negli Stati che ne hanno piú lungamente fatto parte.
Possiamo quindi riassumere il fin qui detto con istabilire che lo stato della scienza militare dal 1555 al 1648 presenta i tre seguenti caratteri:
1. Ritorno a quei princípi della scienza militare degli antichi ch'eran compatibili con le nuove armi.
2. Separazione piú distinta dai metodi del medio evo.
3. Sviluppo piú compiuto, quanto alle nuove armi, di tutto ciò ch'erasi cominciato nel precedente periodo.
Ora avendo risposto alle quistioni che ci siamo proposte sulla scienza della guerra, passeremo a fare lo stesso per quelle che riguardano lo stato delle scienze e delle arti e lo stato sociale. Le scienze esatte avevano sí progredito che in quel periodo si segnalavano importanti scoperte, le quali dinotavano al tempo stesso lo stato fiorente di queste scienze e il merito dei loro cultori. L'influenza di questi passi fatti sui futuri destini di questa parte dello scibile umano c'indica in ultimo lo stato generale di esso, avuto riguardo alle relazioni che hanno tra loro le scienze tutte. E può notarsi che appunto nel periodo di cui discorriamo furono risolute le equazioni di terzo grado da Scipione Ferreo e da Niccola Tartaglia: nella stessa epoca Verner risolvette uno de' problemi proposti da Archimede sulla divisione della sfera, e Vieta introdusse le lettere come segni convenzionali per determinare le quantitá algebriche, e da questa nuova lingua pei calcoli risultò per opera dello stesso l'applicazione dell'algebra alla geometria. Con questi nuovi mezzi Tico Brahe fece progredire di molto le scienze astronomiche. Non della stessa natura ed importanza furono i progressi delle matematiche miste, benché fossero giá favorite dai progressi dell'algebra e dalla applicazione di essa alla geometria. Ma ciò non bastava al progresso di queste scienze: era necessario che l'analisi applicata ai corpi fosse molto avanzata. Ciò lasciava in uno stato di debolezza la fisica e tutte quelle sue diramazioni che in séguito della division del lavoro applicata alle scienze hanno formate delle scienze particolari e compiute, come la chimica ed altre. Gli sforzi successivi e perseveranti dei cultori piú distinti di questa branca dello scibile, quali Guido Ubaldo, Nomus Porta e Maurolico, perfezionarono qualche ramo delle matematiche miste, ma senza risolvere il gran problema delle leggi del moto tanto dal Galileo illustrate. Questo raro genio non solo fece progredire l'astronomia con le sue invenzioni, ma fermò ancora la statica, scienza cosí importante per le sue applicazioni. Pure queste scoperte erano lentamente applicate.
Le scienze naturali per gli esposti antecedenti dovevano avere un moto progressivo ma lento, perché sebbene fossero in progresso le matematiche pure, non lo erano però le miste; e come le scienze naturali dipendono insieme dalle scienze esatte pure e dalle miste, dallo stato di queste dipendevano quelle che ne derivavano. Non pertanto vi erano in quel periodo cultori distinti che hanno lasciato nella storia della scienza quei luminosi risultamenti che ne segnano le grandi epoche e che coi loro pregiati lavori han preparato il materiale ai lor successori. Si notano tra questi Ermolus, Barberus, Cesalpino, Geyesman, Pierre Châtel ed Agricola.
L'architettura e le arti meccaniche erano in progresso; e dove prima avean sede in Italia, i loro metodi si traspiantavano nelle altre nazioni che progredivano nell'incivilimento, il quale creava loro al tempo stesso nuovi bisogni e le spingeva a cercare i mezzi da soddisfarli.
Nelle scienze morali vedeansi progressi positivi, i quali spargevansi ovunque vi era un movimento ascendente di sviluppo intellettuale. La scuola dei giureconsulti di Bologna trova seguaci, emuli e rivali in Francia, ove Cuiacio e la sua scuola indicavano il bisogno e il progresso della legislazione in societá piú riunite, aventi perciò maggior bisogno di esser dirette dalle leggi che dalla volontá individuale, marchio caratteristico del sistema feudale. Tutto infine cospirava a risvegliare lo studio delle scienze morali. I bisogni e le relazioni che si sviluppavano nelle societá riunite rendeano preziose le antiche leggi e necessario l'interpretarle e l'applicarle allo stato delle nazioni moderne. Le dispute religiose portavano allo studio delle lingue orientali, come armi per la controversia, e agli studi di teologia e di morale, e davano nuova vigoria ed importanza agli studi filosofici che debbono servire ad appoggiare e a combattere le opinioni religiose. In effetto la scolastica non fu trovata sufficiente e la filosofia cominciò ad essere coltivata in un modo piú diretto e piú indipendente, come fecero Telesio, Giordano Bruno, Cardano e Campanella, che mossero guerra all'aristotelismo mal compreso che dominava nelle scuole. E da quel periodo ebbe principio il rinascimento della filosofia, che Bacone riassume esponendo i metodi nuovi necessari ed il torto degli antichi. Cartesio suo contemporaneo nel trattato dei metodi distruggeva la scolastica, perché le sostituiva, considerata come strumento, uno strumento migliore. Le lunghe guerre, le interne rivolte, le terribili rappresaglie alle quali l'umanitá era esposta nell'urto di tante passioni, produssero il bisogno di applicare la legislazione e di fermare una giurisprudenza in quanto ai rapporti delle nazioni tra loro e dei sudditi verso i poteri che li reggevano. L'opera immortale che Grozio pubblicò su questi vari oggetti, preceduto da Alberico Gentili che trattò la stessa materia, non solo fissa la moderna civiltá dando freno e regole alla forza stessa, ma stabilisce la superioritá dei moderni sugli antichi i quali ignoravano potersi creare una scienza chiamata «dritto delle genti». L'adozione di questo codice creato da un privato fu, secondo il Mackintosch, la piú segnalata e significante vittoria che l'intelligenza e la moralitá abbiano riportata sulla forza.
Da questo rapido cenno sullo stato intellettuale dell'Europa si può dedurre la medesima osservazione che abbiamo fatta nel riassumere lo stato della scienza militare, cioè che quello che caratterizza questo periodo si è la tendenza di tutto il movimento intellettuale a separarsi dai metodi del medio evo. Questo risultamento si mostra chiarissimo e nella scienza militare e nello stato intellettuale e da ultimo nello stato sociale e nelle sue modificazioni di cui noi ci occuperemo.
Nel nostro secondo discorso facemmo osservare che ciò che caratterizzava i popoli dell'antichitá si era l'esser tra loro le differenze maggiori delle somiglianze, e notammo eziandio che tra i moderni dominava il carattere inverso: dal che risultava che le societá antiche preoccupate dalla loro nazionalitá procedevano per esclusione, il che costituiva l'amor patrio fra loro, e che le societá moderne procedevano per principio d'imitazione, perché l'amor patrio avea per oggetto il progresso che tende ad appropriarsi tutto ciò che ha eguali condizioni nelle altre nazioni, serbando la nazionalitá come elemento fisso ma modificabile a seconda dei progressi della civiltá. Nel terzo discorso esponemmo che il medio evo era un'epoca di distruzione e di rinnovazione, e lo mostrammo come diviso in due periodi, ognuno dei quali rivestiva uno de' caratteri che notammo. Nel nostro quarto discorso facemmo vedere come il seguente periodo fosse vago, incerto e lottante fra le tradizioni classiche dell'antichitá tornate a luce mercé del risorgimento delle lettere, le abitudini del medio evo e le tendenze delle moderne societá che derivavano da quello, e quindi come non si potesse determinare il marchio che ne formava l'impronta. Il periodo del quale ora trattiamo è quello in cui può considerarsi fissato e predominante il carattere dell'èra chiamata «moderna», e le epoche successive non saranno che un piú largo sviluppo e delle piú estese conseguenze di esso.
I fatti piú importanti che ci presenti l'epoca dal 1555 al 1648 e che ne facciano rilevar de' maggiori sono la forza acquistata dal potere centrale e il principio dell'unitá nazionale che da per tutto si ricompone sulla decadenza del potere feudale. La conseguenza per l'ordine e per la civiltá erasi questa, che le forze individuali doveano cessare di avere una importanza che turbava la societá e che rendeva impossibile ad ogni potere di esercitare la sua azione benefica, proteggendo le persone e le proprietá e facendo prevalere sempre l'interesse pubblico e la ragion pubblica per mezzo della forza pubblica contro tutte le pretensioni individuali. In effetto può notarsi che l'ultima grande individualitá, l'ultimo condottiere in una vasta scala fu Vallstein, e dopo di lui la legge bastava per dominare chiunque.
La protezione che offriva un potere centrale favoriva con piú o meno celeritá, a seconda delle circostanze, e l'elevazione delle classi medie e il miglioramento della condizione delle ultime, e preparava cosí i progressi dell'industria e del commercio, il quale doveva, attivato dalle nuove scoperte, costituire il carattere dominante all'epoca che a questa seguiva e sostituire gl'interessi commerciali alle dissensioni religiose che dominarono nel periodo del quale trattiamo.
La formazione delle nazioni ed il movimento intellettuale che si svolgeva in questa epoca furono causa delle opposizioni religiose, delle rivoluzioni nazionali de' Paesi bassi e del Portogallo[10] e della guerra dei trent'anni, nella quale i principi di Germania cercavano di sottrarsi alla sorte comune subíta dai gran feudatari nelle altre monarchie europee.
L'equilibrio politico risultò dal principio di nazionalitá, il quale fa che una nazione ripugni ad essere per cosí dire assorbita da un'altra nazione; onde la previdenza che presedeva agli ingrandimenti, alle associazioni o alleanze con altre nazioni. E questo sistema si trova riassunto e ordinato nel trattato di Westfalia. A una tal circostanza e a tali bisogni si dee attribuire la classe degli uomini di Stato, ch'era ignota all'antichitá perché la division del lavoro non vi era introdotta. I grandi uomini reggevano la pace e la guerra e diventavano a vicenda pontefici, consoli o edili: cose ignote nel medio evo dove l'autoritá era concentrata nei capi di famiglia per grado e non per qualitá, ma che dovevano uscire in luce nell'epoca moderna, nella quale gli interessi complicati e le carriere divise doveano produrre tutta la scuola militare di Gustavo e quella di uomini di Stato quali Oxenstiern e quella di Turenna e quella del cardinale di Richelieu.
Possiamo riassumerci con dire che il periodo che descriviamo avea il marchio che indicammo caratterizzare le societá moderne, ove le simiglianze sono piú che le differenze. Infatti sotto l'influenza comune del cristianesimo, del regime feudale, della legislazione romana, della letteratura classica e del suo sviluppo, la societá nelle sue dissensioni medesime citava gli stessi libri, interpretava le stesse dottrine e governava la pace e la guerra servendosi degli stessi metodi e impiegando le stesse armi.
I risultamenti politici di questo periodo possono ridursi a' seguenti: decadenza della monarchia spagnuola; movimento ascendente della francese; importanza momentanea della Svezia; indebolimento del corpo germanico, perché diviso d'interessi e di princípi e perché i suoi trattati eran garantiti da potenze straniere; gli svizzeri, gli olandesi, i principi di Germania riconosciuti ed assicurati nella loro indipendenza politica, come pure riconosciuta l'esistenza e indipendenza politica dei protestanti non come dottrina, ma come fatto consumato; la Polonia e la Turchia decadute; la Russia preparantesi a profittarne; l'Italia rimasta sotto il dominio dei forestieri, perché diceasi che i forti doveano proteggere i deboli; ed infine l'Inghilterra non figurante perché occupata da discordie intestine.
Il nuovo mondo dominato dall'antico era nel suo periodo di distruzione, per poi passare a quello di rinnovazione con nuovi elementi che dovevano influire sui destini europei, prima negativamente e poi attivamente.
Da questo quadro può dedursi lo stato della scienza militare? Si è questa l'ultima quistione alla quale dobbiamo rispondere e sta in essa la soluzione del problema che ci proponemmo.
Nel nostro precedente discorso mostrammo che gli elementi feudale, comunale e monarchico erano rappresentati negli eserciti di quel periodo e nelle nazioni diverse, secondo quelle proporzioni che tali elementi diversi conservavano nell'ordine sociale di quegli Stati. Ora vediamo in questo periodo l'elemento feudale ch'era la cavalleria quasi scomparire; giacché sebbene fosse ancora in forte proporzione, pur nondimeno la sua composizione non era piú fondata sul servizio feudale, ma era una truppa permanente composta di uomini presi dalla plebe e comandata da signori o gentiluomini che vogliam dire, soggetti però alla gerarchia dei gradi in ragione della loro capacitá e de' loro servigi e non del loro grado sociale; il che distruggea fin da radice il sistema dei contingenti feudali. Dall'altro canto non vediam piú né meno milizie comunali: non giá che le comuni non somministrassero gli uomini, ma le truppe leggiere e gli altri corpi ch'erano ordinariamente presi nei contingenti comunali venivan composti di avventurieri, e mercenari condottieri li comandavano. La fanteria era ordinata in corpi nazionali, e se vi erano corpi stranieri, questi venivano riguardati siccome ausilio e non come nerbo: eran soggetti alle regole comuni e non seguitavano i loro usi, come prima si tollerava. L'artiglieria e gl'ingegneri formavano corpi particolari e si richiedevano condizioni scientifiche in chi dovea farne parte. Inoltre abbisognavano il materiale degli arsenali e un sistema amministrativo, il quale era imperfetto e reso presso che inutile, perché gli Stati facevano delle guerre lunghe e non aveano come soddisfarne le spese con imposte ed imprestiti, giacché le prime erano in isproporzione coi mezzi ed i secondi erano ignoti. Gli eserciti vivevano col sistema di requisizione, che pesava piú o meno sul paese, ma che vení regolarizzato alquanto dall'amministrazione militare. In effetto Vallstein e Gustavo Adolfo vivevano egualmente a spese dei paesi ne' quali operavano; ma Vallstein era considerato come un flagello e Gustavo come un protettore, perché l'uno dilapidava e l'altro regolarizzava ciò che esigevano in tributi[11]. I molti paesi che si percorrevano, gli accidenti topografici, tutto infine avea creato il bisogno di maggiore intelligenza e maggior gerarchia nei gradi e nelle funzioni fondate sull'utilitá di essi, e piú divise erano le attribuzioni.
Ora se la descrizione di un esercito cosí costituito nei diversi Stati si presentasse senz'altra notizia di quei tempi ad un uomo che ignorasse la loro storia e le lor condizioni sociali, se quest'uomo fosse meditativo ed usasse per istinto o per scienza il metodo comparativo sí bene applicato dall'illustre Cuvier all'anatomia, potrebbe qui applicandolo dire: — Ov'è un esercito vi è un potere centrale forte che predomina sugli elementi aristocratici e democratici. Dove la guerra ha questi metodi e questi bisogni deve esistere una amministrazione ordinata, le scienze esatte devono essere avanzate, e cosí le arti, delle quali favoriscono l'applicazione pel materiale di cui abbisognano le scienze fisiche e naturali che non sono in egual progresso. Ove infine sono interessi complicati a dibattere tra i particolari, come tra le varie nazioni miste d'interessi materiali, politici e religiosi, le scienze morali debbono essere coltivate per l'interna legislazione e debbono essere in progresso, perché le guerre si terminano con le paci, e piú le prime son complicate piú lo son le seconde. Da ultimo la scienza militare ha il carattere universale che le scienze rivestono; ciò che fa desumere che dottrine e discipline comuni reggano lo stato sociale delle varie nazioni.
Qui porrem fine al nostro discorso, e crediamo aver risoluto il problema di determinare dallo stato della scienza della guerra quello dello scibile e della societá. È provato che il periodo che veniam da percorrere corrisponde al terzo che segnalammo nell'introduzione di questo discorso, e che svolgendo queste comuni e costanti relazioni fra gli elementi che costituiscono l'umanitá, la sua storia si rende compiuta mercé il nuovo punto di vista sotto il quale vien considerata.
DISCORSO VI
Intorno allo stato della scienza militare ed alle sue relazioni colle scienze e collo stato sociale dalla pace di Westfalia a quella di Passarowitz.
L'epoca di cui imprendiamo a trattare in questo discorso comprende lo spazio di tempo che va dal 1648 al 1718, cioè dalla pace di Westfalia a quella di Passarowitz. È questa l'epoca in cui l'èra moderna sviluppasi compiutamente e si veste di tutti i caratteri che le corrispondono; per il che essendo semplice tutto ciò ch'è compiuto, si potrá questa epoca riassumere e quasi comprendere sotto una sola denominazione, la quale sará: «secolo di Luigi decimo quarto». Questo nome esprime ad un tempo come la Francia primeggiasse in civiltá, come il principio monarchico prevalesse in quel regno, e come dovesse quel principio stesso prevalere in Europa per l'influenza che un popolo incivilito esercita sul resto delle nazioni imitanti o non escludenti l'imitazione nei progressi che fanno.
Quest'epoca, intatto serbando il suo carattere generale, ma considerata sotto l'aspetto di progresso e di decadimento, può suddividersi in due periodi distinti e contrassegnati da coteste circostanze: il primo va dal trattato di Westfalia sino alla pace di Nimega, ed il secondo da questa pace insino a quella di Passarowitz.
Prima di stabilire le quistioni che saranno risolute in questo discorso, crediamo utile di far precedere un rapido cenno dello stato dell'Europa, siccome nei precedenti discorsi facemmo.
La monarchia spagnuola risentiva omai gli effetti di tutte quelle cagioni di decadenza che nel precedente periodo indicammo, perdeva la superioritá nell'antico mondo senza sapere trar partito dal nuovo. In politica, in finanza, in armi, in lettere, la sua decadenza manifestavasi agli occhi di tutti, meno che a quelli degli spagnuoli medesimi i quali conservavano le pretensioni che vanno unite alla forza che piú non aveano.
Nella Francia il movimento era in un senso opposto essendovi allora piú forza che pretensione; intanto la fine della guerra della Fronda nel 1652 chiaramente dimostrava essere impossibile all'elemento aristocratico di rifare il passato ed al democratico di accelerare il futuro, e quindi avere in Francia il poter del re la superioritá sugli altri tutti, consistendo in esso l'unitá, la forza, la civiltá e la gloria dello Stato.
Nell'Inghilterra la dominazione di Cromwel aveva dimostrato quale importanza politica poteva avere questo Stato allorché fossero in esso soffogate od estirpate le discordie cittadine; ma queste discordie regnandovi, l'influenza politica ne rimase sospesa sotto Carlo secondo e sotto il suo successore.
L'Olanda dall'essere ammessa a far parte delle nazioni indipendenti europee passava ad esercitare una potente azione nel sistema generale di Europa, frutto della sua illuminata economia e del valore perseverante che avea contrassegnato la sua lunga lotta per emanciparsi dalla Spagna.
La casa d'Austria si sforzava di ricuperare parte della importanza toltale dal trattato di Westfalia, ma ne la impedivano nemici diversi in direzioni opposte: turchi, francesi, possessioni italiane mal ferme, turbolenze in Ungheria, diffidenza degli Stati protestanti. Non pertanto fra mezzo a questi ostacoli faceva mostra sovente di abilitá e sempre di perseveranza.
L'impero germanico cercava di riordinarsi nella sua nuova forma, ma ben vedeva mancargli ed unitá ed indipendenza, per l'intrusione di un nuovo elemento nel suo grembo che lo scindeva, cioè la riforma, e per una ben regolata intervenzione di due potenze straniere nel suolo germanico, cioè la Svezia e la Francia, le quali avean garentito il trattato di Munster.
La Svezia era dominata da una successione di principi guerrieri, della quale doveva essere l'ultimo termine quell'uomo straordinario che poi lasciolle la debolezza dopo di sé e quasi l'odio dell'eroismo di cui egli aveva abusato.
La Danimarca faceva un atto mercé del quale spontaneamente poneva nelle mani del re ogni autoritá.
La Polonia dopo che la monarchia elettiva le avea dato de' principi poco abili a riparare i difetti del sistema che la reggeva e delle circostanze che la dominavano, trovava un grand'uomo che faceva sfavillare l'ultima fiamma brillante della politica esistenza di essa.
L'impero ottomano nel progredire della rimanente Europa decadeva o al piú restava stazionario. Sostenuto solo dagl'imbarazzi dell'Austria, dall'imperfezione del reggimento polacco, dallo stato di barbarie della Russia e dalle rivalitá delle altre nazioni europee, era facile il presagire che al mancare di ciascheduno di questi suoi appoggi fortuiti ed estrinseci il suo decadimento avanzavasi. Infatti le sue forze di mare vennero respinte in difensiva alla battaglia di Lepanto e quelle di terra vinte da Sobieski a Vienna.
La Russia, regnante la famiglia Romanow, faceva passi oscuri sí ma reali nella civiltá, attendendo che Pietro primo li mettesse a luce e ne affrettasse il movimento con proporzioni ignote fino a lui.
L'Italia era militarmente occupata, in modo che l'istoria di questo secolo riguarda piú il suolo italiano che gl'italiani stessi. La vita civile esisteva, ma la vita politica era sparita, e molti gli uomini, pochi erano i cittadini che stavan concentrati in Genova, in Venezia. A questa dava ancora qualche celebritá la lotta colla Porta ottomana, ed i nomi di un Mocenigo, di un Morosini protestavano a favore della gloria italiana: quella, benché non fosse spenta in essa ogni energia, stavasi ignota ed oscura, ma indipendente in grazia della generosa magnanimitá di un suo gran cittadino.
Il carattere generale che predomina nell'epoca di cui abbiamo tracciato l'insieme, è quello della societá moderna, vale a dire distinto da quello dell'antica e della societá del medio evo. In quest'epoca fruttando i germi che additammo ne' due precedenti periodi, ne addivenne principal carattere la dominazione dell'elemento monarchico sugli altri elementi che rappresentano le forze sociali e la sommessione di questi a quello. Cosicché la legge a prevalere con piú equitá e ad applicarsi con piú eguaglianza, l'amministrazione a sorgere, le finanze e il commercio e tutte le classi che rappresentano l'industria e la coltivano ad acquistare importanza incominciavano. Questo movimento crescente si trasmetteva sino alle infime classi, le quali benché non avesser soluzione di continuitá con ciò che chiamavasi «terzo stato», pure facilmente vi accedevano acquistando colla industria e colla economia le condizioni richieste a farne parte, poiché veruna artificiale barriera non ne vietava l'ingresso. Possiamo adunque conchiudere che quest'epoca dava la guarentigia di una istorica durata, senza escludere tutte le successive modificazioni risultanti dalla natura di una civiltá progredente e dagli elementi che la componevano, i quali effetti avremo agio ne' seguenti discorsi di notare e mettere in luce. Esposte per tal modo le condizioni generali della societá in quel tempo, passiamo ad indagare piú particolarmente quelle della scienza militare, risolvendo le seguenti quistioni:
1. Quali metodi siensi seguíti per iscegliere gli uomini, le armi e gli ordini nei due periodi in cui dividemmo l'epoca attuale.
2. Quale lo stato delle parti della scienza, cioè tattica, strategia, guerra di assedio, fortificazione ed amministrazione militare, e quali modificazioni risulti aver esse ricevuto cosí dalle pratiche guerresche de' gran capitani di quel tempo che dagli scrittori militari sincroni.
3. Quale lo stato dello scibile cosí per le scienze naturali esatte e morali che per le arti che ne dipendono.
4. Quale il carattere dello stato sociale e la sua tendenza indicandone l'avvenire, non meno che quello dello stato politico risultante dalle guerre dell'epoca in discorso.
5. Come l'insieme di quest'epoca possa dedursi dallo stato della scienza militare.
Abbiamo veduto come nel periodo precedente, mutato il sistema della scelta degli uomini, la nobiltá componeva il corpo degli uffiziali e la plebe quello de' soldati, non per dominio che la prima esercitasse di dritto su di questa, ma in virtú di un potere speciale conferito a quella. Nell'epoca di cui trattiamo, fermo rimasto il principio che all'eletta serviva di norma, solo alcune modificazioni lievissime vi si apportarono. La scelta del sovrano, la compera del grado ed in appresso l'educazione in una scuola militare furono i mezzi coi quali si perveniva ad essere uffiziale, ed il dritto ai successivi avanzamenti fu regolato da norme fondate sull'anzianitá o sul merito straordinario che dispensava da questa, di unita al grado che nella societá si occupava. Gli arrolamenti volontari, gl'ingaggi a tempo e la reclutazione forzosa delle milizie furono i mezzi adoperati per tenere al completo e per rinnovare gli eserciti nelle lunghe guerre di quell'epoca. Questi metodi stessi seguivano le nazioni del mezzogiorno e quelle del settentrione con locali modificazioni che non ne alteravano però i princípi. Non cosí le nazioni slave, che componevano la forza pubblica con metodi concordi al loro stato di civiltá, il quale rifletteva e ritraeva in sé le consuetudini del medio evo fuse colle costumanze nazionali anteriori al potere feudale. Cosí ancora i musulmani stabiliti in Europa conservavano la loro orientale civiltá e con essa i metodi per la composizione della loro forza.
Le armi nel primo periodo furon miste: bianche e da fuoco; ma le seconde crescevano a misura che l'archibuso facevasi piú maneggevole ed il fuoco diveniva l'azione piú consueta dell'infanteria, accessoria l'urto. Nel secondo periodo la baionetta inventata da Martinet, risolvendo il problema di un'arme unica che operasse da lungi e da presso, fece sopprimere le picche. La cavalleria non cambiò d'armi, ma la sua proporzione coll'infanteria, che nel primo periodo non fu mai meno della metá e sovente la eguagliò, discese nel secondo alla quarta parte e meno ancora ne' paesi montuosi. L'artiglieria, attesa l'importanza che acquistava il fuoco nelle battaglie, crebbe di proporzione e guadagnò di mobilitá per materiale e per sistema di costruzione piú scientifico. Ma nel secondo periodo quest'arma migliorò di molto per le innovazioni che subí da' francesi, adottate generalmente da tutte le nazioni europee, tranne le slave e le musulmane presso le quali restò sempre la cavalleria arma principale.
Le ordinanze in conseguenza della modificazione delle armi vennero a cangiarsi. Nella fanteria la profonditá variò da cinque a tre: l'organizzazione de' battaglioni, delle compagnie, de' reggimenti, sottoponendosi ad un calcolo ragionato, stabilito sulla quantitá di azione che chi comanda e dirige può avere sui comandati e diretti, divenne piú regolare. Questa teorica stabilita sulle forze della natura serví di base a determinare le proporzioni tra i quadri e le masse. Le diverse modificazioni alla composizione de' corpi succedutesi rapidamente fanno scorgere che tali proporzioni, non arbitrarie ma fondate sulla natura delle cose, anziché essere ritrovate si cercavano ancora col calcolo e coll'esperienza. Finalmente l'uso di una militare divisa uniforme distinse i guerrieri dal resto dei cittadini e rese compiuta agli occhi di tutti la costituzione dell'esercito. La profonditá della cavalleria variò ancora da quattro a due; ma questa variazione di fondo, come quella della fanteria, appartiene al secondo periodo in cui le armi da fuoco erano quasi rimaste sole. Anche l'artiglieria si regolarizzò nella sua organizzazione siccome le altre due armi a cui era di ausilio. Le nazioni slave ed i musulmani vennero con varia proporzione adottando questi cangiamenti; i russi nella massima parte, i musulmani nella minima, ed i polacchi tennero il mezzo fra essi. In generale la composizione di un esercito, quale si era quella osservata nel secondo periodo di questa epoca, si è venuta nelle seguenti epoche perfezionando, ma non mai si è affatto cangiata, poiché gli elementi nel tutto insieme ne furono sempre conservati ed i miglioramenti apportati si aggirarono meno in inventar nuove armi e nuovi elementi di azione che indagar nuovi metodi per trarre dalle invenzioni giá fatte piú sicure, piú facili e piú compiute applicazioni.
La tattica ragionevolmente seguir doveva il miglioramento degli ordini, ed al certo questa conseguenza doveva essere facilitata dalla divisione piú ragionevole delle compagnie e dei battaglioni; ma da ogni ricerca che si faccia negli scrittori militari contemporanei risulta invece che i metodi per muovere in senso differente le masse e metter queste in rapporto col terreno progredirono lentamente ed erano piuttosto d'impaccio a chi comandava che di facilitazione alle sue imprese. Nel primo periodo che a questo riguardo si può fissare sino alla morte di Turenna nel 1675, l'ordine sottile non ancora prevaleva affatto: intendiamo per «sottile» l'ordine primitivo che aveva ancora una profonditá di cinque uomini, e non giá che si usasse il sistema del combattere per colonne, il quale solo per eccezione fu adoperato dal Tallard alla battaglia di Spira. La guerra era piú di movimenti che di posizioni, ed erano piuttosto le marcie di eserciti poco numerosi e perciò piú mobili che decideano le battaglie, che la finezza de' movimenti sul campo e l'intelligente adoperare delle riserve. La cavalleria benché diminuita di fondo, non pertanto piú numerosa nelle sue proporzioni e situata alle ali dell'ordine di battaglia, piú che per la sua tattica influiva nelle battaglie pel suo numero e pel suo valore: essa sola compiva le vittorie e rendeva meno importanti le perdite coprendo la ritirata del vinto. L'artiglieria serviva di appoggio alla parte difensiva dell'esercito e rinforzava tutti gli accidenti di terreno che il richiedevano[12]. I villaggi incominciavano ad essere considerati come punti di appoggio importanti, la qual cosa addimostra il progresso nell'uso della moschetteria e l'importanza che acquistavano gli accidenti di terreno. In prova di ciò possiamo citare le battaglie di Fribourg, Turckheim, Senef e Nordlingen. La disfatta delle vecchie bande spagnuole a Rocroy in séguito di quella toccata dagli svizzeri, che ne erano stati il modello, a Marignano, fu l'ultimo colpo portato all'ordine profondo della fanteria; cosí che poteasi ornai dire che tutte le belliche nazioni dell'Europa seguissero uno stesso metodo. Ma non cosí gli slavi ed i musulmani, nelle battaglie dei quali, come in quelle del Sobieski a Chotzim ed a Vienna, la cavalleria decideva ancora della lotta e la fanteria operava piú come ausiliaria che come arme principale.
Nel secondo periodo basta vedere nel Feuquières, nelle memorie di Turenna, nel Quinci, istorici contemporanei, come nelle battaglie di Marienthal, di Fribourg, di Rocroy, di Sinzhneim, di Turckheim tutto si riduceva ad un attacco di posti, come a Fribourg; o ad un misto di offensiva e difensiva, come a Nordlingen e nelle altre citate di sopra; o ad un combattimento di retroguardia divenuto generale e sanguinolento ma sterile di conseguenze, come a Senef. L'abolizione delle picche, l'adottazione del fucile colla baionetta come arme unica e la diminuzione di fondo accennata di sopra, cioè quella che attualmente sussiste, fanno presumere il progresso della tattica. Non pertanto l'istoria delle guerre di quel tempo e gli scrittori delle cose militari, tra' quali il Puysegur, ne dimostrano al contrario la decadenza, imperocché se il vero scopo della tattica consiste nella combinazione della soliditá colla mobilitá degli ordini e nel facile e rapido passaggio delle ordinanze richieste per l'offesa a quelle necessarie per la difesa, possiamo affermare che un tale scopo non fu raggiunto in verun modo.
Sembra a prima vista un fenomeno inesplicabile il vedere gli elementi tanto avanzati, cioè gli uomini, le armi e gli ordini, ed i metodi per fame uso cosí poco migliorati: pur tuttavia ci sforzeremo di rintracciarne le ragioni. L'abolizione delle picche e la diminuzione della profonditá non erano per anco supplite dalla soliditá necessaria per sostenere la cavalleria formando un corpo profondo, né dal perfezionamento del fuoco combinato colla baionetta; giacché non si era ritrovata la maniera colla quale oggidí formansi quadrati pieni e vuoti e si dá ad essi una posizione che li faccia scambievolmente sostenere in modo da improvvisare un sistema di fortificazione, né si era tolto l'inconveniente della poca celeritá e della imperfezione del fuoco, cagionate dalla bacchetta di legno e dal non sapere incannare la baionetta senza impedire l'uso offensivo del fucile. Per lo che la fanteria non bastava a reggere gli scontri della cavalleria, e per conseguenza niun fatto d'arme si ravvisa in quell'epoca simile a quei tanti che per questi vantaggi son segnalati nella storia posteriore. Del che fan prova e la guerresca fazione dello Schoulembourg a Fraustadt contro Carlo decimosecondo, nella quale l'infanteria sassone era ancora armata di picche, e quella dell'Anhalt a Hochstett in cui avendo i prussiani adottato i primi la bacchetta di ferro e 'l passo eguale, avea la loro fanteria il vantaggio di tirare e marciare con piú celeritá ed ordine. E questi due esempi gravissimi confermano il nostro detto, imperocché la fanteria che aveva abbandonato le armi e gli ordini che tanto valsero a' sassoni nella loro bella ritirata, e che non aveva adottati i metodi per mezzo de' quali i prussiani poterono dare quel raro esempio di resistenza alla cavalleria, doveva soccombere agli attacchi di questa o almeno evitarli. A questo secondo partito si attennero i capitani di quel tempo, sommettendo il loro ingegno all'imperfezione degl'istrumenti di cui doveano servirsi; la qual cosa unita all'eccessivo aumento di numero ruppe ogni proporzione tra i quadri e le masse e rese meno agevole il muover queste, perdendosi cosí al tempo stesso la soliditá e la mobilitá. Il che diede alle battaglie del secondo periodo un carattere particolare, giudicato per sintoma di decadenza dell'arte, avuto riguardo alla sua natura ed al suo scopo e comparando tra loro le guerre piú celebri e gli usi de' piú gran capitani sino a quest'epoca. Difatto se la guerra è uno stato violento ed eccezionale nell'essere sociale, lo scopo e la natura di quest'arte debbono consistere nel farlo cessare il piú presto che sia possibile per rientrare nello stato normale; dal che consegue la necessitá di fare al nemico il massimo male nel minor tempo, e quindi la guerra di movimenti che agevola la celeritá delle operazioni. Cosí hanno operato fra gli antichi Alessandro, Annibale e Cesare, e fra i moderni Gustavo Adolfo, Montecuccoli e Turenna; al contrario di altri, sommi guerrieri per altro, quali Luxembourg, Villars, Vandôme, Berwick, Eugenio, Malborough, Staremberg, Catinat, Baden, i quali avean ridotto le battaglie o ad un qualche stratagemma ordinato fuori della visuale del nemico, come nel movimento di Luxembourg a Fleurus contro il Valdeck; o ad una sorpresa, quale fu quella fatta dal principe di Orange senza successo a Steinkerque contro Luxembourg; o a difendere accidenti di terreno fidando sulla forza di un'artiglieria accresciuta ma poco mobile e di una fanteria che dopo spiegatasi era incapace di mutar ordine, come nelle battaglie di Nervinde, di Ramillies, di Malplaquet, di Almanza, di Bleinheim e di Fridlingen; o a chiudersi in linee fortificate, come in quella di Torino nel 1706; o a mettersi dietro a ridotti distaccati che lasciano possibile l'offensiva, come quella di Pultawa nel 1709 tra Pietro e Carlo decimosecondo. L'offensiva ancora mancava di energia: non rapidi movimenti operati sul campo di battaglia, non alcun artifizio di tattica per modificare l'ordine primitivo[13]. Ecco perché erano cosí sterili di conseguenze le sanguinose battaglie di Ramillies, di Malplaquet, che avevano combattenti superiori di numero a quelle di Rivoli e di Marengo ed eguali alle altre di Austerlitz e Fridland, fertili in risultamenti guerrieri ed in effetti politici. In questo secondo periodo il piú importante spettacolo di tattica si osserva nella guerra tra Pietro primo e Carlo decimosecondo: in essa si perfezionava l'esercito svedese, ed il russo facea presagire quei progressi che ora gli dánno tanta parte nei destini dell'Europa e dell'Asia.
La strategia si vantaggiava in questa epoca. Il general Jomini ha detto nel suo Quadro analitico essere la strategia la scienza di far la guerra sulla carta, poiché il primo piano d'operazione di una guerra intrapresa si traccia appunto nel gabinetto, modificandosi poi nell'applicarlo dal generale che deve eseguirlo, anche sulla carta e nella sua tenda; val quanto dire che si sottomettono tutte le forze materiali alle investigazioni ed ai calcoli scientifici dell'intelligenza umana. Adunque i progressi della strategia son pruova in questa epoca di una civiltá progrediente. Or non vi ha dubbio che le guerre di Luigi decimoquarto non sieno state precedute da ciò che dicesi «piano di campagna», giacché stabilivasi in esse una serie di operazioni ipotetiche fondate su dati conosciuti e si cercava di prevederne gli effetti. Anche l'invasione dell'Olanda nel 1672 fu eseguita strategicamente, come lo addimostra la controversia tra il ministro ed i generali sulle operazioni da farsi, poiché l'opinar di un politico in materia guerresca fa chiaro esser la guerra una scienza che si appara per teorica, indipendentemente dalla sua pratica[14]. Dimostrata l'esistenza della strategia, faremo osservare come nel primo periodo venendo rese facili le marcie e le mosse dal piccol numero d'uomini di cui componevansi gli eserciti, il genio strategico ebbe maggior campo di svilupparsi. L'esempio piú compiuto di quanto asserimmo sono le quattro campagne di Turenna dal 1672 al 1675, epoca della sua morte, nelle di cui operazioni si contengono esempi piú da seguirsi che da evitarsi, siccome nel comentario che ne fece vien dimostrando il prigioniero di Sant'Elena, anche dopo che egli e Federico aveano di tanto immegliata la strategia. Difatto la condotta del Turenna in queste quattro campagne[15] mostra come la guerra si fosse ingrandita nella sua azione e fosse divenuta scientifica ne' suoi metodi. Doveva egli operare lungo il corso del Reno per coprire la conquista e la possessione dell'Olanda, a quel modo che un esercito di osservazione opera per coprire l'assedio di una piazza isolata, appunto come Buonaparte faceva per Mantova nel 1796. Cosí le ultime operazioni presso Strasbourg sullo Schutter, guerra tutta di movimenti che tendeva a tagliare le comunicazioni all'avversario prima di combatterlo per costringerlo poi a combattere onde aprirsi una strada, sono l'ultimo grado di perfezione in istrategia[16]. Ma nel secondo periodo al contrario, malgrado i progressi scientifici fatti, la fortificazione elevata a scienza esatta, gli elementi dell'arte ed i metodi insegnati, l'armi da fuoco preponderanti, e quindi l'importanza dell'artiglieria e l'ordine della fanteria determinati, pur nondimeno la strategia non s'innalzò ad alti concepimenti per l'accrescimento delle masse, che togliendo loro ogni mobilitá, inviluppò per cosí dire il genio nella difficoltá di muovere e di nutrire eserciti cosí numerosi. Perciò la guerra di posizione e di assedio prese il luogo della guerra di movimento e d'impulso che nel primo periodo prevaleva. Con ciò non intendiamo dire che Eugenio, Marlborough, Villars, Berwick, Catinat non abbiano ordinate dotte marcie ed operazioni strategiche di alto merito; sí bene vogliamo che si argomenti da quello che fecero, ciò che uomini cosí eccelsi avrebbero fatto con metodi migliori e piú acconci a risolvere il gran problema della riunione di soliditá e mobilitá negli eserciti. Non pertanto in questo periodo sono da notarsi la marcia di Villars per raggiungere l'elettore di Baviera sul Danubio[17], quella di Marlborough per raggiungere Eugenio sullo stesso fiume, quella di Eugenio per liberare Torino, che regge al paragone delle fazioni che precedettero la battaglia di Marengo, le marcie in Ispagna di Vandôme e di Berwick terminate colle battaglie di Almanza e di Villaviciosa, quelle di Staremberg sopra Saragozza, ed infine le campagne del Sobieski colla sua marcia sopra Vienna; le quali operazioni tutte son pruova del vero stato della strategia, come lo sono sotto altro rapporto le campagne in difensiva del Crequi sulla Sarra e la Mosella, quella del Villars nello stesso teatro e l'attiva e sapiente difesa di Berwick nelle Alpi dal 1709 al 1712, nelle quali non le posizioni passive ma i movimenti costituivano il carattere ed il merito della strategia. Però in questo secondo periodo era accidentale ciò che nel primo era costante, e sotto questo aspetto dicemmo che la strategia decadeva dopo Turenna: testimonio le campagne di Fiandra in cui poche leghe tennero occupati per dieci anni eserciti grandi condotti da grandi capitani, non meno che le guerre di Turchia che mostrarono a Zenta e a Belgrado il genio del grande Eugenio e la superioritá dell'Europa sull'Asia.
La fortificazione fu perfezionata da Vauban il quale riassunse, accrebbe ed applicò tutto quello che si era escogitato dalla scuola degl'ingegneri italiani fra' quali fu il Marchi, cosí che oggi le sue dottrine vengono citate ma non contraddette, riducendosi tutto quello che si agita da' suoi successori a cercar di rendere la difesa superiore all'attacco, unico problema che abbia il Vauban lasciato a risolvere alle future generazioni. Imperocché egli fissando le parallele ed i fuochi d'infilata, diede una decisa superioritá all'attacco sulla difesa, talché piú non si son veduti come prima gli assedi durare anni ed anni[18]. Questo grand'uomo cercò di difendere la patria non con un sistema isolato, ma con un sistema generale di difesa, fondato sulla geografica configurazione, sulle fortificazioni e sulle operazioni degli eserciti; e però nelle attuali quistioni sul fortificamento delle capitali la sua autoritá è invocata ancora con successo. La fortificazione di campagna progredí e piú avrebbe avanzato se non si fosse voluto operare troppo colle masse inerti e poco cogli uomini, i quali sono il primo elemento della guerra, che facendosi per essi, non può farsi altrimenti che con essi[19].
L'aspetto scientifico che presero le armi a quest'epoca in Francia e successivamente altrove si mostra nelle istituzioni per l'insegnamento della gioventú destinata a seguire questa carriera. I collegi militari sono il segnale chiarissimo che la guerra era divenuta una scienza, e come tale richiedeva l'aiuto delle altre scienze e progrediva a seconda de' loro progressi. La marina militare serviva da un altro lato col suo avanzare per pruova del progresso della societá, del commercio, dell'industria e del vincolo che unisce le forze conservatrici alle produttrici. L'amministrazione militare dovea ancor essa progredire in ragion composta dei progressi dello stato e dei bisogni dell'esercito. Da ciò ebbero origine codici militari, sistemi di somministrazione, contabilitá dei corpi, separazione degli amministratori dai combattenti, stabilimento di caserme e di ospedali, ecc. La sola creazione degli amministratori militari, dividendo il lavoro, ne addimostra il progresso, e Louvois è considerato come l'autore di questo ramo importante. Ma nel suo primo apparire questo sistema fu molto piú funesto agli eserciti di quello che fosse di sollievo ai popoli presso i quali si faceva la guerra, vero scopo di una buona amministrazione militare. I movimenti divennero piú tardi, la guerra piú costosa, le perdite piú affligenti; né la morale profittò, vedendosi ben sovente la fortuna sfacciatamente andar mostrando le sue turpitudini, non velata né meno dal valore addimostrato o dai disagi sofferti, poiché gli amministratori erano quelli che meno soffrendo piú di fortuna acquistavano. L'incendio del Palatinato e mille altre atrocitá che male accordavansi col progresso della civiltá, mostrano che quei metodi destinati a produrre all'umanitá una diminuzione di pene furono privi di effetto. Nella categoria delle operazioni amministrative possiamo comprendere la riunione delle carte, de' piani e delle memorie al deposito della guerra, che ebbe origine in quell'epoca, e lo stabilimento dell'ospedale degl'invalidi. Queste due istituzioni, malgrado la loro differenza, sono una nuova conferma dell'essere la guerra scienza ed arte: scienza perché bisognava conservare le idee e le tradizioni, arte perché gli uomini che vi si dedicavano il facevano a vita e non a tempo. Queste istituzioni adottate successivamente nell'occidente, ora passano nell'oriente. Le quali cose tutte confermano sempre piú ciò che innanzi dicemmo, cioè che l'èra moderna vien fissata in quest'epoca.
Questa nostra asserzione è dimostrata non solo dall'unitá di quei princípi che furon seguiti da tutti i gran capitani del tempo, come abbiam fatto conoscere sviluppando le loro pratiche nella tattica, nella strategia e nella guerra di assedio, ma eziandio dagli scrittori militari che li riassumono. Sí che da quest'epoca può datarsi il principio della letteratura militare e la sua influenza sui progressi della scienza, i quali vedremo sempre piú aumentarsi nei seguenti periodi. Il che pruova a nostro credere l'avanzamento della societá, consistendo il suo principale carattere nell'influenza, ignota alle societá poco incivilite, ch'esercita l'intelligenza sulle pratiche.
Esaminando nel precedente discorso le Memorie del Montecuccoli, vedemmo comprendersi in esse non solo quanto si praticava nella guerra a' tempi suoi, ma ancora esservi il germe dell'avvenire progressivo dell'arte, fondato sugli elementi che nell'èra moderna la costituivano. Questa importante pubblicazione, come anteriore alle ultime campagne di lui, apparteneva per l'ordine del tempo piú che per quello delle idee all'epoca di cui ora trattiamo. In questa la letteratura militare ebbe i suoi principali rappresentanti in Francia, poiché furono le opere de' francesi riconosciute come le migliori da tutti i colti militari dell'Europa. Feuquières, Puysegur, Folard per la guerra di campagna e Vauban per quella di assedio sono gli autori che riuniscono le conoscenze scientifiche militari del tempo, e la loro autoritá pruova il nostro asserto dell'unitá della scienza militare presso le nazioni incivilite dell'epoca. Feuquières, aristarco severo, ricava i princípi regolatori della scienza dall'esame delle guerre contemporanee di cui era stato testimonio ed attore: tutte le operazioni sono da lui giudicate, classificate e comparate coi princípi da lui adottati, con somma sagacia mista a eccessiva severitá. Si vede dalle sue opere essergli state le grandi operazioni strategiche della guerra piú familiari che la tattica: in effetto i suoi giudizi sopra le operazioni si aggirano piú sull'influenza del terreno nella disposizione dei corpi che sull'ordine di questi e sui loro movimenti tattici; per il che le sue preziose Memorie possono ancora essere consultate con profitto per riguardo alla strategia ma non per riguardo alla tattica. Feuquières ha fatto nel suo tempo ciò che Lloyd ha fatto pel secolo decimottavo e Jomini pel nostro, e la comparazione analitica delle opere di questi tre scrittori può a parer nostro servir di norma ad un osservatore adeguato per riconoscere lo stato della scienza dal decimosettimo al decimonono secolo e per seguirne l'andamento progressivo. Puysegur seguendo un metodo diverso, comprende nelle sue investigazioni l'arte dai suoi elementi fino alle sue combinazioni piú trascendenti, ma facilmente si desume dalla sua esposizione della tattica elementare come egli ne vedesse tutti i difetti e conoscesse quanto la imperfezione de' metodi per muovere le truppe nocesse alla condotta della guerra ed al risultamento delle operazioni di essa: non pertanto egli nulla propone né per migliorare le masse né per facilitare gli spiegamenti né per accrescere la rapiditá delle evoluzioni della cavalleria nelle grandi operazioni. Ciò non ostante, il suo studio esatto delle campagne de' gran capitani, unito alla sua lunga esperienza di guerra, fa sí che vi sia molto da imparare nella sua opera: è la guerra da lui supposta tra la Senna e la Loira nei circondari di Parigi. Per la qual cosa è d'uopo conchiudere essere anche questo autore piú avanzato in istrategia che in tattica. Di un carattere diverso sono improntati gli scritti del Folard. Questo autore sentí tutto ciò che mancava alla tattica per facilitare le grandi operazioni militari, e fu suo scopo il riempire questo vuoto. Conobbe con sagacitá consistere il difetto nella mancanza di soliditá e di mobilitá; ma preoccupato dallo studio dell'antica milizia, che solo offrivagli esempi di battaglie tattiche vinte in grazia della bontá degli ordini e delle evoluzioni, immaginò la sua colonna retrocedendo fino all'ordine dei greci, nel mentre che faceva di mestieri sviluppare la tattica moderna avendo riguardo alla natura delle armi da fuoco, su di che l'antichitá non poteva offrire nessun metodo da imitarsi con profitto, se non fosse la larga applicazione della legione agli eserciti moderni, modificata dalle nuove armi in uso. Il buon esito della battaglia di Spira in cui le colonne non si spiegarono e vinsero, preoccupò Folard; ma ciò che vi era di vero nel suo sistema doveva attendere l'epoca nostra per essere fissato con buon successo, come vedremo nel proseguimento di questo lavoro. Folard ebbe il merito di suscitare una gran quistione nell'arte, di richiamare l'attenzione de' militari scienziati sull'importanza della tattica e di eccitare il gusto dell'erudizione militare collo studio delle guerre dell'antichitá, di cui però abusò senza risolvere la quistione che avea suscitata. Vauban risolvette in pratica ed espose in teorica, come giá accennammo, il problema di rendere l'attacco superiore alla difesa, e rendette la guerra d'assedio una scienza quasi esatta, risparmiando col calcolo e col lavoro il sangue umano. Stabilí eziandio il rapporto tra le fortificazioni, lo Stato e le forze mobili, e posò il sistema generale di difesa su basi solide, scientifiche e preparate di lunga mano colle strade, coi canali e con tutti gli elementi di civiltá necessari ad uno Stato incivilito; elementi di cui la guerra siegue ed esprime le condizioni tutte. Tentò in séguito di contraccavare per cosí dire l'opera sua, cercando di dar forza alla difesa, ed è molto importante la sua opera su questo riguardo posto a luce in questi anni dal general Valèze: il problema però, come notammo di sopra, non fu risoluto. Questo grand'uomo è restato in fortificazione ciò che Smith è in economia politica. Ambidue ampliati, modificati, ma sempre capiscuola, non essendo stati mai combattuti i principi piú generali da essi fermati.
Da questo quadro rapido dei militari scrittori adottati dal Tago alla Meva e dal Texel al Faro vien dimostrata l'unitá scientifica dell'arte, la quale suppone quella dello scibile e dello stato sociale, che ora dimostreremo.
Non può cader dubbio alcuno sul progresso delle scienze esatte in quest'epoca. Se gittiamo uno sguardo sui coltivatori delle matematiche in Italia e sulle scoperte di Pascal in Francia, l'asserzione è giá dimostrata; ma lo è piú compiutamente dall'applicazione delle matematiche alla fisica, che diede in quel tempo autori distinti, i quali hanno lasciato un nobile retaggio nelle scoperte successive di alta utilitá che dalle loro elucubrazioni risultarono. Basterá per non dilungarci di troppo, citare il barometro di Torricelli e tutte quelle parziali scoperte fatte da Gurke e De Sangulier che furono riunite e sviluppate dal gran Newton. Le veritá poste in luce da questo genio non possono essere il risultamento degli studi di un uomo solo, se questi non sieno agevolati dallo stato delle scienze: Omero è possibile fino ad un certo punto in una societá barbara, ma non Newton. Malgrado questi indicati ed incontrastabili progressi, la chimica conservava nelle sue investigazioni il carattere di una scienza piú occulta che filosofica. La medicina avanzavasi mercé le cure di Stahl, di Gioacchino Bucher, di Hams, di Sydenham, di Clisson. Le scienze naturali profittavano e si risentivano di questi progressi, siccome addimostrano i lavori di Merian, di Blois e di Severino in istoria naturale, e quelli di Rey, di Turnefort, di Grève e di Malpichi in botanica, i quali eran però lontani da quella perfezione che Linneo, Buffon, Volta e Cuvier dieder loro riassumendoli. Le scuole teologiche ed i giureconsulti francesi sono celebri ed hanno de' corrispondenti nelle altre nazioni. I nomi di Bossuet, di Fénélon e di Massillon hanno nel Baronio e nel Pallavicini emuli illustri. In giurisprudenza Domat, D'Aguessau, Gravina e Giannone caratterizzano lo stato della scienza nell'epoca. La filosofia era rappresentata in Francia dal sensualista Gassendi e dallo spiritualista Mallebranche, ambidue discendenti da Cartesio come le scuole greche da Socrate: Portoreale ricco di moralisti aveva in Nicolle, Pascal e Arnault i suoi alti rappresentanti. L'Inghilterra aveva lo spiritualismo in Cudworth, il materialismo in Hobbes e possedeva in Loke il filosofo ed il pubblicista che moderava le opinioni estreme colla sua sana e fredda ragione. Bayle e Spinosa rappresentavano lo scetticismo ed il panteismo, e Campanella dava all'Italia la espressione dello stato delle filosofiche dottrine in quelle contrade. La Germania possedeva in Leibniz un genio che riassumeva tutto lo scibile e che si avvicinava per le sue vaste cognizioni al merito di Aristotile, cioè quello di presentire e contenere in sé l'enciclopedia delle umane conoscenze. La strada aperta da Grozio aveva trovato seguaci distinti in Wolfio e in Puffendorfio, che davano al dritto pubblico l'uno delle vaste fondamenta nel sistema filosofico e l'altro il metodo e l'appoggio delle cognizioni storiche. Si deduce da questo rapidissimo sguardo gittato sullo scibile e sui cultori di esso che lo stato di tutte le arti cosí liberali come meccaniche doveva armonizzare collo stato delle scienze e col progresso dello stato sociale, il quale era pur esso in armonia con quello delle scienze, e quindi dovere le arti soddisfare ai bisogni cosí di pace che di guerra da quegli stati prodotti. Perciò l'architettura, l'idraulica e le arti manuali erano in quel movimento ascendente che lascia tracce tali da ferire l'intelletto meno disposto ad osservare.
Indicando sul principio di questo discorso lo stato dell'Europa a parte a parte ed il marchio che lo caratterizza, abbiamo giá fatto presentire quale fosse lo stato sociale dell'epoca ch'esaminiamo. Inoltre ne risulta una piú compiuta cognizione dallo stato dello scibile qui sopra indicato. Pur nondimeno riassumeremo e svilupperemo queste idee per rispondere alla quarta delle quistioni che ci siamo proposte.
Non può essere contrastato che l'elemento monarchico riassumeva e dirigeva la societá in quell'epoca, che questo carattere era visibile e spinto ai suoi ultimi confini in Francia e che l'Europa intiera, meno che l'Inghilterra dopo il 1688, l'Olanda e la Svizzera[20], seguiva questa generale tendenza, stimandola una necessaria dittatura per dar pace o almeno ordine al mondo europeo, stanco dalle lotte del genio feudale e delle dispute religiose. Quindi la potenza regia si presentava come suprema moderatrice, circondata di tutti i prestigi della sua organizzazione e avvalorata dai pubblici bisogni ch'essa sola potea soddisfare. In effetto l'aristocrazia feudale da impetuosa opposizione si trasformò in gentil cortigiana e non cercava piú il suo splendore nell'abbassamento del trono, ma bensí nel riflesso della grandezza di questo. Il clero stesso, malgrado ciò che vi era di sacro nel suo ministero, di forte nella sua organizzazione e di vivace ne' suoi antecedenti, seguí l'esempio della nobiltá e al dire di un severo ma eloquente censore, Lamennais, abbandonò tutta la sua indipendenza e divenne un ornamento ed un appoggio del trono. Le comuni sparirono, perché non avendo piú un nemico a combattere nella sommessa nobiltá feudale ed essendo la loro locale indipendenza priva di un centro comune, non erano piú in armonia con un sistema ove le finanze, l'esercito, la magistratura e l'amministrazione, organizzate in una vasta scala ricca di forza e di unitá, venivano a riunirsi al trono come a centro comune. Ma se le comuni erano annullate, e 'l doveano essere per le ragioni esposte, la classe ch'esse rappresentavano, cioè il terzo stato, cresceva d'importanza per la sua ricchezza e per la sua intelligenza e per tutte le carriere d'industria, di finanze, di giurisprudenza e di amministrazione, che la nobiltá per una disdegnosa leggerezza le lasciò esclusivamente. Le ultime classi della societá godevano lentamente del progresso sociale ed avevano il vantaggio di far parte del tutto e di essere sovente protette dalle leggi generali contro la prepotenza e le vessazioni dei potenti locali; il che unito alla possibilitá di migliorar la propria condizione con economia ed industria, rendeva vantaggioso, solido e progressivo il passaggio della societá dallo stato del medio evo a quello dell'epoca moderna. E questo era lo stato non solo della Francia ma dell'Europa intera, in proporzione della maggiore o minor distanza dal modello ideale che le corti ed i popoli trovavano nella Francia di Luigi decimoquarto. Difatto la docilitá dei parlamenti di Francia trovava imitazione nel consiglio di Castiglia, ed in ultimo l'imitavano sebbene meno compiutamente le diete ungheresi, polacche e germaniche. I grandi ed il clero da per tutto si raggruppavano intorno al trono, e le classi medie perdevano ogni rappresentanza, ma guadagnavano in una reale importanza ciò che toglievasi loro in apparenza. Le arti e le scienze stesse nei loro progressi non adoperavansi alla ricerca del bello e del vero se non che con uno scopo puramente artistico o scientifico e non d'applicazione sociale; ed i sapienti piú distinti avevano un contegno modesto fino all'umiltá co' grandi e coi potenti che consideravano quali esseri di un'altra natura. L'urbanitá rendeva però le distanze meno sensibili e le classificazioni meno umilianti.
La politica esterna doveva esprimere compiutamente questo interno della societá. Noi vedemmo altrove come a misura che il governo si centralizzava le nazioni acquistavano un carattere d'individualitá e di unitá, e le umane passioni dovevano lottare su di un piú vasto campo e per piú alti interessi, in quella proporzione che passa tra la contesa dei due possessori vicini e quella di due nazioni. In effetto sembraci poter segnalare l'invasione di Carlo ottavo come simbolo di questo nuovo stato sociale e tutte le guerre di Carlo quinto e Francesco primo come lo sviluppamento di esso. Queste guerre di territorio e di dritti di famiglia furono complicate colle religiose prodotte dalla riforma, cedendo in séguito il posto le quistioni territoriali a quelle di religione che agitavano piú vivamente le masse di quello che il facessero le prime. Il trattato di Westfalia mise termine a questa lotta, ed il suo scopo fu quello di terminare la quistione religiosa con una tolleranza legale e di far entrare nell'associazione europea i protestanti e gli Stati che si erano emancipati dai loro antichi sovrani, quali la Svizzera e l'Olanda, formandone elementi atti a sostenere l'equilibrio minacciato dalla preponderanza di qualche gran potenza. Le guerre che seguirono il trattato di Westfalia furono tutte fatte per questo ultimo scopo, e quando Luigi decimo quarto fu accusato di voler rinnovare il dominio di Carlo quinto, si vide gli Stati republicani riunirsi in lega coi loro antichi sovrani ed i protestanti coi cattolici per contenere nei suoi limiti la preponderanza di un ambizioso monarca. Il trattato di Utrecht che chiude quest'epoca memoranda risolvette il problema, mentre da esso l'equilibrio non fu alterato; e se la Francia s'ingrandí con territori che erano nei suoi limiti naturali, ciò fu piú per aggiungere un nuovo elemento all'equilibrio che per turbamento di esso[21]; poiché separando la dinastia spagnuola da quella d'Austria e di Francia, togliendo tutte le possessioni eccentriche, quel trattato immergeva di nuovo la Francia nelle contese contro la potenza inglese, e questo era il suo posto nell'equilibrio europeo. Tutte le altre potenze erano limitate in modo che lo stato dell'occidente non pareva turbato dall'ultimo trattato. Ma nel settentrione e nell'oriente non si pareva giá lo stesso ad occhi chiaroveggenti. La Svezia soccombeva alla sublimitá dei suoi sforzi e rientrava nella limitata azione che corrispondeva ai suoi mezzi naturali. La Polonia si trovava pei vizi del suo reggimento dominata dagli stranieri, i quali eleggendone i sovrani avean fatto il primo passo per divenirne tali. La Turchia perdeva tutto ciò che la Russia acquistava, e le circostanze della pace del Pruth velavano all'orgoglio ottomano l'importanza del nuovo e terribile suo nemico che dal Baltico al mar d'Azof dominava direttamente. L'elevazione della Russia, quella della Prussia che scindeva ed indeboliva di molto l'impero germanico, preparavano col progresso dell'Inghilterra e coll'importanza del commercio e del sistema coloniale una nuova èra ed un nuovo punto di vista per la politica europea, che doveva modificare potentemente ciò che si era stabilito in Westfalia e confermato ad Utrecht. E ciò per quella veritá dimostrata in meccanica del pari che in chimica, che quando nuovi corpi o nuovi elementi entrano in una organizzazione qualunque, ne rompono l'antico equilibrio e ne preparano uno nuovo.
Dopo questo cenno sullo stato sociale e sui risultamenti politici di esso resta a determinare come tutto ciò possa dedursi dallo stato delle scienze belliche.
Se si getta uno sguardo sui regolamenti militari di Luigi decimoquarto vedrassi una forza maggiore di quattrocentomila uomini in una popolazione di venti milioni d'abitanti; vedrassi ordini militari per ricompensare, codici speciali per punire, abito particolare per distinzione, gerarchia nel comandare, regolamenti di amministrazione, caserme per abitare, ospedali per gli ammalati, medici e cappellani addetti alla milizia, istituti di educazione scientifica militare pei giovani, asilo pei vecchi[22], biblioteche, macchine, carte, arsenali, artefici, cittá addette ad uso esclusivamente militare quali sono le fortezze, istorie e tradizioni delle geste degli antenati, trofei conservati, eccetera. Lo spettacolo di tutto ciò altro non può dinotare se non che esser quello di una societá particolare nello Stato, la quale in sé il comprende e riassume, giacché tutte le classificazioni sociali vi sono rappresentate. E poiché questa societá ha nel suo seno leggi, arti, religione, scienze, ricompense, tradizioni, istoria, lo Stato che la comprende dovrá averne ancora in piú alto grado; e poiché si comprendono teologi, medici, scienziati nell'esercito, dovrá ancora esservene in gran numero nello Stato; se questa massa organizzata ubbidisce ad una volontá, lo stesso dovrá avvenire nello Stato, insieme ad una gerarchia di cui qui si vede l'imagine. Ciò suppone uno Stato incivilito, classificato, tranquillo nel suo interno, dominato da un potere unico, che si crea delle regole sotto il nome di leggi le quali rispetta pel suo interesse e per l'interesse generale, che dev'esser ricco per mantenere un corpo cosí potente, e forte per dominarlo senza esserne dominato, ed in ultimo che vi debbono essere altri Stati che abbiano la stessa organizzazione, altrimenti non si comprenderebbe lo scopo e l'uso di un sí fatto corpo. Da molti segni si rileva che cosí è, che gli altri Stati hanno la stessa organizzazione, si servono dello stesso insegnamento e si governano dalle stesse autoritá, mentre nelle biblioteche si vedono autori di altre nazioni militari i quali sono studiati, seguíti e commentati da quelli di questo Stato. Dunque allora si concepisce che l'Europa è una repubblica sotto molti aspetti, che ha la stessa religione, le stesse leggi, le stesse arti e scienze, lo stesso governo rappresentato dai sovrani, che le nazioni si combattono tra esse per mezzo di eserciti, indi trattano, si collegano per opporsi al forte; dal che derivano trattati, diplomazie, leggi comuni, magistrati tra nazioni e nazioni. Comparato questo quadro con le storiche tradizioni dell'Oriente, di Roma, della Grecia, del medio evo, delle epoche anteriori di poco a questa, si deve conchiudere che rimontando dall'esercito allo Stato e dallo Stato all'Europa, questa parte in questa epoca ha delle condizioni e de' caratteri che differiscono anziché lor somigliare da tutti quelli che la tradizione ci lascia conoscere, e che per tutto ciò ha dritto ad una denominazione indicata dal tempo, cioè «èra moderna», e dedotta da uno de' suoi elementi, tal quale è lo stato dell'arte militare in essa.
Noi crediamo aver risposto alle quistioni che ci siam fatte avendo indicato lo stato dell'Europa, quello degli elementi e delle parti dell'arte della guerra, dedotto dall'analisi delle cose, dalle azioni de' gran capitani e dalle scritture degli autori militari dell'epoca presa ad esaminare; avendo discorso lo stato dello scibile non meno che lo stato sociale in Europa co' suoi caratteri e gli effetti politici delle guerre; ed infine avendo dimostrato come dallo stato dell'arte militare si deduca il carattere di quest'epoca. Ché se alcuno vorrá incolparne di esserci dilungati di troppo, allettati da quella voluttá intellettuale che deriva dal ritrovamento di nuovi rapporti in una scienza ch'è la compagna della nostra vita, risponderemo col traduttore di Vico: — «La sola guerra ha discoperto il mondo negli antichi tempi; ma perché una strada presa sia durevole, è d'uopo ch'essa adempia a bisogni meno passeggieri di quelli della guerra. Alessandro facendo aperte la Persia e l'India al commercio della Grecia, ha fondato piú cittá che non ne ha distrutte. I greci ed i fenici hanno scoperta la costa del Mediterraneo, che dipoi inclusa da' romani come un cammino militare di piú nel loro impero, è divenuta la gran via della cristiana civilizzazione. Cosí le strade mostrate dai guerrieri, seguíte dai mercatanti, agevolano man mano la comunicazione delle idee, favoriscono la simpatia de' popoli e gli aiutano a riconoscere la scambievole fratellanza del genere umano»[23].
DISCORSO VII
Dello stato della scienza militare e delle sue relazioni colle altre scienze e le arti e con lo stato sociale dal trattato di Passarowitz del 1718 alla rivoluzione francese del 1789.
Il principio conservatore delle societá risiede nel loro movimento progressivo. L'esame della nostra esistenza individuale e l'esame di quello delle societá in generale dimostrano compiutamente l'asserto. In effetto come si conserva la vita dell'individuo? Mercé di una serie di trasformazioni costanti, lente, insensibili, che segnano i periodi tutti che percorriamo dalla infanzia all'etá decrepita fino alla nostra distruzione, la quale teologicamente e filosoficamente può considerarsi come una piú alta e compiuta trasformazione. Le societá politiche sono soggette alle stesse leggi che gl'individui, e lo studio della storia fatto da un alto punto di vista n'è la pruova costante. Ecco perché la lettura di Bossuet, di Vico, di Herder e di Muller innalza la mente ed insieme è di conforto, perché fa rientrare nel corso degli avvenimenti ordinari benché strepitosi ciò che l'ignoranza presentava come scandali storici e morali. No, non vi sono scandali nell'ordine generale; la provvidenza regge il mondo con giuste leggi, ed una di queste si è che per progredire bisogna trasformarsi, senza di che vi è per cosí dire ristagno e languore. Ma al nostro ragionamento è necessario premettere un rapido quadro dell'Europa qual era nell'epoca di cui siamo per trattare, mentre riveste il carattere che sopra enunciammo.
La monarchia spagnuola riprese sotto i Borboni, e particolarmente sotto Carlo terzo, se non un'alta importanza almeno della dignitá nelle sue relazioni; e i miglioramenti amministrativi che si preparavano dal sovrano, secondato da uomini distinti, tendevano a dar valore al suolo spagnuolo ed a quello delle colonie e a sviluppar l'attitudine di quel popolo sí riccamente dotato dalla natura.
La monarchia francese dopo la fine del gran secolo presentò un'anomalia che non manca mai di precorrere ad alti e spesso terribili avvenimenti. Vogliam dire che l'intelligenza era in progresso mentre la moralitá andava scemando; la ragion pubblica riceve a maggiore sviluppo del potere e le classi medie e le infime erano piú morali, econome ed industriose delle alte. Questa disposizione unita all'incertezza dei limiti fra i poteri rendeva malferma l'amministrazione interna e molle la politica esterna, segnatamente dopo il trattato di Aquisgrana.
L'Inghilterra al contrario consolidava il suo sistema; la casa di Annover aveva ripreso lena piú forte dopo l'ultimo sforzo degli Stuardi. Uomini di Stato come Chatam dirigevano la sua politica sovente egoistica ma però altamente nazionale; le sue armi brillavano nelle guerre continentali; il suo commercio, la sua industria e le sue colonie in molte parti del mondo le davano gran peso negl'interessi europei; aveva su tutte le potenze tre vantaggi decisivi: il suo credito, la sua inaccessibilitá e lo spirito pubblico il quale nascea dalle leggi che la reggevano. Non avendo nulla ad acquistare sul continente, era potenza rivale di chiunque volea dominare, e sotto questo rapporto la sua azione era utile mentre parea generosa.
L'impero germanico rappresentava il medio evo nelle sue forme, ma nel fondo subiva tutte le modificazioni che il tempo e gli avvenimenti avevan prodotto: quelle sue forme erano d'ostacolo agli affari ed il suo spirito una menzogna che ogni fatto rendeva piú chiara; e dopo la scissione profonda che la riforma aveva lasciato in quel corpo, l'elevazione della monarchia prussiana venne a provare con terribili guerre la vanitá delle leggi da Ratisbona emanate. La monarchia sopraccennata era il prodigioso risultamento di una serie di uomini che chiamati a reggerla, aveano sortito quasiché tutti quelle qualitá ch'erano piú in armonia coi bisogni dell'epoca in cui regnarono. Stato divenuto importante a forza d'industria, d'intelligenza, di coraggio e di scienza militare e che può essere considerato fra le monarchie per quello che le cittá anseatiche, Venezia e Genova erano nel medio evo, cioè potenze piú forti e influenti di quello che la loro estension materiale avrebbe dovuto permettere e supplenti con le forze morali e intellettuali a ciò che loro mancava nel valor della massa.
La casa d'Austria considerata sotto l'aspetto di capo dell'impero, benché assicurata la dignitá imperiale nella sua famiglia, dopo la guerra di successione vedeva la vanitá di una tal dignitá nel dover cedere una bella provincia ad uno de' suoi vassalli. Come potenza ereditaria perdeva terreno ed opinione dalle rive del Garigliano a quelle della Sava; ma in séguito, nella crisi che subí alla morte di Carlo sesto, il nobile carattere di Maria Teresa ed il cavalleresco patriottismo degli ungheri ristabilirono se non nelle possessioni almeno nell'opinione questa importante monarchia, e la casa di Lorena ebbe principi distinti, e la monarchia austriaca nel periodo del quale trattiamo, malgrado molte sventure si trovò alla fine del secolo abbastanza forte per sostenere la terribile lotta che l'ha segnalata; il che dimostra che aveva fatto progressi nelle arti della pace del pari che in quelle della guerra.
L'Olanda ricca di capitali perdeva la sua importanza per la rivalitá inglese nel commercio e nelle colonie e per l'elevazione delle potenze continentali, segnatamente della Prussia.
La Svizzera aspirava alla pace e ne godeva; ma si alteravano gli elementi del suo stato sociale, secondo il detto del suo eloquente storico: dava soldati, ma non ne aveva. I suoi soldati combattevano per chiunque li pagava, ella per nessuno. Per questa via si può conservare lo spirito militare, ma si perde l'influenza politica; il che appunto accadde alla Svizzera.
L'Italia respirava nel secolo di cui parliamo. Quasiché tutti i suoi governi erano nazionali: ristabilito il trono delle Due Sicilie; ingrandita la casa di Savoia; gli Stati di Parma, di Modena, di Toscana governati da principi italiani; Genova, Lucca e Venezia rette a repubblica. Il solo Stato di Milano non aveva un governo italiano, ma l'amministrazione del Firmiani compensò in qualche modo i mali della condizione per cosí dir coloniale di quel principato nel quale si aprivan la strada tutti i progressi amministrativi. Quarantotto anni di pace procacciarono all'Italia ricchezze materiali e intellettuali, ma la tempra degli uomini si ammolliva, perché concitati non erano né da grandi timori o speranze né da vive passioni.
L'impero ottomano che avea combattuto e combatteva con sorte varia la potenza austriaca, vedeva e sentiva i colpi che questa andavagli arrecando e preparava una nuova e terribile potenza, vogliam dire la Russia, la quale tendea verso l'oriente a causa della sua posizione e meno guardava o influiva sull'occidente. Questa societá musulmana in Europa rimanea separata dal popolo greco che avea conquistato ed estranea alla civiltá europea; mentre andava perdendo il suo fanatismo, conservava però l'antica barbarie; circostanze tutte che non inducevano dubbio sulla sua decadenza nei meno sagaci osservatori. La nullitá, la mollezza e la crudeltá de' suoi sovrani erano al tempo stesso causa ed effetto della societá musulmana.
La Polonia, come l'impero germanico e l'ottomano, offeriva una pruova novella del non essere permesso all'umanitá anche nel suo eroismo di ostare alle leggi della natura. Malgrado il valore e l'intelligenza di una illustre nobiltá, il solo attaccamento cieco a' metodi governativi esauriti nei loro risultamenti fece sí che questa potente monarchia ricevesse la legge in tutta questa epoca e finisse per essere conquistata senza aver fatto la guerra. E ciò preludeva alla sua distruzione.
L'impero russo segnalava la sua esistenza con passi giganteschi, ed il piano di Pietro era continuato da quattro donne rivestite della sovranitá, le quali quantunque fornite di qualitá differenti miravano allo scopo medesimo. L'imitazione che forse noceva allo sviluppo spontaneo ed originale della intelligenza nazionale accelerò nondimeno la importanza politica e militare di questo impero che progrediva, combatteva ed influiva al tempo stesso sull'Oder, sul Danubio e sul Fasi. Avea flotte nel mar Nero e nel Mediterraneo, dominava la Polonia, acquistava terreno in Finlandia, in Crimea e nelle provincie del Caucaso: l'esercito paziente, valoroso e pieno d'entusiasmo per chi reggeva l'impero, l'amor proprio nazionale vivissimo, la civiltá europea facentesi strada; tutto questo formava nuovi elementi che doveano modificare il sistema stabilito a Munster.
La Scandinavia rientrava nella posizione che la natura assegnavale dopo che grandi potenze eran sorte nella parte settentrionale d'Europa. La Svezia dominata e divisa dai partiti mostrò nella guerra de' sette anni quanto fosse diversa da ciò che era in quella de' trent'anni. Un principe distinto concentrando nelle sue mani il potere, volle e cominciò a rialzarla, ma gli mancò il tempo e forse ancor l'occasione.
La Danimarca retta con saggia politica interna ed esterna progrediva in ogni senso.
Il Portogallo divenuto per cosí dire colonia inglese in virtú del trattato di Mathuen ed afflitto da una orribile calamitá fisica, era in decadenza. Ebbe poi il torto di non saper comprendere e non voler tollerare un gran ministro che volea rialzarlo dall'umile stato in che era caduto.
A quanto abbiamo sinora detto sullo stato d'Europa vuolsi aggiungere che l'America colonizzata diveniva omai teatro di guerra, e la sua influenza era passiva. Ma la rivolta delle colonie inglesi avverò il vaticinio fatto sul sistema coloniale in quanto alla sua successiva caduta ed a' suoi effetti sull'equilibrio europeo.
Il carattere generale degli Stati di cui abbiamo discorso, che forma la nota caratteristica del periodo di cui è parola, può ridursi al seguente:
1. Concentrazione piú compiuta del potere monarchico, potere che distruggeva gli ostacoli a lui legati dal medio evo; il che conduceva all'unitá amministrativa.
2. In quanto alla politica esterna l'interesse commerciale ed il coloniale che si svolgevano sempre piú e si confondevano per la loro natura e pei loro effetti, sottentravano alle guerre di successione che nascevano dai dritti delle famiglie reali come risultamento naturale del volersi apparentare tra loro esclusivamente. Questo principio prevalse piú nel secondo periodo dell'epoca che nel primo, nel quale l'altro enunciato ebbe il dí sopra come dalla storia e dai trattati rilevasi.
3. L'influenza del sistema coloniale esercitava la sua azione sotto tanti aspetti diversi, in guisa da modificare non solo la direzione politica ed economica degli Stati, ma bensí da cangiar la morale, sostituendo la tolleranza religiosa che il commercio rendea necessaria e facile, al fanatismo che nel principio del secolo anteriore avea dominata ed insanguinata l'Europa.
4. La tendenza all'utile cosí nello scibile umano come nell'amministrazione. E ciò risultava dalla natura dell'umana intelligenza, che dopo aver impiegato le sue facoltá nella ricerca del vero, del bello e del buono, ha bisogno di recare ad atto le sue speculazioni per ritrarne una utilitá positiva.
Ora ci faremo a proporre alcune quistioni. Col rispondere ad esse adeguatamente otterremo la soluzione del problema che ci siamo proposto.
1. Quali uomini, quali armi, quali ordini fossero scelti e adoperati dalle varie potenze europee nei vari periodi dell'epoca di cui trattiamo.
2. Quali fossero i metodi tattici, strategici e di fortificazione dell'epoca. Quale il sistema amministrativo che prevalea negli eserciti.
3. Qual fosse il carattere che rivestiva la scienza della guerra secondo gli scrittori militari dell'epoca e se vi fosse unitá nelle vedute di questi scrittori; unitá tale da poterne dedurre quella delle istituzioni ed insieme dei metodi militari.
4. Qual fosse lo stato delle scienze esatte, naturali e morali, quale carattere rivestissero, qual fosse l'influenza che avevano sulle arti che ne dipendono e quale finalmente la lor relazione con lo stato delle scienze belliche.
5. Qual si fosse lo stato sociale nel suo insieme, quali i suoi politici risultamenti e però la sua influenza sui destini del mondo, e in che modo particolarmente si scorgesse reagire sulla scienza militare.
La scelta degli uomini destinati a comporre gli eserciti deriva, come ci lusinghiamo di aver provato nei nostri antecedenti discorsi, dallo stato sociale, il quale riposa sopra le condizioni che fissano lo stato delle persone e quello delle proprietá. Ora nel periodo del quale trattiamo nessuna radicale trasformazione ebbe luogo su questi due gravi oggetti, secondo che gli abbiam veduti essere stabiliti all'epoca trattata nel nostro sesto discorso. Deriva da questo come legittima conseguenza che la composizione di un esercito nel suo primo e principale elemento poteva ricevere perfezionamenti o modificazioni parziali, ma era lo stesso di quel che prima notammo, siccome corrispondente all'èra storica conosciuta sotto la denominazione di «moderna». In effetto in tutti gli Stati i comuni erano scelti nelle classi poco agiate della societá; senonché trovato insufficiente ed incerto il sistema di arrollamento volontario, si cercò di regolarizzare il servizio militare, il quale per cosí dire divenne una imposta sugli uomini. In Francia troviam le milizie, in Austria i contingenti somministrati dai proprietari di terre, il che era pure presso le nazioni slave. In Prussia questo sistema ricevette un piú regolare sviluppo e si vede il territorio diviso in circoli, i quali fornivano un contingente che dovevano tenere al completo e che era preso nelle ultime classi della societá. Il servizio era a vita negli Stati di razza teutonica o slava; nell'occidente dell'Europa il tempo del servizio cosí per la recluta che pel volontario era limitato ad un certo numero di anni che non passava mai gli otto. Gli uffiziali furono scelti secondo i metodi esposti nel nostro precedente discorso; senonché è da osservarsi che si cominciò ad aprire una carriera d'avanzamento ai sottouffiziali, ma parziale, eccezionale e non regolarmente stabilita, perocché fino in Prussia si sosteneva che un uffiziale dovesse essere gentiluomo. Ciò proveniva dalle classificazioni sociali esistenti nello Stato. Ciò nondimeno da un altro lato fu stabilito che anche gli uomini di nobil sangue dovessero cominciare dall'essere soldati; dal che nacquero i cadetti. Queste due innovazioni dovevano portare il loro frutto nelle epoche posteriori, il che vedremo dipoi, e mostravano giá che lo stato militare era per sua natura una carriera ove il merito reale dovea rimpiazzare i privilegi. Un'altra novitá piú feconda in conseguenze sociali e militari si fu che la difesa dello Stato dovesse riguardarsi come un dovere per tutti, dovere il quale si contraeva nascendo. Ma come è legge di natura che in ogni cosa si venga operando per gradi, cosí si vedeva al tempo stesso sussistere l'idea che l'esercito fosse una parte della societá destinata a difenderla tutta, e si vedevano le truppe straniere assoldate e i cosí detti «corpi franchi» levati per la guerra. E questi erano gli ultimi rappresentanti del sistema de' mercenari fissi e dei condottieri temporanei che in altri tempi era in vigore.
Le armi eran le stesse: il moschetto perfezionavasi, la bacchetta di ferro era generalmente adottata, come ancora la baionetta situata in modo da non impedire il fuoco. La sciabola divenne l'arma principale della cavalleria, la carabina e le pistole non servirono che a modo di ausilio; il che provava che si era conosciuta la vera natura della cavalleria. Le armi difensive scomparvero interamente meno che nei corazzieri, nei quali per altro non si aveva gran fiducia perché le corazze non erano a pruova della palla di fucile. La lancia scomparve fuorché tra i polacchi ed in qualche corpo formato a loro imitazione, ma piú per bizzarria che per solida opinione del vantaggio che ritrar si potesse dall'arma. L'artiglieria ricevette moltiplici perfezionamenti, e tutti tendevano a renderla mobile a segno da poter seguire le truppe costantemente ed in tutti i terreni. Tutto ciò ch'è conosciuto sotto il nome di «sistema di Gribauval» (che appena dopo la pace comincia ad essere modificato) avea questo scopo, e tutto il materiale di quest'arma è basato sino ai dí nostri sulle escogitazioni di quel dotto uffiziale. I pezzi di campagna, i pezzi di riserva, l'organizzazione de' parchi come arsenali mobili, la separazione compiuta dell'artiglieria di assedio da quella di campagna, la differenza nei carretti dei pezzi di ramparo e dell'armamento delle coste da quelli dell'artiglieria di campagna, la organizzazione dei pontonieri e i perfezionamenti e le classificazioni pei vari generi di ponti, sono tanti passi del pari che tante pruove del progresso cosí dell'artiglieria come di tutte le scienze ed arti necessarie per renderli possibili. I pezzi attaccati ai battaglioni comprovano lo scopo da noi indicato di non isolare mai l'infanteria da un sí potente ausilio; e l'artiglieria a cavallo in Prussia inventata, che aveva per iscopo di accrescere la mobilitá di quest'arma e di fornire la cavalleria del medesimo appoggio che aveva la infanteria, sono l'ultima energica espressione dell'importanza di quest'arme ausiliaria e delle modificazioni che tutto il sistema di guerra dovea subire.
Una volta stabilita e riconosciuta la superioritá esclusiva delle armi da trarre su quelle atte a ferir da vicino, è chiaro che gli ordini dovettero concorrere anch'essi ad un simile scopo; e però il fondo fu fissato a tre righe per l'infanteria nell'ordine di battaglia, a due nella cavalleria, e per eccezione a tre, massime in qualche Stato considerato come stazionario nella scienza della guerra[24]. Queste sono le basi del sistema in Europa e i militari regolamenti ne fan fede presso tutte le nazioni.
Nel nostro quinto discorso facemmo osservare che non risolvendosi la quistione delle armi, restava del vago negli ordini ed era conseguentemente impossibile ogni progresso nella tattica, la quale altro non è che un metodo per applicare e render flessibili gli ordini conservandoli intatti e per adattarli a tutte le circostanze che l'attitudine del nemico e gli accidenti del terreno producono. Ora una volta fissate le armi e gli ordini, la tattica doveva perfezionarsi per le ragioni opposte a quelle che avevano ritardato il suo progresso. Pure questi passi non furono fatti da tutti contemporaneamente, ma come accade in tutto ciò ch'è umano, chi era spinto da piú alte necessitá o piú da natura disposto ad operare un perfezionamento, l'operò e lo pose in luce, e gli altri furono imitatori, e come sempre avviene, con esagerazione piuttosto che con ragione. Tale fu la sorte della tattica cosí elementare come sublime che in Prussia ebbe la sua grande scuola e che da quello Stato si diramò in tutto l'occidente e oggidí passa in oriente, seguendo quei metodi di civiltá che ivi trapiantansi. E quanto asseriamo ha chiara pruova dalle preziose lettere del maresciallo di Sassonia al ministro della guerra di Francia, nelle quali l'illustre autore sostiene che l'infanteria francese non può combattere in pianura e che il solo genere di guerra che le riesca si è quello di forzare le posizioni. Questa severa sentenza sí gloriosamente smentita di poi, pruova che questa intelligente e bellicosa nazione era molto addietro in fatto di tattica. L'infelice guerra de' sette anni provò ciò che Maurizio diceva, e quei militari rovesci animarono l'intelligente patriottismo del Guibert a iniziare eloquentemente i suoi compatrioti nel segreto della tattica prussiana. L'ordinanza del 1791 ne fu la pratica applicazione.
I perfezionamenti operati in Prussia nella tattica possono ridursi ai seguenti:
1. L'esattezza nell'istruzione di dettaglio quanto al maneggio delle armi, ai fuochi, alla marcia, agli allineamenti.
2. Il modo di formarsi e spiegarsi rapidamente in colonna e di ripassare all'ordine di battaglia con movimenti pel fianco dei plotoni percorrendo la diagonale. Da ciò risultava il doppio vantaggio di operare per la linea piú corta e di conservare l'ordine serrato ad ogni evento; cosí risolvevasi l'eterno problema di tutte le evoluzioni, quello cioè di occupar poco spazio e guadagnar molto tempo. In questi due risultamenti sta il vero segreto della tattica.
3. L'applicazione degli stessi metodi a divisioni intere, operando marcie di fianco in colonne, talché con una semplice conversione si riprendesse l'ordine di battaglia. L'impiego degli scaloni per avere sforzi successivi sui punti di attacco, senza arrischiar confusioni in un rovescio. E le distanze fra gli scaloni a ciò contribuivano, mentre quelli non impegnati si conservavano intatti per rinnovare gli attacchi o per operare e coprire la ritirata. I cambiamenti di fronte, i passaggi di linea, le ritirate a scacchiere, i passaggi di stretti e i quadrati derivavano dagli stessi principi ed erano eseguiti con gli stessi metodi, e si riassumevano sempre nel passaggio dall'ordine di battaglia a quello di colonna e cosí viceversa. Eravi scienza adunque, poiché vi erano princípi costanti, unitá di scopo e semplicitá di metodi.
4. All'ordine di battaglia che non avea piú per base il sistema di mettere l'artiglieria, la cavalleria e l'infanteria in un ordine costante — mentre si era passato dall'intralciare le armi al separarle compiutamente — fu sostituito il principio fecondo del sostegno reciproco delle armi e della loro disposizione adattata alla natura del terreno. Per il che videsi con iscandalo dai tattici di corta vista la cavalleria occupare il centro di un ordine di battaglia mentre l'infanteria occupava le ali; l'artiglieria divenuta mobile cambiar posizione e seguire le truppe in tutte le loro evoluzioni; da ultimo, ciò che era ignoto nelle epoche antecedenti, prendersi l'ordine di battaglia in faccia al nemico spiegato e per la combinazione delle diverse colonne, o per una marcia di fianco coperta da truppe spiegate o dal terreno, adottarsi l'ordine obliquo[25] sí adoperato presso l'antichitá, per cosí sopraffare il nemico in un punto e sottrarre ai suoi attacchi la parte opposta a quella con la quale venivano fatti.
Queste sono a nostro credere le innovazioni fatte dal gran Federico nella tattica, cioè lo sviluppo compiuto che derivava dalla natura delle armi fissate e perfezionate con tutte le loro conseguenze sugli ordini e le evoluzioni.
Nella cavalleria il progresso fu vasto e compiuto dopo Molwitz, ove ella si mostrò sí inferiore da doverla mischiare con alcuni battaglioni; il che fu l'ultimo esempio del mescolamento delle due armi. Niuno ignora che il gran Seidlitz, morto in etá verde, aveva il doppio merito che non si è piú rinnovato in alcuno allo stesso grado, di essere un grande ispettore e un gran condottiere di cavalleria, siccome quello ch'era fornito di molto talento per organizzare l'arma e favorito veniva da felici ispirazioni sul campo di battaglia. La cavalleria prussiana adottando tutti i perfezionamenti tattici dell'infanteria con le sole modificazioni che la sua composta natura esigeva, divenne mobile oltremodo, manovrò al galoppo e contribuí nelle battaglie ad affrettarne l'esito operando in gran masse.
Tal è il breve sunto che possiam dare dello stato della tattica prussiana, la cui superioritá non era contrastata. Venne imitata ed anche talvolta puerilmente. Salder per l'infanteria e Seidlitz per la cavalleria sono i veri creatori della tattica moderna, e tutti i militari regolamenti sono ancora modellati nei loro princípi dirigenti su quello ch'essi prescrissero. La pruova della nostra asserzione si trova nel carattere delle battaglie dell'epoca. In effetto a Fontenoy, a Rocoux, a Lawfelt non vi è esempio di gran movimenti tattici, e la famosa colonna inglese di Fontenoy dimostra piú il freddo valore delle truppe che la perfezione delle combinazioni tattiche, mentre nessuno seppe tirar partito da quella combinazione fortuita, e dall'esercito francese fu opposta l'artiglieria a quelle masse, ma nessun movimento di truppe. Le battaglie di Parma, di Piacenza, di Camposanto sul Panaro hanno lo stesso carattere, cioè importanza di posizioni e pochi movimenti tattici. Non dee dirsi il medesimo delle battaglie di Praga, di Rosbac, di Zorndorf e neppure di quelle di Leuthen e Tourgau, in cui ebbero luogo bei movimenti e fecersi delle brillanti cariche. Alcune battaglie furono perdute dai prussiani a causa dell'arte adoperata dagli austriaci nel disporre la difensiva delle loro posizioni. Federico nelle sue lettere al general Fouquet espone con esattezza ed encomia moltissimo il sistema di difesa dagli austriaci adottato in quanto alle posizioni e l'artistica esposizione delle due linee delle riserve delle diverse armi combinata colla natura del terreno[26]. I russi combattendo con rara intrepiditá in vasti quadrati, come per esempio contro i turchi, supplivano ad un ordine sí falso contro truppe europee con la tenacitá, la quale unita al numero diede loro la vittoria a Jagerndorf Kay e a Kunersdorf, come gli austriaci l'avevano ottenuta a Kolin. Gli eserciti francesi furono inferiori alla loro meritata riputazione, e le sconfitte di Creivelt e Minden non sono bilanciate dai meschini successi di Bergen e Willinghausen che la vanitá nazionale esagerò e che avrebbe sdegnati in epoche piú gloriose.
La strategia che abbiam veduta dapprima istintiva, poi sottomessa ad un certo calcolo e divenuta intuitiva, acquistò in questo periodo il carattere dimostrativo; e ciò proveremo non solo mercé della indicazione rapida delle operazioni strategiche, ma coll'autoritá degli scrittori militari dell'epoca. Per ora ci restringeremo a mettere in vista che vi erano piani di campagna stabiliti sulle conoscenze anteriori, topografiche e descrittive; che in questi piani giungevasi a calcolare tutta la serie di operazioni che dovea nascere nel doppio caso del rovescio o del buon successo delle operazioni premeditate; e però a torto voleasi trattare come scienza esatta quella che avendo moltissimi dati ignoti, non può essere se non una scienza per cosí dire approssimativa. Ma questa esagerazione del valor della scienza ne dimostra appunto la sua esistenza e il suo primo periodo[27].
Nelle campagne del Maillebois in Italia nel 1745 e nel 1746 si scorgono vedute strategiche, si vedono considerati i grandi accidenti del terreno, e non solo considerati localmente come ostacoli o mezzi, ma nel loro insieme e nelle loro reciproche relazioni. Sono in tal guisa considerati il Po, le Alpi e gli Appennini, le pianure del Piemonte e della Lombardia, i controforti ed i corsi secondari di acque. Nella guerra di successione vediam trascurati i principi strategici. La punta dei francesi a Praga nel 1742 ne fa fede. Ma nella guerra de' sette anni vediamo costituita la guerra, ne vediamo strategicamente fissate le basi, le linee d'operazione, e tenersi con iscrupolo alla loro conservazione; gli austriaci basarsi in Boemia e in Moravia, i russi in Polonia e i francesi sul Reno e sul Meno; Federico stabilire la sua difensiva tra l'Elba e l'Oder, servirsi di queste linee naturali e delle piazze situate fra esse per contenere i nemici, i quali abbandonava momentaneamente per condursi in massa contro degli altri e per indi ritornar vittorioso sopra i primi. Questa mobilitá, questo uso costante della linea interna contro le esterne, questo operare in massa contro chi operava per distaccamenti, spiegano quei risultamenti, costituiscono i progressi della scienza e giustificano l'ammirazione del grand'uomo che le fece fare di sí gran passi[28]. L'invasione della Boemia, la ritirata che seguí la marcia a Rosbac, la contromarcia in Islesia nel 1757, la ritirata da Olmutz nel 1758, i movimenti sull'Oder, quelli che succedettero alla battaglia perduta di Hokirken, i movimenti per combattere i russi nel 1759, quelli per liberare la Sassonia, la marcia in Islesia, il campo di Bunsolvitz nel 1760 per paralizzare i due eserciti, i movimenti di Lignitz che precedettero la battaglia di questo nome, tutto provava che il gran Federico era fedele al sistema delle masse ed ai movimenti, e che quando se ne allontanò operando per distaccamento, come a Maxen e Landshut, ne fu severamente punito. Se la strategia diè spiegazione dei risultamenti ottenuti nella lotta ineguale della guerra de' sette anni, applicata piú in grande giustificherá piú vasti risultamenti. Nell'enumerare la proprietá della strategia considerata siccome scienza abbiamo indicata l'importanza che le fortificazioni acquistavano nel sistema generale della guerra. La superficie del suolo essendo geograficamente divisa in una serie di parti che costituivano i diversi teatri di guerra, e per operare offensivamente o difensivamente su di essi essendovi necessitá di una base, cioè di un numero di punti fortificati ove riporsi tutto il materiale di guerra e tutti gli approvvisionamenti per la sussistenza dell'esercito che operava, avvenne che la fortificazione acquistasse uno sviluppo maggiore e non si limitasse alla difesa parziale di ogni recinto fortificato, ma entrasse nelle vaste combinazioni di tutte le militari operazioni del pari che di tutti i grandi accidenti di terreno, ai quali dovea supplire quando mancavano e accrescerne il valore quando esistevano. Per il che si sentiva sempre piú il bisogno d'impadronirsi delle grandi comunicazioni, dei gran passaggi dei monti o dei fiumi; e tutto ciò dovea avere per ultima conseguenza il non costruire le piazze di guerra che nei punti strategici[29], riconosciuti per tali dal calcolo scientifico e dall'esperienza delle guerre giá combattute su quel teatro.
Considerate le fortificazioni sotto questo punto di vista generale, ci resta a determinare lo stato della scienza nelle sue relazioni colla guerra di assedio e determinare se in questo periodo progredisse l'attacco o la difesa. Tutti gli sforzi degl'ingegneri tendeano al medesimo fine: a ristabilire l'equilibrio fra l'attacco e la difesa; equilibrio che i metodi posti in opera dal Vauban avevano rotto a favor dell'attacco. Tutto ciò che si escogitò pel fine sopra indicato dai sapienti nell'arte può ridursi a tre principali mezzi:
1. Il defilamento o sottraimento, cioè il mezzo di dare alle opere della piazza un dominio sulle alture che la circondavano a tiro di cannone, in modo da non esserne dominate, da nascondersi anche alla vista, da sottrarsi alle infilate di attacco, dando fino al profilo, fino al fiancheggiamento, fino al comando delle opere le condizioni necessarie per dominare il terreno circostante e per avvicinarsi il piú possibile al desiderato punto di vedere senza esser visto. Fu però riputato ottimo risultamento di un buon disegno quello di sottrarre le fortificazioni e le loro disposizioni a chi voleva attaccarle e per indispensabile preliminare ne faceva la riconoscenza.
2. La moltiplicazione delle opere esteriori per aumentare i fiancheggiamenti nella difesa, occupando anche le alture ch'erano superiori al defilamento.
3. Lo stabilire di lunga mano nelle piazze un sistema di contromine per isventare tutto ciò che il nemico potea operare contro la piazza co' mezzi della guerra sotterranea e per regolarizzare il sistema delle innondazioni e tutta l'azione delle acque ove la natura vi si prestava.
Questa serie di lavori nei quali il corpo del genio francese fu quello che piú ebbe parte, avendo conservata ed aumentata la riputazione che aveva di essere il primo in Europa, dovrebbe far credere che si fosse riuscito in parte almeno a favorir la difesa e a bilanciare i progressi dell'attacco. Ma la storia militare del secolo decimottavo depone il contrario, meno la difesa di Bergop-zoom nel 1747 assediata dai francesi, la quale fu molto brillante ma non provò nulla quanto ai progressi della difensiva. Tutta la guerra di assedio nella guerra de' sette anni per le piazze di Slesia non serví che a provare i vantaggi dell'attacco. La difesa di Schweidnitz nel 1760, ove il celebre Gribauval dirigeva l'artiglieria degli assediati, fu degna di nota; ma bisogna pur dire che l'esercito prussiano mancava compiutamente di un buon corpo del genio, mentre il sistema era tutto nella guerra di campagna e di movimenti. La difesa di Danzica nel 1733 contro il Munick e quella delle piazze di Turchia non possono nulla provare quanto ai progressi della difensiva, mentre eravi ostinazione per parte dei difensori e quel che piú vale, oltre la guernigione combattevano gli abitanti, e gli assediatori eran ben lungi dall'essere al livello dei progressi fatti dalla fortificazione, perocché il loro stato sociale non era innoltrato al punto di coltivar con vantaggio le scienze tutte che le sono come di base. Nella guerra dell'indipendenza americana non si scorge difesa alcuna ordinata con metodo, e l'ostinazione ben piú che l'arte operò in quella guerra. Da questo breve sunto possiamo conchiudere che nel periodo del quale trattiamo, la difesa guadagnò sull'attacco che Vauban si era studiato di rendere superiore.
La fortificazione di campagna ebbe altra sorte. I suoi progressi furono visibili e diedero positivi risultamenti. Il sistema tanto preconizzato dal maresciallo di Sassonia dei ridotti distaccati fece sí che le linee continue cadessero in disuso, siccome quelle da cui veniva paralizzata l'azione delle truppe e tolta ogni facilitá pei ritorni offensivi, nei quali si riponeva l'ultimo risultamento di una buona e felice difesa; il che chiaramente mostrava che la guerra di movimenti era per riprendere la sua superioritá su quella di posizioni che avea dominato dalla morte di Turenna fino all'apparimento del gran Federico. Noi abbiam citato Bunsolvitz tra il 1760 e il 1761. In esso si riassumono tutti i progressi fatti dalla fortificazione di campagna, e bisogna rilegger sovente la descrizione che il re di Prussia ne fa nella Storia della guerra dei sette anni da lui dettata, perché prescindendo da tutti i preziosi particolari di arte dei quali abbonda, si scorge come il vero genio fosse pieghevole, perocché essendo il migliore fra i tattici, abilissimo nell'ordinare e condurre battaglie, giusto apprezzator dei vantaggi de' mezzi di fortificazione, a fine di non opporsi a forze superiori con truppe nuove e non agguerrite, si mostrò grande nell'inazione come lo era stato nell'azione, riunendo nella sua vita militare le buone parti di Annibale e di Fabio.
L'amministrazione militare come parte di un tutto doveva livellarsi ai progressi dell'arte e ai bisogni che dai suoi metodi derivavano. Ammessa una base ed una linea d'operazione, nasceva il bisogno di legare il soggetto e l'oggetto per mezzo di convogli che rinnovavano le munizioni da guerra e da bocca; e in queste guerre si vede, come ad Olmutz nel 1758, una perdita di un convoglio decidere di tutta la campagna. E l'illustre Laudon vide cominciar la sua gloria in questa occasione. Del resto benché il corpo dei militari amministratori fosse organizzato regolarmente e spesso, siccome in Prussia, un uffiziale generale di nome ne avesse la somma direzione, pur nondimeno il sistema delle requisizioni suppliva a quello dei magazzini, e la Sassonia ricorda ancora l'increscevol soggiorno dei prussiani nella guerra dei sette anni, come la Polonia quello dei russi e l'Annover quel dei francesi. Pure malgrado questi mali presso che inevitabili, quando si paragona ciò che si soffriva dai popoli nelle guerre del decimosesto ed anche del decimosettimo secolo, si dee convenire che vi era progresso cosí nei costumi come nell'ordine amministrativo. Gli spedali stessi risentivansi dello stato di una societá ove l'arte di guarire aveva seguito i passi di tutte le scienze e di tutte le arti delle quali si compone e da cui nasce.
La disciplina divenne severa, le punizioni furono quasi crudeli, e negli eserciti alemanni e russi specialmente credettesi che il bastone fosse per dir cosí un talismano il quale potea degradando l'uomo elevarlo ad eroe, e si giunse a tal punto che gli uffiziali recavansi quasi ad onore l'esser prodighi di gastighi di simil natura e crudeli nel farli applicare. Forse la composizione mista di alcuni eserciti ed il carattere semibarbaro di altri rendea necessario un tal mezzo; e l'indisciplina dell'esercito francese non sottoposto ai gastighi dei quali facemmo cenno, confermava l'idea della loro indispensabilitá. Tutto il sistema di disciplina si risentí di questo carattere di durezza, il quale passò fin nel linguaggio che si teneva dai superiori agl'inferiori in tutta la gerarchia militare. Cosí la militar disciplina rivestí un carattere di servilitá, ma che non doveva esser compiuto, giacché l'eroismo individuale non iscomparve in eserciti cosí regolati.
La creazione dello stato maggiore in Prussia e quella degl'ingegneri geografi in Francia provavano che la guerra passava sempre piú dall'urto brutale delle masse alla direzione della intelligenza. Lo stato maggiore fu adottato successivamente in tutti gli eserciti, del pari che tutto ciò che in Prussia perfezionavasi. Questa istituzione avea per iscopo il regolare con armonica unitá truppe lontane operanti su terreni ignoti, il conoscere bene questi terreni, il togliere a chi avea la suprema condotta della guerra tutti i dettagli che lo distoglievano dalle sue gravi meditazioni e il far circolare rapidamente gli ordini del capo non giá letteralmente, al che provvedevasi con altri mezzi, ma secondo il loro spirito. Cosí fu visto sovente confidarsi ad un uffiziale di grado poco elevato il segreto intimo del generale e nel venire comunicato ai subalterni, modificarsi secondo gli eventi che la rapiditá delle fazioni guerriere sottopone a infinite trasformazioni. Cosí dopo essersi vista la nascita la quale una volta dava il comando, sottoporsi alla gerarchia militare, videsi sottoposta all'intelligenza presunta di un inferiore; risultamento importante il quale mostrava che l'intelligenza umana era in progresso quanto ai poteri.
La castrametazione seguí i progressi della tattica e della disciplina. I campi d'istruzione in tempo di pace dovettero perfezionarla. Lo stato maggiore ebbe la missione speciale di disegnare campi e di riconoscere quelli del nemico. Il loro disegno fu una conseguenza dell'ordine sottile che predominava, e nella poca profonditá di questo trovavasi la differenza dai campi romani; campi per altro che differivano nelle armi, negli ordini e in tutto il sistema di guerra che separa gli antichi dai moderni. L'uso delle tende dirette alla conservazione dei combattenti rendea meno spedite le marcie e tutte le operazioni militari e forniva ad un occhio esercitato il modo di calcolare il numero delle truppe del nemico.
Ora vogliamo qui riassumere i cambiamenti tutti operati dal gran Federico nella scienza militare. Tai cambiamenti essendo stati adottati generalmente, ci asterremo dal parlare degli altri eserciti. Lo sviluppo che la guerra ha ricevuto ai dí nostri è il non plus ultra della scienza, come lo era pel decimottavo secolo quello comunicatole dal gran Federico. Passiamo ad enumerare i cambiamenti sopraccennati.
1. Il sistema de' fuochi venne modificato dal passaggio che si fece dall'ordine profondo al sottile, ordine corrispondente alle nuove armi.
2. Gran movimenti furono introdotti in tutte le armi per serrarsi, spiegarsi ed ordinarsi in battaglia dinanzi al nemico.
3. I progressi fatti dalla cavalleria accrebbero la sua mobilitá. Buoni metodi facilitarono il passaggio dall'ordine di colonna a quello di battaglia.
4. La stessa mobilitá venne applicata all'artiglieria mercé dell'introduzione utilissima degli artiglieri a cavallo.
5. Le divisioni e brigate fisse furono comandate sempre dagli stessi generali; il che rendeva piú facili i movimenti tutti e faceva che capi, uffiziali e soldati si conoscesser tra loro e però avessero quell'insieme e quell'unitá che indarno si cercherebbe altrimenti.
6. I campi d'istruzione destinati a simulacri di battaglie servirono a riunire tutte le armi, che a vicenda istruivansi e comprendevano i loro mutui rapporti e quelli che avevano col tutto insieme; i quali non erano come quelli del secolo scorso in Francia, di pura rassegna di truppa.
7. Il sistema dei cosí detti «semestrieri» facea sí che si pagassero pochi soldati in pace e che molti se ne avessero in guerra. Le guernigioni fisse legavansi al sistema suddetto.
8. La formazione dello stato maggiore riusciva utilissima. Esso concentrava il servizio, somministrava istrumenti abili ai capitani, gli sgravava dei minuti particolari, iniziava un maggior numero d'uffiziali di tutti i gradi alle grandi operazioni della guerra ed era in certa guisa seminario di generali.
Indicati questi risultamenti, ne cercheremo la pruova nelle opere militari e nelle pratiche dei gran capitani dell'epoca[30]. A questo modo risponderem pure alla nostra terza quistione.
La letteratura militare del periodo del quale parliamo è ricca d'autori che trattarono della guerra o parzialmente o in generale, e una tale ricchezza è indice del progresso delle scienze, come piú in lá andrem dimostrando. Il numero dei gran capitani fu forse inferiore a quello dei nostri ultimi tempi; nobile schiera alla cui testa fu l'uomo di genio che può riputarsi il protagonista dell'epoca ed il suo fedele rappresentante sotto tutti gli aspetti. Noi cercheremo di determinare tanto mercé del carattere che forma l'impronta delle militari produzioni, quanto mercé delle pratiche de' capitani di grido, il vero carattere della scienza militare nel secolo decimottavo. Ci restringeremo per altro a quegli autori ed a quei capitani dei quali sará necessario parlare a fine di giungere alla soluzione del nostro problema.
Nel primo periodo del secolo, cioè innanzi la guerra dei sette anni, i principali autori sono questi: lo spagnuolo Santa Crux, il maresciallo di Sassonia ed il napoletano Palmieri.
Il primo nella sua voluminosa opera descrive tutte le operazioni militari con una prolissitá che gli è stata rimproverata. D'altra parte non gli è stata negata molta giustezza d'idee e il suo libro era considerato come l'opera piú compiuta per la istruzione di un militare. Nella tattica non andò molto innanzi, e ciò provenne dall'epoca, non essendovi ancora il sistema prussiano.
Il maresciallo di Sassonia non ha composto un trattato compiuto, ma ha esposto bensí le sue proprie impressioni. Il libro è ineguale. Tutto quello ch'è sistematico non sostiene il confronto né colla ragione né coll'esperienza; e cosí tutto quel ch'ei propone in fatto di organizzazione, di ornamento e di ordini per l'infanteria e la cavalleria non è stato accettato. Ma bisogna notare che aveva scoperto la debolezza dell'infanteria per gli attacchi nell'ordine sottile, come l'utilitá della lancia per la cavalleria. Infine sentí la mancanza di un sistema di tattica, ma nol seppe trovare. Nelle opinioni emesse sulle grandi operazioni militari se non si mostra strategico si mostra almeno sagace, e prevede per cosí dire la gran mutazione ch'era per operarsi. Nel famoso passo ove dice che il segreto della guerra è nelle gambe, prevede ed annunzia che il sistema de' movimenti andava a riprendere il suo impero nella guerra su quello delle posizioni che aveva prevaluto dall'epoca della morte di Turenna fino alle ultime sue campagne.
Se citiamo il Palmieri, ciò non è per orgoglio o prevenzion nazionale, ma perché è il primo che abbia dato colore di scienza ad un trattato della guerra. Cominciando dagli elementi ha svolto le operazioni tutte in ordine geometrico ed ha operato la soluzione di molti problemi: sotto questo rapporto può dirsi aver fissato in principio la guerra essere scienza, essendovi elementi diversi che concorrere debbono ad un solo scopo, e però le abbisognano leggi che determinino l'azione di quegli elementi per ottener questo scopo.
La ricerca di tali leggi doveva consistere nel determinare le proprietá degli elementi e ciò che dovea farsi per conseguir lo scopo; il che appunto costituisce la scienza. In effetto noi siamo talmente convinti del merito e dell'importanza di questo metodo che malgrado i gravi e luminosi cambiamenti che la scienza ha subíti, le basi poste dal Palmieri, l'enumerazione degli elementi come delle loro proprietá sono rimaste salde e noi non abbiamo esitato a farle fondamento di questo lavoro.
Nella seconda epoca che siegue la guerra dei sette anni son da notare in prima linea Guibert, Tempheloff e Lloyd[31]. Quanto agli scrittori militari di secondo ordine ne direm qualche cosa parlando del Mezeroy.
Guibert oltre il merito di aver creata la letteratura militare, ornando di bel dire e cosí rendendo popolari materie tutte speciali ed aride per natura, ha quello di avere esposto lo stato della scienza al suo tempo e preveduti in parte i suoi futuri progressi. Egli nella sua prima opera, il Saggio di tattica, sebbene avesse fatto ben conoscere il sistema prussiano, pure non interamente colpí nel segno, rimproverandoglisi di avere negletti molti suoi rami, di essersi circoscritto alla sola tattica e di avere sovente tolto in iscambio gli strumenti e l'operatore, e cosí dato ai metodi un valor che non hanno se non quando una mente sublime li adopera. Ma però si convenne generalmente del merito della sua seconda opera: Difesa del sistema moderno di guerra; opera in cui nel sostenere l'ordine sottile come sviluppo e conseguenza dell'abolizione delle picche dovuta a Vauban, ricongiunge le operazioni di Turenna con quelle di Villars e di Federico, facendo notare i vantaggi che i piccioli eserciti davano al primo, l'imbarazzo di cui riusciva il loro aumento al secondo, e come il terzo ne traesse partito mercé del vantaggio dei metodi tattici che ne facilitavano ed assicuravano i movimenti.
Il Tempheloff, attore e scrittore della guerra dei sette anni, avea la conoscenza piú compiuta e piú positiva dell'esercito prussiano e delle alte vedute dell'illustre suo capo, e nella sua storia ha descritto le battaglie da tattico ed ha creato a parer nostro la storia militare. Egli svolse egualmente i princípi della strategia e se ne serví come massima comune misura per giudicare le militari operazioni.
Ciò che il Tempheloff aveva trattato come episodi storici l'inglese Lloyd lo tratta scientificamente nelle sue Memorie. Inferiore al Guibert in tutto ciò che si appartiene alla tattica, gli è superiore di molto nella filosofia della guerra e nella strategia. Quanto alla prima stabilisce che l'agente principale della guerra è l'uomo, che questi essendo un essere sensibile, intelligente e libero, non poteva esser trattato come una macchina, ma dovea venire studiato per esser compreso e quindi diretto secondo i suoi bisogni, le sue tendenze e le sue passioni. Quanto alla strategia stabilisce che vi sono teatri di guerra determinati da grandi ostacoli, che vi è bisogno di base per operare e di linea d'operazione per comunicare con essa, da ultimo che la sola difensiva utile e feconda è quella fatta sui fianchi. Insiste sull'importanza della configurazione delle frontiere rispetto alla guerra, e chiude l'opera infatti con una descrizione delle principali.
Tutti gli oppositori di Guibert e del sistema prussiano, di cui Mezeroy è il piú rinomato, caddero nel falso per esagerazione, volendo l'ordine profondo con le armi moderne. V'era per altro un fondo di vero nella debolezza dell'ordine sottile nei movimenti da essi posti in luce; talché nell'epoca seguente non solo l'ordinanza del 1791 ma l'esperienza ristabilirono con saggio eclettismo in fatto di tattica l'armonia fra l'ordine profondo e il sottile. In artiglieria Scheel, Durtubic, Saint-Remy, Pappacini fecero progredire la parte teorica della scienza, mercé di tutti gli artifici militari e di tutto ciò che teneva alla costruzione delle macchine da guerra. In fatto di fortificazione l'opera piú importante, considerata come un gran tentativo fallito, fu la Fortificazione perpendicolare del Montalembert. I regolamenti d'ogni maniera abbondarono nell'epoca della quale parliamo.
Questo era lo stato della militare letteratura. Sembra a prima vista che a misura che la scienza progredisce, mercé del perfezionamento dei suoi metodi debba divenire piú facile ed in conseguenza debba sorgere un maggior numero di gran capitani che ne facciano una giusta applicazione. Sembra pur naturale che nelle epoche ove sorge un genio che riassume le cognizioni del tempo e le fa avanzare con la sua potente influenza, gl'ingegni debbano svilupparsi e conseguitarne una scuola di capitani illustri. Ma nel secolo decimottavo ciò non avvenne, ché anzi il numero degli uomini eminenti nell'arte fu minore che nei secoli scorsi. Ma passiamo a provare quel che abbiamo asserito.
La Francia ove il genio militare ha avuto sede in tutti i tempi, fu sterile in grandi uomini di guerra, e i piú distinti in gradi diversi furono due stranieri, Maurizio di Sassonia e Lovhendal. Il primo nelle sue campagne di Fiandra, nella guerra di successione, si mostra piú ricco in vasti concepimenti che in operazioni da tenersi come modello per la scienza. Il Maillebois è a nostro credere il piú distinto; ma dopo la morte di Villars e di Berwick la Francia ha dovuto aspettare un'èra novella nella sua storia per produrre grandi guerrieri; il che per altro ha fatto con prodigalitá.
Nella scuola militare prussiana si notano molti capitani dai quali egregiamente eseguironsi grandi operazioni, come Scheverin, Keit Ziethen e il Seidlitz morto sí prematuramente; ma di capitani strategici non vi ha che il gran Federico, e con esso il principe Ferdinando di Brunsvick (il cui figlio si distingueva in seconda linea) ed il principe Enrico di Prussia. Notammo le operazioni strategiche e le dotte combinazioni tattiche del gran Federico. Ci rimane ora di fare osservare che il principe Ferdinando mostrò il suo genio strategico nelle campagne del 1758 e 1759 e nelle seguenti, ove con esercito collettizio e inferiore al nemico conservò la superioritá o almeno l'eguaglianza durante l'intero corso della guerra coi francesi. Il principe Enrico si mostrò profondo nella difensiva, e la difesa della Sassonia che gli fu affidata sovente durante la guerra de' sette anni può servir di modello quanto alla scelta delle posizioni ed ai movimenti. Quelli da lui operati dopo il disastro sofferto dal re a Kunersdorf nel 1759 a fine di riunirsi con esso, fan prova al massimo grado del suo genio strategico. E cosí per una rara fortuna si combinarono nella famiglia reale di Prussia due uomini che possedevano le due gran qualitá che costituiscono un gran capitano: la prudenza e l'ardire.
Nell'esercito austriaco la morte di Braun fece succedere il Daun, che avrebbe meritato il soprannome di Fabio se avesse combattuto forze superiori, ma che divenne oggetto di motteggi e sarcasmi allorché per timiditá prolungava una guerra cui doveva e poteva por termine con gran vantaggio della potenza da lui servita. Il Lascy da reputarsi eccellente come organizzatore e come capo di stato maggiore, era un mediocre generale, e le sue massime di guerra ed il suo sistema detto di «cordone difensivo» produssero i disastri della guerra di Turchia nel 1787 ed han pure molto contribuito ai disastri che l'esercito imperiale soffrí nella guerra della rivoluzione. Il solo Laudon aveva il genio della guerra moderna, ardito ed impetuoso, operando piuttosto coi movimenti che valendosi delle posizioni. Tutto il brillante della guerra dei sette anni e delle guerre di Turchia gli appartiene; ma d'altra parte fu troppo ristretto nel modo di concepire, ed obbligato ad operar nella guerra secondo le tradizioni e le abitudini dell'esercito che reggeva, non formò scuola, se ne togli il principe illustre del quale in séguito parleremo, che per le stesse ragioni non ebbesi alcun successore.
Quanto alla Russia il Munick mostrò nelle sue campagne di Turchia la superioritá dell'Europa sull'Asia. Le qualitá del soldato russo furono un grande elemento di successo, ma le escogitazioni tattiche del Munick per quel genere di guerra sono state modificate ma non escluse, come vedremo parlando della campagna di Egitto nel nostro seguente discorso. Dopo di lui nella guerra de' sette anni la gloria dell'esercito russo fu dovuta piuttosto all'intrepiditá delle truppe che al merito de' suoi capi, e il gran Federico caratterizzò i russi con un motto profondo, dicendo ch'era «piú difficile il vincerli che l'ammazzarli». Piú tardi il Romanzof si mostrò capitano ardito — il suo passaggio del Danubio ne fa fede — e le sue campagne sono superiori a quelle troppo vantate del Potemkin, nel cui ingegno era alcunché di brutale e di sregolato, ma che allora venía secondato dal Souwarow del quale piú in lá parleremo.
La Turchia nella sua decadenza che proveniva dalla sua inferioritá in fatto di civiltá rispetto all'Europa, riportò dei successi contro gli austriaci; ma questi furon dovuti al valore per cosí dire individuale delle numerose sue truppe, al clima caldissimo che indeboliva l'esercito nemico e soprattutto agli errori dei generali dell'Austria e alla falsa direzione che dava alle cose il consiglio aulico di Vienna. Nella guerra finita nel 1739 del pari che nell'ultima la quale ebbe fine nel 1790, le cause furono le medesime, meno il genio del Laudon che mancò nella prima.
La riputazione militare degli svedesi si sostenne in Finlandia, quantunque niun capo di gran nome sorto fosse a rappresentarla, ma si perdette nella guerra de' sette anni.
In Polonia non vi era progresso nella scienza perché non ve n'era nello stato sociale.
Nel mezzogiorno d'Europa la scienza era stazionaria e priva d'illustri rappresentanti, meno di Gages che nelle campagne d'Italia del 1744 mostrò molta intelligenza e venne apprezzato dal gran Federico nelle sue operazioni dell'Italia meridionale. L'Italia sempre sí ricca di gran capitani, che prestava agli stranieri non potendo servirsene per se medesima, non ebbe in questo secolo che il principe Eugenio di Savoia, il quale pur finí di fiorire nei primi anni del secolo. L'esercito piemontese combattette assai bene nella guerra di successione e conservò le tradizioni del valore italiano, ma nessun capitano oltre quel famoso che abbiam nominato poté fornire alla storia. Buone istituzioni poi fecer sí che dopo quarantotto anni di pace ricomparisse con onore alla guerra.
Nella penisola iberica nei soli soldati gli elementi eran buoni, il resto era stazionario o retrogrado, talché si cercavano dei capitani fra gli stranieri e massime nel nord dell'Europa, e sovente erano stranieri persino i semplici istruttori; fatto che rivelava lo stato di decadenza militare in che si trovavano quelle contrade sí bellicose altra volta.
La guerra fra le colonie americane e la madre patria non poteva per le sue circostanze particolari essere giudicata coi soli principi dell'arte. Gl'inglesi sostennero la riputazione che aveano acquistata a Fontenoy e nella guerra de' sette anni. Gages, Cornwallis e Clinton erano uomini di secondo ordine, almeno tali si mostrarono in America. Washington senza essere un genio aveva compreso lo spirito di quella guerra. Il sistema di difensiva da lui adottato nel Delaware dimostrò in lui al sommo grado quella qualitá sí feconda in risultamenti, la fermezza cioè nelle idee concepite malgrado gli ostacoli d'ogni maniera che se gli opponevano. Superiore ad una vana popolaritá, conscio della puritá delle proprie intenzioni, ad onta dei sarcasmi degl'invídi e del gridar dei malevoli creava l'esercito e difendeva il paese. Ivi la natura delle cose contrapponendo truppe nuove a truppe istruite e agguerrite, fece sorgere la guerra di bersaglieri che vedremo svilupparsi vie meglio nelle prime campagne della rivoluzione. L'insieme delle operazioni del generale americano può sostenere l'analisi senza temer la censura dei periti nell'arte, ed egli è ben meritevole dell'eloquente e semplice elogio che gli si fece allorché fu chiamato «il primo nella guerra, il primo nella pace, il primo nelle nostre affezioni».
Da quanto dicemmo rilevasi che la guerra divenuta era una scienza generale in Europa, che aveva gli stessi metodi, che si operava per imitazione e non per esclusione. E ciò derivava dallo stato scientifico e dallo stato sociale che rivestivano lo stesso carattere di unitá; il che dimostrammo giá in parte ed anche vie meglio dimostreremo qui appresso.
Lo stato delle scienze nel secolo decimottavo è ben noto, ma ciò non pertanto noi non tralasceremo di darne un breve sunto e di determinarne il carattere. Le scienze esatte sí necessarie all'avanzamento de' metodi di guerra furono in progresso. Sono da notarsi particolarmente le scoperte fatte nel calcolo infinitesimale dai Manfredi, Bernoulli, Nicolas, Parant e l'Ermanno di Basilea. La teoria delle tangenti ai punti moltiplici delle curve fu rischiarata dal Seurin, e soprattutto l'Eulero spiegò tutte le forze dell'alto suo ingegno nelle integrazioni delle equazioni separate. D'Alembert, Clairault, Fontana, Borda e Condorcet si reser famosi per le medesime investigazioni, e produssero nel calcolo una serie di veritá luminose e suscettive di utili applicazioni agli umani bisogni sí nella pace che nella guerra. La meccanica progredí profittando di tutti i passi che l'analisi avea fatti, e l'Eulero pose in luce la teoria de' movimenti rettilinei e curvilinei de' corpi isolati sottomessi all'azione di una forza acceleratrice sia nel vuoto o in un mezzo di resistenza. Intanto il Bernoulli gli riduceva alle leggi naturali della statica resa perfetta. Il D'Alembert riassumeva e generalizzava questi problemi tutti nel suo eccellente trattato di dinamica.
Tanti e sí fatti progressi nelle scienze esatte avevano le lor conseguenze. L'astronomia per esempio fece gran passi e divenne feconda in scientifiche veritá, deducendole da tutte quelle scoperte nelle scienze che le servono di base, ed entrò in una luminosa ed insieme util carriera; e cosí il Boucher potette misurare il meridiano, e La Condamine, Camus e Maupertuis potettero ripetere in Lapponia la stessa operazione. Niuno ignora i lavori dei due Cassini, padre e figlio, sui movimenti di vibrazione della luna. Il Boschovich facea servire le conoscenze astronomiche ai progressi della geografia ed alla formazione delle carte. Queste cognizioni sulla sublime scienza de' movimenti degli astri preludevano alla grande opera che dovea farle compiute nel nostro secolo, alla meccanica celeste dell'illustre Laplace, che ha meritato da un grande oratore lo splendido elogio di aver tolto gli «scandali» dal cielo, sottomettendone i fenomeni tutti ad una legge e rendendoli suscettivi di essere calcolati.
Le scienze naturali per quella legge comune a tutti i rami dello scibile umano dovevano avere uno sviluppo rapido assai, mentre la sola applicazione dell'analisi ai fenomeni della natura doveva far progredire in mezzo secolo le scienze naturali piú che non avean progredito in tutti i secoli anteriori. La chimica fu creata, e quando vi era una scienza che decomponeva i corpi nei loro piú semplici elementi, ne risultava che le loro proprietá erano ben conosciute, e la conoscenza de' semplici tendeva a far ottenere quella de' composti. Buon numero di cultori distinti delle scienze naturali in questa epoca comprova la nostra asserzione. In effetto Geoffroy, Vallisnieri, Trambley, Réaumour precedevano ed annunziavano in un certo modo il gran Buffon, che elevò un gran monumento alle scienze naturali e legolle alla letteratura mercé del suo eloquente modo di esporre quei misteriosi fenomeni. Il Dolomieu, lo Spallanzani e il Daubanton fecero lavori di una estrema utilitá quanto ai progressi delle scienze naturali, sí nei vari lor rami che nelle loro classificazioni. L'immortale Linneo, preceduto dal Rey, dal Tournefort, dal Micheli, risolvette il grave problema di stabilire un sistema generale di classificazione per le piante secondo i lor sessi. La chimica annoverava tra i suoi piú distinti cultori Beyer, Bergeman, Fontana, Priestley, Volta, le cui scoperte doveva riassumere ed ordinare il genio del Lavoisier. La medicina si giovava di tutte le scoperte chimiche e botaniche, mentre le proprietá de' vegetabili e il modo di usarne ne costituiscono i fondamenti. I Van Swieten, gli Scarpa, i Cotugno e molti altri egregi furono l'espressione dei progressi delle scienze naturali applicate alla medicina.
Egli è chiaro che una volta adottato il metodo sperimentale con tanto successo per le matematiche miste e per le scienze naturali, le arti dovevano essere ad un livello corrispondente o presto arrivarvi. Le osservazioni astronomiche, le esperienze fisiche, anatomiche e meccaniche erano fondate sulla bontá degl'istrumenti, e nel tempo stesso che le scienze determinavano il modo di costruirli, il loro perfezionamento favoriva il progresso delle scienze: quindi nasceva un legame tra le arti e le scienze, talché le prime non erano se non l'applicazione delle seconde astrattamente considerate. Per tal forma la condizione degli artisti nobilitavasi, nulla perdendo del suo splendore quella degli scienziati; e questi nuovi rapporti vie meglio menavano alla fusione delle classi separate nel medio evo. Può dirsi liberamente le macchine areostatiche essere stata la dimostrazione piú lucida di tai relazioni fra le arti, le scienze ed i loro cultori.
Le comunicazioni rese piú frequenti fra le nazioni europee, al che contribuivano egualmente la pace, la guerra, il commercio, le scienze; i bisogni sempre crescenti di societá incivilite, le quali mutando costumi, sentimenti ed idee, andavano sempre piú allontanandosi dalle forme del medio evo; tutto questo dovea grandemente contribuire allo sviluppo delle scienze morali, sendo che in societá sí avanzate nella civiltá stringeva il bisogno di migliorare la legislazione, di fissare le regole che debbono presedere alla formazione e al consumo delle ricchezze, di stabilire su certi princípi il dritto pubblico ed il regime coloniale reso di tanta importanza in quel secolo. La filosofia, ossia la cognizion delle leggi che presiedono all'azione dell'intelligenza e della volontá, era troppo legata alle discipline sopra indicate per non essere coltivata con ardore, ed in effetto fu considerata sotto tutti gli aspetti da uomini eminenti presso tutte le colte nazioni, talché conservò il suo carattere, combinato con quello del paese e del secolo al quale apparteneva. All'ammirazione per la legislazione romana che i grandi giureconsulti del secolo scorso professavano, succedette una critica severa, trovandosi quel sistema poco conforme allo stato sociale d'Europa e sovente incapace di sostenere la sua antica superioritá ogniqualvolta venía misurato non sulla stretta scala del giureconsulto ma su quella piú vasta e piú alta del filosofo. In effetto il Vico colla sua opera intitolata: Fonti del dritto trattava filosoficamente questa quistione e si preparava ad esporre le leggi che sieguono le nazioni nel loro corso fondato sulla natura dell'uomo ed i suoi destini. Cosí la storia dei popoli era sottoposta ad una misura comune che dovea darle unitá metafisica e dare dovea alle scienze morali un alto punto di vista. Difatti malgrado ciò che vi può essere d'incompiuto ovvero di esagerato nei voli di un'alta fantasia, il Vico poco compreso dai suoi contemporanei benché il celebrassero grandemente, era destinato a brillare in un secolo ricco per opera di lui di storiche esperienze e in possesso di tutte quelle idee intermedie la cui mancanza rese il nostro illustre compatriota sí oscuro a' suoi tempi. Montesquieu accettando con diversa relazione la definizione delle leggi di Cicerone, determina nella sua immortale opera per quali cause le leggi che paiono meno in armonia col loro ideale modello abbian potuto reggere senza discapito molte nazioni. E cosí riguardando assai piú alla bontá relativa che all'assoluta, diede il perché delle leggi e stabilí le quistioni legislative sopra tutt'altro terreno che quello dei legisti. Ma la misura di un uomo di genio temperato dalla pratica delle cose doveva mancare ad un altro uomo ugualmente superiore, ma che guardava la societá piuttosto nelle sue imperfezioni che nei suoi risultamenti; ond'è che questi nelle sue politiche escogitazioni fece l'inverso del Montesquieu, tenendo in niun conto la bontá relativa e fondandosi sull'assoluta. Il Filangieri ammettendo la bontá relativa edificava la Scienza della legislazione, seguitando un metodo severo mercé del quale le veritá secondarie si deducevano dalle primarie. Il Pagano ne' suoi Saggi illustrava il Vico. Il Briganti e lo Stellini seguitavano la medesima traccia, e con essi il famoso Herder, il quale se è men saldo del Vico nei suoi principi e se è incerto nelle sue conseguenze, compensa però la sua inferioritá con molta potenza di stile e con molta ricchezza di conoscenze in fatto di storia naturale e di storia orientale. L'economia politica, scienza la quale vie meglio provava la decadenza dei costumi e del viver civile nel medio evo e l'importanza delle classi industriali, avuto avea sede in Italia. Gli economisti francesi fecero acquistare popolaritá alla scienza e resero la discussione utile ed importante. Lo Smith pose in luce le idee appena in germe del Serra e si lasciò addietro l'illustre Genovesi, quantunque questi si fosse il piú alto rappresentante della scuola mercantile, poiché il difetto era in questa e non in lui. Il Galiani col suo Trattato sulle monete e i suoi Dialoghi sul commercio dei grani mostrava che nella sua patria si era sempre a livello di una scienza che in essa avea avuta la culla. Stabilito il lavoro come il principio della produzione e la sua divisione come il progresso di essa, nasceva da questi due princípi un intero sistema sociale che trasformava ogni cosa e faceva considerare come ostacoli inerti tutte le istituzioni del medio evo. Le scoperte di Bacone e i metodi di Cartesio avevano prodotto Loke, che interpretato come sensualista in Francia, produsse Condillac e la sua scuola; interpretato come idealista in Inghilterra, produsse lo scetticismo di Berkeley e di Hume. Il primo negava il mondo materiale, il secondo il legame delle cause e degli effetti e la immutabilitá delle distinzioni morali, cioè tutto ciò che costituisce la nostra natura e la sua dignitá. Sorse la scuola scozzese, e gli uomini che la formavano, cosí stimabili come sapienti, ricorsero al senso comune per confutare errori sí pericolosi. Il Kant volea fare il medesimo, ma fedele al genio della sua nazione cercava nelle regioni elevate della psicologia trascendentale, che fondava però sulla ragion prattica, il modo di combattere lo scetticismo, che gli scozzesi come abbiam detto cercavano nel senso comune. Tra questi modesti filosofi che limitavano gli sforzi dell'intelligenza a causa dell'imperfezione della nostra natura vediamo lo Smith, il quale come il Genovesi smentiva l'idea che l'economia politica materializzasse per cosí dire l'umanitá, mentre i filosofi si occupano dell'uomo come essere morale e ne determinano i doveri e i destini.
Il carattere generale dell'epoca scientificamente considerato può dirsi essere stato lo spirito filosofico che il Portalis definisce come «il colpo d'occhio di una esercitata ragione, che è per l'intendimento ciò che la coscienza è pel cuore, che nelle sue investigazioni valuta ogni cosa secondo i suoi propri princípi indipendentemente dall'opinione e dalle costumanze, e che non si arresta agli effetti ma rimonta alle cause». E lo stesso autore soggiunge che lo spirito filosofico è superiore alla filosofia, come lo spirito geometrico è alla geometria, come la conoscenza dello spirito delle leggi è alla conoscenza delle leggi. L'enciclopedia fu la grande intrapresa che può servir di misura quanto allo stato dello scibile e della societá. Lo spirito filosofico vi dominava non temperato né dalla moderazione né dall'esperienza che lo stato sociale non offeriva. Checché possa dirsi quanto all'esecuzione sotto l'aspetto morale e scientifico, l'enciclopedia metteva in azione la classificazione di Bacone e mostrava la sorgente comune delle umane conoscenze che tutte avevano la loro filosofia, vale a dire la loro ragion prima; e il loro punto di contatto era in essa da riguardarsi siccome scopo della umana curiositá, siccome l'ostacolo che la sua intelligenza tentava invano distruggere.
Lo stato sociale rifletteva lo stato intellettuale. Il suo principale carattere era la fusione degli elementi sociali sí severamente classificati nelle epoche anteriori ed un bisogno di applicare all'utile tutte le scoperte dell'umana intelligenza. Da queste due principali disposizioni dovea derivare l'amore dell'umanitá, cioè il principio di caritá cristiana, da sentimento trasformato in idea sotto il nome di «filantropia». In effetto tutti i miglioramenti recati alla sorte degli esseri piú infelici, come i prigionieri e i malati, con rendere le prigioni men dure, gli spedali piú utili, la vita dei poveri e degli esposti men trista, servono a provare la veritá di quanto asseriamo. Cosí pure le pene un poco mitigate, l'orrore che ispiravano i supplizi atroci, la procedura segreta, la tortura e l'inquisizione, gli omaggi prodigati all'intelligenza e la tolleranza religiosa son pruove a favore del nostro asserto. Quanto alla tolleranza religiosa giova per altro avvertire che il commercio la rendeva indispensabile, e col commercio la riunione di sudditi di diverse credenze sotto lo stesso sovrano. Il principio d'utilitá tendeva a dominare ove i bisogni degl'individui e degli Stati erano cresciuti, l'antico ordine sociale basato sul medio evo andava crollando e la societá si rinnovellava ne' suoi elementi. Il potere dominato dalle medesime circostanze entrava nelle medesime idee e tendeva a costituirsi in monarchia amministrativa, riconcentrando in sua mano quel che nel medio evo erasi diramato; e con ciò si credeva di potere giovare alla societá intera, di migliorarne le leggi e i costumi, di farla finalmente progredire in ricchezza. Giuseppe, Caterina, Leopoldo, Federico, Carlo terzo e suo figlio Ferdinando, e i Pombal, Aranda, Gassez, Choiseul, Tanucci, Acton, Manfredini sono per cosí dire i rappresentanti di questa tendenza degli Stati e di chi li reggeva, come pure tutti i codici e tutte le misure tentate o eseguite da loro. Da ciò risultò che non solo la scienza, prima racchiusa nei chiostri, divenisse patrimonio dei laici, ma che i sapienti divenissero spesso se non governanti almeno consultori de' governanti e si fondessero nella societá dalla quale erano stati in certa guisa presso che separati. Esisteva una opposizione, una discordanza tra le leggi rimaste in vigore, i costumi e le opinioni. L'economia politica sollevavasi a scienza e trovavasi in urto con tutta la legislazion commerciale, civile e criminale. I costumi erano piú dolci ma insieme piú molli: eravi molta rassomiglianza col secolo decimoquinto.
I risultamenti politici dell'epoca possono ridursi:
1. Alla compiuta distruzione dell'impero germanico dopo la felice resistenza della Prussia e la pace che le conservò la Slesia.
2. Alla distruzione del principio emesso nel trattato di Westfalia, che l'equilibrio consistea nel proteggere i deboli contro i forti e nell'evitare l'ingrandimento degli ultimi. La divisione della Polonia fece violare il principio, e fu discussa la divisione dell'impero ottomano. Si volevano evitare le guerre tra i forti che molto costavano e poco fruttavano.
3. All'influenza della Russia e della Prussia sull'equilibrio europeo, la quale aggiunta all'azione negativa che vi esercitavano per cause diverse la Spagna e l'Italia, e allo stato di crisi in cui era la Francia politicamente e militarmente considerata, faceva sí che il settentrione dominasse il mezzogiorno e che i potentati che per lo innanti camminavano in prima linea or secondassero.
4. Alla dominazione che esercitava l'Inghilterra come potenza marittima e coloniale su tutto il globo.
5. Alla creazione del novello Stato americano che annunziava la vicina caduta del sistema coloniale.
Ci pare aver risoluto il problema che ci eravamo proposto ed avere compiutamente risposto ad ogni quistione. Questa vasta trasformazione, che non toglie alla societá il suo carattere ma invece la rafferma in esso, sorge dal modo di costituirla, dalle guerre, dal modo di farle e prepara nuovi avvenimenti. Passioni ed errori han reso talvolta assai dolorose anzi detestabili le guerre; ma esse nascevano dal principio indicato di sopra che la conservazione delle societá dipende dal loro progresso, e la ignoranza di una tal veritá precipita gli avvenimenti a spese dell'umanitá.
DISCORSO VIII
Intorno allo stato della scienza militare ed alle sue relazioni colle altre scienze e collo stato sociale dal 1789 al congresso di Vienna nel 1815.
I movimenti delle umane societá per compire i misteriosi fini della provvidenza divina s'operano continuamente, ma non si manifestano cosí chiaramente a tutti se non che in certe epoche, in cui tutte le trasformazioni lentamente e quasi insensibilmente operate nel corso dei secoli si riassumono in un grave avvenimento, che non crea ma rivela bensí e mette in luce quella serie di modificazioni che il corpo sociale subiva, e le presenta nel loro insieme cosí coordinate nei metodi come determinate nello scopo. La societá moderna formata sulle rovine dell'impero romano aveva per basi lo stabilimento del cristianesimo e l'invasione de' barbari: quello cambiava le credenze, questa modificava la popolazione introducendovi un elemento estraneo al suolo. Il vigore morale stava nel cristianesimo; il fisico, per cosí dire, nelle razze germaniche che n'erano sí riccamente dotate dalla natura, nelle quali veniva conservato dalle loro sociali condizioni. Noi abbiamo cercato d'indicare nei nostri precedenti discorsi, cominciando dal terzo, per quante fasi e per quante forme questi elementi delle moderne societá sieno passati per giungere all'ultima indicata nel nostro settimo discorso; e notammo che altre trasformazioni dovevano conseguitare alle prime, e che esse tutte nel loro insieme non alteravano né gli elementi né l'impronta caratteristica della moderna societá né lo scopo finale che da questa si dee raggiungere. Rifiutare una veritá sí chiara, contenuta in tutte le pagine della storia e nell'analisi delle nostre facoltá intellettuali e morali che spiegano ciò che le vicende storiche fanno conoscere, pare quasi contrario all'esercizio della piú comune intelligenza applicata a un tal genere di speculazione. Ma l'esperienza c'insegna che generalmente non si giudicano gli avvenimenti che scuotono l'umanitá, che urtano le abitudini ed attaccano al tempo stesso il benessere e la moralitá delle nazioni; non si giudicano, dicevamo, secondo le idee esposte qui sopra. La spiegazione di questo fenomeno sta a nostro credere in un sentimento che onora la nostra natura, cioè quello di credere che il male morale sia un'eccezione e non si trovi nell'ordine costante, per cui in generale queste crisi terribili sono considerate come periodi eccezionali, nei quali le leggi che regolano l'intelligenza e la volontá umana sono sospese dal loro corso ordinario e soppiantate da movimenti che non sono suscettivi di spiegazione secondo il naturale ordine delle cose. Sebbene purissimo nella sua sorgente, questo modo di giudicare non può essere ammesso come veritá senza contrastare alle regole che nascono dalla filosofia della storia e nuocere allo scopo morale stesso che ha determinato questo genere di soluzione, mentre l'ignoranza delle cause rende fatali gli effetti di ciò che piú si teme. Conseguentemente a quanto esponemmo, noi teniamo per fermo che tutti gli avvenimenti che han compromesso tante esistenze e fatto cosí gran male erano l'effetto di quella elevazione e di quelle modificazioni che abbiamo indicate nei nostri vari discorsi, fermando l'attenzione del lettore su tutte le vicende che lo scibile e lo stato sociale subivano in ogni secolo, e mostrando come la scienza della guerra seguiva ed esprimeva queste fasi sociali. Questo punto di vista da noi adottato fa rientrare nel corso delle cose umane questi grandi cataclismi del mondo morale, come la cognizione perfezionata dalle leggi fisiche vi ha fatto rientrare quelli che si operano nel mondo materiale, senza distruggere in alcun punto la responsabilitá morale degl'individui che vi partecipano. La dottrina de' doveri è chiara e semplice: essa è deposta nelle prescrizioni religiose, nelle opere de' moralisti e soprattutto nella coscienza di ognuno e di tutti. Certo non in tutti i tempi l'esecuzione de' propri doveri domanda la stessa energia e condanna agli stessi sacrifizi; ma se la dottrina dei doveri dovesse tacere in faccia agli ostacoli ed ai pericoli, il punire che fa il codice militare la mancanza di coraggio in un uomo fisicamente indebolito dalle privazioni e dalle fatiche e moralmente dal desiderio della propria conservazione e dalle piú legittime affezioni, sarebbe un'assurda atrocitá. E pure non è cosí. Della serie de' doveri l'ultima espressione è il martirio. Soggiungiamo per ispiegare piuttosto che per giustificare i mali ed i loro autori, che ordinariamente alle grandi crisi precedono delle epoche di calma, calma che ammollisce i caratteri e toglie all'intelletto i materiali dell'esperienza; per il che accade che gravi errori nascono per ignoranza e debolezza ed in tutte le classi della societá, còlte all'improvviso, per cosí dire da avvenimenti che le schiacciano, sorpassando le loro forze morali e intellettuali: errori che di rado sono sterili e spesso producono movimenti grandi e rapidi. E gli errori diventano orrori in pratica, quando debbono essere subito applicati; veritá che non ha bisogno di dimostrazione pei nostri contemporanei.
La serie d'idee che esponemmo è quella appunto che costituisce il carattere del periodo, breve di tempo ma ricco di avvenimenti, che siamo per trattare in questo discorso, il quale comprenderá l'epoca racchiusa tra il 1789 e il 1815, cioè dalla riunione degli Stati generali fino alla pubblicazione dell'atto del congresso di Vienna. L'abbondanza della materia ci costringe a dividere questa epoca in due periodi, dei quali il primo andrá fino al trattato d'Amiens nel 1800 che pose fine alla prima guerra, e il secondo fino al congresso di Vienna che pose fine alla seconda. Sentiamo tutte le difficoltá cui andiamo incontro nel trattare questo periodo in ristretto, ma seguiremo lo stesso metodo adottato nei precedenti discorsi e ci faremo ad esporre lo stato dell'Europa nel 1789.
La penisola ispanica avea nel suo stato sociale e nella sua interna politica un carattere uniforme: non cosí nella sua politica esterna. Il Portogallo e la Spagna conservavano piú di qualunque altro Stato le vestigia del medio evo cosí nelle istituzioni come nelle abitudini e nelle opinioni. Gli sforzi di Pombal e di Carlo terzo per condurre la civiltá di quella penisola al grado degli altri Stati piú inciviliti di Europa furono seguiti da una reazione in senso opposto, alla caduta di Pombal pel Portogallo ed alla morte del re per la Spagna; avvenimenti che fecer cadere in mani poco abili la somma delle cose e perciò impedirono le migliorie cominciate. Quanto all'esterna politica, la Spagna fedele al «patto di famiglia» seguitava in tutto la politica francese; il Portogallo in virtú del trattato di Mathuen era divenuto una colonia inglese e continuò ad esser tale dopo la caduta di Pombal. Una tale divergenza nella tendenza politica dei due potentati della penisola avea solo questo di comune: di non seguirne una propria; e ciò proveniva dall'inferioritá amministrativa che paralizzava le nobili qualitá e gli storici ricordi di amendue le nazioni.
In Francia lo stato delle opinioni, quello de' costumi, il disordine delle finanze, il decadimento della sua politica influenza, tutto dimandava, per evitare una crisi e per ristabilire l'equilibrio tra gli elementi, un braccio vigoroso e una mente illuminata ad un tempo, per temperare i rimedi difficili ad amministrarsi quando s'impiegano al momento in cui diventarono indispensabili.
L'Inghilterra retta da grandi uomini cresciuti all'ombra delle sue istituzioni si consolava della perdita delle colonie, e sostituendo il calcolo commerciale all'orgoglio politico, s'accorse di non aver fatta gran perdita pel trattato del 1783. Potente influenza esercitava poi sull'Europa mercé de' suoi gran capitali, del suo credito, della sua marina e della sua civiltá; e questa influenza, fortificata dall'alleanza prussiana, si estendeva cosí all'occidente che al settentrione e all'oriente.
Quanto all'Olanda, molte erano le cause della sua decadenza. Venuta in lotta col suo capo politico, questi ricorreva alle armi straniere, e in venti giorni ventimila prussiani occupavano l'Olanda: avvenimento stranissimo per uno Stato che avea resistito per sessant'anni contro la potenza spagnuola.
La Prussia benché avesse perduto nel gran Federico uno di quegli uomini ai quali, come sagacemente dice il Segur, si succede ma non si supplisce, godeva di quella considerazione che la gran guerra dei sette anni le avea meritata, per avere con tanta disproporzione combattuto ed aver non solo conservato la sua esistenza politica, ma benanche ingrandito la sua potenza materiale e morale mercé delle fatte conquiste e della gloria acquistata. In effetto sovrastava alla Francia nel mezzogiorno e occupava l'Olanda a malgrado delle lagnanze di quel potentato; nel settentrione controbilanciava la Russia e l'Austria nelle quistioni polacca e germanica; e nell'oriente faceva abbandonare Belgrado alla casa d'Austria, solo risultamento di una guerra infelice.
La casa d'Austria si trovava legata alla Russia in virtú del sistema che i politici dell'epoca chiamavano «orientale» e che tendeva allo scompartimento delle possessioni ottomane in Europa, e lo era alla Francia in occidente contro la Prussia e l'Inghilterra. Innovazioni rapidamente operate non corrisposero nei loro risultamenti alle buone intenzioni dell'imperatore Giuseppe, che uno ingegno cospicuo caratterizzò come «facente male il bene». In effetto gravi turbolenze nascevano in Ungheria; rivolta compiuta nel Belgio; e le sue operazioni amministrative non furono facilmente applicate e non trovarono riconoscenza se non che negli Stati italiani. Giuseppe secondo morí scontento e sorpreso di tali risultamenti, come tutti quelli che non sanno determinare i limiti che separano il bello dal possibile. Il suo successore, il savio Leopoldo, riparò con prudenza e con pacatezza ai mali che la precipitazione dell'antecessore avea cagionati, trattò coi turchi, fece rientrare il Belgio sotto il dominio della casa d'Austria, acquetò gli spiriti in Ungheria e vide con calma la politica che dovea tenersi con la Francia agitata dalle civili discordie.
Se l'impero germanico avea perduta l'unitá dell'epoca della riforma, l'elevazione della monarchia prussiana consumò la sua scissione, per modo che restò ricco di forme e povero di vita e facea presagire a chiunque era dotato di qualche acume, che non avrebbe resistito ad una forte commozione che tutto annunziava siccome prossima.
La Polonia col perfezionare le sue istituzioni faceva di riparare in parte alla perdita di una gran porzione delle sue provincie; ma vi sono delle epoche nelle vicende delle nazioni come in quelle degl'individui, nelle quali nulla riesce ed in cui i rimedi stessi si trasformano in mali.
La Russia sotto il dominio di una sovrana illustre ingrandiva il suo territorio in oriente del pari che in occidente colle spoglie de' turchi e de' polacchi. Tutto a quella autocratrice riusciva a bene, perché quantunque straniera erasi compiutamente nazionalizzata ed era la piú energica ed illuminata espressione delle tendenze del popolo che reggeva. La sua politica interna ebbe piú splendore che merito reale; ma le sue utili conquiste, aprendo uno sbocco all'industria agricola delle provincie meridionali dell'impero, ne promoveano l'incivilimento per mezzo della crescente prosperitá. Da questo insieme era facile dedurre l'importanza militare e politica che ben presto avrebbe questo impero esercitato in Europa.
L'impero ottomano si ammolliva senza incivilirsi, non sapea né combattere né produrre, ignorando ad un tempo le arti della guerra e quelle della pace; esso esisteva per l'altrui gelosia non per propria virtú, e la perdita della Crimea e de' tartari gli toglieva ogni possibilitá di lottar colla Russia. Chiaro appariva che la sua storia futura avrebbe offerto guerre infelici, paci ruinose ed interne discordie, le quali avvilirlo dovevano come popolo prima di farlo cessare di esistere come Stato.
La Scandinavia offeriva all'osservatore nella Danimarca un'amministrazione paterna e modesta senza essere priva di lumi; nella Svezia, un sovrano distinto che tolse a operare una rivoluzione politica, condotta pressoché in guisa di una cospirazione, e la quale sebbene tendesse a restringere i poteri dei corpi deliberanti fu popolare, siccome quella che ristabiliva l'equilibrio necessario per fare il ben dello Stato: il sovrano perí vittima dei risentimenti di una classe e del delitto di un individuo, ma restò venerato e fu pianto.
L'Italia godea della pace da piú di quarant'anni, pace di cui la prosperitá fu conseguenza. I suoi governi in generale tendevano al progresso, fuorché le repubbliche. Gli avanzi del medio evo erano combattuti da' governi monarchici della penisola, siccome quelli che ponevano ostacolo ai miglioramenti amministrativi e all'unitá del potere sovrano. La vita attiva d'altronde era quasiché spenta negli individui: nessuno sforzo si esigeva da essi né dalle masse per cooperare ad un ordine di cose che procedeva naturalmente e che in virtú di felici circostanze favoriva il benessere ed il riposo. Ben trista era una siffatta disposizione per affrontare quella serie di solenni e gravi avvenimenti che doveano sconvolgere la penisola dalle Alpi al Faro.
La riconosciuta indipendenza degli Stati uniti d'America era il preludio della decadenza del sistema coloniale, e appariva chiaramente che il monopolio delle metropoli sulle loro colonie, considerato come la sorgente della ricchezza dello Stato, doveva accelerare la separazione degli Stati americani, i quali avrebbero oramai influito lentamente sul sistema generale come Stati e non piú come possessioni europee, secondo che era accaduto fino all'epoca di cui teniamo discorso.
Il carattere generale dell'epoca è lo stesso di quello che dicemmo aver contraddistinto l'epoca esaminata nel precedente discorso, essendosi le grandi trasformazioni operate nel corso del periodo. Cercherem poi da ultimo di riassumere le condizioni della societá dopo i grandi avvenimenti cui fu soggetta, ed i cangiamenti che si operarono in essa sotto tutti gli aspetti.
Ora secondo il metodo per noi adottato in questo lavoro proporremo alcune quistioni e faremo di scioglierle.
1. Quali fossero gli uomini, le armi e gli ordini nei periodi dal 1789 al 1800 e dal 1800 al 1815.
2. Quale lo stato della tattica, della strategia, della fortificazione, della guerra di assedio, dell'amministrazione militare e di tutte le istituzioni correlative nei due periodi sopra indicati.
3. Quali mutamenti o modificazioni subisse la scienza militare verso la fine del periodo del quale trattiamo, e come se ne rilevi lo stato dagli scrittori militari, dalle pratiche dei gran capitani e dalle istituzioni che ne son risultate. Da ultimo in che modo possano considerarsi queste modificazioni delle belliche scienze, come accadano e come esprimano le vicende sociali e intellettuali dell'epoca.
4. Qual fosse lo stato delle scienze esatte, naturali e morali nell'indicato periodo.
5. Quale il carattere dello stato sociale verso la fine del periodo e ciò che ha lasciato traccia dello stato intermedio per cui è passato.
6. Quali i risultamenti politici di questa lunga lotta dopo il congresso di Vienna ed in che le transazioni intermedie sieno state conservate o sieno interamente scomparse.
La composizione della forza pubblica nel suo primo elemento, cioè gli uomini, non subí nessuna modificazione nei vari Stati europei fino all'epoca della guerra della rivoluzione, la quale fece entrar nell'esercito di Francia i battaglioni delle sue numerose guardie nazionali — create per mantenere l'ordine interno — onde supplire alle perdite ed opporre forze bastanti al numero de' nemici. A questo si aggiunse una requisizion generale, che non richiedeva altra condizione che quella dell'etá per farne parte o per esserne escluso. Sí fatto mezzo straordinario e violento non potea divenire metodo permanente se non che regolarizzato siccome legge e perdendo colla sua forma anche il nome. Cosí nel 1799 fu decretata la coscrizione, che dichiarava il servizio militare come dovere di tutti, successivo e temporaneo, e che armonizzava con l'unitá della legislazione civile, criminale e finanziera ch'era stata sostituita alla divisione in classi, in ordini ed in privilegi particolari; e cosí la tendenza alla fusione delle classi tutte della societá nel senso delle loro obbligazioni, la quale formava il carattere del secolo decimottavo, trovava la piú significante espressione nella scelta degli uomini destinati a comporre gli eserciti. La composizione del corpo degli uffiziali subí il cangiamento corrispondente all'abolizione de' privilegi nell'ordine civile, e il servizio essendo divenuto un dovere, bisognava che potesse divenire una carriera per tutti, esigendosi non piú privilegi di nascita ma condizioni di capacitá. Ciò fece che non vi fosse piú soluzione di continuitá nell'esercito, dal tamburino al generale in capo; e quando Luigi decimottavo diceva che nella giberna di ogni soldato vi era un bastone di maresciallo, dava al tempo stesso una definizione chiara ed una sanzione solenne a questo gran fatto sociale. E se vuolsi por mente alla composizione della forza pubblica nel medio evo tal quale noi l'esponemmo nel terzo discorso, vedrassi essere stata interamente diversa dalla presente, perocché ivi tutto era individuale e per cosí dire privilegiato, e qui tutto generale e condizionato. E nei seguenti discorsi, dal quarto al settimo, abbiamo indicati tutti i passi successivi che si erano fatti per operare gradatamente e senza sorpresa questa fausta trasformazione nel primo elemento della milizia; trasformazione che simboleggiava e confermava al tempo stesso quella operata in tutto l'ordine sociale. Gli altri Stati europei che combattevano la Francia e si opponevano alla rivoluzione anziché adottarla, furono pur nondimeno costretti dal sentimento della propria conservazione a supplire ai mezzi ordinari che la guerra coi suoi nuovi metodi distruggeva rapidamente, chiamando sotto forme e nomi diversi tutta la loro popolazione valida a servir di riserva e di alimento agli eserciti. E questo movimento cominciò nel 1808 nella penisola spagnuola, nel 1809 in Austria, e durò fino al 1815 da per tutto fuorché in Inghilterra, ove si reclutò bensí nelle milizie, ma per influenza dei capi e non per legge dello Stato. Una volta chiamate le masse a formare l'esercito, non solo era necessario il sistema delle pene, ma bisognava allettarle con quello delle ricompense; per il che decorazioni ed avanzamenti furono accordati, e questo ancora negli Stati ove dagli ordinamenti civili la separazione delle classi era stata conservata e sussistevano interi i privilegi e finanche la servitú della gleba. Epperò la Francia e le sue dipendenze adottarono il nuovo sistema come conseguenza della loro legislazione, e le altre potenze in opposizione agli ordinamenti che le reggevano lo adottarono perché il richiedea l'interesse della propria conservazione; chiara pruova del nostro assunto sull'influenza reciproca delle belliche scienze e dello stato sociale.
Se grandi furono gli effetti di questi avvenimenti sugli uomini, piccioli furono sulle armi e possono ridursi: 1. all'uso piú frequente dell'artiglieria leggiera, con vari metodi nei diversi Stati; 2. all'uso degli obici fatto piú frequente ed in proporzioni maggiori coi cannoni, fino a formare il terzo de' pezzi di una batteria; 3. ai razzi alla congrewe che furono impiegati negli eserciti alleati anche in campagna, e dal 1813 in poi adottati generalmente, benché senza aver grandi effetti; 4. alla importanza che racquistarono nel secondo periodo, dal 1800 al 1815, i corazzieri e i lancieri.
Gli ordini, per la stessa causa, non subirono alcuna alterazione e furono i medesimi che nell'ultima epoca di Luigi decimoquarto e di Federico secondo, se ne togli le tre righe nella cavalleria le quali furono dissusate piuttosto che abolite. Si conservò ancora l'ordine in due righe adottato come primitivo nell'esercito inglese per la fanteria. L'ordine del giorno dodici ottobre 1813 all'esercito di Napoleone, ove è prescritta la formazione in due righe, ma disposta in colonna per divisione, e questa come ordine abituale, non può esser considerato che come una disposizione di circostanza per potere maneggiar facilmente un esercito forte di numero e povero d'istruzione, e cosí dargli piú consistenza contro la cavalleria nemica alla quale non poteva opporsene una simile per numero e qualitá. Ed in effetto i militari regolamenti posteriori non hanno fatto veruna menzione di quest'ordine di battaglia siccome parte della tattica elementare.
Venendo ora alla soluzione del secondo quesito, diremo che la tattica seguiva in tutti gli Stati europei piú o meno compiutamente il sistema prussiano. In Francia l'ordinanza del 1791 semplificava e perfezionava questo stesso sistema, e l'esperienza acquistata in un lungo periodo di guerra fatta su tutti i terreni e con tutte le nazioni non rese necessario verun cambiamento importante, del che l'ordinanza del 1831 è una novella e piú compiuta dimostrazione. In tutta l'Europa s'imitò piú o meno quel regolamento. Nel secondo periodo un'ordinanza di cavalleria fu redatta in Francia nel 1802 da uomini molto periti nell'arma e ricchi dell'esperienza di dieci campagne. I conoscitori trovano questo regolamento fondato sull'essenza dell'arma, dettato dalla pratica della guerra, e veggono nella sua posizione una severa deduzione logica dai principi alle conseguenze dei movimenti tutti. L'ordinanza del 1831 pubblicata in Francia per l'arma di cui discorriamo, ad avviso di distinti generali e dei medesimi collaboratori di essa, non contiene veruna mutazione importante. Se tanta scienza e tanta esperienza sparsa in Francia non ha saputo procacciare maggiori perfezionamenti alla tattica elementare delle due arme, rimane dimostrata la soliditá de' principi che furono stabiliti nella redazione delle prime ordinanze. L'artiglieria non variò molto nei suoi metodi. Solo l'artiglieria a cavallo riunita in gran masse ebbe bisogno di ricorrere agli spiegamenti, come le due altre arme, ove la parte giá spiegata favorisce quella che dee ancora spiegarsi[32]. Ma se la tattica elementare quanto alle armi ed agli ordini non subí, né il poteva, gran cambiamenti, la tattica sublime ricevette nelle varie circostanze di cosí lunga lotta qualche modificazione, la quale perfezionò l'uso della tattica elementare senza alterarne i principi.
Il disordinamento che la rivoluzione produsse negli eserciti francesi per l'emigrazione degli uffiziali e per l'indisciplinatezza dei soldati, dovette far sorgere il bisogno di un'applicazione della tattica che corrispondesse agli elementi di cui si componeva la forza pubblica in quello Stato e in quell'epoca. Il problema da risolversi consisteva nel determinare come potesse opporsi con buon successo un esercito composto di antichi soldati non agguerriti e di nuovi non istruiti a truppe istruite e agguerrite. La flessibilitá dell'ordinanza del 1791 permise di adottare un sistema che risolvette il problema enunciato. Il metodo fu il seguente. Si facea cominciare il combattimento da una massa di bersaglieri superiore di molto alla consueta, per modo che vi s'impiegavano battaglioni interi. Questi, abbandonati al loro coraggio ed alla loro intelligenza individuale, riconoscevano la parte debole della posizione nemica, penetravano negl'intervalli, attiravano l'attenzione della fanteria e profittando del terreno operavano contro l'artiglieria con un fuoco di moschetteria esatto e continuo. Cosí operando coprivano i movimenti delle masse, le quali formate in ordine di colonna per battaglioni o per reggimenti, protette dall'artiglieria di campagna e sostenute dalla cavalleria, caricavano le posizioni nemiche e si spiegavano dopo averne preso possesso. La romana legione si vide ristaurata nella formazione delle divisioni, le quali composte di tutte le arme, potevano isolatamente operare in tutti i casi. L'artiglieria fu resa piú mobile, e la leggiera in ispecie dal far parte dei battaglioni passò dal 1794 fino al 1812 ad essere annessa alla divisione; e se i battaglioni ebbero i loro pezzi, ciò fu eventualmente e per facilitare i trasporti di artiglieria. La rapiditá dell'artiglieria leggiera favorí il nuovo genere di combattere, col prendere rapidamente di fianco le posizioni o concentrar molti fuochi sul punto che voleva forzarsi, prima che fosse rinforzato da un'artiglieria meno mobile. Questo sistema comandato dalla necessitá ebbe il suo effetto in questo: che le battaglie furono ridotte ad una serie d'affari di posti nei quali le posizioni estese erano forzate, le circoscritte accerchiate, in guisa che tutte le linee composte d'ostacoli territoriali perdettero la loro importanza e il cordone difensivo del Lascy dovette soccombere in faccia ad un cordone offensivo, che aveva per sé i vantaggi del movimento e dell'impulsione che ne deriva, e che bilanciava i vantaggi che le truppe ben manovranti dovevano avere sulle inesperte. Ciò che vi era d'inusitato in tal metodo contribuí al suo felice successo, e tutte le battaglie date, da quella di Jemmapes nel 1792 fino a quella dell'esercito del Reno a Landau nel 1795, furono cosí condotte ed ottennero felici risultamenti. Persino a Fleurus ove si operava con masse riunite in un terreno circoscritto, ogni divisione francese difese parzialmente il proprio terreno, e niun gran movimento venne impiegato in quella importante giornata. Fino al 1800 il sistema fu lo stesso, e la battaglia di Zurigo fu un combattimento che durò quindici giorni sopra uno spazio di cinquanta leghe; nelle battaglie di Stockak, di Dettingen, della Trebbia e di Novi, benché si operasse sopra terreni limitati, meno l'impiego di qualche riserva non videsi nulla che rassomigliasse a Leuthen e Rosbac, come neppure nelle strepitose azioni di Castiglione, di Arcoli e Rivoli[33]. La battaglia di Marengo nel 1800 è la prima ove si vedono alte combinazioni tattiche per rifiutare un'ala o per farne avanzare un'altra, ed alla stessa epoca nelle battaglie di Moreau sul Reno, ad Engen, a Moschik, a Biberach, ad Hohenlinden, si vide l'impiego della tattica; il che vie meglio dimostra che le truppe erano piú istruite e i generali piú avvezzi a muover le masse. In tutte queste guerre la cavalleria francese, inferiore in tutto fuorché nel valore a quella degli alleati, operava per cariche parziali, e i loro nemici non ebbero né un Seidlitz né un Murat per trarre partito dalla loro cavalleria. La battaglia di Marengo fa di ciò ampia fede. La campagna di Egitto rese necessario l'uso de' quadrati in una grande scala e come ordine abituale, mentre vaste pianure ed un nemico forte in cavalleria indicavano il metodo che Marco Antonio aveva adottato contro i Parti presso l'antichitá e Munick nella conquista della Crimea. L'ordine in quadrato divenne pei francesi in Egitto ciò che i campi erano pei romani, essendo provato che gli ordini e gli accidenti del terreno e i mezzi fortificatorii a vicenda si appoggiano e si suppliscono nelle guerre.
Ma nel secondo periodo, durante le guerre dell'impero, dopo i campi delle coste dell'Oceano, ove l'istruzione delle truppe fu spinta ad un alto grado, le battaglie ebbero un'altra fisonomia: le masse concentrate in terreni circoscritti compivano con movimenti tattici ciò che si era operato con movimenti strategici. In questo secondo periodo alle divisioni si dette un centro particolare d'unitá, formando dei corpi d'esercito di due o tre divisioni con la corrispondente cavalleria leggiera, artiglieria di divisione e di posizione, genio ed amministrazione militare. Cosí davasi a questi corpi tutti i mezzi di un esercito compiuto, e gli ordini per farli concorrere ad una grande operazione non erano men laconici di quelli che dannosi da un capo di battaglione ai capi di plotone. Una riserva di guardie e granatieri riuniti, ed una riserva egualmente di cavalleria pesante, mezzana e leggiera, ed una gran riunione di artiglieria concentrata nel medesimo scopo apprestava a chi tutto reggeva il mezzo di vedere con tranquillitá operare tutti i suoi corpi e di avere con che rinforzarli secondo il bisogno. Cosí si operava ad Austerlitz, a Jena, a Friedland, a Wagram, del pari che alla Moskowa, a Lutzen, a Bautzenz, a Dresda, Lipsia: e queste battaglie possono paragonarsi a quelle del gran Federico non giá nei particolari dell'esecuzione ma bensí nel concepimento e nello scopo; mentre sorprendere, oltrepassare un'ala o sfondare il centro è sempre la tendenza di queste battaglie, e le piú sterili in risultamenti, come quella di Borodino, sono quelle date in ordine parallelo, e Waterloo n'è una novella pruova per chi attaccava. Può dirsi che una battaglia era un assedio fatto in poche ore: mentre nel primo periodo i bersaglieri e l'artiglieria cercavano di estinguere i fuochi e riconoscere il terreno del nemico — il che potrebbe paragonarsi all'investimento e alla prima parallela, — indi le truppe operavano per impadronirsi di qualche punto piú importante, e da ultimo la gran riserva d'artiglieria apriva la breccia nel punto determinato dell'ordine di battaglia, le colonne vi penetravano e la cavalleria ne compiva il successo[34] con isciogliere i corpi ordinati ed impedire il riordinamento di quelli giá sciolti. Gli eserciti del nord hanno adottato successivamente questa organizzazione e questi metodi (l'Austria nel 1809, la Russia nel 1812 e la Prussia nel 1813), cioè i corpi d'esercito, le riserve e i modi di operare che ne derivano, come l'uso dell'ordine profondo. Ma l'esercito inglese ha combattuto seguendo metodi quasi opposti, mentre l'ordine sottile vi era applicato al massimo grado, la fanteria essendo ridotta abitualmente a due righe. Non usavasi che come eccezione l'ordine in colonna e facevansi le cariche alla baionetta anche nell'ordine spiegato. Il modo di armarsi, le qualitá morali del soldato inglese ed il genere di guerra adottato erano in armonia coi limitati mezzi di reclutamento posseduti dall'Inghilterra, e tutto tendeva a creare un sistema opposto a quello de' francesi nato da circostanze diverse. Ricorderemo a' nostri lettori aver noi nel settimo discorso enunciato che il gran Federico avea non solo descritto ma sommamente lodato in una lettera al general Fouquet l'ordine di battaglia difensivo che gli austriaci adoperavano a fine di rompere l'urto degli attacchi dei prussiani. Ora egli dice che gli austriaci collocavano la loro prima linea a mezza costa delle alture, la seconda alla sommitá, le truppe leggiere alla base, l'artiglieria disposta anche ad anfiteatro per battere i rientranti non sempre direttamente occupati, e la cavalleria a portata de' terreni ove poteva operare ed in modo da non esser esposta inutilmente al fuoco del nemico. Il sistema adottato dagl'inglesi nel corso del secondo periodo della guerra della rivoluzione ricevette nella guerra della penisola il suo compiuto sviluppo. Adottavasi la disposizione descritta dal gran Federico con qualche differenza che indicheremo. La prima linea, la disposizione dell'artiglieria, delle truppe leggiere e della cavalleria, erano presso a poco le stesse: ma la seconda linea che gli austriaci tenevano formata alla cresta, nel metodo inglese era al rovescio dell'altura e cosí resa invisibile al nemico, il quale non potea fare se non una imperfetta riconoscenza; e perciò quando le truppe nemiche formate in colonna per battaglioni, superate tutte le difficoltá del terreno e la resistenza della prima linea dell'artiglieria, erano giunte a coronare a forza di valore e di perseveranza la sommitá della posizione ove arrivavano disordinate ed indebolite, la seconda linea che fino allora s'era tenuta nascosta, mostravasi, faceva una scarica a piccola portata e subito dopo caricava alla baionetta, con che faceva dare indietro e scendere in disordine le truppe ch'erano salite con tanto vigore all'attacco. Oltre a ciò in ogni battaglione il plotone estremo faceva una conversione pria di far fuoco, a fine di prendere in fianco il battaglione nemico che gli era opposto; ed allora la cavalleria profittava del terreno e della posizione per render compiuta la riuscita, e la prima linea si riordinava dietro alla seconda e concorreva a por fine alla lotta. Questa combinazione di disposizioni tattiche e questa scelta di posizioni fecero sí che l'impetuositá francese venisse un poco sconcertata; ed il metodo col quale avea vinto le prime coalizioni ed era creduto il solo buono pei suoi brillanti risultamenti, fu posto in quistione nella guerra della penisola, essendovi un grave svantaggio pei francesi nel combattere con una fanteria stanca e disordinata le tre armi degl'inglesi, mentre la cavalleria francese non poteva servire negli attacchi di quelle posizioni, e l'artiglieria non potea secondare la propria fanteria se non che nel primo periodo e non giá nell'ultimo ch'era il decisivo. Le battaglie di Canopo in Egitto e di Maida in Calabria furono seguite dalle battaglie di Vimiero, Talavera, La Corogna, Busacco, Fuents d'Onoro, Albufeira e Salamanca, che ebbero tutte lo stesso risultamento nella penisola, e Waterloo compí questa serie di esperienze e di costanti successi degl'inglesi nella guerra difensiva e mostrò i vantaggi dell'ordine sottile sul profondo di questo genere di combattimenti. Ci siamo distesi su questo oggetto perché a nostro credere resta a risolvere se nella tattica che ci ha lasciata la guerra della rivoluzione vi sia un altro metodo per ridonare a chi attacca qualche vantaggio su chi è attaccato, vale a dire determinare se gli ultimi progressi dell'arte colle armi presenti lascino la superioritá alla difensiva o all'offensiva, tatticamente parlando. Questo problema è fecondo in conseguenze non solo quanto alla guerra ma ancora quanto al sistema sociale.
Passando ora alla strategia che considereremo col metodo stesso di tutti gli altri rami dell'arte che sono compresi nella nostra seconda quistione, ricordiamo ai nostri lettori aver noi segnalato dal quarto discorso in poi l'apparizione evidente e i caratteri che essa ha rivestiti nei vari periodi, sempre in progresso relativamente alle sue applicazioni scientifiche. Nell'epoca della quale trattiamo fece de' passi immensi, riassunse la guerra tutta nelle sue teorie e ne subordinò tutti gli effetti nelle pratiche operazioni, come per esempio la coscrizione, in virtú della quale si operarono le vaste trasformazioni che l'equilibrio politico e il sistema sociale subirono in questa epoca; trasformazioni sí fatte che ne formano un'èra istoricamente e filosoficamente considerata, siccome quella che ha il doppio carattere di riassumere il lento lavoro dei secoli scorsi e di dare una nuova impulsione ai futuri. Noi per tutte le esposte ragioni andrem discorrendo i metodi di strategia impiegati nei due periodi dell'epoca della quale è parola.
I non buoni elementi militari che si trovò avere la Francia nella sua prima guerra contro i coalizzati la costrinsero a risolvere il problema «di muovere masse numerose poco istruite e con capi nuovi nell'arte contro avversari che possedevano gli opposti vantaggi». A fine di conseguir ciò, era necessaria una direzione unica la quale desse una impulsione uniforme, ed esigevasi che la scienza presedesse dal gabinetto alle cose della guerra e supplisse ad un generale unico e superiore che non esisteva, ed il quale per l'estension dello spazio ed il numero delle truppe non avrebbe potuto bastare all'adempimento di tanti doveri. Da ciò venne che un membro del governo che reggeva la Francia fosse esclusivamente incaricato nel 1793 di difendere il territorio francese dalla formidabile invasione che il minacciava. Carnot alla testa di un comitato militare nel quale aveva posto il Darcon e che componevasi di quanto vi era di piú distinto nel corpo del genio che aveva sopravvissuto alla rivoluzione, formò il piano celebre della campagna del 1794, ove tutta la frontiera da Uninga a Dunkerque fu considerata come un sol campo di battaglia, e i quattro eserciti che occupavano e difendevano la frontiera dell'est furono riguardati siccome divisioni di una gran massa, le quali operare doveano secondo il piano generale e concorrere tutte ad un alto scopo. Questo consisteva nell'operare concordemente su tutta la linea dei movimenti rapidi, generali e successivi, i quali tendevano ad inviluppare le ali o sfondare il centro della posizione del nemico strategicamente considerata e a lasciar indietro le piazze di guerra e gli ostacoli naturali, tutti calcolati per resistere ad un numero minore di uomini operanti con una moderata attivitá ed in ispazi piú circoscritti. Le posizioni divennero inutili, siccome quelle che furono girate o sfondate, e le piazze oltrepassate, per modo che non si trovarono in grado di esercitare influenza sul teatro della guerra che la rapiditá dei movimenti avea trasportato in una piú lontana regione. Sará facile il concepire che questo metodo sí ardito, aiutato da tutto il prestigio della novitá e combinato col sistema di tattica che descrivemmo, fece sí che gli eserciti nemici coi loro metodi fossero rotti e sorpresi, benché avessero tutti i vantaggi che arrecano l'istruzione ed un provato valore; le quali prerogative loro servirono per rendere onorevole la lunga ritirata colla quale abbandonarono ai francesi tutto il paese posto tra la frontiera e il corso del Reno: risultato immenso nei suoi effetti morali e materiali, ma che poteva, siccome accadde, indurre in errore sulle massime scientifiche della strategia. In effetto esagerando i successi ottenuti sopra un teatro di guerra piú eguale, si volle nel 1796 applicare lo stesso metodo d'operazione contro le ali del nemico per riunirsi offensivamente dietro alle sue linee di difesa, a un teatro di guerra che abbracciava lo spazio compreso fra l'Olanda e le Alpi marittime. E tali eserciti dovevano riunirsi dopo aver traversato il Reno e le Alpi, e poscia il Po, il Danubio e nuovamente le Alpi, nonché tutti gli affluenti che si gittano nel Mar Nero verso il basso Danubio. L'arciduca Carlo riconducendo la strategia alla sua gran regola di operare in massa, che la guerra de' sette anni aveva sí ben dimostrata, salvò la Germania dall'invasione; e se la guerra fu in ultimo favorevole ai francesi, secondo che ne fa fede la pace di Campoformio, ciò fu dovuto al duce delle armi francesi in Italia, il quale applicò con maggior vigoria e piú compiutamente il sistema che il principe austriaco aveva seguito in Germania e diè luogo ad un raro fenomeno che difficilmente si rinnoverá, vale a dire che la casa d'Austria fu minacciata nella parte men vulnerabile delle sue frontiere, cioè in quella che è custodita dalle Alpi Noriche e Rezie. A Montenotte, a Lonato, a Castiglione e a Rivoli[35] si videro i miracoli della strategia, e i risultamenti di Wurtzbourg in Germania ne furono la contropruova. Le ostilitá riprese nel 1799 fecero seguire a chi reggeva la Francia gli errori del piano del 1796, e l'apparizione dell'esercito russo ruppe ogni proporzione di forza numerica, mentre la Svizzera divenuta anch'essa teatro di guerra ne accrebbe lo spazio, e i francesi perdettero le loro conquiste. Ma l'applicazione della strategia fatta da Massena a Zurigo preservò il territorio francese da una invasione, sciolse la seconda coalizzazione e preparò i successi di Marengo e di Hohenlinden, dove il sistema dell'operare in massa ebbe grandi risultamenti sotto la direzione del generale che tanti ne aveva ottenuti in Italia e in Egitto. Questi mercé della vasta applicazione del sistema anzidetto riprese in Europa la superioritá sugli austriaci rimasti soli, riguadagnò il perduto e alla pace di Luneville, seguita da quella di Amiens, fece riconoscere i nuovi acquisti della Francia e pose fine alla guerra generale cominciata nel 1792. Ma nelle guerre dell'impero che seguirono la rottura della pace di Amiens, la strategia acquistò tale importanza, fece tali progressi che rivestí interamente, presso gli scrittori militari che ne trattarono, il carattere di una scienza, se non esatta nel senso compiuto della parola, quasi che esatta. Parlando della tattica in questo secondo periodo, vedemmo che i campi sulle coste dell'Oceano avevano consolidata l'istruzione delle truppe francesi e avvezzati i loro generali a muover le masse con precisione sopra terreni circoscritti; e come nelle prime campagne della rivoluzione la strategia aveva dovuto adattarsi allo stato dell'istruzione delle truppe, in questa serie di guerre poté seguire piú liberamente i principi veri della scienza, avendo uno strumento piú perfezionato per compiere le grandi operazioni. Le campagne del 1805, 1806 e 1809 furono l'apogeo della strategia per parte degli eserciti di Francia retti da Napoleone, il quale divenuto pieno signore di quello Stato ed in conseguenza riunendo al suo genio mezzi vastissimi ed alta potenza, fece sopra una vasta scala ciò che aveva fatto nelle prime campagne d'Italia. I risultamenti furono proporzionati alle masse poste in azione e agli spazi nei quali operavasi. Ciò che aveva reso sterili di gran risultamenti le guerre del secolo di Luigi decimoquarto era stato appunto la disproporzione fra gli eserciti e gli spazi che dovevano occupare, e il difetto di speditezza per profittare della vittoria e per ritrarne l'ultima conseguenza, cioè quella di sciogliere l'ordine negli eserciti dei loro avversari. La massima del gran Turenna, il quale stimava che cinquantamila uomini fossero il piú gran numero che un generale potesse comandare con buon successo, fu confermata dalle guerre ch'ebbero luogo dopo la sua morte. Napoleone ovviò a questo inconveniente dividendo le sue cresciute forze in corpi di esercito che possedevano tutti gli elementi necessari per operare isolatamente, siccome notammo nel parlar della tattica. A questo modo duecentomila uomini divisi in otto corpi avevano la massa di duecentomila e la mobilitá di venticinquemila, ed il male che Turenna avea fatto notare venne distrutto dalla superioritá di questo metodo. Cosí dopo una battaglia che compiva le operazioni strategiche, i perdenti si trovavano inseguiti in tutte le direzioni con la massima velocitá dalla riserva di cavalleria e da tutto l'esercito che la seguiva e la sosteneva: i posti erano girati e le piazze lasciate indietro. L'esercito battuto, costretto a rapide marcie, perdeva giornalmente uomini, materiale e organizzazione; la sua forza morale degradava in proporzione de' suoi disastri, e non aveva il tempo di riordinarsi e di riprendere lena collocandosi in una posizione difensiva: poiché se questa era estesa, veniva forzata; se stretta, non era bastante ad arrestare i gran movimenti dell'esercito nemico costituito a quel modo che ci facemmo ad esporre.
Abbiamo fatto notare il come la strategia dominasse la tattica. Ed in effetto non si apriva una campagna per incontrare il nemico, ma si cercava di occupare i punti strategici ed in ogni battaglia si tendeva a impedire al nemico di riprendere le comunicazioni perdute pei movimenti strategici, e non appena erasi guadagnato uno di questi punti, da esso passavasi agli altri per la strada piú corta; per modo che chi era attaccato, battuto strategicamente, veniva a battaglia non per vincere ma per potersi ritirare. Questa sola condizione rendeva la lotta ineguale nelle sue conseguenze, e chi trionfava separava il suo avversario da tutti i suoi depositi e penetrava nel centro dello Stato, nella capitale, e cosí costringea a delle paci le quali rassomigliavano alla capitolazione di una piazza la cui breccia fu aperta. La pace di Presburgo dopo due mesi nel 1805, quella di Tilsit nel 1807 e quella di Vienna nel 1809 compruovano la nostra asserzione; e però altrettanto sagace che luminosa troviamo la denominazione di «battaglie strategiche» data dal general Lamarque a quelle combattute in tali campagne[36]. E la piú compiuta di tali operazioni ebbe luogo nei cinque giorni del 1809, che cominciarono il diciotto aprile e finirono il ventitré col combattimento di Ratisbona, ove il perno tenne fermo e la riunione si operò combattendo ed isolando le numerose masse del nemico, e si occupò la capitale un mese dopo il cominciamento delle ostilitá. Questa rapida distruzione delle forze ordinarie e regolari dello Stato rese indispensabile l'armamento e l'ordinamento di tutta la popolazione virile per difendersi contro guerre che non si limitavano alla periferia, ma che penetravano nell'interno dello Stato. Noi abbiamo indicate, trattando della scelta degli uomini, le conseguenze di varia natura che questa necessitá generava sotto tutti gli aspetti militari e sociali. In effetto per arrestare questo torrente era necessaria la combinazione della guerra popolare[37] colle forze regolarmente ordinate e coi vasti spazi. Tutto questo impediva al sistema enunciato di operare in modo da serrare in un angolo le forze regolari, distruggerle con quindici giorni di movimenti e di combattimenti ed impadronirsi di tutte le risorse di un popolo attonito e passivo. Tale fu la guerra della penisola, ove la popolazione energica della Spagna, aiutata direttamente e indirettamente dall'Inghilterra, sembrò rinnovare il sistema praticato nell'antichitá ed ignoto ai moderni, che gli spagnuoli avevano impiegato contro i romani[38] e gli arabi. L'esercito francese possedeva una superioritá riconosciuta nelle battaglie, e ciò fu pienamente dimostrato dai suoi successi nella campagna d'inverno del 1808 da Napoleone guidata. La dura necessitá forse piú che la ragione fece adottare un sistema che preservava dal doppio effetto della massa e della mobilitá delle truppe. Lasciando loro grandi spazi di paese, la loro linea d'operazione si rendeva profonda e la loro fronte estesa, per modo che dividendosi perdevano tutti i vantaggi inerenti alle masse, e concentrandosi, tutti quelli inerenti alla mobilitá; il che rendeva anche piú grave la difficoltá delle sussistenze. Il sistema di difesa della penisola fu dunque regolato in guisa tale che il nemico non trovasse ostacoli nella sua impulsione offensiva, ma che una volta padrone di vasti spazi fosse costretto a difenderli, e perdesse cosí tutti quei vantaggi primitivi che il proprio suolo e le simpatie locali offrono in questo genere di guerra. Indebolito numericamente e moralmente, poteva allor facilmente esser battuto ne' vari suoi corpi e costretto ad una ritirata assai disastrosa, vista la profonditá della linea d'operazione. Il Portogallo costituiva la cittadella della penisola, e le linee di Torre Vedras erano per cosí dire il ridotto dove l'esercito ausiliario inglese, che conteneva l'elemento meglio ordinato della resistenza, poteva restringere la sua difesa ed uscirne, onde riprendere l'offensiva quando le circostanze della guerra della penisola o di altre combattute nel resto di Europa avessero reso facile, utile e possibile l'osarlo con isperanza di buon successo, siccome avvenne.
La campagna del 1812 dá luogo a profonde riflessioni, mentre pel numero e la varietá degli uomini componenti gli eserciti presenta un esempio unico in Europa, cioè quello di veder realizzata una guerra che aveva l'aspetto di una crociata; ma il poter muovere masse composte di elementi cotanto svariati in virtú dell'aiuto di molte scienze era una grande dimostrazione dei progressi della civiltá europea e della unitá de' metodi guerrieri. Però le forze umane son limitate e il genio stesso è circoscritto dallo spazio e dal tempo, che paralizzano la sua azion vigorosa. In effetto se Turenna avea limitato a cinquantamila uomini la forza di un esercito che un uomo potesse condurre, Napoleone ha provato che con duecentoquarantamila uomini e cento leghe di spazio accadeva lo stesso, mentre l'aumento delle masse e dello spazio faceva dipendere la riuscita delle operazioni dai luogotenenti e non piú dal sommo capitano; ciò che rendeva l'azione di un uomo superiore quasiché secondaria, perché non potea né dirigere il tutto né riparare agli errori commessi, ed aveva contro di sé lo spazio ed il tempo che son tutto alla guerra[39].
La campagna del 1813 fu una pruova novella di quel che abbiam detto, e Javer, Dennevitz, Culm paralizzarono i successi di Dresda e i vantaggi della linea interna dell'Elba. Parliamo di queste campagne sotto il rapporto puramente strategico, ma vi erano altre cause di diversa natura che influivano sui loro risultamenti.
Nella campagna del 1814 non era piú il capo dell'impero ma il generale dell'esercito d'Italia, il quale, se ne togli l'entusiasmo ed i veterani che il secondavano, con forze inferiori rinnovava a Champaubert e a Montmirail i prodigi di Lonato e di Castiglione contro l'Europa irritata, agguerrita e potente. Ma qui non v'era che l'arte: tutto il resto era contro; e la missione dell'arte si è quella di facilitare lo svolgimento degli avvenimenti piú che di travolgerne il corso.
La campagna del 1815 artisticamente immaginata confermava ciò che disse il Montesquieu con tanta sagacitá, cioè che uno Stato soccombente alla perdita di una battaglia non dovea cercare sul campo l'origine della sconfitta, ma penetrare piú addentro e rimontare piú ad alto.
La fortificazione scientificamente considerata non fece gran passi, rimanendo sempre al punto in cui Vauban l'aveva lasciata. Benché molti distinti autori ne perfezionassero i metodi, la difesa restò sempre inferiore all'attacco; né valsero i lavori del Saint-Paul, del Bousmard e la bella opera di Carnot, il quale cercava colla difesa attiva, coi fuochi curvilinei e con qualche modificazione nel disegno, di ritardare l'ultimo periodo della difesa e di renderlo piú vigoroso. È facile dedurre dalle combinazioni strategiche che la guerra d'assedio nel primo periodo era divenuta secondaria, e non son da notarsi che la difesa di Kehl nel 1797 fatta da Moreau e quella di Genova da Massena. Queste due operazioni fan chiaro a nostro credere che l'antica importanza delle piazze era sparita, non perché fossero inutili ma perché poco proporzionate al numero degli eserciti e alle vaste contrade che servivano di teatro alla guerra. In effetto a Kehl ed a Genova la fortificazione era un ausilio e un appoggio alle operazioni de' corpi d'esercito che da quei punti operavano. La difesa di Danzica nel 1813 nel secondo periodo rivestí lo stesso carattere, cioè quello di un gran campo trincerato in un teatro a parte, che operava per proprio conto e non attendeva soccorso da una operazione, ma si giovava dei risultamenti generali di una o piú campagne. E una tal circostanza stabiliva un'altra scala e rendeva miste le operazioni prima circoscritte dell'attacco e della difesa de' punti fortificati. Infatti le piazze costruite dipoi furono, come per esempio Alessandria, considerate siccome rifugio di un esercito per tenere un paese fino all'arrivo di un altro esercito; ed essendosi osservato che le piazze di frontiera venivano separate dagli eserciti e dallo Stato dopo le prime operazioni militari, il che faceva che tutti gli arsenali e stabilimenti militari si trovassero bloccati quando erano piú necessari, le piazze, come abbiam detto di Alessandria, furono stabilite nell'interno onde conservare piú lungo tempo i vantaggi sopra indicati[40].
La guerra della penisola pose in luce la guerra d'assedio, e l'attacco di Gaeta che precedette la guerra di Spagna fu quello ove le parallele si ridussero a due, cominciandosi il fuoco quando erano terminate e non successivamente come prima erasi fatto. La natura di quella piazza contribuí a fare adottare questo sistema. Le difese di Saragozza, di Girona e di Tarragona ricordarono gli esempi di Sagunto e di Numanzia, ma era necessario il concorso delle popolazioni per adottare un sistema di difesa; per il che i corpi facoltativi francesi nei numerosi assedi fatti dall'esercito di Aragona mostrarono di non aver nulla perduto del loro valore e di sapere applicare i vari metodi secondo la differenza dei casi. Gl'illustri nomi di Rogniat, di Haxo e di Vallée sono pruova di questo, ed il lungo blocco di Cadice dal 1810 al 1812 e la difesa di Burgos e di Badajoz mostrano lo stato della scienza, come l'interessante opera del colonnello Jones dimostra l'inferioritá degl'inglesi in questa parte dell'arte, non per mancanza di perseveranza e di valore ma per difetto di metodi.
La fortificazione di campagna si uniformò ai progressi degli altri rami dell'arte e divenne ausilio potente della gran guerra, ma piú nel secondo periodo che nel primo. Le fortificazioni dell'isola di Lobau, come le teste di ponte sulla Vistola e sulla Passarge nel 1807, ne sono chiarissima pruova. Queste opere gigantesche avevano per iscopo piuttosto di favorir l'offensiva che di sostenere la difensiva, come le antiche linee del secolo di Luigi decimoquarto; e ciò caratterizza a nostro credere la differenza radicale dell'arte nei due periodi. Le linee di Torre Vedras sono l'ultima espressione di questo stato della fortificazione di campagna nelle ultime guerre europee.
La castrametazione subí una compiuta modificazione e fu quasi distrutta, la mobilitá essendo divenuto lo scopo principale degli eserciti. Giusta l'esempio dei francesi le tende furono abolite, e all'attendarsi sottentrarono il serenare e il barricarsi nelle posizioni piú lungamente occupate. Questo cambiamento influí potentemente sulle posizioni e sulle riconoscenze di esse, mentre nelle prime si occupò presso a poco la linea con la quale si voleva combattere, e occuparonsi spesso i salienti e si abbandonarono i rientranti e tutti i terreni bassi che si consideravano difesi dalle alture. Se gli eserciti accampati presentavano all'intelligenza di chi faceva una riconoscenza elementi tali da giudicarne le forze, il nuovo sistema meglio nascondeva le truppe, ed i fuochi coprivano un movimento di ritirata ed ingannavano il nemico. D'altra parte questo metodo riusciva di maggior danno alle truppe ed ai proprietari de' terreni che momentaneamente occupavansi.
È cosa evidente che in un sistema di guerra simile a quello che abbiamo esposto, l'importanza del terreno sotto l'aspetto tattico e strategico ed anche amministrativo era immensa, e perciò lo stato maggiore doveva acquistare un'alta importanza, e con esso acquistar ne doveano tutti i lavori topografici, la riunione de' documenti e le memorie descrittive. In effetto il deposito della guerra divenne una grande istituzione, il che dovea essere quando nel primo periodo della guerra un comitato sedente nella metropoli aveva diretti piú eserciti operanti in luoghi diversi. Tutte le potenze belligeranti imitarono la Francia, e nel secondo periodo lo stato maggiore francese cosí per istruzione come per considerazione era inferiore a quello degli altri Stati. La parte scientifica riguardava gli uffiziali del genio e quelli segnatamente ch'erano addetti alla topografia[41]. Il genio ebbe nei «zappatori» delle truppe pel servizio dell'arma, il treno e gli equipaggi militari furono sottomessi alla disciplina comune ed offerirono tutti i vantaggi della regolare milizia, e gl'infermieri finanche furono militarmente ordinati. Il carattere scientifico appariva in tutte queste istituzioni, mentre le scuole militari acquistavano nuovo splendore, massime la politecnica la quale piú in lá ci faremo a considerare sotto un aspetto diverso.
L'amministrazione militare fu piú razionalmente ordinata, e l'ultimo passo di essa fu la separazione del personale dal materiale colla creazione degl'ispettori alle riviste. In Francia ciò avvenne nel secondo periodo, dopo il 1800, e il ministero stesso della guerra fu diviso in due dipartimenti indipendenti e vi si aggiunse il maggior generale che presedeva ai movimenti militari d'importanza in tempo di guerra. Ma l'amministrazione militare, malgrado qualche perfezionamento, dal momento in cui i movimenti furono cosí rapidi e che al sistema de' magazzini e dei convogli venne sostituito quello di requisizione locale, non ebbe piú né importanza né azione e fu subordinata ai capi militari di cui diveniva un passivo istrumento. Cosí accrebbe talvolta il male, facendo patire ad un tempo le truppe e paesi senza impedire le depredazioni fatte, o tollerate per lo meno, da chi piú poteva. E i paesi tutti e gli eserciti han conservato trista memoria della militare amministrazione, la quale una volta discreditata non fu piú, come accade, ritenuta dal pudore e rese vere le accuse che le si mossero contro. Del resto quel genere di guerra, ripetiamolo pure, non ammetteva la possibilitá di un ordine amministrativo regolare, talché gli eserciti del nord strascinati dalle circostanze han dovuto rinunziare ai metodi severi ed esatti della loro amministrazione per adattarsi ai bisogni del tempo; e lo Sthuthereim rileva questa disposizione parlando della battaglia di Austerlitz da lui descritta. D'altra parte non dee tacersi che un codice amministrativo, una contabilitá piú regolare han preparato gli elementi propri ad inalzare al grado di scienza questa parte della guerra, in armonia cogli Stati ove l'ordine amministrativo ordinavasi giusta i propri metodi. E per notare qualcuna di queste invenzioni della militare amministrazione, citeremo quella dei fogli di rotta in virtú dei quali un individuo poteva percorrere tutta l'Europa colla sicurezza di veder rispettati i propri diritti.
Non ci resta ora che a discorrere dei cambiamenti subíti dalle belliche scienze, cambiamenti comprovati dagli scrittori militari del tempo e dalle pratiche dei gran capitani. In tal guisa avremo risposto alle tre prime quistioni proposteci.
Si è dubitato se queste ultime guerre avessero o no portato delle grandi modificazioni alle belliche scienze e a' loro pratici risultamenti. Il barone Ferrari in un articolo inserito nel Progresso (volume quarto, pagina 15) ha impreso a dimostrare non esservi stati gran cambiamenti nell'arte, le armi essendo rimaste le stesse. Nello stesso volume (pagina 208) un anonimo, nulla negando della debita lode all'articolo del Ferrari, ha luminosamente svolto tutti i progressi fatti dall'arte e messo in luce i loro vasti risultamenti rispetto al sistema sociale[42]. Questo egregio lavoro ci dispensa dal parlare piú oltre di una tale materia, e ci limitiamo a invitare i lettori a percorrere un tale articolo che dimostra tutta quant'è l'esperienza pratica dell'autore, unita ai lumi che la fecondano.
I cambiamenti avvenuti nell'arte furono i seguenti:
1. Per gli uomini il servizio rendevasi generale, temporaneo e successivo, con qualche modificazione derivante dallo stato sociale delle varie nazioni.
2. Per le armi l'artiglieria a cavallo e gli obici erano introdotti e varie modificazioni veniano indotte nel materiale, segnatamente presso i russi e gl'inglesi. Presso questi ultimi erano inventati i razzi alla congrewe.
3. Per gli ordini il prussiano era modificato, essendovisi introdotti i bersaglieri e l'ordine profondo siccome mezzi d'attacco. Presso i soli inglesi non invaleva quest'ultimo[43].
4. La tattica rimaneva la stessa, ma era subordinata alla strategia. La separazione delle armi diveniva piú pronunziata nelle riserve di artiglieria e di cavalleria. S'introduceva la divisione in corpi d'esercito.
5. La strategia diveniva dominante e saliva al grado di scienza.
6. Nella difensiva operavasi piuttosto manovrando sui fianchi che opponendosi di fronte al nemico; operazione difficile nell'esecuzione ma ricca di risultamenti quando riesce.
7. Quanto alle fortificazioni si accelerava l'attacco con economizzarsi una parallela. Si facevano tentativi perché la difesa avesse eguagliato i progressi dell'attacco. Costruivansi piazze non solo sulle frontiere ma pur nell'interno.
8. L'amministrazione venía migliorata nei metodi, ma non rispondeva pienamente a' bisogni di eserciti numerosi e mobili al sommo[44].
9. Le istituzioni militari erano rese piú compiute, piú razionali, piú armoniche; le pene fatte piú miti; le ricompense piú larghe; la carriera piú accessibile a tutti; l'educazione scientifica perfezionata.
Uno stato sociale ove le scienze militari son giunte a tal grado dee trovar nel suo insieme perfezionamenti che vi corrispondano, come brevemente piú in lá indicheremo, volendo per ora cercare negli autori militari e nelle pratiche de' capitani la pruova delle nostre asserzioni.
Lo scrittore militare che dopo l'esperienze delle prime campagne della fine del secolo cercò di fare per la sua epoca ciò che il Feuquières ed il Lloyd avevano fatto per le loro, fu il prussiano Bulow, che nel suo sistema di guerra moderna volle dimostrare la superioritá della strategia sulla tattica, cioè della configurazione e dimensione della base come risultamento favorevole in istrategia. In tattica intese a provare la superioritá dell'inviluppo sull'urto, e però la superioritá del combattere alla spicciolata contro le masse e delle ritirate divergenti sulle convergenti, le quali raccomandò anche in istrategia. La conseguenza che risultava e ch'egli dedusse dal suo sistema era la superioritá che dovevano acquistare le popolazioni che resistevano agli eserciti, e la disparizione successiva dei piccoli Stati che dovevano presto o tardi essere assorbiti dai grandi. Alcune pruove storiche vennero esposte dall'autore nel descrivere la campagna del 1800. L'autore prussiano, secondo l'avviso dei conoscitori, non comprese l'essenza della guerra moderna ed espose princípi spesso contraddittorii, dai quali traea conseguenze alcune esclusive altre azzardate; ma d'altra parte si è convenuto che questa prima opera poneva in luce se non risolveva le quistioni che nascevano dallo stato delle scienze militari, e che l'autore con sagacitá aveva desunto doversi realizzare vasti risultamenti e nello stato sociale e nell'equilibrio politico.
Il Jomini che ha esaurito in un'epoca posteriore le quistioni tutte che queste guerre han fatto nascere, nei suoi primi trattati combatté il Bulow nelle sue idee sull'inviluppo e sulle ritirate eccentriche, ridusse tutte le combinazioni della guerra in istrategia e in tattica «a operar colle masse contro le parti isolate e a tendere a questo scopo in tutte le operazioni», affermò che i prodigi della guerra de' sette anni dovevansi alla costante applicazione di questo principio posto in luce da Federico, ed indicò come un'aberrazione della scienza le prime guerre della rivoluzione fatte piú secondo il sistema di Bulow che secondo quello di Federico, attribuendo il buon successo dei francesi alla violazione che i loro avversari facevano egualmente di questi principi, mentre non avevano tutti i vantaggi di altra natura dei quali erano in possesso i francesi. Mostrò da ultimo siccome epoca di ritorno ai veri princípi perfezionati nell'esecuzione le campagne del 1796 in Italia e in Germania, e considerò i grandi avvenimenti del secondo periodo della lotta come il risultamento dell'applicazione di quei princípi fatta dal generale dell'esercito d'Italia sopra una vasta scala alle guerre del nord dell'Europa fino al 1809.
Il principe illustre che in etá verde avea posto in applicazione le regole di sana strategia contro gli eserciti francesi nel 1796, pubblicò nel 1813 la storia di quella campagna, preceduta da un trattato di strategia il quale ha un carattere scientifico e dimostrativo. Il chiaro autore la considera come riassumente e contenente la guerra cosí nelle sue previsioni che nelle sue conclusioni e, come il savio ed illuminato Polibio, attribuisce i rovesci e le riuscite delle potenze belligeranti all'aver esse seguite o violate le regole di strategia, eliminando tutte le piccole cause che le menti poco acute e gli amor propri offesi cercano di presentar come origini di grandi avvenimenti. Egli accetta i principi del Lloyd, combatte il Bulow, concorda col Jomini; ma è il primo che dia una forma dimostrativa alla scienza[45].
Questi sono gli autori principali: de' quali sebbene siesi accresciuto in séguito il numero, noi ne taceremo perché si appartengono ad un periodo posteriore a quello che qui trattiamo, e ci basterá il dire che non si sono appartati dagli esposti principi. Il Darcon fece conoscere nelle sue considerazioni sulla fortificazione la metafisica, per dir cosí, di questa parte dell'arte, non sotto l'aspetto speciale del disegno ma sotto quello piú vasto de' suoi moltiplici rapporti col principio conservatore dello Stato e delle forze mobili. Il Bousmard vi aggiunse la parte tecnica dell'arte fortificatoria, ed il Carnot consacrò il suo eccellente lavoro a risolvere il problema di livellare la difesa alla superioritá che l'attacco aveva acquistata dal Vauban in poi.
Passando ora a parlare de' gran capitani diremo che Dumouriez, Pichegru, Jourdan, Hoche con qualitá diverse si distinsero nelle prime campagne della rivoluzione, massime nelle combinazioni militari che a quest'epoca dominavano, cioè l'impulsione e l'inviluppo in tattica e i movimenti a gran distanze per attingere lo stesso scopo in istrategia. Il primo nella sua breve carriera ebbe de' lampi che sembravano scaturire dal genio; il secondo lasciò incerta riputazione militare; il terzo ha guadagnato nome a seconda che documenti piú positivi hanno fatto meglio conoscere i fatti; l'ultimo fra i nominati camminava a gran passi verso la gloria quando una fine prematura lo tolse ai piú alti destini. Dall'altro lato gli allievi del gran Federico lasciarono buoni generali per operare un giorno giusta le buone regole, ma nessuna operazione che possa far presumere un alto grado di scienza distinse il Brunswick, il Mollendorf e il Kalkreut. Il Clerfait sostenne la gloria dell'esercito austriaco nella campagna del 1795. Moreau comparve nel gran teatro e la sua riputazione andò sempre crescendo fino alle ultime campagne; ei fu metodico, compassato, qualche volta ispirato, e per la sua semplicitá è stato nominato da Lamarque «il La Fontaine dei capitani». Ma se Moreau seguiva le combinazioni de' suoi antecessori, l'arciduca Carlo suo avversario si elevò a dei principi positivi, per cui questi occupa un posto piú elevato tra i capitani, avendo riunito l'esempio ai precetti; il che dimostra aver egli saputo quello che si facesse e il perché. Nel 1799 comparvero sulla scena due uomini che avevano di comune come qualitá predominante una rara tenacitá: Massena e Souwarof piú alti di quei che li sieguono; Riccardos, Kray, Benningsen, Kutusof, Blucher, Bellegarde, Schwarzenberg e Wittgenstein compiono il quadro in una sfera inferiore, e la Francia vi opponeva Desaix e Kleber, uomini presto rapiti alla speranza che di sé davano, e Soult e Saint-Cyr e Macdonald e Marmont e Lannes, colpito dalla morte quando il suo genio era per apparir tutto intero, passando a piú vasti comandi da luogotenente abile ch'egli era. Nell'esercito francese la scuola di quelli che avevano guerreggiato sul Reno differiva da quella di coloro che avevano combattuto in Italia: i primi avevano piú metodo, che non escludeva l'ardire ma era frutto del calcolo, ed il Saint-Cyr n'era la piú chiara espressione; negli altri l'ardire era nell'istinto, e Massena e Lannes ne sono i migliori rappresentanti. La guerra della penisola fece conoscere Suchet, ch'ebbe costanti successi ed il quale seppe conciliarsi l'amore degli spagnuoli per la stima che loro ispirò, e seppe comandare con buon successo alle truppe francesi non solo ma alle straniere bensí, raccolte sotto le bandiere di Francia dalle sponde della Vistola a quelle del Sebeto, imprimendo loro una eguale impulsione e ispirando la confidenza medesima. Il duce britannico che fece la piú figura in questa guerra succedendo al Moore, uffiziale distinto che poteva elevarsi ad una piú alta riputazione, fu Wellington, cui si può appropriare la saggia espressione del Foy per caratterizzare l'esercito inglese, cioè di avere la calma nella collera. Questa qualitá è il segreto della carriera del duce britannico, che non è stato mai battuto. Le sue battaglie furono difensive: considerò il Portogallo come una cittadella e la Spagna come una piazza alleata che dovea esser soccorsa dal nord; il che costituisce un gran capitano.
Tali furono i capitani di questa epoca. È quistione se i secoli decimosesto e decimosettimo ne abbiano dati piú in una certa misura; ma non potendo risolvere un sí alto problema, ci limitiamo a dire che molte operazioni attiranti in quei tempi la pubblica attenzione, nell'epoca di cui discorriamo non l'attiravano perché avevano a fronte i pensieri ed i fatti dell'uomo superiore ad ogni paragone ed a tutte le differenze che separano il talento speciale dal genio nella sua universalitá. Cosa possiamo noi dire intorno a lui dopo quanto si è detto e da giudici tanto competenti? Riassumere è tutto quello che possiam fare. Napoleone nella sua vasta intelligenza abbracciava la guerra come una scienza compiuta, dalle sue idee piú generali ai particolari piú minuti. Uomo di genio, la sua analisi era rapida, e senza idee intermedie si elevava ai princípi primitivi, per cui era sintetico come scienziato ed era sul campo di battaglia inspirato come artista. Però le sue inspirazioni non andavano al di lá delle previsioni della scienza, ma ne erano una larga applicazione, vale a dire ch'ei riuniva ciò che vi è di piú sublime nella scienza a quanto v'ha piú alto nell'arte, cioè il trar partito dai piccoli eserciti e il muovere con facilitá i grandi: riuniva insomma lo spirito di Newton a quello di Michelangelo. Fedele ai princípi, ad essi è debitore de' suoi buoni successi del pari che dei suoi rovesci, frutto anch'essi d'errori, ma di errori che prendevano origine dalle passioni dell'uomo di Stato non giá dall'ignoranza del capitano. È necessario di studiarlo, ma il farlo senza la piú gran riflessione potrebbe condurre ad imitazioni che la favola di Fetonte esprime a maraviglia, mentre nel genio vi ha due parti, l'una che resta come metodo ed è la parte umana, l'altra è la divina: la prima è da tutti, l'altra da pochi.
Crediamo aver risposto alle tre prime quistioni; per lo che passeremo alle tre rimanenti che riguardano lo stato delle scienze, quello della societá ed infine i politici risultamenti delle guerre combattute nell'epoca di che ragioniamo.
Le scienze esatte furono coltivate tra i moderni e particolarmente in questo periodo con un metodo diverso da quello adottato dagli antichi. Partendo da ciò che era in quistione per ritornare ad un centro comune di veritá giá note, si venne a costituire il metodo analitico, piú rigoroso del sintetico e piú rapido e piú diretto al medesimo tempo. Ad esso si debbono le piú grandi scoperte come ancora la piú bella, cioè le ricerche che costituiscono le leggi che reggono il sistema del mondo. È per mezzo dell'astrazione che le idee si generalizzano, e queste favorirono i progressi tutti delle scienze fisiche e matematiche. I nomi di Condorcet, di Bailly, di Lagrance, di Monge, di Laplace e di Biot appartengono sotto aspetti diversi a questa epoca importante per le scienze. Il primo riuní il merito letterario e lo spirito filosofico ai suoi lavori sulle scienze esatte; il secondo vestí la storia dell'astronomia di tutti i prestigi dello stile e l'arricchí di tutti i rapporti che quest'alta scienza ha con lo stato sociale dei diversi popoli che l'hanno coltivata; il terzo risolvette una serie di problemi che passarono nell'insegnamento elementare della scienza; il quarto indipendentemente dall'influenza ch'ebbero i suoi lavori nella commissione d'Egitto, creò per cosí dire un nuovo ramo nelle matematiche con la geometria descrittiva; il quinto rese compiuta la teoria di Newton con dimostrare che le leggi nate dalle ultime scoperte si applicavano a tutti i casi, e molti fenomeni cessarono di esser tali perché furono sottoposti alla legge comune[46]; il sesto finalmente ereditò la riputazione e continuò i lavori de' suoi illustri predecessori.
Le scienze naturali fecero in questo periodo solidi progressi. La storia degli animali non fu piú limitata ad una magra descrizione delle loro forme esterne, ma presentò il quadro delle loro abitudini e delle loro tendenze. Appoggiandosi alla notomia si cercò da' sapienti di spiegare mercé della conformazione de' loro organi interni i fenomeni che presentano, e seguendo questo metodo d'investigazione si assegnò ad essi il posto lor proprio nel sistema generale degli esseri. Si distinsero in questo ramo delle scienze naturali il Lacepède, il Daubanton, il Dolomieu, il Lamarck, il Blumenbac, il Lawrence ed infine il Cuvier che riassunse tutti i passi fatti nella scienza. Questo metodo fu applicato con felice successo alla botanica, che non fu piú circoscritta a descrivere i vegetabili, ma coll'aiuto di una fisica dilicata si adoperò a scoprire le leggi regolatrici delle loro varie funzioni. La mineralogia non limitò come prima le sue ricerche a determinare senza precisione il carattere delle materie di sua pertinenza dal loro aspetto esterno, ma prese in prestito dalla chimica i mezzi di analizzare e di classificare i minerali. Lo studio del globo terrestre che trovavasi da prima compreso nelle scienze fisiche e matematiche, divenne una scienza distinta sotto il nome di «geologia». Essa considerò la struttura della terra e giudicò delle terribili catastrofi che l'hanno agitata dalle tracce che ne rinvenne; e cosí questa nuova scienza riuní ciò che vi è di dilettevole e di solenne nello studio delle scienze naturali alla precisione che è propria delle matematiche. Saussure, De Luc, Breislack fecero progredire la nuova scienza. Il Cuvier, siccome di sopra accennammo, fece dell'anatomia comparata la base della storia degli esseri animati; per il che la multitudine dei fatti osservati che permise di leggere nelle somiglianze organiche le leggi generali dell'organizzazione animale, ed il metodo che avea condotto in botanica alle investigazioni piú conformi alla natura, resero l'anatomia comparata ricca in risultamenti e fecer sí che svelasse un nuovo mondo agli osservatori e creasse un metodo che poteva essere fecondo in conseguenze quando fosse applicato ai rami tutti dello scibile umano. I gran viaggi intrapresi e menati a fine arricchirono la storia naturale di nuovi elementi di comparazione. Cook, Laperouse, Humboldt, Bonpland, la commissione dei sapienti d'Egitto o scoprirono nuove regioni o fecero meglio conoscere quelle giá note. I lavori di Lavoisier, di Berthollet e di tanti altri distinti scienziati, come di Berzellius svedese, non solo cambiarono lo stato della scienza chimica ma le diedero un andamento e una logica nuova; si sentí la necessitá di riunire al rigore del ragionamento la esattezza dell'esperienza; i geometri e i chimici si aiutarono a vicenda, e a questi metodi la chimica fu debitrice della vera teoria del calore e dei primi esatti istrumenti che servirono a misurarlo. La medicina si arricchí dei progressi delle scienze naturali, mentre una cognizione piú compiuta delle proprietá di tutto ció che compone la farmacia doveva imprimerle un andamento piú razionale e piú sicuro. Ma la grave difficoltá di questa utile scienza si trova sempre nell'oscuritá dell'analisi anatomica, che si esercita sugli organi quando hanno perduto con la vitalitá l'esercizio delle loro funzioni: questa causa potente la lascia nella sfera delle scienze approssimative, in cui le ipotesi nascono dal bisogno di spiegare ciò che non si può analizzare. Una serie d'ipotesi forma nelle intelligenze elevate un sistema che si appoggia a molti fatti ed a qualche risultamento. In effetto in questa epoca non mancarono di cosí fatti sistemi, e tale fu quello dell'irlandese Brown che riduce i mali tutti a un principio: la cranologia del Gall e il controstimolo del Tommasini sono sistemi che hanno la stessa origine, mirano a uno stesso scopo e sono pruova essi stessi della propria inettezza, perché sono tutti inadatti a risolvere con pochi principi l'immensa quantitá de' casi vari che la miseria umana offre alla scienza medica. I progressi della fisica furono moltiplici e positivi: il suo oggetto è di ben determinare le leggi del moto o dello stato permanente dei corpi che ne sono gli elementi, facendo conoscere l'azione meccanica ch'essi esercitano gli uni sugli altri in virtú delle loro proprietá generali o dalle modificazioni cui van soggetti per cause accidentali e variabili che operino sopra di essi, quali il calore, l'elettricitá e il magnetismo, nel che è variabile di sua natura. I fenomeni dovuti a cause permanenti furono osservati nei periodi antecedenti, i secondi lo furono piú compiutamente in questo. Franklin, Montgolfier, Volta, Brugnatelli, Galvani e Poli fecero progredire la scienza e la resero suscettibile di utili applicazioni.
Frattanto lo Chaptal applicava i risultamenti della chimica alle arti e iniziava ai misteri della scienza le classi industriose. La scuola politecnica che dovette tanto al Monge e il conservatorio delle arti e dei mestieri sono l'ultima espressione dello stato delle scienze naturali ed esatte rese di ragion comune e di applicazione utile a tutti gli oggetti che interessano l'universale. Le macchine applicate alle manifatture e la scoperta di Awright ne sono la prova e promettevano piú alti risultamenti per l'avvenire, mentre che le nazioni malgrado del fracasso delle battaglie e dei torbidi che agitavano le civili societá, seguivano con l'escogitazioni dei loro sapienti la strada del perfezionamento. Da questo breve quadro è ben facile dedurre che tutte le arti manuali, tutta la costruzione degl'istrumenti necessari all'uso delle scienze erano in progresso, e pel bisogno che se ne aveva ed anche perché la fusione sociale che si veniva operando restituiva agli artisti quella considerazione che nessun merito poteva far loro accordare nell'epoca in cui le classificazioni sociali dominavano ancora in Europa.
Lo stato delle scienze morali compirá questa breve indicazione e fará meglio comprendere quanto ci proponemmo dimostrare in questo discorso.
Lo stato e le vicende delle scienze morali in una societá agitata sono l'indice piú prezioso cosí del suo stato morale come dei suoi bisogni e dei suoi dolori, imperocché l'umana intelligenza è spinta da una legge naturale ad occuparsi della risoluzione di quei problemi che le masse enunciano confusamente piú coi loro lamenti che con una pacata e razionale esposizione; ma se questo imperfetto linguaggio esprime meglio i sentimenti confusi che agitano la societá, è poi missione dei sapienti di comprenderli per mezzo di un'accurata analisi e di ordinarli con una ben ponderata sintesi, la quale determini i mali, le loro condizioni e i loro possibili rimedi in quella proporzione che la difficoltá de' tempi serba all'imperfezione dell'umana natura. La breve esposizione che daremo dello stato delle scienze morali servirá di pruova alla nostra assertiva.
Era naturale che nel primo periodo della rivoluzione si cercasse con calore di applicare praticamente tutte le dottrine che nel decimottavo secolo erano sorte in Francia, facendole perciò passare nella legislazione; era egualmente nella natura delle cose che nel periodo della guerra civile europea e della proscrizione vi fosse stata una lacuna nel progresso delle scienze, poiché le epoche turbolenti preparano i materiali pei lavori scientifici, ma solo se ne trae profitto nell'epoca di calma che a quelle succede; era parimente a prevedersi che al giugnere di questa epoca le dottrine si sarebbero considerate nella loro applicazione possibile e nei loro effetti pratici. Allora la bontá relativa doveva riprendere il suo impero; Montesquieu doveva riguadagnare il posto che i sapienti piú esclusivi gli avevano tolto nel periodo di distruzione, e tutte le dottrine degli altri sapienti che appartenevano a varie nazioni contraddistinte da questo marchio dovevano essere adottate. L'espressione del carattere che contrassegnava le scienze morali nei diversi periodi dell'epoca di cui ci occupiamo si ritrova nella legislazione, nell'insegnamento e nelle opere degli autori piú distinti.
La legislazione provvisoriamente data alla Francia nel periodo rivoluzionario ha il carattere assoluto di voler creare una novella societá, piuttosto che di conformarsi alla natura e ai bisogni della esistente. Nell'epoca che succedette a questa, in cui il potere si concentrò nel consolato, ebbero origine la centralizzazione amministrativa ed il codice civile, il quale mentre altro non era che l'opera di Giustiniano sceverata di quanto non era piú né utile né praticabile, riconosceva però le trasformazioni che i secoli avean prodotte nella societá moderna, distinguendo questa dall'antichitá e dal medio evo; per cui in una societá dove tutte le classificazioni eransi fuse, sottopose alla legge comune tutti indistintamente, vale a dire ristabilí il dritto romano meno la schiavitú, il dritto feudale e quella parte del dritto canonico che aveva retto la societá quando le leggi non erano create. Anche il codice criminale riprese nella procedura e nella pubblicitá le consuetudini romane ch'erano anche quelle de' barbari. Basta quindi osservare l'esposizione del nuovo dritto per vedervi, come il Portalis cerca di fare, riconosciuta in legislazione l'importanza della bontá relativa ch'era stata negletta per l'addietro; e questa coincidenza delle nuove leggi con lo stato sociale ha fatto sí ch'esse sieno rimaste in osservanza piú o meno compiutamente presso quegli Stati ove le vicende della guerra le avevan portate. Le istituzioni antiche conservaronsi nelle societá che non avevan subite delle scosse profonde, ma tutte le modificazioni successive e la giurisprudenza stessa furono lentamente adattate al movimento sociale di fusione che si operava insensibilmente. Uno sguardo gittato sulle varie disposizioni legislative delle potenze del nord basta per rinvenirvi il carattere ch'enunciammo, come per esempio l'emancipazione dei contadini in Prussia e l'abolizione della schiavitú in Livonia.
Le istituzioni letterarie, le quali sieguono la legislazione, trovano nella scuola normale stabilita in Francia la riunione di tutte le facoltá che han relazione colle scienze morali e con quelle che ne dipendono, e le lezioni di Garat, di Volney e di altri distinti professori offrono le dottrine del secolo decimottavo poste in lume ed in ordine e collegate fra loro. La classe delle scienze morali nell'Istituto vi corrispose pienamente, e la scuola normale era per le scienze morali ciò che la scuola politecnica era per le scienze fisico-matematiche. Corta vita ebbe la prima ma il suo metodo si è riprodotto in epoche posteriori, benché le dottrine ne fossero modificate. In effetto il Laromiguière nelle sue lezioni nel secondo periodo rimontò a Locke, come i pubblicisti erano rimontati a Montesquieu, avendo lo stesso fine, cioè di togliere alle dottrine politiche e filosofiche del decimottavo secolo ciò che avevano di assoluto e d'esclusivo. Condillac aveva tolto la «riflessione» dal sistema di Locke per la formazione delle idee, ed il Laromiguière la ristabilí sotto il nome di «attenzione». Il Royer Collard che succedette al Laromiguière nell'insegnamento del 1811, svolse la dottrina del Reid e degli scozzesi e si separò vie piú dalla dottrina del Condillac, da cui Maine de Biran si era separato e che conservava un chiaro rappresentante nel Tracy autore dell' Ideologia. La filosofia di Kant esposta dal Villers la dava a conoscere imperfettamente alla Francia, quando giá nel suo suolo la critica della ragion pura era stata seguita dal sistema dell'unitá assoluta di Fichte e da quello della natura di Schelling, ambedue aventi un marchio mistico che li caratterizzava, fatto conoscere da una donna celebre al mezzogiorno dell'Europa, ma il quale non modificava ancora la scienza sotto quell'aspetto. In Germania nelle universitá, costrette da tristi circostanze a limitarsi alle escogitazioni scientifiche, le scienze progredivano e si facevano giganteschi lavori sull'erudizione orientale e del medio evo. Sotto l'aspetto filosofico i nomi di Heeren, di Niebuhr, di Tenneman e di Schlegel si legano a questo vasto movimento intellettuale della Germania. Non cosí accadeva in Inghilterra, in Ispagna e in Italia, occupate piú attivamente dei movimenti del tempo; ma dapertutto lo spirito umano riceveva quella forte scossa che gli dovevano dare il bisogno e l'attitudine di porre a profitto e di coltivare tutto ciò che l'intelligenza umana aveva altrove prodotto, servendosi de' nuovi metodi d'insegnamento sparsi per ogni dove.
Gli autori ci serviranno di dimostrazione compiuta della veritá che ci siamo impegnati a provare. Sterile in autori fu l'epoca del periodo di azione in Francia. Alla pace poi comparvero in Inghilterra i trattati di legislazione del Bentham, il quale stabilendo l'utilitá come principio unico e generatore della bontá della legislazione, diede una forma scientifica alla dottrina dell'interesse preconizzata o richiamata a luce nel secolo decimottavo. Ma il sapiente autore era sotto una doppia azione, mentre col suo capitolo dell'influenza della legislazione sui luoghi ed i tempi e di questi sulla prima accettava e svolgeva con profonditá il principio della bontá relativa del Montesquieu, e lo faceva piú compiutamente nel suo trattato dei Sofismi politici ove combatteva la teoria della Costituente. Nei rapporti decennali dell'Istituto si scopre la stessa tendenza, particolarmente negli articoli «filosofia» e «legislazione» redatti dal Pastoret e dal Degerando. Era semplice e naturale che si volesse da alcuni rimontare alle dottrine anteriori a quelle che accusate erano di aver prodotto la rivoluzione: questa tendenza doveva avere gradazioni diverse che corrispondevano ai caratteri differenti dei loro organi piú elevati. In effetto l'autore del Genio del cristianesimo pubblicò quest'opera all'epoca in cui il primo console trattava e segnava il concordato col sommo pontefice; coincidenza significativa della sagacitá dell'uomo di lettere e dell'uomo di Stato sulle disposizioni della societá. Il Ferrand rimontava all'antica monarchia e l'aveva come prototipo, accettava in parte il Montesquieu come il pubblicista piú distinto ed esprimeva la dottrina della monarchia appoggiata sui parlamenti antichi. Il Montlosier dichiarava epoca di decadenza per la monarchia quella stessa che il Ferrand proclamava come la piú perfetta, mentre il pubblicista di cui parliamo non esitava a dichiarare l'èra feudale come la normale della Francia. Il Bonald rimontava piú alto e proscriveva tutte quelle dottrine che fino dal decimoquinto secolo avevano combattuto lo stato sociale e normale del medio evo, ch'egli raccomandava come il piú armonizzante con la vera teoria della legislazione primitiva. Il De Maistre entrava piú compiutamente in questa strada e intendeva con delle dissertazioni filosofiche piene d'ingegno ad offrire come rifugio della societá agitata il dominio assoluto della teocrazia. Da questa disposizione degli spiriti doveva piú tardi dell'epoca da noi trattata avere origine la divisione delle tre scuole: teologica, eclettica e sensualistica, nelle quali oggidí sono divise le scienze morali ed i cultori di esse. L'economia politica che fondavasi sui fatti doveva presentarsi per isvolgere la dottrina dello Smith, e doveva voler modificare la legislazione ove la societá lo era, questa per mezzo dei suoi bisogni pubblici e privati lá dove non lo era ancora. Le opere del Say e del Ganhil, come i lavori del Gioia e del Romagnosi, dovevano mostrare questa tendenza; ed il sistema continentale, lo stato delle colonie e i bisogni della guerra dovevano richiamare l'attenzione dei poteri e delle societá a quistioni pratiche sí feconde di risultamenti per la pubblica e privata prosperitá. Le ricchezze commerciali del Sismondi furono l'espressione di questo bisogno. L'unitá e il vigore amministrativo dovevano incoraggiare la statistica; e l'amministrazione, divisa dal potere giudiziario, avendo la sua gerarchia, le sue leggi e la sua giurisprudenza, faceva ben conoscere, ove erasi adottata, che il medio evo era distrutto e la fusione sociale operata, che la sovranitá non aveva piú ostacoli amministrativi nelle comuni, nelle classi privilegiate e nelle corporazioni di arti e mestieri, ma che trovava nei telegrafi e nelle nuove strade tanti mezzi di rapida azione che mancavano agli antichi poteri.
Nel principio di questo discorso abbiamo indicato brevemente lo stato sociale e partitamente quello delle nazioni diverse. Ora dobbiamo far conoscere nelle stesse proporzioni come la guerra aveva modificato lo stato sociale in generale e quello delle nazioni diverse.
«Una guerra non lascia mai alla fine di essa le nazioni nello stato in cui erano nell'epoca che la precedette». Tali sono le parole dell'illustre Burke; riflessione profonda che rivela l'importanza che quel grand'uomo accordava a queste lotte e la loro influenza sulle societá che ne venivano agitate, e questa opinione conferma il punto di veduta che ci siamo debolmente sforzati di mettere in luce nell'insieme di questo nostro lavoro. E pure il Burke parlava delle guerre parziali fatte per interessi secondari e menate a fine coi metodi ed i mezzi ordinari degli Stati. Ma che diremo di una guerra che ha durato un quarto di secolo, nella quale tutte le nazioni han preso parte, di cui tutte le contrade sono state il teatro ed alla quale tutti gl'individui sono intervenuti come attori o spettatori o vittime, mentre non era né per una frontiera né per un dritto commerciale che le masse si urtavano, ma per la propria esistenza e per tutti i grandi interessi che dominano l'umanitá? I caratteri generali che risultano da questa lunga fusione de' popoli con modificazioni locali e con tendenza comune possono ridursi ai seguenti:
1. Tendenza alla fusione delle diverse classi della societá.
2. Maggiore energia nel potere, disponendo di maggiori mezzi, ed accrescimento corrispondente dei bisogni del potere sotto l'aspetto amministrativo, militare ed in conseguenza finanziere.
3. Importanza acquistata dalle classi produttrici — conseguenza dei bisogni sopra enunciati dei governi, — tendenza alla pace per la stessa causa dell'influenza che i capitalisti hanno nelle transazioni politiche.
L'intelligenza doveva per queste ragioni acquistare maggiore importanza in uno stato sociale e politico ove esistevano tutte le condizioni qui enumerate. Lo stato de' costumi erasi raddolcito, la vita divenuta piú grave e piú solenne; e se le passioni e le umane imperfezioni dominavano come sempre nel mondo, la loro funesta azione era stata piuttosto indebolita che accresciuta dagli avvenimenti, quali avevano dato severa lezione e piú dure abitudini agl'individui tutti. Un maggiore bisogno di miglioramenti positivi e reali e lo spirito di nazionalitá sono il compimento della potente azione di sí lunga guerra sulla societá europea. Senza essere un molto acuto investigatore delle cose umane è facile il ritrovare che la tendenza alla fusione sociale, la forza acquistata dal potere, i nuovi bisogni che ne nascevano, l'importanza delle classi produttrici e quella acquistata dall'intelligenza, il raddolcimento dei costumi, la frivolitá tolta dall'alto posto che occupava, il desiderio del meglio positivo e della propria nazionalitá, moderando però le antipatie nazionali, tutto scaturiva dalla lunga guerra che ha aggiunto tanta esperienza negli uomini, ed ha reso necessarie la ricchezza e l'intelligenza e fatto comprendere la differenza che passa dal bello al possibile in fatto. La mente umana avvezzavasi a meditare su tante catastrofi e la umana volontá ad elevarsi ad immensi sacrifizi, e nasceva un fenomeno interessante quale fu quello della diminuzione delle antipatie nazionali; ché appunto sul campo di battaglia cominciò quella stima reciproca che i combattimenti ispirano pel valore e che in séguito le relazioni pacifiche dovevano vie piú confermare. E questa disposizione contribuir doveva a bandire la frivolitá e a dare una sembianza di maturitá anche alla gioventú, al contrario dell'epoca precedente in cui l'etá matura ed anche avanzata conservava la leggerezza, la noncuranza, le forme e il linguaggio stesso della gioventú. Da questo breve quadro noi vediamo operarsi con una prodigiosa attivitá quella separazione dall'insieme del medio evo, che indicammo essere la tendenza costante della societá moderna, specialmente dal decimo quarto secolo in poi; separazione resa piú compiuta nella sua fisonomia nell'epoca di Luigi decimoquarto e nelle sue condizioni tutte in quella di cui qui ragioniamo. Questo era ciò che volevamo provare; e non ci resta che a ritornare sul quadro degli Stati europei dopo il congresso di Vienna in considerazione de' suoi politici risultamenti, ed avremo risposto alle tre rimanenti quistioni che ci eravamo proposte.
La penisola iberica avea richiamata l'attenzione e l'ammirazione dell'Europa per la sua lunga resistenza alla dominazione francese. Ma la sua posizione topografica, la perdita delle colonie, le interne dissensioni e le perdite sofferte le avevan tolta ogn'importanza positiva nelle transazioni politiche dell'Europa dopo la caduta dell'impero francese.
La Francia ristretta ne' suoi antichi limiti, dominata ed occupata, pareva aver molto perduto d'importanza politica; ma la sua gloria militare non mai smentita neppure nell'avversa sorte, la sua avanzata civiltá e le istituzioni che ne risultarono, conservavanle una potenza morale che non cessò di esercitare sull'Europa tutta.
L'Olanda cessò di esser repubblica, ma riunita ai Paesi bassi divenne una monarchia di secondo ordine.
L'impero germanico vide la confermazione dei re creati durante l'impero, la distruzione de' principati ecclesiastici, la riduzione di tutti i piccioli principi, lo scioglimento del legame feudale rimpiazzato da una federazione. Gli eserciti delle potenze secondarie erano comparsi con gloria sul campo di battaglia, le masse nazionali si erano mostrate perseveranti per la difesa della propria patria e l'intelligenza era in un movimento ascendente in tutti i rami dello scibile. La sua missione nell'equilibrio europeo pareva esser quella di un gran corpo destinato a impedire che il settentrione e il mezzogiorno si urtassero in modo da dare l'universale dominio al vincitore.
La Prussia si era ingrandita e soprattutto erasi rilevata con energia e con gloria dai suoi disastri: ella stava tra le grandi potenze non per estensione, non per configurazione, non per l'unitá de' suoi popoli, ma per la sua forza morale, per l'intelligenza del suo governo, per la bontá delle sue istituzioni militari e pel vigore della sua nazionalitá. Ciò che un grand'uomo aveva fatto nella guerra de' sette anni la nazione intera l'aveva operato nel 1813, 1814 e 1815; la qual cosa, unita all'intelligenza sparsa e progrediente nella societá, davale un valore politico e militare di molto superiore alle sue forze reali.
L'impero austriaco aveva còlto il frutto della sua perseveranza, della soliditá del suo esercito e del patriottismo de' suoi popoli, riprendendo tutto il perduto per la guerra e conservando i compensi di Campoformio e la Galizia.
La Russia che aveva avuto il raro vantaggio di combattere tutta l'Europa nel terreno che meglio le conveniva, nel 1812, ricevette una forte impulsione da questa campagna, e nella sua reazione dominò nel mezzogiorno, nel settentrione e nell'oriente, ricca di nuovi acquisti sul Baltico, sulla Vistola, sul Fasi e sul Pruth; crebbe di forza materiale e morale e di ricchezza con lo sbocco ch'ebbero i suoi prodotti nell'Europa; eserciti numerosi, agguerriti e pazienti assicuravano la sua potenza; e diede una nuova pruova che gli uomini come le nazioni ignorano le loro forze se queste non sono eccitate, mentre Carlo decimosecondo e Napoleone hanno fatto conoscere alla Russia le risorse che aveva per difendersi dalle loro aggressioni.
La Scandinavia prese, benché tardi, parte alla guerra europea, ma in senso opposto. La Danimarca perdé la sua marina e perdette ancor la Norvegia che passò sotto il dominio del sovrano della Svezia. Quest'ultima con cedere le sue possessioni di Germania restò isolata per cosí dire dal continente europeo.
La Porta ottomana avea respirato durante la lunga guerra europea che avea distratto i suoi nemici naturali: la pace di Bukarest nel 1812 e lo spirito pacifico dell'Europa la garantivano contro attacchi esterni, ma l'invasione francese aveva rotto i suoi deboli legami con l'Egitto, e i suoi sudditi greci arricchiti dal commercio sentivano quanto vi era di doloroso e di umiliante nella loro posizione e minacciavano una insurrezione.
L'orgoglio e l'ambizione dell'Inghilterra erano stati compiutamente soddisfatti, mentre avea le sue truppe accampate nel bosco di Boulogne, tutte le flotte degli altri Stati o erano state distrutte o ridotte a tale da non poterle resistere, ed aveva occupato Corfú ed il capo di Buona speranza non solo, ma tutto ciò che le era convenuto. La riputazione de' suoi eserciti aveva ecclissato quasi quella delle sue flotte, perché queste non avevano piú nemici da combattere. Ma il debito che restava, turbava l'economia interna del paese e reagiva sulle sue istituzioni. Il sistema di Pitt era esaurito in tutte le sue conseguenze e si prevedeva che nelle sue istituzioni interne come nella sua esterna politica una potente modificazione lentamente si avvicinava.
L'America del nord avea guadagnato col sistema continentale, avea resistito con buon successo agl'inglesi, e questa doppia circostanza aumentava la sua prosperitá e la sua considerazione. Il sud dell'America era nell'anarchia, ma pareva difficile che potesse rientrare nella dominazione delle metropoli ch'erano ad essa inferiori non solo in estensione ma anche in popolazione.
La Polonia restò divisa tal quale lo fu nel 1794 meno una parte della Prussia, che fu prima ducato di Varsavia e che indi riprese sotto la dominazione russa il titolo e lo stemma del regno di Polonia.
L'Italia passiva, nelle prime campagne e poscia infelice nelle sue guerre, passata con vari nomi sotto la dominazione francese, non ebbe al certo, peso come potenza, ma circa dugentomila italiani sotto nomi diversi e combattendo anche per cause opposte comparvero con onore sul campo di battaglia. La carriera civile come la militare mostrarono che nella lunga pace nulla si era perduto d'intelligenza e di energia in quest'antica ed illustre famiglia d'Europa. I suoi antichi sovrani rientrarono in possessione dei loro Stati, le repubbliche e tutte le istituzioni del medio evo scomparvero, ed in molti Stati furono sanzionate in parte le istituzioni che la conquista avea seco recate, ma che essendo in armonia con la civiltá dell'Italia erano state reclamate da' suoi sapienti e cominciate a introdurre dai suoi antichi sovrani.
I risultamenti del congresso di Vienna come massime generali, che come fece il trattato di Westfalia ne formano un'epoca nel dritto pubblico, possono ridursi a' seguenti:
1. Distruzione del dritto feudale come dritto pubblico europeo, per il che i sovrani di Germania ed i cantoni svizzeri divennero eguali fra loro.
2. Abolizione della tratta de' neri.
3. Riconoscenza de' fatti compiti cosí nelle istituzioni come nella posizione degl'individui e nelle transazioni territoriali. Garantia de' dritti acquistati nella rivoluzione e nelle sue fasi. Garantia quanto ai debiti.
4. La lingua francese dichiarata lingua legale in diplomazia in luogo della latina.
5. Distruzione delle repubbliche del medio evo e modificazione delle poche che restarono.
6. Lega fra le grandi potenze per conservare la pace, e per conseguenza abbandono di tutti gli antichi risentimenti delle potenze fra loro.
7. Superioritá acquistata dal settentrione sul mezzogiorno per l'importanza della Russia e della Prussia, per l'abbassamento della Francia, per la poca importanza delle due penisole e per l'isolamento dell'Inghilterra che non trovava alleati né nell'oriente né nel settentrione.
8. I nuovi rapporti del sommo pontefice coi governi che erano fuori del grembo della Chiesa e che avevano acquistati sudditi cattolici favorivano la tolleranza religiosa.
Si può riassumere da quanto dicemmo che nel trattato di Munster le alleanze furon fatte fra i lontani contro i contigui, e in quella di Vienna facevansi fra i contigui contro i lontani, se il caso si presentasse.
Benché non fosse ammessa l'emancipazione delle colonie, pure dall'insieme degli atti poteva scorgersi che la tendenza era di non riconoscere la feudalitá di uno Stato verso un altro Stato, e le colonie erano per la loro essenza comprese in questa categoria, e perciò la loro emancipazione esisteva in germe. Tutto tendea a separare la societá moderna dal medio evo e completare tutto quello che da piú secoli si operava a questo fine.
Qui terminiamo questo nostro discorso troppo lungo ed insieme incompiuto, richiamando alla memoria de' nostri lettori le parole del sapiente Cuvier riportate nella fine del nostro terzo discorso intorno all'influenza della polvere da sparo sullo stato sociale e politico dell'Europa, le quali potranno convincere piú che mai che la guerra coi suoi metodi e colla sua azione è stato uno de' grandi istrumenti della trasformazione che ha subito la societá moderna; trasformazione che noi possiam solo descrivere, lasciando alla provvidenza il segreto de' suoi impenetrabili disegni sull'avvenire dell'umanitá.
DISCORSO IX
Intorno ai rapporti della scienza bellica colle scienze, le lettere, le arti e lo stato sociale, considerati sotto un aspetto generale dall'antichitá fino ai dí nostri.
Nei precedenti discorsi abbiamo avuto per iscopo l'indicare moltiplici rapporti che si scovrono tra le scienze belliche, le scienze tutte e lo stato sociale. In quest'ultimo ci proponiamo di trattare le tre seguenti quistioni:
1. Se vi esistano rapporti, e quali sieno, tra la guerra considerata come fatto sociale e come scienza, e la letteratura e le belle arti.
2. In quale categoria di scienze possa andar compresa la guerra considerata come scienza, se in quella delle esatte o in quella delle approssimative. Quale sia il metodo piú adattato per l'insegnamento di essa, determinato il carattere che scientificamente considerata assume. In ultimo quanta sia l'importanza dello studio teorico in una scienza tutta di applicazione pratica.
3. Quali sieno le veritá che risultano dall'insieme del nostro lavoro sull'importanza della scienza, e quali perfezionamenti sia questa capace di ricevere dallo stato attuale dello scibile e della societá[47].
Il metodo piú semplice per determinare l'esistenza de' rapporti enunciati nella prima quistione è a nostro credere quello d'indicare l'essenza della letteratura e delle belle arti generalmente e partitamente, mentre, una volta ciò fatto, è facile dedurre se esistano quei tali rapporti con una scienza di cui abbiamo fatto conoscere non solo la natura ma le proprietá tutte sotto gli aspetti piú vari.
La letteratura e le belle arti sono a parer nostro una manifestazione della nostra natura nelle facoltá dell'intelligenza e della sensibilitá. In effetto tutte le produzioni letterarie come le artistiche non sono che il risultamento dell'impiego piú o meno felice di tali due facoltá[48]. Questo principio può dedursi dall'esame della nostra natura, delle sue condizioni e del suo scopo; può essere ugualmente dedotto dallo sviluppo successivo che si opera in tutte le umane associazioni, dai primi passi nel viver civile fino ai piú avanzati nella carriera della civiltá dei quali si possa fornire esempio. Infatti qualunque sia lo stato di una societá, esistono negli esseri che la compongono le facoltá e i bisogni che corrispondono alla loro natura. Tutto il movimento progressivo dell'umanitá sta in ciò, che per soddisfare un nuovo bisogno è necessario dar maggior sviluppo alle nostre facoltá. Cosí la divina sapienza ha stabiliti legami indissolubili tra la nostra natura fisica, la intellettuale e la morale, e cosí i piú volgari bisogni dell'essere senziente hanno servito di stimolo all'azione dell'essere intelligente, ed allora il mezzo ha nobilitato lo scopo. Per conseguenza ciò che separa una societá barbara da una incivilita si deduce dalla somma dei bisogni di entrambe e dallo sviluppamento delle facoltá atte a soddisfarli. Or se le scienze belliche, ovvero, ove esse siano ancora ignote, l'azione della guerra, hanno la sorgente nella natura; se sono una particolare applicazione delle umane facoltá per soddisfare un ordine di bisogni; se gli eserciti o la parte della societá che combatte formano una societá distinta nella general societá, che assume proprietá e condizioni armonizzanti col suo fine; se tutto ciò è vero, siccome ci siamo sforzati di provare, ne risulta che coteste belliche scienze sono un riflesso della societá tutta intiera, ed in conseguenza debbono secondarne ed esprimerne il movimento progressivo, stazionario o retrogrado. Avendo quindi dimostrato che la letteratura e le belle arti essendo una manifestazione della nostra natura esprimono un bisogno e fanno sviluppare ed attivare delle facoltá per soddisfarlo, e che questa disposizione mostrasi per gradi e con caratteri diversi nei vari gradi d'incivilimento, possiamo cavarne di conseguenza che la parte di ogni associazione destinata a pugnare per essa non può essere estranea allo stato delle arti, della letteratura e delle scienze ed allo stato sociale, o che sia temporaneamente riunita o permanentemente organizzata.
Potremmo dire di aver risposto alla prima quistione; ma crediamo poter dimostrare dall'essenza particolare dei rami diversi della letteratura e delle belle arti quali sieno i rapporti che noi ricerchiamo e perché esistano.
La letteratura secondo la nostra maniera di vedere ha per iscopo lo esprimere per mezzo di segni alcuni bisogni che sono nell'essenza della nostra natura, in modo che nella loro compiuta manifestazione si mettono a luce sotto certe forme convenute i nostri sentimenti e quelle idee che in noi sono in maggiore armonia coi primi. Questo modo di considerare le produzioni letterarie ci sembra anche applicabile alle belle arti, come piú innanzi faremo conoscere; e convenendo dell'imperfezione di questa definizione, la consideriamo non pertanto come sufficiente a facilitare l'intelligenza del nostro successivo ragionamento, nel quale non ci sará difficile dimostrare qualmente la guerra abbia spesso come fatto sociale fornito alla letteratura ed alle belle arti i materiali per esercitarsi e le occasioni per produrre i lavori piú atti ad affrontare l'azione dei secoli, ed abbia concorso ad essere uno de' mezzi dai quali uno stato sociale possa ricevere la sua piú compiuta espressione[49].
Se si considerano nella piú generale classificazione, i nostri sentimenti morali possono ridursi all'amore ed all'odio: il primo tende a riavvicinarci a tutto ciò che inspira questo sentimento, a immedesimarci con esso; l'altro ad allontanarlo e a separarcene, fino al punto di tendere alla sua distruzione a fine di evitarlo per sempre. Il mondo moralmente considerato gira su queste due tendenze, come il mondo materiale sulle due forze di attrazione e di ripulsione. La poesia come prima forma dell'espressione de' nostri sentimenti canta l'odio o l'amore, e tutta la magia delle sue forme tende ad attivare al massimo grado i sentimenti che ha preso ad esprimere. Ora l'amore per la propria famiglia e la propria tribú, e l'odio per quelle che sono con esse in opposizione o in rivalitá, sono al tempo stesso le passioni delle prime riunioni sociali e tendono egualmente ad ispirare il coraggio di fare tutti i sacrifici, financo quello della vita, per amor de' propri ed in odio degli avversari. Per conseguenza subito che la poesia tratta le passioni dell'amore e dell'odio non nel senso puramente individuale ma nel collettivo, queste passioni si trovano trasformate in canti guerrieri, destinati ad eccitare il valore per mezzo dell'indignazione verso i nemici e dell'affezione pei propri e la rassegnazione a sopportare tutti i tormenti che la fortuna delle armi riserba ai vinti nelle barbare societá. È ben naturale che per ispirare una generosa emulazione le geste de' tempi andati, gli effetti della vittoria e quelli piú tristi della disfatta sieno mezzi tutti che la poesia adoperi per eccitare le passioni necessarie al buon successo della lotta. Cosí la poesia diviene storica ed epica al tempo stesso, e la parte che la divinitá prende all'impresa per appoggiarla come giusta o per condannarla come alla giustizia contraria, riveste di un carattere teologico e mistico le poesie dei popoli in questo stato di societá. I selvaggi dell'America e dell'Affrica, gli scaldi e i bardi presso gli scandinavi e le popolazioni celtiche ed orientali attestano la nostra asserzione, cioè che nelle prime societá la poesia era in rapporto diretto con la guerra. In quelle piú incivilite vediamo riprodursi questa connessione con quelle condizioni che il grado di civiltá determina. In effetto il popolo ebraico aveva i suoi poeti che cantavano la guerra. Lo stesso era presso gli arabi. Anche nelle contrade misteriose dell'India si vedono dei poemi destinati ad eccitare le passioni guerriere ed a conservare le tradizioni cosí delle geste de' grandi uomini che degli odii nazionali. Il poema conosciuto sotto il nome di Niebelugen per la Germania è tra questi. I greci nell'antichitá avevano i loro canti di guerra, e basta per farne prova il nominare Tirteo. Il Feuriel e il barone Eckstein hanno fatto conoscere quelli dei greci moderni e degli abitanti della Servia. Nei tempi nostri abbiamo anche veduto in Prussia ed in Francia ed in Russia delle composizioni ad uso degli eserciti. Considerando la poesia in uno de' suoi modi piú elevati qual è quello dell'epica composizione, non abbiamo che a richiamare l'attenzione dei nostri lettori su ciò che dicemmo nel nostro primo discorso, cioè dire che tutte le grandi epiche composizioni, come l' Iliade, l' Eneide, la Gerusalemme, la Henriade, sono tutte destinate a descrivere una guerra, come soggetto che presenta ad un tempo il maggior numero di grandi caratteri, di forti passioni e di situazioni difficili; elementi tutti che innalzano e facilitano il genio del poeta ed il merito della composizione.
La musica nei suoi metodi informi è contemporanea dei primi saggi della poesia e può considerarsi come una ausiliaria di lei. Osservata nella sua essenza e nel suo scopo è facile vedere che sorge dalle stesse disposizioni, tende a soddisfare gli stessi bisogni, ad eccitare ed a rinvigorire le stesse passioni o dolci o veementi, esprimendo l'amore o l'ira: per queste ragioni tutte è stata sempre la fedel compagna della poesia, molto avendo di comune con essa[50]. Perciò vediamo i guerrieri in tutti i tempi essere animati da istrumenti atti ad eccitarli nelle fazioni guerresche o a graduare i loro sforzi a seconda de' bisogni. Questo carattere e questo scopo della musica militare segna il passaggio dal periodo di assenza d'ordine tattico a quello che ne ha giá uno: nel primo caso la musica è un puro eccitamento, nel secondo acquista di giá un carattere moderatore. In effetto Omero distingue i greci dai barbari dalla loro marcia eguale al suono del flauto; e Paolo Giovio descrivendo l'esercito di Carlo ottavo nella sua entrata in Roma, nota come misura dell'imponenza di quell'esercito ordinato in modo nuovo, che i tedeschi e gli svizzeri marciavano in cadenza al suono de' militari istrumenti. La musica militare si è perfezionata e si è talmente livellata con lo stato della scienza militare e con quello della musica in generale, che ai nostri dí abbiamo veduto stabilirsi tale connessione intra esse che si è marciato all'oppugnazione di un ridotto vomitando la morte e il dolore con le arie di un dramma ove tutto respirava l'amore, e si è accompagnata nel teatro la musica vocale dagl'istrumenti militari piú sonori e piú esprimenti il fragore delle battaglie. Segno novello della fusione della societá, fusione che bisogna osservare in tutto ciò che ne offre indizio, dalle piú alte alle minime manifestazioni[51]. La piú piccola esperienza di guerra ed anche di semplice servizio militare fa conoscere quanta influenza abbiano anche i meno armonici istrumenti per ravvivare nelle marcie la spossatezza de' soldati, e come il cantare nella stessa occasione ne allevii la fatica; pruova significativa della natura morale dell'uomo, ch'è suscettiva di ricevere l'impulsione e di accrescere le sue forze con mezzi che operano sulla sua immaginazione e la sua sensibilitá. Le storiche tradizioni ci parlano dell'effetto straordinario della musica sui greci; cosí che si è creduto che questo genere d'armonia di cui non è restato vestigio alcuno, avesse nella sua natura e nel suo merito intrinseco la ragione degli straordinari suoi effetti, mentre è piú naturale credere che quel vivo entusiasmo risultasse dalla disposizione, dall'organizzazione e dall'insieme delle circostanze di quel popolo. Quando la societá attuale della Svizzera sará cambiata, quando i suoi abitanti avranno obbliata la cantilena che li rende ammalati sulla terra straniera, che cosa mai penserassi dell'armonia di quel canto da coloro che ne leggeranno gli effetti? Maraviglie! E pure niente è meno mirabile. Il suo incanto nasce dal rapporto delle persone con le idee e con le rimembranze che suscita.
Passando alla pittura e alla scoltura non può negarsi ch'esse sorgano dallo stesso principio che la poesia e la musica e tendano allo stesso scopo, ma con forme tutte proprie; tendono cioè ad eccitare le due principali passioni nelle quali crediamo che tutte le altre sieno contenute come diramazioni o graduazioni di esse. Infatti se si voglia analizzare filosoficamente e ricercare storicamente che cosa possono prefiggersi queste due arti ed in che senso sieno state adoperate, ne risulterá che tendono a perpetuare la memoria dei sentimenti esaltati di amore o di odio e di tutti gli avvenimenti piú celebri che ne sono derivati, per lasciare esempio ed impulso alle future generazioni, ispirando loro il rispetto per gli eroi individualmente o per le azioni eroiche collettivamente operate, ed a fermare con monumenti perenni le ère importanti nella storia delle nazioni. Non vi è bisogno di dire che i ritratti de' grandi uomini, le rappresentazioni degli avvenimenti importanti, le statue elevate ai primi, i monumenti commemorativi degli altri e le medaglie, che sono come l'ausilio delle due arti, hanno per lo piú per iscopo di lasciare ai posteri l'aspetto dei gran capitani o la loro intiera figura, e che tutti i quadri e i monumenti che tengono per loro fine particolare quello di rintracciare i primi passi e le successive vicende delle nazioni debbono naturalmente occuparsi dei gran guerrieri, delle guerre e dei fatti principali di esse. E cosí ci par chiaro che la scoltura del pari che la pittura, la musica egualmente che la poesia, abbiano moltiplici rapporti con la guerra. La storia delle arti ricavata dai monumenti pruova la nostra asserzione.
L'esame dei rapporti ch'esistono tra la guerra e la letteratura nelle produzioni dell'eloquenza, della storia e della parte dogmatica ci daranno maggior pruova delle idee che enunciammo.
L'eloquenza nella sua essenza e nel suo scopo ha le stesse proprietá che nella poesia abbiamo riconosciute; ma benché l'eloquenza possa ritrovarsi in ogni periodo dello stato sociale, quando vive passioni ed alti interessi ispirano i suoi organi, pur nondimeno solo in un'epoca di avanzata civiltá è sottomessa a metodi certi che ne fermano le regole e riveste un carattere piú positivo e piú compiuto. I rapporti di questo ramo della letteratura con le scienze belliche non han quasi bisogno di una dimostrazione razionale, mentre tutti gli storici avvenimenti sono ricchi di fatti che rendono incontestabile la loro esistenza. In effetto dalle istigazioni dei capi de' selvaggi alle loro tribú per eccitarle a combattere, dalle loro laconiche risposte per provare con quale stoicismo sapessero sopportare l'avversa fortuna, dalle concioni degli antichi capitani per animare il loro esercito infino agli ordini del giorno dei moderni — tra i quali son primi quelli di Bonaparte, considerati nel loro merito letterario e soprattutto nei loro effetti sulle truppe, — vediamo l'eloquenza, egualmente che la musica e la poesia, tendere ad uno stesso scopo, all'eccitamento cioè delle passioni della guerra, e vediamo l'azione de' mezzi da essa adoperati disegnarsi e graduarsi in ragione dell'esercito al quale s'indirizza, riguardandolo come simbolo del secolo e del popolo da cui sorge[52]. Le orazioni funebri per celebrare le geste de' guerrieri e render loro gli ultimi offici sono anche un uso dell'eloquenza, che tende a risvegliare vieppiú ne' vivi il desiderio di emulare i sacrifizi utili alla patria che operarono i trapassati, e ad inspirar loro la riconoscenza ed il rispetto per quei che il gran sacrificio di giá consumarono a pro del comune. Quella pronunziata da Pericle e riportata da Tucidide nella Guerra del Peloponneso, le parole eloquenti di Demostene che giustificava la guerra benché infelice contro Filippo e giurava per le ceneri degli estinti in quella lotta, rivestono tutte l'istesso carattere e si prefiggono lo stesso scopo.
Quando portiamo il nostro sguardo sulle storiche composizioni non ci è difficile di scorgere che i loro autori mirano ad attingere lo stesso scopo dai poeti raggiunto nelle prime epoche della vita de' popoli, cioè a delineare il quadro delle azioni e degli uomini illustri che avevano contribuito allo stabilimento, alla conservazione o all'ingrandimento dello Stato. La sola differenza è nel metodo, mentre i racconti in prosa, rivestiti di tutti i caratteri dell'istoria, dimostrano popoli di giá inoltrati nella civiltá, la lingua dei quali è fermata. Infatti Erodoto, padre dell'istoria, compose il suo immortale racconto che lesse in una solennitá nazionale per descrivere la lotta sproporzionata in cui i greci trionfarono dei persiani, l'Europa dell'Asia e la civiltá che progredisce di quella che sta ferma. Tucidide, Senofonte, Livio, Sallustio e Tacito raccontano nelle loro storie le guerre che hanno contraddistinto i periodi da essi descritti, e da queste narrazioni si deduce l'avanzamento o la decadenza delle nazioni. Polibio e Plutarco altro scopo non presero di mira nelle loro opere, benché il facessero sotto forma diversa, ma pure riflettendo pienamente lo stato della civiltá. Sarebbe lungo e fastidioso il richiamare alla memoria de' nostri colti lettori tutti gli storici moderni. Faremo solamente osservare che nei primi periodi del medio evo anche per mezzo della poesia si trasmisero alla posteritá le gesta di quell'epoca di barbarie, conseguitarono a queste composizioni le cronache, e quindi nel primo apparire della civiltá sursero gli storici: le guerre sacre o le crociate diedero occasione a Guglielmo di Tiro, a Joinville ed agli storici italiani di far rinascere quel genere di eloquenza esprimente i passi fatti nella civiltá. In effetto le gran composizioni di questo genere, ch'ebbe nel Machiavelli, nel Guicciardini, nel Davila, nel Bentivoglio e nel Paruta i suoi piú distinti organi in Italia, furon dirette a descrivere alcune di quelle grandi crisi sociali in cui i popoli si urtano, si confondono e si modificano.
Siccome poi esercitandosi le facoltá intellettuali e progredendo perciò l'intelligenza, vengonsi suddividendo le branche dello scibile, cosí sorse la letteratura didascalica, cioè quella che prescrive le regole per dare alle letterarie produzioni tutte le condizioni necessarie a renderle finite nel loro genere, sottomettendole ai metodi corrispondenti al fine che si prefiggono. Allora la scienza militare ebbe un genere a questo corrispondente e divenne ricca di opere in ragione dello stato dello scibile e della civiltá della nazione intiera, ed allora si videro trattati di tattica, di strategia, di fortificazione, d'amministrazione militare, come nell'ordine civile quelli di giurisprudenza, di medicina, di economia politica. Questo andamento costante dev'essere sicuramente il risultamento d'una legge della natura e non di un caso fortuito, il quale non potrebbe riprodursi con tanta costanza da per ogni dove. Infatti nei primi periodi di coltura intellettuale, se la divisione del lavoro letterariamente e scientificamente considerato non ha ricevuto un vasto sviluppamento, ne risulterá che l'istoria narri tutti i fatti qualunque sia la loro natura. In epoca piú avanzata in civiltá le storiche produzioni si dividono in civili, intellettuali e militari; distinzione che corrisponde a quella della societá considerata nel suo stato regolare, nel suo sviluppamento intellettuale e nelle sue crisi, ossia nel suo stato d'azione e di reazione. I primi storici puramente militari sono stati gli attori delle guerre celebri o i gran capitani di tutti i secoli, che furono gelosi di trasmettere alla piú lontana posteritá le loro azioni e i loro esempi. I commentari di Cesare, le opere di Senofonte e di Ammiano Marcellino pel basso impero, di Villardoyn e di Joinville per le crociate, di Montecuccoli, Rohan, Turenna, Catinat, Villars, Federico, Napoleone e di tutti gl'illustri capitani de' nostri tempi che hanno scritte memorie delle proprie azioni, quali Jourdan, l'arciduca Carlo, Suchet, Saint-Cyr, sono di questo genere. Vengono indi le opere istorico-critiche, che non posson essere prodotte ove la scienza non è fermata, altrimenti mancherebbe il principale carattere di queste produzioni, ch'è quello di misurare il merito de' fatti sulla scala de' princípi: per cui tali opere non cominciano che nel secolo di Luigi decimoquarto con il Quinci storico militare di quell'epoca; abbondarono molto piú nel decimottavo secolo, ove il Lloyd, il Temphelof, il Rettzov e tanti altri si sono distinti in questa carriera che ha prodotto ai dí nostri il Dumas, il Jomini, il Pelet, il Vagner, il Muffling, il Napier, il Vaccani ed altri meno distinti ma utili egualmente nella loro sfera. Questa abbondanza di scrittori dimostra che la scienza è fermata in corpo di dottrine, e che in una associazione qualunque è impossibile che una scienza tutta dalle altre derivante sia giunta a questo stato di avanzamento senza che tutto lo scibile umano abbia fatto corrispondenti progressi; e il veder trattata la filosofia della guerra da distinti autori, come il Lloyd, il Jomini, il Chambry, il Critis professore a Torino, è una pruova luminosa dell'essersi considerati tutti i rapporti che le scienze fisiche e morali hanno con la guerra dalla quale sono riassunte.
Per restringere quanto abbiamo detto come soluzione della prima quistione che ci siam fatta, possiamo dire:
1. Che la letteratura e le belle arti essendo una manifestazione dei nostri sentimenti hanno origine e scopo comune.
2. Che si prefiggono in generale di dirigere l'umanitá nelle due passioni predominanti, l'amore e l'odio, e d'indicare ciò che dee ispirarci il primo sentimento o ciò che il secondo.
3. Che o le nazioni facciano la guerra con tutti gli uomini validi o con parte eletta, la letteratura e le belle arti avranno sulla parte combattente una influenza proporzionata a quella che esercitano sulla societá intiera.
4. Che i canti guerrieri, la musica che vi corrisponde, i quadri che conservano le sembianze dei grandi uomini o delle grandi azioni, i monumenti eretti in ogni forma per eternare la gloria e per richiamare la riconoscenza delle future generazioni altro non sono che delle forme varie per eccitare le stesse passioni. E questa è la parte invariabile di questi rapporti, perché la variabile sta nel grado di perfezione di queste produzioni che simboleggiano e rivelano lo stato sociale e le sue condizioni; per cui gl'informi disegni dei messicani o un quadro di Apelle o di Raffaele esprimono la stessa idea malgrado di tanta differenza nell'esecuzione, ed un masso di pietra o una figura abbozzata — monumento di cui i compatrioti di Vercingetorige e di Arminio si servivano per eternare i fatti e per ricordare gli uomini illustri — ispirano lo stesso sentimento che i monumenti eretti dal genio di Fidia, di Michelangelo e di Canova, come la colonna traiana e quella della piazza Vandôme.
Ci pare aver assai chiaramente indicato l'esistenza dei rapporti della guerra con la letteratura e le arti: da dove traggano origine, ove tendano, i suoi caratteri e le sue condizioni e la loro parte variabile come espressione dello stato sociale; e cosí abbiam risposto alla prima quistione.
La seconda quistione che ci accingiamo a risolvere presenta come prima parte alla soluzione di essa il determinare in quale classificazione scientifica debba situarsi la guerra cosí considerata e dimostrata. Per dar forma piú propria a questa parte della quistione intiera, cercheremo di rispondere a questa interrogazione: — Se la guerra come scienza debba essere annoverata tra le scienze esatte o tra le approssimative e a quali di queste piú si avvicini.
La guerra può considerarsi come un metodo da imprimere una direzione determinata ad un numero di uomini organizzati in una particolar societá, destinata per suo fine a far tacere la natura nei suoi forti impulsi del pari che nelle sue prime leggi, e ad agire a seconda delle circostanze e di tutti gli accessori che vi hanno relazione. Da questa definizione si può dedurre che la scienza bellica per la sua organizzazione si lega alle politiche istituzioni; pei gradi di volontá che dee mettere in movimento, alla piú alta filosofia; e per le sue pratiche, alle scienze esatte e naturali; e che ha bisogno d'ingegno per trar partito da tutte le varie combinazioni che lo spazio, il tempo e gli accidenti presentano. Da ciò risulta che non può essere classificata tra le scienze esatte nel senso piú esteso del termine, mentre dee far entrare nelle sue previsioni e nei suoi calcoli l'azione della volontá individuale e tutte le circostanze imprevedute ed improvvise. La guerra senza dubbio come scienza poggia sulle scienze esatte, poiché nel complesso delle sue operazioni si riduce ad un calcolo di spazio e di tempo. La tattica, che piú si rapporta all'arte nelle sue applicazioni, ha le stesse basi fondamentali, giacché risolve in ispazi piú circoscritti gli stessi problemi che la scienza risolve in ispazi piú vasti. Ma sí l'una che l'altra debbono modificare nelle loro applicazioni la severitá de' principi scientifici a secondo delle circostanze locali. Se è vero che tutte le arti elevate a princípi generali si trasformino in scienze, cosí come tutte le scienze discendendo alla pratica applicazione assumono il carattere di arti, la guerra ancora dee seguire questa legge comune; ma a differenza delle altre scienze in cui i sapienti restano nella sfera della speculazione e non discendono a farne l'applicazione, in questa uno stesso individuo dee disimpegnare questa doppia funzione, mentre un puro sapiente nelle belliche scienze incorre nella taccia data al retore di Efeso: e ciò è ben naturale in una scienza che trae tutta la sua importanza dai risultamenti materiali. Queste considerazioni sono tali da far credere che siccome la guerra non può esser compresa tra le scienze esatte, per la moltiplicitá degli incidenti cui va sottoposta e per la varietá degli elementi ch'entrano nei calcoli che le son propri, cosí possa emettersi per soluzione del quesito la proposizione seguente: — Malgrado di che le scienze esatte sieno il fondamento della guerra, nondimeno questa considerata nel suo tutto non può essere classificata tra quelle, ma lo può essere con piú ragione tra le scienze approssimative, avendo in considerazione e condizioni e il marchio da cui queste sono contraddistinte.
Determinato ove possa classificarsi la scienza bellica, ne risulta che il metodo migliore pel suo insegnamento debba esser quello che sia il piú atto a ciò conseguire nelle scienze che rivestono lo stesso carattere ed alle quali trovasi assimigliata. Risulta da quanto dicemmo che il metodo analitico è quello che debbe preferirsi pel suo insegnamento. Ed invero le sue regole sono state formate sulle ripetute osservazioni di tanti casi particolari, dai quali si è dedotto che bisognava cosí agire in casi simili[53]. Difatti fra i popoli che hanno percorso un lungo periodo di guerra combinato con un grado di civiltá corrispondente, si vedono sorgere gli autori militari, mentre è ben naturale che la scienza si applichi nello stesso modo che si è formata per istruire quelli che vogliono possederla; ed in effetto il metodo analitico è quello piú comunemente seguito dai professori egualmente che dagli scrittori della scienza guerresca. Ma è pur anche vero che una volta che l'analisi procedendo dal noto all'ignoto ha ritrovato i principi di una scienza, sia un bisogno della nostra intellettuale natura che vengano esposti in corpo di dottrina coll'ordine sintetico, il quale compie cosí il metodo d'insegnamento. Nessun dubbio cade che gli uomini superiori cui la natura ha riccamente dotati di tutte le facoltá necessarie pei gran comandi, trovino un utile ausilio nell'analisi per dar maggior sviluppamento alle loro idee; ma è ugualmente vero che per gli esseri privilegiati le regole di una scienza considerate in un modo stretto sieno piú atte a comprimere che a dirigere il loro genio nella sua rapida intuizione. Uomini di questa tempra leggono nel libro della natura e vi trovano rapporti che al talento stesso sfuggono o solo gli scovre dopo molto tempo e lavoro, mentre destinati questi sono a formarsi successivamente a forza di esperienza e di studio tra essi comparati. È cosí che possono rendere importanti ed utili servizi ed ottenere un grado d'illustrazione corrispondente; è per essi che il metodo sintetico preceduto dall'analitico e combinato con esso può favorire lo sviluppamento delle loro facoltá e farne degli uomini di guerra, i quali hanno bisogno di restar Circoscritti nelle regole che la scienza e l'arte prescrivono; mentre dal volersene affrancare quando non si è dotato di genio, ne risulta che la mediocritá abbandonata a se stessa produce mali maggiori e non punto capaci di compararsi ai felici effetti di qualche rara e fortuita ispirazione, mali che le regole esattamente seguite avrebbero impedito.
Stabilito il posto che occupa la scienza della guerra tra le scienze e determinato il metodo che meglio si confá al suo insegnamento, non solo abbiam risposto alla prima e alla seconda parte della nostra quistione, ma anche di molto avanzata la risoluzione della terza che ne deriva, cioè l'importanza dello studio teorico in una scienza tutta d'azione, sulla quale ora esporremo la nostra opinione.
Nella maniera di vedere in questa quistione non tutti convengono, e a nostro credere tale divergenza ha origine o da un significato diverso dato alla stessa parola o da qualche falsa associazione d'idee: quindi ci crediamo obbligati a sviluppare le nostre idee sull'assunto. L'esperienza ha mostrato che degli uomini privi d'ogni istruzione teorica han fatto buona riuscita nella guerra, ed ha mostrato egualmente che degli uomini aventi fondata opinione d'istruiti a fondo nella teoria dell'arte hanno avuto poco felice esito alla pruova. Si è detto allora che lo studio danneggiasse anziché favorisse l'applicazione ai fatti nei quali si riassume la guerra. Ci sembra esservi un doppio errore, primieramente nel senso dato alla parola «studio», in secondo luogo nell'associazione dello studio con la poco buona riuscita in pratica. Per quanto si abbia poca abitudine nel calcolare le operazioni intellettuali che conducono alla formazione delle nostre idee, ognun sa che le sensazioni non fecondate da nessuna riflessione, non ruminate, per servirci di una espressione materiale, si rimangono mere impressioni, lasciano il vago di un sogno e quanto piú sieno moltiplicate tanto piú è difficile classificarle e renderne conto con qualche precisione. Tutti quelli che hanno avuto occasione di conversare con uomini che abbian fatto lunghi viaggi o sieno stati attori in lunghe guerre su teatri diversi, sono restati sorpresi di non trovare nessuno interesse nella loro conversazione con essi, mentre tanto se ne promettevano; perché non essendo questi tali dotati della facoltá di meditare e di classificare, ignoravano compiutamente dove fosse accaduto il tal fatto, quando, come, perché, e simili altre circostanze: imperocché è una legge della nostra natura che il lavoro crei i valori materiali e intellettuali; per lo che un uomo ricco di dovizie egualmente che un uomo ricco di sensazioni si troveranno poveri laddove non sappiano la loro ricchezza col lavoro fecondare. Uomini che hanno divorato delle biblioteche, ma che non hanno mai riflettuto, mai discusso con l'autore, mai letto con la penna in mano, si trovano riguardo alle impressioni che han ricevuto nei libri nello stesso caso del viaggiatore e del militare che non han potuto né riassumere né determinare il valore delle moltiplici sensazioni che gli hanno colpiti. Per conseguenza né il vedere né il leggere insegna niente, perché le sensazioni isolate del pari che le letture non sono né esperienza né studio, e perché non si ha esperienza vera senza studio, come piú innanzi vedremo. — «Che vale il vivere se non si fa che vegetare? che vale il vedere se non si fa che ammassare de' fatti nella memoria? che vale in una parola l'esperienza se non è diretta dalla riflessione? — La guerra — dice Vegezio — dev'essere uno studio, e la pace un esercizio. — Il solo pensiero, o per meglio dire, la facoltá di combinare le idee, distingue l'uomo dalle bestie da soma. Un mulo che avesse fatto dieci campagne sotto il principe Eugenio non sarebbe per ciò divenuto miglior tattico, e fa d'uopo confessare in onta all'umanitá che per cotesta pigra stupiditá molti vecchi uffiziali non sono da piú di tali muli. Seguir la pratica usuale, occuparsi del proprio alimento e del proprio alloggio, mangiar quando si mangia, battersi quando tutti si battono, ecco in che la piú parte fa consistere l'aver fatto campagne e l'essersi incanutito sotto l'arnese». — Cosí scriveva il gran Federico al generale Fouquet; e questo passo nel mentre che appoggia la nostra opinione, servirá a meglio far comprendere il séguito del nostro ragionamento.
Difatto un uomo dotato dello spirito di osservazione e di classificazione, benché analfabeta, se compara, analizza, classifica, distingue e fa tutte le operazioni intellettuali, avrá tosto elevate le sue sensazioni ad esperienza e la sua esperienza a teoria; il suo conversare sará lucido e interessante e porterá la convinzione negli animi. E si dirá di questo uomo che non ha studiato? Errore di parola: egli non ha letto, ma ha studiato, poiché la sua intelligenza non è stata inerte, anzi ha dovuto piú operare, essendo egli privo degl'istrumenti che ne facilitano le operazioni, quali sono i metodi scientifici o la cognizione degli antecedenti. Purtroppo quest'uomo sa, perché ha studiato, e ciò che ignora lo ignora per mancanza delle conoscenze che ne facilitavano la scienza, mentre avrebbe tratto egual partito dai libri che dalle sue sensazioni, avendo nel suo intelletto la tendenza ad ordinare e a fecondare tutto ciò che gli si offriva dinanzi. Un uomo istruito che al contrario non sa né differenziare né integrare né riassumere le sue letture, non fa buona riuscita. E perché? Perché ha letto e non ha studiato. Come potrá quindi applicare con sicurezza dei princípi che non ha? Incerto nelle idee sará indeciso nelle azioni; discuterá molto e opererá poco e forse male, non certamente perché ha studiato ma perché non l'ha fatto. Perciò lo studio è necessario al militare come ad ogni uomo, e l'errore sta in una falsa interpetrazione delle parole «studio», «esperienza», «teoria» ed in una falsa associazione d'idee, prendendo i risultamenti come effetti di una circostanza che manca, nel mentre che sonosi ottenuti malgrado della sua mancanza, senza della quale sarebbero stati piú compiuti. Ma non havvi nessun dubbio che in un mestiere tutto di azione la forza di carattere, la robustezza fisica sono di un'utilitá indispensabile e nulla può alla prima supplire. Non possiamo meglio svolgere la nostra idea se non che riportando l'opinione di Napoleone sulle qualitá di un capitano, ch'è applicabile ad ogni uomo investito d'alte cariche in tutti i rami; e siccome nei posti secondari le stesse condizioni sono necessarie, ma ristrette e limitate in proporzione della natura e dell'importanza dei doveri che debbonsi compiere e delle cose che debbonsi operare, cosí a noi sembra che la seguente sentenza possa applicarsi a tutte le condizioni. — «La prima qualitá d'un generale in capo si è d'avere una mente fredda che riceva una giusta impressione dagli oggetti: egli non dee lasciarsi abbagliare per una buona o per una cattiva nuova; le sensazioni che riceve successivamente o simultaneamente nel corso d'un giorno debbono classificarsi nella sua memoria in modo da non prenderne che quel luogo che meritino di occupare, perché la ragione e 'l giudizio sono il risultamento del paragone di piú sensazioni prese in egual considerazione. Havvi degli uomini che per la loro costituzione fisica e morale si fanno un quadro d'ogni cosa; per qualunque sapere, acutezza di mente, coraggio o altra buona qualitá che abbiano altronde, la natura non gli ha chiamati al comando degli eserciti e alla direzione delle grandi operazioni della guerra»[54]. — Questo passo pieno di profonde vedute determina le qualitá necessarie per comandare e le operazioni che debbono farsi nella sua intelligenza da chi ha questa missione, e corrisponde del tutto all'idea che abbiamo esposta sulla natura e sulla proprietá dello studio, ed è applicabile non solo all'arte della guerra, ma anche a quelle funzioni tutte alle quali un uomo può essere destinato. Lo stesso grand'uomo indica egualmente qual sia l'ausilio che debbono cercare dall'istruzione i militari elevati in grado, per meglio trar partito e per isviluppare compiutamente le enumerate qualitá d'intelligenza e di forza d'animo. Ecco com'egli si esprime: — «Leggete e rileggete le campagne d'Alessandro, d'Annibale, di Cesare, di Gustavo, di Turenna, di Eugenio, di Federico; modellatevi sopra di essi: ecco il solo mezzo di divenir gran capitano e di sorprendere i gran segreti dell'arte della guerra. Il vostro ingegno rischiarato da questo studio vi fará rifiutare le massime opposte a quelle di cotesti grandi uomini».
Da ciò che dicono Federico e Napoleone risulta chiaramente che vi è una scienza per la quale si scovrono le cagioni de' buoni successi e de' rovesci, e che insegna come si ottengano i primi e si evitino i secondi alla guerra; ma che bisogna per possederla avere una chiara intelligenza ed una volontá forte, occuparsi a classificare le idee a forza di meditazione e profittare delle tradizioni dei grandi uomini per dar l'ultima mano a questo studio, imperocché il piú ricco capitale di militare esperienza non è mai sufficiente a presentare tutta la serie delle combinazioni che la guerra offre, laonde è necessario riceverla nell'istoria militare di tutti i tempi, e particolarmente de' periodi in cui la scienza avea progredito e veniva posta in pratica da' gran capitani. Malgrado di autoritá cosí imponenti non si cesserá mai di dire da molti che la teoria non è pratica e che la pratica sta tutta in un'arte di applicazione. A costoro non si può meglio rispondere che colle parole di un profondo filosofo ed oratore, il quale in una solenne occasione diceva: — «Disprezzare la teoria è mostrar l'orgogliosissima pretensione d'agire senza saper ciò che si fa e di parlare ignorando ciò che si dice». — Se ciò è assurdo in tutte le operazioni umane, diviene poi atroce quando l'ignoranza dá per risultamento una quantitá di vittime di nostri simili.
È questo l'ultimo punto di veduta che ci rimane ad esporre, cioè lo studio dell'arte considerato nei suoi rapporti con la morale; e siccome questo lato della quistione può sembrare strano ad alcuni e superfluo ed oscuro ad altri, cosí ci pare essere obbligati a svolgere le nostre idee su questo oggetto.
L'obbiezione piú naturale che ci si fará contro la necessitá di studiare l'arte sará la seguente. — Se da quanto si è premesso risulta che per avere l'attitudine al mestiere delle armi nei diversi gradi si richiedono principalmente delle disposizioni d'intelligenza e di volontá, se possedendo queste si trae vantaggio dall'esperienza e dallo studio, e quando esse mancano sono egualmente sterili e l'una e l'altro, ne vien di conseguenza che gli esseri felicemente organizzati potranno far di meno dello studio e quelli che non hanno gli stessi vantaggi studieranno inutilmente, non potendo dallo studio ricavare profitto alcuno: quindi non si comprende ove risiedano i rapporti dello studio con la morale. — Questa obbiezione che a prima vista pare vigorosa, rientra in un'altra piú elevata, ch'è quella di determinare fino a qual punto l'istruzione sia un elemento dell'educazione, considerata questa nel suo senso piú largo, cioè come atta a formare una volontá retta e forte da accompagnarci in tutte le determinazioni che prendiamo. Ora non vi è dubbio che si è esagerata nelle moderne societá l'azione delle idee sulla formazione di ciò che chiamasi «carattere morale», tanto piú che l'educazione è stata circoscritta all'istruzione; il che non era nell'antichitá e neanche nel medio evo. Ma da un altro lato come negare l'influenza dell'intendimento sulla volontá, delle idee sulle azioni? Come spiegare l'organizzazione dell'uomo, la sua morale responsabilitá come essere libero e intelligente, che è piena sotto ogni aspetto civile, morale e religioso? Donde nasce quella costante preoccupazione d'impadronirsi d'ogni sorgente di comunicazione delle idee e di evitarne l'uso agli avversari? donde l'istruzione, la predicazione, la stampa? Come spiegare che nella riunione di uomini detta «esercito», destinata per necessaria istituzione e per l'interesse della sua conservazione ad una ubbidienza passiva, e che si suppone aver fuse panteisticamente tutte le volontá e tutte le intelligenze di cui è composta nel suo capo, il quale gliene rende la parte necessaria all'esecuzione de' suoi ordini; come spiegare che in tal riunione accada che cotesto capo indrizzi ai componenti di essa e concioni ed ordini del giorno e si diriga alla loro intelligenza per convincerli, alla loro volontá per trovare sostegno ed ai loro sentimenti per eccitarli? Tutto ciò sí costantemente ripetuto dimostra che l'umanitá ha sempre creduto che le idee avessero una potente influenza sulle azioni, che l'uomo in qualunque situazione non è mai puramente macchina, e che per conseguente l'intelligenza e la volontá diversamente dirette gli fanno seguire differenti serie d'azioni. Da ciò ne deriva come corollario che lo studio dell'arte contribuisce a formare e a render forti i caratteri non assolutamente ma relativamente, come concausa e non come unica cagione. Lo studio dee considerarsi come disciplinatore delle abitudini, come occupazione, come facente conoscere la natura delle cose che sono fenomeni per l'ignorante e gli tolgono ogni coraggio (perché questo cede quando ignora le forze che dee affrontare e la loro natura, del che son pruova i combattimenti notturni), per cui la scienza dá il coraggio o almeno toglie una infinitá di timori che assediano l'ignoranza. In effetto che cosa è il veterano? È l'uomo che ha calcolato quella misura de' pericoli che il coscritto ignora, cioè che ha una cognizione di cui l'altro manca. Sotto questo aspetto il gran Bacone esprimeva laconicamente questo pensiero dicendo: «La scienza è forza». Lo studio mette i membri di questa societá dianzi accennata in contatto con grandi avvenimenti e con gran caratteri, rende agevole il trovar voluttá nella solitudine e bandisce le frivolitá tutte che rendono gli uomini piccoli ed il dramma della vita meschino, con qualche cosa di grave, di solenne e di morale. Difatti un militare che abbia molto guerreggiato o che abbia molto studiato la scienza bellica sará piú grave, piú importante anche in societá di uno che abbia vissuto nelle guarnigioni ignorando l'importanza del suo stato, che la sola applicazione rivela. Gli uffiziali che appartengono ai corpi facoltativi hanno un carattere di soliditá e d'istruzione anche in piena pace, ed in guerra è tra essi che si trovano in un maggior numero quegli uomini disegnati da Napoleone in un'epoca strepitosa, alla fine del passo che qui riportiamo del ventesimonono bullettino dell'anno 1812, in cui dopo aver annunziato la venuta di un freddo eccessivo, cosí si esprime: — «Gli uomini cui la natura non ha dato tempra sí forte da esser superiori a ogni vicenda della sorte e della fortuna perdettero la loro gaiezza, il lor buono umore e non pensarono che a disgrazie e a catastrofi; coloro ch'ella ha creati superiori a ogni cosa conservarono la gaiezza e le maniere consuete, e videro una nuova gloria nelle varie difficoltá ch'erano a sormontare»[55].
Ciò che consegue da quanto dicemmo si è che lo studio e la meditazione sono un potente elemento per temperare i caratteri, e che in conseguenza il punto di veduta sotto cui riguardammo la scienza della guerra e i suoi rapporti con la moralitá non sono una vana supposizione, ma sí bene una logica deduzione della natura delle cose. Ciò provato possiamo proseguire il nostro ragionamento.
Quando un uomo abbraccia una carriera pubblica, quando domanda al sovrano gradi e potere, quando esige dalla societá deferenza e dai suoi subordinati rispetto e confidenza, quest'uomo ha fatto implicitamente la confessione di aver ricevuto dalla natura tutte le doti indispensabili per adempiere i doveri risultanti dalla sua posizione e di nulla essere per tralasciar dal suo canto onde rendersene sempre piú degno. È impossibile supporre il contrario, cioè ch'egli dica di non sapere fino a qual punto abbia le disposizioni pel suo stato necessarie e di non volere far nulla per conoscerle, per correggerle e per isvilupparle. Ciò non si può immaginare premeditatamente senza calunniare la natura umana, perché non è questa certamente la nostra tendenza; ma bisogna dire che ciò accada piú per leggerezza che per perversitá in tutti gli stati e particolarmente nella carriera delle armi dopo una lunga pace, allorché si è destinato ad abbracciare un tale stato per convenienza di famiglia, e ignorandosene l'importanza si crede che consista nel suo meccanismo, cioè nella parte esterna. Aggiungasi l'opinione invalsa che la pratica sia tutto e lo studio nulla, quando l'occasione non si presenta, al che nulla può dirsi in contrario, non potendosi fare una guerra per pura istruzione degli uffiziali. Si avanza nella carriera perché il tempo rinnova le generazioni e perché si è detto che il problema della vita sta nel far fortuna nella propria carriera. Le occasioni si presentano: si manca di pratica perché si è stato in pace, e di teoria perché si è creduta inutile, si è in un grado elevato perché tali gradi debbono essere riempiti; cosí mal preparati si accetta la missione di difendere la patria e di diriggere nei pericoli della guerra le centinaia o le migliaia de' propri concittadini che lor sono affidate. È singolare fenomeno il vedere che uomini onorevoli per ogni riguardo, pieni di una scrupolosa probitá in tutte le circostanze e le relazioni della vita, incapaci di ordinare un salasso ad un ammalato perché a ciò incompetenti, diriggano con tranquillitá delle operazioni ove ogni errore fa largamente scorrere il sangue umano, e compromettano cosí i piú grandi interessi di una societá qualunque, fino alla sua propria esistenza come corpo sociale. Questa contraddizione tra la moralitá dell'agente e l'immoralitá dell'azione è il risultamento di due false opinioni invalute e che tranquillano le coscienze: la prima si è che sia inutile l'applicarsi per rendersi piú atto ad adempiere i propri doveri, la seconda che la missione dell'uomo su questa terra sia di migliorare la propria condizione profittando di tutte le occasioni oneste. Ci si dirá: — Ma credete voi che lo studio faccia divenire uomo di guerra un essere non disposto alla carriera delle armi senza aver quella percorsa? — Noi nol crediamo punto e da quanto dicemmo è chiara la nostra opinione; ma crediamo invece che lo studio possa essere utile ove vi sia la disposizione, e possa anche fino a un certo segno far conoscere la mancanza di questa. Quando si rimane indolente a certi racconti, quando certe azioni non muovono fino alle lagrime, quando non si sceglie un modello di predilezione e non vi si ritorna sempre con passione, sia un autore, sia un capitano; quando, in questa come in tutte le altre arti e scienze, queste corde toccate non rispondono, è chiaro che manca la vocazione, ed un uomo dotato di onesto carattere può a questi segni entrare in un'altra carriera che gli sia piú confacente, nella quale potrá acquistare maggior riputazione e riuscire piú utile a' suoi simili. Ma per rendere comune e pratica questa dottrina, bisogna sostituire all'assioma che «il far fortuna è lo scopo della vita» quell'altro che «la missione dell'uomo come essere morale e religioso è di perfezionarsi», cioè di porsi a livello de' suoi doveri e non al disotto di essi; che quando si è ridotto a questo punto si può fare molto male con pure intenzioni, imperocché in un'arte ove si tratta della vita de' simili la negligenza acquista un altro nome piú vero e piú severo al tempo stesso. Per cui ripeteremo che l'uffiziale studioso, quando anche non riesca, quand'anche siasi ingannato nell'interpetrare le sue disposizioni naturali, dev'essere piú tranquillo di coscienza e dá una lezione di morale nel mostrare che nulla ha negletto per rendersi degno della confidenza e della stima della patria.
Possiamo quindi restringere ai seguenti capi la soluzione della terza parte di questa quistione.
1. Che la ragione del pari che l'autoritá de' gran capitani sono di accordo nel proclamare l'importanza dello studio della scienza militare per isviluppare le qualitá indispensabili all'esercizio di essa.
2. Che per «istudio» non s'intende la sola lettura, né per «esperienza» l'aver lungo tempo servito, ma sí bene la meditazione e il lavoro della propria intelligenza su tutto ciò che la propria e l'altrui esperienza fornisce.
3. Che lo studio nel mentre che non ha la proprietá di formare il carattere, pure contribuisce potentemente a dargli maggior dignitá e maggior coraggio, preso questo nel senso piú esteso.
4. Che il trascurare lo studio sarebbe nello stato militare segno sicuro di una profonda depravazione, se delle false opinioni invalute non avessero tranquillate le coscienze su questo particolare; ma che colui che si dedica allo studio ha dritto alla stima publica, indipendentemente dai risultamenti che potesse produrre e considerando ciò puramente come atto di moralitá.
Passando ora alla conchiusione generale, incominceremo dal richiamare alla memoria de' nostri lettori il contenuto de' precedenti discorsi.
Nel secondo, dopo aver descritto lo stato e le condizioni dei popoli dell'antichitá, abbiamo indicato come lo stato delle belliche scienze simboleggiasse ed esprimesse compiutamente lo stato sociale ed intellettuale; abbiamo mostrato in che differisse l'arte degli antichi da quella dei moderni e quale fosse la principal differenza, distinguendola dalle differenze generali che separano le antiche societá dalle moderne; abbiamo fatto osservare come in ognuna delle prime vi fosse unitá nazionale ma moltiplici differenze tra di loro, e come l'inverso si scorgesse nelle seconde; infine osservammo che nelle prime i progressi dell'arte si sono arrestati perché la civiltá era incompiuta, e che riducendo la forza pubblica al primo elemento, cioè agli uomini, la degenerazione di questi doveva strascinare la caduta dello Stato che dominava ed esprimeva l'antichitá.
Nel terzo discorso abbiamo indicato come la dissoluzione dell'antica societá avesse ridotto ai primi suoi elementi l'organizzazione sociale, riducendola alla famiglia e togliendo ogni esistenza civile alla massa ridotta in servitú; che nel naufragio delle nazionali organizzazioni dell'esercizio dell'umana intelligenza sparisse la scienza, perché gli eserciti erano una riunione di capi di famiglia e tutta l'arte era nel valore e nel vigore individuale; segnalammo egualmente per quali vicende e per quali fasi questi elementi per successive trasformazioni subíte ricomponessero lentamente le nazioni e coltivassero lo scibile, e gli eserciti esprimessero questo nuovo stato fino alla scoverta della polvere.
Designammo nel quarto discorso la lotta ch'esisteva tra gli elementi del medio evo e quelli della societá moderna e la loro azione simultanea, i primi tendendo a conservare le classificazioni ed i secondi ad operare la fusione di tutte le classi della societá. Indicammo come si trovasse nella composizione della forza pubblica, nelle regole che seguiva e nella sua azione un quadro ristretto dello stato sociale, e come la polvere da sparo, i progressi dell'arte e l'urto delle masse favorissero lo svolgimento dell'elemento moderno del pari che l'abbassamento di quello che predominava nel medio evo.
Nel quinto discorso facemmo notare come questo andamento ascendente e progressivo si scorgesse simultaneamente nella pace, nella guerra e nel movimento intellettuale delle nazioni.
Nel sesto discorso dimostrammo come la societá moderna avesse rivestito tutti i caratteri e possedesse le condizioni tutte, e sotto tutti gli aspetti, che la potevano far considerare come fissata; notammo del pari che l'organizzazione dello Stato e degli eserciti cosí come le condizioni dello scibile fossero compiute nei loro elementi e nella loro fisonomia, e che i periodi posteriori altro non avrebbero offerto che delle modificazioni derivanti da quelle e che non fossero un'anomalia ed una opposizione alla loro natura.
In effetto nel settimo discorso facemmo osservare che si operavano trasformazioni lente ed insensibili, ma che se ne preparavano delle piú positive, sempre però come conseguenza delle precedenti, come svolgimento di un movimento naturale e non come fenomeno inesplicabile. Vedemmo l'esercito simbolo della fusione sociale avanzata e dell'importanza che il sistema economico e l'azione dell'intelligenza esercitavano presso tutte le nazioni. Tutte dimostrazioni provanti che si era operata una separazione dalle forme, dai princípi e dalle dottrine del medio evo.
Nell'ottavo discorso facemmo vedere che il risultamento positivo e stabile di tante vicende e di sí lunga lotta era stata la dichiarazione formale e divenuta legale che il principio di classificazione sociale che caratterizzava il medio evo aveva ceduto al principio di fusione che sostituiva le condizioni ai privilegi; che è il cardine su cui lo stato sociale dei moderni opera i suoi movimenti tutti[56]. Abbiamo indicato questo gran fatto enumerando i caratteri dello stato sociale e dello scibile e i politici risultamenti e lo stato militare, per far misurare l'immensa distanza che separava lo stato della scienza militare alla nostra epoca dalle guerre feudali ch'erano gli urti degl'individui[57]. Richiamiamo alla memoria dei nostri lettori l'operazione che per la sua complicazione meglio riassume e riunisce i progressi immensi fatti nella tattica, nella strategia, nelle fortificazioni, nell'uso e nella perfezione delle macchine da guerra e nell'amministrazione militare. Questa è a nostro credere il passaggio del Danubio nel 1809, eseguito addí quattro e cinque luglio dall'isola di Lobau e che terminò con la battaglia di Wagram. Lá fur veduti centocinquantamila uomini provenienti dal fondo dell'Italia meridionale, dalla Dalmazia e dai Pirenei, riuniti con loro sorpresa, passare un rapido e largo fiume con quattrocento pezzi d'artiglieria, su ponti rapidamente e quasi d'improvviso gettati, operare uno spiegamento sulla sinistra in battaglia in due linee e girare tutti i trinceramenti dell'avversario, che venne perciò forzato ad un cambiamento di fronte colla sinistra indietro. Tutto ciò fu eseguito con una precisione difficile ad ottenersi in un campo d'istruzione, e nel decimosettimo secolo ed in parte del decimottavo una divisione non avrebbe osato di tanto eseguire. Meditando questo avvenimento si vedrá come tutte le trasformazioni successive si erano riassunte e simbolizzavano quelle altre tutte operate nello scibile e nella societá[58].
In questo nono ed ultimo discorso abbiamo esposto quali rapporti a nostro credere abbiano le belle arti e la letteratura colla scienza militare e colla guerra considerata come azione; abbiam cercato indicare come questi rapporti costanti, perché derivanti le loro condizioni e l'unitá che in essi esiste, dalla natura, subivano varie forme di manifestazioni nelle differenti societá, ma che a traverso di queste differenze il principio d'azione, invariabile di sua natura, rimanevasi lo stesso ed era facile ad essere riconosciuto da ogni osservatore regolare. Il mostrare qual grado d'importanza si abbia lo studio teorico su di un'arte pratica ha terminato questo discorso, precedendo di poco queste ultime linee. Abbiamo determinato l'esistenza di una scienza bellica, poi l'abbiam classificata ove doveva esserlo, quindi abbiamo esposte le proprietá di cui è rivestita; appoggiandoci infine all'opinione de' gran capitani crediamo aver determinato il grado d'importanza e di utilitá dello studio senza esagerarne il valore, per quali cause questa veritá non era riconosciuta e accettata, e l'effetto che produceva sotto l'aspetto della moralitá.
Aggiungasi a tutto ciò quello che nel primo nostro discorso esponemmo: che la guerra era una manifestazione della nostra natura; che il suo uso era la difesa di tutto ciò che costituisce gl'interessi materiali e morali dell'umanitá, i quali non può abbandonare senza degradare d'azione ed offrire un premio al valore brutale piú avido di togliere l'altrui che di conservare il proprio; ch'essa siegue, esprime e modifica la societá; che ha rapporti con le scienze naturali, esatte e morali, corrispondenti ai tre elementi primitivi dell'arte — gli uomini, le armi e gli ordini; — e che contribuisce a sviluppare le facoltá intellettuali e ad elevare la volontá ad un grado di altezza il quale onora e lusinga l'uomo che sia capace di raggiungerlo, mentre costui fa con ilaritá il piú compiuto sacrifizio per garantire gl'interessi e difendere le credenze di tutti i suoi concittadini. Se vuol negarsi questa abnegazione che piú non sorprende perché è divenuta comune, non vi è che ad osservare come l'idea della morte possa produrre manifestazioni sí diverse, il risultamento essendo lo stesso. Osservisi dunque un uomo giunto ad etá decrepita, afflitto da dolori, trascinante una triste esistenza, superstite della sua generazione, isolato non solo dai suoi contemporanei ma dalle idee, dai sentimenti, da tutto il movimento rinnovatore che in ogni secolo s'opera e che urta chi piú non può prendervi parte. Ebbene questo essere geme di lasciare un'esistenza che nulla piú gli offre di ciò che cara la rende; i suoi parenti, qualche amico superstite ancora, dimostrano espresso il dolore della perdita ed il terrore che sempre all'idea della trasformazione si associa. Qual prezzo non ha dunque questa esistenza, quando tanta tristezza accompagna la prossima fine di un essere che ha compíto tutto il corso della sua? Comparinsi queste impressioni con quelle che nascono quando in campo aperto numerose batterie seminano la morte e la mutilazione, quando numerosi battaglioni appoggiati dalle localitá si preparano ad offendere senza essere offesi, quando la cavalleria è disposta a schiacciare con la sua massa chi a tanti perigli scampò; e vedasi qual è il contegno dei battaglioni che marciano ilari ed al suono di musica e di grida guerriere a correre tanti rischi! E questi uomini son tutti nella verde etá, hanno tutte le illusioni dell'avvenire, tutte le loro passioni sono calde, tutte le affezioni profonde, e sanno quale affetto reciproco ispirino ed a chi sieno cari per titoli diversi i loro giorni. Or bene come la morte ispira manifestazioni sí diverse? Ciò avviene perché l'eroismo alle masse non è comunicato che per mezzo della guerra, la quale riunisce gl'interessi della vita e della religione a quelli dell'eternitá. La scienza e l'arte che produce tali effetti è alta, conservatrice ed ammirabile, e meriterebbe che invece di sí imperfetto quadro uno ne fosse delineato da mano maestra, seguendo quanto il Foscolo prescrive, che non nel merito ma nel metodo è quello che noi abbiam seguíto nelle vedute generali. Alle quali non possiamo meglio dar fine se non che trascrivendo il suo seguente frammento.
«La tattica e le artiglierie sono elementi della guerra, ma sono connessi alla istituzione militare che dipende dalla politica, alla strategica che dipende dalle situazioni geografiche e all'amministrazione militare che dipende dalle sorgenti e dalle leggi della pubblica economia.
«L'osservazione, il calcolo e l'applicazione de' princípi di tutte le parti della guerra produssero le vittorie dei greci e le conquiste de' romani. Alessandro avea preordinati tutti i mezzi e preveduti tutti gli ostacoli della sua spedizione, compiuta in nove anni senza alterare il suo progetto, disegnato prima d'abbandonare la Macedonia. E se l'esecuzione spetta ad Alessandro, la prima idea spettava alla scuola d'Epaminonda e delle repubbliche di Atene e di Sparta, donde Filippo aveva desunti i princípi dell'arte e apparecchiati i trionfi del suo successore. La perpetua prosperitá per tanti secoli di tante guerre che diedero a Roma la signoria delle nazioni, toglie ogni merito alla fortuna, mutabile sempre nelle cose mortali, e lo ascrive alla scienza che è fondata sugli eterni princípi dell'universo.
«Dopo Polibio e Plutarco tre scrittori eloquenti e filosofi, Machiavelli, Montesquieu e Gibbon assunsero questa sentenza. Ma per l'etá in cui vissero e piú assai per l'istituto de' loro studi, le loro dimostrazioni si fondarono piú sulle cose politiche che sulle militari. E quand'anche avessero dirizzato il loro assunto a scopo militare, non avrebbero toccate se non poche epoche della storia dell'arte. Il Guibert s'accinse ad una storia della costituzione militare di Francia, incominciando dalla decadenza dell'impero d'occidente e da' primordi della monarchia francese; ma la morte liberandolo da una vita infelice e mal rimeritata, precise anzi tempo il volo a quell'acre e libero ingegno.
«Senonché anche quest'opera mirando a una sola nazione avrebbe somministrato alla scienza militare insufficiente materia. Per giungere ai princípi e fissare la loro invariabilitá bisogna risalire per la scala di tutti i fatti, di tutti i tempi e di tutti gli agenti; paragonare il sistema di tutti i popoli dominatori e il genio de' celebri capitani, onde scoprire le cause generali che influirono alle conquiste della terra; finalmente esaminare sotto quali apparenze e con quali effetti queste cause generali agiscono a' nostri tempi. Al che non si giungerá se non quando uno scrittore di mente filosofica, d'animo liberissimo e di vita guerriera — rare doti a conciliarsi, — con lo studio degli autori antichi e moderni, delle imprese di tutti i grandi guerrieri, delle scienze che giovarono alla istituzione, alla economia, alla tattica, alla strategica e alla fortificazione, estrarrá una storia dell'arte della guerra; storia che ha quattro etá, determinate dalle solenni rivoluzioni di quelle parti del mondo illuminate dalle tradizioni istoriche: l'etá incerta, dalle memorie degli assiri e de' troiani sino a Ciro che ne' documenti degli scrittori appare primo istitutore di un'arte ragionata di guerra; la prima etá, da Ciro sino al decadimento della milizia romana; la seconda sino alla invenzione della polvere; la terza sino al presente sistema militare d'Europa. Queste etá solenni suddivise ciascheduna in piú epoche maggiori, determinate dalle imprese, dalle leggi e dalle teorie de' diversi popoli e capitani conquistatori, presenterebbero la storia di tutti gli Stati, poiché le rivoluzioni de' costumi, delle religioni e della legislazione delle genti furono operate dalle conquiste. E perché l'universa natura ha per agenti la forza e il moto, e la forza ed il moto del genere umano sono esercitati dalla guerra, noi vedremmo forse in questa storia l'essenza e l'uso delle forze fisiche e morali dell'uomo e i diritti e i limiti di esse»[59].
APPENDICE
Alcune osservazioni del maggiore Cianciulli intorno ai progressi dell'arte della guerra ai dí nostri, in occasione di un articolo del barone maggiore Ferrari da Parma, inserito nel fascicolo settimo del giornale: Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti.
Il maggiore barone Ferrari in un articolo pieno di militare erudizione e di chiara esposizione ha impreso a dimostrare, contro il divisamento di molti, che le scienze belliche poco o nulla abbiano vantaggiato nelle ultime guerre[60].
Il merito di questo colto scrittore dimostra a quant'altezza gl'ingegni italiani facilmente salirebbero nelle guerriere discipline, se l'angustia degli spazi in che sono rinchiusi non ne arrestasse i concepimenti e le applicazioni.
Nondimeno non interamente convinto che sterili per l'arte siano stati i sudori per ventidue anni sparsi da uomini di alto ingegno e di fama chiarissima, alcune osservazioni andrò sponendo, atte a mio avviso a difendere l'etá nostra dalla grave accusa contro di lei profferita. Dirò al certo meno di ciò che merita l'argomento, ma dirò quanto comportano le mie forze ed i limiti trai quali sono ristretto.
Che le scienze esatte, e quelle pure e quelle applicate, sieno il fondamento della scienza militare è un fatto del quale non si muove dubbio ai nostri tempi in Europa. Si tiene del pari universalmente per dimostrato che la scienza della guerra sia intimamente legata con la pubblica economia, con la politica, con le scienze fisiche, naturali e morali. Dimodoché il capitano, o ch'egli fortifichi gli spazi, o che li descriva, o che calcoli la forza delle macchine, o che le costruisca e le impieghi, o che raccolga gli uomini, o che gli ordini, li disciplini, gli amministri e li formi alla gloria ed all'abnegazione militare, egli impronta i suoi precetti da tutte cotali scienze. Or sarebbe maraviglia se nel successivo ingrandimento di quelle — del che nessuno disconviene — l'arte della guerra che ne discende rimasta fosse fuori dell'universale progredimento. E lo sarebbe vieppiú allora quando si considerasse che né la meditazione né l'esperienza né una serie infinita di fatti è mancata agli accurati disaminatori delle belliche discipline. E che ciò sia vero lo dimostrano del pari e le tante importantissime ultime guerre e lo immenso numero dei trattati scritti ai dí nostri da dottissimi autori, i quali ebbero il raro dono di poter raccontare quel che videro e di meditare su di quello che raccontavano.
Se tanto studio e tanta pratica si rimasero sterili, converrá disperare della scienza della guerra, converrá forse negare all'umano ingegno in fatto di belliche dottrine non pure quel perfezionamento indefinito che tanti filosofi vagheggiarono, ma ancora quel progresso, il quale, benché lento e circoscritto forse da lontani ed ignoti limiti, è nondimeno continuo, come si scorge agevolmente, portando gli sguardi sulla storia di qualunque scienza, arte o mestiere.
Confido non pertanto che altramente sia avvenuto e che anche le ultime generazioni abbian portato, insieme coi torrenti di sangue da esse versato, il loro tributo di nuovi lumi al comun retaggio di dottrina e di esperienza militare che l'etá passate a noi tramandarono. Confido che i nostri posteri non le accagioneranno di sterilitá d'ingegno o di opera.
Egli è incontrastabile che le evoluzioni laboriosamente ordinate, semplificate e messe dal gran Federico[61] alla cote della esperienza poco vantaggiarono dopo di lui. Egli è vero del pari che le armi nella loro forma ed essenza tali sono presso a poco quali quel grand'uomo le lasciò alla sua morte.
L'etá piú a noi vicina dunque ha ereditato ordini ed armi, ed oltre ciò massime di guerra e metodi appropriati dall'eroe della Sprea a quegli ordini ed a quelle armi.
Né dopo di lui era dato d'imprendere novellamente a sciogliere i medesimi problemi, giacché fermi essendo rimasti i dati donde dipendevano — si riduce il gran dato al fucile colla baionetta incannata, — invariabili ed uguali ne sarebbero state le conseguenze. Non è dato a chicchessia di apportar variazioni in una veritá dimostrata.
Dissi che il fucile con baionetta inastata era il gran dato della nuova ordinanza, e lo dissi pensatamente, trovandosi in esso risoluto il grave problema dell'ordine profondo e dell'ordine disteso, donde le evoluzioni e le linee, la castrametazione e piú lontano la fortificazione di campagna nelle difese delle linee dei campi e delle posizioni.
Questo istrumento di guerra, il quale ha potuto sciogliere regolarmente l'immenso problema, prima di esso sempre insolubile, di comprendere in una sola arma i modi di combattere da lungi e da presso, di arma da mano e da tiro, ha primamente ridotta l'infanteria tutta ad una espressione unica mercé un unico armamento; in secondo luogo ha invertito la qualitá e la condotta dei combattimenti, rendendo parte principale di essi il lanciar proietti, secondaria di assai il pugnar con punte e con tagli, cioè, contrariamente a quel che prima avveniva, facendo che l'uffizio di fromboliere decidesse delle pugne e che quello di gravemente armato vi entrasse incidentalmente ed in rare e brevi occasioni.
Col fucile a baionetta il medesimo uomo e la medesima arma dovea fornire alle due spezie di pugne. Ma gli ordini appropriati alle due pugne eran necessariamente diversi; erano anzi opposti tra loro. Quindi nacque la necessitá d'innestare, per cosí dire, gli ordini come si erano innestate le armi.
Da ciò discende che i perfezionamenti non potevano aggirarsi se non intorno ai metodi mercé i quali questo innestamento avesse potuto utilmente ottenersi. Nella scelta del miglior metodo dovea ulteriormente trovarsi il progresso della scienza, sino a che un nuovo agente di distruzione piú attivo della polvere di cannone non fosse venuto a variare non giá la forma o l'effetto o il piú facile e pronto uso del fucile attuale di guerra, ma la sua natura ed essenza. A me sembra che in tal materia io debba piú estesamente far manifesto il mio pensiero.
La polvere di guerra da per se sola non avrebbe recato negli ordini un cambiamento totale. Intendo con ciò dire che sostituendosi alle antiche armi da getto, avrebbe infallibilmente cambiato gli ordini appropriati ai combattimenti da lungi, ma non gli avrebbe cambiati in quelli di arma bianca. Intendo ancora di dire che un'arma la quale non avesse se non i fuochi per combattere non potrebbe sola bastar ad ogni spezie di pugna, e che per conseguenza ove fosse stato di mestieri di alternare i combattimenti da lungi e quelli da presso, sarebbe stato necessario di cambiare armi o di cambiar guerrieri e sempremai di cambiare ordini; doppia condizione alla quale dovendosi obbedire nei momenti piú vivi della pugna, avrebbe renduta la soluzione del problema impossibile.
Ben fu tentato in effetti di risolverlo commescendo le armi e gli ordini, le picche col moschetto, l'ordine disteso col profondo. Vano tentativo! La parte non necessaria nell'attuale combattimento vi rimaneva non pure negativa ed inerte ma danneggiata ed oppressa; nei fuochi perivano inoperosamente le picche, ed i moschetti quando si veniva alle mani con l'arma bianca; l'artiglieria smodatamente agiva sulle masse profonde. Ora l'utile consiste nel fare che sul campo nulla rimanga d'inoperoso e meno ancor di dannoso: l'utile sta nell'evitare i doppi usi. Quella commistione del resto si va ancora, ed a mio avviso erroneamente, riproducendo in diverse armi ed in diverse graduazioni della medesima arma, e sempre con manifesta violazione dell'esposto principio, non meno che dell'altro il quale raccomanda la divisione e la specialitá del lavoro. Né il principio vero di appoggiare reciprocamente le diverse armi può essere valevolmente opposto, imperciocché grave differenza intercede tra l'arte necessaria di sostenere nella disposizione e nella condotta di una battaglia l'una arma con l'altra e l'idea dei corpi e degli ordini misti.
Miglior successo ottenevano i tentativi onde render l'arma piú perfetta pei fuochi, e ridurla al tempo medesimo arma da mano. Al primo scopo si perveniva passando dall'archibugio al moschetto e da questo al fucile, inventando la piastra e la bacchetta di ferro, cilindrica o conica; al secondo, immaginando la baionetta. Con questa il fucile divenne arma da mano, e mercé la leggerezza ad esso proccurata ne riuscí, per quanto era possibile, facile il maneggio.
L'invenzione della baionetta diminuiva di molto, egli è certo, ma non faceva svanire la necessitá di dover cambiare di arma nel passar dall'uno all'altro degli accennati modi di combattere. Era in certa maniera un cambiamento di arma quello d'inastare la baionetta sul fucile quando si volea aver ricorso ad un'arma da mano, e di ritrarnela per riprendere l'uso dei fuochi. Si vide esser questo inastamento, che richiedeva assai tempo e diligenza, pericolosissimo a fronte di un corpo di pronti cavalieri. Ond'è che con sempre rinascenti sforzi molti impresero a risolvere l'ultima e piú profittevole condizione del problema, ingegnandosi di rendere la baionetta permanente sul fucile ed insieme non nociva ai fuochi, e per tal modo elevandolo stabilmente ad arma da mano. A ciò pervenne, se mal non mi appongo, il signor Martinet in Francia sotto il regno di Luigi decimoquinto, inventando la baionetta incannata.
Allora cessò a mano a mano la commistione delle armi e poi degli ordini; ma prima che questi si piegassero ai modi presenti, interminabili controversie sursero sugli ordini antichi e sugli ordini moderni, o piuttosto sugli ordini distesi e profondi; giacché, a mio avviso, quante volte si fossero allegati gli ordini antichi, avrebbero dovuto cadere in disamina non quelli solamente con che combattevano i gravamente armati, ma i modi altresí con cui pugnavano i leggieri. E poiché trattavasi di dar forma ed ordine ad uomini che combattevano piú da lungi che da presso, piú lanciando proietti e soffrendone l'effetto che impiegando armi da taglio o da punta, le analogie — quali possano esservene, per l'aggiustatezza e per la frequenza dei colpi, tra la debole proiezione di un arco e la onnipotente del fucile e del cannone, tra il combattere sparso e mobile dei leggieri dell'antichitá ed il fermo ed unito dei moderni soldati in file ed in righe — avrebbero dovuto esser tratte ancor piú dai modi coi quali si combatteva usando di archi e di balestre, che non da quelli coi quali armeggiava la sarissa o la lancia de' triari.
Inventata la baionetta inastata era mestieri di tentare, se fosse stato possibile, la creazione di un ordine solo che simultaneamente nella medesima circostanza ed atto potesse soddisfare ai bisogni del fucile come arma da fuoco e come arma da mano; cioè che nei fuochi tutti gli armati potessero tirare, e tutti stringersi e raccogliersi nei combattimenti da mano per mutuamente difendersi, per urtare gagliardemente o resistere ad urti gagliardi.
Perché tutti possano tirare simultaneamente è evidente che la profonditá non possa oltrepassare la lunghezza del fucile[62]; perché possano urtar gagliardemente, resistere agli urti e far fronte da per tutto validamente, egli è del pari evidente che debba accrescersi la profonditá e per tal modo privarsi della piú gran parte dei fuochi. Non è meno evidente che i proietti delle grandi armi avranno smodato effetto sulle agglomerazioni profonde, molto tenue negli ordini distesi.
Il voler dunque con un'arma mista come il fucile a baionetta un solo ed unico ordine è lo stesso che il voler insieme due cose che mutuamente si escludono.
Esposto il problema nei termini rigorosi: — Ordine disteso ovvero ordine profondo? — egli era impossibile di risolverlo. Né poteva altramente rispondervisi che mercé una distinzione cosí espressa: — Per li fuochi e contro i fuochi, ordine disteso; per lo combattimento di arma bianca e per la facilitá dei movimenti, ordine profondo.
Or non potendo per le addotte ragioni render misti gli ordini o mescere armi di diversa natura nel medesimo ordine, ed essendo il fucile un'arma mista che in sé comprende gli elementi dei due modi di combattimento, i quali esigono necessariamente due diversi ed opposti ordini, non rimaneva altra via per giugnere al loro perfezionamento se non che di piegarli con modi pronti, facili e sicuri a passare da quello necessario ai fuochi a quello necessario alla baionetta ed a fare che potessero rapidamente ed agevolmente cambiarsi e succedersi.
Quindi l'arte dei celeri spiegamenti e del ritorno in colonne, diverse secondo la diversitá degli scopi, dei terreni e delle artiglierie. Gli spiegamenti perfezionandosi seguirono la ragion matematica, onde rimasero come quella invariabili.
Non è giá che non sia vero, utile, indispensabile che venga prescritto un ordine abituale, un ordine secondo il quale si dispongano ordinariamente le truppe; ma quest'ordine nulladimeno dovrá essere variato quante volte si presenti un'occasione che esiga un modo di combattimento ovvero una disposizione preventiva che non sieno secondo la natura ed il fine di tal ordine abituale.
E poiché nelle guerre odierne non vi è pugna che col fuoco non incominci e si chiuda e che spesso, per non dir sempre, il fuoco non decida; e poiché non vi è quasi combattimento senza artiglierie, cui non può senza grave danno opporsi l'ordine profondo; e poiché i combattimenti di arma bianca sono nella infanteria tanto rari quanto quelli di fucileria sono frequenti; egli è perciò indubitato che l'ordine disteso debba essere l'ordine abituale delle schiere.
Dunque mi sia permesso di replicare: ridotto a tale il problema delle evoluzioni e degli ordini a cagione dell'inventato fucile a baionetta, e risoluto quel problema col calcolare matematicamente le evoluzioni, cioè i metodi di piegare le truppe in colonne e di spiegarle, non eravi piú luogo ad assoggettar quello a nuova fondamentale disamina ed i metodi a nuove ed essenziali modificazioni.
Nondimeno i tattici francesi accuratamente si applicarono a dar definizioni piú nette, ordine piú rigoroso, insegnamento piú compiuto e piú logico, piú vasta applicazione alle veritá giá dimostrate; il che essi operarono colla lucida compilazione di ordinanze appropriate ad ogni arma. Né poteva una tal veritá sfuggire alla forte intelligenza del nostro autore, il quale parlando del sistema di evoluzioni della Francia comparativamente all'austriaco, in tali termini svela la sua mente e l'esattezza della sua analisi: — «Sebbene sia dalla parte dei francesi il vantaggio, se guardisi all'ordine, alla ragion matematica, alla sposizione dei regolamenti, pure quanto alla pratica...».
Or metodi che hanno in favor loro e l'ordine e la ragion matematica e la sposizione, o sia la esatta e chiara logica deduzione dai principi alle conseguenze, possono a mio avviso tenersi per umanamente perfetti sí per la dottrina che insegnano che per li modi coi quali la insegnano.
È egli però vero che l'umano ingegno si fosse arrestato a tai limiti e che non avesse tentate altre vie per giugnere a nuovi perfezionamenti e nuovi ritrovati? A me non pare. Egli tenne per fermo ciò ch'era vero nelle armi e nelle evoluzioni, distrusse in esse qualche radicato e dannoso pregiudizio, e se non inventò un nuovo agente di distruzione piú potente della polvere da guerra, andò certo ogni parte della scienza militare ritoccando, ampliando e perfezionando[63].
In effetto il disegno ( tracé ) del Carnot ed i suoi princípi di difesa modificavano considerevolmente il disegno del gran Vauban e dei suoi commentatori, ed i calcoli ed il giornale del Cormontaigne, tenuti quasi come assiomi. Ardito sarebbe per me il giudicare comparativamente i tre dotti allegati autori, né forse i cambiamenti voluti dal Carnot vanno tutti egualmente esenti dal dubbio e da plausibile critica; ma non può disconvenirsi che quel valentuomo apriva nella difesa delle piazze di guerra nuove vie al valore, creava nuovi metodi, faceva entrar nella difesa oltre alla forza delle opere e delle artiglierie quella dei combattimenti da uomo ad uomo, e vi frammischiava i vantaggi di una guerra di posizioni successivamente difese ed attaccate. Con tai mire modellava egli le sue opere e le disponeva tra loro, raccomandava i combattimenti da vicino, il tirare poco da lungi, commendava i fuochi verticali di ogni genere nella difesa prossima e fissava il cominciamento della difesa attiva forse nel punto dove il Cormontaigne faceva terminare la sua. E non vi ha dubbio che una gran parte de' suoi metodi e delle modificazioni proposte da lui nel disegno delle opere abbia ottenuta la sanzione della esperienza. Non si può dunque affermare che l'ingegnere militare siasi arrestato non dirò al Cormontaigne o ai piú remoti, ma al Montalambert ed ai pratici insegnamenti del Saint-Paul e del Bousmard.
La convenzione nazionale riuní in Francia in compagnie ed indi in battaglioni i zappatori prima sparsi nell'artiglieria, vi uní i minatori e diede al corpo del genio quella truppa speciale che Vauban chiedeva istantemente ed invano piú di cento anni pria. Gli equipaggi del genio, la di cui mancanza tanto nocque agli eserciti inglesi negli assedi da loro fatti in Ispagna, al dire del chiaro colonnello Jones, furono organizzati durante l'impero. Quali siano stati i successi della nuova organizzazione lo dimostrano i lavori eseguiti, gli assedi sostenuti ed intrapresi dalla Francia da quarant'anni, diretti dai Chasseloup, dai Marescot, dagli Haxo!... ed Anversa, che due volte in diciotto anni ha veduto ricostruire, difendere ed attaccare i suoi rampari dai zappatori francesi guidati dagli Haxo e dai Carnot!...
La guerra sotterranea si arricchiva delle esperienze del Marescot, il quale sin dal 1798 annunziava che nella esplosione delle mine si otteneva un effetto maggiore praticando uno spazio vuoto intorno alla cassa che contiene le polveri, invece di esattamente turare la galleria, nonché de' pratici insegnamenti e de' perfezionamenti indicati dal Gumbertz, dallo Gillot.
Le artiglierie non rimanevano indietro nei nuovi bisogni che la grande guerra faceva nascere, ed i successi immensi ottenuti da esse ed i nuovi e vasti modi con cui furono adoperate disvelano un gran perfezionamento nei metodi. La velocitá del trasporto, l'esattezza e la frequenza dei tiri, la prontezza nell'incominciamento dei fuochi o nel mettere in batteria, la diversitá de' calibri secondo i fini diversi del combattere, sono, o ch'io m'inganno, i risultamenti cui debbono tendere i perfezionamenti successivi delle artiglierie. Queste vie di perfezionamento tentarono gli artiglieri dell'etá nostra per elevare l'arma loro a piú alti destini.
Fu quindi sottomessa a nuova analisi la forma dei carri nelle artiglierie di battaglia, come la condizione principale per trasportar celeremente il pezzo per porlo prontamente in batteria, ritirarnelo, riprendere o continuare il fuoco e distribuire sui cassoni, somministrare ai combattenti, trasportare agevolmente e custoditamente le munizioni.
Quali siano comparativamente preferibili, o le antiche forme dei carri da cannone e dei cassoni del Gribeauval, o le novelle delle artiglierie inglesi, o i wurst austriaci, o i cassoni russi su due ruote, io non oserei pronunziare senza accurata analisi. Dovrebbe forse applaudire ai modi inglesi ed austriaci colui il quale preferisce le artiglierie leggiere con cannonieri sui carri. E se, come riferisce il Dupin, l'artiglieria inglese, nonché la francese che l'ha imitata modificandola, è pervenuta a far uso di ruote di una sola dimensione per tutti i suoi carri, a render piú semplice e diminuire la diversitá degli avantreni e delle casse ( affûts ), questi non sono eglino due considerabili miglioramenti nel carriaggio di guerra?[64]: Del rimanente nello scorgere che in tanta paritá di scienza e di pratica vi esistano tanti non uniformi sistemi nei carriaggi di artiglieria, egli è forse plausibile di dedurne che come i pezzi differiscono di peso, di calibro, di proporzione nei medesimi pesi e calibri, di casse ( affûts ), secondo i diversi fini del combattere; cosí il carriaggio è un problema nel quale la differenza del suolo, del clima, delle strade, della natura, delle spedizioni di guerra cui ciascuna nazione è piú frequentemente soggetta, influisce talmente da render necessari modi diversi per utilmente e relativamente risolverlo.
Ma se nella massima mobilitá consiste uno dei pregi maggiori delle artiglierie, è mestiere di convenire che sarebbe stato impossibile di ottenerla senza due condizioni principali; vale a dire un corpo specialmente e costantemente destinato al trasporto dei pezzi delle munizioni e degli attrezzi di guerra, appositamente istrutto, ordinato ed armato, ed un corpo di cannonieri che seguir potesse le bocche da fuoco trasportate colla massima celeritá dei cavalli; cioè un corpo del treno ed uno di cannonieri sia a cavallo sia sui carri. Or questi due corpi si debbono alle ultime guerre, se non come invenzione assoluta, di certo come sviluppamento vasto e metodico di una idea appena prima veduta e debolmente applicata[65].
Dubito che la guerra dei sette anni, tanto istruttiva e per lo gran nome di Federico, e per la moltiplicitá delle operazioni e delle battaglie, e per la differenza dei teatri sui quali si combatteva, e per lo perfezionamento delle evoluzioni, e per li prodigi di una grande e dotta unitá contro il continente quasi intero, unito nei consigli e diviso sui campi; dubito, io diceva, che possa presentare combattimenti di artiglieria che pareggino sí per lo successo che per la esecuzione la grande batteria di Wagram, il cannone di Hanau e mille altre fazioni militari, ove tutti abbiam veduto le artiglierie leggiere di Francia e degli alleati precedere gli spiegamenti di ogni arma e proteggerli, cambiar rapidamente di posizione per far subitanea massa di fuochi, per prender rovesci sul nemico ed aprire i fuochi, seguite da qualche squadrone a meno di un trar di fucile da esso.
Certo, senza un perfezionamento essenzialissimo nei metodi, non possono concepirsi né cotali numerosi e pur ordinati e mobili adunamenti di artiglierie, né i grandi effetti da essi prodotti.
Notabilissimo ha dovuto essere il progresso dell'artiglieria, quando ha potuto tanto aumentare la forza ed i successi della cavalleria, fornendole i fuochi dei quali mancava, agguagliandone ed appoggiandone la velocitá e l'ardire. In tal modo ha reso nei luoghi piani l'attacco superiore alla difesa, giacché in tai casi la presenza di una cavalleria pronta a caricare rende necessario all'infanteria un ordine fermo e compatto, mentre i fuochi dell'artiglieria glielo rendono impossibile[66].
Egli è poi problema non ancora diffinitivamente sciolto, se meglio conduca allo scopo un'artiglieria con cannonieri a cavallo o con cannonieri trasportati sui carri. E se par vero che nelle ultime guerre le artiglierie leggiere degli alleati, delle quali alcune aveano i cannonieri sui carri, non abbiano lasciato a desiderare[67] in confronto coi cannonieri a cavallo di Francia, è vero del pari che né i francesi né i prussiani né i russi ebbero a dolersi degli effetti delle loro artiglierie servite da cannonieri a cavallo. Ma rimane ancora a determinarsi, ove io non sia in errore, se il peso che i cannonieri aggiungono al carriaggio diminuisca o pur no la sua velocitá comparativamente alle artiglierie servite da cannonieri a cavallo. Rimane egualmente a determinarsi nettamente se in ogni caso, in ogni tempo ed in qualunque terreno possa il wurst seguire il pezzo colla stessa facilitá dei cannonieri a cavallo, e perciò esser principiato in pari tempo il fuoco. E ciò essendo ne nascerebbe che un pezzo alla prolunga ed un carrone o wurst coi suoi cannonieri sia capace della medesima agilitá; la qual cosa per veritá non pare dimostrata[68].
Il Caraman in un dettato pieno di franca e nitida discettazione ha comparato i metodi diversi di artiglierie leggiere praticate in Russia, in Prussia, in Austria, in Francia ed in Inghilterra. Ivi stanno a fronte i vantaggi e gl'inconvenienti di ciaschedun metodo, non solamente in quanto risguarda il trasporto dei cannonieri, ma in quanto al diverso modo di proporzionare i calibri e gli obusieri, di trasportare ed apprestare le munizioni per lo piú pronto ed immediato servizio e cominciamento del fuoco. Uffiziale generale distintissimo in quest'arma, osservatore sagace delle artiglierie d'ogni paese e degli ordinamenti militari della Prussia, memore di moltissimi fatti di guerra, pronunzia in favore de' cannonieri a cavallo. Né gli ultimi ordinamenti francesi contraddicevano a quella sua opinione, avvegnaché quantunque con questi siansi sciolti i reggimenti di artiglieria a cavallo e sparse le batterie leggiere nelle artiglierie a piedi, sono stati conservati non pertanto ai pezzi leggieri i cannonieri a cavallo, né in Prussia né in Russia si abbandonavano[69].
Per avventura potrá attribuirsi la unione in un sol corpo dell'artiglieria a cavallo ed a piedi alla medesima idea, mercé la quale si è in Francia unito il treno all'artiglieria e si è prescritto che il cannoniere fosse al tempo stesso atto a servire il pezzo ed a guidarlo da vetturino.
Or se l'autor nostro dubita, nonostante ventidue anni di esperienza, che un cannoniere esser possa, com'egli si esprime, ed ussaro impetuoso[70] e tranquillo direttor di macchine, potrebbe ancor piú dubitarsi che pervenga a divenir abile conduttor di cavalli in usi svariatissimi ed abile artigliere sul campo e negli arsenali. Non comprendo poi come possa dirsi piú difficile il saper guidare un sol cavallo che due cavalli ed una macchina, il servire da mozzo ad un sol cavallo piuttosto che a due[71].
Del rimanente, o che in Europa si cesserá dalle grandi battaglie, e perciò diminuirá il bisogno di proporzionate e grandi riserve, ed in tal caso, scomparsi spezialmente i grandi corpi di cavalleria, svanirá la necessitá d'un grande adunamento di artiglierie leggiere; o eserciti colossali seguiteranno (e ciò credo avverrá) a dare battaglie colossali, ed allora essendo indispensabili le gran riserve di ogni arma, diverrá necessario di mettere insieme le batterie leggiere sparse nell'artiglierie a piedi. In tal caso la loro dispersione in piccole frazioni rimarrá forse piuttosto un modo di meglio governarle in pace che di meglio adoperarle in guerra. Del pari che, a cagione della celere consumazione di artiglieri che la guerra produce, diverrá forse necessario di mettere da banda i cannonieri vetturini, poiché la loro doppia e difficile istruzione si concilierá malagevolmente con la strettezza del tempo che la guerra suol concedere d'impiegarvi.
A me sembra che possa su tal proposito conchiudersi in modo generale che nelle artiglierie di battaglia, la leggiera — sia con cannonieri a cavallo o sui carri — può spesso supplire a quella a piedi e che spesso questa non può supplire a quella. Ma la differenza del costo consiglierá mai sempre a non averne al di lá di ciò che la natura dei paesi ove si fa la guerra e la diversa proporzione con la quale la cavalleria sará distribuita negli eserciti faran giudicare necessario.
L'artiglieria dunque migliorò i suoi primi elementi, divenne piú celere, piú ardita, piú maneggevole; ond'è che potette apparire sui campi in piú vasti adunamenti e meglio ordinata. I calibri nell'artiglieria di campagna non variarono di molto, ma pure fu alterata massimamente la proporzione degli obusieri; i pezzi da quattro di battaglia, corti e lunghi, andarono quasi in disuso; la diversitá dei calibri ed i danni che ne seguono fu diminuita; alcuni tra' calibri di battaglia poterono divenir piú leggieri[72] senza nocumento per lo effetto dei tiri. Ma in quest'arma come negli ordini e nelle evoluzioni, fissati che furono i dati, il miglioramento dovea svolgersi nella scelta dei metodi coi quali trarre profitto maggiore dalle qualitá successivamente da lei acquistate.
Che valeva in effetto di aver di tanto resa piú veloce l'artiglieria, di aver fatto che potesse cannoneggiare piú prontamente e lungamente, piú da vicino, e ritirarsi piú tardi, se la metá di essa avesse dovuto rimanere come per lo innanzi inseparabile dai battaglioni, e per tal modo trovarsi ora poca, ora troppa e sempre immobile sulle linee di battaglia? se avesse dovuto, diffusa in tal modo, opporre la disseminazione inefficace dei suoi fuochi alla potente concentrazione di piú batterie che, rapidamente cambiando di sito, successivamente sopra ciascuna parte di essa facesser convergere i lor fuochi? se aggravando la marcia dei battaglioni nei luoghi alpestri, debolmente proteggendoli nei piani ed aperti, non avesse potuto secondo le circostanze distaccarsene nei primi, accompagnarli piú numerosa e con piú adattati calibri nei secondi? Quindi è che avvenne che, modificato anche in questo il sistema del Gribeauval[73] da' nuovi modi di guerra e dai novelli artiglieri, furono raccolte le artiglierie in divisioni ed in riserve come lo erano state le altre schiere, e questa arma sí potente agí per masse e potette esser distribuita come e dove piú convenisse secondo i bisogni ed il variar della guerra.
Esagerati, immeritevoli sono gli elogi profusi ai razzi di guerra come potenti istrumenti di combattimento e di assedio. Istrumento di assedio un'arma che rispetta i rampari e ch'è d'incerto e poco efficace rimbalzo! Strumento di combattimento un'arma di punteria mal fida e della quale non sembra dimostrato esser molto efficace la metraglia[74]! Nondimeno sarebbe ingiusto di negare che accompagnati dalla granata possano i razzi essere utili per la facilitá dei trasporti e della costruzione delle batterie, per la quantitá e vivacitá dei fuochi e per la economia degli artiglieri. Né credo che debbano esser tenuti come il piú attivo istrumento d'incendio che posseggano le artiglierie. Altri ve ne sono assai, i quali trasportando il medesimo artifizio hanno su di loro il vantaggio di penetrare piú profondamente e di diroccar penetrando. Che poi, ove fosse di mestieri non di diroccare al tempo medesimo e d'incendiare, ma d'incendiar solamente, le palle arroventate perverrebbero forse piú efficacemente allo scopo ovunque si potessero adoperare fuochi orizzontali.
Rimane nondimeno al generale inglese inventore dei razzi (o almeno proponitore di essi come artiglierie per la prima volta in Europa) ed all'etá nostra il merito di aver proccurata un'arma nuova, utile per alcune limitate intrinseche condizioni, necessaria forse in alcuni luoghi ed in alcuni casi speciali.
Ai dí nostri il Villantroys fondeva nuovi e piú potenti obusieri di assedio; in Russia compariva il lycorno, obusiere di battaglia di portata piú vantaggiosa; il Peyxhans inventava i cannoni a bombe e somministrando a queste col tiro orizzontale il potente effetto del rimbalzo, dell'aggiustatezza e frequenza dei tiri comparativamente al mortaio; gli arsenali d'Inghilterra fornivano la palla-metraglia ( shrapnell's spherical case shot )[75]; la lancia — introdotta prima dal maresciallo di Sassonia in Francia tra' cavalieri che denominò « uhlans », e poi abbandonata, — non quella dei catafratti o del medio evo, ma una tutta diversa, piú comoda e piú agevole, riappariva utilmente nella cavalleria degli eserciti d'occidente; i francesi rendevano compiuta e perfetta l'arma difensiva de' corazzieri; gli arsenali classificando idee e lavori ottenevano piú pronti, piú perfetti e piú vasti risultamenti nelle moltiplici loro officine; l'arte di gettar ponti a fine di valicar grossi fiumi difesi immaginava nuovi modi e nuove applicazioni[76]; la igiene militare in ogni sua parte, l'amministrazione in ogni suo ramo sorgevano a nuova vita e come scienze e come metodi; le tende si abolivano ed il rimanente delle bagaglie si riduceva a meno di un terzo, e con esse i consumatori inoperosi; donde minor consumazione nelle vettovaglie e maggior economia, piú grande speditezza ne' movimenti e facoltá di accrescere relativamente le macchine ed i trasporti di guerra.
Né questi sono i soli dritti che la nostra etá vanta sulla stima delle etá future. Il suo genio non si arrestò in cosí stretti confini. Ma prima di passar oltre negli ordinamenti militari odierni mi sia permesso di spender qualche parola sui dragoni.
Il Foscolo (e prima di lui molti, meno compiutamente) nella sua edizione del Montecuccoli ha cosí eruditamente ragionato della origine di quest'arma che il ridirlo sarebbe superfluo. Può nondimeno esser giovevole di discorrere sull'utile e sul danno che il loro servizio procura.
Egli par vero, e l'esperienza sembra che lo abbia sino ad un certo punto dimostrato, che combatte con difficoltá a piedi un uomo che da tutto, sciabla, stivali, casco, è impedito a combattere in tal modo, che non si affida per uso all'arma da fuoco e che per abitudine aspira al cavallo che teme di perdere e che spesso gli è tolto di riprendere. Non è vero però che combatta male a cavallo: non vi è ragione che possa farlo presumere, non vi è esperienza che lo provi[77]. Che gli manca in effetto per credersi da meno o per poter meno di un qualunque altro uomo di cavalleria? Le armi medesime, i medesimi cavalli, facilitá compiuta di uguali movimenti, ed usi e vita uguali. Quali poi sieno le necessitá di una media cavalleria — sia qualunque il nome che voglia attribuirsele, — sia per li servizi di guerra, sia per la facilitá ed economia delle rimonte, sarebbe lungo ed inopportuno il dimostrarlo dopo il distinto lavoro su tal materia pubblicato dal Marbot nella sua opera avverso il Rogniat, ed ammettendo come dimostrazione gli ordinamenti di cavalleria di tutti i grandi eserciti di Europa.
Potrebbe solamente sembrar convenevole che, ridotti i dragoni esclusivamente a media cavalleria, in luogo del moschetto divenissero armati di carabina per non essere disadatti al combattimento da bersaglieri ( tirailleurs ) ove lo richieggano le circostanze, male opponendosi la pistola alla carabina. Tuttavia appartiene soltanto ai capitani che in vasti comandi ed in lunghe guerre abbiano potuto formarsi una opinione sicura delle necessitá che in esse sorgono infinite e svariate, di pronunziare se queste necessitá meglio esigano dai dragoni un eventuale servizio di bersaglieri ovvero quello piú eventuale ancora d'infanteria. Imperocché quantunque sieno rare le occasioni di appiedare i dragoni e quantunque un tal impiego richiegga sempre molta attenzione ed accorgimento, nondimeno delle circostanze possono presentarsi le quali lo rendan necessario, come allorquando si tratti di sostenere un corpo di sola cavalleria in luoghi alpestri, di trasportare celeremente un rinforzo d'infanteria, di difendere un posto, di coprire un quartiere. Ed in tai casi potrebbe tornar grave di aver rinunziato all'uso di appiedarli, di aver rinunziato ad un modo di armamento che non porta ostacolo ai combattimenti a cavallo (tranne all'uffizio di bersaglieri) e che accortamente usato può rendere non leggieri servizi. Tal problema, tai dubbi non si risolvono se non che da una lunga esperienza e da un alto sapere di guerra[78].
Né questa esperienza né questo sapere fu giammai piú abbondante in Europa. Né si restrinse, come dissi, ad ampliare, a classificare, a correggere; ma da nuove meditazioni trasse nuove e grandi conseguenze.
La necessitá di una vasta difesa obbligò il gran Federico ad indagare il vero nelle armi e negli ordini, e lo rinvenne: una necessitá uguale o maggiore obbligò la Francia a cercar nuovi elementi di potenza e di successi nelle qualitá del soldato e nei grandi e coordinati movimenti, e li rinvenne del pari. E come prima gli spiegamenti di Federico servirono di modello all'Europa, cosí in séguito i dotti ordinamenti degli eserciti di Francia in breve divennero il tipo comune dei metodi per far campagna, adottati da quasi tutta l'Europa militare.
La coscrizione apparve in Francia[79]. L'influenza che una tale vasta escogitazione ha avuto ed avrá sempre piú sugli ordinamenti civili, sia a causa della universalitá del servizio, sia a causa della limitata sua durata e del riversamento continuo dalla societá armata nella civile e della rotazione stabilita fra entrambe, sia per lo aver fissato nuovo scopo al servizio, nuovi diritti ed obblighi e nuova disciplina; egli è tema di profonda meditazione, il quale esce totalmente fuori del mio soggetto.
Argomento misto di politica e di alta scienza di guerra sarebbe anche quello che trattasse della coscrizione, riguardandola come la terza trasformazione che dal rinascimento della civiltá subirono gli elementi primi degli eserciti in Europa. Determinando la natura, lo scopo e la storia delle milizie feudali o comunali e poi degli eserciti permanenti ed in ultimo delle armate coscritte[80], si rinverrebbero forse nuovi lumi e nuovi dati di calcolo sommamente importanti e per la scienza dell'uomo di Stato e per la natura, lo spirito e le ultime conseguenze delle guerre odierne.
Comunque sia, tenendomi strettamente alle conseguenze puramente militari del novello metodo di raccoglier uomini e formar soldati, dedurrò da esso e noterò il grave effetto non pure d'aver largamente aumentato il numero negli eserciti, ma quel che a piú monta, di averne immensamente aumentato l'intelletto e la moralitá.
Trasportati temporaneamente dalla legge comune alla comune difesa, ogni condizione, ogni sapere, ogni virtú sorsero come per incantesimo tra le milizie; e capitani e pubblicisti ed amministratori e scienziati, i quali non meno combattendo che riassumendo ed accordando la esperienza con la dottrina di tanti dotti e luminosi trattati, hanno arricchite le belliche discipline.
Divenne allora la guerra piú mite, la sventura non fu un delitto, la preda non fu il solo fine del combattere, né l'emolumento il solo fine del servire, ma l'onore e la patria, cioè la vera gloria; e la conquista sempre funesta poté almeno conservare ordine e forme di umanitá e di giustizia. Cosí divenivan facili le grandi imprese, perché ivi era cuore per volerle ed intelletto per apprezzarle. Cosí la guerra fu affare proprio; la bandiera rappresentò la patria: ivi, e perciò fu facile lo imperio, consentita l'obbedienza, lo scopo comune e nobilissimo.
I miglioramenti poterono allora celeremente progredire, trovando eserciti capaci di comprenderli e desiderosi di ottenerli, ed intelletti che unendo ad uno zelo uguale maggiore acume e dottrina poterono rinvenirli ed insegnarli.
Onde quando il Sainte-Chapelle afferma che « si l'on a fait des grandes choses aux armées françaises dès 1792, c'est moins avec des théories et des inventions systématiques qu'avec la force d'âme, la vigueur du bras et l'exaltation du courage », egli allora esprime un fatto del quale gli è sfuggita l'origine. La grande invenzione dovea, a mio avviso, scorgerla nella coscrizione: era dessa lo spirito che informava gli eserciti; spirito che il piú gran capitano del secolo comprese, organizzò e diresse mirabilmente.
Ma la coscrizione neanche bastò sola. Per accordare l'economia coi bisogni di una vasta difesa sorsero sistemi diversi di grandi riserve con vari nomi distinti, con vari modi ordinate. Di certo le landwer, le landsturm, i bandi, le guardie nazionali, le colonie militari, le milizie sono composte anche esse di battaglioni, di compagnie, di squadroni, di reggimenti; perché di queste divisioni altre sono riconosciute utili per la facilitá dell'amministrazione, della disciplina, della coabitazione di un determinato numero di uomini, altre per la facilitá dell'istruzione e delle evoluzioni: ma l'innovazione consiste non giá nelle forme con cui si coordinano, ma negli elementi medesimi dei quali sono composte. L'alfabeto è istrumento di che si serve ogni scienza per comunicare se medesima, ma non costituisce da se solo ogni scienza.
Di gran lunga s'ingannerebbe colui il quale, comunque grandi i capitani di Francia, comunque massimo quel primo tra essi cui anche vinto appena bastò l'Oceano a contenere, pensasse che i grandi successi da quei capitani ottenuti fossero unicamente dipesi dal genio loro di guerra. Non vi è storia di guerra ove piú nitidamente che nelle guerre combattute ai dí nostri appaia quanto nelle vittorie abbia pesato ora il tal corpo sparso e disordinato che si addensa e resiste con comunitá d'idee e non di comando, ora un uffiziale che distingue il luogo ed il tempo e tiene il posto acremente e colpisce il momento di volo, ora un condottiere ardito e destro che consigliando meno gli ordini o i princípi che il favore delle circostanze, intima al piú forte di arrendersi, alle piazze di prosternarsi innanzi alla sciabla curva di un ussaro[81].
La somma di tali fatti, di tali uomini, di tali ingegni che la coscrizione largamente forniva e dei miglioramenti in ogni parte dell'arte da loro operati costituiscono il gran dramma di quelle grandi vittorie. Il genio del capitano distinse senza dubbio il momento opportuno, la idea magistrale, il punto importante alla vittoria e condusse con movimenti meditati le schiere sul terreno delle pugne; ma ivi giunte, ed alcune volte anche prima di giugnervi, il peculiare talento degli esecutori, spesso sino ai gradi meno elevati, signoreggiò gli eventi non calcolati, i casi fortuiti, quella gran parte d'ignoto, d'incerto, di vago, che accompagna l'arduissimo concepimento di una grande strategia.
La formazione dei grandi eserciti rendette necessari nuovi metodi per agevolmente condurli. Né guari andò che la perfezione di tai metodi rendette facile di muovere, di far vivere, di far combattere eserciti numerosissimi con la esattezza e con la precisione di un sol reggimento.
Si progredí allora dalle evoluzioni ai movimenti, dalla gran tattica alla strategia. Pei battaglioni e per le linee bastavano le evoluzioni; bastavano a queste la visuale, la voce ed i segni. Ma moltiplicar le colonne in vasti spazi coordinandole al medesimo fine e vicendevolmente sostenendole; farle marciar combattendo senza deviar dallo scopo; conservar l'unitá del suo movimento rompendo l'unitá della difesa o dell'attacco nemico; distinguere il punto capitale alla vittoria componendo nel suo calcolo le distanze ed il tempo, la giacitura del paese e quella dello esercito avverso; tendere a quel punto con ogni sforzo, nulla o poco curando il rimanente e conservando la libertá dei propri movimenti: per tali operazioni non bastava ordinar battaglioni e brigate, diriger fuochi ed impetuose cariche, non bastavano la voce ed i segni, non bastavano gli occhi per guida. Era mestieri di meditar sull'andamento dei grandi corpi; era mestieri di dar loro la sveltezza dei movimenti ed il concorso delle armi tutte; era mestieri di combinare in modo le cose che soli fossero eserciti, nell'esercito fossero frazioni coordinate e proporzionate al tutto; era mestieri di sostener questi corpi artificialmente e dottamente, separati da larghi terreni con grosse riserve nella direzione dei corpi spinti sul punto capitale; era mestieri di provvederli di forze sufficienti per renderli capaci di un periodo di resistenza proporzionato al tempo necessario per riparare ad un grande errore o per compiere un gran movimento in grandi spazi e complicate evoluzioni; e finalmente era mestieri di andar ogni giorno con improba ed instancabile attivitá di mente e di persona, di andar ogni giorno perseguendo il suo scopo e riparando alla instabilitá degli eventi.
Cosí nacquero prima le divisioni e dipoi i corpi di esercito; veri eserciti per rapporto a loro medesimi, mobili perché separati; veri membri dell'esercito tutto, e questo perciò mobile come ciascuno suo membro. Comporsi e non confondersi, conservare l'agilitá di un corpo di limitato numero e la forza di un grande esercito, bastare a se stesso per un tempo determinato e contribuire in ogni tempo al piano generale, conformandosi ed attenendosi alla mente regolatrice, dilucidandole i fatti, riportandole le presunzioni, osservando l'inimico, raccogliendo i mezzi di guerra, somministrando, a dir breve, i materiali necessari a formare rapidamente ed adeguatamente il calcolo variabile della condotta giornaliera della guerra; ecco lo spirito e lo scopo di cotesto alto militare concepimento ed i suoi inestimabili vantaggi.
Per ottenere ciò dovea sostituirsi alla voce lo scritto, alla vista le militari riconoscenze, ai segni i corrieri; doveasi accoppiare il lavoro assiduo del gabinetto alle disposizioni materiali sui terreni; dovea la mente regolatrice comunicarsi ai piú lontani, far presenti da per tutto i suoi pensieri; centro di questo gran meccanismo dovea procurare che alternativamente ed efficacemente venissero da ogni parte al centro le nozioni, e dal centro ritornassero da per tutto sotto forma di ordini e d'istruzioni.
Quindi sorse il corpo dello stato maggiore sotto nuove forme, serví come di legame tra le diverse frazioni dell'esercito, studiò i terreni e li descrisse, formò, mi si conceda l'espressione, quasi il mezzo di circolazione dello spirito di colui che comandava nel gabinetto, nelle commissioni di ogni genere e sul campo. Cosí si provvide all'ordinamento della massa di uomini probi, intelligenti e valorosi che la coscrizione abbondevolmente apprestava.
Non un cenno ma una sposizione compiuta meriterebbe quel primo e sommo elemento di forza e di potenza materiale e morale senza il quale né i popoli né gli eserciti han diritto a pretendere o a sperare stabili e prosperi destini. Egli è evidente che io alluda all'istruzione progressiva e graduale, la quale in alcuno de' grandi eserciti europei ha giá ottenuto una cosí compiuta organizzazione, una cosí vasta applicazione da lasciar di gran lunga indietro qualunque analogo tentativo fatto in tempi da' nostri piú lontani.
Un tal confronto e l'analisi di cui avrebbe bisogno richiederebbe limiti assai piú vasti di quelli che comporta la natura di questo discorso. Nondimeno accennar la Prussia co' suoi mille modi d'istruzione reggimentaria, d'istruzione di guarnigione, d'istruzione di collegi; con le sue moltiplici biblioteche militari, colle sue cento opere d'istruzioni elementari chiaramente scritte e sparse con profusione; con le sue scuole ed i loro professori convenevolmente distribuiti nelle differenti residenze dell'esercito; co' suoi poligoni, coi suoi metodi di campi e di manovre, colle sue scuole pratiche e normali in ogni arma, con le sempre rinascenti esperienze imprese nelle moltiplici officine de' suoi arsenali...; accennar la Prussia come esempio scelto tra molti non sará aver dimostrato di quanto il nostro secolo avanzi nei bellici ordinamenti il secolo medesimo del gran Federico?
E chi non vede di quanto non solo i corpi sapienti ma la massa degli armati sia piú dotta negli eserciti, di quanto la classe preziosa de' subalterni e quella piú preziosa ancora de' sotto uffiziali, divenuta piú studiosa, piú istruita, piú dignitosa e perciò piú proba e piú capace d'intendere e di eseguire, di quanto piú nobilmente influisca sul soldato ed assicuri il servizio, di quanto sia divenuta piú atta ne' rapidi passaggi dal piede di pace a quello di guerra a riempire convenevolmente i gradi che l'aumento degli uomini e de' quadri imperiosamente richiede? Chi non vede, ovunque la coscrizione ha reso alterno il servizio e di non lunga durata, di quanto la educazione e la istruzione reggimentaria convenevolmente incoraggiate e dirette possano contribuire al miglioramento dello spirito patrio ed al progredimento della generale istruzione? Difatti quel medesimo il quale nelle singole localitá, forse per mancanza d'insegnamento o di sorveglianza o per necessarie o per colpevoli distrazioni, non avrá potuto né ricevere la piú leggiera istruzione, né concepire l'idea complessa di patria e di nazione, né comprendere checchesia oltre al villaggio, alla famiglia, al lavoro meccanico e sempre uguale de' campi; costui dopo di aver attinta nei corpi la disciplina, lo spirito d'ordine, i primi rudimenti delle lettere, la dignitá cui abitua la divisa, l'obbedienza, la fraternitá che proviene dal consorzio della vita, ritornando tra' suoi né dimenticherá i suoi giovani anni né penserá che la sua patria sia tutta inchiusa nel suo villaggio. Costui paragonando un numero maggiore d'idee sará in istato di corregger le men buone, alla qual cosa coopererá efficacemente quella parte di letteraria educazione che nei reggimenti avrá ricevuta.
È tale il miglioramento di cui il cuore e lo spirito umano è capace che saggi governi e pensatori profondi non han disperato col metodo delle carceri di penitenza di raddolcire i sentimenti, di correggere i costumi, d'istruire l'intelligenza, di ridare infine alla societá probi, laboriosi, istruiti una parte di quegli uomini che la societá avea respinti dal suo seno come elementi deleteri, come esempi ed incitamenti alla colpa, come ostacoli al suo benessere ed al suo progredimento. Egli è dunque credibile che i probi uomini che la coscrizione fornisce, allorquando venga severamente applicata, trarranno dal buono ed uniforme impiego del tempo, dalla esatta sorveglianza nascente dalla coabitazione, dalla moltiplicitá de' gradi, dalla prontezza del premio e del castigo, dall'insegnamento primario ricevuto nella milizia, potenti elementi di morali e letterari miglioramenti. Per tal modo una classe d'uomini numerosa sará restituita alla massa comune in ogni anno non solamente senza danno ma con fondate speranze di renderne migliori le condizioni.
Allora il sistema degli esami successivi diverrá negli eserciti efficace, utile e giusto, giacché solamente quando i modi d'istruzione non mancano è giusto di domandarne conto a coloro che potevano e non si sono curati di profittarne. Allora l'esame, il quale nelle cose militari non prova la certezza della riuscita ma il sapere, cioè una delle condizioni della riuscita, potrá in pace compensare quella parte d'ignoto che campeggia su ciascuno individuo militare, quante volte l'esperienza della guerra non abbia potuto render manifeste quelle qualitá che la non scienza dá, cioè il valore, la prontezza del concepire, l'istantaneitá della scelta, la chiaroveggenza nel giudicare il nemico ed il terreno, il miglior impiego delle armi diverse, la serenitá e la tranquillitá dell'animo tra le vicende de' combattimenti; infine non le idee che la scienza può dare, ma la scelta e l'applicazione di esse confacente a quel momento, a quel luogo, a quegli uomini, a quelle circostanze... Ed a questa scienza ardua, come ad un'altra, può ragionevolmente essere applicato il noto aforisma: « Ars longa, vita brevis; occasio praeceps, experimentum difficile ». In tal modo preparate le scientifiche istituzioni nello esercito prussiano, il sistema degli esami successivi fino ai gradi medi della milizia ha potuto essere utilmente adottato e soddisfatto.
Non sembra dunque che le ultime generazioni abbiano inutilmente per la scienza vissuto sui campi. Esse perfezionarono sin dove era possibile gl'istrumenti di guerra giá in uso, perfezionarono i metodi esistenti nelle evoluzioni e subordinarono queste ai grandi movimenti, dei quali accrebbero la celeritá, l'accordo e l'esattezza, trassero dalla parte piú pura della societá l'uomo di guerra, dichiararono obbligo alterno e non privilegio il servire la patria, e sciolsero il problema di moltiplicar quasi illimitatamente i combattenti senza che gli ordini perdessero né la loro celeritá né l'accordo né la disciplina.
Il gran Turenna confessava di sentirsi oppresso nel maneggiar un corpo di cinquantamila uomini.
E come si spiegherebbero e gli eserciti in un lampo raccolti e mossi[82], e l'ardimento dei concepimenti, e l'esecuzione pronta e sicura[83] a traverso aspri monti, vasti spazi, larghi fiumi indomati? E come si spiegherebbero i regni abbattuti, gli eserciti disfatti, l'Europa percorsa nel volger breve di due o tre mesi, e questi regni risorti a nuova gloria[84] e a nuova potenza analogamente ordinandosi, ove a tanto non si fosse elevata la perfezione dei metodi in ogni arma speciale e nello insieme dei grandi eserciti?
Non vi ha dubbio che tutto esisteva anche prima, ma tutto esisteva confusamente ed in germi sterili e quasi inoperosi. Che cosa mai può dirsi nuova sotto il sole? Ma il genio, la meditazione, la perseveranza dell'etá nostra fecondarono questi germi e ne raccolsero frutti ubertosissimi.
Un'alta regione vi è — regione delle idee pure e, perché pure, invariabili — inaccessibile pe' molti, dove s'incontrano i geni e le menti creatrici. In tal senso può dirsi che tutti i geni sieno contemporanei. Onde le opere portentose degli Alessandri, degli Annibali, dei Cesari, dei Gustavi Adolfi, dei Federichi, dei Bonaparti hanno invero un tipo in cui s'incontrano il marchio del genio, la scintilla uniforme attinta in quelle alte regioni; ma ciascuno apparve sotto una forma diversa, ciascuno combatté, governò, condusse la guerra secondo la diversitá dei tempi e dei luoghi, secondo le trasformazioni successive che subiscono gli spazi, le ricchezze, gl'interessi, le delimitazioni territoriali, la fusione e la separazione dei popoli e delle nazioni.
I grandi uomini della Grecia e di Roma, il gran cartaginese, l'eroe scandinavo, il filosofo di Sans-soucis ed il massimo dei capitani francesi vestivano il tipo immortale, e ciascuno di essi lo rendeva sensibile con metodi, con ordinamenti, con istrumenti appropriati alle necessitá, ai costumi, allo stato della intelligenza, alla qualitá delle passioni che predominavano nelle generazioni e negli eserciti coi quali operavano.
Lo scopo morale dell'uman genere ammette, esige anzi, un cambiamento sempre crescente di forme, ma lo scopo rimane lo stesso. In tai limiti lo scorrer del tempo è un progresso e la cronologia un termometro. Il genio, tirando irremovibilmente al suo scopo, va lentamente nell'ordine dei tempi rompendo le forme a misura che sviluppandosi gli divengono anguste.
Perciò l'aquila di Sant'Elena perfettamente diceva, librandosi in quelle alte regioni: « Les généraux en chef sont guidés par leur propre expérience ou par leur génie. La tactique, les évolutions... peuvent s'apprendre... comme la géométrie; mais la connaissance des hautes parties de la guerre ne s'acquiert que par l'expérience et par l'étude de l'histoire des guerres et des batailles des grands capitains. Apprend-t-on dans la grammaire à composer un chant de l'Iliade, une tragédie de Corneille?».
A fronte della opinione che tutto o presso a poco tutto sia rimasto stazionario negli ordinamenti militari e nelle cose di guerra, sorge quella che tutto o quasi tutto sia cambiato e radicalmente cambiato. Questa seconda opinione si manifesta imprendendo a dimostrare esser divenute presso che inutili le fortificazioni e le piazze di guerra.
Nel ricordare questa opposta ed ugualmente estrema opinione, non mi è dato di dimostrare da quale pericolosa illusione discenda. Ed ove il potessi, il tenterei superfluamente dopo che il problema della riduzione delle piazze forti è stato giá negativamente sciolto dai piú segnalati uffiziali di Europa. Basterá al mio scopo d'aver accennato i due estremi, tra' quali non sará irragionevole di supporre che un mezzo vi esista, il quale precisamente esprima che tutto non è cambiato né che tutto è rimasto invariato nell'arte della guerra.
Ché se potessi con una immagine sensibile ma non compiuta ed esatta indicare la differenza che intercede tra la scienza della guerra quale ella era al trapassare del gran Federico e quale attualmente si trova, direi che distano le due epoche di quanto dista l'opera del Guibert, considerata come la piú chiara e compiuta sposizione degli spiegamenti prussiani, da quella dell'illustre autore dei Princípi di strategia[85], considerata come la piú metodica e scientifica sposizione dei grandi movimenti[86].
Parmi d'aver abbastanza dimostrato che sino a quando una invenzione piú efficace della polvere da guerra non verrá a cambiare la natura del fucile di guerra come arma mista, rendendo cosí possibile un ordine unico, la perfezione non potrá consistere se non nel miglior metodo per passar vicendevolmente dall'uno all'altro degli ordini dei quali abbisogna il fucile per impiegar secondo le circostanze i suoi fuochi o la sua baionetta.
Sará il fucile a percussione[87], ove riesca di adattarlo al servizio militare, come giá con vasti esperimenti si va tentando in Prussia ed in Francia, non solamente con esperienze fatte ne' campi d'esercizio, ma con quelle di una lunga campagna di guerra co' suoi mille combattimenti di notte e di giorno, sotto tutti i cieli, nei calori della state che permettono alle dita il piú delicato esercizio o nei freddi assiderati del verno; sará il fucile a percussione quell'arma nuova, o piuttosto di nuova natura, destinata a produrre un totale cambiamento negli ordinamenti militari? un cambiamento uguale a quello che produsse la scoperta della polvere da guerra? A me non pare.
Egli è probabile che gli effetti del fuoco divengano per esso maggiori sia per la celeritá sia per la esattezza e la portata dei tiri. Non pertanto ciò non costituisce un cambiamento nella natura dell'arma, ma un perfezionamento, un aumento di effetto.
Se fosse permesso di ragionare per analogia, potrebbe credersi che un tal fucile produrrá in guerra differenze analoghe a quelle che ha prodotte nella caccia a fronte dei fucili a pietra focaia. Ora non vi è negli effetti, tra un fucile a pietra focaia ed uno a percussione, la differenza che per esempio si scorge tra il trarre dell'arco e quello del fucile, tra la balista ed il mortaio da bomba.
Né propriamente la polvere da percussione nel suo stato presente può essere considerata come un nuovo agente di proiezione, ma solamente come un nuovo trovato atto ad infiammare piú prestamente e, ove sia per essere provato in grande nelle righe e nelle file, piú sicuramente la carica. Ond'è che questa scoperta non entrerá nei miglioramenti del fucile di guerra come arma mista se non come una frazione di frazione.
Sarebbe glorioso per lo dotto estensore dell'articolo[88] non meno che per la nostra Italia se la sua invenzione, a fronte di quelle tentate giá in molti luoghi d'Europa, meglio pervenisse a risolvere il nuovo problema ed a dare questo nuovo vantaggio al fucile a baionetta.
Il merito vero del signor barone maggiore Ferrari, le sue conoscenze speciali nelle artiglierie, la quantitá di dottrina, di meditazione, di esperienza che splendono nei diversi dettati di cui il nostro compatriota ha arricchito la scienza non meno che l'Italia, a tanto gli dánno fondato diritto di aspirare. E tali sono i miei voti, di che non deve dubitare un sí distinto uffiziale ed un sí distinto italiano.
Diverrá allora egli medesimo, aggiugnendo anche questo ai diritti che giá possiede alla stima dei suoi compatriotti, una novella prova, la quale dimostrerá sempre piú che in un'epoca durante la quale è piaciuto all'essere supremo di permettere che sin nel fondo dei cuori rifermentassero le passioni tutte che vi avea impresse, e di volere che un rinnovamento vasto e totale avvenisse nell'attivitá dello spirito, nell'ardore dei sentimenti, nelle abitudini e nel consorzio della vita; in tale epoca non poteva la guerra, che tanto influisce ad esaltar lo spirito e le passioni e ne sente l'influenza, che tanto vale a modificare l'esistenza dell'individuo e degli Stati, non poteva rimaner fuori dell'universale rinnovamento. È ella troppo generale, troppo grave causa di conseguenze gravi per non essere stata seriamente meditata e da coloro che la esercitavano come dovere e da coloro che la subivano come necessitá.
Conflitti diuturni, moltiplici, d'ogni natura, la presentarono in questi ultimi tempi nella sua piú estesa forma e sotto le sue piú svariate immagini. La terra ed i mari furono coperti delle distruzioni che le umane generazioni accumulavano, spinte alle pugne dalla politica, dal commercio, dagli odii civili, dalla conquista e dalla difesa. Le nazioni come i principi, gl'interessi come la gloria, la societá civile come la religiosa, immerse nel medesimo turbine, s'incontrarono armate sui campi, aspirando a fini diversi, ma tutti trattando la guerra come l'elemento comune e la necessitá assoluta della propria salvezza.
E dove mai ed in quai tempi avvenne che una passione, una necessitá universale, una societá scossa sin nei fondamenti, non abbia indagati e scoperti i modi di soddisfare utilmente alla condizione essenziale della sua esistenza, di sviluppare il fatale ardore che l'animava? Trovarono l'etá feudali i modi di guerra analoghi ai loro bisogni ed allo stato della societá in quei tempi; nei tempi posteriori, sorti altri interessi, la guerra prese altre forme e la politica altre alleanze; cosí ai dí nostri la guerra, cui tutto e ciascun individuo dovette inevitabilmente soggiacere, che portò seco la conquista ed il mescolamento dei popoli, prima per l'odio indi per la stima e per lo reciproco innestamento delle idee e delle abitudini; questa guerra gigantesca dovette elevarsi a pensieri alti, a modi vasti, potenti, dotti, ordinati, corrispondenti agl'interessi immensi, alle grandi passioni, alla civiltá matura delle generazioni che mieteva.
E ciò si scorge, secondo a me pare, o che si analizzi la scienza e l'arte della guerra nello stato a cui sono giunte, o che si deduca l'attuale loro stato dalle norme invariabili che siegue l'umano spirito, il quale non opera e medita la medesima azione continuamente senza meglio classificarne i princípi, semplificarne le forme, moltiplicarne ed elevarne le applicazioni.
Lo Spettatore militare di Francia nel 15 giugno 1835, in un articolo in cui con molta benevolenza porta questo nostro lavoro, ci fece qualche osservazione di cui ci siamo giovato per corriggere ciò che vi era d'inesatto in alcuni fatti in questa seconda edizione.
NOTA
I nove discorsi Della scienza militare furono pubblicati dal Blanch, la prima volta, nelle annate 1832-1834 della rivista Il progresso, edita a Napoli da Giuseppe Ricciardi (vol. I, 1832, pp. 70-81; II, 1832, pp. 82-91; III, 1833, pp. 58-71; V, 1833, pp. 68-83; VI, 1833, pp. 19-39; VII, 1834, pp. 5-28; VIII, 1834, pp. 3-36, 169-215; IX, 1834, pp. 3-32). Appena terminata la pubblicazione nel periodico, i discorsi vennero raccolti in un volume, con un'appendice del maggiore Cianciulli, ristampa di un articolo comparso nel medesimo Progresso (vol. IV, 1833, pp. 208-240) e firmato X., in opposizione a uno studio del barone maggiore Ferrari: Sullo stato e sulle vicende delle presenti milizie, inserito parimente nel Progresso (vol. IV, 1833, pp. 15-36), sul quale è da confrontare anche la lettera di Emanuele Rocco ai compilatori del Progresso (ib., pp. 241-242). Questa prima edizione: Della | scienza militare | considerata ne' suoi rapporti | colle altre scienze e col sistema sociale | ecc. (in Napoli, nella tipografia Porcelli, 1834, pp. 242 in 8º, con l'epigrafe, ripetuta nelle altre ristampe: « L'objet de l'histoire, dans la seule acception légitime du mot, est le developpement de l'intelligence humaine, manifesté par des changements extérieurs qui ont été en différentes époques les effets de ce developpement. — Jouffroy, Mélanges philosophiques p. 36»), ebbe fortuna. Dopo otto anni infatti se ne faceva una ristampa (Seconda edizione corretta ed accresciuta di una prefazione, Napoli, presso la libreria francese di Stefano Dufrène, 1842, pp. XXXII-268), non esente da mende tipografiche, nella quale furono corrette alcune inesattezze, rilevate dallo Spectateur militaire, e aggiunta una lunga prefazione, in cui il B. spiega la genesi del lavoro. Intanto i discorsi, molto divulgati e apprezzati all'estero, vennero tradotti in francese dal capitano Haca. Nel 1869 Teodoro Pateras iniziò la pubblicazione di una Biblioteca militare con la ristampa (la quarta) dell'opera del B. (Napoli, 1869, in 8º grande a due colonne, pp. II-140), condotta con tanta trascuratezza che non è pagina in cui, oltre a rinvenirsi grossi strafalcioni tipografici, non si trovino lacune di parole o d'intere frasi, e una volta perfino d'un non breve capoverso (pp. 253-4 di questa edizione). La nostra edizione (quinta ristampa) vien condotta su quella del 1842, l'ultima curata direttamente dall'autore, conservando l'appendice del Cianciulli, che il B. considerava come «parte integrale dei nove discorsi» (cfr. lettera del 12 settembre 1869 al Pateras, nell'ediz. da questi curata, p. 115; nonché p. 188 n. della presente ediz.). Pure modificando ortografia e punteggiatura, si sono rispettate alcune forme peculiari del Blanch, nonché la grafia, anche se scorretta, dei cognomi stranieri. Si sono corretti tutti gli evidenti errori tipografici, di cui è inutile dare qui il noioso elenco. Qualche lievissima modifica al testo è stata resa indispensabile dal senso. Perciò a p. 57, v. 6, si è posto un punto fermo tra «andamento» e «nell'occidente»; a p. 60, v. 28, tra «determinativa» e «per la parte politica» si è aggiunto un «sí»; un «di» è stato interposto tra «battaglia» e «Fornuovo» a p. 66, v. 17; a p. 76, v. 25, s'è corretto in «raggiugnere» un «aggiugnere»; a p. 114, v. 25, per non alterare troppo il testo, ci siamo limitati a mutare in «è» verbo un «e» congiunzione, nella frase «è la guerra da lui supposta», quantunque forse il B. volesse dire a dirittura «nella sua opera sulla guerra da lui supposta», ecc.; a p. 197, v. 5, infine, abbiamo mutato (come giá fece il Pateras) «cittá note», che non fa senso, in «giá note».
Per notizie biografiche del B. (n. a Lucera nel 1784, m. nel 1872) cfr. G. Giucci, Degli scienziati italiani formanti parte del VII congresso di Napoli, Napoli, tip. parigina di A. Lebon, 1845, p. 162; T. Pateras, Breve notizia intorno Luigi Blanch (sic) di Napoli (sic) nell'ediz. da lui curata, pp. 134-136; G. Ferrarelli, nel Piccolo dell'8 agosto 1872; P. BARBATI, cit. in séguito, pp. 8-12.
Sull'opera del B. sono da vedersi le Opinioni di diversi autori intorno L. B. (sic) raccolte dal Pateras (pp. 137-140 dell'ediz. da lui curata), alle quali si aggiunga quel che è detto nella Revue des deux mondes del 1843 (vol. III, pp. 347-48). Accenni nell' Ulloa, Pensées et souvenirs sur la littérature contemporaine du royaume de Naples, II (Genève, Cherbuliez, 1859), p. 384. Si veda ancora G. Ferrarelli, Lista di molti lavori militari di L. B., in Schizzi (Napoli, Dura, 1871), pp. 55-59; Il collegio militare di Napoli, in Rivista militare italiana del 1887, IV, e ora nelle Memorie militari del mezzogiorno d'Italia (Bari, Laterza, 1910), pp. 55 e 90. Del B. hanno scritto piú ampiamente: E. Rocchi, L. B. e l'evoluzione della scienza della guerra, Roma, Voghera, 1899, estr. dalla Riv. militare italiana del 1899 (è lo studio piú importante sull'opera che ristampiamo); G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi, Napoli, ediz. della Critica, 1903, pp. 281-283 (che tratta del B. come filosofo), e da ultimo P. Barbati, Il pensiero filosofico di L. B., esposizione ed osservazioni, Napoli, stab. tip. Sangiovanni, 1907 (molto mediocre, ed assai spesso infelice nell'esposizione del pensiero del B.).
INDICE DEI NOMI
- Acton, 158
- Afan de Rivera, 139
- Agricola (Rodolfo), 91
- Aguesseau (d'), 116
- Aguto (Giovanni Hawkwood), 55
- Alba (duca d'), 85 , 86
- Alembert (d'), 152
- Alessandro Magno, 41 , 107 , 122 , 229 , 240
- Alighieri (Dante), 212
- Allix, 256 , 258
- Alviano, 66
- Ammiano Marcellino, 221
- Anhalt (Leopoldo princ. di), 246
- Annibale, 10 , 142 , 229
- Apelle, 222
- Aranda (conte di), 158
- Archimede, 90
- Aristotele, 41 , 86 , 117
- Arminio, 222
- Arnault, 116
- Aubigny (d'), 60
- Awright, 198
- Bacone da Verulamio, 11 , 91 , 157 , 231
- Baden, 107
- Bailly, 195
- Banner, 85
- Barberus (Ermolao Barbaro), 91
- Baronio, 116
- Barrocchi, 88
- Bayle, 116
- Beattie, 216
- Belisario, 48
- Bellegarde, 193
- Benningten (conte di), 193
- Bentham, 201
- Bentivoglio (Guido), 220
- Bergeman, 154
- Berkeley, 156
- Bernouilli, 152
- Berthollet, 197
- Berwick (duca di), 107 , 110 , 149
- Berzelius, 197
- Beyer, 154
- Biot, 195
- Blois, 116
- Blücher, 193
- Blumenbach, 196
- Bonald (visconte di), 202 , 214
- Bonpland, 197
- Bonstetten, 212
- Borbone (il connestabile di), 67
- Borda, 152
- Borgo (di), 69
- Boschovich, 153
- Bossuet, 42 , 116 , 125
- Boucher, 153
- Bousmard, 184 , 192 , 254
- Bouturlin, 276
- Braccio da Montone, 55
- Brahe, 90
- Braun, 149
- Breislack, 196
- Briganti, 156
- Brown, 197
- Brugnatelli, 198
- Bruno, 91
- Brunswick (duca di), 149 , 193
- Bucher, 116
- Buffon, 116 , 153
- Buglione (Goffredo di), 53
- Bülow, 190 , 191 , 192 , 275
- Buonarroti, 194 , 222
- Burcet, 139
- Burke, 203
- Camöens, 32
- Campanella, 91 , 116
- Camus, 153
- Canova, 222
- Caraman (duca di), 258 , 259
- Cardano, 91
- Carlo Magno, 48 , 50 , 57
- Carlo VII di Francia, 61
- Carlo VIII di Francia, 66 , 81 , 119 , 216 , 237
- Carlo V d'Austria, 34 , 62 , 66 , 69 , 75 , 76 , 77 , 119
- Carlo VI d'Austria, 127
- Carlo arciduca d'Austria, 139 , 178 , 191 , 192 , 193 , 221 , 275
- Carlo II d'Inghilterra, 100
- Carlo XII di Svezia, 107 , 108 , 206
- Carlo III di Spagna, 125 , 158 , 163
- Carmagnola, 55
- Carnot, 69 , 111 , 177 , 184 , 192 , 253 , 254
- Cartesio, 33 , 91 , 116 , 156
- Cassini (Domenico), 153
- — (Giacomo), 153
- Castrioto, 68
- Cataneo, 68
- Caterina II di Russia, 158 , 256
- Catinat, 107 , 110 , 221
- Cesalpino, 91
- Cesare, 16 , 18 , 107 , 221 , 229 , 274
- Chambray, 14 , 16 , 222 , 250
- Chaptal, 198
- Chasseloup (lord), 254
- Châtel (Pietro), 91
- Chaumera, 111
- Choiseul (duca di), 158
- Cianciulli (maggiore), 189 , 245
- Cicerone, 155
- Cid (il), 50
- Cimone, 30
- Ciro il grande, 241
- Clairault, 152
- Clerfait (duca di), 193
- Clinton, 151
- Clisson, 116
- Coligny, 85
- Colonna (Marco Antonio), 66
- — (Prospero), 66
- Condillac, 156 , 200 , 201
- Condorcet, 152 , 195
- Cook, 197
- Copernico, 69
- Cordova (Consalvo di), 66 , 68
- Cormontaigne, 111 , 253 , 254
- Cornwallis, 151
- Cotugno, 154
- Courtin, 182
- Cousin, 12
- Crequi, 110
- Critis, 222
- Cromwell, 100
- Cudworth, 116
- Cuiacio, 91
- Cuvier, 58 , 96 , 116 , 196 , 209
- Darcon, 69 , 177 , 192
- Daubanton, 153 , 196
- Daun (conte di), 149
- Davila, 220
- Decker, 261
- De Luc, 196
- Degerando, 86 , 201
- Demostene, 219
- Desaix, 193
- Dolomieu, 153 , 196
- Domat, 116
- Doria, 66
- Douglas, 263
- Drieux, 263
- Drouot, 171
- Duguesclin, 237
- Dumas, 181 , 221 , 276
- Dumouriez, 192
- Dupin, 255 , 262 , 263
- Durtubic, 148
- Duvivier, 110
- Eckstein, 215
- Elisabetta d'Inghilterra, 77
- Elsnitz, 257
- Enrico IV di Francia, 81 , 85 , 86
- Enrico di Prussia, 149
- Epaminonda, 240
- Ermanno di Basilea, 152
- Erodoto, 220
- Eugenio principe di Savoia, 107 , 110 , 151 , 227 , 229 , 247 , 275
- Eulero, 152
- Fabio Massimo, 142 , 149
- Farnese (Alessandro), 85 , 86 , 88
- Federico Barbarossa, 51
- Federico il grande re di Prussia, 109 , 135 , 136 , 137 , 138 , 141 , 144 , 145 , 147 , 149 , 151 , 158 , 164 , 170 , 174 , 175 , 191 , 193 , 221 , 227 , 229 , 246 , 257 , 264 , 265 , 271 , 274 , 275
- Fénélon, 116
- Ferdinando il cattolico, 69
- Ferdinando IV di Napoli, 158
- Ferrand, 202
- Ferrari, 188 , 189 , 245 , 253 , 258 , 264 , 276 , 277
- Ferreo (Scipione), 90
- Feuquières, 106 , 113 , 114 , 190 , 275
- Feuriel, 215
- Fichte, 201
- Fidia, 222
- Filangieri, 156
- Filippo di Macedonia, 219 , 240
- Filippo Augusto di Francia, 16
- Filippo II di Spagna, 76 , 77 , 78 , 89
- Firmiani (Firmian), 128
- Folard, 113 , 114 , 115
- Fontana, 152 , 154
- Fonton, 19
- Foscolo, 65 , 70 , 73 , 82 , 240 , 264
- Fouquet, 136 , 175 , 227
- Foy, 12 , 194 , 262
- Francesco I di Francia, 63 , 77 , 119
- Francklin, 198
- Gages (conte di), 151
- Galiani (ab.), 156
- Galilei, 90
- Gall, 197
- Galvani, 198
- Ganhil, 202
- Garat, 200
- Gassendi, 116
- Gassez, 158
- Gattamelata, 55
- Genovesi, 156 , 157
- Gentili, 92
- Geoffroy, 153
- Geyesman, 91
- Giambelli, 88
- Giannone, 116
- Gibbon, 255
- Gioia (Flavio), 70
- — (Melchiorre), 202
- Giovio (Paolo), 216 , 237
- Giuseppe II d'Austria, 158 , 165
- Giustiniano, 48 , 199
- Gourgaud, 276
- Grassi, 241
- Gravina, 116
- Grève, 116
- Grevenitz, 261
- Gribauval, 132 , 140 , 256 , 261
- Grozio, 92
- Guglielmo di Tiro, 220
- Guibert (conte di), 134 , 146 , 147 , 148 , 240 , 275
- Guicciardini, 220
- Guischardt, 146 , 182 , 275
- Gujeux, 268
- Gumbertz, 255
- Gurke, 116
- Hams, 116
- Haxo, 185 , 254
- Heeren, 201
- Herder, 125 , 156
- Herschell, 195
- Hobbes, 116
- Hoche, 192
- Humboldt, 197
- Hume, 156
- Isolani, 85 Joinville, 220 , 221
- Jomini, 3 , 108 , 114 , 119 , 139 , 192 , 220 , 222 , 276
- Jones, 154 , 186
- Jourdan, 192 , 221 , 266
- Kalkreut, 193
- Kant, 156 , 201
- Kellermann, 268
- Keit Ziethen, 149
- Klèber, 169
- Koch, 276
- Kray, 193
- Kutusoff, 193
- Laborde (conte di), 237
- La Condamine, 153
- Lacepède, 196
- La Fontaine, 193
- Lagrange, 195
- Lamarck, 196
- Lamarque, 181 , 193
- Lamennais, 118
- Lannes, 193
- Lanteri, 68
- La Pérouse (conte di), 197
- Laplace, 153 , 195
- Laromiguière, 200
- Lascy, 149 , 172
- Laudon, 142 , 150
- Lavoisier, 154 , 197
- Lawrence, 196
- Lecourbe, 86 , 276
- Leibniz, 117
- Leopoldo II d'Austria, 158 , 165
- Lespinasse, 261
- Leskinc, 14
- Linneo, 153
- Livio, 220
- Lloyd, 114 , 146 , 147 , 190 , 192 , 221 , 222 , 275
- Locke, 116 , 156 , 200
- Louvois, 112
- Luigi IX di Francia, 53
- Luigi XIV re di Francia, 99 , 108 , 118 , 119 , 121 , 170 , 180 , 205 , 221
- Luigi XV di Francia, 249
- Luigi XVIII di Francia, 168
- Lullo, 70
- Lutero, 71
- Luxembourg, 107 , 108
- Macdonald, 174 , 193
- Machiavelli, 38 , 63 , 65 , 220 , 240
- Mackintosch, 92
- Maillebois (marchese di) 137, 149
- Maine de Biran, 201
- Maireroi, 275
- Maistre (conte di), 202
- Malebranche, 116
- Malpighi, 116
- Manfredi, 152
- Manfredini, 158
- Marbot, 264
- Marchi (de), 68 , 111
- Marco Antonio, 173
- Marescot (marchese di), 254
- Maria Tudor d'Inghilterra, 77
- Maria Teresa d'Austria, 127
- Mario, 30
- Marlborough, 107 , 110
- Marmont, 109 , 193
- Martinet, 103 , 249
- Massena, 181 , 184 , 193
- Massillon, 116
- Massimiliano arciduca d'Austria, 111
- Maupertuis, 153
- Maurizio di Sassonia, 67 , 111 , 134 , 135 , 141 , 145 , 148 , 263 , 275
- Maurolico, 90
- Mauvillon, 275
- Merian, 116
- Meursio, 65
- Mezeroy, 146 , 148
- Michelet, 123
- Micheli, 153
- Mirabeau, 247 , 265
- Mocenigo, 101
- Molitor, 86 , 276
- Möllendorf, 193
- Monge, 195 , 198
- Montalembert, 111 , 148 , 254
- Montano, 69
- Montecuccoli, 65 , 84 , 85 , 86 , 107 , 109 , 113 , 221 , 241 , 264
- Montesquieu, 64 , 155 , 156 , 184 , 199 , 200 , 201 , 202 , 240
- Montgolfier, 198
- Montholon, 228 , 264
- Montlosier, 202
- Moore, 194
- Moreau, 173 , 184 , 193
- Morosini, 101
- Mortier, 268
- Mosè, 31
- Muffling, 221
- Müller, 125
- Munick, 138 , 141 , 150 , 173
- Murat, 173
- Musa, 70
- Napier, 221 , 276
- Napoleone, 16 , 18 , 53 , 109 , 135 , 170 , 179 , 180 , 182 , 183 , 185 , 187 , 189 , 201 , 221 , 228 , 229 , 232 , 237 , 262 , 274
- Narsete, 48
- Newroscki, 257
- Newton, 116 , 194 , 195
- Nicolas, 152
- Nicole, 116
- Niebuhr, 201
- Nomus Porta, 90
- Oknufief, 184
- Omero, 32 , 116 , 216
- Orange (principe di), 108
- Oriani, 195
- Oudinot, 3
- Oxenstiern, 94
- Pagan (conte di), 87
- Pagano, 156
- Paixhan, 111
- Pallavicino, 116
- Palmieri, 26 , 145 , 146
- Pappacini, 148
- Parant, 152
- Parma (duca di) vedi Farnese
- Paruta, 220
- Pascal, 116
- Paskievicht, 16 , 18 , 19
- Pastoret, 201
- Pelet, 16 , 17 , 67 , 139 , 171 , 221
- Pericle, 219
- Peyxhans, 263
- Piazzi, 195
- Piccinino, 55
- Piccolomini, 85
- Pichegru, 192
- Pietro di Navarra, 69
- Pietro il grande di Russia, 101 , 108 , 128
- Pitt, 207
- Platone, 24
- Plinio, 41
- Plutarco, 31 , 220 , 246
- Poggioli, 69
- Poli, 198
- Polibio, 25 , 191 , 220 , 246
- Pombal (marchese di), 158 , 163 , 164
- Portalis, 157 , 200
- Portoreale, 116
- Potemkin, 150
- Priestley, 154
- Puffendorf, 117
- Puysegur, 106 , 113 , 114 , 275
- Quinci, 106 , 221 Raffaello da Urbino, 222
- Rampon, 268
- Ravicchio, 261
- Reaumur, 153
- Reid, 200
- Rettzov, 221
- Rey, 116 , 153
- Riccardo cuor di leone, 53
- Riccardos, 193
- Richelieu (duca di), 88 , 94
- Richepanse, 268
- Richmond (duca di), 256
- Rogniat, 185 , 264
- Rohan (principe di), 85 , 221 , 275
- Romagnosi, 202
- Romanzoff, 150
- Rossini, 217
- Royer Collard, 200
- Sainte-Chapelle, 267
- Saint-Cyr, 14 , 193 , 221 , 251 , 276
- Saint-Paul, 184 , 254
- Saint-Remy, 148
- Salder, 136
- Sallustio, 220
- Sangulier (de), 116
- Santa Crux, 145
- Saussure, 196
- Savelli, 85
- Say, 202
- Scarpa, 154
- Scharnost, 273
- Schauburg, 189
- Schelling, 201
- Schlegel, 201
- Schwarzenberg, 193
- Segur, 232
- Seidlitz, 136 , 173 , 246
- Senofonte, 220 , 221
- Serra, 156
- Serse, 237
- Sertorio, 86
- Seurin, 152
- Severino, 116
- Sforza (Attendolo), 55
- — (Francesco), 52
- Sismondi, 202
- Smith, 115 , 156 , 202
- Sobieski, 101 , 105 , 110
- Socrate, 116
- Solimano il magnifico, 67 , 69 , 78
- Soult, 193
- Souvant, 14
- Souwaroff, 138 , 150 , 193
- Spinola, 85
- Spinoza, 116
- Sponsilli, 13
- Stahremberg (conte di), 107 , 110
- Stellini, 156
- Stutterheim, 276
- Suchet, 96 , 193 , 221
- Sully, 88
- Sydenham, 116
- Tacito, 220
- Tallard, 105
- Tanucci, 158
- Tartaglia, 68 , 90
- Tasso, 32 , 237
- Telesio, 91
- Temistocle, 30
- Tempheloff, 147 , 221
- Tennemann, 201
- Tilly, 85
- Tirteo, 215
- Tommasini, 197
- Torricelli, 116
- Torstestdon, 85
- Tournefort, 116 , 153
- Tracy, 201
- Trambley, 153
- Tucidide, 12 , 219 , 220
- Turenna (visconte di), 82 , 85 , 86 , 94 , 105 , 106 , 107 , 109 , 111 , 121 , 141 , 146 , 147 , 180 , 183 , 221 , 229 , 273
- Ubaldo, 90
- Uberto (tenente colonnello), 13
- Vacani, 276
- Vaccari, 221
- Valdeck, 108
- Valentini, 16 , 18 , 19
- Valèze, 115
- Vallée, 186
- Vallisnieri, 153
- Van Swieten, 154
- Vauban, 111 , 115 , 140 , 141 , 147 , 192 , 254
- Vaudoncourt, 276
- Vendôme, 107 , 110 , 222
- Vercingetorige, 222
- Verme (del), 55
- Verner, 90
- Veterani, 85
- Vico, 42 , 122 , 125 , 155 , 156
- Vieta, 90
- Villantroys, 263
- Villardoyn, 221
- Villars (duca di), 107 , 110 , 147 , 221
- Villers, 201
- Virgilio, 32
- Viriate, 86
- Volney (conte di), 200
- Volta, 116 , 154 , 198
- Wagner, 221
- Waldstein o Wallenstein, 85 , 86 , 88 , 93 , 96
- Washington, 14 , 138 , 151
- Weimar (di), 85
- Wellington (duca di), 137 , 194
- Wicleff, 71
- Wilson, 276
- Wittgenstein, 193
- Wolft, 117
- Zach, 195
- Zanca, 68
- Ziska, 55
INDICE
Prefazione a questa seconda edizione pag. 3
Avvertimento della prima edizione 21
Discorso I. — Idee generali intorno alla scienza militare ed alle sue relazioni colle altre scienze e collo stato sociale 23
Discorso II. — Delle differenze tra la scienza militare degli antichi e quella de' moderni 35
Discorso III. — Della scienza della guerra nel medio evo e delle sue relazioni con le altre scienze e con lo stato sociale 45
Discorso IV. — Della scienza della guerra e delle sue correlazioni con le altre scienze e con lo stato sociale dalla scoverta della polvere fino al suo risorgimento sotto Nassau e Gustavo Adolfo 59
Discorso V. — Delle relazioni della scienza della guerra colle altre scienze e con lo stato sociale nel periodo compreso tra il 1555 e il 1648, vale a dire tra l'abdicazione di Carlo quinto e la pace di Westfalia 75
Discorso VI. — Intorno allo stato della scienza militare ed alle sue relazioni colle scienze e collo stato sociale dalla pace di Westfalia a quella di Passarowitz 99
Discorso VII. — Dello stato della scienza militare e delle sue relazioni colle altre scienze e le arti e con lo stato sociale dal trattato di Passarowitz del 1718 alla rivoluzione francese del 1789 125
Discorso VIII. — Intorno allo stato della scienza militare ed alle sue relazioni colle altre scienze e collo stato sociale dal 1789 al congresso di Vienna nel 1815 161
Discorso IX. — Intorno ai rapporti della scienza bellica colle scienze, le lettere, le arti e lo stato sociale, considerati sotto un aspetto generale dall'antichitá fino ai dí nostri 211
Appendice. — Alcune osservazioni del maggiore Cianciulli intorno ai progressi dell'arte della guerra ai dí nostri, in occasione di un articolo del barone maggiore Ferrari da Parma, inserito nel fascicolo settimo del giornale: Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti 245
Nota 281
Indice dei nomi 287