LA CRISI.

Questa commedia fu rappresentata per la prima volta la sera del 14 ottobre 1904 al Teatro Alfieri di Torino, interpreti le signore Virginia Reiter e Lydia Gauthier, e i signori Luigi Carini e Ugo Piperno.

MARCO PRAGA

LA CRISI

COMMEDIA IN TRE ATTI.

MILANO

FRATELLI TREVES, EDITORI

1907.

PROPRIETÀ LETTERARIA

Riservati tutti i diritti.—La rappresentazione e la riproduzione per la stampa sono vietate a termini e sotto le comminatorie delle vigenti leggi.—Per ottenere il diritto di rappresentazione, rivolgersi esclusivamente alla SOCIETÀ ITALIANA DEGLI AUTORI per la tutela della proprietà artistica e letteraria (Milano, Corso Venezia, 4 ).

Published in Milan, March 1st, 1907. Privilege of copyright in the United States reserved under the Act approved March 3rd, 1905, by Fratelli Treves.

Tip. Fratelli Treves.

A VIRGINIA REITER.

PERSONAGGI

NICOLETTA FULVIA GIULIUZZI PIERO DONATI UGO PUCCI GIULIETTA

A Milano, 1904, di primavera.

SCENA STABILE.

+—————————-+—————————-+ | Sala da Pranzo | | | | | Terrazzo | F Tavola C | | | | | | | | +—- A ——-+—— B ——+ | | | Scrivania | | | | | | |

E Piano Tavola D

| Divano | | | | | | Salotto | | |

Salotto elegante. Da una grande apertura (A) di fondo, a sinistra, si vede la sala da pranzo. Per una gran porta-finestra (B), di fondo, a destra, si esce sul terrazzo. Un'altra porta-finestra (C) mette in comunicazione il terrazzo colla sala da pranzo. Nel salotto, a destra (D), una finestra, e a sinistra (E), una porta. Nella sala da pranzo, a sinistra (F), altra porta. Nel mezzo del salotto un pianoforte a coda. Nell'arco di questo, un piccolo divano. A destra una tavola bassa da thè e tre sedie. Altri mobili adatti, così nel salotto come in sala da pranzo. Nel salotto, di fondo, nel mezzo, piccola scrivania da signora.

ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Nicoletta, Piero, Raimondo e Pucci.

Al levarsi della tela si vedono i quattro, a tavola. Ma tosto NICOLETTA si alza, e i tre uomini si alzano subito anch'essi.

NICOLETTA

sorridente e lusinghiera.

Colonnello, passiamo a bere il caffè in salotto?

RAIMONDO offre il braccio a NICOLETTA, ed entrano nel salotto. NICOLETTA è una bella donna, giovane, elegante, vivace e assai distinta nei modi. RAIMONDO è un uomo di 45 anni, alto, dalle larghe spalle, dall'aspetto serio, marziale, ma distinto ed elegante, nè addimostra quel po' d'impaccio che sovente hanno i militari in borghese, e neppure appare il tipo convenzionale del soldato rude, intransigente, inflessibile. PIERO e il PUCCI seguono i due nel salotto. PIERO è sulla quarantina. Come suo fratello RAIMONDO, ha modi distinti, ma talvolta un poco incerti, come d'uomo debole e timido. Il PUCCI è un giovanotto trentenne, insignificante nella sua eleganza corretta ma un poco esagerata. Egli veste il doppio petto; RAIMONDO e PIERO sono in giacca. NICOLETTA ha una veste chiara primaverile, semplice ma di molto buon gusto.

NICOLETTA.

Abbandonando il braccio di RAIMONDO.

E se vuol fumare….

RAIMONDO.

Grazie, cognatina.

NICOLETTA.

Ah, non mi chiami così. Suocero e cognato son due parole che non dovrebbero esistere se non per gli avvocati e le liti.

RAIMONDO.

Debbo dire?

NICOLETTA.

Nicoletta, semplicemente. Non le piace il mio nome?

RAIMONDO siede sul divano.

Anzi, graziosissimo!

GIULIETTA attraversa la sala da pranzo, e passando pel terrazzo entra nel salotto. Reca il vassoio del caffè, che posa sulla piccola tavola a destra. Poi esce. NICOLETTA si appresta a versare il caffè. Intanto PIERO ha offerto i sigari al Pucci e a RAIMONDO.

RAIMONDO.

Piero, sai chi ho incontrato venendo qui? Giacomo Accardi.

PIERO.

Ah!

RAIMONDO.

Com'è invecchiato! Fu ammalato? Ebbe delle disgrazie?

PIERO.

Che io mi sappia!

NICOLETTA.

Chi è Accardi?

RAIMONDO.

Un nostro vecchio amico.

NICOLETTA.

E non lo conosco?

Volgendosi al marito.

Piero, se mi hai detto che li conosco ormai tutti i tuoi amici?

PIERO.

Questo l'avevo scordato. Ma non lo vedo da gran tempo.

RAIMONDO.

La vita matrimoniale ti avrà separato da parecchi, suppongo.

PIERO.

Accade sempre così.

RAIMONDO.

Un altro l'ho incontrato ieri, Filippo Costa. Mi ha chiesto di te. Curiosa, dissi, son io che devo darti notizie di mio fratello, io che torno dopo quattro anni di assenza! Si lagnava che non ti fai più vedere.

NICOLETTA.

Volgendosi a RAIMONDO, con la tazza del caffè e le piccole molle dello zucchero che tien sospese su la tazza.

Quanti pezzi, colonnello?

RAIMONDO.

Niente "cognata" ma niente "colonnello". Già non lo sono neppure.

NICOLETTA.

Non lo è?

RAIMONDO.

Tenente colonnello, e dimissionario. E niente zucchero.

NICOLETTA.

Lo beve amaro? Davvero?

RAIMONDO.

La stupisce?

NICOLETTA.

No, mi fa paura.

RAIMONDO.

Oh?

NICOLETTA

porgendogli la tazza.

Mia zia, la buona zia che mi ha fatto da mamma, soleva dirmi: guardati dagli uomini che bevono il caffè senza zucchero.

RAIMONDO.

Oh bella! E il perchè?

NICOLETTA.

Non me lo disse mai, ma credo fosse questo: che suo marito lo beveva amaro, e fu un cattivo soggetto.

RAIMONDO ridendo.

Ah!

NICOLETTA.

Pucci, per lei molto zucchero, nevvero?

PUCCI avvicinandosele.

Grazie!

PIERO si avvicina a RAIMONDO. Questi, senza averne l'aria, osserverà sempre NICOLETTA, seguendone ogni atto, come chi studia e scruta.

NICOLETTA.

Che è alla tavola di destra, piano e rapida al PUCCI, mentre gli mesce il caffè.

Smettila!

PUCCI.

Che c'è?

NICOLETTA.

Parla, di' qualcosa, smetti il broncio. Durante la colazione non hai detto dieci parole.

PUCCI.

Colpa tua.

NICOLETTA.

Sei uno sciocco!

Al marito.

Piero, vuoi?

PIERO.

Grazie, no.

Il PUCCI si reca a bere il caffè sul limitare del terrazzo e vi è raggiunto da PIERO. NICOLETTA va a sedersi vicino a RAIMONDO, che sta sul divano.

NICOLETTA.

Dunque? Come la devo chiamare?

RAIMONDO.

Mi pare molto semplice: Raimondo.

NICOLETTA.

Raimondo, tout court? Bisognerà che mi ci abitui.

RAIMONDO.

Le pare difficile?

NICOLETTA.

Non so, questo signor cognato colonnello, quasi colonnello, che conosco da tre giorni, così serio, così imponente, del quale ho udito tanto parlare in tre anni di matrimonio, che mi arriva dal Congo, quasi all'improvviso…. In fondo, sa, sono una timida.

RAIMONDO ridendo.

Davvero? A me, proprio, non pare.

NICOLETTA.

Già, lei mi ha giudicata male, anche da lontano.

RAIMONDO.

Anche da lontano? Che ne sa?

NICOLETTA.

Niente, l'ho intuito.

RAIMONDO.

Ebbene, si è ingannata. E poichè ora sono qui, per rimanere, e ci vedremo sovente, spero, cercherò di convincerla, che si è sbagliata.

Si alza e va a deporre la tazza a destra. NICOLETTA va a sedersi al pianoforte, su cui arpeggia leggerissimamente. RAIMONDO s'indugia per qualche momento, a destra, per riaccendere il sigaro.

PUCCI.

Parlando con PIERO e accennando a RAIMONDO.

Quarantacinque anni? Non li dimostra.

PIERO.

Mi è maggiore di cinque.

PUCCI.

E abbandonò la carriera, avendo raggiunto quel grado così giovine?

PIERO.

Quattr'anni fa, per un puntiglio. Raimondo ha una fierezza di carattere singolare. Gli parve che in certa questione di servizio gli si usasse ingiustizia, e si dimise. Fu un errore senza dubbio. Fra tre anni sarebbe stato generale.

RAIMONDO.

Che intanto si è recato dietro NICOLETTA.

Brava, un po' di musica!

NICOLETTA volgendosi.

Per carità! Innanzi a lei non oso. E preferisco far delle chiacchiere.

Si siede sul divano a sinistra. RAIMONDO le si siede accanto. PIERO e il PUCCI rimangono sul limitare del terrazzo, e discorrono tra loro.

RAIMONDO piano.

E chi è quel giovanotto così elegante e così poco loquace?

NICOLETTA.

Chi? Pucci? L'avvocato Pucci. Non l'ho presentato subito?

RAIMONDO.

Sì, ma… appena ho udito il nome. Avvocato? Così silenzioso? È un bel caso.

NICOLETTA.

È uno degli avvocati di Piero.

RAIMONDO.

Ne ha tanti?

NICOLETTA.

Non so, più di uno. Sa, con una grossa azienda….

RAIMONDO.

Prima che io partissi era Salvadori.

NICOLETTA.

Lo è ancora. Questo è un giovane fiorentino, ai primordi della carriera. Ha preso dimora a Milano da poco. Fu molto raccomandato a Piero, che gli affidò qualche piccolo affare, e lo ha preso in grande simpatia. Lo invita sovente a colazione ed a pranzo, quando poi devono parlare d'affari, come oggi.

RAIMONDO.

Oggi poteva risparmiarmelo.

NICOLETTA.

Non le piace?

RAIMONDO.

Mi è indifferente. Ma, insomma, sono arrivato ieri l'altro dopo quattro anni di assenza; ieri ho dovuto fare una corsa a Torino; oggi ero qui a colazione con voi, per la prima volta mi sedevo a tavola con la bella cognatina…. pardon…. Si poteva rimanere tra noi, mi pare. E poi non è divertente.

NICOLETTA.

È un ragazzo molto serio.

RAIMONDO.

Troppo.

NICOLETTA.

Forse è messo in soggezione da lei.

RAIMONDO si alza ridendo.

Ma è curiosa! Metto tanta soggezione io? Converrà che me ne vada.

NICOLETTA seguendolo.

È matto?

Infila il suo braccio in quello di RAIMONDO e si dirige con lui verso il terrazzo.

Piero, hai finito di parlare d'affari?

PIERO.

Non si parlava d'affari.

NICOLETTA.

Tuo fratello si annoia, e vuol andarsene.

RAIMONDO.

Protesto, e le proibisco di dir bugie, cognatina bella!

PIERO.

O non potreste darvi del tu?

RAIMONDO.

Con piacere.

NICOLETTA.

Proverò. Ma bisognerà non sgridarmi se non ci riesco subito. Ti vedo per la seconda volta… e poi te l'ho detto, mi metti soggezione!

RAIMONDO.

Come all'….

NICOLETTA.

Colonnello!…

RAIMONDO.

Ah, già!

PIERO.

Che c'è?

RAIMONDO.

Niente, un segreto tra Nicoletta e me.

Al Pucci.

Lei è di Firenze, avvocato?

PUCCI.

Sissignore, di Firenze.

RAIMONDO.

Deliziosa città. Ci fui per tre anni, da capitano, quando passai nello Stato Maggiore.

PUCCI.

È molto tempo?

RAIMONDO.

Tra il 94 e il 97.

PUCCI.

Io ero a Pisa, in quegli anni, all'Università.

NICOLETTA.

Lascia il braccio di RAIMONDO.

Scusate.

Attraversa il salotto, entra in sala da pranzo e scompare.

RAIMONDO.

Esce sul terrazzo seguìto da Piero.

Ti sei trovato un bel alloggio. Da questo terrazzino la vista è incantevole.

PIERO.

È alto, quassù! Per arrivarci!

RAIMONDO.

Hai l'ascensore.

Osservando.

Il castello, il parco, tutto quel verde! Non par d'essere a Milano. Ma l'avete trasformata, questa vecchia Milano. Non la si riconosce più.

Il PUCCI non ha seguito i due sul terrazzo, ma è disceso nel salotto, col pretesto di cercare dei fiammiferi che stanno su un piccolo mobile a sinistra. RAIMONDO dal terrazzo dà qualche occhiata nel salotto senza lasciar mai quella sua aria scrutatrice. NICOLETTA rientra nella sala da pranzo.

NICOLETTA.

Dove sono?

PUCCI.

Sul terrazzo.

NICOLETTA.

Vicino a lui, piano, rapida.

E tu perchè stai qui? Bada, non è cieco, nè sordo, quello! Osserva tutto! Non mi toglie mai gli occhi di dosso. Vuoi che sospetti?

PUCCI.

Ma che! Sei pazza!

NICOLETTA.

Pazza! È un militare, un pedante…. Uff! che tegola! Bisogna stare in guardia. Vattene, adesso!… Eccolo, vedi, mi spiava attraverso i vetri.

Si dirige al terrazzo.

PUCCI.

Senti….

NICOLETTA.

Ma sì, grida di più, scemo!

PUCCI.

Senti, ti aspetto, oggi?

NICOLETTA.

Non so. Con quel carabiniere!

PUCCI.

Ti prego! Alle tre?

NICOLETTA.

Alle tre, sì.

Va verso il terrazzo. RAIMONDO e PIERO rientrano.

RAIMONDO.

Vorrei trovarmi un alloggio che assomigliasse a questo.

NICOLETTA.

Hai cominciato a cercare?

RAIMONDO.

Ne ho parlato a qualche amico. Prevedo che non sarà facile il trovare.

NICOLETTA.

L'aiuterò io.

RAIMONDO.

Grazie.

PIERO.

Sei un cocciuto. Te l'ho ripetuto già dieci volte. La nostra casa è anche troppo grande per noi. La si era affittata con la speranza che la famiglia aumentasse presto

Circonda col braccio NICOLETTA, amoroso.

nevvero? Invece finora…. Orbene, ti si potrebbero cedere due o tre camere, tutte per te, liberissime, con un ingresso separato…. Nevvero, Nicoletta?

RAIMONDO.

Sei matto! Figurati se vorrei venir qui a turbare la vostra luna di di miele.

PIERO.

Una luna di tre anni.

RAIMONDO.

No, no, ti ringrazio, ma sto da me; ho ragione, Nicoletta?

NICOLETTA.

Non so…. io non oso insistere….

RAIMONDO.

Vedi? Tua moglie ha più buon senso di te. Volersi bene, vedersi ogni tanto, ma ognuno a casa sua….

Entra, passando per la sala da pranzo, FULVIA, preceduta da GIULIETTA, che si ferma sulla soglia senza annunziare e se ne va quando ella è entrata in salotto. FULVIA. è una signora giovane, elegante, in abito da visita; ha l'aria sventata, un fare da civetta.

SCENA SECONDA.

Nicoletta, Raimondo, Fulvia, Piero, Pucci.

FULVIA.

Si può? Non disturbo?

NICOLETTA le va incontro.

Oh, Fulvia.

FULVIA..

Come va?

Si baciano.

Son venuta a vedere se sei viva o morta. Tre giorni che non si sa nulla di te. Buon giorno, Piero, buon giorno Ugo.

Stringe la mano ai due.

NICOLETTA.

Il colonnello Raimondo Donati, fratello di mio marito. La mia amica Fulvia Giuliuzzi.

FULVIA..

Oh come sono felice di conoscerla, finalmente!

RAIMONDO un poco sorpreso.

Finalmente?

FULVIA..

Ma sì, ho udito tanto parlare di lei da Piero e da Nicoletta, e la si aspettava con tanta impazienza! Arrivato?…

NICOLETTA.

Da tre giorni.

FULVIA..

Questo spiega il motivo perchè non ti si è più veduta. E ti perdono.

A RAIMONDO.

Lei arriva dal Congo?

Si siede.

RAIMONDO.

Sì, signora.

FULVIA..

Un bel paese?

RAIMONDO.

Interessante.

FULVIA..

Come ci vorrei andare!

NICOLETTA ridendo.

Già, dov'è che non vorresti andare, tu?

FULVIA..

Cara, poichè sono libera, padrona di me…. e ho tanto bisogno di muovermi, di espandermi…. Non starei mai ferma un minuto! Vorrei essere dappertutto, andare dappertutto, veder tutto, saper tutto…. Scusa, non ho ragione, cara?

NICOLETTA ridendo.

Sì. Ma…. bisogna spiegare al colonnello, che ti guarda con tanto d'occhi, e….

RAIMONDO.

Io?!

NICOLETTA.

Fulvia è vedova.

RAIMONDO.

Me ne duole.

FULVIA..

Perchè?

RAIMONDO.

Cioè…. veramente…. no, ecco, ho detto me ne duole come avrei detto….

FULVIA..

Ne sono contento. Alla buon'ora! Oh se sapesse, Raimondo…. Pardon! Colonnello. Qui siamo in confidenza e ci si chiama per nome. È una consuetudine graziosa, del resto. No?

RAIMONDO.

Ma faccia pure, la prego!

FULVIA. ridendo.

No, è un po' troppo presto. Domani, forse! Sa, è la tavola che dà la confidenza. Se Nicoletta mi invita a pranzo, un giorno, insieme con lei, son certa, al caffè, di chiamarla Raimondo.

RAIMONDO.

Come un amico di vent'anni.

FULVIA..

Appunto.

RAIMONDO.

Senta, per me, se vuol cominciar subito.

FULVIA..

Alzandosi e porgendogli la mano.

Grazie.

Con un sospiro.

Quando saremo intimi le racconterò tante cose e allora capirà perchè….

RAIMONDO.

Non bisogna dolersi che ella sia vedova? Credo di averlo già capito.

FULVIA..

Minacciando col dito.

Eh! non per niente ha viaggiato lei!

Si avvicina a PIERO.

Piero, m'avete trovato la lampada?

NICOLETTA.

A RAIMONDO piano.

Simpatica, nevvero?

RAIMONDO.

Ironico suo malgrado.

Tanto!

NICOLETTA c. s.

Colonnello, se pensa di prender moglie, ha cinquantamila lire di rendita.

RAIMONDO.

Ereditate dal marito!

NICOLETTA.

Oh, lei non aveva un soldo.

RAIMONDO.

L'avrei giurato!

NICOLETTA.

Ci pensi. Giovane, carina, ama i viaggi e le avventure.

RAIMONDO.

Le avventure sopra tutto!

NICOLETTA.

Oh!

RAIMONDO.

Le avventure di terra e di mare.

FULVIA. a PIERO, forte.

Siete un buono a nulla, bisognerà che mi raccomandi a Ugo.

RAIMONDO.

O a Raimondo. Pardon! O a me!

FULVIA..

Mi canzona?

RAIMONDO.

Dio mi guardi! Volevo offrirle i miei servigi.

FULVIA..

Per una lampada? Una gran lampada da chiesa, dal piedestallo altissimo in ferro battuto?

RAIMONDO.

A Siena ne fanno delle meravigliose.

FULVIA..

Bravo! E chi ci va a Siena?

RAIMONDO.

Ma lei! Se ama tanto viaggiare!

FULVIA..

Chi mi accompagna? Sola no. Odio la solitudine, mi spaventa. Per questo non viaggio mai, malgrado la voglia che ne ho. Non trovo una compagna.

PUCCI.

E un compagno?

RAIMONDO.

(Dio, l'avvocato ha parlato!)

FULVIA..

Un compagno? Anche meglio. Un uomo è sempre una forza. Mi accompagnate a Siena?

PUCCI.

Se non avessi gli affari che mi trattengono.

FULVIA..

Gli affari? Per ora non avete molte cause.

RAIMONDO ridendo, garbato.

Ma le cerca, evidentemente. Nevvero, avvocato? E questo dà da fare anche di più.

FULVIA..

E allora, accompagnatemi voi.

RAIMONDO.

(Mi dà del voi. Domani mi darà del tu).

FULVIA..

Dunque?

RAIMONDO.

Ci penso. Sa, non ho disfatte ancor le valigie, per così dire…. e vengo di così lontano…. ma chi sa?

FULVIA..

Bravo! Voi, almeno, mi lasciate una speranza.

A NICOLETTA.

Cara, vieni con me alla Villa Reale?

NICOLETTA.

Alla fiera?

FULVIA..

S'inaugura oggi alle tre, ci sarà tutta Milano.

NICOLETTA.

Non so, non credo. Vedi, ho un ospite.

RAIMONDO.

No, no! Tanto fra qualche minuto me ne vado. Sono già le due.

FULVIA..

Venite anche voi, colonnello?

RAIMONDO.

Che cos'è? una fiera?

FULVIA..

Per la fanciullezza abbandonata.

RAIMONDO.

Ah!

NICOLETTA.

No, sai, oggi, non vengo. Il primo giorno, chi sa che folla.

FULVIA..

Ebbene? Una folla pulita è l'ideale. Colonnello, accompagnatemi voi.

RAIMONDO.

Ho tanto da fare, signora mia. Ho venti casse da vuotare, portate dal Congo.

FULVIA..

Venti casse!! Chi sa quanta bella roba! Me la mostrerete, poi?

RAIMONDO.

Volontieri.

FULVIA..

Avete portato anche un moretto?

RAIMONDO.

No. A quello non ci ho pensato.

FULVIA..

Che peccato! Adoro i moretti.

RAIMONDO.

Se l'avessi saputo.

FULVIA..

È facile averne, laggiù?

RAIMONDO.

Altro! Ne fanno delle fiere. È la fanciullezza abbandonata dell'Africa.

FULVIA..

Allora, se ci tornate….

RAIMONDO.

Gliene porto una dozzina.

FULVIA..

Infine, nessuno viene alla Villa? Ugo?

NICOLETTA.

Ab! ma sei insopportabile, Fulvia. Tu credi che la gente abbia niente da fare come te? Pucci, la congedo. Lei ha da lavorare e se sta qui, questa testolina sventata….

PUCCI.

Ride, per darsi un contegno, e porge la mano a NICOLETTA.

FULVIA..

Arrivederci, amico mio.

PUCCI.

Colonnello, sono ben lieto di averla conosciuta.

RAIMONDO.

La ringrazio. E arrivederci.

FULVIA..

Al PUCCI che le porge la mano.

Scendo con voi, Ugo.

NICOLETTA.

Perchè? Rimani un poco. Ho un cappellino da mostrarti che è un amore.

FULVIA..

Ma prima delle tre voglio essere alla Villa.

NICOLETTA.

Sì, sì. Forse mi deciderò a venire con te.

L'ha tratta in disparte. Piano.

Non fare la sciocca, ti prego.

FULVIA. ridendo.

Sei gelosa? Non te lo rubo, il tuo Ugo, stai tranquilla.

Il PUCCI è uscito, accompagnato da PIERO che ora ritorna.

NICOLETTA.

Come chi si sovviene ad un tratto.

Ah!

Corre verso la sala da pranzo, e si incontra con PIERO che ritorna.

È già uscito?

Corre via. FULVIA. ha un risolino ironico. RAIMONDO ha tutto osservato.

PIERO.

Signora Fulvia, le offro qualche cosa?

FULVIA..

Sì, quella vostra "Eau de vie du Cap", che adoro.

PIERO mesce il liquore.

RAIMONDO.

Quante cose adora, signora mia! I moretti, i viaggi, l'"Eau de vie du Cap".

FULVIA..

Oh! Tante altre ancora. Le violette candite, le vetture foderate in gris-perle, gli uomini magri….

RAIMONDO.

Ahimè!

FULVIA..

I parasoli rossi, i manicotti di martora immensi, i cavalli piccoli e i cani grossi, i potins delle signore…. gli acrobati….

RAIMONDO.

Anche gli acrobati?

FULVIA. sorseggiando.

Il cerchio della morte mi ha dato la più forte emozione della mia vita.

RAIMONDO.

Più della…. del viaggio di nozze?

FULVIA..

Senza paragone!

NICOLETTA rientrando.

Avevo dimenticato di rammentare al Pucci di passare al Manzoni per il palco.

FULVIA..

Per questa sera?

NICOLETTA.

No, per la première della Hading.

FULVIA.

Ah l'Hading! L'adoro!

RAIMONDO.

Anche lei!

NICOLETTA.

Fulvia, vieni?

FULVIA..

A vedere il cappellino? Com'è?

NICOLETTA.

Vedrai. Colonnello, lei rimane?

RAIMONDO.

Uscirò con Piero.

NICOLETTA.

Allora arrivederci. Questa sera o domani.

RAIMONDO.

Domani. Oggi pranzo con un vecchio collega.

FULVIA. salutandolo.

Colonnello!

RAIMONDO.

Signora!

FULVIA..

Arrivederci, Piero!

PIERO stringe la mano a FULVIA., poi bacia NICOLETTA sui capelli. Le due donne escono per la sinistra.

SCENA TERZA.

Piero, Raimondo, poi Giulietta.

PIERO.

Che si fa, Raimondo?

RAIMONDO.

Se vai alle officine ti accompagno per un tratto.

PIERO.

Che ora è? Le due e dieci. Alle tre devo essere dal Salvadori. Non vale la pena ch'io vada fino laggiù.

RAIMONDO.

Ti faccio perdere un tempo enorme.

PIERO.

Che dici? Sai, ora non ho più bisogno di lavorare per dieci ore al giorno. Ho un procuratore di cui posso fidarmi.

Entra GIULIETTA, prende il vassoio del caffè e lo porta via, passando pel salotto da pranzo.

RAIMONDO.

Non dovevi parlare d'affari con quell'avvocatino che era qui?

PIERO.

Col Pucci? No. Perchè?

RAIMONDO.

Credevo. Non è uno dei tuoi avvocati?

PIERO.

No. Ho un solo avvocato: Salvadori. Questo Pucci è un giovane che fu presentato a Nicoletta, l'inverno scorso, alla patinoire: ha qualcosa di suo, e fa l'avvocato, da dilettante.

RAIMONDO.

È soltanto un amico, insomma.

PIERO.

Un amico! Sai, è un buon diavolo, di quelli che s'intrufolano dappertutto, e sanno riuscire simpatici alle signore con la correttezza dei modi, con la squisita cortesia, rendendo mille piccoli servigi. Gli ho affidato un incarico, una volta che Salvadori era assente. E così venne in casa. Nicoletta lo invita ogni tanto. È piuttosto un viveur.

RAIMONDO.

Un imbecille, insomma.

PIERO.

No, è…. niente.

RAIMONDO.

E me lo hai invitato proprio oggi.

PIERO.

Fu Nicoletta. Ti ha seccato?

RAIMONDO.

No, ma insomma poteva invitarlo un altro giorno.

PIERO.

Hai ragione. Non ci ha pensato. O piuttosto, ti dirò: credo fosse già invitato da una settimana, e Nicoletta non ha pensato a trovare un pretesto per rimandare l'invito.

RAIMONDO.

Non ne valeva la pena.

Un silenzio.

PIERO.

A Torino, ieri, chi hai visto?

RAIMONDO.

Tanta gente. Al Circolo militare, dove m'invitò a colazione Di Mortigliengo, ci ho trovati dei camerati che non vedevo da dieci anni. Se ne son fatte delle chiacchiere.

Un silenzio.

RAIMONDO.

Sdraiandosi sulla poltrona.

Dimmi, Piero, e delle amiche come quella signora Fulvia, ne ha molte tua moglie?

PIERO.

Perchè?

RAIMONDO.

Domando.

PIERO.

Non ti piace?

RAIMONDO.

Altro!

PIERO.

È un'ottima creatura, sai? Molto migliore che non paia.

RAIMONDO.

Speriamo, perchè, veramente come "parere".

PIERO.

Ha un fare da sciocchina, ma ha pure delle qualità eccellenti, e un cuor d'oro. Sai, giovane, vedova, sola, ricca….

RAIMONDO.

Scommetto che non ha mai più di due amanti per volta.

PIERO ridendo.

Pessimista! Io, invece….

RAIMONDO.

Non giurarci.

PIERO.

Non ci giuro, ma non so niente.

RAIMONDO.

Tu vivi nelle nuvole.

PIERO.

Credo che le faccia la corte il Pucci.

RAIMONDO.

Io credo di no.

PIERO.

Oh bella, che ne vuoi sapere tu, che li hai veduti oggi per la prima volta?

RAIMONDO.

Già, è vero.

PIERO.

Gli va a sedere vicinissimo, gli posa le mani sui ginocchi, e si curva su di lui.

E mia moglie? Parlami di lei. Non mi hai ancor detto, seriamente, e un po' a lungo, che impressione t'ha fatto e che cosa ne pensi.

RAIMONDO.

Che vuoi, l'ho veduta ieri l'altro, non sono rimasto con lei tre ore in tutto, sin'ora….

PIERO.

Ma…. insomma…. ti piace?

RAIMONDO.

Molto. Fisicamente è un amore.

PIERO contento.

Eh?!

RAIMONDO.

Poi deve essere intelligente, briosa, di carattere gaio….

PIERO.

Vedi, vedi, che l'hai già capita?

RAIMONDO.

Sì, per quello che si può capire in così breve tempo.

PIERO.

A poco a poco, le riconoscerai tante altre buone qualità: quelle del cuore, sopratutto, che sono squisite, e capirai ciò di cui ti sei stupito allora, quando ti scrissi che mi sposavo, e mi sposavo d'amore.

RAIMONDO.

Ah davvero che me ne stupii! Per chi ti conosceva uomo freddo, calmo, tutto dedito allo studio e al lavoro…. Io mi dicevo: se Piero si ammoglierà, farà un matrimonio di convenienza. Parevi di quegli uomini, che non prendono moglie, ma ai quali si dà moglie quando hanno l'età adatta per accasarli, perchè è una cosa, l'ammogliarsi, che un uomo equilibrato, che il perfetto cittadino deve fare. Invece….

PIERO.

Eh?

RAIMONDO.

Sonnecchiava un sensuale, in te; e quando incontrò la donna che seppe risvegliarlo….

PIERO.

Ah, Raimondo, come lo seppe, Nicoletta! Mi ha reso pazzo d'amore. Se non avessi potuto sposarla, credo che mi sarei ucciso.

RAIMONDO.

Fissandolo, da scrutatore, con una leggera espressione di mestizia sul volto.

Ed è sempre come il primo giorno?

PIERO.

Più, più ancora se è possibile. Vivo di lei e per lei. La luce mi vien dai suoi occhi, l'aria dall'alito suo, il calore da un suo bacio…. E una frenesia.

RAIMONDO.

Sei, persino, diventato poeta!

PIERO.

Mi domando, alle volte, con terrore, come potrei vivere senza di lei. Raimondo, se dovessi perderla, ne morirei. Lo credi? Talvolta, questo pensiero mi dà un principio di pazzia. Sono solo, nel mio scrittoio. Lavoro, scrivo. A un tratto la mano si arresta, la penna mi cade dalle dita. Nicoletta? Non c'è più, l'ho perduta! Lotto, atrocemente, per qualche minuto, contro questo improvviso pensiero che diventa un'idea fissa. Inutilmente! Bisogna che mi alzi, che esca, che prenda una carrozza e corra a casa per vederla, per abbracciarla, per convincermi coi miei occhi, che c'è ancora, che esiste, che è mia. Se per disgraziata combinazione non è in casa, perdo la testa.

RAIMONDO.

E vai a cercarla? Finirai per diventare ridicolo…. Perchè il mondo lo trova ridicolo un marito innamorato.

PIERO.

No, non vado a cercarla. Me ne mancano le forze. Ma corro in camera sua, aspiro il profumo che vi ha lasciato, bacio la sua vestaglia abbandonata su una sedia, apro gli armadi per vedervi le sue vesti, i suoi cappellini, la sua biancheria. Tutto è lì, in ordine; nulla manca. Dunque, mi dico, non è partita, non è fuggita, non mi ha abbandonato: e mi butto sul suo letto e piango come un fanciullo.

RAIMONDO.

È della follia.

PIERO.

Te l'ho detto.

RAIMONDO.

Perchè infine, come può venirti quest'idea ch'ella sia fuggita, che ti abbandoni? Poichè ti ama….

PIERO.

Ma se sono un pazzo!… E la notte? Talvolta mi sveglio di soprassalto. Ho sognato che è gravemente ammalata, o che è morta. E anche questa diventa un'idea fissa. Ho un bel tentare di ragionare, ho un bel dirmi: se si sentisse male mi chiamerebbe. Non serve. Bisogna che mi alzi e che mi rechi, in punta di piedi, nella sua camera. Entro adagio, guardingo. Se è sveglia, mi precipito, l'abbraccio, la copro di baci, piangendo scioccamente, senza spiegarmene il perchè. Se dorme, mi siedo, senza far rumore, sulla poltrona, accanto al letto, e rimango lì a guardarla, nella penombra, immobile, trattenendo il respiro, fino all'alba.

Un silenzio. RAIMONDO è rimasto assorto, pensieroso, con gli occhi bassi. Un pensiero doloroso l'opprime, e una lacrima gli è spuntata sulle ciglia. PIERO, dopo un istante gli posa una mano sulla spalla.

PIERO.

Ebbene, che ne dici di questo tuo fratello, che l'amore ha trasformato?

RAIMONDO solleva il capo. PIERO vede la lacrima e gli passa le dita sugli occhi.

Ti ho fatto piangere?

RAIMONDO.

Si alza e cerca di dominarsi.

Può darsi.

PIERO si alza anche lui, e RAIMONDO gli posa le mani sulle spalle, fissandolo, per un istante, affettuoso.

Che tu sii sempre felice. Ecco il mio voto più ardente!

Mutando tono.

Saranno le due e mezza. Vuoi che ci avviamo?

PIERO.

Mi accompagni in via Manzoni?

RAIMONDO.

Sì, poi rientro all'albergo.

Si avviano per uscire, passando per la sala da pranzo. NICOLETTA, come se fosse là in agguato, si presenta e sbarra l'uscita.

SCENA QUARTA.

Nicoletta, Piero, Raimondo.

NICOLETTA.

Ve ne andate?

PIERO.

Come? non sei uscita con Fulvia?

NICOLETTA.

No. Non ne avevo proprio voglia d'andare alla Villa. Le ho promesso di accompagnarla domani. Tanto, lei ci andrà ogni giorno.

PIERO.

Non esci?

NICOLETTA.

No. A meno che Raimondo non voglia che iniziarne la ricerca del suo alloggio….

RAIMONDO.

Non oggi, grazie. E poi, non credo che troveremo ciò che mi occorre girando per le vie.

NICOLETTA.

Perchè no?

RAIMONDO.

Ci daremo convegno di mattina.

PIERO.

E allora a rivederci, cara.

La bacia.

NICOLETTA.

Vai alle officine?

PIERO.

Più tardi. Prima ho affari in città.

NICOLETTA.

E mi porti via anche Raimondo?

PIERO.

Può restare se vuole.

NICOLETTA.

Lusinghiera, a RAIMONDO.

A tenermi un po' di compagnia?…

RAIMONDO.

Ha un attimo di titubanza. Poi.

Volentieri, se….

NICOLETTA.

Se?

RAIMONDO.

Se la mia compagnia è di quelle che piacciono alle signore.

NICOLETTA a PIERO.

Vuoi che gli si faccia la corte.

PIERO a RAIMONDO.

Ti lascio con Nicoletta. A domani.

RAIMONDO.

A domani.

PIERO.

Vieni a prendermi laggiù, alle undici!

NICOLETTA.

Non far programmi, tu. Li farò io, poi ti dirò.

PIERO.

Bene.

Esce per la sala da pranzo.

SCENA QUINTA.

Nicoletta, Raimondo.

NICOLETTA.

Prende per mano RAIMONDO, lo conduce con atto di graziosa violenza al piccolo divano, ve lo fa sedere e si siede di contro a lui su una bassa seggiolina.

Ed ora che siamo soli, signor colonnello esploratore, venga qua e discorriamo. Prima di tutto, ci diamo del tu, dunque?

RAIMONDO.

Te l'ho già detto: con gran piacere. Sei tu che pare non ci riesca….

NICOLETTA.

Io riesco in tutto quello che voglio. Soltanto, per riuscire più in fretta, ho bisogno di sapere se siamo amici.

RAIMONDO.

Che domanda!?

NICOLETTA.

Sino a ieri l'altro tu non eri un amico per me!

RAIMONDO.

Da capo! È un'idea fissa!

NICOLETTA.

Non negare; a che serve?

RAIMONDO.

Io non so che diavolo ha potuto dirti, o lasciarti credere, o supporre Piero. Già, un innamorato come quello perde la testa e non sa più quello che dice.

NICOLETTA.

L'hai sconsigliato, o no, dallo sposarmi?

RAIMONDO.

Se non ti conoscevo? Se non sapevo chi tu fossi?

NICOLETTA.

Ti sei informato, hai scritto, di laggiù, a degli amici di qui.

RAIMONDO.

Questo è abbastanza naturale. Quando Piero mi annunziò che aveva conosciuto la signorina Nicoletta De Rienzi, e che se n'era innamorato e che pensava di chiederla in isposa…

NICOLETTA.

E ti hanno dato, i tuoi amici fidati di Roma e di Milano, delle informazioni pessime….

RAIMONDO.

No. Mi hanno detto….

NICOLETTA.

Non ripeterlo. So quello che ti hanno scritto, e te lo ripeterò io stessa. E allora tu, naturalmente, hai sconsigliato Piero….

RAIMONDO.

Decisamente sei male informata. Gli ho scritto questo: "Non mi chiedi consiglio, nè posso dartene da qui. Ti dico soltanto: pensaci bene prima di decidere. Non sei più un ragazzo, sei un uomo serio, un galantuomo, un lavoratore; devi sapere qual'è la donna che ti ci vuole per farne la compagna della tua vita. Non lasciarti vincere da una passione che potrebbe essere passeggiera. Medita lungamente, studia bene la fanciulla di cui ti sei preso o ti pare di esserlo. Se è degna di te, sposala, Altrimenti rinunciavi, lascia Milano, fai un viaggio, distraiti, dimentica".

NICOLETTA.

Già, del resto, io non ti rimprovero, e non ti serberei rancore neppure se tu gli avessi detto chiaro e tondo: no, la signorina De Rienzi non è di quelle che si sposano, o, per lo meno, che un uomo come te deve sposare.

RAIMONDO.

E come glielo avrei detto?… Ma sai che quasi mi spaventi? Perbacco, mi faresti credere che le informazioni ch'io ricevetti furono molto…. ottimiste, o per lo meno, incomplete. Perchè ti assicuro che non furono tali da suggerirmi un simile consiglio. Tu vai più in là degli stessi informatori miei.

NICOLETTA.

Gli è che tutto è relativo. Chi mi conosceva bene a Roma, dove crebbi e vissi sino ai vent'anni, e a Milano dove venni ad abitare dopo, mi giudicava esattamente. Ma chi giudicava dalle apparenze, o per udito dire…. E poi, si sa, delle notizie sommarie che giungono da tre mila leghe di distanza, possono facilmente ingannare.

RAIMONDO.

Ma….

NICOLETTA.

Se ti dò ragione! In quello che hanno scritto ce n'era d'avanzo….

RAIMONDO.

Ma che cosa mi hanno scritto, in nome d'Iddio?!

NICOLETTA.

Vuoi che te lo dica io? Prima di tutto, che non avevo un soldo di dote.

Movimento di RAIMONDO.

No, scusa, per la gente seria e pratica, che ha esperienza della vita, questo è sempre un argomento fortissimo. E capirei perfettamente che tu….

RAIMONDO.

Mi giudichi male. Tutta la mia vita sta a dimostrare che sono un uomo disinteressato. La stessa mia rinuncia al grado e all'impiego, per ridurmi a vivere con quel poco che posseggo, e che spendo in gran parte per soddisfare una passione di viaggi istruttivi, è una prova di disinteresse. Ma ti dirò una cosa che non sai. Sono celibe perchè non ho potuto sposare, anni fa, una fanciulla che amavo e ch'era povera. E non la sposai perchè ella, lealmente, mi disse che amava già un altro uomo. Vedi?

NICOLETTA.

E sia! Andiamo avanti. Ti dissero ch'ero una ragazza cresciuta senza la mamma, poichè la mamma, pur non essendo morta…. più non esisteva…. per me; ch'ero stata allevata da una zia, sorella di mio padre, buona donna, ma niente altro che buona donna; e che il papà era uno spirito bizzarro, un misantropo, dedito soltanto ai suoi studi, certi studi di astronomia, ch'erano anch'essi una prova della stranezza del suo carattere. Il babbo non si occupava di me, e la povera zia non riusciva a frenarmi, a dominarmi, a educarmi…. all'italiana. E così, i più benevoli dicevano ch'ero allevata all'inglese. anzi all'americana, con una libertà di modi e una noncuranza delle forme da far strabiliare ogni onesto e assennato borghese? Nevvero? È così? Sono esatta?

RAIMONDO sorridendo.

Press'a poco.

NICOLETTA.

Entrando nei particolari, ti raccontavano dei fatti enormi, di una impudenza inaudita. Andavo a cavallo, sola, ogni mattina, a Villa Borghese, e non arrossivo e non svenivo per la paura se dei gentlemen o degli ufficiali mi si mettevano a lato, nei viali. Anzi, chiacchieravo con loro, e, incredibile ma vero, accettavo delle sfide di corsa, nelle quali, e non per troppa bontà dei cavalieri, giungevo prima, sovente, per varie lunghezze. Te l'hanno scritto questo?

RAIMONDO.

Come sopra, accendendo una sigaretta.

Sì.

NICOLETTA.

Togliendone una dall'astuccio.

E che fumavo?

RAIMONDO.

Sì.

Le offre il fuoco

NICOLETTA.

In pubblico?

RAIMONDO.

Questo particolare non lo ricordo. Ma non ha importanza. Sono sempre meno gravi le cose che si fanno in pubblico. Spaventano di più quelle che si fanno in privato.

NICOLETTA.

Io ne ho fatta una che era un misto tra il pubblico e il privato.

RAIMONDO.

Mi metti in curiosità.

NICOLETTA.

Te l'avranno scritta anche questa. Sono andata in pallone, con un capitano del genio. La partenza fu pubblica, naturalmente; ma quando fummo lassù si era in privato.

RAIMONDO.

Questa non la sapevo.

NICOLETTA.

Hai avuto dei cattivi informatori.

RAIMONDO.

Un capitano del genio, hai detto? Come si chiamava?

NICOLETTA.

Parella.

RAIMONDO.

Un biondo, alto?

NICOLETTA.

Sì, con un naso lungo così!

RAIMONDO.

E fu un'ascensione felice?

NICOLETTA.

Felicissima. Si discese ad Anzio, dopo essere saliti a 2000 metri. Io presi il treno e tornai a Roma, lui rimase a ripiegare il pallone. Quella volta però, ho avuto un piccolo scrupolo di coscienza, di essere stata meno americana del solito. Avevo una voglia matta di salire in pallone. Allorchè mi si presentò l'occasione, l'afferrai subito, pensa! Ma quando seppi che non si poteva salire che in due, rimasi titubante. Ricordo che insistetti perchè si accettasse nella navicella anche la zia. Impossibile: ho dovuto salir sola col capitano.

Si alza.

Infine, ti avranno detto che un giorno, essendomi stato riferito che un bellimbusto sparlava di mia madre, lo andai a cercare da Aragno, e trovatolo seduto a un tavolino, con parecchi amici, gli scaraventai due ceffoni che se li ricorderà sin che campa. Lo sapevi?

RAIMONDO.

Questo sì. E lo scandalo che ne nacque.

NICOLETTA.

Nessun scandalo. I suoi amici volevano protestare, ma tutti gli altri—il caffè era zeppo così—mi fecero un'ovazione. E un vecchio senatore, molto rispettabile, mi offrì la sua carrozza e mi riaccompagnò a casa. E sai che mi disse sul portone? Se avessi trent'anni di meno, signorina, salirei dal babbo a chiedere la sua mano. Lo ringraziai, e gli risposi che se avessi avuto vent'anni di più mi sarei offerta a lui per fargli da governante. Siamo diventati amici; e quando alla Camera si prevedevano degli scandali, mi mandava i biglietti per la tribuna riservata. Sai, gli scandali parlamentari sono i soli a cui possano assistere anche le signorine.

RAIMONDO.

Però tuo padre volle trasferirsi a Milano.

NICOLETTA.

Ah! Ti hanno detto che fu per questo? Niente affatto. Fu per la zia, che a Roma non poteva vedercisi. Perchè noi si è lombardi, e a Roma ci si era andati, quando ero bambina, per un capriccio della mamma. Quando la zia fu vecchia volle tornare, e si tornò. Pel babbo, qui o là, era la stessa cosa. Per lui si trattava di trasportare un mappamondo; e le stelle ci sono anche a Milano. Poi la zia morì, morì anche papà, ed io fui raccolta da vecchi amici, molto spaventati di questa tegola che era loro piombata sul capo….

RAIMONDO.

E da cui Piero li ha liberati.

NICOLETTA.

La parola è dura….

RAIMONDO.

Scherzavo, come te.

NICOLETTA.

….ma è esatta. Fu una liberazione per quella buona gente. Piero però, nella sua lealtà, ti avrà detto che nessuno, io meno di tutti, si fece nulla per….

RAIMONDO.

Oh! non lo penso neppure! E, del resto, trovo che se ricambiavi il suo affetto, avevi bene il diritto di mostrarglielo o di lasciarglielo capire. Perchè son persuaso che per amore soltanto, non per interesse, hai accettato di diventare sua moglie.

Un breve silenzio.

Non rispondi?

NICOLETTA.

Per amore?… No, l'ho sposato senza esserne innamorata.

RAIMONDO.

Me lo dici con molta franchezza.

NICOLETTA.

Non so mentire.

RAIMONDO.

Davvero? Avresti questa sublime virtù?

NICOLETTA.

Non so mentire sui miei sentimenti. Oh, le piccole bugie necessarie, quelle…! Perdio noi donne abbiamo la necessità assoluta di dir delle piccole e qualche volta anche delle grosse bugie….

RAIMONDO.

Infatti qualcuna l'hai già detta anche a me.

NICOLETTA.

Può darsi. Non ricordo. Ma sui miei sentimenti non so mentire. Ho accolta la domanda di Piero con molta gioia, anzi con un certo orgoglio. A venticinque anni, nella mia condizione, il trovar un uomo come lui, che si accendeva sul serio per me e che mi offriva il suo nome, era, e lo capii, una fortuna, e una grande soddisfazione. Non lo amavo, ma provai per lui un grande affetto….

RAIMONDO.

Serio, quasi solenne, e insieme pauroso.

E dopo?

NICOLETTA.

Dopo?

RAIMONDO.

Adesso?

NICOLETTA.

Gli voglio molto bene.

Siede al pianoforte. Un silenzio. RAIMONDO si alza, va vicino al terrazzo, butta la sigaretta, poi ridiscende.

RAIMONDO.

Mi permetti una domanda indiscreta?

NICOLETTA.

Tutte quelle che vuoi.

RAIMONDO.

Sei mai stata innamorata?

NICOLETTA.

Mai…. Ho avuto dei flirts …. sciocchezze da ragazza….

RAIMONDO.

Dopo un breve silenzio, standole dietro, e posandole una mano su la spalla; con voce in cui è un'intima commozione rattenuta.

Cerca d'innamorarti di tuo marito.

NICOLETTA.

Senza voltarsi, e posando leggermente la mano sulla tastiera.

Non sono cose che si fanno per progetto…. E poi, perchè? Io non so se non ne sarebbe guastata la nostra esistenza. Così, io l'ho reso e lo renderò felice.

RAIMONDO.

Subito, quasi suo malgrado.

Chi sa?

NICOLETTA.

Volgendosi a lui di scatto.

Ne dubiti?

RAIMONDO.

No, ora egli è felice. È tanto innamorato! Speriamo che duri sempre.

NICOLETTA si alza.

Speriamo.

Si allontana.

RAIMONDO.

Dopo breve silenzio.

Sei veramente una donna strana.

NICOLETTA.

Perchè?

RAIMONDO.

Hai detto uno "speriamo!" Mi pare che in te dovrebbe essere qualcosa di più e di meglio di una speranza: ma desiderio, ma proponimento, ma volontà che sia.

NICOLETTA.

Son fatalista. Certo è che da parte mia farò di tutto perchè sia sempre così…. Ma….

RAIMONDO.

Ma….

NICOLETTA.

Il destino ci riserba talvolta delle brutte sorprese!

RAIMONDO.

È triste quello che dici.

NICOLETTA.

Forse. Ma è vero.

Un silenzio.

RAIMONDO.

Non dovevi uscire oggi?

NICOLETTA.

No. Perchè?

RAIMONDO.

Domando. Non vorrei trattenerti, riuscirti importuno!

NICOLETTA.

C'è un pensiero nascosto in quello che dici?

RAIMONDO.

Come puoi supporlo? No, Nicoletta, non credermi quello che non sono. Non nascondo mai un pensiero. Dico sempre quello che penso. Perchè hai potuto supporre?

NICOLETTA.

Perchè? Ebbene voglio dirtelo il perchè. Anch'io dico sempre quello che penso. Quando tu sei entrato qui dentro la prima volta, ieri l'altro, ho veduto in te un nemico.

RAIMONDO.

Un nemico? Ora non scherzi più, dici sul serio. Un nemico?

NICOLETTA.

Sì, la ragione non la so, ma è così.

RAIMONDO.

È strano.

NICOLETTA.

Ed è per questo che ho desiderato di rimanere sola con te, di parlarti, di dirti quello che ti ho detto; e di guardarti in faccia da sola a solo, e di udirti parlare, e di studiarti. Sono una donna forte, e guardo in faccia al pericolo, sempre. Sarai un amico o un nemico per me? Bada: essere nemico mio vuol dire essere nemico di Piero.

RAIMONDO.

Non ti capisco. Queste tue parole mi paiono assai strane. Non ne afferro la ragione. La si direbbe una dichiarazione di guerra. E perchè? Temi qualcosa da me? Che io mi possa mettere tra te e tuo marito? Perchè? Sei la compagna adorata dal fratello che amo. Il desiderio mio è di volerti bene…. Le tue parole mi hanno assai turbato, te lo confesso. Se fossi sospettoso le giudicherei imprudenti.

NICOLETTA.

Gli audaci sono sempre imprudenti. Ma non mi pento di aver detto quello che ho detto. Non ti pare che ora ci conosciamo meglio di mezz'ora fa? Desideri di volermi bene? Io pure lo desidero sinceramente.

Gli porge la mano.

RAIMONDO.

La prende e la tiene nella sua fissandola.

Sei una donna strana.

Poi, come spinto da un impulso improvviso, le afferra la testa, tra le mani, la fissa ancor di più, negli occhi, e, con un po' di commozione nella voce.

Che c'è qui dentro? Ti giudico giustamente, o m'inganno?

NICOLETTA.

Come mi giudichi?

RAIMONDO.

Lasciandola e scostandosi un poco.

Non posso dirtelo adesso.

Con disinvoltura un poco forzata.

Ora scappo, è tardi, e ho tante cose da fare. A domani.

NICOLETTA.

A domani.

RAIMONDO.

Si avvia per la sala da pranzo.

Farò colazione con voi.

Sulla soglia si volge, e, scherzoso.

Possibilmente senza amici…. come quelli d'oggi.

NICOLETTA.

Raggiungendolo sulla soglia.

Non ti piacciono? Me n'ero accorta.

RAIMONDO.

Sarà un sacrificio?

NICOLETTA.

No.

RAIMONDO.

Arrivederci, Nicoletta.

NICOLETTA.

Arrivederci, Raimondo.

Egli esce, ella lo segue con gli occhi. Sipario.

FINE DEL PRIMO ATTO.

ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Giulietta, Raimondo, poi Fulvia.

GIULIETTA.

Precede RAIMONDO ch'entra nella sala da pranzo col cappello in mano.

Il signore è uscito di buon'ora, come al solito. La signora è ancora nella sua camera, ma c'è la signora Giuliuzzi con lei.

RAIMONDO.

Che appare agitato, in orgasmo.

Ah! Non importa, ditele che son qui e che ho bisogno di parlarle.

GIULIETTA si avvia verso la porta di sinistra, mentre ne esce FULVIA.. GIULIETTA la lascia passare, poi entra a sinistra. FULVIA. è in abito da mattina primaverile.

FULVIA..

Oh, Raimondo, siete qui, così di buon'ora?

RAIMONDO.

Seccato, s'inchina appena.

FULVIA..

È un secolo, sono due secoli che non vi si vede. Neppure qui. Che diavolo fate?

RAIMONDO.

Con tono secco, ma educato.

I due secoli si riducono, credo, a due settimane. Nè ho cessato di venir qui. Non ebbi la fortuna d'incontrarvi, ecco tutto.

FULVIA..

Siete di cattivo umore?

RAIMONDO.

Punto.

FULVIA..

Certo è che non siete più assiduo, qui, come nei primi giorni.

RAIMONDO.

Naturalmente. Non ho l'abitudine d'importunare il prossimo. E poi sono stato fuori, due o tre volte. Da qualche giorno, infine, sono molto occupato nell'arredo del mio alloggio.

FULVIA..

Quando sarà in ordine m'inviterete a vederlo? Sono curiosa di ammirare il contenuto delle vostre venti casse congolesi.

RAIMONDO.

Quando tutto sarà in ordine.

FULVIA..

Mi avvertirete?

RAIMONDO.

Contateci.

FULVIA..

Decisamente non siete di buon umore…. Ero venuta a prendere Nicoletta per condurla al Tennis, ma quella dormigliona si è appena levata. Voi l'aspettate?

RAIMONDO.

Sì.

FULVIA..

E allora vi lascio. Quando ci vediamo?

RAIMONDO.

Presto.

FULVIA..

Davvero? Attendo un vostro biglietto per la visita al Museo.

RAIMONDO.

Attendetelo.

FULVIA..

Porgendogli la mano.

Orso!

RAIMONDO l'accompagna sino alla porta della sala da pranzo. Poi ritorna. NICOLETTA, in vestaglia, entra dalla sinistra.

SCENA SECONDA.

Nicoletta, Raimondo.

NICOLETTA.

Buongiorno. Cerchi di me?

RAIMONDO.

Sì.

NICOLETTA.

Vedendo il suo fare e l'aspetto del suo volto.

Così di buon'ora? Ti occorre qualcosa?

RAIMONDO torna a guardare nella sala da pranzo, come per assicurarsi che non c'è nessuno. Poi viene alla porta di sinistra, che NICOLETTA lasciò aperta, e la chiude con cura.

NICOLETTA.

Che ha seguito quest'azione con un po' di stupore e anche di vago timore.

Che c'è?

RAIMONDO.

Debbo parlarti. Ti prego, siediti.

Ella siede sul divano. Egli rimane in piedi appoggiandosi con la schiena al pianoforte, vicino a lei, così da dominarla con lo sguardo.

RAIMONDO.

Dopo un attimo d'attesa, con voce bassa, calmo e reciso.

Tu inganni tuo marito. Hai un amante.

NICOLETTA sorge in piedi, fremente, ma con uno sforzo si domina e fissa RAIMONDO.

RAIMONDO.

Neghi?

NICOLETTA.

Ha un attimo di titubanza. Poi, in tono secco, quasi di sfida.

No!!

RAIMONDO piega la testa sul petto, come colpito da una mazzata. NICOLETTA indietreggia e si allontana un poco da lui.

NICOLETTA sordamente.

Se è un tranello che mi hai teso, ti è perfettamente riuscito.

Un breve silenzio.

Hai altro da dirmi?

RAIMONDO.

Doloroso, ma sempre deciso.

Non è un tranello, no. Ho le prove.

NICOLETTA.

Ah!

RAIMONDO.

Ma avrei preferito che tu negassi, che tentassi almeno di negare. Questa tua impudenza mi atterrisce.

NICOLETTA.

Mi pare di averti già detto che non so mentire.

RAIMONDO.

Menti con tuo marito, pertanto.

NICOLETTA.

Ha un fremito d'ira, sta per rispondere, invece gli volta le spalle, e mormora fra i denti.

Sciocco!

RAIMONDO.

Hai detto?

NICOLETTA.

Niente. Che hai da dirmi, ancora?

RAIMONDO.

Che ho da dirti?

Si avvicina a lei e l'afferra al polso.

NICOLETTA svincolandosi.

Non mi toccare!

RAIMONDO.

Si direbbe che vuoi sfidarmi! Hai già preso il tuo partito? Vuoi giocare d'audacia? E se accettassi la sfida? Se dicessi tutto a Piero?

NICOLETTA sicura.

Non lo farai.

RAIMONDO.

Colpito, suo malgrado, ritraendosi d'un passo, e come assalito da un accasciamento improvviso.

È vero. Non lo farò. Ma se lo indovinasse? Se lo sapesse da altri?

NICOLETTA.

Sarà affar mio il difendermi.

RAIMONDO.

Ed è questo tutto ciò che trovi da dirmi?!

NICOLETTA.

Non altro per ora.

RAIMONDO.

Ma che donna sei? Che malvagia, che ignobile creatura ha dunque assunto il mio nome?

NICOLETTA fiera, sdegnosa.

Ti prego! Avevi la grande notizia da darmi: che mi hai spiata, che hai comperato un portinaio o un servo…. Me l'hai data. Ti sei cavato questo gusto abbietto e crudele. Sta bene. Ora basta. E non m'insultare. Sono in casa mia.

RAIMONDO.

Sei in casa di mio fratello.

NICOLETTA.

Con audacia sempre crescente.

Sono in casa mia!

RAIMONDO sta per prorompere. Il suo impulso è di precipitarsi su di lei, ma si frena e si vince. Convulso, fremente, tituba ancora un istante, poi si risolve: prende il cappello che aveva posato su una sedia e si avvia per uscire. NICOLETTA, che lo spiava con la coda dell'occhio, vedendolo avviarsi, ha ad un tratto una rapida visione paurosa di ciò che può accadere. Corre alla porta di fondo e lo richiama.

NICOLETTA.

Di'…. scusa…. una parola ancora.

RAIMONDO, ch'era già scomparso, ritorna e si ferma su la soglia della sala da pranzo. NICOLETTA è ridiscesa verso destra e gli volge le spalle.

NICOLETTA.

Sforzandosi di assumere un tono d'indifferenza, ma con un gran orgasmo nella voce.

Se non sbaglio, dovevi far colazione qui, oggi. Non verrai?

RAIMONDO.

Ah no!

NICOLETTA.

Allora…. avvertirai mio marito? Gli manderai un biglietto?

RAIMONDO.

Non so…. sì, gli manderò un biglietto.

NICOLETTA.

Per oggi. E domani? E domani l'altro? E…. sempre? Come spiegherai, a lui, di non mettere più piede qui dentro, di non aver più rapporti con me?… Perchè suppongo che….

RAIMONDO.

Naturalmente.

NICOLETTA.

E allora?… Sai, te lo domando unicamente per metterci d'accordo, se lo credi necessario…. per non contraddirci.

RAIMONDO è rimasto sulla soglia. Non risponde. Si copre il viso colle mani, come per raccogliersi, come se gli girasse la testa e instintivamente volesse fermarla.

NICOLETTA.

Allora?

RAIMONDO doloroso.

Non so, non so. Bisogna che ci pensi. Non ho la…. vostra calma…. io, non ho un cuore di bronzo. Penserò al da farsi…. Mi fingerò ammalato…. poi lascierò Milano, per sempre…. Non so…. Oggi non sono in grado di decidere…. di provvedere….

Un silenzio.

NICOLETTA.

Troverai modo di avvertirmi…. se lo crederai opportuno.

Si siede a destra.

RAIMONDO.

Vi avvertirò, siate tranquilla.

Si avvia per uscire, ma fatti due passi, si arresta, si volge, ridiscende.

No, no! Bisogna decidere oggi. È urgente anzi. E poi, meglio uscirne, meglio finirla subito tra noi due.

Non può reggersi, e cade a sedere su una sedia, un poco discosto da NICOLETTA.

Ci siamo detti reciprocamente il nostro odio e il nostro disprezzo….

Moto di NICOLETTA.

Sì, sì, lo so: voi mi disprezzate e mi odiate per lo meno quanto io odio e disprezzo voi. È intesa. Dopo ciò, dopo quello che ho saputo, nessun rapporto è più possibile tra noi. Voi, forse, sapreste fingere, dissimulare e sopportare bene o male la mia presenza. Io no. Perchè niente vi scusa ai miei occhi. Neppure una passione fatale, invincibile. Voi non amate quell'uomo più che non amiate me, o Piero, o il primo che passi per la via. E avete un marito che vi adora, che sposandovi vi ha tolta dalla miseria e vi ha evitato di cadere nell'abbiezione a cui vi chiamava la vostra sorte. Vizio, dunque, vizio e non altro, del più sudicio e del più abbietto….

NICOLETTA.

Si alza sdegnosa, fremente.

RAIMONDO.

Scusate, è vero, non tocca a me il giudicarvi. Vi prego di sedervi e di ascoltarmi ancora per due minuti. Non pronuncierò più una parola che non possiate ascoltare tranquillamente.

Breve silenzio.

Siamo, dunque, due estranei da oggi. Ma siamo legati entrambi ad un essere che amo, al mio unico fratello, all'ultimo che mi rimane della mia famiglia. E bisogna evitare che egli conosca la sua sventura. Se dovrà conoscerla, e la sua vita ne sarà spezzata, distrutta, che non lo sia per opera mia nè per la vostra; in ogni modo che la catastrofe si compia il più tardi possibile. È giusto?

NICOLETTA china la testa, e la tiene chinata, ormai sul punto d'essere vinta.

S'io non verrò più qui, rimanendo a Milano, come giustificarmi? Per qualche giorno troverò dei pretesti. Poi me ne andrò. Non c'è altro mezzo. Per me, vivere qui o a Torino o a Roma, è indifferente. Andrò a stabilirmi a Torino.

NICOLETTA.

A voce bassa, in cui è una commozione che cerca di vincere.

Come giustificherete questa risoluzione improvvisa? Piero troverà assurdo che non vogliate vivere dove è lui. Avete affittato un alloggio otto giorni fa; siete ora occupato ad arredarlo….

RAIMONDO.

Cercherò il pretesto migliore. Saprò trovarlo. Fra un paio di giorni partirò d'improvviso, dicendogli che son chiamato per un affare. Prolungherò la mia assenza…. poi, poi troverò…. non saprei dire adesso; ma sento che saprò trovare qualcosa che gli parrà molto convincente….

Breve silenzio.

D'altronde è tutto ciò che posso fare, per non fargli e per non farvi del male…. E cercherò di farlo nel miglior modo.

Si alza.

E non ho altro da dirvi.

Breve silenzio. Egli sta per un momento indeciso, osservandola, scrutandola, mentre ella pure si è alzata e gli volta le spalle. Ella si trova accanto alla finestra guarda attraverso i vetri e tormenta nervosamente con una mano la cortina.

Questo mio disegno vi va?

NICOLETTA.

Senza volgersi, a voce bassa in cui non è più nè asprezza, nè disdegno.

Siete voi che ha il diritto di decidere.

RAIMONDO.

Permettetemi di dirvi ancora una cosa. Mi preme che giudichiate la mia condotta esattamente. Sono un soldato…. e poi, che conta? Soldato o no, sono un uomo d'onore e di coscienza. Se Pietro fosse un altr'uomo, avesse una fibra diversa, e se soprattutto non vi amasse come vi ama, di un amore pazzo ch'è passione frenetica dell'anima e dei sensi, io gli avrei rivelata subito la sua sventura e la sua vergogna. Geloso del suo onore come del mio; geloso del nome integerrimo che portiamo, avrei voluto ed imposto che si lavasse dell'onta che lo ricopre, che si togliesse al ridicolo che lo circonda, e che vi punisse scacciandovi da questa casa. Ma Piero non è un forte che nel suo lavoro. Fuori di lì, è una povera creatura, soggiogata da questa passione che si direbbe ingigantisca ogni giorno invece di calmarsi. Ho avuto paura di ucciderlo. Perciò ho taciuto, e tacerò sin che potrò….

NICOLETTA si volge di scatto e lo interroga con gli occhi.

Dipenderà un poco, anzi molto, anche da voi. Non vi chiedo quello che farete, i vostri proponimenti, le vostre intenzioni. Vi ho detto ciò che farò io. Ma vi avverto che starò a vedere ciò che farete voi. Vicino o lontano io saprò, ve ne avverto.

Breve silenzio.

È inutile che io scriva per scusarmi, oggi. Forse non saprei. Ditegli che fui qui ad avvertirvi. Siamo intesi?

NICOLETTA, un poco commossa, si volge a lui e accenna di sì.

Addio.

Si avvia per uscire.

NICOLETTA.

D'improvviso, umile.

Raimondo?!

Questi si ferma, un poco sorpreso, si volge, la guarda; ella china gli occhi e sussurra.

Grazie.

RAIMONDO.

Di che?

NICOLETTA.

Di quel che fate.

RAIMONDO.

Non lo faccio per voi.

NICOLETTA.

Lo so. Ma non incrudelite, adesso!

Sincera, con slancio.

Oh se tu non mi avessi assalita, dianzi, come hai fatto, io mi sarei gettata ai tuoi piedi e ti avrei chiesto pietosamente di fare ciò che tu spontaneamente hai deciso di fare. Sono senza scuse, lo so. Non fu per vizio, come hai detto, no…. Non so, non so…. fu leggerezza, noia, il troppo amore di mio marito….

RAIMONDO.

Oh!

NICOLETTA.

Sì, sì, è orribile, è assurdo, lo so…. ma è così! Le donne come me bisogna non amarle troppo, o bisogna non dimostrarglielo…. Non mi difendo, non mi scuso…. E non ti chiedo perdono, bada!… E non faccio proponimenti, nè giuramenti, nè promesse…. Non crederesti. Voglio dirti questo: che mi preoccupo di Piero, quanto te, più di te. E non per interesse mio, te lo giuro. Se fossi una malvagia, un'abbietta creatura, non temerei di nulla. O mi perdonerebbe per non perdermi, perchè non può vivere senza di me, oppure…. oppure me ne andrei per la mia strada, quella che tu dici mi era riserbata. No, mi preoccupo di lui, e solo di lui. Ebbene…. ebbene….

Una pausa, si prende il capo tra le mani guardandosi d'intorno.

Oh Dio, mi smarrisco…. non so più…. non so più quello che volevo dire…. Ah! questo; temo che la tua partenza, per quanto tu faccia e dica, possa essere causa di sventura. Che egli non riesca a spiegarla e giustificarla…. comprendi? Di', comprendi?

RAIMONDO.

Che l'ha ascoltata, immobile, impassibile, dubbioso.

Ebbene?

NICOLETTA.

Ebbene, ti chiedo…. te lo chiedo per lui…. se non puoi e non vuoi rimanere….

RAIMONDO.

A Milano? E venir qui? E vederti?

NICOLETTA.

Sì.

RAIMONDO.

Impossibile.

NICOLETTA.

Senti: io metto la mia vita nelle tue mani. Sarai il padrone. Sarai il marito, il vero marito; Piero non è, non sa essere, non può essere che un amante: ed è ciò che m'ha perduta. Guarda: a saper fare si fa di me tutto quello che si vuole; in fondo, sono buona…. sono anche onesta…. non sorridere…. ti dico la verità: sono forte e buona. Dianzi, da principio, mi hai assalita, e mi son rivoltata, e in quel momento non so quello che avrei fatto. Se fosse entrato Piero, ti avrei denunziato, denunziandomi, per mettervi di fronte, con la speranza che il suo amore e la sua fede fossero più forti, e ti scacciasse per vendicarmi. Poi tutto è svanito. Hai detto delle parole buone, per lui, non per me, ti ho visto così commosso, così affranto, così disperato….

Brevissimo silenzio.

Non so più…. non so più dire…. decidi tu….

Cade affranta su una sedia.

RAIMONDO.

Dopo un breve silenzio, rimanendo ritto, immobile.

Sai che cosa mi chiedi? di affrontare il ridicolo che si riverbera anche su di me, vivendo qui, dove tutti sanno la vergogna che ricopre il nostro nome…. E poi? E poi? Se tu fossi sincera!…

NICOLETTA.

Rialzando la testa fieramente.

Ah!

RAIMONDO.

Se si potesse crederti!

NICOLETTA.

Si alza, e, dolorosa.

Più! Più! Più! Taci, ti prego…. Se mi son tanto umiliata, io! io! Ma tu hai il diritto di non credermi. Parti, parti! Sarà ciò che Dio vorrà.

Si ode la suoneria del telefono che è nella sala da pranzo.

NICOLETTA.

Con un sussulto.

Questi è Piero, senza dubbio.

Di nuovo la suoneria. Si vede GIULIETTA che vien dall'interno e si dirige all'apparecchio.

Ci vado io, Giulietta.

Va al telefono, GIULIETTA se ne va donde è venuta. Il telefono è posto alla parete che divide la sala da pranzo dal salotto, a destra della porta di comunicazione; cosicchè l'apparecchio non si vede, ma il pubblico vede NICOLETTA, quando sta a telefonare, col cornetto all'orecchio.

NICOLETTA telefonando.

Sei tu Piero?

Silenzio breve.

Sì, son io. Non riconosci la mia voce? Io riconosco la tua, e mi pare turbata. Che c'è? Che hai?…

Silenzio brevissimo.

Come, niente? Perchè mi hai chiamata?

Breve silenzio.

Sì.

Brevissimo silenzio.

Non sono uscita. Da dove telefoni? Dall'officina?

Silenzio un poco più lungo.

Non capisco.

Silenzio breve.

Posto pubblico? Dove?

Silenzio breve.

Ah!

Silenzio un po' più lungo.

Raimondo? è qui….

Movimento di RAIMONDO.

È venuto ad avvertirmi….

RAIMONDO.

Prontissimo, facendo un passo verso di lei.

Non dite.

NICOLETTA.

NICOLETTA non ebbe il tempo di udire le parole di RAIMONDO, getta un piccolo grido, e prosegue, affannosa, spaventata al telefono.

Un duello?!

RAIMONDO ha un gesto d'ira, di dispetto e si ritrae.

Hai detto un duello?

Brevissimo silenzio.

No, non sapevo, non….

Silenzio breve.

Che non veniva a colazione. Con chi?

Silenzio brevissimo.

Non sai? Ma…. vieni, subito…. prendi una carrozza.

Abbandona il cornetto ed entra agitatissima in salotto.

Vi battete?!… Con…. lui?… È lo scandalo che volete? È lo scandalo? Ora che cosa direte a Piero? Con chi vi battete, e perchè? E non me lo dicevate! E non mi avvertivate di nulla. E i vostri progetti di poc'anzi? Tacere, andarvene via. E vi battete? Avete sentito questo bisogno, questa necessità di vendicare il…. vostro onore…. Ah! è terribile, è mostruoso! Ora egli viene, fra cinque minuti sarà qui. Che cosa gli direte?

RAIMONDO freddo, calmo.

Vi prego, cercate di essere più calma.

NICOLETTA.

Cade spossata su una sedia.

Ah!

RAIMONDO.

Dimostratevi la donna forte che dite di essere. Perchè…. e per chi vi affannate tanto adesso?

NICOLETTA.

Per chi?…

Sorge in piedi e, decisa, con forza.

Ebbene, per me, per me sola. Ciò che mi esaspera e che mi fa fremere d'ira, non di paura, è questa odiosa ed orribile situazione in cui voi mi ponete. Non posso agire, non posso lottare, non posso assalire o difendermi. Non posso far nulla. Ma era meglio che diceste tutto a mio marito! L'opera era più semplice, più spiccia e più completa; compievate con più sincerità il vostro…. dovere! Ed io avrei avuto il nemico di fronte, ed avrei preso il mio partito. Ma così? che faccio, io? Nulla. Non posso far nulla. Volete che mi accusi dinanzi a lui, ora, quando entrerà?

RAIMONDO.

Ancora una volta, vi prego di calmarvi. Saprò giustificare questo duello come la mia partenza. Non temete.

NICOLETTA.

Io non temo. È questa tortura che mi esaspera, questo dover vivere nell'incertezza, nell'attesa febbrile di ciò che può accadere, è l'ignoto che ho dinanzi a me. Perchè questo duello? A che scopo? Ah! Come non conoscete la donna! Non avete capito che può giovare più a lui, a quell'uomo, che alla vostra vendetta?

RAIMONDO.

Dopo un breve silenzio.

Bisogna rendervi giustizia: siete di una sincerità…. spaventosa! Ma, vedete, ieri non ero in grado di far della psicologia, io! Quando vi ho veduta uscire dalla sua casa….

NICOLETTA.

Ah! mi avete spiata!

Cade a sedere e lo ascolta fissa.

RAIMONDO.

Eh! Che volete, fu più forte di me; bisognava che sapessi! Mi è salito il sangue al cervello, e fui indeciso per un momento, se affrontar voi o lui. Ma siete una donna, e siete la moglie di mio fratello. E ho affrontato lui.

NICOLETTA.

E vi battete?! Oggi?!

RAIMONDO.

Oggi, domani, non so. Attendo notizie. Forse, se avessi saputo dominarmi e riflettere, chi sa, non lo avrei fatto. Avrei capito, forse, che commetto una sciocchezza, per lo meno una cosa inutile. Ma col sangue alla testa non si ragiona. Del resto le cose furono combinate bene ed in fretta, tra noi due. Neppure i padrini sanno, per lo meno ufficialmente, la ragione dello scontro. La ragione è un alterco, uno scambio di parole grosse per una ragione futile.

Breve silenzio.

Ora che ci sono però, spero di ammazzarlo.

NICOLETTA.

Volgendogli le spalle, con disprezzo.

E voi sperate che Piero vi crederà!

RAIMONDO.

Perchè no? Se non dubita di nulla….

NICOLETTA.

Io non so….

RAIMONDO.

Come?!

NICOLETTA.

Si alza nervosa, agitata.

Non so, non so più nulla, non capisco più nulla….

Si arresta in ascolto.

Una carrozza.

Corre sul terrazzo, guarda in istrada e ritorna rapidamente.

È lui.

Si avvia per uscire a sinistra.

RAIMONDO.

Ve ne andate?!

NICOLETTA.

Ah, sì! Non lo vedrò se non dopo che avrà parlato con voi.

Sulla soglia si ferma.

Anzi, siccome potrebbe chiamarmi, volermi vedere…. e io non voglio, così esco.

RAIMONDO.

Uscite?!

NICOLETTA.

Sì.

RAIMONDO.

Che gli dirò di voi?

NICOLETTA.

Niente: che sono nella mia camera.

RAIMONDO.

Ma verrà a cercarvi….

NICOLETTA.

Non vi preoccupate. Penso io.

RAIMONDO.

E dove andate?

NICOLETTA.

Da un'amica, da Fulvia….

Si volge a lui, lo guarda un momento; e poi:

Oh! vi leggo dentro! No, v'ingannate. Non andrò dove supponete…. Mi conoscete male!

Esce per la sinistra.

SCENA TERZA.

Piero, Raimondo, poi Giulietta.

PIERO.

Viene dalla sala da pranzo, affrettato.

Sei qui, Raimondo?

RAIMONDO.

Sforzandosi di apparire ilare e disinvolto.

Son qui.

PIERO.

Ti batti?

RAIMONDO.

Mi batto! E poi? Che gran guaio? C'è di che mettersi in ansia?

PIERO.

Col Pucci?…

Poi subito, e nella domanda è, sebbene dissimulato, il tono di chi indaga.

Perchè?

RAIMONDO.

Chi ti diede la notizia ti avrà detto la ragione.

PIERO.

Salvadori, che ho incontrato sotto i portici e che era imperfettamente informato. Uno dei padrini del Pucci è un avvocato, molto amico suo, che gli aveva detto in confidenza….

RAIMONDO.

Che cosa?

PIERO.

Del duello, per un alterco.

RAIMONDO.

Ecco.

PIERO.

Salvadori credeva che io sapessi. Perche non mi hai avvertito?

RAIMONDO.

È cosa di ieri sera. Oggi ti avrei avvertito. Son venuto qui ora, per dire che non farei colazione con voi. I miei padrini mi hanno dato convegno per mezzodì.

PIERO.

Chi sono?

RAIMONDO.

Due colleghi, Ridolfi e d'Ajala.

PIERO.

Ed io?

RAIMONDO.

Tu?

PIERO.

Non potevo esserci io ad assisterti?

RAIMONDO.

No, Piero. Non saresti un buon padrino, almeno per me. Poi non è nell'uso. Meglio due militari. Sanno sbrigare le cose in fretta. Dicevo, dunque, che se ti avessi trovato in casa ti avrei data la…. grande notizia, altrimenti contavo di scriverti o di telefonarti.

PIERO.

E non avevi detto niente neppure a Nicoletta?

RAIMONDO.

Naturalmente. Le donne si spaventano per così poco! Anche tu però mi pare….

PIERO.

Ah! Raimondo, sono in un'ansia terribile.

RAIMONDO abbracciandolo.

Ma sei matto da legare! Non sai che buffa cosa sia un duello?

PIERO.

Talvolta ci si rimane.

RAIMONDO.

In uno su mille, su diecimila, e, ancora, è una disgrazia, un caso fortuito come se ti casca un comignolo sul capo.

PIERO.

Ma, insomma, perchè ti batti?

Siede.

RAIMONDO.

Se dovessi dirtelo esattamente, non lo saprei. Ho dei ricordi confusi. So che è per una sciocchezza. Una discussione, fattasi vivace ad un tratto….

PIERO.

Dove?

RAIMONDO.

Alla Scala.

PIERO.

Ieri sera?

RAIMONDO.

Sì, nel ridotto.

PIERO.

C'era gente, naturalmente?

RAIMONDO.

Non un cane. Durante l'atto. Il ridotto era deserto.

PIERO.

Discussione su che?

RAIMONDO.

Ma…. sulla guerra, pensa! Sul militarismo, sui guerrafondai…. Posa un poco a socialista, quel Pucci, eh? Non lo sapevo. Insomma una stupidaggine.

PIERO.

E per una stupidaggine!… Non si poteva accomodare la cosa? Con delle spiegazioni?

RAIMONDO.

Eh, no! Senza accorgercene siamo venuti a delle parole grosse. Credo di avergli dato dell'imbecille, e del cretino…. non so bene. Già, te lo confesso, non mi è mai stato simpatico. Poi, forse, ieri sera ero di cattivo umore…. E infine, è curiosa, da che non sono più militare son diventato militarista e sento di più adesso lo spirito di corpo che allorchè vestivo l'uniforme….

Si alza per togliersi dalla tortura ed andarsene.

PIERO.

Alzandosi e seguendolo.

Ma dimmi, condizioni lievi nevvero?

RAIMONDO.

Sì…. credo. Ho data piena facoltà ai miei testimoni.

PIERO.

Spero che avranno un po' di buon senso. Ma dei militari…. quelli non gli par vero….

RAIMONDO.

Hei! Non dirne male, o mi batto anche con te….

PIERO.

Hai voglia di scherzare?

RAIMONDO.

Ma sicuro, vuoi che mi disperi?

Breve silenzio. RAIMONDO cerca il suo cappello. PIERO è rimasto meditabondo.

RAIMONDO.

Arrivederci.

PIERO senza udirlo.

Mi secca molto anche perchè il Pucci è un amico nostro e viene per casa….

RAIMONDO.

Che fa? Mi è capitata con lui, poteva capitarmi con chiunque altro….

PIERO.

Sì…. ma è una complicazione…. E, dimmi, naturalmente, vi stringerete la mano, dopo?

RAIMONDO.

Non so…. sono formalità che stabiliscono i padrini.

PIERO.

Questa non è una formalità. Quando un duello si fa pro forma, non per ragioni gravi….

RAIMONDO sulle spine.

Insomma non so, Piero, non posso dirti, non so nulla, non ho ancora veduto i miei secondi. Arrivederci.

PIERO.

Dove vai?

RAIMONDO.

Ho qualche faccenda da sbrigare, e a mezzodì ho convegno….

PIERO.

Sono le undici…. Ti accompagno. Avverto mia moglie.

Si avvia.

RAIMONDO.

Ma no, lascia. Dove vuoi accompagnarmi?

PIERO.

Dove andrai. Mi è indifferente.

RAIMONDO.

Lascia tranquilla tua moglie. L'hai spaventata.

PIERO si volge.

Spaventata?

RAIMONDO.

Ma sì, era inutile dirle….

PIERO.

Ma io credevo che glielo avessi detto tu….

RAIMONDO.

Bene, ora lasciala quieta.

PIERO.

Ma no.

Entra a sinistra, chiamando.

Nicoletta?!

Di dentro.

Nicoletta?!

RAIMONDO, solo, ha un muto scoppio d'ira e di disgusto. Si torce le mani; poi senza sapere quello che fa afferra una statuina che è sul tavolino e la spezza tra le dita.

PIERO rientrando.

Non c'è! Uscita?! Ti ha detto che usciva?

RAIMONDO.

No…. ma era un po' turbata. Sai le donne…. quando udì che salivi, entrò nella sua camera per lasciarci soli…. supponeva forse che avessimo qualcosa da dirci….

PIERO.

Con agitazione crescente, va nella sala da pranzo e chiama.

Giulietta? Giulietta?

A GIULIETTA che si presenta.

La signora è uscita?

GIULIETTA.

Sissignore. E mi ha lasciato questo biglietto, da darle quando il signore avesse chiesto di lei.

Porge una lettera chiusa.

PIERO la prende.

Bene.

GIULIETTA se ne va.

PIERO.

Interroga RAIMONDO collo sguardo.

Che vuol dire?

RAIMONDO.

Oh Dio, leggi! Ti dirà dove è andata. Ha temuto, a venir qui, d'importunarci, Sembri un ragazzo, tutto t'impressiona!

PIERO.

Apre, fa per leggere, ma la vista gli si oscura, e dà la lettera a RAIMONDO.

Leggi tu.

Cade a sedere.

RAIMONDO legge.

"La notizia che mi hai data, così d'improvviso….

PIERO.

Comincia così?

RAIMONDO.

Sì, perchè?

PIERO.

Non c'è un "Caro Piero?"

RAIMONDO.

No. Ah! Ma sei straordinario! Due righe buttate giù col lapis…. non è una lettera….

PIERO.

Continua.

RAIMONDO legge.

"…. mi ha proprio turbata. Capisco che tu vorrai stare con tuo fratello, e poichè egli non può far colazione con noi, accompagnalo. Ma anch'io non posso star sola. Sono nervosa. Approfitto d'un invito di Fulvia e vado da lei. Appena hai notizie, mandamele o, meglio, vieni tu stesso a portarmele. Sono inquietissima".

Ripiega il foglietto e lo butta sul tavolino.

PIERO.

Si alza, si avvicina al tavolino per riprendervi la lettera e vede la statuina spezzata.

Chi ha rotto questo?

RAIMONDO.

Io. Scusa, dianzi, mi sono appoggiato e senza accorgermene….

PIERO.

Riprende la lettera, la scorre, rimane un momento pensieroso.

Nicoletta sa con chi ti batti?

RAIMONDO.

Colpito, ma dissimulato.

Non gliel'hai detto tu al telefono?

PIERO.

Riponendosi in tasca la lettera.

No. Quando ho capito che neppure sapeva del duello, m'interruppi. Anzi le dissi che non lo sapevo.

Breve silenzio.

Dunque sa, o non sa?

RAIMONDO.

Ma…. sì, lo sa.

PIERO.

Allora glielo hai detto tu?

RAIMONDO.

Glielo avrò detto io…. cioè, ho creduto che tu glielo avessi detto, e l'ho confermato…. probabilmente…. Non ricordo…. Ma che importa?

PIERO non risponde. Va ad una piccola tavola, che è al fondo e sulla quale è l'occorrente per scrivere. Vi si siede e scrive affrettato. RAIMONDO segue quest'azione, attento, senza capire, o piuttosto, con un vago terrore di capir troppo. PIERO chiude il foglietto in una busta, e preme il bottone elettrico ch'è alla parete, alla portata della sua mano. Poi scrive l'indirizzo. GIULIETTA viene dalla sala da pranzo.

PIERO alzandosi.

La signora è in casa della signora Fulvia. Andate là subito e portatele questa lettera.

GIULIETTA prende la lettera e si avvia.

PIERO.

Prendete il tram, o una carrozza, per far più presto.

GIULIETTA.

Vado più in fretta a piedi. È così vicino!

Esce.

RAIMONDO.

Che le hai scritto?

PIERO.

Che torni a casa subito.

È inquieto, agitato, cammina su e giù nervoso.

RAIMONDO.

Perchè?

PIERO.

Perchè preferisco che sia in casa…. ma, soprattutto, voglio assicurarmi che sia là.

RAIMONDO.

Come, che sia là?

Si lascia cadere su una poltrona a destra, non reggendosi più.

Se te lo ha scritto….

PIERO.

Non so…. non so….

Seguita a camminare in preda ad un orgasmo crescente. Toglie di tasca il biglietto di NICOLETTA, lo scorre un'altra volta, poi con un moto concitato e rabbioso lo accartoccia, e lo butta in un canto. Poi riprende a camminare. Va sul terrazzo, ne torna.

RAIMONDO.

che lo ha sempre seguíto con gli occhi, dopo un silenzio ansioso.

Piero?!

PIERO.

che si trova, a questo punto, sulla soglia della sala da pranzo, si ferma, si volge, guarda RAIMONDO per un attimo, poi d'improvviso, viene a lui rapidamente, si curva, gli prende il capo tra le mani, lo bacia due o tre volte affannosamente, poi prorompe in uno spasimo acuto.

Raimondo, tu fai ciò che avrei dovuto far io, e non ho fatto mai, perchè…. perchè sono un vigliacco!

RAIMONDO.

Sorge in piedi e gli afferra le mani.

Piero?!

PIERO.

Oh! Non la paura del duello, o dello scandalo, no, ma la paura di perderla, la necessità, dopo, di separarmi da lei!

Si svincola e si copre la faccia colle mani.

Sono un essere ignobile, abbietto!

RAIMONDO.

Piero, tu impazzisci!

PIERO.

No, no, non impazzisco. Impazzirò, forse, o mi ucciderò, ma ora sono sanissimo.

Gli posa le mani sulle spalle e gli dice netto, sul viso, con voce strozzata.

Io sapevo, io so quello che sai tu, e tacevo. Tacevo, capisci, perchè parlare ed agire era a prezzo della vita; perchè, dopo, non avrei potuto vivere senza di lei…. Schiaffeggiami, insultami, sputami in faccia! Perchè non lo fai? Di', perchè non lo fai, tu che ne hai il diritto, anzi, il dovere? Di', perchè non lo fai?

RAIMONDO.

Tu sai quello che so io? Ma che cos'è che so io? Che cosa supponi? Quali pazzie, quali atrocità ti sei ficcate in testa, così tutto ad un tratto? Dimmi, che cos'è che sai, che credi di sapere?

PIERO.

Tutto…! Cioè, no, tutto no, perchè non ho mai voluto sapere. Io fui come lo struzzo, che nasconde la testa nella sabbia, per non vedere il pericolo. E non ho una prova, e non ho un documento. Ma che importa? So! So perchè ti batti, e che ti batti in vece mia, e mi disprezzi!

RAIMONDO.

No, io ti compiango, perchè ancora una volta ti dico che mi sembri impazzito.

PIERO.

Cade a sedere sul divano.

Ah, finiamola, Raimondo. Non capisci che ormai è inutile il fingere! C'ingannavamo a vicenda, io per paura e per vergogna, tu per pietà…. Ora basta. Ti ho detta la verità. Puoi dirla anche tu.

RAIMONDO.

La verità?…

Mutando tono, come chi si decide a confessare.

Ebbene, la verità è questa: ho visto, ho creduto di vedere che il Pucci faceva la corte a tua moglie, insidiava alla tua pace e al tuo onore, allora ho scelto il primo pretesto per dargli una lezioncina e togliertelo dai piedi. Questo è tutto.

PIERO.

Ciò che sarebbe stato inutile da parte tua, se tu avessi veduto che mia moglie respingeva quella corte, perchè onesta, o perchè innamorata di suo marito. Invece….

RAIMONDO.

Invece…. invece…. io non mi sono preoccupato di tua moglie e de' suoi sentimenti. Io non sono di quelli che ragionano molto, che discutono a lungo. Veggo un pericolo, e lo tolgo di mezzo. Oggi era costui, domani poteva essere un altro. Ho pensato che fosse utile il dare un esempio….

PIERO.

E poichè non lo davo io!…

RAIMONDO.

Tu…. tu sei innamorato, fiducioso e cieco come tutti gli innamorati…. Perchè ti avrei dato un sospetto e aperto una ferita? A che scopo? Io mi levo un capriccio, e ho il diritto di levarmelo. Non avevo quello di ferirti, di attentare alla tua pace, per un sospetto mio, per un'impressione che poteva essere errata, senza una sola prova nelle mani….

PIERO.

E mentisci, ancora, per pietà. Le prove tu le hai!

RAIMONDO.

Le prove di che?

PIERO.

Del suo tradimento e della mia vergogna…. Taci, taci, non mentir più, povero Raimondo! Non sei un ragazzo, sei un uomo d'onore, e non avresti agito così, senza prove. Tu hai quelle che avrei potuto procurarmi io stesso, e molto facilmente, se lo avessi voluto. Non avevo che da intercettar delle lettere, che da licenziare una cameriera per farla cantare, o da seguire le indicazioni precise, minuziose, che mi fornivano gli anonimi….

RAIMONDO.

Ma che dici? ma che dici?!

PIERO.

La verità, la verità lurida e oscena! La incredibile verità.

RAIMONDO.

Lo fissa per un istante. Poi

No, davvero, la mia mente si smarrisce. Tu avevi dei sospetti, ricevevi delle denunzie, e tacevi, e non cercavi di appurare la verità, e vivevi nell'incertezza, e…. continuavi ad amare, ad idolatrare tua moglie?… Ma…. è possibile?

PIERO.

È così. Un po' m'illudevo, un po' mi rodevo e mi martoriavo…. ma finivo sempre col volgere ogni cosa a mio profitto, a profitto del mio amore e della mia paura, Le apparenze ingannano—mi dicevo….—Le denunzie anonime sono vendette ignobili, sfoghi d'invidia o semplici passatempi della malvagità umana. E la paura di scoprire una verità dolorosa mi tratteneva, mi legava, m'imprigionava. Era da morire, in certi momenti, ma non era la morte. Cercare, indagare, poteva essere la morte. Io non volevo morire; io volevo vivere per lei, per i suoi baci, per le sue carezze, disperatamente, vigliaccamente!

RAIMONDO getta un urlo di sorpresa, di disgusto, levando le braccia al cielo, e va verso il fondo, come per non vederlo, per non udirlo più.

PIERO doloroso.

Ti faccio schifo?

RAIMONDO ritornando.

No, mi fai pietà.

Un breve silenzio, dà una occhiata al suo orologio e ha un gesto di impazienza e di dispetto, come a significare che dovrebbe andarsene e che qualcosa lo trattiene.

E poi, in ogni modo c'è qualcosa che non riesco a comprendere. Non sono un profondo psicologo, e non fui mai innamorato, per lo meno come lo sei tu, in quel tuo stranissimo modo; ma mi pare che un grande amore richieda imperiosamente due cose: il ricambio e l'esclusività del possesso. Il dubbio soltanto, un sospetto pur vago, che la donna amata non ci ricambi o si divide con altri, dovrebbe….

PIERO.

Uccidere l'amore?

RAIMONDO.

Eh, no! Siamo dei vigliacchi, e so che talvolta un tradimento c'innamora di più. Ma avrebbe dovuto sospingerti inesorabilmente a scoprire la verità e, scopertala, se c'era una verità da scoprire, importi d'agire. Io non ti parlo di dignità, di onore, di orgoglio, di amor proprio offeso. Io capirei che se tu avessi scoperto un amante a tua moglie, tu l'avessi soppresso, o avessi cercato, in qualunque modo, di separarla da lui, e che tu avessi perdonato a lei, e continuato ad amarla, e a tenerla con te. Non saresti stato il primo, nè l'ultimo. Ma no: tu dubitavi, ti rodevi, e l'amavi ugualmente, non solo, ma amavi il suo amore che temevi diviso con altri! Questo è l'inconcepibile! Questo è l'assurdo!

PIERO.

si alza, e, in orgasmo, come se non parlasse più per difendersi, ma per esaltarsi.

Ma se arrischiavo di perderlo questo amore? Colpire lui e perdonare lei! Ah! Tu non conosci Nicoletta. Ella è donna capace di rifiutarlo il perdono! Ella era capace di lasciarmi!

RAIMONDO indignato.

Oh! E tu?…

PIERO.

Io…. io…. Il mio amore era tale, era di tale natura che, piuttosto che arrischiare di perderlo, soffrivo e tacevo, e non cercavo….

RAIMONDO.

E finivi coll'abituarti anche all'idea di dividerlo con altri, alla peggio! Un amore selvaggio, osceno, un amore dei sensi, unicamente dei sensi, da bruti!..

PIERO.

Ma se non ce n'è altri! Tutto il resto è…. letteratura!

RAIMONDO.

Udendo dei passi.

Bada!

Entra GIULIETTA.

PIERO.

Ricomponendosi per quanto gli è possibile.

Ebbene?

GIULIETTA.

La signora è rientrata. È nella sua stanza.

PIERO.

Bene.

GIULIETTA se ne va. RAIMONDO prende il cappello, viene a PIERO, lo fissa per un istante, dolorosamente. Poi lo bacia in fronte.

PIERO.

Grazie, Raimondo. Vai?

RAIMONDO.

Sì. Non posso tardare di più. I due amici mi aspettano.

PIERO.

Passerò poi da te, per sapere.

RAIMONDO.

Se vuoi.

PIERO.

Gli butta le braccia al collo, singhiozzando.

Perdonami!

RAIMONDO.

Ora che vuoi fare?

PIERO.

Non so.

RAIMONDO.

Che cosa intendi di dirle?

PIERO.

Non so.

RAIMONDO.

Non sai?

PIERO.

No…. ti giuro che non so…. Vattene, vattene. Non reggo più a questo supplizio. Vattene. Ho tanta vergogna di te!

RAIMONDO lo bacia ancora, poi esce per la sala da pranzo.

PIERO

lo segue con gli occhi, a lungo. Poi si scuote. Guarda l'uscio di sinistra; vi si avvicina, lo socchiude, e, con voce rotta dall'emozione, chiama:

Nicoletta?

Sipario.

FINE DELL'ATTO SECONDO.

ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Nicoletta, Piero.

L'azione riprende al punto in cui fu interrotta alla fine del secondo atto.

PIERO.

Che ha socchiuso l'uscio di sinistra, ripete.

Nicoletta?

NICOLETTA di dentro.

Vengo.

PIERO si allontana e siede a destra.

NICOLETTA.

Entra. Il suo viso esprime una curiosità ansiosa che tenta dissimulare. Osserva per un istante PIERO, che sedendosi ha voltato le spalle.

Son qua.

PIERO.

Volgendosi appena, e con voce molle, incerta.

Perchè sei uscita?

NICOLETTA.

Te l'ho scritto il perchè. Hai desiderato che tornassi; eccomi. Tuo fratello è andato via?

PIERO.

Nella sua voce non c'è ira od asprezza, ma un dolore profondo e rassegnato.

Sì. Sai perchè si batte?

NICOLETTA.

Per un alterco, m'ha detto,

PIERO.

E sai con chi?

NICOLETTA.

Non è col Pucci?

PIERO.

Te l'ha detto lui?

NICOLETTA.

Poichè lo so e non me l'hai detto tu….

PIERO.

Pare che neppur lui te ho abbia detto, ma che tu lo abbia indovinato.

NICOLETTA.

Io? Ma, scusa, perchè quest'interrogatorio?

PIERO.

E ci credi tu a quell'alterco?

NICOLETTA.

Dopo un attimo d'indecisione, audacemente.

No.

PIERO.

Volge il capo e la guarda.

Nicoletta, hai detto "no"? E che cosa credi?

NICOLETTA.

Ti ho già chiesto la ragione di questo strano interrogatorio. Sii sincero, di' tutto, di' quello che hai dentro. Sarà molto meglio….

Un breve silenzio.

Non parli più?…

Fa un passo verso di lui.

Tuo fratello crede che io abbia un amante. Lo credi anche tu? Lo ha fatto credere anche a te?

PIERO.

Si alza, e susurra, con accasciamento profondo.

Sì.

NICOLETTA.

Ah!

Gli volge le spalle e susurra, con ira e disprezzo.

Che bel mestiere!

PIERO doloroso.

Ti prego!

NICOLETTA.

Scusa, mi è sfuggita.

Ironica.

Egli ha fatto il suo dovere!

Un silenzio. Ella va sino al fondo, concitata, poi esce sul terrazzo, poi rientra, attraversa la scena, torcendo il fazzoletto tra le dita. Poi si ferma e fissa il marito.

Allora?… Che fai? Che decidi? Quali sono le tue intenzioni?

PIERO.

È questo ciò che trovi da dirmi?

NICOLETTA.

Che trovo? Ma io non cerco. Ti chiedo, soltanto, quali siano le tue intenzioni, poichè, qualunque sia la verità, ho il diritto di saperlo, o almeno di chiederlo. Che vuoi fare di me? contro di me?

PIERO.

Sforzandosi di essere fiero e fermo.

Ciò che fa un marito ingannato!…

NICOLETTA.

O che crede di esserlo!…

PIERO.

Con slancio, suo malgrado.

Non lo sono?… Non è vero?… Di', non è vero?…

NICOLETTA.

Scusa, amico mio, la tua domanda fatta a me, è ingenua. Una donna ha sempre il diritto e il dovere di negare, anche se è colpevole. Che valore ha il suo diniego? Tu, o hai delle prove, o un convincimento. Nell'un caso o nell'altro, il negare, qui dinnanzi a te, sarebbe inutile. Mi difenderò a suo tempo.

PIERO disilluso.

Già. Ti dirò, dunque, che poichè non ho il coraggio di ucciderti, tutto ciò che posso fare è di separarmi da te.

NICOLETTA.

Debbo dunque andarmene?

PIERO.

Istintivamente, suo malgrado.

Dove?

NICOLETTA.

Dove? Non so. In qualunque luogo. Sono e rimarrò sempre tua moglie, per tua disgrazia. Potrò vivere ovunque, con ciò che tu vorrai darmi per vivere. Fulvia mi accoglierà per il momento. Poi vedrò….

PIERO.

Vuoi andartene subito?

NICOLETTA.

Subito. Può tornar tuo fratello, e non garantirei di saper evitare uno scandalo. Poichè hai saputo evitarlo tu, e pare tu voglia evitarlo, ti debbo questo, di evitarlo alla mia volta.

Si avvia per rientrare nella sua camera.

PIERO.

La raggiunge di furia, quasi all'uscio, l'afferra alle braccia, pazzo d'ira e d'amore, e concitatamente, malmenandola, mentre vorrebbe baciarla ed abbracciarla.

Ma no, ma no, non devi andartene così, devi dirmi qualcosa ancora, devi aver qualcosa da dirmi…. Perchè, infine, infine, son tuo marito e ti ho amata come un pazzo, e non ti ho fatto che del bene, ti ho tenuta come una madonna sull'altare, adorandoti…. E se mi hai voluto un po' di bene…. tanto così…. almeno per un giorno o per un'ora, se rammenti quello che ho fatto per te, quel poco che ho fatto…. una parola me la devi, una, una sola…. e la devi trovare…. non so quale, ma la devi trovare…. Almeno…. almeno devi dirmi perchè hai fatto quello che hai fatto…. almeno questo. Io debbo morire, adesso, perchè ti ho amata troppo e non potrò vivere senza di te, senza il tuo amore…. senza l'illusione del tuo amore…. ma prima di morire ho il diritto di udire ancora una parola da te…. una giustificazione, una scusa, un pretesto, un insulto…. non so…. una parola buona o cattiva…. non so…. ma una parola, una….

Violento, disperato.

Di', parla….

NICOLETTA.

Calma in apparenza; ma in evidente disagio.

Tuo fratello ti ha fornito delle prove? Ne hai tu?… No?… E allora, amico mio, meglio era che non ti montassi la testa anche tu, che non ti affidassi alle apparenze….

PIERO.

Dunque neghi?

NICOLETTA.

Non nego…. e non mi difendo, per orgoglio.

PIERO.

Perchè non mi ami e non mi hai amato mai. Ma che dico "amato"? Neppure un po' di bene tu mi vuoi. per parlarmi così, in questo momento terribile, per parlarmi del tuo orgoglio, mentre io sto morendo d'angoscia.

NICOLETTA.

Ti ho voluto e ti voglio bene. Ma il mio orgoglio, tu lo sai, è più forte di tutto. E poi, siamo pratici e cerchiamo di ragionare. Tu non hai delle prove, nevvero? Tuo fratello mi ha veduta uscir dalla casa del Pucci.

PIERO.

Ah! ci sei stata?! Lo ammetti?

NICOLETTA.

È la verità; perchè dovrei negarla? Ma poi? Vuol dire che sono la sua amante? Vuol dire che mi son data? No. Ma posso provartelo, io? E negarlo, semplicemente, a che serve? Te l'ho già detto: se anche fosse, avrei il diritto e il dovere di negarlo, ne avrei il dovere più per te che per me, più per la tua salvezza, che per la mia!

PIERO.

Ma ci sei stata in casa sua!

NICOLETTA.

Sì. Ed è molto, e può essere un errore, una leggerezza, un capriccio, una cosa mal fatta, sia pure. Chi ti leverà dalla testa che nel mio atto ci sia una colpa? Quando avrò negato e avrò giurato che non fui l'amante di quell'uomo, e tu mi avrai creduto—perchè, forse, non cerchi di meglio che di credermi e di perdonarmi—ti rimarrà sempre un dubbio nell'anima, una spina nel cuore; e io non sarò più quella di prima. Ora, l'idea soltanto d'essere sospettata e tollerata, mi è insopportabile. Qui, in questa casa, nel tuo cuore, dovevo essere signora e padrona. Tollerata, sospettata, non un giorno nè un'ora di più. È impossibile. Meglio che me ne vada. Meglio separarci. Anzi è indispensabile. Io sconto il mio errore e mi rassegno. Lo sconterò acerbamente, perchè ti voglio bene e perchè in nessun luogo potrò vivere felice come vivevo qui con te. Se tu ne proverai un dolore, lo dovrai a tuo fratello, che poteva risparmiarti un'inutile pena.

Brevissima pausa.

Là, ho detto tutto ciò che potevo e dovevo dire, che avevo il diritto e il dovere di dire.

PIERO.

Tu mi parli di prove, Nicoletta, e non capisci che con un uomo come me vale assai più una parola calda, amorevole, affettuosa; vale più un bacio che un giuramento, vale più una carezza che una prova, vale più un abbraccio che una promessa?

NICOLETTA.

Ah, del sentimento! No, non so farne, lo sai. Ho avuto una giovinezza troppo triste nella sua apparente gaiezza; ho avuto esempi troppo dolorosi dinanzi agli occhi, e spettacoli troppo incresciosi, che mi hanno inaridita; ogni sentimentalismo fu ucciso in me da bambina; fanciulla, ero già una donna, con tanto amaro nell'anima. No. Amo l'amore, come te; in certe ore della nostra esistenza hai trovato in me l'innamorata che desideravi, che volevi, che ti piaceva: ma del sentimento non ho saputo farne mai. In questo momento poi sarebbe una cosa abbietta, perchè suggerita dall'interesse. Credimi, Piero, ora dobbiamo lasciarci.

PIERO.

Con supremo sconforto.

E sia. Sei tu stessa che lo chiedi, e io debbo ritenere che ciò equivalga ad una confessione.

Moto di NICOLETTA, che è di vaga protesta.

Sì, perchè il fondo del tuo carattere è fatto di bontà e di sincerità…. Sia dunque. E poichè ti amo—la mia dichiarazione ti stupirà, ma, che vuoi, è così, e neppur io so mentire o nascondere i miei sentimenti—così non ho vendette da trarre contro di te, e sarebbe inutile che ne cercassi contro chi hai potuto amare o preferirmi. Non ti farò del male. Andrai dove vorrai, ed io provvederò a te con tutta la larghezza che mi è consentita…. Per me poco avrò di bisogno. Perdendo te, perdo ogni ragione e ogni desiderio di vivere. E se morrò….

Moto di NICOLETTA.

Lasciami dire. Se morrò, la tua esistenza sarà assicurata. Anch'io non ho altro a dirti. Ti lascio padrona qui, sino al giorno in cui ti parrà di dovertene andar via. E non temere neppure da parte di mio fratello. Egli non mi ha detto nulla, nemmeno che ti avesse veduta uscire da quella casa….

NICOLETTA non può frenare un atto di sorpresa.

L'ho saputo da te. Raimondo ha insistito sino all'ultimo per farmi credere che nulla sapeva, che di nulla dubitava, e che il suo duello aveva tutt'altro motivo. Gli è che io sapevo già….

NICOLETTA.

Che cosa?

PIERO.

Tutto e niente. Vedi: non vorresti vivere qui sospettata. Or che tutto è finito tra noi, e non m'importa d'avvilirmi ai tuoi occhi, posso dirti che ci hai già vissuto senza saperlo.

NICOLETTA, lo ascolta attenta, e uno stupore doloroso si dipinge sempre più vivo sulla sua faccia.

PIERO.

Da mesi e mesi, un ignoto s'incaricava di ferirmi nel mio amore, di colpirmi nella mia fede. Non avrei avuto, forse, che da muovere un dito, che da fare un passo per…. scoprire. Avrei potuto io stesso, forse, vederti uscire da quella casa. Ma ti amavo tanto, e così male, che non volli. Preferii sempre di nascondermi il pericolo ed illudermi. E l'illusione non mi era difficile, in fondo, poichè quella che mi sarebbe parsa la prova vera, evidente, assoluta, io la cercavo in te, e…. non la trovavo. Tu….

Con un singulto.

Lo hai detto, tu ami l'amore!….

Si copre la faccia con un senso di disgusto disperato.

Ah! in questo momento io mi disprezzo, ti giuro, come non avrei creduto che un uomo potesse disprezzare se stesso.

Con uno sforzo supremo si scuote e susurra con un singhiozzo

Addio, Nicoletta!

E fugge pel fondo. NICOLETTA, in piedi, appoggiata con la schiena al pianoforte, vorrebbe richiamarlo con un grido, ma la voce le muore nella strozza, e rimane intontita, con gli occhi imbambolati. Dopo un momento, entra FULVIA., nella sala da pranzo.

SCENA SECONDA.

Nicoletta, Fulvia.

FULVIA.

Entra affrettata, vede NICOLETTA in quell'atteggiamento, e la chiama.

Nicoletta?

NICOLETTA.

Ah! Sei tu?

FULVIA..

Che è stato? Ho incontrato Piero, in anticamera, e mi ha appena salutata. Che cosa è accaduto? I tuoi sospetti erano fondati? Sa? Hai confessato?

NICOLETTA.

No.

FULVIA..

Hai negato?

NICOLETTA.

Neppure….

Agitata, nervosa.

niente, mi gira la testa…. ho paura….

FULVIA..

Ma insomma, tra voi due ci furono delle spiegazioni? Una scenata?

NICOLETTA.

No…. non so, non so, ti dico che non so.

FULVIA..

Se è che non vuoi dire….

NICOLETTA.

Ma no…. siediti….

Siedono.

Lasciami raccogliere le idee…. È la prima volta in mia vita che mi sento sbalordita…. E sì che ne ho veduto di quelle…. Mi sembra d'impazzire.

FULVIA..

Per carità! Hai bisogno di tutto il tuo sangue freddo, oggi…. Dimmi, posso aiutarti?

NICOLETTA.

Come ricordasse a un tratto.

Egli sapeva, da mesi.

FULVIA..

Che cosa?

NICOLETTA.

No, niente. Ma dubitava, aveva dei sospetti…. riceveva delle lettere anonime, se ho ben compreso…. e taceva, per paura di scoprire, di avere le prove…. e non voleva averle, per non perdermi, perchè mi ama a tal punto…. No, è inconcepibile, è assurdo…. è mostruoso!

FULVIA..

Cara! Io trovo che è delizioso!

NICOLETTA.

Oh!

FULVIA..

Non si può amare più di così…. Ma, insomma tu avrai negato!

NICOLETTA.

No, non ne ho avuto il coraggio, non ho potuto.

FULVIA..

Cosicchè, ora egli è convinto?…

NICOLETTA.

Non lo so. Se ti dico che non so, che non capisco più niente! Ho durata, per una mezz'ora, la lotta più acerba della mia vita. Quando ho capito che sospettava, il mio primo impulso fu di confessar tutto, di accusarmi. Ma ho sentito, subito, che avevo il dovere di tacere.

FULVIA..

Diamine!

NICOLETTA.

No, non un dovere come lo intendi tu. Un altro.

FULVIA..

Quale, cara?

NICOLETTA.

Eh! Non posso spiegarti. Non capiresti.

FULVIA..

Son tanto bestia?

NICOLETTA.

Tutt'altro, ma non capiresti. Abbiamo due indoli tanto diverse!… Vedi, tu avresti negato….

FULVIA..

Certo.

NICOLETTA.

Avresti giurato ch'eri innocente. Che si trattava di false apparenze!

FULVIA..

Cara! Ma sicuro!

NICOLETTA.

Le lettere anonime poi….

FULVIA..

Oh! quelle! Chi ci crede?

NICOLETTA

guardandola con la coda dell'occhio.

Neppur quelli che le scrivono! Ebbene, io non ho confessato, ma non son giunta sino a negare.

FULVIA..

Che è peggio!

NICOLETTA.

Forse! Ma che vuoi, fu più forte di me!

FULVIA..

E sei, o ti dici, una donna forte.

NICOLETTA.

Forse per questo!

FULVIA..

Storie! La donna forte, nega! "Provatelo!" ella dice. E siccome son cose che non si provano, o che è molto difficile provare…. E adesso?

NICOLETTA.

Adesso ci separiamo.

FULVIA..

No?!

NICOLETTA.

È così.

FULVIA..

Ma è stupido, cara! Vedova, lo capisco; separata, no.

Si alza.

E notizie del duello?

NICOLETTA.

Non so niente.

FULVIA..

Oh, a proposito, dimenticavo il primo perchè della mia visita.

Toglie da una borsetta di seta un pacchetto di lettere, sigillate e legate con una fettuccia.

Le tue lettere.

NICOLETTA.

Afferrando il pacchetto.

Che lettere?

FULVIA..

Le tue a Ugo.

NICOLETTA.

Ah! E come le hai tu?

FULVIA..

Ugo è venuto a portarmele.

NICOLETTA.

Quando?

Le pone in tasca.

FULVIA..

Un'ora fa, appena eri uscita. Se veniva cinque minuti prima v'incontravate. Povero ragazzo! Non potendo vederti, non sapendo come fare, le ha portate a me, perchè te le dessi. Si è trattenuto due minuti; credo che i padrini lo attendessero abbasso. "Non si sa mai—disse—quello che può accadere. Voglio che ella sia tranquilla". Un pensiero gentile, no?

NICOLETTA.

Era intesa che me le dovesse restituire.

FULVIA..

Come?!

NICOLETTA.

Già, perchè c'è anche questo di molto stupido nella mia avventura; che era finita.

FULVIA.

le si siede vicinissima.

No?!

NICOLETTA.

Sì, ed è proprio quand'è finita che mi capita…. quello che mi capita…. Ah! Il nemico! Come lo intuii, che in quell'uomo entrava un nemico, qui dentro.

FULVIA..

Chi?

NICOLETTA.

Mio cognato. Ci sono delle cose che si sentono.

FULVIA..

Ma dimmi, cara, era finita con Ugo?

NICOLETTA.

Sì. E se vuoi…. Ieri, ero andata da lui per l'ultima volta.

FULVIA..

Così presto? E perchè?

NICOLETTA.

Perchè? Non so. Perchè era incominciata? Non so.

FULVIA..

Per un capriccio, perchè ti piaceva….

NICOLETTA.

E perchè moriva d'amore per me…. e perchè siamo fabbricati male, uomini e donne; e come un uomo non può passare tutta la vita con una donna sola, così la donna…. a meno di…. A meno di che, non lo so neppur io.

Si alza nervosa.

L'onestà della donna, nei paesi civili, consiste in questo: d'essere per tutta la vita di un unico uomo! Ed è un'onestà sola, per tutte, senza distinzioni e senza eccezioni! E non si capisce che ci sono delle nature per le quali è troppo pretendere e che quell'onestà lì non è possibile!… Io, mi reputo più onesta, in fondo, di tante donne oneste. Ne ho dato una prova anche oggi.

FULVIA..

Come hai ragione, cara!

NICOLETTA.

Il Pucci ti ha detto quando parte?

FULVIA..

No. Perchè? Deve partire?

NICOLETTA.

Sì, torna ad abitare Firenze.

FULVIA..

Davvero?

NICOLETTA.

Ha uno zio da tenere da conto.

FULVIA..

Ora capisco la fine della vostra….

NICOLETTA.

No, sarebbe finita ugualmente.

FULVIA..

Le jeu ne valait pas la chandelle? È così?

NICOLETTA.

Dopo un breve silenzio.

Comincio a credere, Fulvia, che quando si ha un marito le jeu non valga mai la chandelle.

FULVIA..

Secondo i mariti. Ma, certo, alle volte son certi spaventi!!

Entra RAIMONDO dal fondo, affrettato.

SCENA TERZA.

Nicoletta, Fulvia, Raimondo.

FULVIA..

Che lo vede per la prima.

Oh! Raimondo!

NICOLETTA si ritrae in disparte, diffidente, quasi paurosa.

RAIMONDO.

Asciutto, quasi sgarbato.

Buongiorno, signora.

A NICOLETTA.

Piero è uscito?

NICOLETTA.

Non so.

RAIMONDO.

Giulia mi disse di averlo veduto uscire. È uscito senza avvertirti?

NICOLETTA.

Sì.

RAIMONDO.

Però lo hai veduto? Gli hai parlato?

NICOLETTA.

Sì.

Breve silenzio.

RAIMONDO.

Forse è andato in cerca di me.

Ancora un silenzio. C'è un po' d'imbarazzo in tutti e tre.

FULVIA..

Scusate, Raimondo…. La curiosità è troppo forte. Il duello?

RAIMONDO seccato.

Che duello?

FULVIA..

Caro, il vostro, è avvenuto?

RAIMONDO.

Dopo un istante d'incertezza.

No.

FULVIA..

Non era per le undici?

RAIMONDO.

Non so.

FULVIA..

Fu rimandato?

RAIMONDO.

Pare!

Dopo un silenzio, a FULVIA..

Scusi, signora, se la faccio da padrone, ma la congedo. Debbo parlare a mia cognata.

FULVIA..

E ci voleva tanto a dirlo? Tra noi non si fanno complimenti, caro. Arrivederci, Nicoletta. Arrivederci, amico mio. Ricordatevi, attendo sempre l'invito per la visita al museo…. E badate, bisogna non far complimenti con me: sono la migliore delle camarades.

Esce di fondo.

SCENA QUARTA.

Raimondo, Nicoletta.

RAIMONDO.

Non appena è assicurato che FULVIA. è uscita, si avvicina rapidamente a NICOLETTA.

Presto, non c'è un minuto da perdere. Piero, certamente, è andato in cerca di me, e, non trovandomi, tornerà. Che cosa è avvenuto tra voi? Dimmi, in due parole.

NICOLETTA, spossata, si lascia cadere su una sedia.

RAIMONDO.

Parla, in nome di Dio! Una scena violenta?

NICOLETTA.

No….

RAIMONDO.

Hai confessato?

NICOLETTA.

No. Fui lì lì per farlo….

RAIMONDO.

È quello che temevo! Ah, che terribile ora ho passata! Non poter star qui, a dominarti, a impedire una catastrofe! Doverti lasciar sola con lui, per andarmi a battere!

NICOLETTA.

Ti…. vi siete battuto?

RAIMONDO.

Sì. Ci sbrigammo in mezz'ora, fortunatamente. In una sala privata, poco lungi da qui…. e son corso subito qui, con la paura di non giungere in tempo.

NICOLETTA.

È…. grave?

RAIMONDO.

No. Al braccio. Avrebbe potuto continuare. Ho consentito a smettere per togliere ogni apparenza di gravità al duello. Così sarà più facile far credere a Piero ciò che è indispensabile egli creda…. Ah, poveretto!… Orsù, ora tocca a me e a te di rimediare, d'impedire ch'egli s'ammazzi.

Moto di NICOLETTA.

Sì, sì, se non lo salviamo, egli si uccide. L'unica ragione di vivere, per lui, era il suo amore. Se il suo amore muore, non gli sopravviverà.

NICOLETTA.

È tardi, Raimondo.

RAIMONDO.

Tardi? Che avvenne tra voi?

NICOLETTA.

Egli dubita, e dubitava da tempo.

RAIMONDO.

Lo so. Ma non ha delle prove, e non ne avrà.

NICOLETTA.

Che importa? Noi ci separiamo. È deciso.

RAIMONDO.

Deciso? da chi?

NICOLETTA.

Da me.

RAIMONDO.

Da te?

NICOLETTA.

Non potrei più vivere con lui. Per me è come se sapesse, se avesse delle prove.

RAIMONDO.

No. Devi salvare un uomo che ti ama, che vive di te e per te, che per amore divenne vile, e povero, e sventurato. Gli devi ridare la fede. Oh, non ti sarà difficile. Egli non cerca che di credere e di amare. Lo farai? Stamane mi hai offerto di mettere la tua vita nelle mie mani. Era uno dei tuoi momenti buoni, di quelli in cui tace il tuo orgoglio….

NICOLETTA.

Io non sapevo ch'egli dubitasse di me….

RAIMONDO.

Ebbene, si tratta di distruggere il dubbio. Rimedierò, per la parte che mi spetta. Rimedierò, a qualunque costo, a costo, guarda, di una menzogna e di un giuramento falso. Ma tu devi aiutarmi, devi essere la mia complice. Ho un disegno e tu devi secondarlo. Lo farai?

NICOLETTA rimane immobile, cogli occhi fissi, come se perseguisse un'idea vaga e lontana.

Dimmi, lo farai?

NICOLETTA c. s.

Mi chiedete una cosa senza scopo. Non capite che sarà una vita impossibile la nostra?

RAIMONDO.

Se già sospettava?!

NICOLETTA.

Ma io non sapevo…. e potevo concedermi a lui, dargli l'illusione dell'amore…. Ora, ora!

RAIMONDO.

Ma….

È interrotto del trillo del campanello elettrico interno.

NICOLETTA.

È lui!…

Istintivamente fa per rifugiarsi nella sua camera.

RAIMONDO.

Trattenendola, in tono di comando, dominandola.

Rimani!…

Entra PIERO dal fondo affrettato.

Ti chiedo una cosa sola: di tacere!

SCENA QUINTA.

Nicoletta, Piero, Raimondo.

PIERO.

Ah! sei qui, Raimondo. Ti ho cercato….

RAIMONDO.

Con uno sforzo si mostra calmo, quasi gaio.

Son qui…. e come vedi, sano e salvo! Quell'altro se l'è cavata con una lieve ferita al braccio. Ci siamo stretta la mano, e non se ne parla più.

PIERO.

Vi siete stretta la mano?

RAIMONDO.

Ma sì, poichè le cose stavano com'io supponevo e come te le ho dette. Non era proprio il caso di ammazzarlo.

PIERO.

Stupito, guarda un po' lui, Un po' NICOLETTA, pare li interroghi entrambi con gli occhi.

RAIMONDO.

È inutile che tu mi guardi e guardi Nicoletta con quegli occhi stralunati. La verità è una sola, e non si cambia.

PIERO.

La verità?…

RAIMONDO.

La verità, sì. Oh non chiederla a tua moglie. Quella è una certa testolina! Non ti ha negato il suo fallo, nevvero? C'è da ringraziare Iddio che non lo abbia ingrandito, così, per…. non si sa perchè. Accusata e sospettata, ha sdegnato di difendersi. Doveva essere il ricordo di qualche romanzo, o di qualche commedia. Ma non l'ha negata a me la verità, dianzi, prima che tu entrassi, quando si è convinta che la conoscevo intera.

PIERO prorompendo.

La verità, la verità?! Quale, dunque, Nicoletta?

Fa un passo verso di lei. Ella rimane immobile, ritta, con gli occhi fissi che non guardano.

RAIMONDO.

Intervenendo e mettendosi in mezzo, con naturalezza,

Ella ha commessa una stupida leggerezza che le ripugnava di confessare. È fatta così! Che vuoi! Un grosso fallo forse, lo avrebbe confessato. Una leggerezza, che aveva apparenze grosse, no. Si è recata in casa di quell'uomo. Ed è tutto.

PIERO.

Dolorosamente, incredulo.

Oh!

RAIMONDO.

Con un ultimo sforzo disperato, lo prende per un braccio e lo spinge un poco più lontano da NICOLETTA. Poi, concitato, affrettato, come se gli premesse di finire.

Quando la sua ferita fu fasciata, il duello avrebbe potuto continuare. Egli mi fece dire che desiderava parlarmi. Mi accostai. "Mi son battuto, mi disse, e son pronto a continuare. Prima però, ed ora che non può più sembrare una vigliaccheria, voglio darle la mia parola d'onore, che non fui l'amante di quella signora." Ho ripetuto queste parole a tua moglie, e mi ha confessato che è la verità. Ella non sa mentire.

Questo fu detto in tono di voce più bassa, ma non tanto che NICOLETTA non potesse udire. E l'ha udito. PIERO, affranto, si è lasciato cadere su una poltrona, e si nasconde il volto con le mani. Un silenzio. RAIMONDO è a disagio. Si ritrae verso il fondo. La sua faccia dinota lo spasimo d'un uomo d'onore che ha dovuto mentire. Ma tosto si riprende e si ricompone. Si riavvicina a PIERO, ponendogli una mano sulla spalla.

RAIMONDO.

Piero, non sono io, lo comprendo, che può convincerti e ridarti la fede. È tua moglie.

Guardando NICOLETTA.

E saprà farlo, e le sarà tanto facile il farlo. Vedrai, è questione di tempo, la pace e l'amore torneranno a regnare qui dentro, e nei vostri cuori…. E ora ti lascio….

PIERO.

Afferrandogli la mano.

Ah, no, Raimondo, non lasciarmi in questo momento, te ne scongiuro!

RAIMONDO.

Sforzandosi d'essere disinvolto.

Ma, mio caro, ho i miei padrini che mi aspettano. Li ho invitati a colazione, ed è il meno che si può fare in queste circostanze. Poi, alle quattro parto….

PIERO alzandosi.

Parti?

RAIMONDO.

Sì. Non te lo avevo detto…. eh, sfido, con questo po' po' di roba…. Vado a Torino. Ebbi un telegramma da un inglese, mio amico, col quale ho viaggiato nel Congo. Viene da Londra ed ha bisogno urgente di parlarmi. Si tratta di un disegno di cui mi parlava laggiù, un'impresa alla quale voleva che mi associassi…. A Londra doveva raccogliere certe adesioni. La cosa m'interessa abbastanza e voglio andare.

PIERO.

Starai molto?

RAIMONDO.

Non so. Dipende…. tre o quattro giorni, forse una settimana….

Va a NICOLETTA e le porge la mano.

Arrivederci, Nicoletta.

Ella gli dà la mano macchinalmente.

RAIMONDO s'avvia, accompagnato da PIERO.

NICOLETTA.

Sempre con gli occhi fissi, imbambolati, susurra.

Che vita sarà questa? Che vita? Che pena, che tormento?

I due, che erano giunti al fondo, odono il susurro delle parole di NICOLETTA, senza distinguerle; si fermano, si volgono. NICOLETTA si volge anche lei verso di loro, li fissa per un istante; poi prorompe.

NICOLETTA.

No, Raimondo, no! La verità, la verità!

RAIMONDO.

Accorre a lei per interromperla, mentre PIERO rimane al fondo, allibito.

Nicoletta?!

NICOLETTA.

La verità, lasciamela dire! Non è orgoglio, no, è bisogno prepotente dell'anima, è desiderio di bene. Dopo, dopo, sarà quello che Dio vorrà! ma non più la menzogna. Piero, Raimondo ha mentito, per amor tuo, e per amor mio. Sono stata l'amante di quell'uomo…. Ma non lo amavo, non l'ho amato, no, te lo giuro. E ieri era la fine, ieri, quando Raimondo mi ha veduta. Egli mi ha reso le mie lettere; eccole!

PIERO.

Fa un passo per afferrarle, ma RAIMONDO le ghermisce e se le pone in tasca.

NICOLETTA.

Ti ho detto tutto, adesso, tutto, tutta la verità, perchè dovevo dirtela, perchè ho capito che non avevamo il diritto di mentire e d'ingannarti; te l'ho detta perchè…. ti voglio bene, e non ne ho voluto che a te, e non mai come oggi ho sentito di volertene…. e che te ne vorrò sempre e che ti sarò fedele, e che sarò tua checchè tu faccia di me, in qualunque modo tu voglia punirmi. Te l'ho detta perchè ho mentito con te per la prima volta in vita mia, e non potevo più durare nella menzogna, e non avrei potuto viverci…. Ero già disillusa e pentita…. e avrei taciuto per amor tuo, se ti avessi creduto ignaro e fidente…. ma poichè tu dubitavi, io non avrei potuto più vivere così, sospettata da te…. Ora, ora fa' ciò che vuoi, puniscimi come vuoi…. sarà sempre meglio di ciò che Raimondo voleva….

Esausta, cade sul divano come morta. PIERO, che ha ascoltato allibendo, ma insieme agitato da una commozione profonda, ora ha un impeto selvaggio di disperazione, e scoppia in un pianto muto e convulso. RAIMONDO lo sorregge e lo circonda, lasciando che si sfoghi. Poi gli afferra le mani, con cui egli si copriva il volto, lo costringe a guardarlo.

RAIMONDO.

Piero, Piero! Guardami, e ascoltami bene. Quella donna tu la possiedi oggi intera per la prima volta. Finora ne hai posseduto il corpo; oggi ne possiedi anche l'anima e il cuore. Oggi soltanto ella è veramente tua moglie…. Non dir nulla, adesso. Tu le perdonerai, e dimenticherai. E sarà nobile e giusto.

Lo lascia e si avvicina adagio, a NICOLETTA, che è immobile, come svenuta. La osserva un momento, poi:

Piero, guarda.

Si curva, e posa le labbra sui capelli di NICOLETTA. Poi torna vicino a PIERO, gli prende la testa tra le mani e lo bacia e ribacia teneramente sui capelli e sugli occhi, come un padre. Ha le lagrime negli occhi. Cerca il suo cappello, e lo trova su una sedia.

Ora me ne vado tranquillo. Prima no. E non parto, sai? Era una frottola anche l'inglese del Congo. Ora posso rimanere. Sarò qui, sempre, con voi due, e tra voi due. A fra poco….

Esce dal fondo.

PIERO, che ha accompagnato RAIMONDO, strascinandosi appena sino sulla soglia della sala da pranzo, rimane a fissar NICOLETTA che è sempre immobile, stesa sul divano. Poi, a passi lenti, discende verso di lei. Prende una sediolina bassa, la pone a lato del divano, dov'ella ha il capo. Vi si siede, curvo verso di lei, muto, in attesa, come una madre che vegli il suo bambino ammalato. Sipario.

FINE.