Azione teatrale allusiva alle sfortunate campagne delle armi Austriache in Italia, rappresentata la prima volta con musica del Predieri nel palazzo dell'Imperial Favorita, alla presenza dei Sovrani, il dì primo ottobre 1735, per festeggiare il giorno di nascita dell'Imperator Carlo VI, d'ordine dell'Imperatrice Elisabetta.
ARGOMENTO.
A pochi può essere ignoto Publio Cornelio Scipione, il distruttor di Cartagine. Fu egli nipote per adozione dell'altro che l'avea resa tributaria di Roma (e che noi, a distinzione del nostro, chiameremo sempre col solo prenome di Publio), ed era figliuolo di quell'Emilia da cui Perseo, il Re di Macedonia, fu già condotto in trionfo. Unì il nostro Eroe così mirabilmente in sè stesso le virtù dell'avo e del padre, che il più eloquente Romano volle perpetuarne la memoria nel celebre sogno da lui felicemente inventato, e il quale ha servito di scorta al presente drammatico componimento. Cic. in Somn. Scip. ex Lib. de Repub. VI.
INTERLOCUTORI.
SCIPIONE.
LA COSTANZA.
LA FORTUNA.
PUBLIO, avo adottivo di Scipione.
EMILIO, padre di Scipione.
CORO D'EROI.
[L'azione si figura in Africa nella reggia di Massinissa.]
IL SOGNO
DI SCIPIONE
[SCIPIONE dormendo, la COSTANZA e la FORTUNA.]
FOR. Vieni e siegui i miei passi, O gran figlio d'Emilio.
COS. I passi miei, Vieni e siegui, o Scipion.
SCI. Chi è mai l'audace Che turba il mio riposo?
FOR. Io son.
COS. Son io; E sdegnar non ti dei.
FOR. Volgiti a me.
COS. Guardami in volto.
SCI. Oh Dei, Quale abisso di luce! Quale ignota armonia! Quali sembianze Son queste mai sì luminose e liete! E in qual parte mi trovo? E voi chi siete?
COS. Nutrice degli eroi.
FOR. Dispensatrice Di tutto il ben che l'universo aduna.
COS. Scipio, io son la Costanza.
FOR. Io la Fortuna
SCI. E da me che si vuol?
COS. Ch'una fra noi Nel cammin della vita Tu per compagna elegga.
FOR. Entrambe offriamo Di renderti felice.
COS. E decider tu dei Se a me più credi, o se più credi a lei.
SCI. Io? Ma Dee… Che dirò?
FOR. Dubiti!
COS. Incerto Un momento esser puoi!
FOR. Ti porgo il crine, E a me non t'abbandoni?
COS. Odi il mio nome. Nè vieni a me?
FOR. Parla.
COS. Risolvi.
SCI. E come? Se volete ch'io parli, Se risolver degg'io, lasciate all'alma Tempo da respirar, spazio onde possa Riconoscer sè stessa. Ditemi dove son, chi qua mi trasse, Se vero è quel ch'io veggio, Se sogno, se son desto o se vaneggio.
Risolver non osa Confusa la mente, Che oppressa si sente Da tanto stupor.
Delira dubbiosa, Incerta vaneggia Ogni alma che ondeggia Fra' moti del cor.
COS. Giusta è la tua richiesta. A parte a parte Chiedi pure, e saprai Quanto brami saper.
FOR. Sì, ma sian brevi, Scipio, le tue richieste. Intollerante Di riposo son io. Loco ed aspetto Andar sempre cangiando è mio diletto.
Lieve son al par del vento, Vario ho il volto, il piè fugace; Or m'adiro e in un momento Or mi torno a serenar.
Sollevar le moli oppresse Pria m' alletta, e poi mi piace D'atterrar le moli istesse Che ho sudato a sollevar.
SCI. Dunque ove son? La reggia Di Massinissa, ove poc'anzi i lumi Al sonno abbandonai, Certo questa non è.
COS. No: lungi assai È l'Affrica da noi. Sei nell'immenso Tempio del ciel.
FOR. Non lo conosci a tante Che ti splendono intorno Lucidissime stelle? A quel che ascolti Insolito concento Delle mobili sfere? A quel che vedi Di lucido zaffiro Orbe maggior che le rapisce in giro?
SCI. E chi mai tra le sfere, o Dee, produce Un concento sì armonico e sonoro?
COS. L'istessa ch'è fra loro Di moto e di misura Proporzionata ineguaglianza. Insieme Urtansi nel girar: rende ciascuna Suon dall'altre distinto; E si forma di tutti un suon concorde. Varie così le corde Son d'una cetra; e pur ne tempra in guisa E l'orecchio e la man l'acuto e il grave, Che dan percosse un'armonia soave. Questo mirabil nodo Che gl'ineguali unisce, Questa ragione arcana Che i dissimili accorda, Proporzion s'appella, ordine e norma Universal delle create cose. Questa è quel che nascose, D'alto saper misterioso raggio, Entro i numeri suoi di Samo il Saggio.
SCI. Ma un' armonia sì grande Perchè non giunge a noi? perchè non l'ode Chi vive là nella terrestre sede?
COS. Troppo il poter de' vostri sensi eccede.
Ciglio che al sol si gira, Non vede il sol che mira, Confuso in quell'istesso Eccesso di splender.
Chi là del Nil cadente Vive alle sponde appresso, Lo strepito non sente Del rovinoso umor.
SCI. E quali abitatori…
FOR. Assai chiedesti: Eleggi al fin.
SCI. Soffri un istante. E quali Abitatori han queste sedi eterne?
COS. Ne han molti e vari in varie parti.
SCI. In questa, Ove noi siam, chi si raccoglie mai?
FOR. Guarda sol chi s'appressa, e lo saprai.
[PUBLIO, coro d'eroi, indi EMILIO e detti.]
CORO. Germe di cento eroi, Di Roma onor primiero, Vieni, che in ciel straniero Il nome tuo non è.
Mille trovar tu puoi Orme degli avi tuoi Nel lucido sentiero, Ove inoltrasti il piè.
SCI. Numi, è vero o m'inganno! Il mio grand'avo, Il domator dell'African rubello Quegli non è?
PUB. Non dubitar, son quello.
SCI. Gelo d'orror! Dunque gli estinti…
PUB. Estinto, Scipio, io non son.
SCI. Ma in cenere disciolto Tra le funebri faci, Gran tempo è già, Roma ti pianse.
PUB. Ah taci: Poco sei noto a te. Dunque tu credi Che quella man, quel volto, Quelle fragili membra, onde vai cinto, Siano Scipione? Ah non è ver. Son queste Solo una veste tua. Quel che le avviva Puro raggio immortal, che non ha parti E scioglier non si può; che vuol, che intende, Che rammento, che pensa, Che non perde con gli anni il suo vigore, Quello, quello è Scipione; e quel non muore. Troppo iniquo il destino Saria della virtù s'oltre la tomba Nulla di noi restasse, e s'altri beni Non vi fosser di quei Che in terra per lo più toccano a' rei. No, Scipio: la perfetta D'ogni cagion prima Cagione ingiusta Esser così non può. V'è dopo il rogo, V'è mercè da sperar. Quelle che vedi Lucide eterne sedi Serbansi al merto; e la più bella è questa, In cui vive con me qualunque in terra La patria amò, qualunque offrì pietoso Al pubblico riposo i giorni sui, Chi sparse il sangue a benefizio altrui.
Se vuoi che le raccolgano Questi soggiorni un dì, Degli avi tuoi rammentati, Non ti scordar di me.
Mai non cessò di vivere Chi come noi morì: Non meritò di nascere Chi vive sol per sè.
SCI. Se qui vivon gli eroi…
FOR. Se paga ancora La tua brama non è, Scipio è già stanca La tolleranza mia. Decidi…
COS. Eh lascia Ch'ei chieda a voglia sua. Ciò ch'egli apprende, Atto lo rende a giudicar fra noi.
SCI. Se qui vivon gli eroi Che alla patria giovar, tra queste sedi Perché non miro il genitor guerriero?
PUB. L'hai su gli occhi e nol vedi?
SCI. È vero, è vero: Perdona, errai, gran genitor: ma colpa Delle attonite ciglia È il mio tardo veder, non della mente Che l'immagine tua sempre ha presente. Ah sei tu! Già ritrovo L'antica in quella fronte Paterna maestà. Già nel mirarti Risento i moti al core Di rispetto e d'amore. Oh fausti Numi! Oh caro padre! Oh lieto dì! Ma come Sì tranquillo m'accogli? Il tuo sembiante Sereno è ben, ma non commosso. Ah dunque Non provi in rivedermi Contento eguale al mio!
EMI. Figlio, il contento Fra noi serba nel cielo altro tenore. Qui non giunge all'affanno, ed è maggiore.
SCI. Son fuor di me. Tutto quassù m'è nuovo, Tutto stupir mi fa.
EMI. Depor non puoi Le false idee che ti formasti in terra, E ne stai sì lontano. Abbassa il ciglio: Vedi laggiù d'impure nebbie avvolto Quel picciol globo, anzi quel punto?
SCI. Oh stelle! È la terra?
EMI. Il dicesti.
SCI. E tanti mari, E tanti fiumi e tante selve, e tante Vastissime provincie, opposti regni, Popoli differenti? E il Tebro? e Roma?…
EMI. Tutto è chiuso in quel punto.
SCI. Ah padre amato, Che picciolo, che vano, Che misero teatro ha il fasto umano!
EMI. Oh se di quel teatro Potessi, o figlio, esaminar gli attori, Se le follie, gli errori, I sogni lor veder potessi, e quale Di riso per lo più degna cagione Gli agita, gli scompone, Li rallegra, gli affligge o gl'innamora, Quanto più vil ti sembrerebbe ancora!
Voi colaggiù ridete D'un fanciullin che piange, Che la cagion vedete Del folle suo dolor.
Quassù di voi si ride, Che dell'età sul fine, Tutti canuti il crine, Siete fanciulli ancor.
SCI. Publio, padre, ah lasciate Ch'io rimanga con voi. Lieto abbandono Quel soggiorno laggiù troppo infelice.
FOR. Ancor non è permesso.
COS. Ancor non lice.
PUB. Molto a vìver ti resta.
SCI. Io vissi assai; Basta, basta per me.
EMI. Sì, ma non basta A' disegni del Fato, al ben di Roma, Al Mondo, al Ciel.
PUB. Molto facesti, e molto Di più si vuol da te. Senza mistero Non vai, Scipione, altero E degli aviti e de' paterni allori. I gloriosi tuoi primi sudori Per le campagne Ibere A caso non spargesti, e non a caso Porti quel nome in fronte Che all'Affrica è fatale. A me fu dato Il soggiogar sì gran nemica, e tocca Il distruggerla a te. Va, ma prepara Non meno alle sventure Che a' trionfi il tuo petto. In ogni sorte L'ìstessa è la Virtù. L'agita, è vero, Il nemico destin, ma non l'opprime; E quando è men felice, è più sublime.
Quercia annosa su l'erte pendici Fra 'l contrasto de' venti nemici Più secura, più salda si fa.
Che se 'l verno le chiome le sfronda, Più nel suolo col piè si profonda; Forza acquista se perde beltà.
SCI. Giacchè al voler de' Fati L'opporsi è vano, ubbidirò.
COS. Scipione, Or di scegliere è tempo.
FOR. Istrutto or sei; Puoi giudicar fra noi.
SCI. Publio, si vuole Ch'una di queste Dee…
PUB. Tutto m'è noto: Eleggi a voglia tua.
SCI. Deh mi consiglia, Gran genitor.
EMI. Ti usurperebbe, o figlio, La gloria della scelta il mio consiglio.
FOR. Se brami esser felice, Scipio, non mi stancar: prendi il momento In cui t' offro il mio crin.
SCI. Ma tu che tanto Importuna mi sei, di': qual ragione Tuo seguace mi vuol? Perché degg'io Sceglier più te che l'altra?
FOR. E che farai S'io non secondo amica L'imprese tue? Sai quel ch'io posso? Io sono D'ogni mal, d'ogni bene L'arbitra colaggiù. Questa è la mano Che sparge a suo talento e gioie e pene, Ed oltraggi ed onori, E miserie e tesori. Io son colei Che fabbrica, che strugge, Che rinnova gl'imperi. Io, se mi piace, In soglio una capanna; io, quando voglio, Cangio in capanna un soglio. A me soggetti Sono i turbini in cielo, Son le tempeste in mar. Delle battaglie Io regolo il destin. Se fausta io sono, Dalle perdite istesse Fo germogliar le palme; e s'io m'adiro, Svelgo di man gli allori Sul compir la vittoria ai vincitori. Che più? Dal regno mio Non va esente il valore, Non la virtù; che, quando vuol la Sorte, Sembra forte il più vil, vile il più forte; E a dispetto d'Astrea La colpa è giusta, e l'innocenza è rea.
A chi serena io miro, Chiaro è di notte il cielo; Torna per lui nel gelo La terra a germogliar.
Ma se a taluno io giro Torbido il guardo e fosco, Fronde gli niega il bosco, Onde non trova in mar.
SCI. E a sì enorme possanza Chi si opponga non v'è?
COS. Sì, la Costanza. Io, Scipio, io sol prescrivo Limiti e leggi al suo temuto impero. Dove son io non giunge L'instabile a regnar: chè in faccia mia Non han luce i suoi doni, Nè orror le sue minacce. È ver che oltraggio Soffron talor da lei Il valor, la virtù; ma le bell'opre, Vindice de' miei torti, il tempo scopre. Son io, non è costei, Che conservò gl'imperi; e gli avi tuoi, La tua Roma lo sa. Crolla ristretta Da Brenno, è ver, la libertà Latina Nell'angusto Tarpeo, ma non ruina. Dell'Aufido alle sponde Si vede, è ver, miseramente intorno Tutta perir la gioventù guerriera Il Console Romano, ma non dispera. Annibale s'affretta Di Roma ad ottener l'ultimo vanto, E co' vessilli suoi quasi l'adombra; Ma trova in Roma intanto Prezzo il terren che il vincitore ingombra. Son mie prove sì belle; e a queste prove Non resiste Fortuna. Ella si stanca; E al fin cangiando aspetto, Mia suddita diventa a suo dispetto.
Biancheggia in mar lo scoglio, Par che vacilli e pare Che lo sommerga il mare Fatto maggior di sè.
Ma dura a tanto orgoglio Quel combattuto sasso; E 'l mar tranquillo e basso Poi gli lambisce il piè.
SCI. Non più: bella Costanza, Guidami dove vuoi. D'altri non curo: Eccomi tuo seguace.
FOR. E i doni miei?
SCI. Non bramo e non ricuso.
FOR. E il mio furore?
SCI. Non sfido e non pavento.
FOR. In van potresti, Scipio, pentirti un dì. Guardami in viso: Pensaci, e poi decidi.
SCI. Ho già deciso.
Di' che sei l'arbitra Del mondo intero, Ma non pretendere Perciò l'impero D'un'alma intrepida, D'un nobil cor.
Te vili adorino, Nume tiranno, Quei che non prezzano, Quei che non hanno Che il basso merito Del tuo favor.
FOR. E v'è mortal che ardisca Negarmi i voti suoi? che il favor mio Non procuri ottener?
SCI. Sì, vi son io.
FOR. E ben, provami avversa. Olà, venite, Orribili disastri, atre sventure, Ministre del mio sdegno: Quell'audace opprimete; io vel consegno.
SCI. Stelle, che fia! Qual sanguinosa luce! Che nembi! che tempeste! Che tenebre son queste! Ah qual rimbomba Per le sconvolte sfere Terribile fragor! Cento saette Mi striscian fra le chiome, e par che tutto Vada sossopra il ciel. No, non pavento, Empia Fortuna: invan minacci; in vano, Perfida, ingiusta Dea… Ma chi mi scuote? Con chi parlo? Ove son? Di Massinissa Questo è pur il soggiorno. E Publio? e il padre? E gli astri? e 'l cielo? Tutto sparì. Fu sogno Tutto ciò ch'io mirai? No, la Costanza Sogno non fu: meco rimase. Io sento Il Nume suo che mi riempie il petto. V'intendo, amici Dei: l'augurio accetto.
LICENZA.
Non è Scipio, o Signore, (Ah chi potrebbe Mentir dinanzi a te!) non è l'oggetto Scipio de' versi miei. Di te ragiono Quando parlo di lui. Quel nome illustre È un vel di cui si copre Il rispettoso mio giusto timore. Ma Scipio esalta il labbro e Carlo il core.
Ah perchè cercar degg'io Fra gli avanzi dell'obblio Ciò che in te ne dona il Ciel!
Di virtù chi prove chiede, L'ode in quelli, in te le vede: E l'orecchio ognor del guardo È più tardo e men fedel.
CORO. Cento volte con lieto sembiante, Grande Augusto, dall'onde marine Torni l'alba d'un dì sì seren:
E rispetti la diva incostante Quella fronda che porti sul crine, L'alma grande che chiudi nel sen.