Le tre sorelle

L’arrivo del signor “Ellery Smith” mise a rumore il gran mondo intellettuale di Wrightsville, costituito dalla signorina Aikin, bibliotecaria, che aveva studiato il greco; dalla signora Holmes, che insegnava letteratura comparata alla scuola superiore; da Emmeline Du Pré, soprannominata dagli irriverenti “il gazzettino della città”, la quale, tuttavia, era invidiata da giovani e vecchi per l’impagabile fortuna di essere vicina di casa del signor Smith. E infatti la villa Emmy Du Pré era situata accanto a quella di Ellery Queen.

Improvvisamente il movimento di automobili aumentò sulla strada della collina. L’interesse e la curiosità manifestati dai cittadini di Wrightsville erano tali, che Ellery non si sarebbe meravigliato nemmeno se la compagnia degli autobus avesse istituito un servizio turistico fino alla porta di casa sua.

Poi piovvero inviti. Inviti al tè, ai pranzi, a colazione.

Intanto il signor Queen se la svignava ogni mattina con Pat la quale, in pantaloni e maglioncino di lana, andava a rapirlo e lo conduceva con la propria decappottabile a esplorare la città e la contea. In breve il taccuino del signor Queen si riempì di bizzarre annotazioni, di frasi in gergo, di nomi di ritrovi diurni e notturni… insomma, di colore locale americano, edizione Wrightsville.

«Non so che cosa farei senza di lei» le disse Ellery una mattina mentre ritornavano dal Low Village. «Come fa a conoscere tutta questa strana gente?»

«Sono laureata in sociologia» rispose Patricia sogghignando. «E devo pur tenermi in esercizio…»

«A proposito; che cosa pensa di tutto ciò il signor Bradford, Pat?»

«Di me e della sociologia?»

«Di me e di lei.»

«Ah!» disse Patricia, scrollando le chiome con aria soddisfatta. «Carter è gelosissimo.»

«Davvero? Ma allora…»

«Non cominciamo con i bei gesti» l’interruppe la ragazza. «Carter ha avuto sempre il vizio di sentirsi troppo sicuro di sé, specialmente nei miei confronti. Siamo cresciuti assieme; un po’ di gelosia gli farà bene.»

«Non posso dire che questa parte di “reagente” amoroso mi garbi molto» mormorò Ellery sorridendo.

«Oh, non mi pianti in asso!» mormorò Patricia. «La sua compagnia mi diverte tanto.» Gli lanciò un’occhiata di traverso. «A proposito: sa che cosa dice la gente?»

«Che cosa?»

«Lei ha detto al signor Pettigrew di essere un famoso scrittore.»

«L’aggettivo è stato aggiunto dal signor Pettigrew.»

«Gli ha detto inoltre che non scrive col nome di Ellery Smith, che usa uno pseudonimo… ma non gli ha confidato qual è lo pseudonimo.»

«Veramente no.»

«E allora la gente dice che forse lei non è per niente un famoso scrittore» concluse Pat. «Bella cittadina, vero?»

«Quale gente?»

« La gente. »

«E lei mi crede un mistificatore?»

«Lasci perdere quello che credo io» ritorse Pat. «Però deve sapere che c’è una raccolta di fotografie di scrittori nella biblioteca Carnegie. La signorina Aikin dice che il suo ritratto manca.»

«Perché non sono ancora abbastanza famoso» spiegò Ellery.

«È quel che le ho detto io. La mamma è andata su tutte le furie al solo pensiero che lei non sia famoso, ma io le ho detto: “Mamma, che cosa ne sappiamo?” Poveretta, non ha chiuso occhio tutta la notte.»

Risero assieme, poi Ellery disse:

«A proposito: come mai non ho ancora fatto la conoscenza di sua sorella Nora? È malata?»

Pat diventò improvvisamente seria.

«Nora?» ripeté con voce atona. «No, sta benissimo. Ci vediamo più tardi, signor Smith.»

Quella sera Hermione diede un ricevimento intimo in onore dell’ospite illustre. C’erano soltanto il giudice Martin con la moglie Clarice, il medico Willoughby, il giornalista Frank Lloyd, Carter Bradford e Tabitha Wright, unica sorella vivente di John. Tabitha era la più altezzosa e la più formalista della famiglia Wright e non aveva mai “accettato” completamente la cognata Hermione. Lloyd e Bradford parlavano di politica, ma erano entrambi distratti. Carter lanciava continuamente occhiate velenose verso Pat ed Ellery seduti in disparte sopra un divanetto, mentre Lloyd guardava di continuo verso la scala del vestibolo.

«Frank aveva un debole per Nora, prima che arrivasse Jim» spiegò Patricia. «Non gli è ancora passata. Quando Nora s’innamorò di Jim Haight, non sapeva darsi pace.» Ellery osservò il giornalista, grande e grosso e un po’ scimmiesco, e pensò che poteva essere un pericoloso avversario. I suoi occhi infossati parevano d’acciaio. «Quando poi Jim ha piantato in asso Nora, Frank ha detto…»

«Che cosa?»

«Lasciamo andare» fece Patricia, balzando in piedi. «Come sempre, parlo troppo.»

E corse verso il signor Bradford per spezzargli un altro pezzettino di cuore. Pat portava un vestito da sera di taffetà turchino che frusciava leggermente.

«Milo, ecco il signor Ellery Smith!» disse Hermy in tono orgoglioso, avanzando col corpulento dottor Willoughby.

«Le piace la nostra città?» domandò il medico.

«Ne sono innamorato, dottore.»

«È una cittadina simpatica…»

«Per chi è largo di vedute» commentò il giudice Martin, avanzando a braccetto della moglie.

Martin era un ometto allampanato, dai modi alquanto bruschi.

«Non badi a quello che dice mio marito!» esclamò Clarice. «Questa sera è amareggiato perché ha dovuto mettersi lo smoking. Hermione, tutto è perfetto. »

«Oh, non ho fatto niente di straordinario» mormorò la signora Wright, inorgoglita. «Si tratta di un pranzetto intimo, Clarice.»

In quel momento apparve sulla porta Henry Clay Jackson per annunciare che il pranzo era servito. Henry Clay era l’unico maggiordomo “finito” di Wrightsville e le signore della buona società, con una forma di comunismo sforzato, se ne dividevano i servigi. Secondo una consuetudine inviolabile, Henry Clay doveva essere chiamato soltanto nelle grandissime occasioni.

«I signori» disse Henry Clay Jackson «sono serviti.»

Nora Wright apparve all’improvviso, mentre a tavola si stava servendo il dolce. Per un attimo il silenzio regnò nella sala, poi Hermione disse con voce tremante:

«Oh, Nora cara!»

E tutti le fecero coro.

Ellery fu il primo ad alzarsi. Frank Lloyd fu l’ultimo. Era paonazzo in volto. Pat si affrettò ad intervenire per togliere l’imbarazzo generale.

«Bell’ora di scendere a pranzo, Nora!» esclamò allegramente. «Ludie aveva preparato un arrosto meraviglioso, ma l’abbiamo finito! Signor Smith, ecco mia sorella Nora.»

Nora gli porse una manina fresca e fragile come un ninnolo di porcellana e disse in tono incerto, come se si fosse disabituata a servirsi della propria voce:

«La mamma mi ha parlato molto di lei.»

«E naturalmente ora ne è delusa» fece Ellery sorridendo; poi andò a prenderle una poltrona.

«Salve, Nora» disse Frank Lloyd quando la ragazza lo salutò; poi tolse di mano a Ellery la poltrona, col gesto più naturale del mondo.

Nora arrossì e si sedette con le mani abbandonate in grembo, come se fosse esausta. Le sue labbra pallide erano atteggiate a sorriso. A quanto sembrava, si era vestita con molta cura, perché l’abito che portava era perfetto quanto la pettinatura e le unghie smaltate di fresco. Ellery ebbe la visione di quella giovane chiusa nella sua camera, intenta a curare minuziosamente, quanto macchinalmente, tutti i particolari ai quali senza dubbio non dava importanza… tanto minuziosamente da arrivare a pranzo con un’ora di ritardo.

E ora che aveva raggiunto la perfezione, ora che aveva compiuto il supremo sforzo di scendere, sembrava come svuotata, quasi che la fatica fosse stata eccessiva e si fosse accorta che dopo tutto non ne valeva la pena. Ascoltò le chiacchiere di Ellery con un sorriso di circostanza, pallida in volto, senza nemmeno sfiorare il dolce che le avevano servito, né il caffè, e mormorando di quando in quando un monosillabo. Non sembrava annoiata, ma soltanto stanca… stanca al punto di non provare alcuna sensazione.

Poi, improvvisamente com’era venuta, si alzò e disse:

«Scusatemi.»

La conversazione cessò di nuovo. Frank Lloyd scattò in piedi e le spostò la poltroncina. La divorava con gli occhi. Lei gli sorrise, sorrise agli altri e uscì. Mentre varcava l’arco del vestibolo, affrettò il passo, poi scomparve. La conversazione riprese.

Il signor Queen era intento a vagliare mentalmente i vari piccoli episodi della serata, mentre s’incamminava verso la propria casa, nella tiepida oscurità. Le foglie dei grandi olmi mormoravano, e nel cielo brillava una luna che pareva un immenso cammeo. Sentiva ancora nelle narici il profumo dei fiori di Hermione. Ma quando vide la vetturetta accostata al marciapiede davanti alla sua casa, buia e vuota, parve che la dolcezza della sera incantevole svanisse. Qualcosa stava per accadere. Una nube velò la luna e il signor Queen procedette ai margini del prato; l’erba attutiva il rumore dei suoi passi. Sotto il porticato del villino c’era un minuscolo punto luminoso che a tratti si moveva.

«È lei il signor Smith?» domandò una voce da contralto in un tono leggermente beffardo.

«Sì, sono io» rispose Ellery, salendo i gradini. «Le dispiace se accendo la luce del porticato? È così buio!»

«Faccia pure. Sono curiosa di vederla… come lei del resto è curioso di vedere me.»

Ellery accese la luce. La donna era un po’ rannicchiata sul muricciolo pendente, di fianco alla gradinata. Lo guardava tra il fumo della sigaretta. I pantaloni di camoscio color tortora le aderivano alle cosce, e un maglioncino di cachemire le modellava il busto. Ellery ebbe subito l’impressione di trovarsi di fronte a un essere giovane, ma troppo maturo, spiritualmente, amareggiato. La donna ebbe una risatina nervosa e gettò via il mozzicone della sigaretta.

«Ora può spegnere la luce, signor Smith. Sono poco presentabile, e poi la mia famiglia si troverebbe in serio imbarazzo se sapesse che sono nelle vicinanze.»

Ellery obbedì.

«Dunque lei è Lola Wright.»

Era quella che era fuggita per poi ritornare divorziata. La figlia che i Wright non nominavano mai.

«Vedo che è ben informato.» Lola ebbe un’altra risatina che finì in un piccolo singhiozzo. «Mi scusi, è il settimo singhiozzo per il settimo whisky. Sa, sono famosa anch’io. Delle ragazze Wright sono quella che beve. »

Ellery scoppiò a ridere.

«Ho già raccolto qualche pettegolezzo.»

«Anch’io ho raccolto dei pettegolezzi sul suo conto e la credevo antipatico, ma devo ricredermi. Qua la mano!»

Lola si alzò, barcollò annaspando e si aggrappò al collo di Ellery. Lui la sorresse per un braccio.

«Ehi, avrebbe dovuto fermarsi al sesto whisky.»

La giovane gli pose le mani sullo sparato della camicia da sera e lo respinse energicamente.

«Se mi crede ubriaca, si sbaglia!» esclamò con forza, e tornò a sedersi sul muricciolo. «Dunque, signor celebre scrittore, che cosa pensa di noi tutti? Ha trovato materiale per un libro?»

«Certo!»

«Ha scelto il posto ideale.» Lola Wright accese un’altra sigaretta; la fiammella del suo accendisigari tremolava. «Wrightsville, la tipica città di provincia… pettegola, maliziosa, intollerante. Qui si trovano più panni sporchi in un metro quadrato che non in tutta New York e Marsiglia.»

«Non esageriamo» obiettò il signor Queen. «Ho girato un po’ dappertutto e mi pare che sia una cittadina piacevole.»

«Piacevole! È meglio che stia zitta! Questo è un vivaio di malvagità.»

«Ma allora perché è ritornata?»

Il puntino rosso della sigaretta di Lola si agitò rapidamente.

«Non è affar suo. Le piace la mia famiglia?»

«Moltissimo. Lei assomiglia a sua sorella Patricia… ha anche lo stesso fascino.»

«Con la differenza che Patricia è giovane, mentre in me la fiamma si sta affievolendo. Senta, signor Smith: non so perché sia venuto a Wrightsville, ma se farà amicizia con i miei familiari, ne sentirà molte sul conto della piccola Lola. A me non importa nulla di ciò che Wrightsville pensa di me, ma per un forestiero… la cosa cambia. Mi è rimasto un residuo di vanità.»

«La sua famiglia non mi ha ancora parlato di lei.»

«No?» Lola rise di nuovo. «Questa sera mi sento in vena di confidenze. Le diranno che bevo. È vero. Ho imparato a bere da… lasciamo andare. Le diranno pure che frequento i ritrovi più malfamati della città e, quel ch’è peggio, li frequento sola. Pensi un po’! Mi giudicano troppo spregiudicata. In realtà, faccio quel che mi pare, e tutti gli avvoltoi della buona società mi dilaniano con i loro artigli.»

Fece una pausa.

«Vuole bere qualcosa?» domandò Ellery.

«Ancora no. Non biasimo mia madre. Ha le idee ristrette come le altre signore di Wrightsville. Si preoccupa soltanto della propria posizione sociale. Tuttavia, se mi comportassi secondo le sue regole, mi accoglierebbe di nuovo. Il coraggio non le manca, lo riconosco. Ma non sono disposta ad assoggettarmi. La mia vita mi appartiene, e non tollero limitazioni! Mi spiego?» Rise ancora. «Avanti, mi dica che ha capito!»

«Ho capito» mormorò Ellery.

«Ora forse comincio ad annoiarla. Buona sera.»

«Vorrei rivederla.»

«No, addio.»

La ragazza cominciò a scendere la gradinata. Ellery riaccese la luce. Lola alzò un braccio per nascondere gli occhi.

«Posso almeno accompagnarla a casa, signorina Wright.»

«No, grazie. Sono…» si fermò di colpo.

La voce gaia di Patricia Wright chiamò tra le tenebre:

«Ellery, posso venire a darle la buona notte e a fumare l’ultima sigaretta? Carter è andato a casa e io ho visto la luce del porticato accesa…»

Anche Pat si fermò. Le due sorelle si guardarono.

«Ciao, Lola!» esclamò Pat. D’un balzo fu in cima alla gradinata e baciò la sorella. «Perché non mi hai avvertita che saresti venuta?»

Il signor Queen si affrettò a spegnere la luce.

Pat aggiunse in tono malinconico:

«Lola cara, perché non torni a casa?»

«Io andrei a fare due passi» mormorò Queen.

«No, no» fece Lola. «Me ne vado davvero.»

«Lola!» La voce di Pat era un po’ incrinata.

«Vede, signor Smith, Patricia ha la lacrimuccia facile» soggiunse Lola. «Da bambina piangeva per nulla.»

«Non sto piangendo» brontolò Pat soffiandosi il naso. «Ti accompagno a casa.»

«No, Patricia. Buona sera, Smith.»

«Buona sera.»

«Ho cambiato idea» riprese Lola rivolgendosi ancora a Ellery. «Può venire a trovarmi quando vuole… e a bere qualcosa con me. Arrivederci.»

Lola se ne andò. Quando il rumore della sua vecchia utilitaria sconquassata svanì in distanza, Patricia mormorò:

«Lola abita in una tana di due stanze nel Low Village, nella zona industriale. Non ha mai voluto accettare gli alimenti da suo marito, che è rimasto un furfante fino al giorno della sua morte, e non vuole accettare denaro da papà. La roba che porta ha per lo meno sei anni. Si mantiene dando lezioni di piano a mezzo dollaro all’ora.»

«Ma perché abita a Wrightsville? Che cosa l’ha indotta a ritornare dopo il divorzio?»

«Non lo so. Alle volte mi sembra quasi… che Lola sia venuta qui per nascondersi. Come al solito mi fa parlare troppo. Buona notte, Ellery.»

«Buona notte.»

Il signor Queen rimase a lungo con gli occhi fissi nelle tenebre. Sì, la trama andava prendendo forma. Era stato fortunato. C’erano tutti gli elementi. Ma il delitto… il delitto dov’era? Mancava oppure era già stato perpetrato?

Nella casa del malaugurio, Ellery si coricò. Aveva come la sensazione d’essere preso in un groviglio di eventi passati, presenti e futuri.

Nel pomeriggio di sabato, 24 agosto, quasi tre settimane dal giorno del suo arrivo a Wrightsville, Ellery stava fumando una sigaretta dopo pranzo, sotto il porticato della sua casa ed era intento a godersi lo spettacolo del tramonto, quando il tassì di Ed Hotchkiss salì la strada dalla collina a tutta velocità e si fermò con grande stridore di freni davanti alla casa dei Wright. Un giovanotto senza cappello balzò dalla macchina. Preso da una improvvisa agitazione, Queen si alzò per vedere meglio quello che succedeva.

Il giovanotto gridò qualcosa a Ed, salì la gradinata in due balzi e premette il pulsante del campanello. La vecchia Ludie aprì la porta. Ellery la vide alzare un braccio come per parare un colpo, poi scomparire seguita dal giovanotto. La porta si chiuse con un tonfo. Cinque minuti dopo fu riaperta violentemente; il giovanotto uscì di gran furia, risalì sulla macchina e gridò qualcosa all’autista.

Il tassì rifece la strada della collina.

Ellery Queen tornò a sedersi. Forse era come pensava lui. Avrebbe saputo ben presto. Patricia sarebbe arrivata di gran carriera… Ed eccola infatti.

«Oh, Ellery, se sapesse! Non indovinerebbe mai!»

« Jim Haight è ritornato » fece pacifico Queen.

Pat lo guardò a bocca aperta.

«Straordinario! Pensi, a tre anni di distanza! Dopo aver piantato in asso Nora!… Ancora non ci posso credere. M’è parso molto invecchiato. Voleva vedere Nora. Voleva sapere dov’era. Perché non scendeva? Sì, sapeva benissimo quel che mamma e papà pensavano di lui, ma per quello c’era tempo… Dov’era Nora? E intanto continuava ad agitare il pugno sotto il naso di papà e a saltellare da un piede all’altro come un pazzo.»

«E poi che cosa è successo?»

«Io sono corsa su ad avvertire Nora. È diventata pallidissima e si è abbattuta sul letto. Ha detto: “Jim?” poi ha cominciato a piagnucolare. Ha soggiunto che preferiva morire piuttosto che vederlo… che avrebbe fatto meglio a starsene lontano… che lei non l’avrebbe ascoltato nemmeno se si fosse prostrato ai suoi piedi. I soliti luoghi comuni. Povera Nora!»

Intanto anche Patricia minacciava di scoppiare in lacrime.

«Ho capito che era inutile discutere» continuò. «Nora è cocciuta quando ci si mette. Sono scesa per riferire a Jim il quale ha cominciato a smaniare e ha tentato di salire le scale, ma papà è andato in furia, gli ha sbarrato il passo e gli ha ordinato di uscire dalla casa. Be’, Jim avrebbe dovuto travolgere papà se avesse voluto passare e allora è scappato via di corsa gridando che presto o tardi vedrà Nora, a costo di farsi largo con bombe a mano. Io intanto era occupatissima per far riprendere i sensi alla mamma che molto opportunamente era svenuta. Ma ora devo tornare a casa subito!» Pat girò sui tacchi, poi si volse di nuovo. «In nome del cielo, perché mi viene sempre voglia di correre da lei a raccontarle i particolari più intimi degli affari di famiglia, signor Ellery Smith?»

«Forse perché ho una faccia da buon samaritano» rispose Ellery sorridendo.

«Sciocchezze! Crede che io sia inn…» si morse le labbra e scappò via.

Il signor Queen accese un’altra sigaretta con mano malferma, poi rientrò in casa e tirò fuori la macchina per scrivere.