INDICE
Atto PrimoAtto SecondoAtto TerzoAtto Quarto
I FANTASMI
Dramma in quattro atti
rappresentato per la prima volta il 18 novembre 1906 al teatro Sannazzaro di Napoli dalla Compagnia Stabile di Roma. PERSONAGGI:
- Il professore Raimondo Artunni
- Giulia , sua moglie
- La signora Marnieri
- Luciano , suo figlio
- La signora Gilberta Mirelli
- La marchesa Antonucci
- Adalgisa
- Donna Sofia
- Faustina
- Suora Elisabetta
- Una vecchia
- Manlio , Roberto , Almerico , Paolo , Ernesto , discepoli del professor Raimondo Artunni
- Altri discepoli di lui
- Giuseppe , vecchio servo del professore.
ATTO PRIMO.
Il salotto della dimora di campagna del professor Raimondo Artunni. Non eleganza, ma una signorilità severa, quasi solenne, e una certa aria di casa antica. Sembra un po' la stanza di un vecchio castello. Le suppellettili hanno lo stesso carattere. Verso il lato destro, una tavola su cui è un vaso contenente pochi fiori, qualche pila di libri rilegati, un campanello a timbro. Accanto alla tavola, una poltrona di pelle scura. In mezzo alla parete di fondo, la porta comune, che dà adito a un altro salotto più piccolo. Nella stessa parete, a destra della porta, una finestra, da cui si vede la campagna. Un'altra porta alla parete destra, un'altra a quella sinistra: tutte e due al primo piano della prospettiva scenica.
SCENA I.
IL VECCHIO SERVO GIUSEPPE, MANLIO e LUCIANO.
Giuseppe
(entrando, lento, dalla comune) Abbiano la compiacenza di aspettare qui.
(Lo seguono Manlio e Luciano. — Manlio porta in petto un piccolo fiore con qualche fogliolina.)
Giuseppe
(preoccupato) Si accomodino; ma... vedranno che, come ho già loro avvertito, non potrò annunziarli al professore.
Manlio
Se il professore è impedito davvero, annunziateci a sua moglie.
Giuseppe
Cercherò di accontentarli.... Non mi hanno ancora detto chi devo annunziare....
Manlio
(indicando Luciano) Non vi ricordate neppure di Luciano Marnieri?
Giuseppe
Di lui sì che me ne ricordo.
Manlio
E il suo nome basta. Io sono una quantità trascurabile.
Luciano
Scusa, perchè proprio il mio nome?
Manlio
(canzonandolo) O cielo! «Perchè proprio il mio nome?» Sei stato l'assistente prediletto del professor Artunni. È semplice. Ci riceverà più facilmente.
Luciano
Io mi sono unito a te perchè i nostri compagni lo hanno voluto: non per mia iniziativa.
Manlio
E che c'entra questo?
Luciano
Per me, c'entra.
Manlio
(spazientito, al servo:) Va bene. Annunziate: «due discepoli del professor Artunni». Niente altro.
Giuseppe
(senza affrettarsi, esce a sinistra, aprendo la porta con circospezione e richiudendola sùbito.)
Luciano
In verità, a me pare inutile di parlare con lei. Potremmo andarcene per poi tentare un altro giorno.
Manlio
Andarcene, dopo esserci fatti annunziare?! Sei matto. Sarebbe una bella sconvenienza.
Luciano
(ha un gesto di condiscendenza forzata.)
Giuseppe
(ritornando) La signora verrà a momenti. (Mogio mogio, esce dal fondo.)
Manlio
Ma questo vecchietto è diventato d'una ipocondria allarmante! L'aria della campagna gli è deleteria! Già, ho constatato che avvicinandoci a questa casa non abbiamo più vista una faccia allegra. Ma che ha tutta questa gente?
Luciano
(astratto, si è accostato alla finestra, contemplando l'orizzonte.)
Manlio
Non so se hai notato che anche quella contadinotta paffutella, ch'era quaggiù a guardia del giardino, malgrado la sua abbondante salute, aveva un aspetto molto malinconico. Stesa sulla paglia, con in mano la codetta del maiale che la voleva fuggire, pareva Arianna sul punto d'essere abbandonata da Teseo. «Bella ragazza, è questa la casa del professor Artunni?» Ha risposto un sissignore che mi si è messo come una pietra, qui, sulla bocca dello stomaco. E sai perchè poi le ho chiesto come si chiamasse? Perchè ho sperato di vederla sorridere. Tutte le contadine sorridono quando pronunziano il loro nome. O chiamarsi Mariantonia o chiamarsi Eufemia, per esse è sempre un vivissimo piacere. Ma la fanciulla del maiale ha pronunziato un Carolina con la profonda mestizia con cui avrebbe potuto dire di chiamarsi Ofelia. (Pausa) Che guardi con tanta attenzione?
Luciano
Nulla.
Manlio
Non si vede la nostra comitiva?
Luciano
(distratto) No. (Si scosta come per cedergli il posto.)
Manlio
Sì che si vede. Eccola lì: dove il prato è più verde. Ma che fanno? Sembra che stiano a pascolare come pecore. Hai sentito la promessa di Roberto?... Se non riesce a trovare un trifoglio a quattro foglie, paga la colazione per tutti. Ma io ci scommetterei la testa che non pagherà nemmeno un panino gravido, perchè egli troverà magari un trifoglio a cinque foglie. Capacissimo! Vuoi vedere fino a che punto è fortunato quel ragazzo lì?... Senti questa.
(Entra Giulia dalla sinistra, curando di chiudere la porta.)
SCENA II.
MANLIO, LUCIANO, GIULIA.
Luciano
(che guardava da quella parte, vedendo Giulia, tira per la giacca Manlio per farlo tacere, e, timidamente, rispettosamente, s'inchina) Signora....
Manlio
(voltandosi sùbito, striscia una riverenza con vivacità) I nostri ossequi, Signora Artunni.
Giulia
(salutando con un cenno del capo) Desiderano?
Manlio
Lei, naturalmente, non ha riconosciuto che l'insigne benchè venticinquenne dottor Luciano Marnieri. (A lui:) Ringrazia quando ti do dell'insigne. (A Giulia:) Egli è stato per un anno l'occhio destro del professore suo marito, e quindi lei ha avuto per un anno il fastidio di vederselo fra i piedi. Ma sono sicuro che di questo chiacchierone (accennando a sè stesso) che la sta importunando, lei non ricorda nè il nome, nè la fisonomia.
Giulia
(seria) La fisonomia, sì; ma mi perdonerà: non ho in mente i nomi di tutti gli allievi di mio marito.
Manlio
(presentandosi) Manlio Ardenzi, di professione laureando in medicina. Laureando da parecchi anni, e, credo, per tutta la vita.
Luciano
Non infastidire la signora con le tue celie. Dille invece lo scopo della nostra venuta.
Manlio
E parla tu. Chi te lo impedisce?
Luciano
(redarguendolo con cortesia) Manlio, ti prego!...
Manlio
Già, è inutile: l'oratore della situazione sono io. E la signora mi permetterà un po' di buonumore, perchè oggi ha da essere una giornata di festa per noi. Lei avrà bell'e capito, signora, che noi siamo qui... per essere ricevuti dal professore. E non si è in pochi, sa. Noi due formiamo il drappello d'avanguardia. Il grosso dell'esercito... sta lì, a pascolare, e aspetta i nostri cenni per dar l'assalto al castello. Il nostro primo progetto era di giungere tutti all'impensata. Ma poi è prevalso il parere dei più prudenti. Si è detto: «In fondo, il professore è in campagna con sua moglie per non essere disturbato e per godersi con lei questa bella primavera: noi quindi non dobbiamo commettere troppe indiscrezioni». E non creda che io scherzi, adesso. Oh no! Le dico sul serio che tra noi discepoli del professor Artunni l'adorazione ch'egli le tributa è proverbiale. E anzi, veda, proprio questa adorazione, che lui tiene a dissimulare come un giovanettino timido dissimula il suo primo amore, ha sempre dato a quell'uomo, così austero nella scienza, delle gentili sfumature d'ingenuità che più ce lo hanno reso caro. (Celiando di nuovo un po', con effusione cordiale) Tutto questo sta bene. Ma l'adorazione per sua moglie non deve toglierlo a noi. Ah, egli ci ha abbandonati? Ha voluto lasciare la cattedra? Ha voluto lasciare i suoi pupilli, come lui stesso ci chiamava, per venire qui, in campagna, a fare.... A fare che cosa? Il Cincinnato?... Altro che Cincinnato, sa!...
Luciano
(severamente) Manlio!
Manlio
E no: fammi dire. È meglio ch'io mi sfoghi prima del ricevimento ufficiale. E poi, visto che ho il piacere di parlare con la signora, ne approfitto per ottenere il suo appoggio. (A Giulia, con serietà:) Certo, una donna che ha così nobili sentimenti sarebbe addolorata come noi se suo marito si sottraesse davvero alla missione che l'ingegno gli ha assegnata. Non ho ragione, signora Artunni, di sperare che lei ci aiuterà a farlo tornare in mezzo a noi?
Giulia
(ha ascoltato con gran pena le parole scherzose e le buone parole espansive, stando con le spalle quasi voltate a Manlio e a Luciano come per un ritegno della sua commozione; e finalmente, a questa domanda, si decide a rompere il suo silenzio.) Vedo bene che lei e i suoi compagni non sanno ancora nulla.
Luciano
(notandone l'espressione triste) Di che?!
Manlio
Lei ci impensierisce.
Giulia
Il povero Raimondo è così ammalato che, se pure volesse, non potrebbe più tornare tra loro.
Luciano
(a un tratto diventa pallidissimo.)
Manlio
(inquieto) Ammalato da quando?
Giulia
Chi lo sa! Per molto tempo egli ha nascosta a tutti la sua malattia. La nascondeva anche a me. Credo anzi che per nasconderla a me si affaticava a nasconderla agli altri. Solo l'anno passato, poco prima di prendere la decisione di ritirarsi in questa nostra vecchia casa di campagna, mi rivelò di essere in balìa di una tisi inguaribile. Ricorderanno che per più d'un mese non uscì di casa. Quando loro venivano a trovarlo, egli si sforzava di sembrare gaio, sereno. E se qualcuno notava il suo deperimento, egli si affrettava ad assicurare che era un deperimento causato da un eccesso di lavoro. Ma precisamente dopo quel periodo egli rinunciò a celarmi la verità. Ed ora mi ripete ogni giorno che non c'è nessuna speranza di salvezza.
Luciano
(ha un brivido visibile, una contrazione nel volto.)
(Breve silenzio.)
Manlio
Ma non è improbabile che un po' di esagerazione ci sia in tutto ciò. Lei gli è così attaccata che esagera senza volerlo, ovvero non fa la tara alle esagerazioni di lui. Ed egli... sì, è un grande medico, ma è pure un uomo nervoso, suggestionabile.... Può egli avere la sua consueta percezione trattandosi di sè stesso?
Giulia
Si esamina e si studia con una esattezza che atterrisce.
Manlio
Ma la calma necessaria per curarsi....
Giulia
Il desiderio intenso di prolungare la vita vale in lui molto più della calma.
Manlio
Nondimeno, si dovrebbero invitare degli altri medici autorevoli.... Si dovrebbe tenere un consulto.... Non so.... Qualche cosa bisogna fare. Non è così, Luciano?.. Qualche cosa bisogna fare!
Luciano
(col corpo come impietrito, le labbra livide, non può profferire una sillaba.)
Giulia
Ho tanto insistito!
Manlio
Noi gli imporremo di ascoltare i consigli dei suoi colleghi migliori.
Giulia
Vedranno che non vorrà, dicendo che oramai è inutile.
Manlio
Ma tu ci pensi, Luciano? Tu ci pensi?... E noi che venivamo qui allegramente per tempestarlo di preghiere, di rimproveri e di entusiasmo e per levarlo in trionfo sulle nostre braccia!... (A Giulia:) E dica, dica in cortesia, signora: potrà egli riceverci? Noi, s'intende, vorremmo ossequiarlo, vorremmo almeno vederlo; ma se lei teme, se lei non lo crede opportuno....
Giulia
Io suppongo che riceverà volentieri i suoi buoni discepoli. La loro visita gioverà, se non altro, al suo morale.
Manlio
È a letto?
Giulia
In questo momento riposa, perchè nella notte non ha avuto requie. Ma, di solito, o è lì rinchiuso nel suo studio a lavorare o è in giro per la casa, attivo, agitato, vibrante, in una sovraeccitazione continua, e mostra tale una vigoria che a vederlo e a parlare con lui non è possibile credere alla gravità del suo stato. È un fenomeno strano.
Manlio
Io sostengo che, se egli dispone di tanta vitalità, il caso non è così disperato come asserisce lui.
Giulia
Che vuole che le dica!...
Manlio
Allora, senta, noi andiamo ad avvertire i compagni. Oh, che schianto ne avranno!... E fra mezz'ora, saremo qui tutti. Poi, se non potremo vederlo subito, aspetteremo ancora, o ce ne andremo per ritornare più tardi.... Insomma, quando ci avrà annunziati, deciderà lei stessa. Noi ci mettiamo completamente a sua disposizione, e lei deve figurarsi di avere in noi... oso dire... dei fratelli, ecco.
Giulia
Grazie, ne sono persuasa.
Manlio
Vada, vada. Potrebbe essersi svegliato.
Giulia
No. Se si fosse svegliato, certamente mi avrebbe fatta chiamare. (Accomiatandosi) Permettano.
Manlio
A ben presto, dunque.
Luciano
(senza guardarla e senza poter pronunziare un saluto, s'inchina.)
Giulia
(esce a sinistra, aprendo e richiudendo la porta, cautamente.)
SCENA III.
MANLIO e LUCIANO.
Manlio
(mettendosi le mani in testa) Io ho come l'impressione di un sogno!... Non era prevedibile! Assolutamente, non era prevedibile! (Breve pausa di desolazione.) E d'altronde, non c'è da dubitarne. Così è!... Su, Luciano! Andiamo.
Luciano
(cercando di dissimulare il tremito da cui è preso) Sì, Manlio. (Fa qualche passo. Poi si ferma.)
Manlio
Ebbene?
Luciano
Aspetta un momento. Aspetta che io mi calmi. Quella notizia mi ha....
Manlio
Eh, lo capisco. Egli aveva tanta bontà per te!
(Tutti e due parleranno moderando molto la voce, in una concitazione crescente.)
Luciano
Sarebbe forse più giudizioso consigliare ai nostri compagni di non venire a turbare questo disgraziato.
Manlio
Sua moglie ci ha detto che forse egli ne avrà qualche sollievo.
Luciano
Costringerlo a riceverci, costringerlo a dirci ch'egli è un povero condannato al quale non restano a vivere che pochi mesi o pochi giorni, a me pare una vera crudeltà.
Manlio
Ma, scusa, perchè non l'hai espressa dinanzi a sua moglie questa opinione? Ti sei ammutolito. Non hai saputo nemmeno balbettare una frase di rammarico....
Luciano
Ero così funestato, ero così sconvolto....
Manlio
E adesso, mio caro, non possiamo ritrarci. Animo, Luciano! Non perdiamo più tempo! I nostri compagni erano d'una allegria bambinesca. Si adornavano di fiori e di frasche come per andare a uno sposalizio. Senza essere informati, potrebbero giungere facendo del chiasso, e ciò sarebbe una stonatura insopportabile.
Luciano
Ma bada ch'io ho risoluto che con voi non ci sarò.
Manlio
Ragione di più, intanto, per venir via.
Luciano
Prima d'andarmene... vorrei almeno giustificarmi con la sua signora.
Manlio
Oh, alle corte: lascia che io te lo dica francamente: questa tua risoluzione è odiosa!
Luciano
Non ho il coraggio di vederlo così ammalato, Manlio, non ho il coraggio di stare lì a guardarlo e ad ascoltarlo pensando che tra breve egli dovrà sparire.
Manlio
Ma questa è una sensibilità che confina con la debolezza.
Luciano
(in uno scatto involontario, ma sommessamente) No, no, Manlio! Non è debolezza! Non è debolezza! È coscienza.
Manlio
(sorpreso) È coscienza!?
Luciano
E il più grave è che, mentre sento che non potrei arrischiare di trovarmi alla sua presenza perchè non ci resisterei, io sono qui inchiodato animo e corpo, sono qui come per un bisogno invincibile di aspettarlo, di parlargli, di gittarmi in ginocchio dinanzi a lui.
Manlio
(anche più vivamente sorpreso) E per quale motivo?
Luciano
... Non lo so....
Manlio
Non lo sai!
(Breve pausa.)
Luciano
(quasi aggrappandosi a lui con le mani nervose) Manlio!...
Manlio
(spaventato) Luciano?
Luciano
(abbassando di più la voce fremente) Tu mi hai sempre creduto un uomo buono?
Manlio
Il più buono degli uomini.
Luciano
E se invece io fossi un infame?
Manlio
Non dire delle sciocchezze! E, del resto, non ci può essere alcuna relazione fra queste tue parole pazze e il fatto di cui ci stiamo occupando.
Luciano
(parlandogli sul viso, col fiato cocente, con gli occhi iniettati di sangue) Vuoi sapere la relazione che c'è? Vuoi inorridire? Vuoi disprezzarmi come mi disprezzo io?
Manlio
Ma non ti eccitare così. Ricordati dove siamo!
Luciano
(continuando freneticamente, con voce soffocata) Quando la signora Giulia ha annunziata la malattia mortale di suo marito, nel mio turbamento c'era un moto istintivo di egoismo nefando!
Manlio
Che cosa bestemmii?!
Luciano
In quell'istante, io sono stato invaso dalla cupidità d'una passione insensata contro cui da tanto tempo combatto!
Manlio
(sgranando gli occhi) Una passione che tu nutri per lei?!...
Luciano
Sì, per lei, per lei, e m'è parso che la morte di quell'uomo mi avrebbe forse permesso....
Manlio
(interrompendolo e mettendogli sulla bocca il pugno stretto in una contorsione di raccapriccio) No! Non ti voglio ascoltare!... (Poi, come preso da un timor panico) E questa signora...?
Luciano
(con l'urgenza di rassicurarlo) Nulla! Nulla! Non una parola, non uno sguardo d'incoraggiamento.
Manlio
Ma dunque tu hai smarrito perfino il senso della logica!
Luciano
E tu vorresti trovare la logica in ciò che è un mistero anche per me? Avevo passati i miei anni di adolescente fra i dibattiti del mio spirito solitario senza nemmeno pensare all'esistenza delle donne.... Quando conobbi lei, provai quello che proverebbe un cieco nato vedendo per la prima volta la luce.... E da allora vivo come un ossessionato. Io non so dirti che questo.
Manlio
E adesso... volevi giustificarti con lei... affinchè ella t'indovinasse?!...
Luciano
(covrendosi il volto con le mani) Infame sino a questo punto poi no! Io non avrei avuto l'impulso di rivelarti tutto se in me non fosse sopravvenuto sùbito il ribrezzo di me stesso.
Manlio
Per ora, tu mi seguirai. E giacchè la tua assenza sarebbe notata da lui, tu tornerai insieme con noi e compirai il tuo dovere. Al resto ci penseremo dopo. Ti allontanerai da questa casa, ti allontanerai da questa città, andrai ad abitare in un altro paese, e così, per forza maggiore, ogni pericolo di turpitudine sarà scongiurato.
Luciano
(spasimando, ma con fermezza) Io ti giuro che lo farò!
Manlio
(allarmandosi ed incalzando) Per carità, sento la sua voce! Se t'incontrassi con lei, avrei paura della tua commozione come dell'audacia d'un malfattore.
Luciano
Non contribuire tu pure a farmi perdere la fede nella mia onestà!
Manlio
(afferrandolo violentemente per un braccio) E vieni con me, perdio! Vieni con me!...
Luciano
Vengo, sì... vengo....
Manlio
(quasi trascinandolo, esce con lui.)
(Qualche istante di vuoto.)
SCENA IV.
GIULIA e RAIMONDO. — Indi GIUSEPPE.
Giulia
(entra dalla sinistra con passo affrettato, come se cercasse un rifugio e siede mormorando:) Come mi tortura! (Piange, con la testa fra le mani, un pianto senza singhiozzi.)
(Silenzio.)
Raimondo
(entra dalla medesima porta, livido e smunto, e si ferma diritto, con le mani piantate sulla spalliera d'una sedia.)
Giulia
(accorgendosi di lui, leva la testa e non piange più.)
(Ancora silenzio.)
Raimondo
(senza ira, senza rancore) Te ne sei scappata?
Giulia
(ha un lievissimo gesto di diniego affettuosamente gentile.)
Raimondo
Sei venuta qui per piangere?
Giulia
Sì... è vero... volevo piangere.
Raimondo
Perchè?
Giulia
Perchè! (Dolce) Sempre la stessa punta nelle tue parole! Sempre la stessa punta nei tuoi sguardi! Ti svegli come ti addormenti. E sempre da capo a interrogarmi, a scrutarmi, a guardarmi stranamente.... È naturale che qualche volta mi venga da piangere.
Raimondo
Non è una ragione per nasconderti.
Giulia
Io non ti vorrei nascondere che le mie lagrime.
Raimondo
Anche se non le vedessi, io lo saprei di essere il tuo tormento. (Pausa) Povera creatura! Quanto ti faccio soffrire!
Giulia
Sono specialmente le sofferenze tue che mi fanno soffrire.
Raimondo
E dell'eterna inquisizione, a cui ti sottopongo, non soffri tu forse?
Giulia
Sì, ma il peggio è che la tua inquisizione m'intimidisce, mi mette addosso un tremito nervoso, mi vieta di assisterti con la forza e con la serenità che sarebbero necessarie. Questo, questo è il peggio, Raimondo.
(Pausa.)
Raimondo
E, purtroppo, sarà incessantemente così! Fino all'ultimo!... Sentendo approssimarsi la catastrofe, appunto in questi giorni, avevo risoluto di fingermi abbastanza tranquillo: m'ero prefisso di risparmiarti la continua inchiesta che ti fa tremare. Volevo crearti l'illusione che io mi fossi liberato, in certo modo, dagli artigli d'una gelosia indomabile. E questa illusione, guarda, io te la volevo creare un po' per dare tregua a te e un po' per preparare a me un'agonia meno orribile: un'agonia soccorsa dalle tue braccia non più tremanti e dalla tua bontà non più adombrata dal rancore. E intanto neppure il beneficio ch'io mi ripromettevo dalla mia finzione è bastato a trattenermi, perchè, anzi, l'avvicinarsi della fine ha centuplicata la mia frenesia. Sino all'ultimo io ti tormenterò, e quando, nel momento del distacco, io ti chiederò il conforto della tua indulgenza e della tua pietà, tu, invece, non saprai che maledirmi!
Giulia
No, Raimondo mio: tutta l'indulgenza, in ogni istante della vita mia, e tutta la pietà a chi mi ha fatto penare per avermi troppo amata.
Raimondo
Ebbene, per la pietà che vuoi concedermi, non cercare adesso di opporti a questo mio pazzo bisogno d'indagare, perchè la sete d'indagine, che mi consuma più della tisi, mi soffocherebbe addirittura se tu m'impedissi di guardare nei più profondi recessi dell'animo tuo. Tanto, alle unghie della gelosia è inutile tentare più di sottrarmi. Fui geloso sin dal giorno in cui ti sposai, e quel giorno tu eri un fiore d'innocenza, appena sbocciato. In dieci anni di unione tu sei stata una moglie affettuosa, paziente, perfetta, e, nondimeno, in questi dieci anni io non ho mai cessato di essere geloso, e ti ho oppressa, ti ho sorvegliata e talvolta ti ho perfino tenuta come una prigioniera. Ti giudicavo io capace di tradirmi? No. Avevo forse qualche vago sospetto? No! No! Ti assicuro di no! Ma il vero geloso, Giulia, non attende nè la denunzia, nè la calunnia, nè un qualunque indizio di tradimento per sentire la necessità di chiudere in una custodia di ferro la donna per cui vive. Chi crede che la gelosia nasca soltanto col sospetto, non la conosce no, non la conosce questa malattia diabolica! La gelosia nasce, nel cuore di chi ne ha l'istinto, insieme con l'amore, strettamente congiunta all'amore, e diventa tirannica, diventa mostruosa, diventa immensa, se l'amore è immenso!
Giulia
Non ti dicono nulla, proprio nulla, dieci anni di fedeltà?
Raimondo
Tu... mi vedesti medico e benefattore presso tua madre, che moriva, e mi sposasti perchè io volli salvarti dai pericoli della solitudine e della povertà. La fedeltà tua è stata esemplare, lo riconosco; ma era fatta di gratitudine, che è il sentimento che meno somiglia all'amore. E poi dimmelo tu, dimmelo tu, se lo sai, dove cominci, precisamente, l'infedeltà. Comincia dalla dedizione, dalla caduta, dall'abbandono completo del corpo, o comincia già dal desiderio al quale si resiste sentendo il peso del sacrifizio? Comincia dall'infrazione brutale del proprio dovere o già dal turbamento intimo che spesso non si lascia sorprendere nemmeno dalla coscienza? Tu non lo sai, e, se pure lo sapessi, preferiresti forse, prudentemente, di non dirmelo. Del resto, il dubbio che più mi martella non riguarda ormai nè il passato, nè il presente. Finchè vivo io, tu non mi tradirai. Questo è assodato. Ma... dopo?
Giulia
(con uno sguardo di meraviglia e di spavento) Che altro pensi, adesso?!
Raimondo
(accendendosi in questa interrogazione) Dopo?!... Dopo?!... Ecco qual'è il mio martirio nuovo, a paragone del quale quello dei dieci anni trascorsi è stato una festa. Ecco qual'è il martirio che la visione della morte è venuta ad impormi e che nell'agonia mi darà spasimi a cui non è mai stato condannato un agonizzante!
Giulia
(assorgendo desolata ed energica) Per amor di Dio, Raimondo, stràppati dal cervello quest'altro pensiero, perchè esso ci getterebbe tutti e due in una fornace ardente!
Raimondo
(andando a lei eccitato, convulso, delirante) Ma come, come strapparmelo dal cervello se qualunque tua affermazione rassicurante non avrebbe per me, dinanzi all'avvenire ignoto, nessuna importanza?
Giulia
Tu non sospettasti mai che io ti potessi mentire. Mai! Mai! La probabilità della menzogna, tra me e te, è stata esclusa dal primo momento della nostra convivenza, ed una irremovibile persuasione di sincerità scambievole fu ed è tuttora l'unico rifugio delle nostre anime, l'unico spiraglio della nostra povera casa così piena di tristezza.
Raimondo
E che mi giova, che mi vale la tua sincerità di ieri? Che mi vale la tua sincerità di oggi? Oggi, sì, tu dici di sentirti mia per l'eternità, ed io voglio ammettere, voglio credere, voglio credere ciecamente che oggi davvero tu non sapresti nemmeno concepire di non essere legata alla mia memoria dopo la mia morte come sei stata legata alla mia persona durante la mia vita. Ma quale lavorio, quale trasformazione compirà il tempo nel tuo cuore, nella tua mente, nella tua carne? Quale influenza eserciteranno su te le tentazioni che dovrai affrontare quando io sarò sparito?
Giulia
Non ci sono tentazioni per chi non vuole averne.
Raimondo
Tu le fuggirai, non è vero?
Giulia
Sempre, Raimondo!
Raimondo
T'inseguiranno dovunque! E anche prima d'inseguirti non ti consentiranno di metterti in fuga! Per resistere certamente alle tentazioni che ti si affolleranno intorno, dovresti essere cieca, dovresti essere sorda, dovresti non avere sensibilità di donna, dovresti non avere nervi, dovresti non avere sangue.... Oh come ti vedo, sola, nella lotta funesta!... E come già mi sembra di guardarti dal mio sepolcro! (Toccandosi il petto quasi volesse squarciarselo) Dio, che lacerazioni qui dentro! Che punture infernali!
Giulia
(disperatamente) Raimondo, fammi la grazia di strapparti questo pensiero dal cervello!
Raimondo
(gridando) Io mi venderei l'anima per poter morire con la sicurezza assoluta di non essere tradito! (Si getta affranto sulla poltrona.)
Giulia
(sedendo anche lei, abbattuta, scoraggiata, esausta) Che strazio! Che strazio!
(Un lungo silenzio.)
Giuseppe
(sta per entrare dalla comune, ma s'arresta sotto l'arco della porta, chiamando, prudentemente, con poca voce:) Signora! (Pausa) (Poi un po' più forte) Signora!...
Giulia
(scuotendosi, si volta) Dite pure, Giuseppe.
Giuseppe
(entra, avanzandosi.)
Giulia
(gli si accosta.)
Giuseppe
(pianissimo) Quei due di stamattina sono tornati con i loro amici.
Giulia
(titubante e parlando ugualmente piano) Ora non so se....
Giuseppe
Dirò loro di pazientare un poco?
Giulia
Sì, Giuseppe. Pregateli di pazientare.
Giuseppe
(esce.)
Raimondo
(ha visto Giulia confabulare col servo, ma non ha colte le parole. Trasognato, le chiede:) Che voleva Giuseppe?
Giulia
... I tuoi discepoli, che, come ti ho detto, avevano espresso il desiderio di ossequiarti, sono di là e attendono una risposta.
Raimondo
(recisamente) Non li ricevo! (Breve pausa) La loro presenza in casa mia... mi avvilirebbe di più. Io ne avrei la sensazione d'una minaccia. (Con le lagrime agli occhi) Essi sono coloro che, come te, mi sopravviveranno lungamente....
Giulia
Ti adorano.
Raimondo
Che importa! Hanno nell'animo tutto l'ardore dell'età bella e rappresentano dinanzi a me il fascino e le seduzioni della giovinezza, che sarà la mia grande nemica! Appunto dalla giovinezza, Giulia, tu sarai tentata e messa alla prova: dalla giovinezza, che sa amare e sa farsi amare.... (Piange.)
Giulia
Raimondo!... (Lo abbraccia, lo bacia, lo carezza, piange con lui.) Raimondo!...
Raimondo
Sì, baciami, carezzami.... Piangi con me.... Mi fa tanto bene! (Poi asciugandosi gli occhi) Lo vedi che è meglio quando piangi senza nascondere le tue lagrime? Io divento più ragionevole. Ora, per esempio, convengo che non devo essere cattivo con quei bravi ragazzi. E, non solo li riceverò affettuosamente, ma anche li intratterrò su certe cose molto interessanti, che da qualche tempo avevo l'intenzione di comunicar loro. Vengano, dunque. Io li aspetto.
Giulia
(si avvia verso il fondo.)
Raimondo
(vedendola avviarsi, ha un moto infrenabile, di cui attenua l'espressione nell'accento mitissimo) No.... Non andarci tu. Li farò chiamare da Giuseppe.
Giulia
(si ferma.)
Raimondo
(suona il campanello che è sulla tavola.)
Giuseppe
(ricompare sotto l'arco della porta) Sono qui, eccellenza. (E resta discretamente, sulla soglia.)
(Pausa.)
Raimondo
(a Giulia, dopo una reticenza timida, quasi temesse di essere compreso:) Non ti ritiri nella tua stanza?
Giulia
(con bontà) Sì, Raimondo. (Fa per andare.)
Raimondo
E... te ne vai così?
Giulia
(ritorna a lui, gli dà un bacio in fronte con tenerezza compassionevole, e quindi lentamente esce a sinistra.)
Raimondo
(la segue con lo sguardo di sottecchi; e, quando ella è sparita, rivolge la parola a Giuseppe, senza guardarlo, con la voce tremola, a cui cerca di dare una intonazione ferma e serena:) Giuseppe..... dite a quei giovani..... che possono entrare.
Giuseppe
(esce dal fondo.)
(Sipario.)
ATTO SECONDO.
Lo stesso salotto.
SCENA I.
RAIMONDO e I SUOI DISCEPOLI.
( Raimondo è seduto tuttora sulla poltrona accanto alla tavola. Attorno a lui, ma non troppo dappresso, in piedi, sono i suoi discepoli. Una dodicina. Il più discosto è Luciano, la cui figura, appartata, accasciata, immobile, con la faccia bianca, con gli occhi che di sbieco guardano Raimondo senza mai volgersi altrove, si distingue sùbito fra quelle degli altri. Essi hanno atteggiamenti vari, tra di angoscia e di attenzione intensa. Sui loro volti giovanili nessun lume di sorriso; e quel loro aspetto grave e triste contrasta con la gaiezza dei loro abiti primaverili, sui quali spiccano i ciuffetti d'erbe e di fiori pratensi messi all'occhiello o cacciati nelle saccocce delle giacche un po' in disordine.)
Raimondo
(ha già parlato con vivacità, ed ora tace per riprendere lena.)
( Tutti tacciono con lui, in attesa ch'egli continui.)
Raimondo
Concedetemi qualche altro momento di riposo.
Paolo
(mite e premuroso) Voi non dovreste parlare tanto, professore. Vi nuoce.
Raimondo
Vi assicuro di no.
Roberto
(ai compagni, con voce discreta) Ma quest'aria rarefatta gli fa mancare il respiro. Siamo in troppi qui dentro.
Almerico
Si potrebbe aprire la finestra.
Raimondo
E sì: aprite la finestra. Fate che mi prenda anch'io un poco di questa primavera. (Girando lo sguardo sui discepoli) Voi ve ne siete già fregiati.
(Qualcuno, senza far rumore, apre la finestra.)
(Il silenzio si protrae sulla immobilità e sul raccoglimento di tutti.)
Raimondo
(respira allargando il torace. — Quando si sente ben rinfrancato, continua.) Vi dicevo, dunque, che, per mia volontà, voi sarete i miei eredi....
Manlio
(osando d'interrompere) Ma perchè occuparvi oggi di queste cose? Siete ancora così energico! Siete ancora così vivo! Basta guardarvi in faccia per vedere che la vostra energia non sarà esaurita nè domani, nè fra un mese, nè fra un anno....
Raimondo
Credo assai prossima, caro Manlio, una crisi mortale. So bene ciò che dico. Questo deve essere il giorno del commiato. Oggi, nel perfetto dominio della mia ragione, posso disporre lucidamente del mio piccolo tesoro scientifico. Domani, forse, non potrei. Lì (indicando l'uscio a destra), nella mia stanza di lavoro, troverai sulla scrivania un voluminoso manoscritto. Portalo qui.
Manlio
Obbedisco. (Esce, quasi lentamente, a destra. Poi ritorna, e, in atto devoto, porge al professore il grosso manoscritto. — Quindi, si ritrae.)
Raimondo
(mostrando ai discepoli, col braccio un po' levato, lo scartafaccio) Ecco! (Lo pone sulla tavola. Si passa la mano sulla fronte.) Ascoltatemi, ragazzi miei. Un medico che ha modo di studiare sulla propria persona una delle malattie più gravi che affliggono l'umanità, è un medico privilegiato. Questo privilegio è toccato a me, e credo di averne attinto un grande profitto. Lo spirito di conservazione e il bisogno di difesa, che sono insiti nella nostra natura, in me hanno raggiunto proporzioni formidabili. Nessun uomo ha sentito quanto ho sentito io la necessità di prolungare la sua vita, e nessun uomo, per ritardarne la fine, ha mai combattuto con tanto accanimento! Io debbo a questo accanimento le preziose ricerche che ho fatte e la scoperta dei rimedii sperimentati. Per molto tempo, io sono riuscito a vincere il male che tornava all'assalto con un impeto singolare. Vi dico in coscienza che, se non avessi dovuto lottare contro quella violenza a dirittura eccezionale, la vittoria del medico sarebbe stata completa! (Breve pausa) E, chiuso in questo manoscritto, io conto di affidare a voi il frutto dei miei bizzarri studi. (Riflettendo tristamente) Così, sulle mie rovine sarà fiorita un'opera di salute per gli altri. (Indi, con balda animazione) Volete voi assumere il còmpito di utilizzare a pro dei sofferenti la mia eredità con la vostra vigoria giovanile, col vostro ingegno e col vostro fervore? (Dopo avere aspettata invano la risposta) Nessuno risponde?!... Questo silenzio mi addolora.
Manlio
Questo silenzio, professore, non è che una protesta del nostro affetto. Io sono uno sciamannato a cui non dovrebbe essere permesso di chiamarsi vostro discepolo: tuttavia, ciò che sento io non è certamente diverso da quello che sentono i miei compagni, ed io ve lo esprimo alla meglio, per me e per loro. Il nostro affetto non crede, non può credere che voi dobbiate davvero abbandonarci per sempre. Voi ci parlate già con la serenità con cui ci parlano da un mondo lontano i morti che ci sono più cari; e invece noi vi siamo vicini e vediamo e ascoltiamo un uomo del quale non sapremmo negare la perfetta vitalità e da cui non ci sembra verosimile di doverci separare tra poco. Ma, certo, ogni parola detta da voi, appena uscitavi dalla bocca, diventa il pensiero migliore del nostro cervello, quasi che in noi realmente si trasfondesse qualche cosa di vostro. Questa, professore, è la risposta che possiamo darvi.
( Tutti sono commossi. Alcuni stentano a trattenere le lagrime. Manlio porta il fazzoletto agli occhi.)
Luciano
(in una commozione più intensa e complicata, cerca sempre più di nascondersi.)
Raimondo
No, ragazzi miei, non fate così. Se sapeste gli sforzi che mi costa il dedicarmi, in quest'ora, per l'ultima volta, a ciò che fu la mia missione, se sapeste il prodigio che compio per non udire gli urli della bufera che imperversa sugli avanzi della mia esistenza, imparereste a non piangere più mai. E, in quest'ora, io non chiedo lagrime ai miei discepoli. Chiedo bensì una promessa solenne d'uomini onesti, stretti al loro dovere ed a me.
Paolo
Sì, professore, promettiamo.
Ernesto
Promettiamo che sapremo essere degni della vostra fiducia.
Roberto
Nel nome vostro, saremo fieri di arrecare qualche soccorso all'umanità.
Raimondo
E... non mi rifiuterete, spero, un po' di gratitudine.
Roberto
Una gratitudine profonda, una gratitudine eterna....
Raimondo
(animandosi) Continuerete a volermi bene, continuerete a volermene come se io stessi lì, accanto a voi, vivo, palpitante, sensibile al vostro attaccamento.... Continuerete a rispettarmi anche, a rispettarmi senza restrizioni....
Roberto
A venerarvi, professore!
Raimondo
Tutti, non è vero?... Tutti?... (Guardandoli, conferisce alla parola insistente un significato recondito) Tutti?...
I discepoli
(rispondono molto sommessamente, ma in un tono di sincerità rassicurante:) Tutti!
(Solo Luciano ha taciuto. Egli è paralizzato, atterrito, incapace d'un gesto, incapace d'un moto qualunque.)
Raimondo
(si alza con lentezza, stranamente. — Si accosta ai discepoli, più dappresso ad alcuni, quasi seguendo un'ispirazione. — Li fissa, di nuovo, uno per uno, nel silenzio.)
Luciano
(che è l'ultimo, non può sfuggirgli, ed è costretto a farsi guardare e a guardarlo con gli occhi aperti sul viso di lui, immobili.)
Raimondo
(pervaso da una inquietudine di cui non si rende ragione, mormora quasi a se stesso:) Eppure... chi sa!
Roberto
(dolorosamente e umilmente sorpreso) Voi dubitate di noi, professore?!
Raimondo
Perchè dovrei dubitarne? In voi non vedo che i segni più schietti della bontà.
Roberto
E allora!?...
Raimondo
Pensavo soltanto che la bontà umana è sempre una cosa troppo piccola relativamente a ciò che ogni uomo pretende da un altro uomo. (Torna a sedere) Ma di queste malinconie voi non dovete preoccuparvi. Io fido nella vostra promessa; e voi (cercando ancora Luciano con lo sguardo furtivo)... riceverete l'opera mia... il giorno in cui lo crederò opportuno. Assodato questo fatto, che ci terrà uniti anche quando io non sarò più, possiamo fraternamente salutarci.
Manlio
Ma noi, professore, vogliamo assistervi, vogliamo curarvi. Non ci rinunziamo! Se vi dà noia che la casa sia ingombra, stabiliremo un turno, distribuiremo le ore....
Ernesto
Uno alla volta, se pure fossimo inutili, non vi daremo nessun fastidio.
Raimondo
Io apprezzo molto la vostra offerta, ma permettetemi di non accettarla. La mia Giulia è così attenta, così vigile, che sarebbe superflua ogni altra assistenza.
Ernesto
Non sarà superfluo per lei un po' d'aiuto.
Roberto
La presenza di qualche persona non del tutto estranea a voi servirà almeno a darle animo. Manlio e Luciano, che ci hanno preceduti, ci dicevano d'averla vista molto sofferente, molto abbattuta. Parla tu, Luciano. E visto che tu sei di casa, nessuno meglio di te può indurlo a concederci un favore, di cui poi non crediamo d'essere immeritevoli.
Luciano
(costretto a parlare, non intende egli stesso il valore delle sue parole e quasi balbetta:) A me pare... che se il professore non vuole....
Raimondo
Finalmente, odo la tua voce, Luciano! Hai taciuto sempre, sinora. Ti sei perfino nascosto.
Manlio
(affrettandosi a intervenire) Era il più scosso di tutti, professore. In lui, che ha lavorato un anno presso di voi partecipando alle vostre ansie, in lui, che era trattato da voi come un figlio, la notizia della vostra malattia non poteva non produrre un urto violento, una desolazione senza confronti....
Raimondo
Ebbene, vieni qua, Luciano. Vieni qua. Io desidero di abbracciarti.
Luciano
(si avvicina a lui con passo incerto, cercando di tenere levata la fronte, e gli si ferma davanti.)
Raimondo
(si alza, lo stringe al petto. Poi, staccandosi, dice con rammarico dolce:) Non ti ho sentito. E ti confesso... che ho avuta una gran pena quando hai dato torto ai tuoi compagni che mi offrivano la loro assistenza.
Luciano
Io so... che la vostra volontà non si piega.
Manlio
Egli ha creduto necessario di secondarvi sùbito. Non per questo voi supporrete....
Raimondo
(interrompendolo) Ma non ti affaticare a difenderlo. Io lo conosco meglio di te. E precisamente perchè mi è nota la sua affezione filiale, mi sono meravigliato ch'egli questa volta non abbia avuto in cuore il bisogno di non secondarmi.
Luciano
Da un'ora in qua, professore,... io agisco come un irresponsabile....
Raimondo
A giudicare dal tuo contegno, ho quasi avuta l'impressione che tu avessi qualche rancore con me.
Luciano
Io, qualche rancore con voi?!... Sarebbe una mostruosità! Voi mi avete schiuse le porte della scienza,... voi mi avete insegnato a fare del bene a me stesso ed agli altri,... mi avete insegnato le onestà più alte, più pure....
Raimondo
E ti ho insegnato, soprattutto, ad essere leale.
Luciano
(ha un sussulto, e resta interdetto, con un groppo alla gola che gl'impedisce di continuare.)
Raimondo
Lo vedi che non sei stato leale con me?
(Una breve pausa.)
Manlio
(inquieto, guarda, teme, si rode.)
Raimondo
(a Luciano) Oltre il dolore che provi, e che non metto in dubbio, ci deve essere qualche cosa di anormale che ti agita.
Luciano
No, professore.
Raimondo
Non negare, perchè quand'anche tu possedessi la sapienza della finzione più raffinata, tenteresti inutilmente di opporla alla mia chiaroveggenza. È una chiaroveggenza, credimi, di cui talvolta io stesso ho terrore come d'una grande luce che da un momento all'altro possa scoprire ai miei occhi l'abisso che dovrà ingoiarmi.
Luciano
(febbricitante, ansante) Se pure qualche cosa di anormale mi agitasse, ciò non mi giustificherebbe d'esser venuto meno alla mia affezione filiale.
Raimondo
Proprio così.
Luciano
Ma io saprò mostrarvi di meritare ancora la vostra stima, il vostro consiglio, la vostra protezione. Io vi circonderò di tali cure che le vostre sofferenze non potranno non esserne alleviate. Io soffierò tutta la mia vita nella vostra per convincervi che vi siete ingannato!
Raimondo
(freddo, meditativo, quasi diffidente) Senti, Luciano. Le tue buone parole mi bastano, e non avertelo a male se non accetterò da te l'assistenza che non ho accettata dai tuoi compagni. Ma affinchè tu ti rassereni, io ti do immediatamente, dinanzi a loro, la prova maggiore della mia stima e della mia tenerezza inalterata. Faccio quello che avrei già fatto se tu col tuo contegno non me lo avessi impedito. (Con solennità) Tu sei il mio erede più immediato. Questo manoscritto ti spetta. Tu controllerai le mie ricerche, perfezionerai i miei studii, e farai da guida a questi giovani, sostituendoti degnamente alla mia persona. (Stendendo il braccio e porgendogli il manoscritto) Io ti auguro di averne gloria. Prendi.
Luciano
(reggendosi a stento, cadaverico in volto, prende il manoscritto con la mano tremante, e non riesce che a mal pronunziare:) Grazie.
Raimondo
(lo ha fissato acutamente e, a quel pallore, a quel tremito, a quel laconismo, si accende d'ira; e, come Luciano prende il manoscritto, glie lo strappa con violenza brutale dalle fiacche dita, gridando:) Ah no, vivaddio, non è così che avresti dovuto accogliere il dono con cui ti trasmettevo veramente una parte di me stesso! (Getta sulla tavola il manoscritto. — Indi, abbattuto, preso da una profonda amarezza, conclude:) Sta bene. Confesso che non ti capisco. (Ha un brivido.) E basta ora.... (Col cervello annebbiato) Non ti voglio più capire! (Gli volge le spalle, e, spettrale, col pensiero errante come in una oscurità sinistra, parla agli altri) Sono stanco, ragazzi miei!... Ma, prima di separarci, debbo rivolgervi un'ultima preghiera.... Non tornate più nella mia casa. (Quasi piangendo) non ci tornate, non ci tornate... nemmeno per coprire di fiori il mio letto di morte.
( Tutti, eccetto Luciano, hanno una istantanea espressione di meraviglia dolorosa mista di timido affettuoso risentimento.)
Raimondo
(continua, implorante, in un tono insolito di umiltà, cercando le parole, pauroso egli stesso di ascoltarle:) E... se davvero volete rispettarmi, come avete detto,... astenetevi dal ricercare le cause di questo mio strano desiderio... che, sono, del resto, anche per me, molto confuse... e perdonatemi! (Tenendosi la testa fra le mani, esce a destra precipitosamente.)
SCENA II.
I DISCEPOLI. Poi GIULIA, indi RAIMONDO.
(Alcuni discepoli restano attoniti, sbigottiti, costernati. Altri, agitandosi un po', vanno verso Luciano, interrogandolo e redarguendolo con voce severa e sommessa.)
Roberto
Ma perchè, ma perchè, Luciano?!...
Almerico
È inconcepibile!
Ernesto
Io non mi ci raccapezzo! Io non ti riconosco!
Roberto
Da quale fisima, da quale ossessione ti sei lasciato pigliare?
Manlio
(intervenendo energicamente) Signori miei, non è questo il momento e non è questo il luogo per scalmanarsi intorno a ciò che riguarda Luciano!
Roberto
Ma noi abbiamo il dovere....
Manlio
(spezzandogli la parola) Il nostro primo dovere è di non rimanere qui un minuto di più!
Giulia
(entra dalla sinistra.)
( Tutti tacciono rispettosamente, chinando un po' il capo in un accenno di ossequio.)
Luciano
(cerca di non guardarla e di non mostrarsi.)
Giulia
(ansiosa) Dov'è Raimondo?
Manlio
Ci ha congedati, signora, e si è ritirato nel suo studio.
Giulia
Si è sentito male?
Manlio
No....
Giulia
Mi sono impensierita perchè mi è parso di udire ch'egli parlasse molto concitatamente....
Manlio
Difatti, sì,... ma è stata una concitazione passeggera.
Giulia
(inquieta, si affretta a raggiungere Raimondo nello studio.)
(Com'ella sparisce, si ode la voce di lui, scattante ed acre.)
La voce di Raimondo
Perchè sei uscita dalla tua stanza? (Breve pausa) No! Resta qua, ora!
Paolo
(cautamente, ai compagni) Andiamo, andiamo! Ha ragione Manlio: non un minuto di più! (Si avvia.)
(Gli altri lo seguono. Prendono i loro cappelli sparsi in questa camera e nel salottino contiguo, e, silenziosi, oppressi, annichiliti, qualcuno scrollando il capo, qualche altro con gli occhi velati di lagrime, chi un po' in fretta, chi lentamente, escono.)
Luciano
(intanto, trattiene Manlio per un braccio e gli parla all'orecchio, cupamente, urgentemente) Io temo che egli sospetti!
Manlio
La verità non può sospettarla.
Luciano
Fra me e lui c'è un magnetismo irresistibile che scambievolmente ci rivela.
Manlio
Ma che magnetismo! Il tuo stato morboso doveva per forza impressionarlo.
Luciano
Te l'avevo detto che non lo avrei potuto affrontare!
Manlio
Visto che il caso non si replicherà, non pensiamoci più.
Luciano
E se poi vorrà chiedermi altre spiegazioni?
Manlio
Ma tu mi hai promesso di partire....
Luciano
Sì, sì, partire! fuggire! È necessario!
(Si avviano, seguendo i loro compagni.)
Raimondo
(entrando di botto e vedendoli sul punto di varcare la soglia, chiama:) Luciano!
( Luciano e Manlio con un soprassalto si voltano.)
Raimondo
Sono contento, Luciano, di trovarti ancora qui. Venivo appunto con questa speranza.
Manlio
(si sofferma con l'animo sospeso.)
Raimondo
(a Manlio:) Ti preme molto che egli non resti da solo a solo con me?
Manlio
Credevo che....
Raimondo
Fammi il favore, Manlio: va via.
Manlio
(trepidante, guardando Luciano con la coda dell'occhio, esce dal fondo,)
SCENA III.
RAIMONDO e LUCIANO.
Raimondo
(senza por tempo in mezzo, mettendosi dinanzi all'uscio di fondo quasi che Luciano gli potesse sfuggire, gli parla non con rudezza, ma con commozione implorante.) Malauguratamente, Luciano, fra noi due s'è cacciato uno spettro che oramai ci divide e che ci tiene nondimeno l'uno di fronte all'altro. Io non ti lascerò andare, e so che tu non vorrai andartene, sino a quando non mi avrai detto quello che hai sentito nel prendere dalle mie mani il premio che io ti destinavo.
Luciano
(gli è di faccia e indietreggierà a misura che sarà investito dalle interrogazioni.) Voi mi costringevate a considerare come inevitabile una sciagura spaventevole, di cui io non voglio nemmeno ammettere la possibilità.... Ciò mi faceva un gran male.... E poi io sapevo... io sapevo che non avrei potuto adempiere all'alto ufficio che mi assegnavate.
Raimondo
Chi te lo avrebbe impedito?
Luciano
Nessuno. Ma io dovrò allontanarmi da questa città.... Sicchè, mi sarebbe mancata la possibilità di fare da guida ai miei compagni,... nè, d'altronde, avrei voluto sfruttare da solo la vostra opera benefica....
Raimondo
Tu hai da partire?!
Luciano
Sì.
Raimondo
Per non ritornare?!
Luciano
Per non ritornare.
Raimondo
E troncherai la tua carriera, cominciata qui così bene? Lascerai i tuoi amici? Abbandonerai tua madre, di cui hai sempre esaltata l'adorazione?
Luciano
Se lo crederò necessario....
Raimondo
Questa necessità è collegata, evidentemente, a quella qualche cosa di anormale che tanto ti agitava....
Luciano
No! No!... Si tratta di tutt'altro.
Raimondo
Cioè?
Luciano
(non trova sùbito una menzogna da rispondere e si confonde.)
Raimondo
Sta tranquillo. Non insisto. (Pausa) Potrai dirmi almeno fra quanto tempo partirai.
Luciano
(con l'impulso istintivo di rassicurarlo) Al più presto possibile.
Raimondo
È urgente?
Luciano
Sì, è urgente.
Raimondo
Eppure, poco fa ti proponevi di assistermi, ti proponevi di alleviare le mie sofferenze....
Luciano
Ma voi ci avete perfino pregati di non venire mai più in casa vostra....
Raimondo
E per questa preghiera che ho rivolta a tutti, la tua partenza è diventata urgente?
Luciano
«Urgente» per modo di dire.... Io ho deciso di affrettarla, ecco.
Raimondo
Perchè?
Luciano
Certo, nulla come il mio allontanamento può garantirvi la mia scrupolosa obbedienza.
Raimondo
Cosicchè, a te sembra che io debba esserti grato del tuo allontanamento?
Luciano
Non ho detto questo.
Raimondo
In fondo, questo hai detto.
Luciano
Mi sarò espresso male.
Raimondo
Ma, insomma, che ci hai visto nella mia preghiera, nella mia raccomandazione? Che ci hai visto tu che non sia stato visto dagli altri?
Luciano
(attanagliato, tace, con la fronte china.)
Raimondo
Rispondi. A nessuno dei tuoi compagni sarebbe saltato in mente di affrettare una partenza per garantirmi di non venire più nella mia casa. Come va che è saltato in mente proprio a te? (Pausa) Continui a tacere?!...
Luciano
(incapace di reggere più a lungo all'incubo che lo soffoca) Se io parlassi, se io vi dicessi tutto, voi forse mi giudichereste con una severità... che non merito.
Raimondo
(colpito dal senso di queste parole, comincia a dare una più cosciente direzione al suo pensiero.) Non si prevede un giudizio severo se non si sa d'avere una colpa.
Luciano
Ma vi sono delle colpe che restano chiuse nell'anima e di cui la sola vittima è la persona stessa del colpevole.
Raimondo
Tuttavia, se la tua colpa non toccasse me, non è al mio cospetto che te la sentiresti pesare di più sulla coscienza, e nemmeno riconosceresti in me il diritto di giudicarti.
Luciano
(prorompendo) Tutte le mie angosce e tutti i miei istinti, intolleranti d'ogni transazione dello spirito, mi spingono a chiedere un giudizio vostro, perchè, anche se troppo severo, io ne avrei un sollievo, ne avrei un po' di quiete, me ne sentirei come purificato!
Raimondo
(con impeto furibondo) E dunque che cosa aspetti per confessarti a me?!
Luciano
Le mie labbra vi si ribellano!
(Un lungo silenzio.)
Raimondo
(cercando di coordinare idee, fatti e parole, sempre obbedendo alla sua chiaroveggenza e pur diffidandone un poco, riflette. Indi, gli si fa dappresso e gli dice quasi all'orecchio in un misterioso tono confidenziale) Vuoi... vuoi che io ti aiuti a vincere la tua riluttanza?
Luciano
(esausto, sedendo) Io non ho più nessuna volontà. Sono un uomo inerte, e sono vostro! Potete fare di me quello che voi volete.
Raimondo
(accosta una sedia a quella di Luciano, sicchè le due sedie sono a contatto, e, sedutosi proprio accanto a lui ma un po' più indietro, continua a parlargli, quasi sulla spalla, in tono di mistero e d'intimità, suggestivamente.) Nel provarmi ad aiutarti un poco, ho, anzitutto,... non so perchè... l'ispirazione di richiamare alla tua memoria un episodio dell'anno passato. Era... la festa di mia moglie. Abitavamo in città; ed io m'ero recato apposta, la mattina, qui, in campagna, per cogliere con le mie mani le rose più belle del mio giardino. Non ne avevo trovate che cinque degne di lei, e glie le avevo offerte. La sera, tu e gli altri miei discepoli veniste a vedermi per fare gli auguri a lei ed a me. Mia moglie si era adornata di quelle cinque rose. Se l'era messe alla cintola, e per tutta la serata le tenne. Verso il tardi, però, qualche minuto avanti che voialtri vi congedaste, io notai ch'ella aveva una rosa di meno. Non sospettai neppure per un istante che l'avesse donata. Sapevo bene di non dover concepire un sospetto così ingiurioso. Dissi fra me: «sarà caduta». E quando tutti eravate usciti, io mi detti a farne ricerca. Fu una ricerca paziente, minuziosa, come se si fosse trattato d'una perla rarissima. Impossibile trovarla! Quella rosa era sparita. E allora?... Donata, no, indubbiamente no. Ne ero sicuro come della vista dei miei occhi. Risultava quindi chiaro che uno di voi aveva raccolta la rosa caduta. (Breve pausa) Ed ora fammi tu il favore di aiutare me nella ricostruzione di questo episodio. La vedesti tu, nella sera stessa, quella rosa, sul petto di qualcuno dei tuoi compagni?
Luciano
... No... non la vidi.
Raimondo
(guardandolo fisso, con una intensità magnetica) Ciò significa... che chi ebbe cura di prenderla... ebbe anche cura di nasconderla.
Luciano
(con l'emozione d'una difesa imprudentemente affrettata) Il prendere e il nascondere una rosa caduta a una signora è un fatto innocuo, è un fatto puerile, che non ha nessuna conseguenza, che non ha nessuna importanza.
Raimondo
(scoppiando e levandosi in un fulmineo scatto bieco e trionfale) Ah! Tu difendi la causa tua! Ecco, finalmente, l'indizio preciso!
Luciano
Ma l'indizio di che?!
Raimondo
L'indizio che mi basta! (Poi, terribile, ma senza voce, quasi temesse che anche le mura potessero ascoltare) Non è forse giusto che io abbia terrore della mia chiaroveggenza?
Luciano
(affranto e umiliato) Vi ho offeso, è vero, ma è stato uno sconvolgimento del mio povero cervello: una povera follia solitaria, che un uomo come voi può guardare con compassione.
Raimondo
(avidamente) E racconta adesso; racconta la storia del tuo amore. Io avrò compassione di te, ma tu capirai che ora mi spetta di sapere tutto!
Luciano
La storia di una follia non si racconta, non si ricorda. La storia d'una follia non c'è. Che cosa avrei da raccontarvi? Io non vedevo, io non discernevo....
Raimondo
E, inavvedutamente, svelavi a lei il tuo segreto....
Luciano
Questo, mai! Benchè accecato e impazzito, io tenevo per delitto il mio peccato di pensiero. Facevo appunto quello che fa il delinquente, che è tutto dedito a disperdere le tracce del delitto commesso.
Raimondo
E che ne sai tu d'esserci riuscito?
Luciano
Ne ho la certezza qui, qui, nella mia coscienza; ne ho avuto sempre la certezza anche dall'inalterato contegno di lei....
Raimondo
In altri termini, tu credi che se ella ti avesse compreso....
Luciano
(interrompendo) Mi avrebbe mostrato il suo sdegno, mi avrebbe mostrata la sua collera....
Raimondo
E non ti pare verosimile che ella abbia dissimulata a te la sua compiacenza, non la sua collera, come tu hai cercato di dissimulare a lei il tuo amore?
Luciano
Ma che dite?! La virtù di vostra moglie è così congiunta a voi che tutto quello che è estraneo alla vostra persona non può nemmeno sfiorare l'animo di lei.
Raimondo
Converrai che l'elogio tributato da te alla virtù di mia moglie non debba avere, nella logica mia, un grande valore. (Risolutamente) Saprò da lei stessa ciò che non ho potuto sapere da te! (Andando veloce verso la porta a destra e moderando la concitazione, chiama:) Giulia! Giulia!
Luciano
(levandosi spaventato) Che volete fare adesso?
Raimondo
(biecamente) Non ti allarmare. Non sarò certo così ingenuo da dirle di che cosa voglio essere informato.
SCENA IV.
RAIMONDO, LUCIANO e GIULIA.
Giulia
(serenamente premurosa, entrando) Hai bisogno di me?
Raimondo
(celando per quanto gli è possibile la straordinaria tensione dei nervi, concentra su lei l'udito e la vista affinchè non il più piccolo mutamento del volto e della voce gli sfugga.) Ti ho chiamata... perchè c'è qui Luciano che desidera di salutarti. Ne ha il diritto. Fra i miei discepoli, è stato quello che per i suoi impegni professionali ha più frequentata la nostra casa ed era diventato quindi... un nostro amico intimo. Ora egli parte, e va a stabilirsi molto lontano. Da me, egli si separa certamente per sempre. Da te, non si sa mai! Il mondo non è così grande come sembra. Potrete ancora incontrarvi.
Giulia
(seria, cortese, inalterata) A rivederci, signor Luciano. (Gli porge la mano.)
Luciano
(stringendogliela appena con le dita quasi inerti) Addio, signora. (Poi, dopo una pausa, a Raimondo, come chiedendogli l'ultimo abbraccio) Non volete dirmi null'altro?
Raimondo
(tenta di vincere un senso di repulsione, ma non può, e gli risponde fiocamente:) No, Luciano.
Luciano
(esita ad andarsene.)
Giulia
(li osserva tutti e due e comprende che qualche cosa essi le celano.)
Luciano
Allora... me ne vado?...
Raimondo
(intensamente vigile, non distoglie un istante la sua attenzione da Giulia, e per giustificarsi dinanzi a lei del freddo commiato finge il proposito di evitare nuove effusioni.) Noi due ci siamo già salutati, Luciano.... Ci siamo già abbracciati.... Non bisogna prolungare una commozione che c'infiacchirebbe. Va.
Luciano
(dopo un estremo breve indugio, rapidamente esce.)
Giulia
(lo segue un po' con lo sguardo.)
SCENA V.
RAIMONDO e GIULIA.
(Un silenzio.)
Raimondo
(ostentando una certa disinvoltura e continuando a vigilare) Non ti addolora che Luciano ci lasci?
Giulia
Non lo avevamo più visto da molto tempo. Tu ti eri già distaccato da tutti.
Raimondo
È nondimeno triste ch'egli parta così, all'impensata, senza neppure ripromettersi di tornare.
Giulia
(si stringe un po' nelle spalle.)
(Pausa.)
Raimondo
Tu, naturalmente, non conosci la ragione della sua partenza.
Giulia
No.
Raimondo
E non sei curiosa?
Giulia
Tutto ciò che non riguarda noi due m'interessa così poco!
Raimondo
E, difatti, la sua partenza non ci riguarda punto. Egli... ha vinto un concorso... all'estero, e si reca ad assumere l'ufficio che gli è stato destinato. Questo è il motivo che mi ha addotto. Credi che abbia potuto ingannarmi?
Giulia
Non lo credo.
(Pausa.)
Raimondo
Che opinione ti sei formata di lui?
Giulia
Mi pare una brava persona. Ma non mi sono mai data la pena di formarmene una opinione precisa.
Raimondo
Egli, invece,... mi ha molto parlato di te.
Giulia
Di me?!
Raimondo
Te ne meravigli?
Giulia
Non capisco a che proposito si sia permesso di parlare di me.
Raimondo
Io gli dicevo che la tua assistenza è inappuntabile, ed egli... ha lodata la nobiltà del tuo animo, la tua intemeratezza.... Non c'è da aversela a male, e soprattutto non c'è da meravigliarsene. Eravate buoni amici.
Giulia
Eravamo buoni amici?!
Raimondo
Lo suppongo.
Giulia
Quando egli era il tuo coadiutore, non ci scambiavamo più di dieci parole al giorno.
Raimondo
Abbi pazienza,... non è così. Io ricordo che volontieri conversavate insieme.
Giulia
Tutt'al più, conversavamo tutti e due con te.
Raimondo
C'ero anch'io, sì; ed è perciò che me ne ricordo.
Giulia
Con quel giovane, come con ogni altro tuo discepolo o conoscente, io non mi sono mai trovata sola. Tu non volevi, ed io obbedivo volentieri.
Raimondo
Precisamente. Voi... non aveste mai l'occasione di....
Giulia
(con un accento di malinconico rimprovero) Di che?! Di che?!
Raimondo
Non aveste mai l'occasione di creare fra voi una vera amicizia. Questo volevo dire. Ti dispiace che io ti dia ragione?
Giulia
Ciò che mi dispiace, tu lo sai. Quel giovane avrà avuto delle parole gentili per me, e tu stai per infliggerti una tortura più dilaniatrice dì quante te ne sei inflitte sinora. Per questo mi hai chiamata, e per questo continui ad occuparti di lui. Sei veramente di una ferocia senza limite con te stesso e con me.
Raimondo
E, a tuo avviso, la mia ferocia, anche questa volta, non ha altra causa che la mia fantasia, non ha altra causa che la mia mente esaltata?
Giulia
Sì, Raimondo mio. Fin da stamattina, ti è parso di vedere non so quale minaccia nella schiera di quei tuoi discepoli che venivano a farti visita.
Raimondo
(facendo gli ultimi sforzi per contenersi) Ed era più che una minaccia, Giulia!
Giulia
Allucinazione, Raimondo! Allucinazione!
Raimondo
(ruggendo con impeto selvaggio) Realtà viva ed indistruttibile! Quel giovane ha confessato....
Giulia
(violentemente alterata) Che cosa?
Raimondo
No! no!... Non è vero, non è vero.... Sono io che invento..., sono io che oso ricorrere ai più bassi sotterfugi per indagare come al solito.... Tu comprendi facilmente che una confessione di tal genere non si fa ad un marito.... E poi Luciano è così preso dalla sua scienza, è così assorbito dai suoi ideali e aveva tanta soggezione di me... che non si concepirebbe come egli avrebbe potuto cominciare ad amarti....
Giulia
(con gli sguardi limpidi e con la voce ferma e vibrante) E se anche mi amasse, che temeresti tu? Nessuna donna è spinta ad amare solamente dal sapersi amata!
Raimondo
(quasi timido) Ma... quando l'amore d'una persona non indegna fosse costante a traverso il tempo, a traverso lo spazio, quando quest'amore portasse i segni dei sacrificii compiuti, sublimi come i tuoi propositi di resistenza, non potresti finire con l'esserne soggiogata?
Giulia
Disgraziatamente, mi ripeti le interrogazioni che mi facevi stamane!
Raimondo
(abbandonandosi tutto alla sincerità dolorosa) No, Giulia, non sono le interrogazioni di stamane, perchè in questo momento noi non parliamo più d'un'ombra senza contorni, non parliamo più d'un caso vago ed ipotetico: parliamo bensì d'un uomo esistente che tutti e due conosciamo e d'un fatto flagrante di cui tutti e due siamo convinti.
Giulia
Chi ti dice che ne sia convinta anch'io?!
Raimondo
Quando mi sono affrettato a negartelo per riparare all'imprudenza d'averti apprestata io stesso l'esca tentatrice, tu hai ritenuta falsa la mia smentita; e ciò significa che t'eri convinta immediatamente d'essere amata. Alle mie interrogazioni non più fantastiche, dunque, tu devi dare risposte concrete. E affinchè tu veda chiaro nell'avvenire, affinchè tu sia in condizione di misurare le tue forze prima di rispondermi, io ti faccio sapere che l'uomo che ti ama è dotato d'una indole eletta; io ti faccio sapere che per la purezza del suo animo egli si è dibattuto fra pene indicibili e mi ha quasi pregato di strappargli dalla bocca la sua confessione; io ti faccio sapere che la vera ragione per cui egli parte, rovinando la sua carriera, è che ha sentito verso di me e verso di te il dovere di fuggire. Ed ora che sai chi è lui e di che cosa è capace, riunisco in una le mie interrogazioni. Ti senti tu così forte da non vacillare, in nessun evento, dinanzi a quell'uomo?
Giulia
Ma sì, Raimondo. Per me quell'uomo non è e non sarà diverso da un altro. E poi, tutti gli eventi immaginabili non sarebbero forse eliminati dalla muraglia che innalzerei intorno a me se davvero la crudeltà del destino m'imponesse di sopravviverti?... (Indi con un gesto quasi di nausea) Guarda a quali orribili discorsi mi trascini!
Raimondo
Non avere alcun ritegno e dimmi con precisione quello che faresti, quello che farai, sopravvivendomi.
Giulia
Ebbene, potrei ridurmi in un ritiro, potrei chiudermi in un eremitaggio; oppure, che so io?..., per non lasciare inaridire il mio cuore, istituirei, a poco a poco, un ospizio. Sì, mi dedicherei, per esempio, a sollevare dal dolore e dall'indigenza le donne rimaste sole al mondo, senza appoggio e senza speranza di averne: quelle specialmente che, come me, non avessero vanità, non avessero ambizioni, quelle che portassero un eterno lutto nell'animo. M'intendi, Raimondo? Facendo questo, io eleverei a religione il sentimento della fedeltà, e, come confortata da una religione vera, vivrei serena, assorta, devota.
Raimondo
(ha ascoltato con tenera emozione, quasi che in quell'onda di bontà fossero stati per assopirsi i suoi tormenti; ma come ella termina di parlare egli è ripreso dalla desolazione angosciosa.) Non ti è venuta ancora alle labbra la sola parola che rende indissolubile un vincolo!
Giulia
Quale?!
Raimondo
(con un fremito di volontà risoluta) Tu devi giurare, Giulia! Devi giurare che mai, mai, mai ti lascerai commuovere dall'amore di quell'uomo: neppure il giorno in cui egli, dopo una battaglia lunga, venisse a morire presso la tua porta!
Giulia
Mi chiedi un giuramento!?
Raimondo
(in un delirio d'implorazione) Te lo chiedo perchè soltanto così la tua fedeltà mi sarebbe incondizionatamente vincolata.
Giulia
E non preferisci mille volte che io ti offra intera la mia vita senza esserci costretta da un giuramento?
Raimondo
(con gli occhi di fuoco, a voce bassissima) Tu hai paura di giurare!
Giulia
No, Raimondo.
Raimondo
Sì, tu hai paura di giurare e la nascondi nel sottile pretesto di volermi essere fedele per tua elezione.
Giulia
Io non ho paura, ti dico! Non continuare a macerarti, sventurato che sei, anche nella fatica inaudita che fai cercando di abbattere la fiducia che io ripongo in me stessa! Con una pertinacia senza riposo, hai già tentato di persuadermi che quello che sento per te non sia l'amore genuino e perfetto; hai già tentato d'infondermi il dubbio che io non abbia tanta forza da poter trionfare dei pericoli inevitabili; ed hai fatto di più, hai fatto di più: hai tentato di cacciarmi davanti un uomo del quale non m'ero mai sognata d'occuparmi, pure avendone sempre intraveduti i turbamenti puerili. Tu hai voluto circondarlo dell'aureola del martire, hai voluto avvertirmi ch'egli è capace di sacrifizi sublimi, ed, essendoti accorto che tutto ciò, com'era naturale, non mi ha menomamente turbata, ora, per questa tua sete di spasimi, ti sforzi d'insinuare nella mia stessa coscienza il sospetto che io abbia paura di pronunziare il giuramento che mi chiedi! Ma, Dio misericordioso, Raimondo, non lo sai, non lo comprendi che il farmi giurare un patto sarebbe una miserabile cosa per me e per te? E non comprendi, non comprendi che un giuramento non è il mezzo migliore per impossessarsi di un'anima?
Raimondo
(invaso dallo spavento, coprendosi le orecchie) Taci! Taci! Questa è la voce della ribellione!
Giulia
È la voce della verità sacrosanta, Raimondo; e se nel momento in cui siamo io ti mentissi, mi parrebbe di spezzare l'anello d'acciaio che ci congiunge!
Raimondo
(con uno scroscio orribile di dolore e di furore) Tu ti lasci aperto il cammino del tradimento, maledetta!
Giulia
(trascinata dalla frenesia ch'egli le comunica) Senti, Raimondo, senti, senti.... Vuoi tu un mezzo sicuro per tenermi con te anche dopo la tua morte?
Raimondo
Sì!
Giulia
Per prendermi tutta quanta sin da ora, sin da ora, senza darmi il tempo di offrirti la mia vita?
Raimondo
Sì, sì, senza darti il tempo di offrirmela!
Giulia
(con un grido raccapricciante) Devi uccidermi! Questo è l'unico mezzo possibile. Questo è l'unico mezzo sicuro. Uccidimi! Raimondo! Uccidimi!
Raimondo
(irrompendo disperatamente) Non so ucciderti! Se avessi saputo farlo, non avrei aspettata la tua esortazione!
Giulia
E allora che altro puoi volere da me?!
Raimondo
Voglio la menzogna! Ecco quello che voglio, perchè solamente nella menzogna potrò trovare un'ultima illusione. Cancella sùbito la verità che hai detta. Sappila cancellare, te ne supplico. Mentiscimi bene! Mentiscimi bene!...
Giulia
(prorompendo in un pianto di pietà infinita e andando a lui per afferrarselo fra le braccia) Povero Raimondo! Povero Raimondo mio!
Raimondo
(cadendo in ginocchio e avvinghiandosi a lei pazzamente) Mentiscimi bene!...
(Sipario.)
ATTO TERZO.
Lo stesso salotto. — Sulla tavola non ci sono più nè i libri nè il piccolo vaso con i pochi fiori. Anche la grande poltrona di pelle scura è sparita.
SCENA I.
GIUSEPPE e GIULIA.
(Nella camera non c'è nessuno, ma una sonora risata femminile, che entra dalla finestra aperta, vi mette un po' d'animazione.)
Giuseppe
(compare dalla comune e va verso la finestra affrettando il passo alla meglio e sbuffando.) (Ha le spalle un po' più curve, la testa più bianca.)
(Un'altra risata più rumorosa risuona.)
Giuseppe
(affacciandosi alla finestra) Carolina.... Sei tu che ridi in questo modo indecente?...
(Si ode ancora ridere.)
Giuseppe
Ma un po' di rispetto non lo hai, contadinaccia che sei? Non vedi che c'è in giardino la signora Giulia?
Giulia
(da basso) No, Giuseppe. Lasciate che rida, lei. È ragazza. Lasciate che stia allegra.
Giuseppe
Io poi dico: perchè non vi aiuta a cogliere fiori invece di fare la sciocca?
Giulia
(nel cui accento, anche da lontano, si nota un suono diverso, più limpido, più fermo) Sono io che non ho voluto. Non l'ho permesso neanche a voi. Del resto, ecco: bell'e finito.
Giuseppe
(scostandosi dalla finestra, mormora con affettuoso compiacimento:) Che donna! Che donna!... Se lui dall'altro mondo la vedesse! (Si ferma e riflette con mestizia) Mah!...
Giulia
(entra dalla comune. Ha una leggera vestaglia bianca con qualche nastro e qualche nodo nero, ed ha il collo scoperto, le maniche rimboccate, i capelli in iscompiglio, appena annodati. Porta sulle braccia, pressochè tutte nude, un canestrello pieno di fiori. Entrando, va difilata a mostrare i fiori a Giuseppe.) Voi dicevate che non ce n'erano abbastanza? (Per fargliene vedere la quantità li riversa tutti sulla tavola capovolgendo il canestrello.) Che ne dite?
Giuseppe
Per la corona che ci abbisogna, sono pochi, difatti. E poi voi avete presi anche i garofani, anche le rose. A me pareva che i fiori di questo genere non fossero adatti....
Giulia
Ma io voglio comporne un bel mazzetto: non una corona. Oggi si onora la sua memoria. Si scoprirà il suo busto all'Università. S'inneggerà al suo nome per un trionfo della scienza! Una corona mortuaria sarebbe una brutta cosa! Non sarà egli come un uomo vivo, oggi, in mezzo ai suoi colleghi, in mezzo ai suoi allievi? E non è sempre vivo presso di me?
Giuseppe
L'idea è giusta, e non vi si può dare torto.
Giulia
E piccolina deve essere la mia offerta d'omaggio. Mi dispiacerebbe molto che fosse notata. Piccolina e tutta sorrisi, perchè i sorrisi de' fiori egli li amava.
Giuseppe
Ah, signora Giulia, il giorno della vostra festa, tre anni fa!...
Giulia
Parlate di quando venne qui, quasi alla chetichella, per cogliere delle rose da offrirmi?
Giuseppe
Poveretto! Tornò a casa, in città, con gli occhi che gli lucevano di contentezza. E diceva di aver saputo trovare per voi le rose più belle sbocciate sotto il sole.
Giulia
Nello stesso giardino e dalle stesse piante ne ho colte oggi per lui.
Giuseppe
Non erano che cinque, signora Giulia, ma grandi così! Mi pare di vedergliele ancora nella mano. Le portava col braccio allungato, in alto, come si porta... una bandiera,... come si porta una torcia accesa!
Giulia
E che pene, che preoccupazioni gli dettero anche quelle rose!
Giuseppe
Mi ricordo che volle farvele tenere addosso tutta la giornata.
Giulia
Ma il male fu che la sera io ne perdetti una, ed egli non se ne dette pace. La cercò fino a notte tarda, e, non avendola ritrovata, rimase triste, nervoso.... Chi sa quali sospetti faceva!
Giuseppe
(meravigliandosi) Quali sospetti poteva fare?!
Giulia
(scacciando la nube nera che ad un tratto le è scesa dinanzi) Non ne parliamo, Giuseppe! (Poi, mutando e rianimandosi e prendendo dei fiori) Dunque, mettiamoci al lavoro.
Giuseppe
Domando scusa, ma a lavorare mi ci debbo mettere io solo. Se il cogliere i fiori era diritto vostro, il combinarli insieme spetta a me. Un po' per uno. Il mio padrone l'ho conosciuto una trentina d'anni prima che lo conoscesse vossignoria e gli sono stato e gli sarò fedele non meno di voi.
Giulia
Va bene: un po' per uno.
Giuseppe
E vi dichiaro che alla cerimonia d'oggi non mancherei neppure se non avessi più l'uso delle gambe.
Giulia
Siete proprio voi che mi ci dovete accompagnare. Quei signori del Comitato mi manderanno la carrozza. Ma non mi farò accompagnare da nessuno di loro.
Giuseppe
E io approvo pienamente. I giovanotti... sempre a debita distanza!
Giulia
(ha una scossa: lo guarda, e, invasa dalla triste reminiscenza, tentenna un po' il capo. Un lieve sorriso profondamente malinconico le sfiora le labbra.)
Giuseppe
Eh! (Con una fisonomia e un gesto tra di devozione e d'intransigenza pare che le dica: «perdonatemi, ma faccio il mio dovere».)
SCENA II.
GIULIA, GIUSEPPE e FAUSTINA.
Faustina
(di dentro) Chi è di casa? Chi è di casa?
Giulia
Andate a vedere, Giuseppe. Portando il canestrello dei fiori, non ho chiuso l'uscio di scala.
Faustina
A porta che trovi aperta non bussare! Ed io non ho bussato. (Entra dalla comune.) (È una donna che può avere un po' più di sessant'anni. È vestita con un certo sfarzo, molto goffamente. Ha un aspetto bonario e ridanciano. Il cappello un po' di traverso accentua i connotati del buonumore.)
Giuseppe
(andando verso di lei bruscamente come per impedirle di avanzarsi) Ma chi siete?!
Faustina
Domandatelo a lei chi sono.
Giulia
(riconoscendola subito) Oh! Faustina!... Faustina!
Faustina
Più vecchiotta, questo non si può negare; ma sempre Faustina mi chiamo, e sempre la serva che vi ha vista nascere sono.
Giulia
(aprendole le braccia con vivissima cordialità) Vieni qua, Faustina mia!
Faustina
(si slancia per baciarla: poi si arresta) Mi permettete, eh?
Giulia
Ma sì!
(Si abbracciano e si baciano.)
Faustina
Non ci vediamo da circa tredici anni, sapete!
Giulia
Sono di più, sono di più, Faustina.
Faustina
Dal giorno delle vostre nozze dovete contare. O non venni a vedervi vestita da sposa?
Giulia
Ma già! Hai ragione! Venisti a vedermi... vestita da sposa!
Faustina
(voltandosi a Giuseppe, trionfalmente) Lo avete saputo adesso chi sono?! (Quindi, a Giulia:) Ha finto di non riconoscermi perchè... non ha la coscienza pulita. Quel giorno, in casa del professore, mi fece il cascamorto!
Giulia
(celiando in tono di biasimo) Giuseppe! Che mi fate sentire?!
Giuseppe
Non state a credere, signora Giulia....
Faustina
Ma questi altri anni, caro don Giuseppe, per voi sono stati un vero guaio. Mi sembrate una rovina di Pompei!
Giuseppe
Io mi avvio all'ottantesimo, e mi accontento.
Faustina
(a Giulia:) Voi, invece, benone!
Giulia
No, Faustina....
Faustina
Benone, vi dico!
Giulia
Coi patimenti che ho avuti....
Faustina
Quali patimenti?
Giulia
Non sai la grande sventura che mi ha colpita?
Faustina
Ah, sì. Quella la so. Non ve ne parlavo per non affliggervi. Fu crudele, sissignora, ma adesso, santa pazienza, quanto tempo è passato?
Giulia
Due anni e qualche mese.
Faustina
E dunque!
Giulia
Per me è come se fosse ieri.
Giuseppe
(intervenendo con una certa solennità e con soddisfazione orgogliosa) Questa qui non è di quelle che si consolano!
Faustina
Me ne dispiace.
Giuseppe
(rabbioso) Io, al contrario, me ne compiaccio; e, se non ne fossi stato sicuro, non sarei rimasto accanto a lei. (Seccato dalla presenza di Faustina, rimette in fretta i fiori nel canestro per andarsene.)
Giulia
Non vi arrabbiate, Giuseppe. A Faustina pare che io debba essere ancora una bambola, perchè quando lasciò la casa della mamma io avevo da poco allungate le vesti e tutte e due ancora «bambola» mi chiamavano.
Faustina
(a Giuseppe:) E poi, se avessi detto che avrei voluto trovarla consolata con un altro marito, capirei la vostra collera. Ma io, nemmeno per sogno! Un altro marito?! Non ci mancherebbe che questo! Ne dettero uno anche a me, mezzo secolo fa, perchè profittarono che non sapevo di che si trattasse. Ma dopo di lui, caro don Giuseppe, pace all'anima sua, ci feci croce. Se i mariti non fossero uomini, be', si potrebbe chiudere un occhio. Ma con gli uomini?! Dio ne scampi i cani!
Giuseppe
(prendendo il canestro e avviandosi in furia) E con le donne!?... Per conto mio, mai niente!
Faustina
Me ne congratulo con voi!
Giuseppe
(alzando le spalle sgarbatamente, sta per uscire.)
Giulia
Un momento, Giuseppe....
Giuseppe
(s'arresta e si volta) Comandate.
Giulia
Quando arriva la carrozza, avvertitemi immediatamente.
Giuseppe
Beninteso.
Giulia
E badate che deve venire il dottor Manlio Ardenzi. Potete farlo passare.
Giuseppe
(con un atto di umile meraviglia) Lo volete ricevere?!
Giulia
È un discepolo di Raimondo; è il segretario del Comitato. Mi ha scritto che gli è necessario di parlarmi prima che io esca di casa.... Non posso scacciarlo.
Giuseppe
(non sa dissimulare il suo vivo malcontento, ma, accigliato, si rassegna per obbedienza.) Lo farò passare. (Esce.)
SCENA III.
GIULIA e FAUSTINA.
Faustina
Ma che cos'è? Vi fa il cane di guardia?
Giulia
(con bontà e mestizia) Poverino! È stato abituato a volermi bene così.
Faustina
Un bene da far mancare il respiro!
Giulia
(mutando — con vivacità affettuosa) E tu?... Dimmi di te, dimmi di te, Faustina. Se tu sapessi che piacere il rivederti! Da dieci minuti in qua mi pare di essere meno sola, e anche meno infelice. La tua cara parlantina di brontolona allegra mi fa un po' rivivere la mia fanciullezza. Ah, che beneficio ne sento! Parla, parla, Faustina! Perchè sei scomparsa? Come te la sei cavata tutto questo tempo? Che hai fatto? Dove sei stata?
Faustina
In America sono stata!
Giulia
Ma brava!
Faustina
Si, si, un bell'affare! Mi avevano dato ad intendere che laggiù le monete d'oro venissero fuori come i funghi....
Giulia
(animandosi e interessandosi) E invece?
Faustina
Ho lasciato il paese dell'oro con quindici soldi in saccoccia.
Giulia
(guardandola graziosamente da capo a piedi) Però... però... sei tutta elegante, oggi.
Faustina
E vi pare che questi paramenti siano roba di mia proprietà? Me li son presi a prestito per fare un po' di festa a voi. Ma la faccenda, cara la mia bambola, è molto seria. Sono agli estremi!
Giulia
(con un lampo di giocondità) Faustina!... Di': ti piacerebbe di tornare con me?
Faustina
E non l'avevate ancora capito che per questo sono qui?
Giulia
Io mi ti piglio a braccia aperte.
Faustina
Sono piuttosto sconquassata, è vero, ma per lavorare....
Giulia
Al posto che ti darò io non farai nessuna fatica. Ti darò nientedimeno che il posto di portinaia nel mio ospizio.
Faustina
Nel vostro ospizio?!
Giulia
Sicuro! Sarà inaugurato ben presto. Vedrai che cosa bella.... Io fondo un ospizio, Faustina. Col patrimonio che m'ha lasciato il povero Raimondo, io istituisco un ricovero per le vedove indigenti. Capisci ora? Parlo di quelle, naturalmente, che per la loro condizione sociale non possono guadagnarsi da vivere. Ma, spieghiamoci: bisogna, soprattutto, che non abbiano l'intenzione di rimaritarsi; bisogna che si propongano di fare una vita modesta, rassegnata, tranquilla, umile; quasi monastica, insomma.
Faustina
(attonita e compiaciuta) Oh, guarda, guarda, guarda!... E voi?
Giulia
Io starò nel ritiro come le altre. Sarò la sorella maggiore, sarò la direttrice....
Faustina
Una specie di madre badessa?
Giulia
(con gaiezza) Precisamente: una specie di madre badessa!
Faustina
Ed io la guardiana?
Giulia
E tu la guardiana.
Faustina
(giubilante) Ma questa dell'ospizio è stata un'idea coi fiocchi!
Giulia
Ci vieni?
Faustina
Mi spetta di diritto. Più indigente e più vedova di me, dove la trovate?
Giulia
(sempre più animandosi alle celie della buona donna e secondandola) Hai l'intenzione di rimaritarti tu, Faustina?
Faustina
Neanche se torno a nascere!
Giulia
Quand'è così, non c'è nulla in contrario!
Faustina
Voto di castità e posto di portinaia!
(Ridono un poco tutte e due.)
Giulia
Ed ora, fila, fila, fila, vecchia mia. Tu ti pigli tutto il mio tempo, ed io ho ancora da pettinarmi e da vestirmi.
Faustina
A pettinarvi e a vestirvi, almeno fino a che non entro in carica, ci penso io, perbacco!
Giulia
Non te ne vuoi andare?
Faustina
Fossi pazza! Provvisoriamente, io mi pianto in casa vostra.
Giulia
(con una piccola esultanza infantile) E oggi mi pettini proprio tu? Proprio tu, come una volta?
Faustina
Come una volta, non so, perchè, allora, dei vostri capelli ero io la padrona.
Giulia
È vero, Faustina. E nelle tue mani diventavano più lucidi, più folti....
Faustina
Di questo non ce n'era bisogno, perchè avevate in testa una massa di seta così!
Giulia
Che belle treccie, Faustina, mi lasciavi cadere sulle spalle!
Faustina
E avete dimenticato quando di nascosto ne tagliai una ciocchetta per darla allo studente che mi rompeva le scatole?
Giulia
Ah, furfante! Me lo dicesti dopo di avergliela data, e mi facesti piangere.
Faustina
Evvia che non mi rimproveraste poi molto!
Giulia
E pensare che continueranno a passar gli anni come tanti ne sono passati e quel coso lì, per colpa tua, possederà sempre una ciocca dei miei capelli!
Faustina
E di che vi preoccupate? Potete essere sicura che quelli non imbiancheranno mai.
Giulia
Non tocchiamo questo tasto, Faustina. Sai che comincio ad averne dei capelli bianchi? Ne ho già trovati quattro o cinque.
Faustina
(con un gesto comico di spavento) Misericordia! (Per chiasso le guarda i capelli sulla fronte e sulla nuca.)
Giulia
A prima vista non si scorgono, ma chi sa che non siano di più.
Faustina
(sciogliendole ad un tratto i capelli) Aspettate un momento che Faustina vi dirà con precisione a che ne siamo.
Giulia
(scansandosi e irritandosi un poco con una specie di pudore ingenuamente civettuolo) No! No!... Che fai?...
Faustina
(in tono d'allarme burlesco) Uh, quanti!
Giulia
(sùbito, con dolorosa meraviglia) Davvero!?
Faustina
(tutta festosa, allargandole quasi con orgoglio il manto dei capelli sulle spalle) Ma che! Neppure uno bianco... e neppure uno di meno! La stessa ricchezza, lo stesso tesoro d'una volta!
Giulia
(sfuggendola col viso tutto rilucente di soddisfazione femminile) Niente! Niente! Non ti credo.... Non ti credo....
SCENA IV.
GIULIA, FAUSTINA, MANLIO, indi GIUSEPPE.
Manlio
(arrestandosi di là dalla soglia, con molto riguardo) Permesso?
Giulia
(facendo un salto, — a Faustina:) Oh Dio! Lo vedi che figura mi fai fare! (Cercando di celarsi e attorcigliandosi i capelli) Abbia pazienza, signor Ardenzi.... Un minuto solo....
Manlio
Prego, prego.... (Vedendo l'imbarazzo di Giulia, discretamente, senza guardare, si ritira e si riduce dietro il muro.)
Giulia
Presto, Faustina! Presto! Le forcinelle dove sono?
Faustina
(aiutandola a raccogliere e a fissare i capelli sulla testa) Eccole qua: le ho io. Ma perchè tutta questa paura? Non sono già i capelli che bisogna nascondere agli uomini.
Giulia
Che c'entra! È sempre una sfacciataggine mostrarsi coi capelli scinti.
Faustina
(mettendo a posto le forcinelle e dando delle occhiate alla porta) State tranquilla, perchè quello lì ha avuta tanta paura di guardarvi quanta voi ne avete avuta di farvi guardare.
Giulia
(dopo essersi chiusa la vestaglia al collo) Avanti, signor Ardenzi.... Venga pure.
Manlio
(in redingote d'occasione e con in mano il cappello e un piccolo fascicolo di carta scritta, entra stranamente impacciato ed emozionato) Io sono mortificatissimo, signora, di essere giunto molto inopportuno....
Giulia
(allungando in fretta le maniche che si è accorta di avere ancora rimboccate) Ma no.... Devo io, invece, fare delle scuse a lei.
Manlio
Ho tanto pregato il suo servo affinchè mi annunziasse!... Egli mi ha riconosciuto e si è anche ricordato d'avermi introdotto qui molto tempo fa con... Luciano Marnieri; ma intanto non ha voluto annunciarmi. Stizzosamente mi ha ripetuto più volte che potevo passare ed io....
Faustina
(osserva Manlio con la coda dell'occhio.)
Giulia
(a Manlio:) Non è il caso di preoccuparsi così.... Ero un po' in disordine, ecco.
Faustina
(accostandosi a Giulia, sottovoce:) Posso andare ad aspettarvi nella vostra camera?
Giulia
Certo.
Faustina
Dov'è?
Giulia
(indicando a sinistra) È di là.
Faustina
(pianissimo) Col patto che non dimentichiamo la regola del ritiro.
Giulia
Cioè?
Faustina
Uomini, mai più!
Giulia
(dandole un colpetto con la mano sulla spalla e facendosi quasi seria) Scioccona!
Faustina
(accenna una riverenza a Manlio, ed esce a sinistra.)
Manlio
(si arresta verso il fondo non osando di avanzarsi.)
Giulia
Smetta il cappello. Segga. (Ella siede.)
Manlio
Grazie.... (Depone in un angolo il cappello e il fascicolo e resta in piedi, un po' stralunato.)
Giulia
(guardandolo con una certa meraviglia) Non vuole sedere?
Manlio
(sedendo inquieto) Mi perdoni, signora, se non riesco a dissimulare il mio turbamento. Recandomi da lei, io ho dovuto, in certo modo, fare astrazione da un desiderio manifestato a tutti noi dal professore l'ultima volta che lo vedemmo, proprio in questa medesima stanza. Sì, in un momento di orribile angoscia, egli ci pregò di non venire mai più nella sua casa; e, benchè io abbia la sicurezza che il suo pensiero non potette essere rivolto a me, pure, lo confesso,... ora... provo una strana... una penosa sensazione. Stando qui, io quasi rivedo quei suoi occhi così pieni di dolore, quasi riodo quelle sue parole così piene di mistero..., e mi pento di non aver rispettato il suo desiderio.
Giulia
(rimettendosi dal turbamento che queste rievocazioni producono in lei, assume un contegno chiuso e fiero.) Ella avrebbe potuto espormi nella sua lettera tuttociò che le era necessario dirmi.
Manlio
Veramente, non l'avrei potuto. Veda, per incarico dei miei compagni di studio, io dovrò pronunziare un discorso alla commemorazione d'oggi. M'ero proposto di lumeggiare il gran valore morale dell'uomo che è sparito accennando alle tracce di alta virtù lasciate nella vita di sua moglie e quindi al concetto della istituzione ch'ella sta per fondare. E giacchè sarebbe stato sconveniente il pregarla di darmene in iscritto l'autorizzazione che mi era indispensabile, come dovevo regolarmi?...
Giulia
(ha un movimento di fastidio, e con severità inarca le sopracciglia, soffrendo e tormentandosi nella prudenza disdegnosa.) Ma, scusi...: perchè, perchè occuparsi di me?!
Manlio
Nessun elogio da tributarsi a quell'uomo potrebbe essere più significativo e più commovente di questa specie di tempio che ella innalza accanto alla tomba di suo marito.
Giulia
(contenendosi nervosamente) Lo innalzo per me, per me: non per mostrarlo agli altri.
Manlio
(animandosi con entusiasmo) Agli altri parrà pur sempre il simbolo solenne d'una fedeltà esemplare! L'ammirazione che ella desta in tutti non le consentirà di nascondere tanta sublimità.
Giulia
(scattando in un imprudente sfogo di ambascia) Ma è appunto da questa ammirazione che io vorrei finalmente liberarmi! Mi sembra che tutti i miei palpiti, che tutte le mie lagrime, che tutti i miei spasimi abbiano il controllo quotidiano dell'ammirazione! Mi sembra d'essere vigilata, quasi che l'umanità non possa oramai più vivere senza la mia virtù! E io ne sono soffocata, sì, ne sono soffocata nell'anima, perchè ho l'impressione che mi si tolga perfino la libertà di pensare, di sentire e di spasimare come e quanto voglio io!
Manlio
(scosso, confuso, si alza. Poi balbetta:) Se avessi potuto prevedere....
Giulia
(levandosi imbarazzata) No... non badi, non badi alle mie parole.... Sono sempre un po' nervosa.... Non so io stessa ciò che ho detto.... Volevo solamente pregarla di non parlare nè del mio ospizio, nè di me. Oggi, sarò lì per un dovere a cui non saprei sottrarmi. Ma desidero e spero che almeno lei e tutti quelli che mi hanno conosciuta al fianco di Raimondo Artunni accondiscendano a considerarmi, da oggi in poi, come una persona morta.
Manlio
Per conto mio, intanto, le garantisco che oggi mi guarderò bene dal pronunciare il suo nome.
Giuseppe
(entra dalla comune senza avanzarsi, come aspettando d'essere visto. Ha in mano un vassoio.)
Giulia
Che c'è, Giuseppe?
Giuseppe
Una signora chiede d'essere ricevuta.
Giulia
Chi è?
Giuseppe
È una signora attempata. Dall'aspetto si vede che è una gentildonna. Mi ha dato il suo biglietto. (Si avanza sogguardando Manlio con ostilità e diffidenza e le porge il biglietto nel vassoio.)
Giulia
(legge il nome ed ha un forte sussulto. Poi, dopo una evidente titubanza) Credo che sia molto tardi.... Io devo essere pronta per uscire.... È venuta la carrozza, Giuseppe?
Giuseppe
Non ancora.
Giulia
Ebbene,... se questa signora è disposta ad attendere qualche minuto, tanto che io abbia il tempo di vestirmi,... potete farla entrare.
Giuseppe
Va benissimo. (Esce.)
Giulia
(a Manlio:) Io ho la sua promessa, non è vero?
Manlio
(mettendosi la mano sul petto) Certamente!
Giulia
(accomiatandosi) Buon giorno, signor Ardenzi.
Manlio
I miei rispetti, signora.
Giulia
(esce a sinistra.)
Manlio
(disorientato, quasi mortificato, si stringe nelle spalle come per dire: «ho fatto male», e prende sollecitamente le sue carte e il suo cappello. Sul punto d'uscire s'imbatte nella signora Marnieri.)
SCENA V.
MANLIO e LA SIGNORA MARNIERI.
Manlio
(con una espressione di stupore e quasi di spavento) Signora Marnieri! Voi qui?
La signora Marnieri
(che entrava timidissimamente, nel trovarsi faccia a faccia con Manlio, ha avuto come un urto ed è rimasta sconcertata e smarrita.) Sì,... vengo... a chiedere un piccolo favore alla signora Artunni....
Manlio
Voi non l'avete mai conosciuta di persona.... Sicchè, non un favore da chiedere, ma una ragione più impellente deve avervi decisa a venire da lei.
La signora Marnieri
(trepidante, spaurita) Perchè mi dite questo?
Manlio
Perchè a traverso ciò che vostro figlio mi ha scritto dal suo esilio pochi giorni fa, egli mi sembrava tutt'altro che tranquillo.
(Parlano entrambi circospetti, con la preoccupazione di potere essere ascoltati.)
La signora Marnieri
(con le lagrime nella voce) Tutt'altro, tutt'altro che tranquillo! Io ho tanta paura.... Se sapeste!... Non vivo più!
Manlio
Ma bisogna convenire che questa frenesia crescente per una donna di cui non ha mai posseduto nè il corpo nè il cuore è un caso inesplicabile.
La signora Marnieri
Quanto più allontanate dall'acqua un assetato, tanto meno egli si rassegna alla sete. E poi, come potete giudicare voi!? Luciano è nato così. Luciano è l'uomo della febbre e del martirio. Io l'ho visto fanciullo vegliare le notti intere in una specie di tormento mistico come un piccolo asceta d'altri tempi! All'ascetismo d'una volta ora ha sostituito una donna, e questa donna sarà la fiamma della sua anima per tutta la vita! (Indi, tremebonda, vincendo appena il suo ritegno) Ditemi con franchezza, signor Manlio,... credete utile che io le parli?
Manlio
(in un tono di vivo rammarico) Purtroppo, la vostra idea mi sembra assolutamente assurda.
La signora Marnieri
(desolata, ma ancora tutta presa dalla sua istintiva illusione) È assurdo sperare che una donna buona si commuova alla sorte d'un giovane che si consuma per lei?
Manlio
(con intensità) Voi dimenticate che fra lei e Luciano vi è un morto che è stato qualcuno per tutti e due.
La signora Marnieri
Ma Luciano ha fatto per lui quello che solamente un santo avrebbe potuto fare.
Manlio
Lo riconosco.
La signora Marnieri
E dunque?!
Manlio
Io non vi esprimo soltanto un convincimento mio: io personifico, per così dire, il criterio, l'opinione, il convincimento generale. La fedeltà della vedova Artunni all'uomo di cui ella è stata la compagna perfetta pare oramai a tutti come proclamata da una legge immutabile!
La signora Marnieri
(concitatissima e abbassando ancora di più la voce) No, no, signor Manlio; io le parlerò, io le parlerò, perchè,... malgrado tutto, mi giunge insistentemente una voce segreta che mi consiglia di sperare.
Manlio
Sicchè, in fondo, voi sperate che ella finirà con l'amare Luciano?!...
La signora Marnieri
Potrebbe amare in lui l' Amore, e ciò sarebbe già il principio di qualche cosa.
Manlio
Signora mia, io non voglio aggiungere più nulla. Me ne vado, e vi auguro con tutto il cuore che, in un modo o in un altro, la provvidenza vi assista.
La signora Marnieri
(urgentemente) Ma se scrivete a Luciano, per carità!, attento a non dargli il sospetto di avermi vista in casa di lei. Mi maledirebbe!
Manlio
Pensate che io non abbia capito sùbito che ci eravate venuta di nascosto?
La signora Marnieri
(con un tenero accento giustificativo) Non ci sarei potuta venire altrimenti....
Manlio
(dà un sospiro di compianto. Indi, risolutamente) Be', vi saluto, signora Marnieri.
La signora Marnieri
A rivederci, signor Manlio.
Manlio
(esce.)
SCENA VI.
LA SIGNORA MARNIERI e GIULIA.
La signora Marnieri
(rimasta sola, è invasa di nuovo dallo sconforto. In piedi, girando un po' gli sguardi trepidi intorno, non osa neppure di muoversi. Le sembra di essere un'intrusa in quella casa. Le sembra di non dover respirare l'aria che respira. Lo sconforto aumenta. Ella rivolge gli occhi al cielo in atto di umile preghiera. Quando, con l'orecchio vigile, ode lievemente un rumore di passi, ricompone la fisonomia e con intensa emozione aspetta.)
(Entra Giulia. — Indossa un abito quasi di lutto, sobrio, severo, ma piuttosto elegante. In testa un piccolo cappellino chiuso con la veletta alzata sulla fronte.)
Giulia
(vedendo la signora Marnieri, accentua un contegno impenetrabile, e riserbatamente saluta:) Signora....
(Le due donne si osservano.)
La signora Marnieri
Mi sono permessa di presentarmi da me... perchè ho contato sulla sua cortesia,... sulla sua indulgenza.... E poi ho pensato che probabilmente il mio nome... non le sarebbe giunto nuovo.
Giulia
(con una quasi impercettibile espressione di risentimento, la invita a sedere) Si accomodi, signora Marnieri.
La signora Marnieri
(ancora in piedi) Ma vedo che sta per uscire.... Se la disturbo....
Giulia
La prego di accomodarsi!
La signora Marnieri
Per accontentarla.... (Siede.)
Giulia
(sedendo anche lei) A che debbo, signora, la sua visita?
La signora Marnieri
Ecco... io desideravo, anzitutto, di conoscerla.... Lo desideravo vivamente!
Giulia
È un desiderio del quale non saprei rendermi ragione....
La signora Marnieri
Ho sentito dire tanto bene di lei....
Giulia
(diventando più guardinga) Non si desidera di conoscere tutte le persone di cui si sente dir bene.
La signora Marnieri
Ma lei... non è per me una persona come un'altra.
Giulia
(trasalisce.)
La signora Marnieri
C'è qualche cosa... che mi spinge verso di lei ed a cui non ho resistito fino ad oggi... che per il timore di riuscirle fastidiosa.
Giulia
(schivandosi con perplessità dissimulata) Non comprendo, signora.
La signora Marnieri
È giusto. Non può comprendere. (Titubante e incapace di vincere la titubanza, cerca parole incerte e prudenti) Se fossi almeno sicura di non darle troppo fastidio, le chiederei la grazia... insperata... di ascoltarmi,... e allora... forse....
Giulia
(dibattendosi tra la tentazione di ascoltare e l'austerità che si è imposta) Io non ho il diritto... d'impedire ch'ella parli....
La signora Marnieri
(credendosi incoraggiata, ma avendo sempre nella voce il tremito della timidità pavida) Ho detto che c'è qualche cosa che mi spinge a lei irresistibilmente, ma ho detto poco. Avrei dovuto dire — e non l'ho osato sùbito — che lei è la speranza da cui sono sorretta, che lei è il battito incessante del mio cuore di madre....
Giulia
(interrompendola con un amaro slancio inconsulto) Io non sono responsabile, signora Marnieri, della strana esaltazione di suo figlio!
La signora Marnieri
(in uno scatto di sorpresa) Ma, dunque, lei sa tutto?!
Giulia
Malauguratamente, so abbastanza!
La signora Marnieri
E come ha potuto sapere quello che egli le ha sempre celato?
Giulia
No.... Abbia la bontà: non m'interroghi su questa circostanza. L'essenziale è che io sono profondamente meravigliata che il tempo non abbia estirpato dall'animo d'un giovane onesto un sentimento malsano e ingiustificabile!
La signora Marnieri
(prorompendo) Ah, signora! Quel sentimento è diventato più vivo, più ostinato, più forte che mai, e la giovinezza del mio Luciano ne sarà distrutta lentamente o troncata d'un colpo!
Giulia
Questo è il grido d'allarme d'una madre che vede più gravi e più acute, di quanto davvero non siano, le sofferenze del suo figliuolo. Ma nessuna giovinezza si lascia realmente distruggere da un amore.
La signora Marnieri
Non è il grido d'allarme di una madre, no, perchè io ho voluto essere e sono difatti, soprattutto, l'amica di mio figlio. Sono l'amica, a cui egli ha confidato ogni più piccolo segreto fin da quando ancora bambino cominciò precocemente a temere i pericoli della vita. Quello che le ho riferito non è una supposizione della madre costernata: è bensì il segreto di lui rivelato a me in una confessione d'ogni giorno. Allontanandosi da questa città due anni or sono, sognava egli stesso di guarire e fidava nella lontananza, fidava nella fermezza del proprio carattere e in tutto quanto la sua età gli prometteva. Mi proibì di seguirlo, nè io l'avrei potuto seguire, perchè in casa, mio marito, che ha molti anni più di me, e mia figlia, che lavora, abbisognano di tutte le mie cure; ma non ho mai cessato di stare col pensiero accanto al mio Luciano e d'interrogarlo con quella dolcezza che ha sempre trovate le vie più intime del suo cuore. Ebbene, signora, le lettere che egli mi ha scritto fino ad oggi sono i documenti d'una esistenza travagliata che si agita tristemente come in una fitta oscurità, chiedendo un poco di sole! La lontananza, la fermezza del suo carattere e le risorse della sua età non lo hanno guarito! Lei dice che nessuna giovinezza sì lascia distruggere dall'amore...; ma io — mi perdoni se mi esprimo con troppa sincerità — non credo che questo sia il suo convincimento. Una creatura buona e dolente come lei sa per prova che i dolori umani non hanno limite e sa per istinto che l'amore può essere il più grande dei dolori!
Giulia
(con gli occhi bassi, pianamente) L'ho ascoltata per il rispetto che lei ha saputo impormi; ma ho fatto male ad ascoltarla.
La signora Marnieri
Perchè?...
Giulia
(con asprezza angosciosa) Perchè anche la compassione a cui mi si costringe per un uomo che mi ama è una viltà della mia coscienza.
La signora Marnieri
La compassione non è mai una viltà!
Giulia
(energicamente) Sono io che devo giudicarmi, signora Marnieri, e la clemenza sua non renderà me più clemente verso me stessa! Del resto, che cosa potrebbe mutare per la mia compassione?
La signora Marnieri
(paurosa)... Anche dalla compassione... può nascere l'affetto.
Giulia
(drizzandosi in piedi con una immediata irruenza dolorosa) Avrei il dovere di morire se sapessi di amare! (Breve pausa.) Il nostro colloquio, signora Marnieri, è durato già troppo.
La signora Marnieri
(si leva con umiltà.)
Giulia
(continuando) Lei è venuta a turbarmi la pace, e non si è arrestata neppure all'idea di violare la custodia sacra intorno alla quale io ho raccolta tutta intera la mia vita. Lei è giustificata, lo intendo bene, dalla cecità dell'affetto materno; ma io vorrei fulminare col mio sdegno colui che avrebbe dovuto sentire orrore di questa violazione e invece ne ha affidato il tentativo alla tenerezza di sua madre!
La signora Marnieri
(assorgendo vivissimamente con uno slancio impetuoso dell'anima e della voce) No! Luciano non sa nulla! Glie lo giuro sul mio onore. Non sa nulla!
Giulia
(spalanca gli occhi e indietreggia.) (Un silenzio.) (Poi, quasi sottomessa) Le domando perdono di avere offeso suo figlio.
La signora Marnieri
(con pari sottomissione) Soltanto a me, soltanto a me, spetta il suo sdegno. Ho creduto che i patimenti già sopportati con rassegnazione da Luciano avessero pagato il debito di gratitudine ch'egli ha verso il povero morto e ho creduto che avessero potuto fargli condonare il sacrifizio senza fine. Questo è stato l'errore mio. Ed ecco che ne sono acerbamente punita. La certezza che lei mi serberà rancore o che forse mi odierà addirittura sarà per me un nuovo strazio... che si aggiungerà a quello di assistere, incapace di aiuto e da lontano, alla immensa infelicità del mio figliuolo.
Giulia
(profondamente commossa) Non è così, signora Marnieri. Da me lei non deve aspettarsi nè odio nè rancore. (Con tenera lealtà) Tutt'altro!... So di essere l'origine di tutte le sue pene, e ciò mi fa umile dinanzi a lei quasi come una colpevole. Io... spero molto che un giorno la tranquillità sia finalmente restituita a suo figlio ed a lei. Quel giorno mi sentirei alleviata anch'io, e mi parrebbe... d'essere divenuta migliore.
La signora Marnieri
Io non l'ho più questa speranza! Io non l'ho più! (Piange.)
(Un silenzio.)
Giulia
(le si accosta come per abbracciarla: poi repentinamente, con un piccolo fremito proibitivo, si trattiene, e le dice con dolcezza:) Via, non si scoraggi.... Voglio ammettere che suo figlio sia d'una sensibilità eccezionale;... voglio ammettere che la stessa tenacia, con cui ha dovuto tentare di vincere il suo sentimento, glielo abbia poi cacciato più dentro le vene; ma chi può prevedere tutte le trasformazioni e tutte le vicende a cui un giovane è destinato?... Chi può prevedere tutte le cose belle che lo aspettano sul suo cammino?... E che sono io, che sono io fra tutte le donne che un uomo può incontrare sulla terra?... (Il suo volto è rigato di lagrime.)
La signora Marnieri
(senza rispondere, scrolla lievemente il capo come per dire che quelle parole non l'hanno convinta.) (Si asciuga gli occhi.) Addio, signora.
Giulia
Addio.
La signora Marnieri
(dopo una breve esitazione, con un poco di voce tremante)... Non mi permetterà di rivederla qualche volta?
Giulia
(tra l'oscura necessità di rifiutare e il bisogno istintivo di cedere, col cuore che le rompe il petto, debolmente mormora:) Se lei lo vuole....
La signora Marnieri
La ringrazio. (Guardandola con devota effusione, le stende la mano.)
Giulia
(glie la stringe, evitando quegli sguardi riconoscenti.)
La signora Marnieri
(trattenendo nella sua la mano di lei e stringendogliela più forte, ancora con le lagrime che le vagano sulle pupille, quasi interrogandola, fiatando appena, ripete:) La ringrazio. (Si distacca penosamente, ed esce.)
Giulia
(stanca, trasognata, rapita come da una ineluttabile influenza sovrumana, lentamente siede e resta immota guardando dinanzi a sè un punto lontanissimo, con i grandi occhi estatici.)
(Passa qualche istante.)
SCENA VII.
GIULIA e GIUSEPPE.
Giuseppe
(tutto vestito a lutto, con l'abito abbottonato, portando in una mano un cappello col velo nero, nell'altra, col braccio quasi penzoloni, il piccolo mazzo di fiori, comparisce in fondo, compunto e austero. Vedendo che Giulia non si accorge di lui, annunzia con voce poca e grave:) Signora Giulia, la carrozza del Comitato è venuta.
Giulia
(ha un piccolo soprassalto. — Rabbrividisce.) (Pausa.) (La sua fisonomia si muta.) (Ella cala la veletta sul viso e si leva.) Eccomi, Giuseppe.... Sono pronta. (Quindi si avvia.)
Giuseppe
(diritto, con le spalle allo stipite, aspetta con solennità che ella gli passi davanti.)
(Sipario.)
ATTO QUARTO.
Un camerone bislungo che va un po' restringendosi in fondo. C'è nell'ambiente qualche cosa di claustrale. Le pareti sono bianche e nude. L'alto soffitto è a volta. A destra, una prima porta su cui è scritto: Direzione; e, a sinistra, dirimpetto a questa porta, un corridoio che s'interna nell'edifizio. Poi, un'altra porta a ciascuna delle due pareti laterali. L'angolo sinistro del camerone è tagliato dall'ampio vano ad arco d'una scala che discende. Nel centro della parete di fondo è un largo finestrone dal parapetto basso. Oltre un tavolino di noce che è sul davanti, verso il lato destro, e poche seggiole solide e pulite, nessun'altra suppellettile interrompe quella nuda e serena semplicità. Dal punto mediano della volta pende un ferro che sostiene una sola lampada elettrica sotto un cupolino di porcellana. Una più piccola lampada è nel vano della scala. Un'altra dinanzi all'uscio della Direzione. La chiavetta della luce è alla parete in fondo, presso il vano della scala.
SCENA I.
SUORA ELISABETTA, FAUSTINA, LA SIGNORA MIRELLI, LA MARCHESA ANTONUCCI, ADALGISA, DONNA SOFIA, UNA VECCHIETTA.
(È il vespero. Le lampade sono spente. Il camerone è nella penombra. Dalla grande finestra aperta si vede, come un quadro in una cornice, il profilo di qualche casa, di qualche terrazza, di qualche campanile, sull'orizzonte che va abbuiandosi e il luccichio tremulo delle prime stelle. Con le spalle voltate alla finestra e poco da essa discoste, sono sedute, formando quasi un semicerchio: Suora Elisabetta, che è una monaca senza connotati speciali; la marchesa Antonucci, che è una signora sui quarantacinque anni dallo aspetto molto signorile; la signora Gilberta Mirelli, giovanissima, esile, con un viso pieno di soavità, vestita a lutto; Adalgisa, dall'età un po' incerta tra i trenta e i trentacinque anni, dall'aspetto ambiguo, ora gaio ed ora malinconico, vestita un po' in disordine, ma non senza una certa grazia bizzarra; Donna Sofia, una vecchia nitida e atticciata dai capelli bianchissimi; Faustina, che indossa una veste grigia arieggiante un'uniforme; e UNA VECCHIETTA decrepita, raccorciata e magra, col dorso curvo, avvolto in uno scialletto nero.)
( Suora Elisabetta sta nel mezzo della schiera, e la sua cuffia monacale biancheggia nella penombra fra le due ali del semicerchio. Ella presiede, fredda, impassibile, quasi macchinalmente, la piccola adunanza, per le preghiere della sera. Il rosario è stato già recitato; ed ora le litanie sono al termine. La sua voce monotona propone. Le voci delle donne raccolte intorno a lei monotonamente rispondono a coro.)
Suora Elisabetta
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi....
Le altre
Parce nobis, Domine.
Suora Elisabetta
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi....
Le altre
Exaudi nos, Domine.
Suora Elisabetta
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi....
Le altre
Miserere nobis.
( Tutte si fanno il segno della croce e si alzano. Soltanto la VECCHIETTA disseccata e curva resta seduta.)
Faustina
E anche stasera ci siamo lavata la coscienza.
Suora Elisabetta
(volta la chiave della luce elettrica. Le tre lampade rischiarano discretamente il camerone. Poi, ella si avvicina alla Vecchietta e le offre il braccio. L'aiuta ad alzarsi e con lei, piano piano, infila il corridoio.)
(Tutte e due spariscono.)
Donna Sofia
(a Faustina, che sta per prendere la sedia di lei:) Questa è sedia di mia pertinenza.
( Donna Sofia trascina la sedia sua, a cui sono legati due cuscini che gliela rendono più comoda, fin proprio sotto la lampadina che pende dalla volta, e lì si ferma e siede. Cava fuori un giornale, inforca gli occhiali, si mette a leggere. La Mirelli trascina una sedia qualunque e siede presso il tavolino, su cui sono una scatola e un mucchio di strisce ricamate. Ne cerca una, e continua a ricamare. Faustina, servizievole, accosta al tavolino una seggiola per la Marchesa Antonucci e le altre seggiole ai muri. La MARCHESA prende posto quasi dirimpetto alla signora Mirelli. Ripiglia un libro che aveva lasciato sul tavolino e comincia a scorrere qualche pagina tenendo agli occhi le sue lorgnettes col manico dorato. Adalgisa si è affacciata al finestrone e si allunga, si torce, si volta e si gira per guardare fuori qualche cosa.)
Suora Elisabetta
(torna dal corridoio, e, con passo svelto, si avvia verso la scala.)
Adalgisa
Avete fretta, suora Elisabetta?
Suora Elisabetta
Ho da fare, giù, al primo piano.
Adalgisa
Volevo mostrarvi la telegrafia che organizza a quest'ora una nostra vicina.
Faustina
Non andate a guardare, suora Elisabetta!
Suora Elisabetta
(senza intendere) Ma che è?
Adalgisa
Non è mica il diavolo. È una bella ragazza che dal suo terrazzino fa il telegrafo dei fiammiferi con un giovanotto dirimpetto.
Suora Elisabetta
Avete buon tempo, signora Adalgisa. Per cento anni! Per cento anni! (Va via per la scala.)
Faustina
A due passi di distanza da un ospizio come questo, è uno scandalo!...
Adalgisa
(divertendosi della collera di Faustina, ride e la stuzzica) Come portinaia dell'ospizio, voi potreste ricorrere alle autorità contro quella ragazza.
Faustina
Io ricorrerei contro quell'impostore del giovanotto! Avete capito?
Adalgisa
(continuando a stuzzicarla) Ditelo, ditelo a donna Sofia ciò che ne pensate degli uomini.
Faustina
Ciò che io penso degli uomini, se non temessi d'essere udita dalla signora Giulia che è qui accanto a far l'infermiera alla Ferrucci, lo griderei a voi con parole rotonde così! (Fa il gesto.)
Donna Sofia
(levando un po' gli sguardi dal giornale) Ma proprio non vi vanno a genio gli uomini?
Faustina
(con una smorfia di ribrezzo) Maria Santa!... (Scappando via per la scala con le mani in alto) Alla larga! Alla larga!... Libera nos, Domine!
La Marchesa
(con un languore di noia, facendo cadere il libro sul tavolino e guardando con le lorgnettes la signora Mirelli) Più veloci del solito, stasera, le vostre dita di fata.
La signora Mirelli
Vorrei terminare questo ricamo, marchesa, prima di lasciare l'ospizio.
La Marchesa
Domani la partenza?
La signora Mirelli
Sì, nel mattino. Sono aspettata a Roma dall'avvocato che mi ha fatto recuperare il piccolo patrimonio del mio povero Ferdinando.
La Marchesa
(sospirando) Non più indigenza per voi!
La signora Mirelli
Non sarò ricca, ma il beneficio di questa casa non mi spetta più.
La Marchesa
Voglio regalarvi, per mio ricordo, un prezioso pizzo d'Inghilterra. È l'ultimo avanzo... dei miei tempi felici! Lo accettate?
La signora Mirelli
Siete molto buona, marchesa.... Ma perchè privarvene?
La Marchesa
(con tristezza) Per me, oramai!... Voi state per riavvicinarvi al mondo; mentre io so bene che non uscirò mai più da questa prigione dello spirito. (Mutando) Desidero che del mio pizzo sia guernito il primo abito da festa che dovrete indossare.
La signora Mirelli
Io mi ritiro in campagna, marchesa, e indosserò l'abito nero finchè campo.
La Marchesa
(alzandosi) Chi lo sa! Avete ventidue anni. È ancora l'età degli equivoci sentimentali.
La signora Mirelli
(con tranquillo e semplice convincimento) Oh no! Per me, equivoci non ce ne sono.
La Marchesa
(sorridendo d'incredulità) Vedrete, vedrete! Torno sùbito. (Esce per la seconda porta a destra.)
Adalgisa
(dal finestrone, vivacemente) Donna Sofia!
Donna Sofia
Che volete?
Adalgisa
Stasera, oltre i fiammiferi, abbiamo anche una candela accesa.
Donna Sofia
(senza levare gli occhi dal giornale) Candela accesa, amore che consuma.
(Un silenzio.)
SCENA II.
GIULIA e LE ALTRE.
Giulia
(entra dalla porta a sinistra. Indossa un abito severo, ma garbato, quasi grazioso. — Negli occhi una cupezza di mistero. Il viso un po' emaciato. Sulla fronte come una luce di alterigia. — Appena entrata, si ferma. Nessuna delle tre donne la vede. Ella guarda più specialmente la signora Mirelli, che le volge le spalle. Atteggia le labbra a una vaga sorridente dolcezza, e, pian pianino, senza farsi sentire, le si accosta, le mette le mani sugli occhi e, cangiando un po' la voce con grazia affettuosa, domanda:) Chi sono?
Donna Sofia
(si volta, si alza e tace per non guastare il giuoco.)
Adalgisa
(si volta anche lei, e tace e aspetta.)
La signora Mirelli
(senza esitare, risponde) La nostra benefattrice, il nostro angelo....
Giulia
Niente, niente!
La signora Mirelli
La nostra direttrice....
Giulia
Nemmeno.
La signora Mirelli
L'amica nostra, l'amica mia....
Giulia
(togliendole le mani dagli occhi) Ora sì.
La signora Mirelli
(alzandosi) Cara!
Donna Sofia
Felice sera, signora Giulia!
Giulia
State comoda, donna Sofia. Non interrompete la lettura del vostro giornale.
Donna Sofia
Grazie! (Per condiscendenza si rimette a leggere.)
Giulia
(alla signora Mirelli:) E restate seduta anche voi, piccina mia.
La signora Mirelli
Ma no. Avevo finito.
Adalgisa
(avanzandosi gaiamente) Voi mi direte che vi ho già baciate le mani venti volte da stamattina, ma i baci dati... sono sempre perduti! Io ve le voglio ribaciare. (Le piglia le mani quasi a forza e glie le bacia.)
Giulia
Eccola qua la rosa d'ogni tempo!
Adalgisa
(indicando la Mirelli con affettuoso rancore) Ma a voi piacciono di più i salici piangenti.
Giulia
(carezzando i capelli della signora Mirelli) Poverina! Non si distacca mai dal suo dolore questa piccola silenziosa.
Adalgisa
Come farete quando sarà andata via la vostra prediletta? Sembra che per respirare abbiate bisogno del suo respiro.
Giulia
(celiando) Gelosa!
Adalgisa
(con enfasi sinceramente malinconica) «Amore e gelosia m'hanno il cor tolto!...» (Poi, di nuovo in tono allegro e chiassone) Addio, addio! Per questa sera vi lascio tutta a lei. (Tornando di corsa al finestrone, dà una strappata al giornale che donna Sofia ha in mano, sicchè questo casca a terra.)
Donna Sofia
Siete stata battezzata col pepe, voi! (Raccoglie pazientemente il giornale.)
La signora Mirelli
Mi credete, signora Giulia, se vi dico che avrei preferito di continuare ad essere poverella per rimanere con voi?
Giulia
Io vi credo.
La signora Mirelli
E mi terreste come vostra segretaria, come vostra collaboratrice? Con quel po' di quattrini che liquido, potrei contribuire a mantenere questa casa di consolazione.
Giulia
No, creatura mia buona. No! (Sovraeccitandosi dolorosamente) Io sola devo mantenerla, perchè soltanto a me è veramente necessaria. Io sola devo alimentarla. Io sola, io sola devo amarla più di ogni altra cosa al mondo, perchè a me null'altro è concesso!
La Marchesa
(ritornando con fra le mani un merletto) Finalmente ho trovato.... Oh! la signora nostra è qui.
Giulia
Un merletto?!...
La Marchesa
Un regaluccio per la signora Mirelli. Come un nastrino da mettere al collo della colombella che sta per prendere il volo. (Lo porge alla Mirelli.)
La signora Mirelli
(prendendolo) Che ho da dirvi? Vi sono grata.
La Marchesa
(a Giulia) Io le ho augurato di potersene adornare un abito da festa.
Giulia
(con meraviglia e curiosità, alla Mirelli) Un abito da festa, voi?!
La signora Mirelli
(con un sorriso gentile, si stringe nelle spalle e posa il merletto sul tavolino.)
Adalgisa
(in tono d'allarme scherzoso) Signora Giulia, vi denunzio Faustina! Profitta della penombra per discorrere in istrada con un uomo! E poi finge di essere stata sempre... astemia.
Giulia
Poveretta! Starà a fare quattro chiacchiere con Don Lorenzo il farmacista.
Adalgisa
Nossignora! Don Lorenzo ha tanto di pancia, e quell'ometto lì non ne ha punto. Zitte! Zitte!... L'ometto resta davanti alla portineria, e Faustina viene su. E come corre! Si arrampica per le scale coi piedi e con le mani.
Giulia
(con un'espressione di meraviglia e di fastidio) Chi può essere a quest'ora?!
SCENA III.
FAUSTINA, GIULIA e LE ALTRE.
Faustina
(dalla scala, con la sua voce pettegola) Gesù! Gesù! Se quello non è uscito da un manicomio, io voglio perdere un occhio! (Entra tutta scalmanata.)
Giulia
Che c'è, Faustina? Che c'è?
Faustina
Un pazzo, signora mia! Un vero pazzo!
Giulia
Ma che dici?!
( Tutte circondano Faustina per ascoltarla.)
Faustina
Ero a prendere una boccata d'aria fuori del cortiletto, perchè, dentro, quest'afa di caldo non mi faceva respirare, quando un giovane ben vestito, a una certa distanza, si è messo a gironzarmi intorno. La strada era solitaria, la notte calava, ed io cominciavo ad aver paura.
Giulia
(ansiosissima) Ebbene?
Faustina
Figuratevi l'impressione mia nel momento in cui quell'individuo mi si è avvicinato. Aveva gli occhi che parevano di fuoco e la faccia che anche all'oscuro si vedeva ch'era più bianca della carta. «Ohe, chi volete?» — gli ho domandato sùbito, scansandolo. E lui, con la voce che gli tremava nella gola, ha balbettato: «Si può vedere la signora Artunni?» «Sono più delle otto — gli ho risposto io, pronta a non dargli quartiere — : è difficile che la Direttrice vi riceva. Essa può farlo quando vuole, s'intende; ma io le conosco le sue abitudini. Qui, le ore del parlatorio sono da mezzogiorno alle due, e anche lei, per dare il buon esempio, soltanto in queste ore riceve».
Giulia
(profondamente turbata) E lui?!...
Faustina
Signora mia, io non ci ho capito niente. Prima si è appoggiato al muro come se avesse avuto un colpo di mazza in capo; e poi, appena che ha preso fiato, un poco a pregarmi che corressi da voi, un poco a scongiurarmi per non farmici venire, e tanto si torceva, tanto smaniava e così pieni di lagrime aveva gli occhi, che, credetemi sulla parola, (commossa) per la prima volta da che campo... un uomo mi ha fatto pietà!
Giulia
(mal celando l'angoscia e l'impazienza) Ma il suo nome non glie lo hai domandato?
Faustina
Si chiama Sarnieri... Varnieri.... Poco o niente me l'ha fatto sentire. Ma insomma somiglia al casato di quella signora che viene a trovarvi qualche volta.
Giulia
(impallidendo, trema dentro, e rivolgendosi alle donne cerca di dire qualche cosa per mostrarsi disinvolta.) Deve essere il dottor Luciano Marnieri: un discepolo di mio marito. Egli è figlio precisamente... di quella signora con cui sono in rapporti d'amicizia....
Adalgisa
Quella signora coi capelli grigi, che ha un'aria così buona?
Giulia
Sì.... Che suo figlio, tornando a Napoli dopo cinque anni d'assenza, abbia avuto il pensiero di farmi una visita, me lo spiego perfettamente. Quello che non mi spiego è questo suo contegno.... Del resto, tu, Faustina,... gli confermerai, con cortesia, la risposta che già gli hai data.
Faustina
(resta incerta, interrogandola con gli sguardi un po' pietosi come per ottenere un ordine diverso.)
Giulia
(un po' duramente) Va, Faustina.
Faustina
Vado. (Esce.)
SCENA IV.
GIULIA, SUORA ELISABETTA, LA SIGNORA MIRELLI, DONNA SOFIA, LA MARCHESA, ADALGISA.
Giulia
(riafferrandosi, con vivacità eccessiva, alle occupazioni dell'ospizio) Ma, a proposito!... Faustina ha detto che sono più delle otto, e suora Elisabetta non ha ancora portato il brodo alla Ferrucci?! Glie l'ho avvertito sin da oggi.
Adalgisa
Volete che scenda un po' in cucina?
Giulia
No, no: la suora se l'avrebbe a male. (Andando verso la scala, chiama:) Suora Elisabetta! Suora Elisabetta!...
La voce di suora Elisabetta
Vengo, signora Giulia. Io so perchè mi chiamate. Preparavo appunto per la Ferrucci.
Giulia
Sì, per questo vi chiamavo. Vi ringrazio.
(Le quattro donne secondano la sua animazione, ma, impressionate, affettuosamente la osservano.)
La Marchesa
Le date del brodo alla vostra ammalata?
Donna Sofia
Vuol dire che sta meglio.
Giulia
Un miglioramento prodigioso! Un miglioramento che rasenta il miracolo! (Esaltandosi) Ah, io ne sono così lieta!... Ne sono così felice! (Nello sforzo della finzione, la vista per un istante le si confonde, il suo volto si copre d'un pallore spettrale.)
Adalgisa
Signora Giulia!...
La signora Mirelli
Che avete?!...
( Adalgisa e la signora Mirelli vanno a lei come per sorreggerla, l'una a destra, l'altra a sinistra.)
Giulia
(fra le due donne, vincendosi) Niente.
Donna Sofia
Siete diventata livida, benedetta!
Giulia
(seguendo l'impulso di giustificarsi) Forse, un po' l'emozione di poco fa.... Il nome di quel giovane, che mio marito trattava come un figlio, mi ha rimesso davanti, all'improvviso, tutto un mondo di tristezze e di dolori... e ciò non poteva lasciarmi indifferente.... Ma vi assicuro che sto benissimo....
Suora Elisabetta
(entra recando un vassoio coperto d'una salvietta con sopra una gran tazza fumicante) Ecco, signora Giulia.
Giulia
Brava, brava suora Elisabetta! Aspettate, che andiamo insieme. (Alle quattro donne:) Voialtre, non fate complimenti. È l'ora in cui solete ritirarvi nelle vostre cellette. Io vi saluto, e vi prego di non stare in pensiero per me. (Quasi temendo l'affettuosità attenta di quelle donne, alla quale le tarda di sottrarsi, con una vibrazione nervosa esagera la dissimulazione.) Ma perchè, ma perchè quelle facce smorte?... Non sono poi così fragile. Su! Su! Allegre! Allegre! Allegre! (Apre l'uscio della Ferrucci, e, ostentando una solennità scherzosa, annunzia:) Signora Ferrucci, la cena è servita! (Esce.)
Suora Elisabetta
(la segue.)
SCENA V.
DONNA SOFIA, ADALGISA, LA SIGNORA MIRELLI, LA MARCHESA.
(Le quattro donne restano impensierite, perplesse, in silenzio.)
La signora Mirelli
(è più pensosa delle altre, afflitta, riconcentrata, immobile, presso il tavolino. Adalgisa in un canto, con gli occhi quasi lagrimosi, nervosamente tortura un nastro che ha al collo.)
Donna Sofia
(chiamando a sè in disparte la Marchesa, le dice sottovoce, con precauzione:) Sentite, marchesa. Il nome di quel giovane, io l'ho letto nel giornale di ieri.
La Marchesa
(ugualmente sottovoce) Di che si parlava?
Donna Sofia
Si parlava... che so?... dell'Africa.... Si parlava d'un viaggio pericoloso... e poi del deserto,... della scienza....
La Marchesa
Ebbene?
Donna Sofia
Che ve ne pare? Devo dirglielo alla direttrice?
La Marchesa
Dov'è il vostro giornale di ieri?
Donna Sofia
Se lo prese proprio lei.
La Marchesa
(con un piccolo sorriso significativo, quasi maligno) E allora... non vi date pena. (Allontanandosi) La buona notte a tutte.
Donna Sofia
(restando lì ad arzigogolare) Altrettanto a voi, marchesa.
Adalgisa
(badandole poco) Buona notte.
La signora Mirelli
(assorta, non risponde.)
La Marchesa
(un po' impermalita) A domattina, non è vero, signora Mirelli?
La signora Mirelli
(scotendosi) Sì, marchesa. Ci diremo addio domattina.
La Marchesa
(si ritira nella sua stanza.)
(Ancora silenzio.)
Donna Sofia
(trascinandosi dietro, lentamente, la sua sedia, borbotta tra sè:) Serata nera! Meglio non salutare. (Sparisce nel corridoio.)
Adalgisa
(si accosta alla Mirelli, e, molto commossa, le dice pianamente:) Non era vero che si sentisse bene. Aspettatela qui, voi. Le farete piacere.
La signora Mirelli
(con mesta dolcezza) Grazie, Adalgisa. Ci pensavo anch'io.
(Si stringono la mano.)
Adalgisa
(s'inoltra nel corridoio, e via.)
SCENA VI.
LA SIGNORA MIRELLI, GIULIA.
La signora Mirelli
(rimasta sola, per indugiare, rimette ad una ad una le strisce ricamate nella scatola.)
Giulia
(entrando e vedendola, corre a lei ansiosamente come ad un rifugio.) Sapevo di ritrovarvi!
La signora Mirelli
E io sapevo che mi avreste voluta.
Giulia
Sì, statemi vicina, statemi vicina. In quest'ultima sera, non mi abbandonate.
La signora Mirelli
Lo vedo che avete dei tormenti.
Giulia
Ma non è già per parlarvi dei miei tormenti che io ricorro a voi, piccina mia. Quello che io desidero, invece, è che voi parliate a me. Mettetemi a parte dei vostri progetti. Ditemi tante cose. Che farete, che farete della vostra vita, voi che siete tanto bella e tanto giovane?
La signora Mirelli
E l'ignorate voi, forse? Cercherò altrove la pace che voi cercate qui.
Giulia
Per me, è tutt'altro. Io ho qui dei doveri che voi non avete.
La signora Mirelli
Ve li siete creati voi stessa per trarne un conforto. Io tenterò d'imitarvi in quello che posso. Farò un po' di bene, e vivrò appartata, solitaria, tranquilla....
Giulia
(con nella voce una lentezza intensa) Senza felicità?... Senza gioia?...
La signora Mirelli
Io credo che ciò diventerà per me una gioia.
Giulia
La gioia della rassegnazione, la gioia dell'eroismo arido e immobile, che vi darà la misura della vostra resistenza; ma è poi questa la gioia che la vostra giovinezza chiederà gridando nella solitudine? No, no, Gilberta. Non lo fate! Non lo fate! Lasciate che liberamente la vostra giovinezza scelga la sua strada; lasciatela correre, lasciatela correre con l'unica guida del vostro istinto, sin dove vorrà, sin dove potrà!
La signora Mirelli
Ma appunto il mio istinto non mi consentirebbe di distaccarmi dai miei ricordi. Non c'è nulla che mi costringa.
Giulia
Nemmeno una promessa fatta a lui?
La signora Mirelli
No.
Giulia
Nemmeno un suo desiderio segreto?
La signora Mirelli
No! No! Egli anzi mi esortava a non illudermi sull'eternità del dolore. Mi esortava a disporre sinceramente del mio avvenire. Ma le sue parole generose, che ho ancora qui nell'orecchio, non potranno mai distogliermi dalle esigenze del mio cuore.
Giulia
(quasi timidamente, quasi mortificata) E allora... ciò che vi ho detto vi sarà sembrato odioso.
La signora Mirelli
Come potete supporlo?! Voi mi avete detto, in fondo, le stesse cose che egli mi diceva; ma, intanto, avete già fatto quello che farò io.
Giulia
(abbassa un istante gli sguardi, ma tosto li rialza, ravvivandosi febbrilmente) Sì, senza dubbio, io ho già fatto quello che voi farete, e continuerò a farlo; ma io vi chiedo, Gilberta, che non cessiate mai mai di essermi più che sorella.
La signora Mirelli
Questo s'intende!
Giulia
Mi scriverete spesso, non è vero?
La signora Mirelli
Spessissimo.
Giulia
Io voglio che mi scriviate delle lunghe lettere, delle lunghe lettere, e voglio leggere in esse tutto ciò che accade in voi giorno per giorno. Anche da lontano, qualunque sia la lontananza, voglio l'assistenza della vostra anima semplice e sicura di sè. Io voglio, giorno per giorno, sapere, come se io stessi dentro di voi, ciò che pensate, ciò che sentite, ciò che amate: ciò che amate, soprattutto, e in che modo sapete amare.
La signora Mirelli
(con profonda tenerezza) Ve lo prometto, signora Giulia. Io vi scriverò minutamente come sarà fatta la mia vita; e d'ogni moto del mio cuore, d'ogni più piccolo e d'ogni più grande avvenimento della mia piccola esistenza cercherò di rendervi conto. Va bene così?
Giulia
(con uno scatto di scoraggiamento) Ah, se ciò bastasse a proteggermi, Gilberta!
La signora Mirelli
Ma da quali pericoli siete minacciata? E poi, come potrei difendervene io, che valgo tanto meno di voi?
Giulia
Sono i pericoli che voi non conoscete e non conoscerete mai, creatura mia. Ma non per questo dovete credere di non potermene difendere. Proteggetemi, proteggetemi col pensiero, proteggetemi con la preghiera, se avete fede in Dio: proteggetemi offrendomi sempre l'esempio di voi. I vostri occhi sono così limpidi! La vostra fronte è così serena!... Abbracciatemi forte,... tenetemi stretta fra le vostre braccia.... Datemelo davvero il vostro respiro!
La signora Mirelli
(compresa da una grande commozione, la tiene strettamente abbracciata, e, un po' smarrita, la contempla.)
Giulia
(con la testa piegata sulla spalla di lei, piange.)
SCENA VII.
GIULIA, LA SIGNORA MIRELLI, SUORA ELISABETTA.
Suora Elisabetta
(viene dalla camera della Ferrucci.)
Giulia
(come la porta si apre, drizza il capo ricomponendosi d'un sùbito.)
Suora Elisabetta
Signora Mirelli, perdonate se vi disturbo. La signora Ferrucci, avendo saputo che partite domani di buon mattino, ha espresso il desiderio di stare con voi qualche minuto prima che suoni l'ora del riposo.
Giulia
Andateci, Gilberta.
Suora Elisabetta
Devo smorzare, signora Giulia?
Giulia
(dissimulando il bisogno di attardarsi) No.... Smorzo io.
Suora Elisabetta
Devo chiudere il finestrone?
Giulia
(cercando un pretesto per non farlo chiudere)... L'aria è così calda stasera.... Meglio lasciarlo aperto.
Suora Elisabetta
Santa notte.
Giulia
Buon sonno, suora.
Suora Elisabetta
(con passo lieve ed affrettato, infila la scala.)
Giulia
(alla Mirelli:) Domani, all'alba, sarò levata, e ci rivedremo.
La signora Mirelli
Sì, a domani.
Giulia
A domani.
La signora Mirelli
(va nella camera della Ferrucci, e chiude l'uscio.)
Giulia
(inquieta, palpitando, come attirata da una forza magnetica, lentissimamente si accosta al parapetto del finestrone. — Appena sporta la testa, in un violento sussulto, esclama:) La signora Marnieri! (Poi, in preda a una confusa concitazione:) Perchè viene?!... Perchè viene?!... Che cosa accade?!...
SCENA VIII.
GIULIA, LA SIGNORA MARNIERI
La signora Marnieri
(giungendo trafelata e angosciosamente vibrante) Devo parlarvi di urgenza. Non ho potuto fare a meno di forzare la consegna. Devo parlarvi d'urgenza!
Giulia
Dio mio!
La signora Marnieri
Luciano è andato ad imbarcarsi sul piroscafo che parte questa sera per l'Africa. Sono io che l'ho spinto a chiedere di voi prima che si fosse recato a bordo. M'illudevo, m'illudevo ancora!... Ma voi non avete voluto riceverlo, e ogni mia illusione è svanita. Al più tardi fra un'ora, il piroscafo si distaccherà dallo sbarcatoio, e lo porterà via per sempre!
Giulia
Per sempre no!
La signora Marnieri
Sì, per sempre! per sempre!
Giulia
(indagando con trepidazione intensa) Io ho letto nei giornali che egli si sarebbe unito ad alcuni scienziati che vanno in missione laggiù. Per quanto audace quello che si propongono, non mi pare, non credo che sia la perdizione.
La signora Marnieri
Per lui, sì. Ne ho la sicurezza.
Giulia
Ma non aveva chiesto il vostro consiglio?... Non vi aveva scritto nulla?
La signora Marnieri
Nulla! Nulla! Me lo son visto giungere ieri l'altro da Milano, all'impensata; e quando ho appreso il suo proposito mi sono inginocchiata dinanzi a lui, piangendo tutte le mie lagrime per ottenere ch'egli desistesse. Non è stato possibile. Io piangevo, piangevo, e i suoi occhi erano asciutti, la sua voce aveva un suono freddo di volontà irremovibile, e per sua madre nemmeno un segno di compassione.
Giulia
Se non si è commosso, significa appunto che non dubita di rivedervi.
La signora Marnieri
No, non significa questo! Da ieri l'altro sino ad un'ora fa, io ho centuplicato la mia anima per sorvegliare quella di mio figlio; e della sua povera anima moribonda, oggi, io so anche più di quanto egli non sappia. Del resto, tutti gli indizi da me raccolti hanno avuto una conferma nella raccomandazione che egli ha fatta stamane al suo amico Manlio. Ero nascosta, appiattata, e, con le mie orecchie, l'ho udita come una condanna! «Se non tornassi, ti raccomando di far capire a mia madre che per me la morte sarà stata finalmente una liberazione». Dunque, non c'è più dubbio! Egli la va a cercare laggiù, e questa partenza non è che il principio d'un suicidio, che egli dissimula forse perfino a sè stesso! Voi dovete aiutarmi a salvarlo.
Giulia
(tramortita, col fiato sospeso) E... che potrei fare io?
La signora Marnieri
Ah, signora Giulia! (Affannosamente incalzando) Dal giorno in cui per la prima volta osai bussare alla vostra porta, di tanto in tanto ci sono tornata, paurosa, come avrebbe fatto lui se non avesse avuto l'eroismo di fuggirvi. Di lui, paurosamente, vi ho intrattenuta quando ho avuto l'impressione d'essere stata accolta volentieri. Come avrebbe fatto lui, ho aspettato, ho aspettato pazientemente un vostro sorriso di benignità. Tutto questo voi lo avete inteso; e oramai sapete che nella mia voce parla il più grande amore che sia stato mai sentito da un uomo; e sapete, come lo so io, che mio figlio, se non sarà trattenuto da voi, correrà disperatamente alla morte!...
Giulia
(spasimando nel dibattito terribile) Sì, trattenerlo!... trattenerlo!... Ma poi?!...
La signora Marnieri
Voi potrete, col tempo, rinnovare la vostra esistenza....
Giulia
(mettendosi le mani aperte davanti agli occhi come per non vedere qualche cosa che la spaventa) No!...
La signora Marnieri
Voi potrete trovare nella sua gratitudine tutto un tesoro di tenerezze che non avete mai conosciute....
Giulia
Tacete, ve ne supplico! Non capite quello che io soffro? Non vi accorgete che l'energia con cui vi ho respinta sinora sta per abbandonarmi?
La signora Marnieri
(irradiandosi di meraviglia e di speranza) Vergine mia cara, sarebbe possibile?!
Giulia
(in un veemente impeto come d'imprecazione) Attraverso sua madre questo innamorato lontano diventa inesorabile!... (Poi si lascia cadere sopra una sedia.) Sono quattro anni che mi costringete a intuire le lotte, la costanza, il supplizio di vostro figlio; sono quattro anni che nella mia sepoltura mi scotete per trascinarmi alla speranza che io possa risuscitare, e non avete il sospetto della vostra crudeltà!
La signora Marnieri
Senza questa crudeltà, non sarei riuscita ad avvicinarvi un poco a lui....
Giulia
(con voce soffocata, ma aspra, violenta, sibilante di angoscia) Voi v'ingannate, signora Marnieri! Ciò che avete fatto voi non è che il compimento dell'opera cominciata dallo stesso uomo che mi proibì di amare, dallo stesso uomo che morì fra le mie braccia come in un rogo, con le carni bruciate dalla gelosia. E questa, questa è stata la mia crucifissione! Voi avete compiuta l'opera spietata, sì, ma fu lui che mi rivelò l'adorazione di vostro figlio, fu lui che me ne fece tremare come d'una fatalità orrenda, fu lui, fu lui che ne inchiodò il nome nella vita mia! (Breve pausa. Indi, ripiglia con accento fioco:) E presso a spirare, ancora di vostro figlio volle parlarmi. Biascicava le parole con le labbra bianche, ma il nome temuto lo pronunziò intero e preciso, e nel pronunziarlo spalancò le pupille spaventosamente e strinse come in una tanaglia arroventata nelle sue mani le mie. Poi... a un tratto... le lasciò cadere.... Tacque, e pianse morendo. (Sulle guance di lei scendono le lagrime del dolore antico e delle novelle torture.) (Un silenzio.) Ora, mi potete comprendere. Nessun giuramento mi rimorde, perchè io non giurai.... Dio m'è testimone che rifiutai di giurare! Ma, tuttavia, quel povero geloso, dopo aver creato egli stesso il destino del mio cuore, quanto più tempo passa tanto più tenacemente mi tiene incatenata!
La signora Marnieri
(urgente, febbrile, compresa dal timore che ella le sfugga) No, Giulia! La necessità suprema di fare un bene che solamente a voi è concesso di fare non vi permetterà l'abnegazione eterna che vi siete imposta.
Giulia
Sono perduta! Sono incatenata!
La signora Marnieri
Le spezzerò io le vostre catene per la salvezza di mio figlio! Voi verrete con me!... Voi mi seguirete coraggiosamente come per un dovere di carità cristiana. Basterà ch'io vi mostri a lui affinchè egli risenta in un istante solo il bisogno di vivere!
Giulia
Come mi sapete vincere!...
La signora Marnieri
E voi come sapete ancora resistermi!...
Giulia
(con gli occhi spenti, senza fiato, abbandonandosi) Non è vero,... non è vero,... perchè io ci verrò!
La signora Marnieri
(in una esultanza umile, rivolgendo al cielo lo sguardo luminoso di trionfo e di riconoscenza) Dio, ti ringrazio!
Giulia
(accesa da un coraggio istantaneo e quasi temendo di perderlo, si leva agitatissima) Andiamo.... Andiamo.... Andiamo....
La signora Marnieri
Si, andiamo finalmente!
Giulia
(pervasa, suggestionata dall'atmosfera che la circonda, parlando senza voce, col respiro mosso e con celerità vertiginosa) Ma per carità, che qui non si sospetti di nulla! Precedetemi di qualche minuto.... Io, intanto, prendo il mio scialle e, uscendo sola, mi sarà più facile evitare d'essere veduta dalle mie amiche....
La signora Marnieri
Il tempo stringe, Giulia!
Giulia
D'altronde, è anche necessario che egli oda dalla vostra bocca, prima che io giunga, quello che non potrei dirgli io stessa....
La signora Marnieri
A ben presto, dunque!
Giulia
A ben presto.
La signora Marnieri
(velocemente esce.)
SCENA ULTIMA.
GIULIA, LA SIGNORA MIRELLI.
Giulia
(appena uscita la signora Marnieri, tremando dal capo ai piedi come se si preparasse a compiere un delitto e sentendo l'urgenza di sottrarsi a quel chiarore, col volto terreo, contratto e con gli occhi fissi alla lampada che pende dal soffitto, rapidamente volta la chiavetta della luce elettrica, e si precipita nella stanza sulla cui porta è scritto: «Direzione».)
(Il camerone resta nel buio. Soltanto, dall'ampia finestra, uno scialbo riverbero del cielo stellato, attraverso la caligine dell'afa estiva, segna una striscia pallida sul pavimento.)
La signora Mirelli
(aprendo l'uscio, risponde con gentilezza vivace ad un ultimo saluto della Ferrucci:) No! La parola «addio» non ve la dico. È una brutta parola. Non ve la dico. (Richiude l'uscio. Si accosta al tavolino. Prende il merletto della Marchesa e la scatola dei ricami e, lieve, lenta, tranquilla, s'inoltra nell'oscurità del corridoio.)
Giulia
(tornando sùbito, con addosso e un po' sulla testa un leggero scialletto, scorge alle spalle la signora Mirelli e si arresta. Acquattata, con gli sguardi diritti su quell'ombra che s'inoltra nell'ombra, aspetta che sparisca. Quando non la vede più, si dirige verso la scala. Ma nel mezzo della camera si ferma di botto. Rabbrividisce. Ha in tutti i suoi sensi l'impressione che un ostacolo le impedisca di andare oltre. Nello sforzo e nel terrore mormora:) Non posso! (Con le braccia protese in avanti, le mani aperte, ritenta. Retrocede.) Non posso!... (Si sente soffocare. Vacilla. Cade ginocchioni. E, convulsamente, disperatamente, si abbatte con la faccia a terra, scoppiando in singhiozzi e facendo urlare la sua anima soccombente:) Non posso!... Non posso!... Non posso!...
(Sipario.)
Fine del dramma.
OPERE DI ROBERTO BRACCO
pubblicate dalla Casa Editrice REMO SANDRON
TEATRO
(Raccolta completa di tutta la produzione teatrale)
VOLUME I.
- Non fare ad altri. — Commedia in un atto.
- Lui, lei, lui. — Commedia in un atto.
- Dopo il veglione, o viceversa. — Scenette.
- Un'avventura di viaggio. — Commedia in un atto.
- Le disilluse. — Fiaba in un atto.
- Una donna. — Dramma in quattro atti.
in-16, pagg. VIII-348 — L. 3,50.
VOLUME II.
- Maschere. — Dramma in un atto.
- Infedele. — Commedia in tre atti.
- Il Trionfo. — Dramma in quattro atti.
2ª edizione riveduta. Un volume in-16, pagg. 364 — L. 4.
VOLUME III.
- Don Pietro Caruso. — Dramma in un atto.
- La fine dell'amore. — Satira in quattro atti.
- Fiori d'arancio. — Idillio in un atto.
- Tragedie dell'anima. — Dramma in tre atti.
2ª edizione riveduta. Un volume in-16, pagg. 382 — L. 4.
VOLUME IV.
- Il diritto di vivere. — Dramma in tre atti.
- Uno degli onesti. — Commedia in un atto.
- Sperduti nel buio. — Dramma in tre atti.
3ª edizione riveduta. Un volume in-16, pagg. 370 — L. 4.
VOLUME V.
- Maternità. — Dramma in quattro atti.
- Il frutto acerbo. — Commedia in tre atti.
2ª edizione riveduta. Un volume in-16, pagg. 336 — L. 3.
VOLUME VI.
- La piccola fonte. — Dramma in quattro atti.
- Fotografia senza.... — Scherzetto.
- Notte di neve. — Dramma in un atto.
- La chiacchierina. — Monologo.
Un volume in-16, pagg. 282 — L. 4.
VOLUME VII.
- I fantasmi. — Dramma in quattro atti.
- Nellina. — Dramma in tre atti.
Un volume in-16, pagg. 308 — L. 4.
IL PICCOLO SANTO
DRAMMA IN CINQUE ATTI
Un vol. in-16, pagg. 304, in edizione speciale — L. 3,50.
SMORFIE GAIE
(Seconda Edizione)
- FALSA PARTENZA
- SUL MARCIAPIEDE
- UN COLPO DI RIVOLTELLA
- IL PRIMO CONVEGNO
- AMORE BENDATO
- CONFESSORE IN IMBARAZZO
- POLITICA INTERNA
- UN «MODUS VIVENDI»
- UN PESSIMO AFFARE
- TELEFONO NAPOLI-ROMA
- INTERMEZZO: IL GIGANTE
- STASERA: UGONOTTI
- IL SUCCESSORE
- L'IDEALE DELLE FANCIULLE
- UNA TAZZA DI TÈ
- TUTTE E DUE
- CINQUE MINUTI DI FERMATA
- L'ORLO DEL BICCHIERE
- IN FUMO
- UN BACIO AL BUIO
- UNA MANO LAVA L'ALTRA
- LA PRINCIPESSA
Un elegante volume in-16, di pagg. 304 L. 3,50.
SMORFIE TRISTI
(Seconda Edizione)
- LA CANZONETTA DELL'ALBA
- UN MURO
- LA PICCOLA LADRA
- LA SARTA DELLA SIGNORA «ZULIA»
- IL SORTEGGIO
- IL NEONATO
- NELLA NEBBIA
- LA RIVALE
- NELL'OMBRA
- LA PRIMA FINZIONE
- IL FIDANZATO
- PICKMANN
- IL NOTTAMBULO
- LEIT-MOTIV
- «IN MANUS TUAS»
- IL TESTIMONE
- TRAMONTO
- L'ARTICOLO OTTAVO
- IL MOSTRO
- L'ULTIMA LEZIONE
- LA LOTTA
Un elegante volume in-16, di pagg. 328 L. 3,50.
SCRITTI VARII — Vol. I.
VECCHI VERSETTI
CON PREFAZIONE DELL'AUTORE NOTE DELL'EDITORE E GLOSSARIO Un volume in-16, di pagg. 180 — L. 3.