INDICE

Atto PrimoAtto SecondoAtto Terzo

NELLINA

Dramma in tre atti

rappresentato per la prima volta al teatro Manzoni di Milano, dalla Compagnia di Teresa Mariani, nel Carnevale del 1908.

PERSONAGGI:

  • Cesare D'Arconte
  • Giacomo , suo figlio
  • Gigetta
  • Nellina
  • Don Candido
  • Sofia
  • Ester
  • Zia Fanny
  • Due servi

Epoca attuale.

ATTO PRIMO.

Un salotto molto signorile. Una porta nella parete di fondo. Due porte laterali. Quella a destra è la comune. Tra la mobilia — di una eleganza severa — c'è un tavolino, verso il lato sinistro, e c'è un basso divano, addossato alla parete di fondo, tra l'uscio e l'angolo a destra.[1]

1. Destra e sinistra, nelle indicazioni delle porte e delle pareti, s'intende per destra e sinistra dello spettatore.

SCENA I.

CESARE, il SERVO, poi DON CANDIDO.

Cesare

(è un uomo sulla cinquantina, alquanto emaciato. Il suo sguardo è scialbo, spesso smarrito nel vuoto. I suoi occhi sono cerchiati di livido. Il volto è pallido, ma gli zigomi sono come macchiati di rosso. Egli ha un portamento da gran signore e veste con sobrietà e raffinatezza. — È sdraiato su una poltrona, accanto al tavolino, con le gambe a cavalcioni, dondolando un piede. Cava da una saccoccia un massiccio portasigari di argento, piglia un grosso avana e l'accende.)

(Dal fondo, entra il Servo, recando un piccolo vassoio con una tazza, con la zuccheriera e con una caffettierina. Tutto è squisitamente elegante.)

Cesare

I liquori. (Si versa egli stesso il caffè.)

Il Servo

(lascia il vassoio sul tavolino, esce dal fondo, e, alla svelta, ritorna, recando, in un altro vassoio, il servizio dei liquori: bottiglie, bicchieri e bicchierini.)

Cesare

(sorseggiando il caffè) Un Cognac.

Il Servo

(versa il Cognac.)

Cesare

Avete portato il caffè alla signorina?

Il Servo

(ha l'aria di non capire.)

Cesare

Alla signorina Nellina.... Fate lo gnorri?

Il Servo

Ah, alla signorina... Nellina....

Cesare

Ci sono forse altre signorine, in casa?

Il Servo

Non ho portato il caffè alla signorina Nellina, perchè, di solito, dopo la colazione, lei va a prenderselo da sè, in cucina.

Cesare

Da oggi innanzi, penserete di servirlo a lei come lo servite a me e a mio figlio.

Il Servo

Certamente. (Esce.)

Cesare

(un po' pensoso, ma non inquieto, manda in su grosse boccate di fumo. Poi, beve d'un fiato il Cognac.)

(Entra Don Candido dalla porta a destra.)

Don Candido

(età ambigua, viso spelato, faccia di prete spretato: un aspetto di persona molto zelante e untuosa. È vestito di scuro, con una redingote troppo lunga, alquanto frusta, ma ben pulita. Ha in mano un piccolo ramoscello di ulivo.) Riverisco, signor Cesare.

Cesare

Oh, vi si vede?

Don Candido

Un po' tardi?

Cesare

Crederei.

Don Candido

È domenica delle palme, signor Cesare: ho dovuto....

Cesare

Prendere parte alla messa cantata?

Don Candido

Questo no. Ma sono giornate in cui, diciamo così, non ci si sbriga sùbito, in chiesa. (Porgendo il ramoscello di ulivo) Posso offrirvi?...

Cesare

Grazie, non ne prendo. Mettetevi il ramoscello di ulivo... dove meglio vi piace, e sedete, perchè dobbiamo parlare.

Don Candido

(infila il ramoscello fra lo sparato della camicia e il panciotto, con le punte di fuori, le quali gli sfiorano quasi il mento, e siede di fronte a Cesare, in atto di obbediente attesa.)

Cesare

Oggi, caro don Candido, la vostra funzione di mio amministratore e segretario assume una importanza speciale.

Don Candido

Ne ho piacere.

Cesare

Faremo una liquidazione.

Don Candido

Ne ho dispiacere.

Cesare

Se non sapete di che si tratta....

Don Candido

Una liquidazione è quasi sempre determinata, diciamo così, da un fallimento.

Cesare

Io non sono fallito: voglio soltanto ritirarmi dagli affari.

Don Candido

Mi permetterei domandarvi quand'è che avete avuto degli affari.

Cesare

Mio Dio, ho avuto... delle donne.

Don Candido

Le chiamate affari?

Cesare

Affari di cuore.

Don Candido

Di cuore?! (Ride un po' di un piccolo riso falsamente stupido.)

Cesare

La vostra incredulità è semplicemente bestiale. Io le ho sempre amate molto le donne.

Don Candido

Benissimo.

Cesare

Ma già, che potete capire, voi? Io ho amato ogni donna con la quale ho avuto qualche... dimestichezza, e ho cercato di avere qualche dimestichezza... con ogni donna che ho amata. Questo è tutto.

Don Candido

(risolino) Eh eh!...

Cesare

La varietà non esclude la intensità. Raramente, mio caro Don Candido, l'amore — che è poi una tirannica necessità di godimento complesso — raggiunge in altri uomini quel grado di spasimo e di frenesia che raggiunge in me.

Don Candido

E vi ritirate dagli affari?

Cesare

(correggendosi) Non pigliate alla lettera le parole che ora mi sono uscite di bocca. Mi riferivo al passato. Mi riferivo a ciò che è accaduto in me sino a quando... ho sentita... la possibilità....

Don Candido

Diciamo così, della dimestichezza.

Cesare

Diciamo come volete.

Don Candido

Diciamo come vogliamo, ma io, alla faccenda del ritiro, non ci credo. (Fregandosi le mani) Non ci credo, non ci credo!

Cesare

Be', perchè non ci credete?

Don Candido

(risolino) Eh eh!... Quel che si vede, si vede.

Cesare

Ma che cosa credete di vedere, voi? Sentiamo.

Don Candido

Credo di vedere... che... se si ha sotto mano un bocciuolo di rosa come quella piccina, che, per fare una buona azione, vi siete cresciuta in casa,... non è molto facile... ritirarsi dagli affari.

Cesare

(lasciando trasparire la sua compiacenza) Sicchè,... non vi sembra sgradevole la «piccina»?

Don Candido

(con un lampo di cupidigia) Tutt'altro! (Poi, rivolgendo immediatamente gli occhi al cielo) Sarebbe ingiusto disconoscere che la Provvidenza non le è stata avara.

Cesare

(con umoristica severità) Don Candido!

Don Candido

Che è?

Cesare

Voi avete fatti gli occhi lucidi!

Don Candido

Io ho fatto gli occhi lucidi?... Non me ne sono accorto.

Cesare

Me ne sono accorto io.

Don Candido

Sarà stata la espressione spontanea del mio animo di buon credente al pensiero di quella cosa divina che si chiama la Provvidenza. (Con le braccia in atto ascetico e gli sguardi rivolti di nuovo al cielo) Voi lo sapete che io sono un....

Cesare

Un orangutango.

Don Candido

Un orangutango?!

Cesare

Precisamente! Sotto la veste del santone, in voi si nasconde il bruto, signor mio!

Don Candido

Si nasconde il bruto in me?!

Cesare

O che vorreste dire che si nasconde in me?

Don Candido

Non oserei.

Cesare

Perchè non lo pensate.

Don Candido

Perchè non lo penso.

Cesare

Ecco. (Pausa.) (Un po' turbato e nervoso) Volete un Cognac?

Don Candido

Io no: mai!

Cesare

Un Whisky?

Don Candido

Niente, niente.

Cesare

Io, sì. (Versa in un gran bicchiere il Whisky e l'acqua di soda.)

Don Candido

In verità, almeno di mattina, dovreste astenervene anche voi. Questi liquori vi bruciano.

Cesare

Visto che mi piacciono, lasciate che mi brucino. (Beve avidamente mezzo bicchiere di Whisky. — Dal portasigari, cava un altro avana e lo accende. Poi, con un lievissimo tremito nella voce:) Dunque... dove eravamo rimasti?

Don Candido

Al bruto.

Cesare

Sicuro: al bruto. (Pausa. — La sua fisonomia muta, atteggiandosi a una curiosa ed amara intimità.) Ditemi un po': quante volte avete cercato di raccogliere le briciole cadute dalla mia mensa?

Don Candido

Signor Cesare!

Cesare

Credete che io ve ne rimproveri?

Don Candido

Ma... mi maraviglio!

Cesare

Sono gl'incerti di ogni intelligente segretario come voi.

Don Candido

Mi addolorate parlandomi così.

Cesare

(sempre più intimo) Ora, per esempio, ci sarebbe una briciola abbastanza preziosa; ma... vi prego di rinunziarci, perchè... è molto attaccaticcia. Se si attacca a voi, mi parrà di non essermene ben liberato io.

Don Candido

Questa sarebbe, diciamo così, la liquidazione?

Cesare

Appunto. Io liquido la Gigetta.

Don Candido

Ah?

Cesare

Alquanto matura, ma... ancora....

Don Candido

Senza dubbio.

Cesare

E mi pare onesto il metterla in libertà prima che le rughe la costringano al riposo.

Don Candido

Una certa libertà glie l'avete già concessa da un pezzo....

Cesare

Naturale! Benchè ne fossi stato innamoratissimo in illo tempore, sono circa otto anni che non ho con lei che qualche rapporto... di condiscendenza. Ella avrebbe avuto tutto l'agio di fare il comodo suo.

Don Candido

Lo ha fatto? Lo ha fatto?

Cesare

No, povera diavola! Avendo ottenuto da me... un singolare favore... un favore che, modestia a parte, nessun altro uomo le avrebbe reso, ella mi si è mostrata sempre riconoscente e devota fino alla esagerazione. Ed è proprio per questo che non ho mai saputo avere l'energia di troncare completamente.

Don Candido

Ma poi, diciamo così, tutto a un tratto....

Cesare

Tutto a un tratto, non so come, sono stato vinto... dal bisogno urgente di non avere più nulla di comune con lei.

Don Candido

Benissimo. (Breve pausa.) Glielo avete detto?

Cesare

E no. Glielo dovete dire voi.

Don Candido

Io?!

Cesare

Vi munirò di una letterina per avvertirla che vi ho incaricato di compiere una delicata missione, e voi ve la caverete... con due parole.

Don Candido

Temo che non le basteranno.

Cesare

Io vi prego sul serio di essere laconico ed esauriente.

Don Candido

Ma, in conclusione, mi ci mandate con le mani vuote?!

Cesare

Vi affiderò, beninteso, la piccola somma che le ho destinata. Sarà una buon'uscita ragionevole. In fondo, io non avrei nessun obbligo verso di lei. Quando l'ho conosciuta, non era che una cosuccia di second'ordine. Ha vissuto per dieci anni come una gran signora.... Non ha di che lamentarsi. Adesso, il mio pourboir le permetterà di non aver troppa fretta, e di questo io sarò molto contento. Le donne di quel genere, caro don Candido, se hanno troppa fretta, si discreditano, e allora... non c'è rimedio: sempre più giù, sempre più giù, irreparabilmente.

Don Candido

(con gli occhi afflitti e pietosi) Eh!... non ne parliamo!

Cesare

Sì, meglio non parlarne, perchè la cosa non è allegra. Suol dirsi che la prostituzione sia la vendetta delle donne contro gli uomini; ma è molto difficile che esse medesime non restino miseramente vittime della loro vendetta. (Rannuvolandosi)... E anche l'uomo più cinico ne è talvolta... conturbato! (Si alza)... Vado a scrivere la lettera e a prendere il danaro. (Esce dal fondo.)

Don Candido

(resta seduto tutto compunto.)

SCENA II.

NELLINA, DON CANDIDO, poi CESARE.

(Entra Nellina dalla porta a destra, e si avanza lenta, molle, quasi sciatta, tutta intenta a fumare una sigaretta. La fuma con evidente inesperienza, tenendola fra le labbra strette e protese e soffiandovi dentro. — Don Candido, che ha le spalle verso la porta da cui Nellina è entrata, non si accorge di lei. — Ella, abituata alla presenza di lui, non gli bada neppure. Un po' di fumo le va in gola. Tossisce. Don Candido si volta.)

Don Candido

Oh, siete voi, Nellina?

Nellina

(come se non avesse udito, continua ad occuparsi soltanto della sua sigaretta.)

Don Candido

(con maraviglia) Fumate?!

Nellina

(seccamente) Sì.

Don Candido

Se vi vede il signor Cesare!...

Nellina

Me le ha date lui le sigarette.

Don Candido

(con una smorfia furba) Ottimamente. (Abbassa gli sguardi a terra, riunisce le mani sul petto, e la guarda di sottecchi.)

(Breve pausa.)

Nellina

Ohè!... Perchè mi guardate?

Don Candido

Ma io... non guardo che il pavimento. (Fissa gli sguardi sul pavimento per mostrare di aver detto il vero.)

Nellina

No. Mi stavate guardando con lo sguardo di sbieco.

Don Candido

Vi giuro che v'ingannate.

Nellina

Uhm! Non è la prima volta che vi ho sorpreso a guardarmi in un certo modo.

Don Candido

(come scandalizzato) Ma, dico: per chi mi prendete?

Nellina

(freddamente astiosa) Per una robaccia.

Don Candido

Per una robaccia?! Insomma, io sono perseguitato dalla calunnia! (Continua a guardare a terra.)

(Breve pausa.)

Nellina

(si accosta al tavolino, sceglie un bicchiere e vi versa il Whisky e l'acqua di soda.)

Don Candido

(levando gli occhi) Anche il Whisky?

Nellina

Il signor Cesare mi ci sta abituando.

Don Candido

E voi?...

Nellina

Perchè no?... Mi piace. (Beve.)

Don Candido

Benissimo!

Nellina

(coi gomiti appoggiati al tavolino, ora lo osserva attentamente.) Siete tutto pulito, oggi!... Che cosa avete lì, che vi spunta dal panciotto?

Don Candido

Oggi è la santissima domenica delle palme. Questo è un ramicello di ulivo benedetto.

Nellina

(gli mette la mano nel panciotto, e tira fuori il ramoscello.)

Don Candido

Ve lo pigliate?

Nellina

(senza rispondergli, lo guarda con una curiosità mista di disgusto.)

Don Candido

Adesso, diciamo così, siete voi che guardate me.

Nellina

Mi viene la voglia di cacciarvi il ramicello di ulivo in un occhio. (Gli sfiora, difatti, un occhio con la punta del ramoscello.)

Don Candido

(alzandosi) No!... Che vi salta in mente?! Mi accecate!

Nellina

Robaccia!

Don Candido

(preso dalla stizza e da una repentina sensualità cattiva) Se non state tranquilla, io vi afferro.

Nellina

(sfidandolo con rabbioso disprezzo) Fatelo! Fatelo! Voglio vedere come lo fate!

Don Candido

(ghermendola forte per le spalle e stringendo i denti) Siete la più terribile delle birichine!

Cesare

(entra all'improvviso e, con austerità collerica, esclama:) Don Candido!

Don Candido

(scostandosi da Nellina con un soprassalto, e confondendosi un poco) Mi voleva... mi voleva... accecare.... Non dovevo difendermi, io?

Cesare

(a Nellina:) Lo volevi accecare!

Nellina

(mostrando il ramoscello, senza guardare nè Cesare, nè Don Candido) Già.

Cesare

(a Don Candido:) E voi, col pretesto di difendervi, facevate... l'orangutango?

Don Candido

Ci siamo all'orangutango!

Cesare

(lo fissa, tentennando il capo in segno di rimprovero.)

Don Candido

(per darsi un'aria disinvolta, con una mano finge di spolverare una manica della redingote.)

Cesare

No, no! Lì non ce n'è polvere. Dovreste spolverare piuttosto la vostra coscienza!

Don Candido

È così spolverata!

Cesare

(gli si avvicina e gli consegna due buste: una chiusa, l'altra, più grande, imbottita di biglietti di banca; e gli dice sottovoce:) Questa è la lettera, e questo è....

Don Candido

Ho capito.

Cesare

La cifra è scritta sulla busta.

Don Candido

(guardando la cifra, torce il muso ed alza le sopracciglia come per dire: «troppo poco, non ce la facciamo!»)

Cesare

Siate molto cortese, ma....

Don Candido

... laconico ed esauriente.

Cesare

Senza lavorarvi la piazza per conto vostro. Mi spiego?

Don Candido

Che castigo di Dio è la calunnia!

Cesare

Andate, andate, don Candido.

Don Candido

Benissimo. (Esce a destra.)

SCENA III.

CESARE, NELLINA, poi GIACOMO.

Cesare

(tenendo d'occhio Nellina, relativamente impacciato, in silenzio, si sdraia sopra una poltrona.)

Nellina

(tira fuori da una saccoccia un piccolo portasigarette di metallo bianco e una scatoletta di cerini; si caccia fra le labbra un'altra sigaretta, l'accende, e, affaticandosi a fumare come dianzi, lentamente, sciattamente, si avvia verso la destra.)

Cesare

Nellina!

Nellina

(si ferma senza voltarsi.)

Cesare

Mi fai il favore di non dare tanta confidenza a quell'imbecille?

Nellina

(alza le spalle con noncuranza.)

Cesare

Già, in generale, tratti con troppa familiarità anche i servi di casa.

Nellina

(voltandosi appena) Fino a poco tempo fa, mi lasciavate sempre in loro compagnia.

Cesare

T'ho tenuta, per altro, come una piccola parente! Se tu fossi rimasta nell'ospizio, dal quale ti ho tolta bambina, non saresti... che una povera operaia. Io non mi vanto; ma tu mi potresti risparmiare questi rimproveri. Che dovevo fare, io? Dovevo condurti attorno con me?

Nellina

E, dunque, mi sono abituata a stare con i servi.

Cesare

Ma adesso che io comincio a preferire una vita più casalinga,... non c'è ragione che tu vada gironzolando fra le livree.

Nellina

Io ci trovo gusto.

Cesare

Malissimo!

Nellina

Almeno, ai servitori, posso dire tutte le insolenze che mi vengono alle labbra.

Cesare

A che proposito?

Nellina

Sono uomini anche quelli. (Con un'altra alzata di spalle, sta per dirigersi di nuovo verso la destra.)

Cesare

(dissimulando la sofferenza prodottagli dal contegno di lei, e cercando dei pretesti per trattenerla) Ma... stammi a sentire, Nellina....

Nellina

Cosa?

Cesare

Tu hai qui (indica a sinistra) la tua stanzetta graziosa. Io l'ho recentemente destinata a te perchè ho creduto necessario che tu avessi un cantuccio tutto tuo. Perchè non vuoi starci mai?

Nellina

Mi sembra una trappola. Non ci sto volentieri.

Cesare

E allora, va a trattenerti (indica il fondo) nelle stanze interne. È inutile che tu stia sempre in quelle dove passano tutti, o addirittura in cucina.

Nellina

(pigramente) Andrò a trattenermi nelle stanze interne. (S'avvia verso il fondo.)

Cesare

(quando Nellina è sul punto di uscire, irrefrenabilmente scatta in tono di comando:) Resta qui, Nellina!

Nellina

(si ferma. Indi, con una fisonomia di rabbia chiusa, le sovracciglia aggrottate, la fronte bassa, siede sul divano, ch'è accanto alla porta in fondo, e, raccogliendovi le gambe, si raggomitola tutta.)

(Breve pausa.)

Cesare

(contenendosi e mutando tono) Con questo tuo caratterino dispettoso, mi obblighi ad essere brusco, e poi io stesso me ne dolgo. Certe volte, mi fuggi come se io fossi un tuo nemico. E, ieri sera, fosti... così aspra... così irritante... che io... dovetti fare uno sforzo per non punirti acerbamente!

Nellina

(fredda, d'una tranquillità acre) Voi stavate per baciarmi. Non voglio essere baciata da voi.

Cesare

(impallidisce, si confonde, si agita dentro; indi si leva, passeggia su e giù, siede presso il tavolino.)

Giacomo

(entrando dal fondo) Babbo!

Cesare

(sconcertato) Che c'è, Giacomo!

Giacomo

(si avanza un poco, senza accorgersi di Nellina. Appare cogitabondo, ma calmo e risoluto. Parla a suo padre con affettuoso rispetto.) Puoi darmi qualche minuto?

Cesare

Sùbito?

Giacomo

Sì, ho premura di parlarti.

Cesare

Abbi pazienza, Giacomo: in questo momento sono un po' turbato....

Nellina

(per avvertire della sua presenza Giacomo, fa cadere a terra il suo piccolo portasigarette.)

Giacomo

(ode il rumore, si volta un istante e, nel vedere Nellina, intuisce di essere entrato in mal punto.)

Nellina

(senza scendere dal divano, raccoglie il portasigarette.)

Cesare

Appena rimessomi, sarò a tua disposizione.

Giacomo

Va bene, babbo. (Via dal fondo.)

Cesare

(nervosissimo, guarda i liquori, prende il suo bicchiere e osserva che ce n'è un altro adoperato.) Avete bevuto voi in quest'altro bicchiere?

Nellina

Sì.

Cesare

(con reticenza)... Volete ancora?

Nellina

No.

Cesare

(Beve sino al fondo.) (Pausa.) (Poi, con la voce più tremula, più roca) Nessuna donna ha mai avuto ribrezzo di me. Ed è strano che ne abbiate proprio voi, a cui ho fatto un po' di bene. Non è pudore, no, perchè il pudore non vi consentirebbe certe vostre piccole audacie di sfrontatezza; e non è neppure quell'odio misterioso che voi v'immaginate di nudrire per tutti gli uomini. È bensì una speciale ribellione contro di me: una ribellione sorda e maligna, che mi rende ogni giorno più inquieto, più torbido, più sofferente,... più febbricitante!

Nellina

(ha gli occhi spalancati e biechi, fissi su lui in un misto di paura e di ferocia recondita.)

Cesare

(si leva e continua affannosamente:) Io lo so, io lo so, che non dovrei tormentarvi. La coscienza me lo grida. Io mi sdoppio e chiedo a me stesso per quale triste fenomeno io abbia sentite, ad un tratto, le più ossessionanti attrattive della donna nella fanciulla che mi spetterebbe di proteggere.... E, forse, chi sa, avrei potuto a tempo contenere i miei istinti se avessi scorta in voi una certa bontà per me. Sì, in tal caso, forse avrei potuto ragionare, avrei potuto sorvegliarmi. Ma, invece, il vedervi perennemente con quella faccia solcata dai segni del rancore e della ostilità, il vedervi sempre tutta pronta a difendervi ingiuriando la mia persona, mi dà le vertigini, mi dà dei brividi che mi fanno temere... di trascendere fino a una violenza, di cui io stesso non saprei sopportare la vergogna. (Acceso in volto, col corpo oscillante, sorreggendosi alla spalliera di una sedia) Badate, Nellina!... Io ve lo avverto.... Io ve lo avverto.... Non vi ostinate ad avvilirmi, non vi ostinate a difendervi troppo, se volete... che io vi lasci in pace!

Nellina

(con le labbra livide di rabbia rattenuta, con le braccia incrociate e strette al petto fino ad afferrarsi le spalle, tutta tremante, quasi rimpicciolendosi e sogguardandolo, scende dal divano. Vorrebbe scappare, ma, pur vedendolo come disfatto, teme la sua ira. Col passo pauroso, sempre coi vigili sguardi fissi su lui, raggiunge, a poco a poco, la porta a destra, e, dopo averlo ancora sogguardato, esce di corsa.)

Cesare

(cadendo sopra una sedia, e covrendosi il volto con le mani) Dio!... Dio!... Che cosa faccio!?...

SCENA IV.

CESARE, DON CANDIDO, GIGETTA, poi NELLINA.

Don Candido

(entra affaccendatissimo, ansimando) Signor Cesare....

Cesare

(padroneggiandosi) Già di ritorno, don Candido?

Don Candido

... L'ho incontrata... l'ho incontrata... per istrada. Era in carrozza.... Impensierita alquanto della vostra assenza più prolungata del solito, stava per venire da voi. Io ho cercato di evitarvi questo incomodo.... Le ho consegnato la lettera, le ho consegnato i quattrini, le ho detto il fatto suo e sono stato... laconico ed esauriente. Ma, viceversa, non ho esaurito nulla. La Gigetta mi ha preso, diciamo così, per il collo, mi ha messo in carrozza con lei, e, cucita al mio soprabito, è venuta fin qui.

Cesare

(bruscamente) Ditele che sono uscito.

Gigetta

(comparisce dalla prima porta a destra: è elegantissima, ha il volto sapientemente truccato: entra con disinvoltura, senza gravità, quasi graziosamente) Ma no.... Sta' tranquillo.... Io non vengo nè per cavarti gli occhi, nè per cavarti altri quattrini....

Cesare

(alzandosi con cortese deferenza) Io, non volevo ricevervi... soltanto perchè... c'è in casa mio figlio. Vi ho sempre ricevuta nell'epoca in cui egli era in collegio o in viaggio; ma adesso che abita con me....

Gigetta

Si scandalizza vostro figlio?

Cesare

È superfluo che vi occupiate di ciò. Lasciate che ognuno pensi come vuole.

Gigetta

(sedendo, chiama con graziosa familiarità:) Don Candido!

Don Candido

(servizievole) Ai vostri ordini!

Gigetta

Privateci della vostra presenza, perchè debbo, «diciamo così», restar sola col signor Cesare.

Don Candido

Benissimo.

Cesare

(a Don Candido:) Ma aspettate in anticamera. Potrò ancora aver bisogno di voi.

Don Candido

Benissimo. (Esce velocemente per la destra.)

Gigetta

Mi fai il piacere di dirmi a che proposito hai voluto questa separazione solenne? Avevo io forse delle pretese nella mia funzione... di amante onoraria? Da un pezzo, sapevo bene di essere per te... come quell'abito vecchio che si continua a tenere lì in guardaroba perchè, nuovo, lo si portò molto volentieri. Ciò mi sembrava naturalissimo; e io non facevo che fornirmi... di un po' di canfora... di un po' di naftalina... per non mostrarmiti, all'occasione, troppo tarlata. Io sarei curiosa di sapere che ragione hai di destinarmi al cenciaiuolo. Che fastidi ti davo?

Cesare

Nessun fastidio. Ma tutto ciò che ha avuto un principio deve pure avere una fine. D'altronde, di tanto in tanto, per un avanzo di abitudine, si ricascava nella palude stagnante del passato senza trovarci nemmeno una reminiscenza delle sensazioni di una volta, e se ne usciva, poi, tutti e due, pentiti, disgustati. Non è meglio eliminare questo strascico così miserevole?... Ho anche considerato che, adesso, tu sei ancora abbastanza giovane.... E giacchè hai una casa ben montata, dei gioielli, delle toilettes....

Gigetta

Sì, sì, capisco: adesso io... potrei ancora rimettermi in circolazione. Dieci anni di più non sono poi un gran guaio. Si nascondono così facilmente (accennando al viso) sotto questo intonaco! E quanto alla mia salute zoppicante, perchè darsene pensiero? Anzi! È chic portare in giro qualche decimo di febbre, qualche pilloletta di catramina.... Sicchè, sul fatto della circolazione, nulla in contrario: siamo perfettamente d'accordo. (Diventando seria e quasi sottomessa) Ma... tu sai... che di qualche altra cosa... dobbiamo parlare.

Cesare

(rannuvolandosi)... Io non credo opportuno... parlarne qui. Potrebbero ascoltarci... e proprio tu ne saresti profondamente addolorata....

Gigetta

Visto che mi hai dato il congedo, bisogna per forza che noi ci diciamo sùbito tutto quello che abbiamo da dirci. Per non essere ascoltati, abbasseremo la voce....

Cesare

(agitato, impaziente, cerca d'imporsi un po' di calma. La sua fisonomia esprime l'intima concitazione, ma il tono piano della sua voce la dissimula in una cortesia quasi affettuosa.) Del resto, mia cara Gigetta, non si tratta che di riepilogare con esattezza ciò che è passato tra noi due relativamente... alla persona di cui ti preoccupi.

Gigetta

Ma no, Cesare: questo non è necessario....

Cesare

È necessario, perchè tu mostri di averlo dimenticato. Un giorno, fra le follie della nostra luna di miele, tu fosti invasa da una stranissima tristezza. Volesti a un tratto confessarmi di essere stata madre prima che io ti conoscessi e di avere abbandonata una figlia, alla quale ti eri completamente sottratta....

Gigetta

Purtroppo!

Cesare

Mi supplicasti di raccoglierla dall'Ospizio dei Trovatelli, ed io, che non sapevo rifiutarti nulla, accondiscesi ad ospitare la piccola intrusa....

Gigetta

Te ne fui e te ne sono tanto grata.... Puoi dubitarne?

Cesare

E non si stabilì forse che ella sarebbe stata da me allevata e che avrebbe continuato a ignorare di essere tua figlia?

Gigetta

È vero: non lo nego.

Cesare

(sedendole molto vicino e parlandole sommessamente) Il solo scopo che tu ti prefiggevi era quello di salvarla da una eventuale miseria. Mi raccontavi tu stessa che, sedotta, giovanissima, da non so chi, avevi data alla luce quella creatura fra le tue più amare imprecazioni contro la maternità non desiderata. Mi raccontavi tu stessa che avevi potuto separarti dalla tua bambina e farti sostituire da un ospizio senza essere punta dagli scrupoli e senza provarne nessuna pena. Gli scrupoli erano cominciati dopo di esserti imbattuta in me e perciò mettevi a profitto, con uno scopo indubbiamente ottimo, la influenza che, allora, su me esercitavi. Ma, intanto, per un istintivo buon senso, ti proponevi di non rivelarti mai alla figlia che era stata da te gettata via e che ti pareva dovesse già confusamente odiare la madre disumana e sconosciuta.

Gigetta

Ne ero così convinta!

Cesare

E non t'ingannavi! Eri convinta per conseguenza di aver perduto ogni privilegio materno, e soggiungevi di comprendere che, dopo tutto, una trovatella ha meno dolori della figlia di una... donnina leggera. Sono questi, anche oggi, i tuoi convincimenti? Dillo con lealtà. Sono questi?

Gigetta

(debolmente) Sì... sono questi.... Ma quando ci sarà una barriera fra me e te,... io... non avrò più nessun mezzo... di avvicinarmi a lei.

Cesare

Di avvicinarti a lei?!... Per fare che?!

Gigetta

Capirai che... se potessi... a poco a poco... conquistarla....

Cesare

E che logica è la tua?

Gigetta

Io non ho mai preteso di averne. In tutta la mia vita, dov'è la logica?... Ignoro perfino in che consista. Agisco come parlo; parlo come sento.... D'altronde poi,... non è oggi la prima volta che esprimo il desiderio di conoscere da vicino mia figlia. Sei tu che non l'hai voluto mai.

Cesare

Il mettervi a contatto l'una dell'altra, se pure io avessi potuto trovare un pretesto per farlo, sarebbe stato una crudeltà. Dal momento che fra noi c'era l'intesa di mantenere il segreto soprattutto al cospetto di lei, ti avrei procurate le più acute sofferenze stimolando la tua improvvisa sensibilità di madre.

Gigetta

Questo è giusto.... Ma non ti sembra una crudeltà anche più dura il tagliarmi per sempre la strada? Ed è una così grave colpa l'aver cominciato a sentire, con l'andare degli anni, ciò che non sentii quando, brutalizzata dagli uomini, gettai via la mia bambina? Io sono quel che sono, e, oramai, è vero, non posso rifarmi una onestà per offrire degnamente una madre alla creatura che ho fatta io; ma... la certezza di non diventare mai nulla per lei... mi rattrista troppo... e il potermi illudere un poco... mi farebbe tanto bene. Illudere su che?... Non lo so.... Mi basterebbe una illusione vaga, un'illusione... senza logica... come è la mia vita. (Ha qualche lagrima negli occhi.) Mi aiuterebbe, se non altro,... ad essere... meno leggera in avvenire... e me ne accontenterei.

Cesare

(stranamente turbato, stranamente preso da quelle parole) Senti. Ti garantisco che, udendoti parlare così, faccio tacere, con una insolita forza di volontà, ogni mio... egoismo. Il programma che tu sogni è assolutamente fantastico. Io non posso e non debbo essere l'intermediario fra te e lei per questa specie di esperimento da te vagheggiato. Nella situazione in cui ci troviamo, o un tentativo energico, o niente. (Accalorandosi in uno sforzo nobile con cui, secondando la donna, vorrebbe anche liberare la sua coscienza) E poichè la separazione nostra è, comunque, improrogabile, io ti consiglio di rivelarti a lei, oggi stesso. Bene o male, questo diritto lo hai. E se ti sentirai capace di trarla a te con la tua rivelazione e di condurla in casa tua, non sarò io che te lo impedirò. Dunque, decidi! Vuoi tentare?

Gigetta

(dopo lunga esitazione, tristamente commossa, accenna col capo di no. Indi, quasi parlando a sè stessa, aggiunge:) Sarebbe una imprudenza grande!... Giocherei tutto in un colpo solo.... E se perdessi, perderei più della speranza: perderei... anche quello che resta di incerto... nel cuore di chi ha inutilmente sperato. (Ora i suoi occhi riboccano di lagrime. È un pianto mite e breve. Poi, ella, rassegnata, si alza, rivolgendosi a Cesare:) Non insisto più.... Me ne vado. (Un istante di pausa.) Addio, Cesare.

Cesare

(tuttora seduto, compreso da sensazioni opposte, tace col capo chino. Quando ella si avvia lentamente per uscire, egli si leva e mormora:) Addio, Gigetta.

La voce di Nellina

(aspra e ribelle) Occupatevi dei fatti vostri, don Candido! Voglio andare dove mi pare e piace!...

( Ella entra di corsa e si trova di faccia a Gigetta. Si ferma imbarazzata e, per timidità, quasi le volta le spalle.)

Gigetta

(si ferma anche lei e la guarda tutta, dissimulando l'ansia.)

Nellina

(sentendosi guardata, fissa alla sua volta Gigetta, con lo sguardo obliquo, con viva curiosità.)

Cesare

(vigila, perplesso.)

(Breve silenzio.)

Gigetta

(ha l'impulso di accostarsi a lei, di rivolgerle la parola, ma si trattiene, prudente, in una profonda commozione. Indi, tra la necessità di sottrarsi alla tentazione e il bisogno istintivo di assumere al cospetto della fanciulla un contegno di donna rispettata, si volge a Cesare con uno sforzo di disinvoltura:) Non mi accompagnate fino alle scale, signor Cesare?

Cesare

... Certo. (Va alla porta a destra. Aspetta rispettosamente che ella gli passi davanti. Ed esce, dopo di lei.)

Nellina

(la segue con lo sguardo. Si avvicina alla porta per guardarla ancora, e resta lì, attenta, immobile.)

SCENA V.

NELLINA e GIACOMO.

(Entra Giacomo dal fondo, col cappello in testa, assorto. Accorgendosi di Nellina, vorrebbe ritrarsi; ma Nellina si è già voltata.)

Nellina

Che è? Avete visto il diavolo?

Giacomo

Cercavo di mio padre.

Nellina

Vostro padre accompagna Gigetta che se ne va.

Giacomo

Come avete imparato questo nome?

Nellina

L'ho udito da vostro padre, l'ho udito da don Candido.

Giacomo

Vi hanno parlato di quella donna?!

Nellina

A me, no. Ma ne parlavano fra loro. Anche i servi ne parlavano fra loro, e la chiamavano Gigetta, quando lei faceva spesso delle visite a vostro padre.

Giacomo

E voi la vedevate?

Nellina

Mi nascondevo dietro le portiere per vederla un po' e per sentirne il profumo. Porta un profumo che mi piace tanto! (Annusando con voluttà) Ce n'è ancora nell'aria. Non lo sentite, voi?

Giacomo

L'avete incontrata in questo salotto?

Nellina

Proprio nel momento che lei stava per uscirne. L'ho potuta vedere bene, oggi.... Poveretta! È sciupata.... Ma sempre elegante!... Sempre caruccia!... (Raggiante di contentezza) E come mi ha guardata!...

Giacomo

(mite) Non è lodevole tutto questo entusiasmo per una donna di quel genere.

Nellina

Ho un così gran desiderio di diventare la sua amica!

Giacomo

È un desiderio di cui dovreste vergognarvi!

Nellina

(alzando le spalle) Perchè?... Non potrò forse un giorno essere come lei?

(Un silenzio.)

Giacomo

(si avvia verso la comune.)

Nellina

(afferrandolo per la giacca) Ma no. State un poco qui, con me.

Giacomo

Ho fretta, Nellina. Ho fretta.

Nellina

(tenendolo per un braccio) Che cosa dovete dire, con tanta premura, a vostro padre? (Breve pausa.) Da qualche giorno, siete così taciturno, così preoccupato!... (Con forza, quasi con rabbia) Io voglio sapere ciò che dovete dirgli!

Giacomo

(evita gli sguardi di lei per non farsi indovinare, e tace, cercando di nascondere la sua emozione.)

Nellina

Ho capito! Vi siete deciso a partire.

Giacomo

V'ingannate.

Nellina

Ne avevate già il progetto, e ho veduto, stamane, portare un grosso baule nella vostra stanza.... Voi partite oggi stesso.

Giacomo

Ebbene, sì, parto. Parto! Parto! Qui dentro mi sento soffocare.

Nellina

(seccamente) Io voglio venire con voi.

Giacomo

(con uno scatto di spavento e di rifiuto reciso) No, Nellina!

Nellina

E mi lascerete sola, in questa casa? Sola, nelle mani di vostro padre?

Giacomo

Ciò non mi riguarda.

Nellina

Vi riguarda, perchè mi volete bene.

Giacomo

(dissimulando) Non è vero.

Nellina

È tanto vero che ve ne andate per non assistere alla infamia che vostro padre sta per commettere.

Giacomo

Evitare una sensazione di orrore non significa volervi bene.

Nellina

Non mi avete detto mai una parola senza farmi sentire che me ne volete immensamente.

Giacomo

Io ho cercato di mettere nel vostro animo qualche germe di virtù che vi era rifiutato dal destino. (Insistendo nella dissimulazione) Voi avete creduto amore questo mio proponimento pietoso. Ma, intanto, giacchè i miei sforzi sono stati inutili, non c'è, fra voi e me, neppure quell'affetto buono che essi avrebbero potuto creare.

Nellina

Forse, avete ragione; ma io ho la certezza che, se mi affido a voi, le vostre braccia mi terranno stretta.

Giacomo

(preso di nuovo dallo spavento) Non lo fate, non lo fate, Nellina! Saremmo tanto infelici tutti e due! Io vi torturerei — e inutilmente — per vincere la vostra indole, che corre verso quello che c'è di più abietto sulla terra e voi finireste col torturare me, perchè non potreste mai riuscire ad amarmi!

Nellina

Io lo desidero, Giacomo. Vi giuro che lo desidero. Vi giuro che lo spero.

Giacomo

Ma non lo spero io!

Nellina

Lo vedete che mi volete bene!

Giacomo

Non debbo volervene! Non debbo trafiggere mio padre, che, dopo tutto, non è che un disgraziato.

Nellina

Egli è il lupo che da un momento all'altro mi si avventerà addosso per divorarmi!

Giacomo

Silenzio! Sta per venire.

Nellina

(fugge per la porta a sinistra.)

SCENA VI.

GIACOMO e CESARE.

Cesare

(ritornando)... Non era qui, Nellina?

Giacomo

L'ho pregata io di lasciarci soli.

Cesare

(affettuoso) Ma, insomma, Giacomo, m'impensierisci con quest'aria di mistero.

Giacomo

Babbo... io ti avevo annunziato che, uno di questi giorni, sarei partito. Parto oggi.

Cesare

E non c'è altro?... Meno male! (Siede.) Niente di grave. Tu hai la nostalgia dei viaggi, e non ho il diritto di rimproverartela. Ne sono un po' responsabile io stesso. Appena sei uscito di collegio, ti ho fatto viaggiare, affidandoti alla tua precoce saggezza e ai tuoi bei sogni d'idealista.... Tu te ne sei dilettato, ed è naturale che, dopo sette mesi di casa paterna, abbi il desiderio di guardare un po', nuovamente, il mondo a volo di uccello....

Giacomo

Ma io volevo dirti pure... che, al mio ritorno, non verrò ad abitare con te.

Cesare

(scosso) Quando hai preso questa decisione?

Giacomo

L'ho maturata a poco a poco.

Cesare

Non me ne hai mai parlato.

Giacomo

... Speravo di poterne fare a meno.

Cesare

E, invece, a poco a poco, t'è parso indispensabile di assicurarti una completa indipendenza?

Giacomo

M'è parso indispensabile di assicurarla a te, babbo. Tu hai le tue abitudini.... Sei vedovo dal giorno in cui io nacqui e, in tutto il tempo trascorso da allora, evidentemente, non c'è stato nulla che ti abbia indotto a rinunziare ai vantaggi... di una libertà sconfinata. Cerchi nella vita passeggera... le soddisfazioni,... i godimenti... più immediati; e l'avere in tuo figlio uno spettatore assiduo, per quanto involontario, ti obbliga a restrizioni incomode e ti impone un freno che non puoi sopportare. Quando ognuno di noi due avrà la sua casa, io non sarò più turbato dal pensiero di essere il tuo incubo.

(Un silenzio.)

Cesare

(imbarazzato, triste, quasi umile) L'ammonimento che tu mi fai è meritato....

Giacomo

(interrompendo) No, babbo, non ho inteso di farti un ammonimento....

Cesare

Lasciami dire. Non sono addirittura imbecillito e ho poi sempre dentro di me qualche cosa che basta a farmi vedere tutto quanto vi è di biasimevole nella mia esistenza. Lo vedo, sì, lo vedo e lo dissimulo talvolta a me stesso. Mi creo dei pretesti, ricorro a cento cavilli per giustificarmi innanzi agli occhi miei, per convincermi di non avere nessuna colpa; ma la visione esatta della realtà, all'improvviso, mi si avvinghia al cervello e non riesco a cacciarla via se non chiedendo all'alcool l'inconsapevolezza dell'abbrutimento. (Breve pausa.) Tu ti allontani per non essere più il mio spettatore. Non oserei oppormi alla tua volontà... anche perchè so, purtroppo,... che non potrei mutare. Ma non credere che io non abbia per te l'affezione profonda che ogni padre non snaturato ha per un figlio impeccabile. Ti ho tenuto lontano per una specie di pudore, e ora ti consento di separarti da me per il rispetto che ti debbo. Nondimeno, Giacomo, io non voglio perderti. Ben presto sarò un uomo orribilmente logoro.... E Dio sa quali supplizi d'animo e di corpo sono serbati ai miei ultimi anni. Allora, io avrò tanto bisogno della tua assistenza, avrò tanto bisogno della tua purezza!... Promettimi... che mi starai vicino.

Giacomo

(con le lagrime agli occhi) Non dubitare, babbo. Ti starò vicino.

Cesare

(molto commosso, tace per qualche istante. Poi, chiede:) A che ora parti?

Giacomo

Parto sùbito. Ho già fatto uscire il mio bagaglio per le scale di servizio.

Cesare

Come per una fuga?

Giacomo

No.... Avevo stabilito di andare via senza mettere a soqquadro la casa, e desideravo di non salutare che te.

(Pausa.)

Cesare

(scrolla il capo con tristezza) Sta bene. Tutto come tu vuoi.

Giacomo

A rivederci, babbo!

Cesare

(gli prende le mani e glie le tiene.)

Giacomo

(lo bacia in fronte.)

Cesare

Ti ringrazio... (Si leva anche lui, tenendogli tuttora le mani, lo trae a sè, lo abbraccia vivamente, e, alla sua volta, posa le labbra sulla fronte di Giacomo.)

Giacomo

(per non prolungare la commozione, si libera con dolcezza, e, risolutamente, esce.)

SCENA VII.

CESARE e NELLINA.

Cesare

(torna a sedere, abbattuto, triste, preoccupato.)

Nellina

(entra dalla sinistra. Si è messo un cappelluccio di feltro e ha infilato una giacchettina. Sperava forse di attraversare la stanza senza essere scorta, ma, nel vedere Cesare, non si paralizza.)

Cesare

(all'apparire di lei, scatta in piedi) Che è questo?

Nellina

(fa per proseguire) Esco.

Cesare

(mettendosi davanti a lei e impedendole il passo) E credi che io ti permetta di uscir sola?

Nellina

(indietreggiando come se temesse di essere toccata) Non vi riconosco per mio padrone! Lasciatemi uscire.

Cesare

(parlandole sul viso) Ma dove conteresti di andare? Dove? Dove?

Nellina

Lasciatemi uscire!

Cesare

(trasalendo con orrore) È Giacomo che ti porta via?!

Nellina

Egli non sa nulla! Sono io che corro a cercarlo.

Cesare

(ruggendo di gelosia e di ribrezzo) Corri ad aggrapparti a mio figlio?!

Nellina

(con gli occhi schizzanti rabbia felina) Sì, sì, a vostro figlio, e, se lui non vorrà saperne di me, mi metterò ad aspettare la fortuna in mezzo alla strada.

Cesare

(in una spaventevole concitazione frenetica) Io ho il diritto d'impedirtelo!

Nellina

Per abusare della mia schiavitù.... Per farmi cosa vostra.... Mai! Mai! Mai! Provatevi a chiudermi in casa, legatemi mani e piedi, gridando che siete il mio benefattore.... Finchè non mi avrete strappata la lingua, io griderò, più forte di voi, che mi avete nudrita, per potervi saziare di me....

Cesare

(quasi fosse investito da un ossesso) È la verità! Non la voglio ascoltare!

Nellina

(urlando con un accento diabolico) Ma di veleno mi avete nudrita! Prendetemi ora, se ve ne sentite il coraggio!

Cesare

(con gli occhi orribilmente aperti, che non riesce a distogliere da lei, cade, di peso, sopra una sedia. Poi, senza fiato, come inebetito, guardandola ancora e, accompagnando la parola con un lieve gesto, balbetta:) Va!... Va!...

Nellina

(rinchiudendosi in sè stessa, e serrandosi, come dianzi, le braccia incrociate sul petto, fino ad afferrarsi le spalle con le mani, si precipita verso la porta a destra, e sparisce.)

(Sipario.)

ATTO SECONDO.

Una stanza tutta vivacità e colori. Lo stile nuovo si spampana in tutte le sue curve e i suoi frastagli floreali. Abbondano le piante dal fogliame decorativo. Abbondano gli specchi. Verso destra, oltre quello della piccola toeletta civettuola, ce n'è qualcuno al muro e c'è una grande specchiera, discosta dal muro, la quale riflette l'intera persona. Un largo ed alto paravento, adorno di figurine botticelliane, si stende in semicerchio per nascondere, nell'angolo sinistro della stanza, oggetti più intimi. Dallo stesso lato, più avanti, c'è un sofà carico di piccoli cuscini morbidi dalle tenere tinte varie. Presso una parete, un mobile di legno laccato a molti cassetti. Le poltrone, le poltroncine, le sedie, gli sgabelletti sono così in disordine che pare siano serviti al giuoco di bambini impertinenti. E il disordine è ovunque. Si vedono, qua e là sparsi, dei nastri, dei merletti, delle calze. Qualche cassetto del mobile laccato è tirato fuori. Sulla toeletta, sono, in iscompiglio, le fiale, le boccettine, i ninnoli, le spazzole, i pettini, gli scatolini dei cosmetici, i lapis, i piumini. Due porte laterali. Una in fondo. È sera. Molte lampadine elettriche sfavillano e si moltiplicano negli specchi.

SCENA I.

NELLINA e SOFIA.

Nellina

(è sola, seduta davanti alla toeletta. Ha indosso, sulla sottoveste, un breve e leggero accappatoio bianco, che scende fino alla sottana di seta; ai piedi, un paio di babbucce dal tacchetto dorato. Ella è intenta a dare l'ultima mano alla capigliatura. Liscia, aggiusta, corregge. Poi, sceglie fra i lapis e i cosmetici con evidente inesperienza, e comincia a «farsi la faccia», mirandosi or nello specchio in bilico della toeletta ed ora in un altro specchietto dal manico d'avorio, che ella piglia e regge o vicino o lontano. Tormentando il volto, chiama, in una assai comica e cadenzata intonazione di burletta:) Sofia!... Dolce Sofia! Cameriera del mio cuore! Vi siete addormentata nella guardaroba?

Sofia

(di dentro, mollemente) Un momentino.

Nellina

Accidenti, che tartaruga!

Sofia

(dopo un istante, entra dalla porta a sinistra, recando, appesa a una gruccia, una veste di color chiaro, abbastanza ricca. — Sofia è una donna sulla sessantina, tutta lisciata e stringata per parere più giovane. I suoi capelli appaiono neri. Si dà delle arie di cameriera importante. Cammina e parla con prosopopea autorevole. — Entrando, mostra la veste a Nellina.) Ecco: io le consiglio questa.

Nellina

Ma no. È addirittura una toilette per festa da ballo. Me la feci per un capriccio e non l'ho messa mai appunto perchè, fino a quando ho vissuto con Giacomo, non le vedevo neanche col cannocchiale le feste da ballo.

Sofia

Io le dico che stasera andrà benissimo. Lei ha degli invitati a cena? Questa è la toilette che ci vuole. (Allarga la veste sopra una poltrona davanti al paravento.)

Nellina

A me pare troppo décolletée.

Sofia

Per sua regola: se si trattasse di un pranzo, basterebbe una scollatura sin qui. (Indica, con la mano sul petto, una scollatura limitata.) Ma, per una cena, la scollatura deve scendere più giù. (Indica una scollatura fin sotto le mammelle.)

Nellina

È una esagerazione!

Sofia

Non pretenderà, cara lei, di saperne più di me, che sono stata cameriera e accompagnatrice di Dora Füller.

Nellina

Dora Füller, quando ha degl'invitati a cena?...

Sofia

Sempre molto più giù. Si capisce. È correttezza di etichetta. La Dora ci è così attaccata!

Nellina

Mi dispiace che Gigetta non sia ancora venuta. (Continuando a truccarsi) Quella sì che se ne intende!

Sofia

Cara lei, chi è la Gigetta al confronto della Dora?!

Nellina

(intenta a pitturarsi gli occhi) Adesso, tante grazie! Gigetta non è più niente, lo so. Malaticcia com'è, e con gli anni che ha sulle spalle!... Poverina!... Ma, una volta!... Altro che la Dora! (Saltando di palo in frasca) Del resto, per mettermi l'abito che avete scelto, dovrei darmi la pena di mutarmi la sottoveste?!... Io me ne infischio della etichetta! Pigliatemi un abito meno scollato, e, per questa sera, quei signori avranno la bontà di perdonarmi la grave scorrettezza... di non essere mezza nuda.

Sofia

Lo dice a me? Io me ne lavo le mani. Lei comanda, io obbedisco.... Ma, per carità, stia attenta a quello che s'impiastriccia sul viso! S'è fatto un occhio più grande dell'altro! (Si avvia verso la sinistra.)

Nellina

(pigliando lo specchietto col manico d'avorio) Qual'è il più grande?

Sofia

(fermandosi e voltandosi) Il destro. Non lo vede?

Nellina

Se è così, ingrandirò il più piccolo; ma, in fin dei conti, non sarebbe neanche indispensabile avere due occhi eguali. (Comincia a ritoccare col lapis l'occhio sinistro.)

Sofia

E si è dato troppo rosso alle labbra, troppo bianco alle guance. È lo stesso che mettere una maschera.

Nellina

Lasciate fare. Una donna senza maschera non vale due soldi!

Sofia

Cosa c'entra questo!? Io vado coi principii della dignità, cara lei. Il rossetto e il bianchetto sono stati discreditati dalle signore. Ma già, con chi parlo?... a chi prèdico?... A lei? Spreco il mio fiato! (Sgarbatamente, esce a sinistra.)

Nellina

Io non ho mai conosciuta una rompitrice di scatole come questa! (Terminata la truccatura degli occhi, si mira di nuovo nello specchietto dal manico di avorio che ella regge a una certa distanza.) Accidenti, che occhi!... (Poi, lasciando lo specchietto) Eh, ingrandire gli occhi non è difficile; ma... (Allunga un po', di sotto la sottana, i piedi nelle babbucce, e se li guarda)... rimpicciolire i piedi! Questa è l'operazione scorbutica!... Be', coraggio! (Si alza, si toglie l'accappatoio e gira di qua e di là, cercando, invano, nel disordine.) Sofietta dell'anima mia, dove li avete cacciati i miei scarpini nuovi?

Sofia

(di dentro) Sono sulla poltrona, davanti al paravento.

Nellina

(trovandoli) E che diavolo! Ci avete posta la veste sopra. Disordinata!

Sofia

(di dentro) È lei che mi fa essere disordinata in questa babilonia!

Nellina

(canzonandola e sedendo sulla poltrona, tra le pieghe della veste) Sì, sì, joujou mio! Avete ragione! Vi domando scusa. (Si toglie e lancia in aria le babbucce, che ricascano in mezzo alla stanza. Quindi si affatica a calzarsi uno scarpino.) Stelle del firmamento, com'è stretto!

Sofia

(rientrando carica di abiti sulle braccia e sulle spalle) Questi son tutti gli abiti di sera che ho trovati nella sua guardaroba. Scelga lei stessa, perchè io non voglio avere nessuna responsabilità!

Nellina

(si alza sul piede che ha già ficcato nello scarpino e va da lei a saltellini, tenendo levato l'altro piede che dondola nella calza traforata. — Guarda gli abiti con frettolosa superficialità, escludendoli e gettandoli sul sofà a uno a uno. Poi, prendendo l'ultimo) Io metto questo. (Lo getta, a parte, sopra una sedia.)

Sofia

Via, non è bello, ma, almeno, è di buon augurio.

Nellina

Perchè?

Sofia

È l'abito che lei aveva la sera in cui si liberò dal signor Giacomo.

Nellina

(scattando d'ira e di severità) Come vi permettete di mancare di rispetto al signor Giacomo, voi?!

Sofia

Lei lo mise in croce e poi sono io che gli manco di rispetto?!

Nellina

Siete pregata di non parlare mai più di lui!... E venite immediatamente a calzarmi quest'altro scarpino, senza farmi bestemmiare. (Ciò dicendo, ha preso di fra i ninnoli una sigaretta e uno scatolino in cui sono i fiammiferi, e ora siede di nuovo sulla poltrona.)

Sofia

(le s'inginocchia dinnanzi per calzarle lo scarpino.)

Nellina

(con la testa arrovesciata sulla bassa spalliera della poltrona, accende la sigaretta.)

Sofia

Cosa fa? Mi brucia i capelli!

Nellina

Ma che capelli! È un parrucchino! Ve ne regalerò uno più nero.

SCENA II.

NELLINA, SOFIA, IL SERVO.

Il Servo

(di dentro) Permesso?

Nellina

(drizzandosi in piedi) No, no! Sono svestita!

Sofia

(con noncuranza) È il domestico.

Nellina

Che è? Non ha occhi il domestico?!

Sofia

Che importa?!

Il Servo

(di dentro) Avrei da farle un'imbasciata.

Nellina

E chi ve lo impedisce? Parlate di là.

Il Servo

Da lontano, non potrei.

Nellina

(irritandosi) Auff, che nervi!...

Il Servo

Ho da aspettare molto?

Nellina

(piglia rabbiosamente l'abito che deve indossare e, afferrando Sofia per un braccio, la trascina con sè dietro il paravento.)

Sofia

Ma che maniera!...

Nellina

(grida:) Entrate, seccatore! Entrate!

Il Servo

(entra dal fondo e, non vedendo nessuno, tace.)

(Un silenzio.)

Nellina

E dunque?

Il Servo

Dov'è?! Io non la vedo.

Nellina

Mi dovete anche vedere per parlarmi?

Il Servo

Ah, è dietro il paravento?... Allora, va bene. (Tace e guarda un po' di sbieco il paravento, sperando di scorgere qualche cosa.)

Nellina

Questa imbasciata, insomma?

Il Servo

Ecco. L'imbasciata sarebbe del signor Conte Marlenghi, che è lì, in salotto, ed aspetterebbe la risposta.

(Giungono le prime battute di una saltellante canzonetta francese, accennate vivacemente al pianoforte da mano non esperta.)

Sofia

Ah, il piccolo Marlenghi! Veniva dalla Dora. Ne riconosco la sonatina con cui soleva annunziarsi.

Nellina

(infastidita) Ma io l'ho invitato a cena per mezzanotte. Com'è che si presenta adesso, che sono appena le undici?

(Il suono è cessato.)

Il Servo

Per l'appunto. Il signor Conte dice che ha anticipato, perchè amerebbe di avere, dice, un abboccamento con lei.

Nellina

Come antipasto?

Il Servo

Nossignora. Il signor Conte dice che non potrebbe abboccarsi innanzi agli altri invitati, perchè si tratterebbe d'una cosa delicatissima, e quindi, vorrebbe, dice, un abboccamento a quattr'occhi. Questo dice il signor Conte.

Nellina

Il signor Conte... dice un sacco di corbellerie e io... dico che, prima che egli si abbocchi con me a quattr'occhi, ne deve passare dell'acqua per sotto i ponti! Quando tornerà con i suoi amici, parleremo della cosa... delicatissima. Per ora, è pregato di non importunare nè me, nè il mio pianoforte!

Il Servo

Perfettamente. (Resta lì, fermo, fingendo di niente, e allunga il collo, cercando un po', un'altra volta, di spingere lo sguardo indiscreto dietro il paravento.)

Nellina

(dopo qualche istante, viene fuori, seguìta da Sofia che le chiude l'abito sul dorso. Vedendo il servo, che ella credeva già via, e sorprendendolo in atto di allungare il collo per spiare, si accende di collera.) Che fate ancora qui, voi?

Il Servo

Lei non mi aveva detto di andarmene.

Nellina

Uscite sùbito, bestione!

Il Servo

(scappa per il fondo a gambe levate.)

Nellina

(a Sofia, come per dirle che i servi sono pari a tutti gli altri uomini) Avete capito?...

Sofia

(annodandole qualche nastro o fissando qualche spillo) Eh, ma, cara lei, se gli uomini non avessero quel difetto lì,... starebbero fresche le donne!

Nellina

Bel ragionamento! (Completando la sua acconciatura davanti alla specchiera grande) Datemi gli anelli e il collier.

Sofia

(rovistando sulla toeletta) Quassù, il collier non c'è.

Nellina

Non l'avrò certo gettato dalla finestra. Guardate nei cassetti.

Sofia

(vedendo il collier a terra e raccogliendolo) Ma che cassetti!... È a terra! Dovrebbe avere più cura, lei, di questi pochi gioielli che possiede! È vero che sono così meschini!...

Nellina

Quando vorrò, saprò averne da farvi intontire.

Sofia

(con una smorfia d'incredulità) Uhm! (Le porge gli anelli, e si accinge a metterle il collier.)

Nellina

(mutando) Ho sentito che il conte Marlenghi andava dalla Dora....

Sofia

Ne era pazzo!

Nellina

Ah sì?

Sofia

(congiungendole il collier sulla nuca) Stia ferma!

Nellina

Lo avete chiamato: il piccolo Marlenghi. Perchè poi «piccolo»?

Sofia

Si chiamano così i giovanotti di primo pelo quando promettono bene. (Le scende un po' la veste da sopra una spalla.)

Nellina

Che mi fate?

Sofia

Le scopro il neo sulla spalla. È quello che lei ha di meglio.

Nellina

... Sicchè, il conte Marlenghi promette bene?

Sofia

Senza dubbio. Non ha che venti anni e ha già duecentomila lire di debiti.

Nellina

E allora, cos'è che promette?

Sofia

Di farne degli altri, cara lei.

SCENA III.

NELLINA, GIGETTA e SOFIA.

La voce di Gigetta

Amore mio! Ti sento e non ti vedo....

Nellina

(a Sofia:) Eccola, eccola, finalmente, la mia Gigetta. Correte, Sofia. Fatela entrare qui.

Sofia

(esce dal fondo.)

(Entra Gigetta. — È vestita con una certa grazia, ma con uno sforzo di effetto e con una eleganza alquanto frusta che rivelano la decadenza. Il suo volto è emaciato. I suoi occhi hanno una stanchezza triste.)

Nellina

(andando a lei festosamente) Cominciavo a impensierirmi, sai. L'ultima volta che ci vedemmo, eri un po' sofferente... (Abbracciandola) Stai meglio, ora?

Gigetta

Si, abbastanza.... Me la cavo... (Sta per baciarla.)

Nellina

No, non baciarmi! Mi sono già truccata.

Gigetta

Alla tua età?! Fai male! Fai malissimo!

Nellina

(deviando) Be', visto che stai meglio, potevi venire un po' più presto.

Gigetta

Amore mio, nella tua lettera ci ho capito ben poco. Perchè questa cena?

Nellina

Ho invitati a cena quei tre signori che ti fecero visita nel mio palchetto, venerdì sera. Ricordi?

Gigetta

Dove li hai riveduti?

Nellina

Non li ho riveduti. Avevo le loro carte coi loro indirizzi.... Li ho invitati con due righe graziose. E poi, per non farli annoiare troppo, ho invitata anche te. Ti dispiace?

Gigetta

(mortificandosi e rattristandosi) No, ma....

Nellina

Sono tuoi conoscenti....

Gigetta

(abbassa gli occhi) Già.... Appunto!...

Nellina

D'altronde, da sola mi sarei trovata un po' in imbarazzo....

Gigetta

Io avevo immaginato, piuttosto, che tu volessi festeggiare la tua pace con Giacomo.... Ciò che mi disorientava era l'invito fatto a me, perchè so che egli non mi può sopportare. Ma mi son detto: forse lei ha perorata la mia causa, e, se è riuscita a guarirlo dell'antipatia che io suscito in lui, tanto meglio!

(Un silenzio.)

Nellina

(seria, rannuvolata, con un accento freddo) Giacomo non è tornato. (Siede.)

Gigetta

(facendosi più triste, siede accanto a lei e la interroga pavidamente, con una intensa lentezza nella voce:) E credi... che... non tornerà più?

Nellina

Io non credo nulla... (Con una latente malinconia) Mi lascio andare come un sughero che galleggia sull'acqua corrente d'un fiume....

Gigetta

Ma guarda: non è possibile che Giacomo non torni più. Quello è un uomo veramente eccezionale. Ti ama, Nellina! Ti ama sul serio.

Nellina

Si è stancato di amarmi, o se ne stancherà. Io stessa gliel'ho augurato.

Gigetta

Ma perchè? Ma perchè?

Nellina

Perchè... ho sempre sentito di non meritare quel suo amore sublime.

Gigetta

L'amore non si merita. È un bene che capita così... senza ragione, ed è perciò che bisogna tenerselo caro.

Nellina

Io non sapevo, non potevo ricambiarlo.... Sono guasta dentro!... Sono tanto guasta!

Gigetta

Tu ti calunni, Nellina! Ti compiaci di sembrare peggiore di quella che sei.

Nellina

Evvia, Gigetta! Pretenderesti d'illudermi proprio tu che hai voluto essere la mia confidente e che, oramai, non ignori di me se non la mia nascita, che io stessa ho dovuto ignorare? Tutte le vigliaccherie si unirono per farmi come sono!... Tutte quante, tutte quante, lo sai, e sarebbe bastata quella di mettermi al mondo come un mucchietto di fango affidato al vento!

Gigetta

(diventando pallidissima e smozzicando le parole) Sì... è vero.... Tutte le vigliaccherie contro di te.... E tu ne sei amareggiata, ne sei inasprita, ecco; ma la tua indole non è cattiva. Io sono certa di non ingannarmi. E se dalla tua indole ti lasciassi guidare adesso che sei ancora in tempo, non perderesti l'appoggio di Giacomo e non ti esporresti a nuove offese, a nuovi dolori.

Nellina

(accigliata, parlando in un tono cupo e fiero) Io non temo nè dolori, nè offese. Sono nata e cresciuta con una specie di febbre vendicativa, che mi fa coraggiosa. Non so dirti con precisione che cosa sia. Quando ero fanciulla, sognavo spesso di trovarmi in mezzo ad una folla di donne disgraziate, che gridavano vendetta! Era l'incubo della mia febbre. E tutti gli uomini che ho conosciuti finora, ad eccezione di Giacomo, me l'hanno aumentata. Sì, è vero, Giacomo è assolutamente un uomo eccezionale. Ma appunto per questo io preferisco che non ritorni. Anche senza avvedermene, farei pagare a lui i peccati degli altri, e sarebbe una ingiustizia.

Gigetta

E se, invece, la sua immensa bontà finisse col vincere la tua febbre vendicativa?

Nellina

La sua immensa bontà sarebbe per me, come è già stata, una camicia di forza. (Con un accento di efferatezza) Io voglio essere libera di cercare quelli che sono diversi da lui, e voglio vederli soffrire, e voglio tormentarli con le unghie che gli stessi loro vizii mi hanno aguzzate!

Gigetta

Ma l'origine della disgrazia tua, Nellina, fu la donna che ti mise al mondo. Non è forse questo che tu mi hai detto, in sostanza, poco fa? E dunque è lei che devi maledire!

Nellina

Sì, lei, lei, lei, cento volte lei; (assorgendo in piedi come per un impeto di bestemmia) ma non ci sarebbero delle madri mostruose, se non ci fossero degli uomini infami! (Poi, mutando) Del resto, la manìa che hai di convertirmi io non l'apprezzo, e non mi va. Sciupi in discussioni inutili l'amicizia che mi hai offerta.

Gigetta

In questa amicizia ho messo tutto il mio cuore.... Mi ti sono affezionata... come a una sorella: a una sorella... tanto più giovane e tanto più sventurata di me! È naturale che io abbia la manìa di convertirti. Ti vedo andare verso un precipizio che conosco.... Ne ho uno strazio indicibile... per il male che non so impedirti di compiere contro te stessa.... Se tu ti perdi, mi parrà... d'averne avuta io la responsabilità....

Nellina

Ma che perdere! Vuoi essermi realmente amica? Vuoi essermi realmente utile?

Gigetta

(con la voce spenta) Sì, Nellina.

Nellina

Insegnami, insegnami con la tua esperienza le arti della seduzione; fammi diventare abile, accorta, bella, affascinante, irresistibile.... E se tu ci riesci, perdio, vedrai quello che saprò fare!

Gigetta

(non si domina più e, terrea in volto, ansante, come per un principio di asfissia, piega il capo all'indietro, con gli occhi socchiusi.)

Nellina

(in uno scatto di allarme) Gigetta!... Gigetta mia!... Che ti senti?...

Gigetta

(fa un lieve gesto per rassicurarla.)

Nellina

Se mandassi per un medico.... Desideri che mandi?... Dimmelo con un cenno.... Non affaticarti a parlare. (Resta lì, ansiosa, guardandola.)

Gigetta

(fiocamente) Non chiamare medici.... So di che si tratta.

Nellina

(accarezzandole la fronte, pigliandole e baciandole le mani) Sei tutta fredda, tutta fredda!...

Gigetta

(respirando meglio) Da qualche tempo vado soggetta a questi abbattimenti.

Nellina

Ma, dunque, sei proprio malata?!

Gigetta

Un poco.

Nellina

E, intanto, tu non ti curi abbastanza!... No! No! Non ti curi abbastanza.

Gigetta

Non dovrei più fare la vita che faccio....

Nellina

Ma s'intende.

Gigetta

Si,... e poi?

Nellina

(continuando a carezzarla) E poi, sono qua io. Appena comincerò ad avere fortuna, provvederò io alla mia Gigetta.

Gigetta

(in un impeto di raccapriccio) Ah no! Questo mai!

Nellina

Non accetteresti un po' d'aiuto mio?!

Gigetta

Mai, mai, Nellina!

Nellina

(con profonda meraviglia) Perchè?!...

Gigetta

(ha dentro di sè un brivido d'orrore e si copre il viso con le mani.)

Nellina

Disdegneresti?... Eppure, io ricordo le parole tue: le parole che mi dicesti commossa, quando, all'impensata, venisti da me la prima volta. «Io ho seguìta una mia ispirazione — mi dicesti — . Noi non ci conosciamo che di vista, e, invece, io sento che dobbiamo allearci, sento che dobbiamo essere più che amiche, perchè mi pare che voi possiate avere bisogno di me, e che io possa avere tanto bisogno di voi». Te ne sei dimenticata di queste parole?

Gigetta

... Io intendevo... tutt'altro!

Nellina

... Ma le distinzioni che facevi tu, nel tuo cervello, io non le capii allora e non le capisco oggi. Allora mi bastò di capire che mi dicevi una cosa bella, e ti strinsi fra le mie braccia come se ti avessi sempre aspettata. Oggi mi basta di capire che, effettivamente, tu potrai avere bisogno di me, e mi addoloro assai del tuo rifiuto. (Si allontana rammaricata, imbronciata. — Siede.) (Un silenzio.) (Poi, la chiama in un tono fra di rimprovero e di esortazione:) Gigetta!

Gigetta

Nellina?

Nellina

Non hai nulla da aggiungere? Non parli più?

Gigetta

Io sono desolata dal pensiero di addolorarti, ma nulla ho da aggiungere. Solamente, ti prego... di non credere che io disdegnerei il tuo soccorso. Non lo accetterei, no, no, questo è certo; e, anzi, (con energia) mi nasconderei, ti fuggirei addirittura se stessi nella condizione di doverlo accettare, ma la ragione del mio rifiuto sarebbe molto diversa dal disdegno che immagini.

Nellina

E quale sarebbe?

Gigetta

«Quale sarebbe?».... Il giorno in cui profittassi della fortuna che, disgraziatamente, tu ti auguri, io discenderei l'ultimo gradino della vergogna!

Nellina

(levandosi con una sorpresa quasi comica) Accidenti, che frasi terribili!... Di dove le prendi?

Gigetta

No, no, non scherzare, Nellina! Non scherzare!

Nellina

Ma come diamine è fatta questa famosa scala della vergogna che ha un ultimo gradino di cui tutti si preoccupano? Io pagherei un occhio per saperlo!... Ed anche mi piacerebbe di sapere a quale punto della scala mi trovo io adesso. (Ridendo con ostentazione) Dove mi vedi tu, Gigetta? Di': dove mi vedi?

Gigetta

(prorompendo con una infrenabile angoscia) Fammi la grazia, fammi la grazia di non scherzare! Tu ti metti in mano uno staffile, e dài e dài e dài, senza sospettare le piaghe che apri! Io credo che, se tu ti accorgessi di quello che fai, ne avresti pena... e mi risparmieresti un poco.

Nellina

(fortemente impressionata, è presa da una contrizione confusa, da una confusa pietà, da un dolore indeterminato, in cui si smarrisce. — Dopo una pausa, cerca di esprimersi.) Che io non m'accorga di torturarti, è certo. Tu stessa non ne dubiti.... E giacchè nemmeno tu mi dici in qual modo io ti torturi, che rimedio c'è? Nessuno. Senza volerlo, senza avvedermene, io forse ti torturerò ancora... e, quando tu te ne lamenterai, non potrò che esserne mortificata, non potrò che chiederti perdono... come te lo chiedo in questo momento.

Gigetta

(correndo a lei e abbracciandola con uno slancio violento di protesta tenera e dolorosa) No, taci, taci, Nellina! Queste parole sulla tua bocca, no!

Nellina

Sei tanto migliore di me, tu! (Stringendola vivamente al petto) Ed hai un gran desiderio di baciarmi ora, lo sento. Baciami, baciami: non importa che va via la truccatura! Baciami quanto vuoi!

Gigetta

Nellina mia!... Nellina mia! (La bacia con effusione infinita.)

(Qualche istante di silenzio.)

SCENA IV.

GIGETTA, NELLINA, GIACOMO.

La voce di Giacomo

(chiamando con ansia:) Nellina!... Nellina!...

Nellina

(in un sussulto di spavento) È Giacomo!

Gigetta

(in un sussulto di gioia) Lo vedi, lo vedi che è tornato!

Nellina

(presa da grande orgasmo) E come farò, Gigetta? Fra poco verrà quella gente!...

Giacomo

(entra dal fondo, correndo verso di lei; ma, alla vista di Gigetta, si arresta turbato.) Ti credevo sola.

Nellina

Gigetta è di casa... (Poi, con una certa titubanza) Stavi per abbracciarmi.... Fallo.

Giacomo

(respingendola con mitezza e guardandola da capo a piedi) Sei tutta elegante....

Nellina

... Sono andata al teatro con Gigetta....

Gigetta

... Difatti, siamo state a teatro insieme, signor Giacomo.

Giacomo

(continuando a guardare Nellina) Hai gli occhi tinti... (Passandole sopra una gota la punta di un dito) Hai ancora in faccia un avanzo di sudiceria... (a Gigetta:) Naturalmente, siete voi che le date lezione....

Gigetta

No, signor Giacomo! Al contrario: io l'ho rimproverata.

Giacomo

Di che l'avete rimproverata se lei cerca di imitarvi?

Gigetta

Io vorrei che ciò non accadesse: credetemi.

Nellina

È tanto severa con me!

Giacomo

Ma ti conduce a teatro per metterti in mostra.

Gigetta

(di scatto) No!

Nellina

(sùbito) Sono io che ho voluto farmi condurre.

Giacomo

Si vede che ti eri già consolata del mio allontanamento.

Nellina

Volevo distrarmi, volevo dimenticare....

Gigetta

Ella era convinta che non sareste tornato....

Giacomo

E perciò non bisognava sprecar sospiri, non bisognava perdere tempo. È questo il consiglio che le avete dato?

Gigetta

... Voi sospettate sempre di me e io non ho nessun mezzo per dimostrarvi che... c'è un equivoco.

Giacomo

Io non sospetto di voi più che di lei. Sospetto egualmente di tutte e due, senza distinguervi l'una dall'altra. Voi siete diventate inseparabili fra voi, quasi che ciascuna delle vostre persone, prima che vi conosceste, non fosse stata completa; ed ora siete inseparabili anche per me. Così mi sembrate, così vi vedo, così vi penso, e, nel mio pensiero, nelle mie impressioni, non saprei più separare l'influenza di Gigetta dall'istinto di Nellina.

Nellina

(con energia) Se Gigetta avesse influenza su me, io sarei una santa!

Giacomo

È stata una santa, lei?!

Nellina

Per conto suo, sarà stata, probabilmente, ciò che hanno voluto farla essere. Vicino a me, è una creatura angelica, innanzi alla quale io dovrei arrossire.

Gigetta

No, Nellina. Più ti affatichi a difendermi e più gli riesco odiosa. La mia presenza suscita in lui un'amarezza... forse non ingiusta. È veramente un gran disappunto che egli m'abbia trovata qui. Piuttosto che difendermi, permettimi di andar via.

Nellina

(fissando su lei gli sguardi supplichevoli)... Proprio stasera?

Giacomo

Cos'è? Ti faccio paura? Io sono rientrato in questa casa ancora vinto dalla prepotenza di quel sentimento che ha sconvolta tutta la mia vita; ci sono rientrato portando ancora con me, per un impulso di bene, la certezza di domare le tue ribellioni, di moderare la tua sregolatezza, di rendere meno irrequieto il tuo spirito; e tu, invece di ricevermi con fiducia, ti allarmi e tremi come se io fossi venuto a punirti! È scoraggiante! (Siede.)

Gigetta

(a Nellina, con molta mitezza:) Non ha torto il signor Giacomo.

Nellina

(inquietissima, ostinata, afferrandole un braccio) Tu non devi distaccarti da me, questa sera.

Gigetta

Ma io qui sono di troppo. È naturale che egli desideri di parlarti liberamente. Se non vuoi permettere che io me ne vada, permettimi almeno di non essere importuna. (Accostandosi un poco a Giacomo) Vi dispiace, signor Giacomo, che io resti di là.

Giacomo

(con qualche reticenza, ma in un tono remissivo e deferente) Io non v'ho mai messa alla porta, Gigetta.

Gigetta

(si avvicina a Nellina, e le chiede trepidante:) Sei contenta, così?

Nellina

Ma non ti muovere dalla mia camera! (Abbassando la voce) E se ti chiamo, vieni sùbito.

Gigetta

(sogguardando Giacomo, che è assorto, la interroga segretamente, ansiosamente:) Che farai quando giungeranno quei signori?

Nellina

(nervosa, torva, risponde pianissimo:) Non me ne rendo conto. Accadrà quello che deve accadere!

Gigetta

Ma, in fondo, tu hai gioito ch'egli sia tornato!

Giacomo

(vedendo confabulare le due donne) Eccole lì, come sempre, a mescolare e a confondere le loro idee, le loro volontà, le loro sensazioni, le loro anime! (Andando verso Nellina quasi con violenza) Io voglio guardare la coscienza tua, stasera! Mi capisci sì o no? Voglio guardarla sottratta, per quanto è possibile, alle influenze e ai consigli altrui, siano pure influenze e consigli sublimi, perchè mi è necessario di comprendere chi sei, oramai, per te stessa e per me! (Si frena un po'.) Vi prego, Gigetta: allontanatevi.

Gigetta

(vorrebbe aggiungere qualche cosa. Non ardisce, e, col cuore in palpiti, esortando con lo sguardo Nellina a essere buona e ad arrendersi, dopo avere indugiato presso la porta, esce a destra.)

SCENA V.

NELLINA e GIACOMO.

(Un silenzio.)

Nellina

(siede sul sofà, rannicchiandovisi in uno di quegli atteggiamenti di concentrazione selvaggia che aveva una volta.)

Giacomo

(siede lontano, tutto preso dalla emozione di iniziare il colloquio. Poi comincia:) Prima di tutto, è bene che tu sappia che ho potuto soddisfare molti dei miei debiti, vendendo la proprietà di Sant'Angelo, già donatami da mio padre. A lui non ho avuto il coraggio di rivolgermi. Volevo andare a offrirgli la mia assistenza per mantenere la promessa che da lui medesimo m'era stata richiesta il giorno in cui ci separammo; ma egli ha incaricato il suo segretario di avvertirmi che non mi avrebbe mai più ricevuto. (Dolorosamente) Così, il suo sogno di avermi vicino nelle sue ore più tristi... non sarà realizzato. Tu ci hai divisi per sempre! (Pausa.) Sappi, inoltre, che ho trovata una occupazione decorosa e abbastanza remunerativa.

Nellina

(con un rammarico unito a uno stupore quasi ingenuo) Per causa mia, sei costretto a metterti a lavorare?

Giacomo

Non faccio nessun sacrifizio utilizzando i miei studi e il mio ingegno.... Comprenderai che non mi sarei ripresentato a te senza essere in grado di assicurarti un po' di agiatezza. Indubbiamente, se tu non rinunziassi allo sperpero a cui ti sei abituata, non saprei come provvedere. Il problema sta nel mutare il tuo sistema di vita.

Nellina

Dovrei diventare... un'altra donna. E posso io farlo questo miracolo?...

Giacomo

Se tu mi amassi, non crederesti di dover compiere un miracolo per diventare... «un'altra donna». Ma la verità è che l'affetto immenso, del quale, malgrado tutto, ti ho voluta circondare, è rimasto dinanzi alla porta del tuo cuore come un mendicante inascoltato. Io non sono stato per te che l'uomo che tu hai preferito... per cominciare la tua carriera.

Nellina

Io ti ho amato... come meglio potevo. Tu non ne eri soddisfatto e questo, naturalmente, mi scoraggiava e mi rendeva ogni giorno più fredda. Io non m'intendo di amore. Ma, non so perchè, credo che se alla persona da cui si vuole essere amati si dice continuamente: «non mi ami, non mi ami, non mi ami», si debba per forza finire col perdere quel tanto d'amore che si era ottenuto.

Giacomo

... Io... dunque,... ho finito col perderlo? (Pausa.) Non senti più nulla per me?!... Più nulla?!...

Nellina

(senza rispondere, tormenta le dita, intrecciandole e torcendole.)

Giacomo

(dopo averla ancora interrogata con gli occhi e col pensiero, scrolla il capo. Poi, invano raffrena l'angoscia: già il pianto gli sale alla gola e, con desolazione rassegnata, abbandona il volto nelle mani per nascondere le lagrime.)

Nellina

(ne prova un senso di rincrescimento pietoso, un senso di dolore del quale non sa rendersi conto e che vorrebbe non provare. A poco a poco, gli si avvicina, e gli scuote lievemente una spalla.) No, Giacomo.... Non soffrire, tu.... Non è te che voglio veder soffrire.... Tu sei buono ed hai cercato di farmi tutto il bene che potevi... (Quasi con durezza) Soffro anch'io nel vederti così... I miei occhi non hanno lagrime come ne hanno i tuoi.... Non ho pianto mai.... Ma, guardandoti piangere, stasera.... mi pare che l'anima mi pianga.

Giacomo

(si rivolge a lei con dolce meraviglia e la contempla trasognato.) Perchè non ti dài tutta a questa gratitudine, a questa gentilezza, di cui, tuo malgrado, ti riveli capace? Se tu comprendessi che sollievo ne avresti tu stessa e che sollievo, che gioia ne verrebbe a me! Per ora, Nellina, io non ti chiederei di più. Nella calma che mi concederesti, correggerei qualche mio eccesso, limiterei le mie esigenze, e, senza mai costringerti, senza mai stancarti, ti terrei, ti terrei, conducendoti piano piano per una strada che adesso tu non intravedi neppure.

Nellina

Io sono fatta di spine. Ogni mano che cerca di tenermi, ne è lacerata a sangue! La sola prova che io ti possa dare della mia gratitudine è di allontanarti. Vattene, Giacomo! Fuggimi, disprezzami, scòrdati di me!

Giacomo

Ma che cos'è che t'impedisce perfino di consentire che io ritenti? Tu temi che ne riporterei altre ferite, e non pensi che se io gettassi via il mio affetto e i tanti ricordi che già mi legano a te e la speranza di... costruire la tua onestà, mi parrebbe di non vivere più! Tu non vuoi che io pianga, e, per non farmi piangere, mi consigli di strapparmi gli occhi. È assurdo, Nellina! È assurdo! Io sono tornato per riprenderti e non mi lascerò spaventare dal tuo pessimismo. Esso non è che una menzogna amara dietro cui si nasconde una creatura infelice. A prima giunta, sì, il tuo aspetto, la tua veste, il tuo volto insudiciato, tutte le tue parole, tutto l'insieme della tua persona, tutto questo piccolo laboratorio di incoscienti vanità disordinate, mi hanno messo i brividi; ma, riflettendoci, è diverso. Che c'era di enorme, che c'era d'imprevedibile in quello che ho trovato? Mi avevi creduto il tuo tiranno, mi avevi creduto il tuo carceriere; ed essendo rimasta sola, cominciavi a inebriarti spensieratamente della tua libertà. Un po' di reazione, un po' di frivolezza: non altro. E io mostrerei di amarti d'un amore mediocre e meschino se anche a mente tranquilla esagerassi l'importanza di questa frivolezza quasi infantile. M'intendi, Nellina? M'intendi bene? Ti convinci che non devi farmi fuggire?

Nellina

(ascoltandolo, si è accoccolata a terra, tra i piedi di lui, a guisa di una cagnetta intimidita che le immeritate carezze del padrone non riescano a rassicurare. Non vuole, non può sopportare che egli s'illuda e stranamente borbotta:) Tu... mi giudichi... con troppa indulgenza....

Giacomo

Perchè?

Nellina

(in un misto di acre schiettezza istintiva e di timidità tremebonda) Io... ti ho mentito.

Giacomo

Quando?

Nellina

Quando t'ho detto di essere stata a teatro.

Giacomo

E dove sei stata?!

Nellina

... Non mi sono mossa di casa.

Giacomo

E questo vestito?... Questa imbellettatura?

Nellina

(temendo sempre di più, ma sempre bieca e crudele verso sè medesima)... Aspetto delle persone....

Giacomo

A quest'ora?!

Nellina

Aspetto dei giovanotti a cena.

Giacomo

(impallidendo)... Li hai invitati?!

Nellina

Sì, li ho invitati.

Giacomo

Evidentemente, essi ti assediavano, ti importunavano, e tu....

Nellina

Non devo più mentirti! Sono io che li ho voluti.

Giacomo

(levandosi ed esplodendo d'ira e di disprezzo) Per sceglierti il mio successore, non è vero?... Dillo! Dillo!... Dillo!... Per venderti all'incanto?!...

Nellina

(come se temesse d'essere battuta, si allontana rapidamente.)

Giacomo

(afferrandosi il capo con ambo le mani, grida:) Avevi ragione tu, pocanzi! Avevi ragione tu!... È la fine, dunque! È la fine! Dopo di aver seviziato barbaramente mio padre per cedere alla tua voce che impetrava soccorso, dopo di aver frantumata la mia esistenza per offrirtela, tutta quanta, come pane quotidiano, eccomi a vederti sparire a poco a poco nella depravazione ed eccomi annientato nel vuoto che mi si fa intorno! (Andando a lei impetuosamente) Avevi ragione tu, ed ebbi ragione anch'io quando ti dissi che non avrei potuto lottare con la tua indole, attirata irresistibilmente da ogni cosa più abietta. Ero preveggente, quel giorno, e ti scongiurai di non raggiungermi; ma tu, nella tua istintiva ferocia, chiedevi già una vittima, e t'impadronisti di me. Mi hai rovinata la vita, Nellina! Me l'hai distrutta! (Si abbandona sul sofà, tra le vesti in disordine.)

(Un silenzio.)

Nellina

(presso di lui, con umiltà) A te sembrerà, per ora, lo so, come hai detto,... di non vivere più;... ma... i soli morti che certamente non risorgono sono i morti che stanno sottoterra. Quando davvero io sarò tutta sparita per te,... tu tornerai a vivere, con la tua bontà nel cuore. Questa bontà, che è soltanto tua, ti servirà per amare un'altra donna.... La sceglierai fra quelle nate oneste, fra quelle che non somigliano a me. Ce ne sono tante!... Io le vedo da lontano.... È meno difficile proteggerle, ed è bene che siano protette, perchè io credo... che, senza una protezione,... si possano perdere anch'esse!

(Giunge, a un tratto, come dianzi, il suono del pianoforte: sono le stesse poche note gaie, suonate con una più irruenta vivacità.)

Giacomo

(trasalisce.)

Nellina

(con una immediata scossa di paura e di smarrimento) Eccoli!

Giacomo

(si drizza col volto bianco e terribile.)

Nellina

(allacciandosi a lui, impaurita, ansiosa, urgente) Li scaccio, Giacomo! Li scaccio!

Giacomo

(con ribrezzo, cercando di svincolarsi) Scòstati! Non mi toccare!

Nellina

(aggrappandoglisi addosso più fortemente) Li scaccio sùbito, ti dico!

Giacomo

(respingendola con forza in un scroscio di sdegno violento) Sarebbe inutile, perchè non saprei più perdonarti! E poi... ti conosco, oramai. Se oggi tu li scacciassi, te ne pentiresti domani, e imprecheresti contro di me. Colui che hai pensatamente scacciato da questa casa sono io;... e sono io che debbo affrettarmi a sgombrare per lasciar posto a quelli che tu confessi di aver chiamati. Fra pochi minuti, essi avranno il diritto d'invaderla tutta! Potranno patteggiare con te, sdraiàti qui, qui, fra questi abiti, fra questi merletti, con i quali io mi lusingai di conquistarti!... Potranno essere i tuoi amanti fra le stesse mura intime che posseggono il segreto dei momenti in cui ti credetti mia! (Poi, come assalito da una grande vergogna, abbassando la voce:) Fammi uscire, fammi uscire di nascosto.... Io non voglio che essi mi vedano...

Nellina

(umiliata, avvilita, perduta nell'orrore di sè stessa, col respiro mozzo) Sono in salotto.... Non ti vedranno....

Giacomo

Tuttavia... se qualcuno dei tuoi domestici ha detto che io sono qui....

Nellina

Non è possibile che l'abbiano detto.... Si sono guardàti anche dall'annunziarli in tua presenza.... I miei domestici... sanno aiutarmi... a diventare una miserabile!...

Giacomo

(col cervello annebbiato, il petto rotto dallo spasimo, si dibatte e si convelle per avere l'energia di uscire. Ma, troncando l'indugio, risolutamente si avvia.)

Nellina

(cade in ginocchio, si aggrappa ancora a lui e supplica, gridando:) Giacomo?! Giacomo?!

Giacomo

Zitta, per carità!... Non far sentire il mio nome. (Si trascina fino alla porta. L'apre un poco, con circospezione. Sporge la testa per spiare. Indi, come un ladro pauroso, cautamente esce, e richiude.)

Nellina

(abbattendosi a terra, fiaccata, disperata a guisa di una naufraga, con la gola stretta dall'affanno, come se invocasse soccorso, chiama:) Gigetta!... Gigetta!... Gigetta!...

SCENA VI.

NELLINA, GIGETTA, SOFIA.

Gigetta

(accorrendo) Amore mio! Amore mio! (Si curva su lei ginocchioni, abbracciandola, tenendola.)

Nellina

(torcendosi ed ergendo la testa infiammata) Io sono la più perfida delle donne!... Io sono un rettile!

Gigetta

Non dire così, Nellina! Non essere così atroce nell'accusarti!

Nellina

È stata veramente la fine di tutto e per quest'odio che mi sta nelle vene non ho risparmiato a quell'uomo un martirio d'inferno!

Gigetta

Ma sei nel martirio anche tu, intanto, per averlo martirizzato!

Nellina

(portando la mano alla gola) Ho qui, qui... una corda che mi strozza l'anima.... Vorrei piangere e non posso....

Gigetta

(desolatamente) E non so nemmeno liberarti dal nodo che ti soffoca!

Nellina

(in un impeto estremo) Dio, dammi per una volta le lagrime che dài alle persone buone!

(Si bussa alla porta.)

Gigetta

(come se temesse che qualcuno entrasse, vi corre e, con una specie di ritegno, domanda:) Chi è?

La voce di Sofia

(allontanandosi) Ho bussato io, sa, perchè quei signori aspettano da un pezzo.

Nellina

(si leva con sul volto una contrazione di dolore e di ribrezzo; e, in questa contrazione, resta immobile. — Pare la statua dolente del pudore offeso.)

Gigetta

(sùbito, nel centro della soglia, col dorso alla porta, ha aperto le braccia come per sbarrarle la strada. Quindi, ritraendosi verso lo stipite, vi si è appoggiata, diritta. E ora, immobile anche lei, sospesa nella trepidanza, sorveglia la fisonomia e l'atteggiamento di Nellina, e vorrebbe col pensiero arrestarla.)

(Passa così qualche istante.)

Nellina

(repentinamente si scuote, quasi sentisse un violento soffio negli occhi. Con uno sforzo graduale, va alla toeletta. Siede. In un vago smarrimento, si mira nello specchio. Con l'incertezza di chi si muove nel buio, ricompone i capelli scompigliati, cerca un piumino, si ridà la vellutina alle guance. Poi, come vinta dalla stanchezza, incrocia le braccia sulla toeletta e sulle braccia piega la testa.)

Gigetta

(vedendola andare allo specchio, ha ceduto allo scoraggiamento e, sempre tenendo lo sguardo intenso su lei, si è accostata, disfatta, al divano e vi si è lasciata cadere. Ma adesso che Nellina è lì, in quella mestizia inerte, ella di nuovo dubita e spera e, in silenzio, febbrilmente aspetta.)

Nellina

(a un tratto, risolutamente, si drizza in piedi.)

Gigetta

(sussulta, prorompe e implora, in una ambascia spasmodica:) Fallo per me, Nellina!... Non andarci!... Non andarci!... Non andarci!...

(Ancora una breve pausa.)

Nellina

(tutta compresa dalla sua immensa tristezza, stringendosi un po' nelle spalle, tristissimamente mormora:) Ci vado! (Si avvia verso il fondo con passo lento e mal sicuro.)

Gigetta

(guardandola allontanarsi, frena i singhiozzi. Appena la vede sparire, perdutamente, disperatamente, si abbandona al pianto.)

(Sipario.)

ATTO TERZO.

È una stanza di aspetto squallido: piccola, polverosa, male ammobigliata, con le pareti di un colore piuttosto fosco. I mobili — un cassettone, un armadietto, un lavamano — son roba vecchia. C'è, a destra, un letto di cui la testa è alquanto discosta dalla parete, occupata dall'armadietto. Presso il capezzale, una sedia. Qualche altra sedia qua e là. — Una poltrona sdrucita, quasi nel mezzo della stanza. — Verso il lato sinistro, un tavolino con sopra un po' di carta, un calamaio, una penna e un lume a petrolio. Sul cassettone, qualche fiala, qualche pannolino. — Alle pareti, qualche oleografia sbiadita. — Due porte nella parete di fondo, a molta distanza l'una dall'altra. Tutt'e due queste porte danno in un corridoio oscuro. Alla parete sinistra, una finestra chiusa. È notte. Il lume è acceso.

SCENA I.

GIGETTA, poi ESTER.

Gigetta

(in una modesta vestaglia bianca, è adagiata nella poltrona, col capo arrovesciato sulla spalliera.)

(Un orologio interno suona le cinque.)

Gigetta

(seguendo i rintocchi, li conta:) Uno... due... tre... quattro... cinque... (Pausa.) Non viene! (Pausa.) Se potessi mandarle un'altra lettera,... un'altra lettera più chiara, più urgente... (Si leva. È diventata sottile, diafana. Ha il viso magro e bianchissimo, gli occhi più grandi nelle orbite disseccate. Cammina come una sonnambula. — Giunge al tavolino. Siede. Prende e intinge la penna, e, sopra un pezzo di carta che è lassù, la fa scorrere lentamente, pronunziando, lievi, le parole che sente e che scrive:) «Non ritardare più, Nellina.... Tra qualche ora, sarà l'alba.... Pensa che sono in una trista casa, dove... anche la morte... non vuole entrare che di notte.... Pensa che se ritardi ancora, essa arriverà prima di te... e io morirò sola sola. Capisco che il trovarmi già finita... non ti impedirebbe di darmi un bacio.... Ma io... non me ne accorgerei... e non ne avrei nessuna gioia....» (Le dita restano inerti. La penna cade sulla carta. Ella, con le braccia penzoloni, gli sguardi nel vuoto, pronunzia queste altre parole che il suo cuore le suggerisce e che la sua penna non deve scrivere:) «Vieni a mamma tua, Nellina.... Io ti aspetto per dirtelo, in questa notte di addio, che sono la tua mamma.... Vieni a saperlo.... Vieni a perdonarmi....»

La voce di Ester

(con falsa infantilità scherzosa e rumorosa) Zia Fanny, zia Fanny! Io me ne scappo!...

Un'altra voce femminile

(un po' vecchigna e comicamente autorevole) Ester! Non ti muovere di qua, ti dico!

La voce di Ester

È pazzo! È pazzo!... Io ho paura dei pazzi!

L'altra voce

Ma dove porti la pelliccia e il cappello del signore? Sono scherzi di maleducata! Hai inteso?

Ester

(entra dalla porta a sinistra. È una donna giovanetta, che ha le guance e le labbra tinte di rossetto, i capelli arricciati e pettinati con soverchia ricercatezza. Indossa una vestaglia cilestre piuttosto sciatta e breve, che lascia scoperti i piedi, stretti nelle scarpine di pelle colorata. Porta sopra un braccio una pelliccia maschile e in una mano un elegante cappello duro da uomo. Ella è, evidentemente, un po' brilla. Ha gli occhi scintillanti. Le parole le sdrucciolano dalla bocca. Entra ridendo:) Ah ah ah ah!... Com'è ridicolo! Se tu vedessi, Gigettona!... Trema dal capo ai piedi.... Non si regge più sulle gambe.... E poi, appena Elviruccia e io gli facciamo l'occhiolino, si elettrizza e farnetica che sembra davvero un pazzo!... Elviruccia lo ha chiamato: «Vecchio lupo rammollito!...» (Ride.) Intanto, ohè, il lupo rammollito... è spendereccio... (Col pollice e con l'indice di una mano accenna ai quattrini.) Ha perfino fatto comperare una bottiglia di «Cognac Tre Stelle».... E come beve!... Ma, saperlotte!,... ha voluto per forza darne a bere anche a me... e sono diventata... alquanto rammollita anch'io!... (Le si accosta molto e abbassa la voce:) Vuoi che te ne porti un bicchierino di nascosto?

Gigetta

(l'ha sogguardata sinora con uno smarrimento malinconico e pietoso. Ma, all'avvicinarsi di lei, ha una sensazione tra di nausea e di spavento. Le risponde, nondimeno, con bontà:) No... ti prego... lasciami stare....

Ester

Ma perchè?!... Sono venuta apposta per farti distrarre.... Guarda, guarda che copricapo forestiero!... (Mostra, a rovescio, il cappello che ha una nitida fodera bianca.) Guarda che sfarzo di pelliccia!... Aspetta che me la voglio godere un po'... (Mette il cappello a terra e infila la pelliccia.) Nei nostri paraggi ignobili, non era mai comparso un animale con questo bellissimo pelo indosso. (Cacciando le mani nelle saccocce, le dice in confidenza:) Fu un ammiratore di zia Fanny quando lei faceva la mima nel ballo «Amor» e se la intendeva con Adamo.... Epoca remota!... Adesso, poveraccia,... se non avesse inventate delle nipotine,... addio Adamo!... (Cavando da una saccoccia un grosso portasigari di terso metallo bianco e pesandolo sulla palma della mano) Saperlotte, che valigetta d'argento! (Lo apre e ne tira fuori un avana dalla fascetta lucente.) Gigettona, ne avrai visti tu, ai tuoi tempi, di questi sigari di prezzo! (Glielo mostra con ammirazione.)

La voce di zia Fanny

(più severa di prima) Ester! Ester!...

Ester

(senza gridare, come se la sedicente zia le stesse davanti) Impìccati!

La voce di zia Fanny

Ma, insomma, che stai macchinando in quel corridoio oscuro?

Ester

(con una mano affettuosamente posata sulla spalla di Gigetta e con la testa voltata verso la porta per farsi sentire) Non sono nel corridoio.... Tengo compagnia alla nostra... (Interrompendosi e abbassando il tono) Diavolo!... Stavo per fare una brioche! (Piano a Gigetta:) La zia non lo dice a nessuno che ha fittata una stanza a te.... Capirai che se si venisse a sapere che in casa c'è un'ammalata....

La voce di zia Fanny

Sùbito qua. Obbedisci!

Ester

Pronti! (Si ficca il sigaro in un angolo della bocca. Piglia da terra il cappello e se lo mette in testa, calcandolo sopra un orecchio. E, con addosso la pelliccia, il sigaro in bocca, il cappello messo a sghimbescio, si avvia quasi vacillando.) È curioso che il rammollimento comincia a prendermi le gambe come a quell'ometto lì.... Ma, con la buona volontà, si va avanti lo stesso! (Ella esce, e si ode che raucamente grida:) Cognac!... Absinthe!... Whisky!...

(Giunge, attenuato dalla lontananza, un prorompere di risa femminili.)

La voce di zia Fanny

(risonante di compiacenza) Boietta! Boietta, che non sei altro!

(Poi, silenzio.)

Gigetta

(ha continuato a guardare Ester, non più con smarrimento e commiserazione, bensì in una tetra impassibilità. Ed ora, di nuovo sola, ritorna, estatica, al suo pensiero. Rivolge lo sguardo alla carta scritta e rilegge:) Non ritardare, più, Nellina.... Fra qualche ora sarà l'alba.... Pensa che... (S'interrompe. Trasalisce. Mormora:) Una carrozza... (Animandosi) È lei! È lei!... Deve essere lei! (Con una energia prodigiosa, vince la debolezza del corpo. Si alza, e, protendendo le braccia, correndo alla porta a destra, oltrepassando la soglia, con un'ansia incalzante, prima a bassa voce, poi un po' più forte, chiama:) Nellina! Nellina! Nellina!... Nellina! (E, nel buio del corridoio, si aggrappa a lei fortemente.)

SCENA II.

GIGETTA e NELLINA.

Gigetta

(rientra, lasciandosi reggere da Nellina.)

Nellina

(indossa un ricchissimo mantello di ermellino. Ha nei capelli un qualche smagliante fiore. Sulla testa un velo. Di sotto al mantello in disordine, si scorge la ricchezza bizzarra dell'abito e la nudità delle spalle e del petto. Ella adagia Gigetta sulla poltrona, avvolgendola nel suo sguardo.) Finalmente.... Finalmente ti ritrovo....

Gigetta

Non parlare, te ne supplico, prima di aver chiuso quelle porte!

Nellina

(chiude le due porte, butta via il velo e si slancia a riabbracciare Gigetta.) Gigetta mia cara, Gigetta mia cara! Quando verso le quattro sono tornata a casa e ho lette le poche parole con cui tu mi chiamavi, m'è parso che, nelle ore passate stanotte fra la solita spensieratezza mentre tu mi aspettavi a mia insaputa, io avessi commesso il mio più cattivo peccato! Che odio ho avuto per me, Gigetta, e, anche, come ti ho rimproverata di esserti nascosta per tanto tempo! Io non avevo più a chi rivolgermi, non sapevo più dove cercarti!... Tu eri sparita all'improvviso, senza lasciare traccia di te, come sparisce un'ombra.... Perchè, perchè ti sei nascosta così?

Gigetta

Non te l'avevo forse avvertito che mi sarei nascosta se mi fossi ridotta al punto di non poter rifiutare i tuoi soccorsi?

Nellina

La più incomprensibile, la più strana di tutte le cose strane che mi hai sempre dette!

Gigetta

Io dovevo evitare a qualunque costo la tentazione di lasciarmi soccorrere da te; e credo che poche donne, nelle condizioni mie, non avrebbero sentito lo stesso dovere. Ma... a quali atrocità mi sono piegata!... Non parlarti, non udirti, non vederti più,... ed essere costretta a insozzare il mio dolore strisciando ancora, con la morte alle spalle, nella muffa del vizio! Che cosa funesta, Nellina! Che abiezione! Che orrore!

Nellina

(stringendosi a lei) No, non pensarci, non pensarci, ora! E non farmici pensare! Mi metti addosso come dei vermi!

Gigetta

Tu non puoi immaginare neppure vagamente ciò che io ho provato! Del male che mi prendeva il petto io mi vergognavo non meno di quanto ne soffrissi, perchè capivo che la consunzione mi rendeva ogni giorno più misera, ogni giorno più brutta.... E mi rifugiavo nel buio della notte.... E la luce dell'alba mi avviliva anche più dell'offesa che era passata sulle rovine della mia persona!

Nellina

(stringendosi sempre più a lei, dolorosamente) Ed io ero nel lusso, Gigetta, e ridevo, ridevo, ridevo....

Gigetta

Ridevi, come ho riso io alla tua età!

Nellina

(in uno scatto di angoscia ribelle) Ma io avrò il coraggio del suicidio se da questi medesimi tormenti inauditi sarò minacciata! (Si allontana un poco, tutta vibrante, e siede, guardando ancora con la mente il quadro orrido che ella s'è visto comporre dinanzi.)

Gigetta

(con riluttante dolcezza) È stato più grande, credimi, il coraggio... di non voler morire. E questo coraggio io l'ho avuto... (indugiando nella reticenza)... per te.

Nellina

(si leva con una scossa di sorpresa. Poi, attonita, le chiede:) Per me?!

Gigetta

(nell'alternativa della speranza e del timore di essere indovinata) Di che ti meravigli?

Nellina

(trasognata) Non so.... Stanotte, più che mai, mi sembra che ci sia qualche cosa di straordinario, qualche cosa di prodigioso in tutto quello che accade tra noi. E il pensiero che per me tu non ti sei stancata di vivere nella più crudele mortificazione mentre perfino m'impedivi di soccorrerti; mi trasporta addirittura fuori della vita.... Io ti vedo come in un mistero, come in un sogno....

Gigetta

(sovraeccitandosi) Ma io, al contrario, voglio che questa notte tu mi veda nella realtà di una colpa, che non hai mai sospettata! Nulla di prodigioso! Nulla! Nulla! Non illuderti più, Nellina! In tutto quello che accade tra noi due non c'è che un rimorso: un rimorso perenne, un rimorso crescente: il mio rimorso!

Nellina

(spaventata e teneramente soccorrevole) Il rimorso di che, Gigetta? Spiègati!

Gigetta

(levandosi freneticamente) Io sono stata una di quelle madri mostruose che meriterebbero di essere bruciate vive!

Nellina

(vivamente perplessa) Tu avesti una creatura?!

Gigetta

Sì, ebbi una creatura.

Nellina

E che ne facesti?! Di', parla: che ne facesti?!

Gigetta

... Avevo ceduto alla violenza feroce di un vile.... Quando la bambina mi nacque, io ero una piccola belva, senza amore, senza coscienza.... Non l'amavo, non mi pareva mia....

Nellina

(interrompendola con un accento di furore orribilmente minaccioso) E tu l'abbandonasti?! Tu fosti capace di questo delitto che è il più iniquo dei delitti?!

Gigetta

(atterrita da quell'ira inesorabile) No.... Ascoltami.... Ascoltami....

Nellina

(con un grido selvaggio) Toglierla dal mondo, piuttosto che abbandonarla!

Gigetta

(spalanca gli occhi in un terrore di istantanea chiaroveggenza. Poi, chinando la fronte, con ribrezzo e raccapriccio, stentatamente balbetta:).... Io... difatti... la tolsi dal mondo. (Come abbattuta da un peso enorme, cade sopra una sedia.)

(Breve pausa.)

Nellina

(accigliata, cupa, truce, ma placata).... In tal caso... la tua coscienza — è vero — non può non essere divorata dal rimorso, ma lei, intanto,... fu messa in salvo.

Gigetta

No, perchè io l'ho sempre riveduta nella tua persona.... Dinanzi ai miei occhi, ella rivive in te. (Scendendo in ginocchio) Calpestami, schiacciami, maledicimi.... Fammi tutto quello che mi faresti se tu sentissi di essere lei!

Nellina

(sopraffatta dalle sensazioni più diverse, invasa da una commozione complicata) Ma che dici?! Che dici?! Àlzati sùbito! (La prende, la solleva, la mantiene serrata fra le braccia.) Ti pare possibile che io voglia maledirti? Ti pare possibile che io voglia giudicarti?!... Questa tua allucinazione, sì, questa tua allucinazione di madre, che dura da tanto tempo e che mi spiega la tua tenerezza, la tua umiltà, i tuoi scrupoli, i tuoi sacrifizi, mi ha fatto per lo meno comprendere che anche una donna come noi può alimentarsi di bontà e di amore. Tu hai carezzato il mio cuore come si carezza un bambino sordo e muto e, facendo così, gli hai dato, a poco a poco, l'udito e la parola. Io ti sono riconoscente, Gigetta, io ti copro di benedizioni, e, giacchè tu rivedi in me la figlia che volesti perdere, ciò che io ti dico dovrebbe bastare, se non altro, a liberarti dal tuo cilicio.

Gigetta

Non basta, non basta! La tua indulgenza è un dono generoso che tu mi fai, e io me lo prendo con devozione.... Ma non ho ancora ottenuto lo scopo per il quale volli avere la forza di vivere... e non posso ancora morire tranquillamente vicino a lei... e vicino a te. (Si distacca e ricasca sulla sedia.)

(Un silenzio.)

Nellina

(sedendole accanto, le si curva all'orecchio amorosamente) Che altro vorresti che io ti dicessi?....

Gigetta

(la contempla, la osserva, la carezza, trattenendo le lagrime).... Queste perle che hai al collo.... Questo ricco mantello.... (Poi, ritira la mano e abbassa il capo scoraggiata.)

Nellina

(si drizza con lentezza e, cautamente, alle spalle di lei, si toglie il filo di perle e il mantello e fa scivolare l'uno e l'altro sopra una sedia. Indi, si turba per la nudità audace del seno. Prende il velo che già aveva sul capo, vi si avvolge per nasconderla e resta tuttora indietro in atto di trepida umiltà.)

Gigetta

(chiamandola ad un tratto, paurosamente:) Nellina! (Erge il torace, contrae le linee della fronte, dilata gli occhi e resta in ascolto.)

Nellina

(avanzandosi) Che hai, Gigetta?!

Gigetta

Non senti?

Nellina

(per rassicurarla).... Un rumore di passi.... Qualche voce.... Saranno le persone di casa.

Gigetta

(misteriosamente) Lo sai che casa è questa?

Nellina

E che temi?

Gigetta

Di là... c'è un uomo orribile....

Nellina

Ma tu non devi temerne.

Gigetta

(con gli occhi straordinariamente aperti e fissi).... Egli si trascina fra quelle donne.... Ha le mani tremanti, che offrono.... Ha le labbra livide, che chiedono, che chiedono.... Ti cerca, Nellina!... Ti scorge.... Ti vuole.... (Con un grido) Viene a prenderti! (Afferrandola tutta rapidamente e difendendola, quasi che, difatti, l'uomo fosse entrato avido e rapace) Ah no: questa no! (Pausa.) (Indi, tenendola ancora stretta) Si allontana.... Giunge alla porta di scala.... (Pausa.) (Si ode nel silenzio il rumore di una porta che si chiude pesantemente.) — Se n'è andato.

Nellina

(ha un sussulto.)

Gigetta

Hai visto che ti ho difesa?

Nellina

(come convinta) Ho visto. (Si drizza, e resta immota, in un atteggiamento d'ipnotizzata, con sul volto i segni di una veggenza estatica.)

Gigetta

(in un tono segreto di paura e di ambascia incalzante) Ma quando, tra breve, io non potrò più difenderti, egli ritornerà.... E ritorneranno gli altri che sono come lui.... E tu non vorrai respingerli, e continuerai a credere di compiere così la tua vendetta, continuerai a non vedere che essa ricade sulla tua testa, continuerai a ridere, a ridere....... (Scoppia in singhiozzi.)

Nellina

(in una profonda crisi di lagrime) Non riderò più, Gigetta!

Gigetta

(irradiandosi) Tu?!

Nellina

Sì, io piango, io piango! Per la prima volta piango, perchè con te mi addoloro, con te mi pento, con te, oramai, non desidero e non cerco che un poco di riposo.

Gigetta

(in una suprema emozione di giubilo che esaurisce le sue forze) Io lo trovo, finalmente! Io lo trovo in questo tuo pianto, che ho voluto aspettare e che è, per te, il principio di una vita purificata.

Nellina

(piangendo) Di un'altra vita infelice! Di un'altra vita senza rifugio!

Gigetta

(sfinita) Non è vero. T'indicherò io... il rifugio... e forse... la felicità. (Ha un gesto di sosta.) Adagiami sul letto... e dammi dell'aria....

Nellina

(la sorregge fino al letto e ve l'adagia delicatamente. Poi, apre la finestra.)

(I primi riverberi dell'alba invadono la stanzuccia.)

Gigetta

Anche l'alba?... (Ravvivandosi) Tutte le grazie, Nellina! È la nostra festa, è la nostra festa, e diremo ancora tante cose belle! Vieni qua, vieni qua....

Nellina

(smorza il lume, raccoglie il mantello, e si accinge a stenderlo sul corpo di Gigetta.)

Gigetta

No, non coprirmi con questo mantello!...

Nellina

(si arresta, ha un brivido, lascia cadere il mantello a terra.)

Gigetta

(per dissimulare il significato del suo rifiuto) Non ho freddo. (E implora:) Accòstati....

Nellina

(si accosta al capezzale, s'inginocchia, posa una guancia sui cuscini, sicchè la sua testa sfiora quella di Gigetta.)

Gigetta

(si volta tutta dal lato dov'è Nellina e, con soave intimità, le susurra:) Hai più avuto notizie... di Giacomo?

Nellina

Notizie di Giacomo?!... No.

Gigetta

Io sì, perchè... un giorno... mi recai da lui....

Nellina

... Era lontano?

Gigetta

Non troppo lontano.

Nellina

Era... solo?

Gigetta

Tutto solo, in una casetta di campagna.

Nellina

Ti ricevette male?

Gigetta

lo m'inginocchiai sulla soglia,... e lui mi sollevò fra le sue braccia... come tu hai fatto pocanzi.

(La voce di Gigetta si va spegnendo.)

( Nellina ha la bocca dischiusa che quasi combacia con la bocca di Gigetta, e ne respira l'alito.)

Nellina

E poi?

Gigetta

Poi... parlammo di te.

Nellina

(sùbito) Che ti disse?

Gigetta

Le sue prime parole... furono queste: «Quando voi, Gigetta,... avete bussato... alla mia porta,... io,... non so perchè,... ho creduto che fosse Nellina....»

Nellina

(si abbandona nuovamente al pianto: a un pianto sommesso di dolce effusione.)

Gigetta

«Qui... in questa pace — egli soggiunse — ...io,... qualche volta,... la chiamo a nome, sottovoce,... come se ella fosse... nella stanza accanto........» E mi disse di più........ Mi disse.... (Il languore vince la sua voce; ma il suo pensiero continua a parlare.)

(Si odono appena, in un ritmo piano, i singulti di Nellina.)

(Il sipario cade lentamente.)

Fine del dramma.