INDICE
Atto PrimoAtto SecondoAtto Terzo
SPERDUTI NEL BUIO
Dramma in tre atti
Rappresentato per la prima volta al Teatro Verdi di Trieste dalla Compagnia Talli-Gramatica-Calabresi nel dicembre del 1901. PERSONAGGI:
- Paolina
- Nunzio
- Paolo Rovigliani, Duca di Vallenza
- Livia Blanchardt
- Franz Cardillo
- Emilia , sua moglie
- Milone
- Donna Costanza
- Ciro Barracane
- Lola Bernardi
- Guidolfi
- L'Avvocato Bartoletti
- Elvira
- Ida
- Don Lorenzino
- Don Achille
- Luigi Cardone
- Due marinai
- Un forestiere
- Altri tre avventori del «Nuovo egiziano»
- Ed altri ancora, uomini e donne
- Un parrucchiere
- Un sarto
- Il cameriere Beppe
- Il servo Gaetano
- Filomena Carrese
- Femminucce del volgo e viandanti.
La scena è in Napoli — Epoca attuale.
ATTO PRIMO.
La scena rappresenta un piccolo ritrovo di infimo ordine, tenuto da Franz Cardillo. È qualche cosa tra il bar e la birraria, con una tinta di caffè concerto in miniatura allo stato primordiale. Ha un aspetto d'intimità alquanto sinistra. La porta d'entrata, quasi nel mezzo della parete in fondo, è poco ampia: i vetri dell'uscio che s'apre in dentro sono opachi: un po' di tappezzeria, che adorna i muri coperti d'una carta grigiastra piuttosto chiara, è la solita stoffa alla turca, molto sbiadita. Sulla porta, un orologio. La sala è irregolare. Si compone di due piccolissime sale tra le quali si è demolito quasi tutto un muro. La parte di esso non demolita si allarga in su ad arco per sostenere il soffitto, e forma come un gran pilastro attaccato alla parete destra nascondendo agli spettatori uno spigolo del primo compreso che si trova venendo dalla strada. Alla parete sinistra è la porticina ogivale, senza uscio, del retrobottega. Da per tutto tavolini tondi e sedioline. Accanto alla porticina del retrobottega, una credenza. Verso la destra, vicino alla ribalta, una breve pedana di legno con sopra un vecchio pianoforte verticale. Accanto alla porta d'entrata, il comptoir assai alto, dietro cui è appesa alla parete la grande scansia sulla quale si ripongono le bottiglie di liquori, i biscotti, le leccornie. Qua e là, qualche specchio coperto da una garza color di rosa. Nel mezzo della sala pende dal soffitto un immenso cartellone bianco, orlato di rosso, su cui è stampato a lettere nere cubitali:
AL NUOVO EGIZIANO TENUTO DA FRANZ CARDILLO CONCERTO DI VARIETÀ IN CUI SI AUMENTANO 5 CENTESIMI SULLE CONSUMAZIONI.
DA MEZZANOTTE IN POI MUSICA SEMPLICE DI PIANOFORTE CON PERMESSO DI DANZA
Di là dal pilastro, nel primo compreso, una scaletta a chiocciola conduce alla stanza superiore abitata da Franz Cardillo e da sua moglie[1].
SCENA I.
FRANZ, NUNZIO, EMILIA, LUIGI CARDONE, DON LORENZINO, DON ACHILLE, IDA, ELVIRA, qualche altra donna, due MARINAI, un FORESTIERE, altri avventori.
È notte. Sono accesi tre o quattro becchi a gas, Emilia è al comptoir. È vestita con pretensiosa civetteria volgare. Molto ben pettinata, porta un nastro rosso nei capelli. Le pende dalla vita una borsetta di cuoio come alle chellerine, di cui non ha il grembiule e da cui si distinguerebbe anche per la sua aria da padrona. Nunzio è al pianoforte, seduto sopra un sediolino tondo che può girare su sè stesso. Intorno ai tavolini, figure di vario genere, di ceto piuttosto basso: qualche fisonomia losca, qualche sbarbatello, qualche ometto attempato. Si notano due Marinai, alcune donnine equivoche — tra cui Ida ed Elvira — imbellettate, vestite un po' bizzarramente, con una cura che dissimula la povertà. Portano dei cappelli abbastanza fantastici e molto piumati. Presso il comptoir, in piedi, Luigi Cardone, un giovanotto inelegante ed effeminato, con baffetti arricciati, parlotta con Emilia e sorseggia una bibita. Franz Cardillo, un uomo sulla cinquantina, dai capelli fulvi, dal volto lentigginoso, non brutto, ma antipatico, col suo fez in testa, il quale rosseggia nell'ambiente grigio, va e viene con ostentato zelo: entra nel retrobottega, ne esce con le mani ingombre, gira di qua e di là e fa conversazione con gli avventori nel suo linguaggio goffamente spropositato e tronfio.
Nunzio suona una polchetta. Il tocco incerto denunzia l'inesperienza o la svogliatezza. Nel poco spazio disponibile tra i tavolini, ballano, alla men peggio, due coppie. Una è formata da Elvira — che è la più graziosa delle donnine — e da un MARINAIO. L'altra è formata da due uomini: Don Lorenzino e Don Achille. Il primo è smunto, magro, miserello, di età ambigua: un aspetto da scaccino; il secondo ha un'impronta di buona salute, una bella barba, un aspetto d'uomo serio che contrasta con la sua smania di ballerino. Don Lorenzino ha una vocetta fievole come se gli mancasse il respiro: e Don Achille ha una voce quasi femminea che non pare esca da quel corpo abbastanza imponente.
Il ballo continua per un po', sciatto e disordinato, al ritmo zoppicante della polchetta, nell'angustia dello spazio, mentre Franz stura delle bottiglie di gazosa o di birra e gli altri cianciano o guardano, sorbendo le loro bibite.
Elvira
(dopo aver fatti alcuni giri di polca, si ferma, staccandosi dal suo cavaliere) È impossibile! Il suonatore non va a tempo!
Ida
(con significato) Senti a me, Elvira: tempo perduto!
Elvira
Eh, lo so.
Il 1º marinaio
(ad Elvira:) Ancora un po'. Andiamo!
(Intanto, la coppia degli uomini danza con serietà, affaticandosi a secondare la musica.)
Elvira
(al marinaio:) Non c'è gusto. (Di malavoglia si lascia condurre.)
Franz
(a Nunzio, da lontano:) Ohè, cieco! Lo hai sentito sì o no che non vai a tempo?
Elvira
Suona invece una mazurca.
Don Achille
(fermandosi un po') Ma dev'essere proprio voluttuosa.
Nunzio
(cambia subito e attacca una mazurca.)
(Le coppie ballano.)
Franz
(fa saltare il tappo d'una bottiglia di gazosa e ne versa nel bicchiere d'un avventore.) Alla framboise! Buonissima! (A un altro avventore vicino:) Suona bene, ma suona soltanto con le dita. Naturalmente, se non fosse cieco, avrebbe un'altra scienza filosofica. Io e mia moglie lo teniamo in casa, per farvi capire, perchè siamo nati con la filantropia.... E questo è il nostro difetto. (Continua a parlare gesticolando.)
Il 1º avventore
(chiama — facendo tintinnare un bicchiere con i colpetti d'un cucchiaino.)
Emilia
(dal comptoir) Sùbito. (Si avvicina all'avventore.)
Il 1º avventore
Pago un punch al Cognac e una Chartreuse. (Le dice poi qualche parola a voce bassa.)
Elvira
È inutile: con questa musica non voglio ballare. (Si ferma di nuovo e lascia in asso il cavaliere. Quasi tra sè:) Seccatore! (E va a sedere accanto a un omaccione biondo dall'aspetto esotico e grossolano.)
Il forestiere
(soddisfatto, a Elvira, con l'accento duro che rivela il nordico:) Siete finito con piccola danza? Bene!
(La coppia dei due uomini, abbandonata al ballo, urta in un tavolino.)
Il 2º avventore
(che è uno di coloro che vi sono seduti intorno) E che modi son questi!?
Don Achille
Scusate.
( Don Achille e Don Lorenzino, un po' mortificati, cessano di ballare, e siedono facendosi vento col fazzoletto.)
( Elvira e IL FORESTIERE discutono.)
Don Lorenzino
(a Nunzio:) Maestro, non c'è più bisogno.
Nunzio
(lascia di suonare, gira col tondo del sediolino e resta immobile, riposando, con gli occhi vitrei rivolti al pubblico.)
Il 1º avventore
(a Emilia, che lo ha ascoltato serbando un contegno serio, senza rispondergli:) Ma che avete? Siete di cattivo umore, stasera?
Emilia
Forse.
Il 1º avventore
(mettendo sul tavolino il danaro della consumazione e alzandosi) Quanta superbia!
Emilia
(pigliando il danaro, gli risponde piano, a fior di labbro:) Queste donne qua, vedete, non ne hanno. Servitevi.
Il 1º avventore
(andando via lentamente) Buona notte.
Emilia
(sdegnosa, non risponde.)
Franz
(passandole accanto, a voce bassa:) Ti prego di non farmi la principessa delle Asturie con i clienti del locale.
Emilia
(alzando le spalle torna al comptoir. )
Elvira
(avvicinandosi per uscire insieme col forestiere che le si mette a braccetto, saluta la sua amica:) Addio, Ida!
Ida
(che sta sola sola, presso un tavolino) Io non mi chiamo Ida, io mi chiamo: Veleno!
Elvira
(indicando l'uomo con lieve cenno del capo) E io mi chiamo: Carestia!
( Il forestiere ed Elvira escono.)
Franz
(che è stato interrogato dal marinaio che dianzi ballava, gli dà delle spiegazioni, con aria di grande importanza) In Egitto, con la mia prima moglie, io aprii un caffè chic. Una sciccheria straordinarissima! Altro che questa bottega miserabilissima, in questi paraggi sporchi e democratici! Allora io maneggiavo le lire sterline. Mia moglie, per farvi capire, non per disprezzare la presente, che anche sa comparire bene, portava agli orecchi due perle grossissime così.
Il 1º marinaio
E perchè lasciaste l'Egitto, Franz?
Franz
Demonio cane! All'ottantadue ce ne scappammo per il bombardamento. Gl'Inglesi cannoneggiavano, che vi posso dire?... come tante iene musulmane. Un vituperio, amico mio! Mia moglie, che era di conformazione più delicatissima della presente, si prese, insomma, un malore d'intestini, e fece, immaginatevi, anche un voto alla Madonna, perchè, riguardo a religione, era perfettissima. E, per me, io pure rifletto e penso che è meglio avere la coscienza in legge e regola con la religione che ci hanno data dalla natura i nostri genitori. Sentite quello che vi dice in confidenza Franz Cardillo: la religione è quella cosa, vedete, che poi quando viene il suo quarto d'ora vi serve immensamente. (Si curva sul tavolino, e continua a parlare con mistero, gesticolando più che mai.)
Ida
(accostandosi a Nunzio) Professore, sapete suonare «Amami Alfredo»?
Nunzio
(senza smuoversi) Sì. (Si volge di nuovo verso il pianoforte e comincia a suonare l'aria della Traviata: «Amami Alfredo». Egli suona ora con un po' più di precisione, con una certa grazia e con molto sentimento.)
SCENA II.
PAOLINA e detti.
Paolina
(entra.) (È una ragazza sui quindici anni, ma l'età non ha connotati evidenti in quella figurina di piccola zingara dalla sudicia vestetta sbrandellata, dai piedini scalzi e infangati, dai capelli corvini e abbondanti che le si arruffano sulla fronte, sulla nuca e sugli orecchi, e dai grandi occhi neri estatici, pieni di una malinconia, di cui il sorriso non luminoso dell'ignoranza bestiale, errando talvolta sulle labbra sottili e smorte, rivela l'incoscienza. Ella, come un'ombra, si insinua leggera tra i tavolini, atteggiando il viso a implorazione e stendendo a qualcuno che le sembri meno distratto la sua manina di mendicante.)
Il 3º Avventore
(che è seduto non lontano dal comptoir, si rivolge a Emilia:) Che pago qua, eh? (Pausa.) (Ancora a Emilia, che non ha sentito:) Dico, signora, che pago, io?
Emilia
(discende e va a riscuotere.)
(Indi, l' AVVENTORE esce.)
Franz
(che ha continuato a far conversazione qua e là, ode la musica e commenta:) Ah! Questa è una bella opera: la Traviata del maestro Verdi. Io, una volta, l'ho sentita proprio a teatro. Mi trovavo di passaggio a Corfù. E la cantante era una grandissima celebrità. Un pezzo di donna, per farvi capire, che al principio dell'ultimo atto, quando stava per morire, stesa sul letto, pareva una nave corazzata.
Ida
(tuttora vicina a Nunzio) Bravo, professore!
Il 2º Marinaio
(si accosta all'altro come per dirgli: «è ora d'andare».)
Il 1º Marinaio
(guardando l'orologio che è sulla porta) Va bene, Franz, il vostro orologio?
Franz
Va molto benissimo; ma, dico la verità, indietreggia un poco.
Il 1º Marinaio
Caspita! Sono già le due!
(I due Marinai si alzano, accendendo la sigaretta, e vanno al comptoir. Pagano, escono.)
Il 2º Avventore
(al suo vicino:) Sentite come s'illanguidisce il cieco!
Franz
(all'avventore, che ha parlato:) Ma bisogna dirlo francamente: questo pezzo lo suona magnifico!
Cardone
(si accomiata da Emilia, e, scambiando con lei occhiate e sorrisi, esce.)
(Cessa la musica.)
Il 2º avventore
(a Paolina, che gli ha stesa la mano in silenzio:) E non seccate! Neanche qui si sta tranquilli!
Paolina
(con vocetta lamentosa, quasi cadenzata) Un soldo. Per voi non è niente. Me ne compro pane.
Franz
(a Paolina:) Va via, sacrebleu! Lo sai che qui dentro non ti ci voglio!
Ida
(facendo un cenno alla piccola mendicante) Vieni qua.
Paolina
(le si accosta sogguardando Franz.)
Ida
(dolcemente) Come ti chiami?
Paolina
Paolina.
Ida
Prendi. (Le mette qualche soldo nella mano.)
Franz
E scappa subito, se no, con un calcio, per farti capire, ti mando dritto all'ospedale dei Pellegrini! (La insegue minaccioso.)
Paolina
(fugge di qua e di là fra i tavolini e le sedie sempre inseguìta da Franz, e poi sparisce.)
(Gli avventori cominciano ad andarsene. — Un po' di cicaleccio confuso. — Emilia, dal comptoir, piegando il capo, saluta con sussiego coloro che se ne vanno. Da qualcuno, nondimeno, si lascia stringere la mano.)
Franz
(seguitando a ciarlare, s'interrompe, strisciando riverenze e salutando ossequiosament.) Io, l'elemosina, la comprendo e ci sto. Il mendicante lo rispetto per legge e regola e l'ho rispettato anche all'estero, dove l'accattone, per farvi capire, è un cittadino come tutti gli altri e non si distingue neppure dal vestito.... (A qualche avventore che se ne va:) Servo, signore! Buon riposo!... (Seguitando a discutere) Ma come esercente di pubblico locale, io ho la responsabilità dinanzi ai bravissimi galantuomini che mi onorano della loro consumazione. Il pubblico locale, capite bene, è la casa umilissima dei consumatori, ed io, che sono il padrone, sono l'ultimo di tutti, e me ne vanto.... (A qualche altro che va via:) Buona notte, signore! Grazie e a ben rivederla. (Indicando un avventore che aspetta in piedi) Emilia, vedi qua che paga.
Emilia
(svogliatamente esegue.)
Don Achille
Professore, un galoppo finale non ce lo regalate?
Nunzio
(immediatamente attacca un galoppo.)
Don Achille
(al suo amico:) Ci siete, voi, don Lorenzino?
Don Lorenzino
Sì, ci sarei, ma, mio caro don Achille, è tardi.
Don Achille
Appena le due.
Don Lorenzino
E alle sette in punto devo trovarmi al Cimitero: sono di guardia io alla sala di deposito.
Don Achille
Un giretto solamente.
( Nunzio suona stringendo il tempo. I due uomini, un po' per la musica vertiginosa, un po' per gli urti della gente che se ne va, si confondono in tentativi vani.)
Franz
(al 2º Avventore, che s'avvia per uscire:) I miei complimenti, signore. E non dubiti, chè mendichi qua non faranno più apparizione. Già, se io fossi il governo, con la debita civiltà e considerazione, li impiccherei tutti!... A rivederli, signori.... Buon riposo!...
Ida
(che è l'ultima ad uscire ed è sola, passando per vicino la coppia, batte lievemente con la mano sulla spalla di Don Lorenzino) A rivederci, don Lorenzino!
Don Achille
Maestro! Maestro!... (Va verso il Cieco per insegnargli il tempo, cadenzandolo con le mani.)
Nunzio
(s'interrompe.)
Don Lorenzino
(a Ida:) Io non vi conosco.
Ida
Non importa. Può essere che mi rivedrete presto.
Don Lorenzino
E dove?
Ida
(uscendo) Al Cimitero: nella sala di deposito.
Don Lorenzino
Be'!
Nunzio
(riattacca il galoppo.)
Don Achille
(riafferrando per la vita Don Lorenzino e cercando di prendere l'aire) Questo è il momento: taran, taran, taran....
Franz
(a mezza voce, assestando un pugno sul dorso di Nunzio) E finiscila, che non c'è più nessuno!
Nunzio
(cessando di suonare) M'era parso che....
Franz
(bruscamente) Che t'era parso, imbecillissimo?!
Don Achille e Don Lorenzino
(non sentendo più la musica, siedono, aspettando che ricominci.)
Nunzio
(discende dalla pedana, e resta con gli occhi spalancati, senza sguardi, senza colore, senza lucentezza, con l'espressione vaga e tetra di due simboli del vuoto.)
Emilia
(sul comptoir, sonnecchia.)
Franz
(non si cura dei due uomini e comincia in fretta a sbarazzare i tavolini, riunendo bicchieri e bottiglie vuote sulla credenza, posando qualche bottiglia di liquore, qualche piatto di pasticcini sul comptoir.) Così non si può marciare in avanti. Si scombussola tutto il macchinario, e l'onore del locale diventa schifosissimo! Parlo con te, professore dei miei stivali! L'avventore paga il suo denaro, e vuole trovarci il suo tornaconto, che è nostro dovere di fornire.
Emilia
(in tono pigro, sbadigliando) Se non hai amor proprio tu, ne abbiamo noi.
Nunzio
(umile) Le canzonettiste le ho accompagnate sempre abbastanza bene.
Franz
Le canzonettiste cantano con le gambe, e ognuno è buono ad accompagnarle con qualunque sinfonia. Ma la musica danzante? Là si vede il cervello del maestro! E tu la musica danzante non la sai maneggiare. E mi lasci anche il pianoforte aperto, animale! Non lo sai che se ci entra l'aria, si sfiata e perde ogni particolarità?
Nunzio
(rimonta sulla pedana, chiude il pianoforte e ridiscende.)
Franz
(ora smorza i lumi, lasciandone solo uno acceso. Si toglie la giacca e mette le sedie sui tavolini per poi spazzare.)
Don Achille
(che è rimasto finora stupidamente imbambolato) Dunque, professore, questo galoppo?
Franz
(pone una sedia capovolta sul tavolino presso cui sono seduti i due uomini.)
Don Achille
(a Franz:) Che c'è?
Franz
(continuando a sollevare seggiole) Si fa pulizia e poi si va a cuccia.
Don Achille
Non c'è più musica?
Franz
Sicuro! (Affaccendatissimo) Domani sera.
Don Achille
Curioso! (A Don Lorenzino:) Dobbiamo andare?
Don Lorenzino
Per forza.
Don Achille
(mettendosi lentamente il cappello a tuba e una breve mantellina a pipistrello) E il nostro professore non viene?
Franz
Il professore resta qui.
Don Lorenzino
(con la stessa calma di Don Achille si mette un cappelluccio floscio e un lungo paltò.)
Don Achille
(a Franz:) Già, intendo... (Si tocca gli occhi con un dito come per indicare d'aver capito che Nunzio è cieco.) Voi fate una bell'azione!... Bravo! Bravo!... (Si avvia.)
Don Lorenzino
(mettendo una mano sulla spalla di Nunzio con curiosità gaia) Cieco nato?
Nunzio
(con un cenno della testa risponde di no.)
Don Lorenzino
(seguendo Don Achille) Eh eh! Quanti brutti scherzi fa la natura!
Don Achille e Don Lorenzino
(passando dinanzi ad Emilia si tolgono il cappello) Signora! — Signora!
Emilia
(dorme.)
Don Achille
Buona notte, Franz.
Don Lorenzino
Buona notte, Franz.
Franz
(abbreviando) Buona passeggiata! Buona passeggiata!
(I due escono.)
SCENA III.
FRANZ, NUNZIO, EMILIA.
Franz
Che si possano rompere le gambe! (Apre in dentro l'uscio di vetro della bottega, e socchiude dal di fuori i battenti di legno.) Nunzio, vattene a letto. (Accende due mozziconi di steariche in due piccoli candelieri che sono sul comptoir. Si rivolge intanto a Emilia:) E tu, non lo vedi che sto sfacchinando come al solito? Metti almeno a posto sulle scansie questi liquori, questi pasticcini; lavami quei bicchieri....
Emilia
Ho sonno. Sono stanca.
Franz
Di che? Se non fai mai niente!
Emilia
Secondo te.
Franz
(portando in giro uno dei due mozziconi accesi procede alla pulizia. Cava fuori dal retrobottega una scopa, un recipiente d'acqua e una manata di segatura.) Stai di giorno e di notte su questo pulpito come un pappagallo sulla pappagalliera.
Emilia
Lo vuoi tu che io ci stia.
Franz
Non sei buona che a pettinarti e metterti il negrofumo sotto gli occhi.
Emilia
(senza alterarsi, mollemente) E anche questo serve alla bottega! Non è forse per la bottega che ti sei ammogliato un'altra volta?
Franz
(con brutalità) Mi sono ammogliato per... Uhm! (Battendo la bocca con la mano, ingoia il resto. Indi, a Nunzio, irritandosi della sua presenza e scuotendolo) Ma tu che fai qui come un palo?
Nunzio
(con estrema mitezza) Ve lo dissi ieri: ora che è inverno, in quel retrobottega non ci posso dormire. È umido come una grotta. Per questo ci tenete i vini.
Franz
(spargendo a terra la segatura e l'acqua) Ma che vuoi andare a dormire al Grand Hôtel? O vorresti accomodarti qua sopra (indicando il soffitto) con me e con la mia signora, maledetto il diavolo, nell'unicissima stanza che abbiamo per dimorare?
Nunzio
Con pochi soldi potrei andare a dormire fuori.
Franz
E chi ti ci accompagnerebbe, di nottetempo? Io?... E in conclusione, dopo lo sbattimento della bottega, io dovrei fare il servitore a te come lo faccio a tant'altra canaglia. I soldi dovrei sborsarli anch'io, e così sempre in avanti allegramente. Mi costi già troppo e molto, pezzo d'asino! Gli occhi per vedere non li hai; ma la bocca per mangiare sì. Essere cieco! Un mestiere bellissimo! Mangiare, bere e dormire con la borsa degli altri! Non c'è moralità, sangue di Bacco, non c'è moralità!
Nunzio
(sempre più mite) E dunque io non voglio più esservi di peso. Datemi licenza, e ognuno per sè, Dio per tutti.
Franz
Ma che bestemmi? Sei ubbriaco o scherzi?
Nunzio
Ubbriaco non sono.... E vi sembra che proprio io possa scherzare?
Franz
Tu, come una bestia tartaruga, non puoi fare da solo nemmeno due passi, e avresti poi lo stomaco di metterti a vagabondeggiare per il mondo?
Nunzio
La Provvidenza forse mi aiuterebbe....
Franz
(scoppiando) Ah, farabutto ingrato! (Rivolgendosi a Emilia e dando al comptoir un colpo con la scopa:) Hai sentito che cosa si fa uscire dall'anima questo melenso traditore?
Emilia
(si sveglia di soprassalto e discende dal comptoir ) Che ha detto? Che ha detto?
Franz
Eh già, tu avevi la testa a Pechino!
Emilia
Io m'ero addormentata, ecco! Si può sapere che ha detto?
Franz
Ha detto che egli ci disprezza!
Emilia
Ci disprezza?!
Nunzio
Ma no: questo non l'ho detto.
Franz
Ci disprezza, sì, ci disprezza e se ne impipa di noi! Se ne vuole andare!
Emilia
Ben ti sta. Chi se l'è cresciuta in casa questa vipera? Io ce l'ho trovata. Vuole andarsene? Per me, padronissimo. Io gliel'aprirei subito la porta.
Franz
(facendole un gesto affinchè ella non continui) Tu gliel'apriresti subito la porta, ma io no, perchè sono troppo perfetto e quando ho stabilito per legge e regola nella mia coscienza di fare una buonissima azione, io la faccio per marciare sempre dritto in avanti a fronte altissima. (S'avvicina a Nunzio, gli calca un braccio sulla nuca in segno d'autorità e gli dice cupamente:) Io poi, per farti capire, ti consiglio di non inalberare tanta presunzione, perchè dàgli e dàgli, il sangue mi si mette in ebollizione e non so quello che può succedere!
Nunzio
Ahi! Ci avete le spine nel braccio!
Franz
Pochi discorsi per conchiudere, e va a letto, marmotta! (Gli dà uno spintone.)
Nunzio
(camminando incerto, a tentoni, entra nel retrobottega.)
SCENA IV.
EMILIA e FRANZ.
Emilia
(scrollando il capo) Bel mobile!
Franz
(avvicinandosi a lei ed ammonendola a voce bassa) Ma un altro suonatore di pianoforte a tutte le ore, meno di cinque o sei lire al giorno non ci costerebbe. (Continuando a spazzare e accumulando man mano la segatura bagnata fuori dell'uscio) Ricòrdati questo, e rispetta l'essenziale del bilancio, che è la prima particolarità dell'esercizio.
Emilia
(alzando un po' la gonna e sollevandosi sulla punta dei piedini ben calzati per iscansare quella poltiglia) Bada che m'insudici.
Franz
Potresti risparmiare tutto questo lusso buffonesco di scarpe e di calze per la bottega. I piedi nessuno te li vede.
Emilia
Li vedono, li vedono! (Piglia una sedia e siede dove il pavimento è già pulito.)
Franz
Ma è gentaccia che non se ne intende. In Egitto, sì che se ne intendevano.
Emilia
Non cominciare ad affliggermi, adesso, con la tua prima moglie!
Franz
Ne sei gelosa?
Emilia
Neanche se fosse viva!
Franz
Era più bella di te, per Satanasso!
Emilia
Sì, ma... molti anni di navigazione!
Franz
Quando la conobbi io al Cairo, era perfettissima.
Emilia
Me l'immagino!
Franz
Con me si maritò per sentimento amoroso, e per di più mi portò i quattrini.
Emilia
(accennando col dito pollice della destra verso il retrobottega) Ti portò anche un figlio, bello e fatto!
Franz
(lascia la scopa e corre a metterle una mano sulla bocca, guardandola ferocemente e parlandole con una voce rabbiosa e sommessa) Che scopo c'è, pettegola maligna, di far sentire al cieco queste porcherie? Mi faresti venire il prurito maledettissimo di ammaccarti la faccia.
Emilia
(cercando di parlare sotto la stretta della mano) Fàllo, fàllo!
Franz
(in un impulso bestiale) Invece, no: per dispetto, te la voglio baciare.
Emilia
(sottraendosi al bacio e respingendolo) Questo poi non lo voglio io!
SCENA V.
FRANZ, EMILIA, PAOLINA, MILONE e la voce di NUNZIO.
Paolina
(entrando di corsa affannosamente) Mi vogliono prendere! Mi vogliono prendere! Mi vogliono bastonare! Fatemi nascondere!...
Franz
Chi ti vuol prendere?
Paolina
Mi vogliono prendere quelli della polizia.
Franz
Io non permetto il ricovero dei malviventi mascalzoni in casa mia. Fuori! Fuori!
Milone
(un uomo robusto, ma agile, mustacchi alla militare, zigomi sporgenti, occhi incavati, calzoni e giacca neri — entra anche lui correndo e, tranquillo, si ferma di botto a poca distanza da Paolina, in un atteggiamento più da burlone che da poliziotto) Credevi di essermi sfuggita, credevi?... Vi saluto, Franz! Vi saluto, signora!
Franz
Servo vostro, brigadiere!
Milone
(a Paolina:) Ma io ci vedo anche all'oscuro, come i gatti. E qui dentro sei in trappola, malandrina!
Paolina
(tremando tutta, si rimpicciolisce come se volesse sparire e cerca il riparo di qualche sedia o di qualche tavolino.)
Emilia
Voleva che la nascondessimo noi, la sciocca!
Paolina
Io non so niente! Io non ho visto niente! Lasciatemi andare....
Milone
Dove vuoi andare? In galera? (Sulla soglia della bottega, rivolto alla strada, ordina:) Non vi movete di qui voi due. Ora sapremo qualche cosa di preciso. (Chiude l'uscio di legno e torna a Paolina.) Dunque, facevi il palo[2] allo sbocco del vico Ronciglio quando quei due manigoldi che sono scappati consumavano la grassazione. Il signore che è stato derubato e che ha avuto anche un colpo di mazza alla regione frontale — ferita guaribile dopo il quinto giorno — dieci minuti fa, all'ospedale dei Pellegrini, ha dichiarato che... «nel mentre due sconosciuti lo aggredivano, una ragazza scalza, che poco prima gli aveva domandata l'elemosina, era fermata sotto il fanale all'angolo del vicolo.»
Franz
Santo Dio! Dove siamo arrivati!
Milone
(a Paolina:) Che tu bazzicassi con una combriccola di malfattori, lo sospettavo.
Emilia
(siede nel mezzo della bottega per ascoltare.)
Franz
(ostentando di non interessarsi alla cosa per discrezione, continua a pulire e a mettere in assetto bicchieri, bottiglie ed altro.)
Milone
Ma che già facessi il palo ai grassatori della combriccola, l'ho saputo in questa occasione e ne ho piacere, perchè ti tengo nelle mani e, se non mi dici chi erano quei due galantuomini, ti tiro il collo come a una gallina.
Paolina
Io non so niente, non so niente! Non ho visto niente.
Milone
(alzando il grosso bastone nodoso) Pensa a quello che fai, ragazzina!
Paolina
E se mi battete, sempre lo stesso è. Io sono una povera pezzentella. Da me, che ne volete?
Milone
(rivolgendosi un po' a Franz e a Emilia:) E poi il torto è nostro, e si dice che maltrattiamo la gente, che facciamo le sevizie, che commettiamo abusi, che questo, che quello....
Emilia
(a Paolina:) Ma non essere così cocciuta! È anche una vergogna alla tua età! Digli ciò che vuole sapere, e lui te ne manda subito per i fatti tuoi. (Guardando Milone, fa una smorfietta significativa come per dire: «lasciateglielo credere».)
Franz
(autorevolmente) Zittisci tu, Emilia! Non t'introdurre in faccende che non riguardano l'esercizio del locale.
Emilia
Ma questo è nostro domicilio, mio caro.
Franz
Il domicilio è una cosa e la giustizia è un'altra! (Dall'alto del comptoir, ripone sulla scansia pasticcini e liquori.)
Milone
(a Emilia:) Scusate, signora, mi sbrigo subito.
Franz
(a Milone:) Procedete innanzi comodamente con la legge in mano e non vi fate scomporre dalle circostanze.
Milone
(a Paolina:) Tu approfitti perchè sei femmina e sei ragazza, ma se credi che non ti faccia sputare quello che hai in corpo, significa che non hai capito bene chi sono io. (Le afferra i polsi, li riunisce e glieli stringe in una sola mano come in una morsa.)
Paolina
Mi fate male! Mi fate male!
Milone
(tenendole sempre i polsi e facendola retrocedere, alza il bastone come per essere pronto a colpirla.) Parla, dunque.
Paolina
Abbiate compassione! Mi fate male!
Milone
Parla! Come si chiamano i due grassatori? Parla! Parla! (La incalza, spingendola fin dietro il pilastro.)
(Spariscono tutti e due. Si odono i gridi di lei.)
La voce di Nunzio
Che è accaduto? Chi è che strilla così?
Franz
(che è tutt'ora intento alla bisogna) Dormi tu, ficcanaso! Dormi!
Paolina
(di dietro il pilastro) Parlerò! Parlerò! Ma non mi fate morire! Si chiamano Pasquale Icardi e Ignazio Tucci.
Milone
Finalmente!
Paolina
(vien fuori, spinta con violenza da Milone. È tutta indolenzita ed affranta. Stringe le braccia incrociate sul corpicino malconcio) Che dolore! Che dolore! Un poco d'acqua.... Voglio bere.... Un poco d'acqua.
Emilia
Aspetta che ci penso io. (Versa in un bicchiere il fondo di una bottiglia di gazosa.) Così, un'altra volta imparerai a rispettare le autorità. (Offrendo) Prendi. Bevi. Questo è meglio dell'acqua. Noi siamo gente di cuore.
Paolina
(beve.)
Franz
Dare a bere agli assetati!
Milone
(dopo aver segnato in un taccuino i due nomi) Ed ora, se non ne vuoi ancora, (fa il gesto delle busse) rispondi svelta.
Emilia
Svelta, svelta, ragazza, chè il tempo costa caro.
Franz
(a Emilia:) Tu, vieni a fare i conti della serata, se non è troppo incomodo anche questo. Noiosa, noiosissima! Senza educazione e senza etichetta!
Emilia
Hai voglia di litigare, stanotte.
Franz
E tu, no?
( Emilia riprende posto sul comptoir, e gli conta il denaro e gli dà chiarimenti. Egli, con un registro aperto, segna e riscontra.)
Milone
(a Paolina:) Dunque, Pasquale Icardi e Ignazio Tucci devono appartenere all'associazione detta del « Mare Morto ».
Paolina
Questo, giuro che non lo so.
Milone
Lo so io. In che luogo si sono andati a rimpiattare dopo l'aggressione?
Paolina
Non capisco.
Milone
Dove si sono andati a nascondere? In casa di chi?
Paolina
Non me l'hanno detto.
Milone
(mostrando il bastone) Rispondi.
Paolina
Pasquale Icardi ha la sua innamorata al Vicolo Terzo Duchesca.
Milone
Numero?
Paolina
Numero sette.
Milone
(piglia nota nel taccuino.)
Franz
(a Emilia:) Ma non te l'ho forse decretato che qui non si fa credenza, demonio cane, nemmeno allo Zar di Russia? La consumazione si paga al momento, e anche prima!
Emilia
Luigino Cardone è borsa sicura.
Franz
È un bellimbusto effemminatissimo, che ti fa gli occhi di triglia, sfacciata che sei!
Emilia
(freddamente) Già, ma se pagasse il doppio, non mi chiameresti più sfacciata.
Franz
Silenzio!
Milone
(a Paolina:) E di': quando fai il palo, che compenso hai?
Paolina
Non capisco.
Milone
Insomma: che cosa guadagni?
Paolina
Che ho da guadagnare? Ignazio Tucci, il compagno di Pasquale Icardi, mi protegge.
Milone
Contro di chi ti protegge?
Paolina
Eh! Se fosse stato qua lui!
Milone
Se fosse stato qua?...
Paolina
Non le avrei avute tante mazzate.
Milone
Ne sei sicura?
Paolina
(convinta) Sissignore. E proteggeva anche mamma mia!
Milone
Dove sta mamma tua?
Paolina
Al camposanto sta.
Milone
E chi era? Che nome aveva?
Paolina
Maria Fiore si chiamava.
Milone
Mendicante?
Paolina
Nossignore.
Milone
Operaia?
Paolina
Nossignore.
Milone
... Ho capito....
Paolina
Sissignore.
(Breve pausa.)
Milone
E per quali strade si aggirava? Per quali strade si poteva incontrare?
Paolina
Che vi posso dire? Io stavo a casa.
Milone
Con chi?
Paolina
Con nessuno. Stavo sola.
Milone
E dove era questa casa?
Paolina
Lontano. A Pontenuovo era.
Milone
Ed è là che veniva qualche volta Ignazio Tucci?
Paolina
Sissignore.
Milone
(piglia nota nel taccuino.)
Franz
(a Emilia:) È inutile, sangue di Giuda! Sempre diciassette soldi mancano!
Emilia
E vuoi che me li sia mangiati? (Si alza e va ad ascoltare.)
Milone
E adesso dove abita, lui?
Paolina
(tremando) Che vi posso dire?
Milone
Ricominciamo da capo?
Paolina
Ma io... io... (prorompe fervidamente) io gliel'ho promesso dinanzi alla Madonna, nella chiesa di Santa Chiara....
Milone
Che gli hai promesso?
Paolina
(quasi piangendo) Che non avrei detto mai niente di lui, mai niente, mai niente!...
Franz
(riponendo il registro nel cassetto del comptoir, ripete tra sè:) Sempre diciassette soldi mancano!
Milone
(a Paolina:) Ma tu lo sai come ti faccio parlare, io!
Paolina
(ribellandosi con audacia ingenua) Non parlo, no, no. Non parlo! Non parlo! Non parlo!
Milone
E va bene! Lo vedremo. (A Franz:) Sentite Franz, io vado per ora a pizzicarmi Pasquale Icardi. Quello là so dove trovarlo, e ho fretta. Voglio capitargli addosso prima dell'alba. Ma voi dovete farmi un favore.
Franz
Comandate.
Milone
Tenetevi questa vagabonda. All'alba, verrò a pigliarmela. Se adesso badassi a condurre lei all'ufficio, mi scapperebbe quell'altro. Con me, non ho che due uomini, e ho bisogno di tutti e due.
Franz
Vi siete manifestato perfettissimamente.
Emilia
(borbottando:) «Al Nuovo Egiziano: carceri per minorenni.»
Franz
(a Emilia:) Tu sei un'ignorante matricolata che non sai neppur qual'è la tua mano diritta.
Milone
Se poi la signora non vuole....
Franz
Non date retta. Per me, è sempre un onore bellissimo, per farvi capire, di essere il complice della giustizia. Andate a prendere il delinquente, chè qui garantisco io.
Milone
Chiudete bene la porta, vi raccomando. (Poi, a Paolina:) Tu, domani mattina, parlerai. Buon sonno a voi, signora Emilia. Grazie, caro Franz! (Gli stringe la mano.)
Franz
(cerimonioso, lo precede, e apre l'uscio) Oh, corpo del diavolo! Che ventaccio cane! E il cielo è tutto abbondantissimo di nuvole! (A Milone:) Voi non avete ombrello? Aspettate che vi do il mio.
Milone
No, no, sono abituato.
(Si ode sibilare il vento e si vede un po' lampeggiare.)
Franz
Lasciatevi servire. (Piglia l'ombrello che è appoggiato alla scaletta) Quando c'è la comodità!... Ecco....
Milone
(prendendo l'ombrello) E allora accetto. Di nuovo, buon sonno, e grazie di tutto.
Franz
Buona fortuna a voi, e congratulazioni anticipate. (Chiudendo accuratamente con la chiave la porta di strada, sottovoce ammonisce Emilia:) Io non so che criterio hai nella tua testa di stoppa! Dovresti capire che per noi esercenti è una cosa stupendissima avere amicizia con quel briccone. Quando imparerai a vivere una buona volta nella civiltà? (Si caccia la chiave in saccoccia. Indi, a Paolina:) A te, canaglietta: (toglie il sediolino di su la pedana) se hai sonno, puoi stenderti qua. Per legge e regola, la carità prima di tutto.
Paolina
Io non ho sonno.
Franz
Crepa. (Smorza l'ultimo lume a gas; smorza anche uno dei due mozziconi di steariche, e prende l'altro.) Questa è la gratitudine! Staresti meglio sotto la pioggia a quest'ora? Ma domani viene la grandine! (Le si accosta e le grida in tono di comando:) Mettiti là seduta e non ti muovere.
Paolina
(obbedisce e si accoccola sulla pedana.)
Franz
(cominciando a salire la scaletta, a Emilia che è rimasta giù colle braccia piegate:) Andiamo. Monta. A chi pensi? A Luigi Cardone?
Emilia
(cinicamente, seguendolo) Non mi piace Luigi Cardone.
Franz
E chi è che ti piace?
Emilia
Vorresti pure che te lo dicessi?
Franz
Buffona!
(Spariscono nel soffitto. Le loro voci si allontanano. Le ombre s'allargano dense.)
Emilia
Sì, sì, continua a seccarmi tu e vedrai!
Franz
Mi fai ridere!
Emilia
Aspetta ancora per ridere.
Franz
Buffona! Buffonissima!
SCENA VI.
PAOLINA e NUNZIO. Le voci di FRANZ e di EMILIA.
(Buio e silenzio. — Di tanto in tanto, il vento fischia sinistramente.)
Paolina
(resta un poco raggomitolata sulla pedana. Le viene un'idea. Cerca fra gli stracci che la coprono. Ne cava qualche fiammifero. Ne accende uno. Guarda attorno. Scorge sul comptoir il mozzicone di stearica. Camminando con circospezione va ad accenderlo. Poi si arrampica sul comptoir. Stende un braccio. Prende un pasticcino.)
Nunzio
(appare nel vano della porticina del retrobottega. Più col fiato che con la voce, chiama:) Paolina!
Paolina
(sussultando) Chi è?
Nunzio
Sono io: il cieco.
Paolina
(distinguendolo appena tra le ombre) Quello che suona il pianoforte?
Nunzio
Sì. Che facevi? Che fai?
Paolina
Non parlare, oh!, che ci sentono.
Nunzio
(percorrendo il cammino che conosce, sino alla pedana, aguzza l'udito con curiosità.)
Paolina
(leggera e guardinga, discende dal comptoir. )
Nunzio
Che fai?
Paolina
(contemplando il pasticcino) Non si saranno ancora addormentati. Taci.
(Il vento scroscia.)
Nunzio
C'è il vento che urla e fa anche brontolare le invetriate. Se parliamo ben sottovoce, coi rumori che ci sono nell'aria, non ci possono udire. Io però, poco fa, ho udito.
Paolina
Non dormivi?
Nunzio
Dormivo... per obbedienza; ma le orecchie vegliavano.
Paolina
(contempla ancora il pasticcino.)
Nunzio
All'alba, tornerà quell'uomo e dovrai parlare.
Paolina
Non parlerò.
Nunzio
Ti stritolerà, ti strapperà le carni di dosso.
Paolina
Se parlassi, sarebbe forse peggio, perchè Ignazio Tucci me la farebbe pagare.
Nunzio
Già!
(Un silenzio.)
Paolina
Intanto, per questa notte sono al caldo come te.
Nunzio
Eh!
(Un silenzio.)
Paolina
(addenta il pasticcino.)
Nunzio
E le altre notti, vai alla locanda?
Paolina
(prima di parlare, inghiotte il boccone.) Alla locanda non mi ricevono. (Addenta ancora.)
Nunzio
Perchè?
Paolina
Perchè sono minorenne. Hanno paura.
Nunzio
Che mangi?
Paolina
Pane.
Nunzio
Chi te l'ha dato?
Paolina
Ho comprato un soldo di pane.
Nunzio
No. Tu mangi una cosa buona. Un pasticcino. Lo hai rubato al mio padrone?
Paolina
(supplicando) Non glielo dire, non glielo dire!
Nunzio
Non glielo dico.
La voce di Franz
(piena di sdegno pettegolo) Io ti ho tolto dalla miseria, spudoratissima baldracca!
La voce di Emilia
Non vedo l'ora di lasciare questo buco che puzza di muffa!
La voce di Franz
Vattene! Vattene!
La voce di Emilia
E senza di me, puoi chiudere bottega!
La voce di Franz
Vattene!
La voce di Emilia
Vecchio imbecillito!
La voce di Franz
Donna fetidissima!
(Un sibilo di vento.)
Paolina
(tutta smarrita) Madonna mia! Come facciamo? Adesso discenderà la signora!
Nunzio
(a voce bassissima) Non temere. Non se ne va mai. Fanno quasi ogni notte così. (Un silenzio.) Ecco: è finito. (Un silenzio.) Vieni qua. Accòstati più vicino.
Paolina
(con incosciente disdegno) Che vuoi?
Nunzio
Niente voglio. Che ho da volere? Discorriamo un poco. (Siede sulla pedana.)
Paolina
(accostandosi) Qua sono.
Nunzio
Dimmi una cosa. Tu, come sei?
Paolina
(senza capire) Come sono!?
Nunzio
Dico: come sei? Sei bella, o sei brutta?
Paolina
Non so.
Nunzio
Non sai? Non ci avrai mai pensato, questo sì. Ma pensaci ora. Guardati nello specchio. Come ti pare di essere?
Paolina
(attraverso le ombre si guarda un po' nello specchio, di sbieco.) Brutta.
Nunzio
(col viso irradiato) Ah? (Riflette.) Ma... (esita) la mamma tua, Maria Fiore, non era brutta come te.
Paolina
Che domande! Lei non poteva essere brutta. E che te ne importa di sapere come sono io? Tu non mi vedi.
Nunzio
Appunto per questo.
Paolina
E ti dispiace quello che hai saputo?
Nunzio
No, no, anzi! (Pausa.) Di': ti ha fatto molto male quell'uomo quando ti ha battuta?
Paolina
Sì, sento come se mi avesse rotte le ossa.
Nunzio
Anch'io, qualche volta, l'ho provato.
Paolina
E chi è che ti batte?
Nunzio
Il padrone.
Paolina
E il padrone non è papà tuo?
Nunzio
No.
Paolina
(siede sulla pedana accanto a lui.)
Nunzio
Egli dice che la sua prima moglie mi prese all'ospizio dei trovatelli, perchè aveva fatto un voto. Tu già, non sai che cos'è l'ospizio dei trovatelli.... E non è necessario di saperlo. Io, intanto, non credo a quello che dice il padrone. Io credo, invece, che la sua prima moglie era la mamma mia, prima che egli la conoscesse. Essa aveva una religione diversa dalla nostra. Come poteva fare questo voto? Dunque, il padrone, quando io era bambino, mi nudriva bene, mi faceva studiare, perchè egli sperava che io poi, diventando istruito, lo arricchissi. Ma, a dodici anni, io perdetti la vista, e allora egli maledisse il denaro che aveva speso e cominciò a trattarmi peggio di un cane rognoso. Per fortuna, mi era piaciuta la musica. Avevo imparato a pestare il pianoforte, chè un pianoforte, nel suo caffè, ci è sempre stato. E così, anche cieco, io gli sono stato utile. Per me, il padrone risparmia più di cinque lire al giorno. E questa è la ragione per cui mi tengono qui a forza, come uno schiavo, come una macchinetta. Mi capisci tu? (Pausa.) No, non mi capisci.
Paolina
(un po' intontita) Almeno, tu mangi.
Nunzio
Meglio non mangiare che vivere come vivo io.
Paolina
Perchè perdesti la vista?
Nunzio
Eh, la perdetti! Ci sono tanti malanni! Dicono che certe volte il figlio ha i malanni del padre. E dicono pure che il figlio può scontare i peccati del padre. Chi sa poi chi era mio padre!... (Pausa.) Tu lo sai chi era il tuo?
Paolina
Mamma mia mi diceva che era un signore: un signore nobile.
Nunzio
(con un accento di serenità semplice ed ascetico) La verità è soltanto sotto gli occhi di Dio. (Pensa. Si gratta in capo. Esita. Indi, in uno stato di latente concitazione, si decide) Paolina, mi è venuto un pensiero.
Paolina
Che pensiero?
Nunzio
Ti faccio una proposta. Vuoi venire con me?
Paolina
Dove?
Nunzio
Dove! Il più lontano che sia possibile. In un altro quartiere della città.... Magari in un'altra città addirittura.... Lontano dai miei padroni, lontano da Ignazio Tucci, lontano da quell'uomo che t'ha battuta, lontano, insomma, da tutti quelli che ci stanno addosso come il lupo sulle pecore. Io ho fatto cento progetti; ma, solo, non ho potuto, e non potrei. E da quando ho udito che quell'uomo sarebbe tornato all'alba, io ho cominciato a pensare che potremmo fuggire tu ed io insieme. In due sarebbe tutt'altro! (Animandosi molto) Senti, senti, Paolina.... In due, noi ci aiuteremmo scambievolmente. Tu mi condurresti per mano finchè io non avessi imparato a camminare col bastone come fanno i ciechi che non sono schiavi di nessuno, e mi assisteresti sempre un poco, ed io assisterei te ed anche t'insegnerei qualche cosa. T'insegnerei... t'insegnerei, per esempio, a cantare. Insieme, vedi, andremmo in giro per guadagnarci il pane, e, se proprio avessimo la mala sorte, insieme chiederemmo l'elemosina. Non ti pare un bel progetto questo? (Pausa.) Che rispondi?
Paolina
(stordita, senza rendersi conto di niente) E mi vorresti poi bene, tu?
Nunzio
Io ti vorrei bene, perchè tu saresti per me... quello che per gli altri è la vista degli occhi.
Paolina
E tu per me che saresti?
Nunzio
(con una strana dolcezza nella voce) Il destino è cieco come sono io. E dunque io sarei il tuo destino. Non mi capisci?
Paolina
No.
Nunzio
E che rispondi?
Paolina
(semplicemente) Sì, andiamo. (Si alza.)
Nunzio
(con gioia) Davvero?
Paolina
Ma sùbito, perchè più tardi potremmo essere afferrati!
Nunzio
(alzandosi anche lui) Sì, sì, sùbito! Hai ragione. Coraggio! Sùbito!
Paolina
E come si esce? La porta è chiusa con la chiave.
Nunzio
(misteriosamente) Io ho una chiave nascosta. Il padrone ne aveva due: una per lui, un'altra per la signora. Riuscii a rubarne una. La speranza di potermene servire l'ho avuta sempre. Il momento è giunto.... Sia ringraziato il Signore! (Fruga sotto il panciotto, ne cava una chiave.) Piglia.
Paolina
(Prende la chiave.)
Nunzio
Aspetta. (Resta intento a origliare. Pausa.) Essi dormono.
Paolina
E se non dormono?
Nunzio
Dormono. Attraverso il soffitto odo bene il respiro affannoso del loro sonno. Apri piano piano.
Paolina
(ficca la chiave nella serratura.)
Nunzio
Sai fare?
Paolina
Sì. (Apre un po' l'uscio.) Come piove! (Guarda il cielo.)
(Il vento tace. Si ode il rumor cupo della pioggia e il gorgoglìo della lava sul lastricato. Lampeggia un poco.)
Paolina
E il vento ha rotto il fanale dirimpetto.
Nunzio
Sotto la scansia, dove hai preso il pasticcino, deve esserci il mio cappello.
Paolina
Va bene. (Trova il cappello, e va a darglielo.)
(Una ventata smorza la candela. Il buio fitto invade la bottega. La strada è nera. In questo momento, nessun lampo.)
Paolina
Ohè! La candela si è smorzata. Io non vedo più niente.
Nunzio
(con un certo orgoglio) Fino alla strada, ti conduco io. (Le piglia la mano e la conduce lentissimamente. Arrivano alla porta.)
(Adesso, al chiarore d'un lampo succede lo scroscio d'un tuono. L'acqua cade a torrenti.)
( Nunzio e Paolina escono.)
(Sipario.)
ATTO SECONDO.
Il boudoir intimo del duca di Vallenza. Un'impronta di raffinatezza aristocratica nella eleganza e nel comfort. Una dormeuse, delle sedie a sdraio, delle poltrone. Verso il lato sinistro della stanza, un grande specchio da toilette. Verso il lato destro, uno scrittoio civettuolo, ma ben solido. Alla parete di fondo, un'ampia porta a due battenti. Alla parete destra, un'altra porta. Alla parete opposta, un flnestrone, molto visibile. Ninnoli, fiori, cimelii dappertutto.
SCENA I.
Il DUCA, il PARRUCCHIERE, il cameriere BEPPE, indi, il servo GAETANO e l'avvocato BARTOLETTI.
(È l'ora del tramonto. La porta in fondo è spalancata. Si vede un fumoir e, dopo il fumoir, una sala da pranzo. La tavola è imbandita per molti commensali. Qualche cameriere vi si aggira intorno, apparecchiando.)
( Il duca è seduto dinanzi allo specchio con sulle spalle quella specie di accappatoio di lino bianco che i parrucchieri fanno adoperare per la toilette. Egli è pallido, sofferente, di una sofferenza indeterminabile, piena di malinconia dissimulata. Ha i calzoni e il panciotto dell'abito nero, colletto all'ultima moda, cravatta bianca, e indossa una giacca da camera, molto semplice e di buon gusto. Il parrucchiere, atteggiato a devozione untuosa, lo pettina assai accuratamente. Il cameriere Beppe — capelli grigi, brevi fedine, in frac, ma non in livrea: figura di cameriere esperto e correttissimo — resta in fondo alla scena, diritto, a ricevere ordini.)
Il parrucchiere
(dopo un lungo silenzio, pettinando) Eppure, Eccellenza, poco fa mi sono sbagliato. Adesso ricordo bene. La tintura che adoperava il conte Argenti, buon'anima sua, non era francese, era americana. Tintura... (pronunziando la parola come è scritta) Milley.
Il duca
Si pronunzia Millé, non Millei.
Il parrucchiere
Eccellenza, io poi non conosco la lingua... americana. Era una tintura ottima. E si disse che la tintura lo aveva fatto impazzire. Ma tutte storie inventate per scansare la concorrenza. Il primo flacon lo portò lui stesso, il signor conte, da Nuova York, quando si decise a tingersi i capelli.
Il duca
Lui si tingeva anche prima.
Il parrucchiere
E da quanto tempo, Eccellenza?
Il duca
Che so? Quello lì era nato tinto.
Il parrucchiere
(ride) Ah, ah, ah!... E morì tinto! Egli fece chiamare il suo parrucchiere tre ore prima di morire.
Il duca
(pigramente) Fece bene. Provvide a parer bello anche sul cataletto.
Il parrucchiere
(ride) Ah, ah, ah! (Pausa.) (Indi, serio) E Vostra Eccellenza non penserebbe a....
Il duca
A che? A morire?
Il parrucchiere
Vostra Eccellenza deve campare mill'anni! (Abbassando un po' la voce) Volevo dire che... per questi pochi capelli bianchi si potrebbe....
Il duca
Pochi?
Il parrucchiere
Pochissimi.
Il duca
Va là che sono parecchi.
Il parrucchiere
Io avrei da proporre a Vostra Eccellenza....
Il duca
Lascia andare. Non sono i capelli bianchi che mi dànno noia. Altro che capelli bianchi!
Il parrucchiere
Vostra Eccellenza vuole scherzare. La malattia di questi giorni è stata una cosa da nulla. Oggi Vostra Eccellenza sta benissimo. Ha una cera di giovinotto!...
Il duca
Sì sì. (Cava di tasca un portasigarette e ne piglia una.) Beppe, un po' di fuoco.
Beppe
(prende un cerino da un portafiammiferi e rispettosamente glielo porge acceso.)
Il parrucchiere
(zelantissimo, mette fuori contemporaneamente la sua scatoletta di cerini e ne accende uno.)
Il duca
(si serve del cerino portatogli da Beppe, e caccia il fumo dal naso.)
Il parrucchiere
(dopo aver dato un ultimo colpo di spazzola ai capelli del duca, gli toglie di dosso l'accappatoio.) Servito, signor Duca.
Il duca
Beppe, il frac.
Beppe
(prende l'accappatoio ed esce a sinistra.)
Gaetano
(in livrea stringata, entra dalla porta a destra.) Eccellenza, c'è l'avvocato Bartoletti.
Il duca
Venga, venga. Fallo entrare qui.
Gaetano
(quasi timidamente) E c'è anche il sarto.
Il duca
A quest'ora viene il sarto?
Gaetano
Aspetta da un pezzo, Eccellenza.
Il duca
Perchè non me l'hai detto?
Gaetano
Ecco.... io l'ho annunziato, ma....
Il duca
(turbandosi un po') È vero, sì.... Non me ne ricordavo.... Entri anche il sarto.
Gaetano
(esce.)
Il parrucchiere
Ha comandi da darmi il signor Duca?
Il duca
No.
Il parrucchiere
Servo, Eccellenza. (Striscia una riverenza, e via dalla destra.)
Beppe
(rientra col frac.)
Il duca
Metti lassù, e va di là.
Beppe
(pone il frac sopra una sedia e sta per andare.)
Il duca
Ehi, Beppe! Verrà la signora Blanchardt. L'aspetto qui, e non c'è bisogno di annunziarla. Gli altri, nel salottino Pompadour. E chiudi quella porta.
Beppe
(s'inchina ed esce dal fondo, chiudendo.)
Gaetano
(introduce prima l'avvocato Bartoletti, poi il sarto, e va via.)
Il sarto
(porta sul braccio della roba avvolta in un panno scuro.)
Bartoletti
(un uomo sui sessantacinque anni, dall'aspetto severo e dignitoso) Sono ai suoi ordini, Duca.
Il duca
Grazie, caro Bartoletti.
Bartoletti
Ho ricevuto stamane la sua lettera con quel foglio... e i documenti espositivi che ella ha creduto utile mandarmi, e naturalmente l'ho servita senza por tempo in mezzo. Tuttavia....
Il duca
Un momentino, se non vi dispiace.
Bartoletti
Prego. (Riordina e leggiucchia qua e là alcune carte che ha in mano.)
Il duca
(al sarto:) Cosa c'è?
Il sarto
Il paletot, Eccellenza.
Il duca
Quale paletot?
Il sarto
Lo provammo una sola volta, Eccellenza, prima della sua malattia.
Il duca
(turbandosi di nuovo) Ah... già!
Il sarto
L'ho terminato.
Il duca
Potevate consegnarlo al mio cameriere.
Il sarto
Se il signor Duca permette, io vorrei rivederglielo un po' addosso.
Il duca
Come vi piace. (Sbottona la giacca per togliersela.)
Il sarto
Tenga questa giacca, Eccellenza. Possiamo provare benissimo.
Il duca
(parla con Bartoletti, mentre il sarto gl'infila il paletot e mentre dinanzi allo specchio glielo aggiusta sul corpo e glielo guarda da tutti i lati) Dunque, avvocato, io non devo abusare del vostro tempo. Diciamo subito quello che è necessario. Io vi ho incomodato perchè il Codice non lo conosco che ad orecchio e (con un lieve sorriso) temevo che la forma della mia prosa non fosse abbastanza esplicita e non escludesse con certezza gli equivoci e le contestazioni.
Bartoletti
Io ho letto mal volentieri, ma attentamente.... (guardando, il sarto, esita.)
Il duca
Parlate pure.
Bartoletti
(continuando)... le sue... disposizioni testamentarie.
Il duca
Perchè poi mal volentieri?
Bartoletti
Prima di tutto perchè quella dei testamenti non è la lettura che io preferisco, specie se ne sono autori persone per le quali nutro una devota amicizia....
Il duca
Che idee!
Bartoletti
E anche perchè, francamente, quella decisione mi è parsa una... come ho da dire?
Il sarto
Le va, Eccellenza, questa larghezza di petto? C'è dello chic, ma forse è un po' troppa.
Il duca
(dandogli retta per ostentazione) No, no, non è troppa. Piuttosto, quelle spalle... non so....
Il sarto
Ma ecco: il signor Duca, oggi, si curva un tantino. Non è la sua abitudine. Se ha la pazienza di stare diritto....
Il duca
(subito si drizza.)
Il sarto
Lo vede? Non c'è più niente.
Il duca
Difatti, mi curvavo un poco. Ora, va perfettamente.
Il sarto
Eppure, dico la verità, non è di mia piena sodisfazione. E (togliendogli il paletot ) se il signor Duca mi concede ancora qualche minuto, gliene vorrei mostrare un altro che ho imbastito.
Il duca
Ho ordinato anche questo?
Il sarto
No, ma avendo ricevuto in questi giorni dalla Casa Scholt di Londra un overcoat per campione, io mi son detto: voglio tagliarne uno identico per il signor Duca. Che se poi non le piacesse....
Il duca
(stanco di stare in piedi e distratto) Vediamo. (Siede.)
Il sarto
Vuole che torni domani?
Il duca
No. Perchè? (Si alza.) (A Bartoletti:) Dunque, dicevamo, vi è parsa proprio una stravaganza la mia decisione? Cioè, voi stavate per chiamarla... una follia.
Bartoletti
Non lo nego. Del resto, c'è sempre tempo di distruggere una carta.
Il duca
(sottolineando tristemente) Sempre, no.
Il sarto
(infilandogli l' overcoat imbastito, col bavero provvisorio di fodera) È un modello di una eleganza straordinaria. Guardi come veste!
Il duca
(a Bartoletti:) E dite, avvocato, avete fatto delle modificazioni o era tutto in regola?
Il sarto
(fa dei segni col talco sul dorso, presso il bavero.)
Bartoletti
Ho soltanto scritte qui (mostrando un foglietto) due clausole da aggiungere in ultimo, per maggiore chiarezza.
Il duca
(stendendo la mano verso Bartoletti, che è alle sue spalle) Volete compiacervi?
Bartoletti
(gli porge il foglietto.)
Il duca
(lo prende e legge.)
Bartoletti
E ripongo sullo scrittoio i documenti riguardanti la tenuta di Sant'Angelo, che ho consultati. (Esegue.)
Il sarto
Voglio che la spalla faccia questo. (Pizzica l'abito sulla spalla come per esperimentare la correzione.) Il resto, non lo tocco. Sarà molto inglese. Ha nulla da osservare il signor Duca?
Il duca
No.
Il sarto
(comincia a levargli di dosso l' overcoat. Tira la manica sinistra. E poi, avendo il Duca nella mano dell'altro braccio il foglietto che legge, il Sarto aspetta.)
Il duca
(se ne accorge, passa il foglietto alla mano sinistra, e, continuando a leggere, commenta:) Così è chiarissimo.
Il sarto
(tirando l'altra manica) Per dopo domani sarà pronto. Valgo a servirla, signor Duca?
Il duca
Addio.
Il sarto
I miei rispetti.... (Portando via l'abito imbastito, esce a destra.)
Il duca
(a Bartoletti, sorridendo:) Me l'avete sempre storpiato il nome di Livia Blanchardt.
Bartoletti
Non l'ho fatto apposta. Vuol dire... che questo nome non era molto simpatico alla mia penna.
Il duca
La vostra penna ha avuto torto, perchè Livia Blanchardt è una donna deliziosa.
Bartoletti
Evidentemente.
Il duca
Dunque, non mi resta a fare altro che copiare queste due clausole....
Bartoletti
E firmare.
Il duca
Niente notai?
Bartoletti
Per il testamento olografo non ce n'è bisogno. Il testatore può conservare egli stesso il suo testamento. E sarà bene fare così. Avendolo sott'occhio, le sarà più facile di distruggerlo. Le auguro... di averne l'ispirazione.
Il duca
(freddamente) Intanto... io copio e firmo. (L'aria si è man mano rabbuiata. Egli volta la chiavetta della luce elettrica e due o tre lampadine risplendono. Siede presso la piccola scrivania e si accinge a scrivere.)
Bartoletti
Pare che abbia fretta la signora Livia Blanchardt.
Il duca
Ho fretta io, mio caro avvocato. (Scrive.)
Bartoletti
(lo contempla, scrollando il capo.)
SCENA II.
Il DUCA, l'avvocato BARTOLETTI, LIVIA BLANCHARDT.
Livia
(dal fondo, restando di là dall'uscio e aprendone un po' i battenti per sporgere la testa) Io entro?
Il duca
(voltandosi) Vi aspettavo.
Livia
(oltrepassa la soglia, e richiude l'uscio.) Lo so. (Ella è tutta avvolta in un gran mantello ricchissimo. Ha un'aria di sfinge, e mette nell'ambiente la nota, non gaia, bensì quasi fatale, della sua eleganza squisita, della sua grazia serpentina e del suo raccoglimento pensoso.) (Avanzandosi) Quando m'invitate a pranzo, è il solo caso in cui io possa permettermi di credere che mi aspettiate. Disturbo?
Il duca
Tutt'altro. (Senza alzarsi, accennando a Bartoletti) È il mio avvocato ed anche una vecchia conoscenza di casa: il signor Bartoletti.
Bartoletti
(s'inchina lievemente.)
Il duca
Si parlava di affari. Ma abbiamo finito. (A Bartoletti, presentando:) La signora Livia Blanchardt.
Bartoletti
(fa un altro lieve inchino) Domando scusa alla signora se io vado via proprio quando ella arriva; ma....
Il duca
(a Livia, indicando Bartoletti:) Le donne lo hanno sempre messo in fuga.
Bartoletti
Questo non è esatto, signora. Mia moglie è madre di otto figliuoli; e li ho fatti io. Ma gli è che l'ora del desinare è giunta anche per me.
Il duca
(con un sorriso scherzoso) Volete pranzare con noi, avvocato? Sarete in buonissima compagnia. Molte belle donnine. Dateci una prova di essere ancora un cultore del gentil sesso.
Bartoletti
Alla mia età....
Il duca
Garantisco che ringiovanirete.
Bartoletti
Non garentisca, Duca. Per fare un dottor Faust, ci vuole per lo meno una Margherita; e non credo che.... Con permesso, signor Duca. Con permesso, signora.
Il duca
Senza complimenti?
Bartoletti
Senza complimenti. (Esce a destra.)
SCENA III.
Il DUCA e LIVIA.
Il duca
(scrivendo) Finisco subito, sapete.
Livia
Cos'è? Lavorate?
Il duca
Un poco. E lavoro per voi.
Livia
Per me? (Sarebbe tentata di avvicinarsi per guardare; ma si trattiene.) (Un lungo silenzio.) (Ella sguscia dal suo mantello, che lascia cadere sopra una poltrona.) (È décolleté, in gran toilette, piuttosto severa, ma splendida, d'un gusto sopraffino: il suo corpo si delinea snello e flessuoso, promettitore di voluttà morbosamente acri.)
Il duca
(alzando un po' gli occhi) Siete magnifica!
(Ancora un breve silenzio.)
Livia
Avete invitata molta gente?
Il duca
Non molta. I nostri amici.
Livia
Lolotte?
Il duca
Sì, ma con lui. (Pausa.) (Firmando) Ecco fatto. (Lacera la bozza dell'avvocato e la getta in un cestino. Ripone in un cassetto dello scrittoio la carta scritta e chiude a chiave.)
Livia
(segue attentamente con la coda dell'occhio tutti i movimenti di lui.) E questo pranzo, perchè?
Il duca
(alzandosi) È la mia festa. Oggi, cinquant'anni. E poi, un po' di nostalgia. Era da tanto tempo che non vedevo più nessuno!
Livia
Neanche me.
Il duca
Questo, per colpa vostra.
Livia
Sono stata in casa, aspettandovi, venti giorni. Ho inviato ogni mattina il mio servo a chiedere notizie della vostra salute. Mi avete fatto rispondere che stavate bene e... nient'altro. (Si aggira con disinvoltura intorno allo scrittoio guardando, indagando.)
Il duca
Se invece d'inviare il vostro servo, foste venuta voi stessa, ne avrei avuto molto piacere.
Livia
Dimenticate le mie abitudini. In casa vostra non sono mai venuta senza che voi mi abbiate chiamata.
Il duca
Per un orgoglio alquanto esagerato.
Livia
Per un'esagerata umiltà, se mi permettete. O, almeno, per una speciale delicatezza. C'è già chi crede che io tenti di raggirarvi.
Il duca
(sdraiandosi in una poltrona) Per far che? Non vi preoccupate. Si sa perfettamente che tutte le sciocchezze che ho commesse ho voluto sempre commetterle io. E, d'altronde, raggirar me! Adesso? Non ne varrebbe la pena.
Livia
(stendendosi tutta sopra una dormeuse ) Si dice perfino che io cerchi di diventare vostra moglie.
Il duca
Si dice questo?
Livia
Sì, sì.
Il duca
(tranquillissimo) È una calunnia che potete completamente disprezzare... tanto più che non diventerete mia moglie. I fatti vi daranno ragione. Del resto, sono sicuro che ciò non vi sorriderebbe.
Livia
O Dio, per una donna come me sarebbe, dopo tutto, una graziosa vittoria svegliarsi un bel giorno duchessa di Vallenza. Ma, visto che il Duca di Vallenza siete voi, non è il caso. Con voi non ho ambizioni.
Il duca
Ah!?... Mi amate?
Livia
Se pure vi amassi, non saprei nè come convincerne voi, nè come convincerne me stessa. Ma mi sento legata a voi più che non mi sia sentita legata ad altri. Questo è più semplice, ed è più convincente.
Il duca
È più convincente, difatti, perchè, senza dubbio, qualche cosa di simile sento io per voi.
Livia
Sul serio?
Il duca
Sul serio. E, anzi, a questo proposito vi voglio dare una notizia che... potrà interessarvi. Mi sono deciso a fare il mio testamento.
Livia
(ha una scossa quasi impercettibile.)
Il duca
Non l'avreste immaginato.
Livia
(dissimulando bene una pungente curiosità) Ma me lo spiego. Siete in un quarto d'ora di spleen.
Il duca
Non si tratta di spleen. Al vostro servo, in questi giorni, per ordine mio, non fu mai detta la verità. Io sono stato molto male....
Livia
La solita idea fissa!
Il duca
Già, ma io ho finalmente costretti i miei medici a non mentirmi sul viso, e sono riuscito a carpir loro la verità, che io avevo intuita da un pezzo. Ci siamo, mia cara! La vita che ho voluto vivere non poteva essere più lunga di così. (Si alza, prende una sigaretta e l'accende.) Certo, con le donne si passa il tempo assai bene; ma il tempo che si passa con le donne è sempre un prestito che si contrae. Ora, la scadenza della mia cambiale è prossima. Una scadenza bizzarra. Senza data. E senza dilazione. Pagamento repentino. (Risiede.) Pagherò.
Livia
Sicchè, se tutto ciò fosse vero, io sarei una di quelle che vi hanno abbreviata l'esistenza.
Il duca
Siete indubbiamente quella che più me l'ha abbreviata, mia buona amica.
Livia
(sempre fredda, sempre indagando) E allora dovreste odiarmi.
Il duca
Sarebbe una contraddizione. Io ho amato in voi appunto questa potenza distruggitrice.
Livia
Un vampiro!
Il duca
No. Ma nella categoria di donne a cui appartenete, siete la più completa. E io (sorridendo con una vaga amarezza)... io premio la vostra superiorità. Non avete ancora indovinato in che modo?
Livia
(eccedendo nella finzione) Io, no.
Il duca
Volete provare il godimento dell'annunzio ufficiale? E sia. Il mio testamento è tutto a favor vostro.
Livia
(non ha neppure un batter di palpebre. Tuttavia, passa sul suo volto come un'onda luminosa.)
Il duca
Lo vedete: non ve ne siete sorpresa.
Livia
Se lo avessi indovinato, avrei finto di sorprendermi.
Il duca
E non mi ringraziate?
Livia
Mi sembrerebbe disgustevole.
Il duca
Neanche un po' di curiosità?
Livia
(stringendosi nelle spalle, fa appena col capo cenno di no.)
Il duca
Vi ammiro. Ma io devo pur comunicarvi ciò che dite di non voler sapere.
Livia
(ascolta acutamente, con la testa arrovesciata sulla breve spalliera della dormeuse, guardando il soffitto, nell'atteggiamento di chi si rassegni mal volentieri ad ascoltare.)
Il duca
Non sarete erede, aimè, d'una gran fortuna. Quello che mi resta. Nondimeno, avrete di che vivere con discreta agiatezza. Non si sa mai! Potreste..., potreste... anche essere stanca di avventure....
Livia
Possibilissimo.
Il duca
Sarà in tutto un patrimonio di circa settecentomila lire. Senza pesi. Senza noie. Ma badate, non vorrei aver l'aria di quel che non sono, cioè d'un uomo troppo generoso o troppo stravagante. Il fatto è che non ho parenti. Non ho nessuno. In fondo, io non vi ho preferito che allo Stato, col quale non ho mai avuto nulla di comune, e agli istituti di beneficenza, che il più delle volte beneficano i loro amministratori. Nè più, nè meno.
Livia
(sempre guardando il soffitto) Ciò non diminuisce la mia gratitudine.
Il duca
In questo momento sono io grato a voi che non vi sia parso anco una volta disgustevole di dirmi una parola gentile.
Livia
Mi accorgo che poco fa non mi avete compresa. (Stendendogli un braccio) Via, datemi la vostra mano. Sarebbe veramente una cattiva cosa che proprio questa conversazione creasse qualche equivoco fra noi o lasciasse qualche pena nell'animo vostro!
Il duca
(andando a lei e stringendole la mano fortemente) Sì, Livia, avete ragione. Io sono in una condizione di spirito... terribile!
Livia
Lo vedo.
Il duca
(sovreccitandosi e spasimando) Io ho bisogno di dolcezza. Ho bisogno... (quasi non vorrebbe pronunziare la parola) ho bisogno di bontà. Ne sono come assetato. Per quanto ciò vi possa parere un fenomeno maraviglioso, credetemi, credetemi, Livia, ve ne prego!
Livia
(si è alzata e gli si trova di faccia, fissandolo come per penetrarne il pensiero e per ispirargli fiducia.) Vi credo.
(Un silenzio.)
Il duca
(cercando di calmarsi) Io, Livia, vi farò delle confidenze. Le farò a voi.... Siete oramai la persona a me più vicina.... Vi farò delle confidenze strane. E sarà strano, soprattutto, che a tante ore pazze che abbiamo passate insieme ne succedano delle altre... così diverse, così piene di tristezza! (I suoi sguardi errano nel vuoto. Poi, egli sorride quasi stupidamente. Poi, si rivolge a lei con timidità) Volete accogliere le mie confidenze?
Livia
(fermamente) Sì.
Il duca
Per assistere un condannato a morte, sarà pur necessario che cerchiate nel fondo del vostro cuore qualche cosa che somigli alla tenerezza. E forse la troverete davvero. La nostra natura ha complicazioni imprevedibili.... (Pausa.) (Scrutando sè stesso, tutto assorto, siede.)
Livia
(gli resta accanto, dritta in piedi.)
Il duca
Io, per esempio, da quando ho cominciato a sospettare non lontana la mia fine, ho vagamente, inconsapevolmente, cercato di mettere in pace la mia coscienza. E quando più tardi ho potuto ascoltare la condanna sicura, ho avuta immediatamente la consapevolezza di questo mio desiderio di pace intima. Io! Capite?... Inesplicabile! E ho rivangata tutta la mia vita. Distinguere bene ciò che era stato biasimevole non sapevo, e non saprei nemmeno adesso. A lungo andare se ne perde il concetto preciso. E, inoltre, l'impossibilità assoluta di riparare suggerisce il dubbio che quello che si chiama pentimento non sia... non sia che una burletta, molto comoda. E poi!... Pentirsi solamente è un'impotenza! E questa impotenza è asfissiante, è umiliante!... Un uomo come me, abituato a non vedere ostacoli dinanzi alla propria volontà, non dovrebbe potersi soltanto pentire. Pentirsi, va bene; ma anche fare, fare, fare qualche cosa! (Pausa.) E... per uno solo degli episodi della mia vita, io ho tentato, ho insistentemente tentato di tradurre in fatto il pentimento! Ne avevo un ricordo che mi tormentava più di ogni altro ricordo. Ai suoi tempi, quell'episodio non ebbe nessuna importanza; ma nel ricordarmene assumeva un aspetto severo, concreto, implacabile: un aspetto di colpa senza attenuanti.
Livia
(misurando le parole) Probabilmente, voi ingrandite l'aspetto di questa colpa.
Il duca
(reciso) No, perchè io ho la sicurezza di avere una figlia!
Livia
(ha un sussulto. Poi si ferma.) Dov'è questa figlia?
Il duca
Non lo so. L'ho cercata. Ma non avevo nè una traccia, nè un indizio. Sua madre mi sembrava d'averla riveduta, una sola volta, di sera, allo sbocco d'un angiporto sinistro della vecchia Napoli, nella penombra. Uno dei fantasmi della prostituzione più umile. Ne avevo avuto un senso di fastidio momentaneo. Poi, più nulla. E dimenticai. Ebbene, in questo periodo di risveglio della mia coscienza, in quell'angiporto sono tornato io stesso più volte. Ma erano passati altri nove anni! Nessuno seppe darmi notizie. Quel mondo, laggiù, è un immenso mare che l'occhio non vede e che pur trasporta di qua e di là, capricciosamente, come nel buio, creature vive a guisa di corpi morti. Talvolta le ingoia addirittura, tal'altra le scompone, le ricompone, le trasforma, le nasconde, le avvolge di mistero impenetrabile. Dove sono? Che fanno? Che sono diventate?... Impossibile sapere!
Livia
(pallida, sempre più acuendo il pensiero nella sua abituale concentrazione, si allontana, siede.) Devo dirvi lealmente quello che penso?
Il duca
Lo desidero.
Livia
Io non so capire come il genere di donna a cui avete accennato possa darvi la sicurezza che vi tormenta così. Che cos'era, infine, questa donna?
Il duca
Che cos'era?... Niente. Era un misero corpicino umano, insignificante, inerte. La più completa assenza di volontà. La più completa assenza del discernimento di qualsiasi diritto. Un istinto di umiltà e di sottomissione da innocua bestiolina domestica. Un povero cervello d'idiota smarrita nella folla. Diciotto anni. Due occhi assai belli. E una verginità scampata, per caso, alla curiosità degli uomini. Ecco quello che era.
Livia
E voi...?
Il duca
Io non ebbi altro scopo che d'impiegare in una qualunque brutalità nuova dieci minuti d'una giornata noiosa! (Breve pausa) Questa piccola operaia senza lavoro, che era venuta a chiedermi non so quale raccomandazione, uscì di casa mia con un po' di denaro, baciandomi le mani e benedicendomi. Mi promise di non darmi nessuna noia, e mantenne la promessa per circa un anno. Ma un giorno, la trovai dinanzi alla mia casa. Lattava una bambina bruna. Mi disse timidamente, tremando: — Eccellenza, questa bambina è vostra. — Finsi di non credere. Mi sottrassi a lei con uno sgarbo disdegnoso. Per mezzo d'un servo le mandai ancora del danaro e l'ordine preciso di non farsi più vedere. Ella volle che il servo mi riferisse le parole della sua riconoscenza.... E non la vidi più.
(Un silenzio.)
Livia
(stentando a mostrarsi calma) Sicchè, se le ricerche da voi tentate non fossero riuscite infruttuose, voi avreste raccolta e riconosciuta come vostra la figlia di quella sciagurata?
Il duca
Certamente.
Livia
Anche se l'aveste trovata già nella perdizione, già nel fango, già in un lupanare?
Il duca
(si alza esaltandosi) In tal caso l'avrei raccolta con una più grande gioia, perchè mi sarebbe parso di compendiare nello sforzo della riparazione tutti i sacrifizi necessari a ripagarmi la tranquillità. E di questa tranquillità io sento l'urgenza, Livia!
Livia
È un'aberrazione!
Il duca
È una febbre, è una febbre atroce, che mi possiede e che cresce di minuto in minuto. Io, vedete, non solo vorrei trovare mia figlia ma vorrei pure... vorrei pure scorgerla attraverso un ostacolo da superare, attraverso un pericolo, attraverso le fiamme di un incendio per poter giungere a lei dopo essermi gettato in quelle fiamme, dopo aver sentito nella carne viva le scottature più dilanianti, le trafitture delle piaghe più profonde! (Cade abbattuto sopra una poltrona.)
(Un breve silenzio.)
Livia
(col volto contratto dall'interno rodìo) Continuate a cercare, e... chi sa!
Il duca
Non ne avrò più il tempo!... Ne sono così persuaso che se mi facessi saltare le cervella o ingoiassi un veleno, non mi parrebbe di compiere un suicidio, ma soltanto mi parrebbe di evitare a me stesso il fastidio dell'agonia.
Livia
(ha un lampo passeggiero negli occhi.)
Il duca
Ci pensate voi all'agonia d'un uomo come me? (Rabbrividisce.) Ci pensate all'agonia spasmodica di quest'uomo, che ha solamente goduto e non lascia nessuna traccia di bene e non vede intorno a sè che il vuoto... il vuoto o le ombre delle vittime fatte dal suo egoismo? Ci pensate, voi, Livia? Ci pensate a tutto questo?
Livia
(fissandolo negli occhi) Ma... voi non commetterete nessuna follia?!
Il duca
(anch'egli in piedi, fissando lei alla sua volta) E siete sincera esortandomi a non commetterla?
Livia
(ha un moto di sdegno e di asprezza felina che tradisce la sfinge.)
SCENA IV.
Il servo GAETANO, il DUCA, LIVIA, LOLOTTE, GUIDOLFI.
Il servo Gaetano
(dalla destra) Eccellenza, sono venuti la signora Lola Bernardi e il signor Guidolfi.
Lolotte
(di dentro) Ma che cos'è quest'etichetta? Che novità stupide! Io posso entrare da per tutto. (Sulla soglia, voltandosi indietro) Tu no, tu non puoi.
(Il servo esce.)
Guidolfi
(di dentro) Scusa, tu entri da per tutto perchè sei in casa del duca di Vallenza; ed io entro da per tutto perchè sono in casa di Livia Blanchardt. (Entrando e scorgendo Livia) Eccola lì, difatti. Ne avevo sentito l'odore.
Il duca
Siete due blagueurs!
Guidolfi
(va a stringere la mano a Livia.)
Lolotte
(è una donnina molto graziosa, dal viso capricciosetto, un po' avariato e un po' imbellettato. Ha una toilette ricca e gaia. Il suo décolleté rivela che la sua primavera tramonta.) (Corre verso il Duca.) Duchino mio, come stai? Da quanto tempo non ci vediamo! È un secolo! Hai fatto bene, sai, a invitarmi. Meriti un bacino e te lo do.
Guidolfi
(a Livia:) Ed io lo do a te. (Sta per darglielo.)
Livia
(scansandosi) No.
Guidolfi
Oh, oh! Che aria da duchessa!
Lolotte
(al Duca:) Ma come sei sciupato, duchino! Hai una faccia pallidissima, sai! Dunque non era un canard. Me lo avevano detto, sai, che eri stato tanto male.
Il duca
Ho una malattia inguaribile, mia cara Lolotte.
Lolotte
Dio mio, quale?
Il duca
Invecchio. (E siede come stanco.)
Lolotte
Che mi dici!! Invecchi?... Livia, tu senti?... E non lo smentisci?... All'epoca mia, sai, io avrei potuto attestare della sua gioventù.
Guidolfi
Aveva dodici anni di meno.
Lolotte
Ma tu sei pazzo! Io non l'ho mica conosciuto dodici anni fa. Dodici anni fa io portavo ancora le vesti corte, sai!
Guidolfi
Sfido io: facevi la ballerina!
Lolotte
Avevo tredici anni ed ero una ragazzina onesta, capisci!
Guidolfi
Onesta sei anche adesso, almeno con me. Non mi costi niente.
Lolotte
Dovresti vergognartene.
Guidolfi
Io sono superiore a certi pregiudizi. E poi, visto che le donne si affaticano a diventare uomini, è giusto che gli uomini ne profittino per fare delle economie.
Livia
(è in disparte, biecamente assorta.)
Lolotte
Duchino, tu non la pensavi così. Sei ancora un galantuomo, tu, con le donne.
Guidolfi
È lui che guasta la piazza!
Lolotte
(al Duca:) Se ti ripescassi, duchino?
Il duca
(celiando) Tenta.
Guidolfi
Per me, accomodatevi pure. Ma bisogna fare i conti con Livia Blanchardt.
Lolotte
Che ne dici, Livia?
Livia
Niente.
Lolotte
(al Duca:) È di cattivo umore?
Il duca
(che sinora è stato con le spalle volte a Livia, torce il collo per vederla) Forse. (Nota l'atteggiamento pensoso e sinistro di lei.)
Livia
No, tutt'altro! Ascolto volentieri.
Lolotte
Sei proprio mutata, sai. Una volta eri più matta di me. Già, intendo. Oramai, è diverso. Anzi, a proposito, (al Duca e a Livia:) è poi vero che vi sposate? Dopo tutto, sarebbe una cosa di spirito.
Guidolfi
Specialmente per lui!
(Un lungo silenzio imbarazzante.)
Guidolfi
A che ora si pranza?
Il duca
Alle sette. Prendi un vermouth?
Guidolfi
No, grazie.
Il duca
E tu, Lolotte?
Lolotte
Nemmeno io. Prima di pranzo preferisco di fumare, per non avere appetito a tavola. Se mangio, ingrasso; e allora, come si fa?
Il duca
Lassù ci sono delle sigarette.
Lolotte
No, no. Ne offro io a te. (Cava fuori un portasigarette e lo porge al Duca.) Sono deliziose.
Il duca
(ne prende una.)
(Fumano il Duca e Lolotte.)
Guidolfi
Gliele ha regalate a Nizza, Mister Colbin, ex Presidente degli Stati Uniti.
Il duca
Quando è che gli Stati Uniti hanno avuto per Presidente un Colbin?
Guidolfi
Mai; ma non importa. Nei viaggi che fa senza di me, Lolotte ha sempre l'occasione di respingere la corte di un re spodestato o di un ex presidente di repubblica. Lei me lo racconta e io mi guardo bene dal contraddirla. In fondo, ciò sodisfa il mio amor proprio.
Lolotte
Sei molto banale, sai.
Il duca
Vieni qua, Lolotte. Di' a me: come è andata questa faccenda dell'ex Presidente degli Stati Uniti? (Le circonda la vita col braccio, e la fa sedere sul bracciolo della poltrona.)
Lolotte
Mister Colbin era un ex Presidente che mi faceva una corte spietata. Questa è la pura verità. Aveva una moglie splendida, sai. E quando io gli facevo osservare che sua moglie era un ostacolo, egli mi rispondeva di no, e diceva che, essendo io e lei di due generi diversi, l'uno non escludeva l'altro.
Guidolfi
Ecco gli Stati Uniti!
Lolotte
(al Duca:) Ma io ritirai i ponti....
Guidolfi
(rifacendola)... sai!
Il duca
Lasciala parlare. (A Lolotte:) Perchè ritirasti i ponti?
Lolotte
Perchè di questa vitaccia ne ho abbastanza. A lungo andare, ci si stanca. Non è così, Livia?
Livia
È proprio così.
Il duca
(torcendo il collo, nota di nuovo il contegno di Livia e un chiodo gli si mette nel cervello.)
Guidolfi
Lolotte vuole maritarsi.
Lolotte
(con festevolezza) E avere dei bambini!
Il duca
Una bella idea!
Lolotte
Perchè no? Io sarei una madre eccellente.
Il duca
Non ne dubito. Ma, a trovarlo un marito!
Lolotte
Ti garantisco che lo trovo. Ho la mia dote, sai. E me la son fatta da me.
Guidolfi
Questo è innegabile.
Il duca
(a Guidolfi:) Io poi dico: sposala tu, giacchè il matrimonio sembra anche a te una cosa spiritosa.
Lolotte
Ah! Lui sì che vorrebbe.
Il duca
Ebbene?
Lolotte
Sono io che non voglio. Sposarlo addirittura, sarebbe troppo!
Guidolfi
Mi piacerebbe di sapere chi è che vuoi per marito.
Lolotte
Un uomo per bene.
Guidolfi
Ma gli uomini per bene non sposano più neanche le fanciulle!
Lolotte
La mia amica Zizì d'Arnau non sposò forse un conte vero?
Guidolfi
Che c'entra! Quello lì era un imbecille.
Lolotte
Ma un imbecille per bene, sai.
Guidolfi
Il marito imbecille non fa a' casi tuoi. E la ragione è semplice. Tu hai questa particolarità: se l'uomo che ti sta accanto non si accorge delle infedeltà che gli commetti, tu sei profondamente infelice. Con me sei felicissima. Ma perchè? Perchè io me ne accorgo.
Lolotte
(alzandosi) Non sempre, sai!
Il duca
(ride ostentatamente) Parola d'onore, siete più divertenti del solito.
Livia
(va alla finestra.)
Guidolfi
Il che non impedisce alla duchessa... Livia di essere lugubre come non l'ho vista mai.
Il duca
Non tormentarla. (Con finta credulità) In fondo, è preoccupata per la mia salute.
Guidolfi
Preoccupata per la tua salute? Che gentile pensiero!
Livia
(in un falso tono di gaiezza) Vengono in comitiva tutti gli altri. Una vera carovana! Io vado, Paolo.
Il duca
Sì, fate gli onori di casa intanto che io metto il frac (Si leva.) Vi raggiungo subito. E... compiacetevi, Livia, di ordinare che il pranzo sia servito alle sette precise. Guidolfi ha fame. (La segue con lo sguardo.)
Livia
(senza affrettarsi, esce dalla destra.)
Lolotte
(andando allegramente alla finestra) Vediamo chi altro hai invitato, duchino. (Guardando attraverso le invetriate, con uno scatto di entusiasmo) C'è anche Riccardo Dalgas! (In fretta, abbracciando il Duca) Duchino, tu sei un angelo! (Esce correndo dalla destra.)
Il duca
(a Guidolfi:) E tu non vai? (È agitatissimo, impaziente, angosciosamente cogitabondo.)
Guidolfi
(osservando dalla finestra gl'invitati che giungono, risponde al Duca.) Preferisco di arrivare dopo l'incontro di Dalgas e Lolotte. Che vuoi! Dalgas è il più timido dei miei rivali, ed io ho per lui una speciale considerazione.
Il duca
(senza averlo ascoltato, ansimando) Fammi un favore, Guidolfi. Prega Livia di venire qui immediatamente.
Guidolfi
Che hai?
Il duca
Nulla, nulla. Non è altro che una curiosità... una semplice curiosità.
Guidolfi
(esce.)
SCENA V.
Il DUCA, poi LIVIA. E poi le voci di GUIDOLFI, di LOLOTTE ed altre.
(Nelle stanze attigue, un po' di cicaleccio.)
Il duca
(Come per difendersi dall'indiscrezione, chiude l'uscio di fondo con la chiave. Cerca di concretare il suo pensiero. Cerca di riflettere, e conclude fermamente:) Voglio sapere quello che nasconde nel suo silenzio!
Livia
Vi sentite male, Paolo?
Il duca
(padroneggiandosi, scrutandola acutamente) Sì, appunto, mi era parso di non sentirmi bene!
Livia
Volete un medico?
Il duca
No, grazie. Sto già meglio. E, in verità, non per questo vi ho fatto chiamare.
Livia
Avete da dirmi qualche cosa?
Il duca
Precisamente!
Livia
Parlate, dunque! Ma presto, perchè di là ci aspettano, e....
Il duca
Livia, io esigo che voi, guardandomi in faccia, rispondiate alla domanda che vi ho rivolta pocanzi!
Livia
(in tono dissimulatore) A quale domanda?
Il duca
Quando qui, qui, dieci minuti fa, io vi ho parlato della tentazione di risparmiare a me stesso il martirio di un'agonia tremenda, mi avete voi esortato sinceramente a non affrettare la mia fine?
Livia
Sospettate in me un'impazienza infame!
Il duca
Ebbene, disgraziatamente la sospetto! Siete voi che dovete liberarmi da questo incubo!
Livia
(furibonda) Non c'è nessun mezzo. Dalla vostra accusa brutale, io non debbo difendermi.
Il duca
(incalzando) E potreste giurare in questo momento che voi mi augurate di vivere?!
Livia
(con uno scatto di fierezza crudele) Non è il mio augurio che può guarire il vostro spirito più malato del vostro corpo. Forse guarirete o crederete di guarire riprendendo quello che voi avete voluto darmi! Fatelo. Io non vi impedisco di cercare ancora vostra figlia. Ma non aspetterò che l'abbiate trovata. Me ne vado adesso! (Prendendo il suo mantello con gesto risoluto e violento) Addio!
Il duca
(stranamente concitato, afferrandola per un braccio) Ah, no! Non mi lasciare! Io della tua malvagità raffinata non dubito più.... Ne ho il convincimento, e ne gioisco! Tu hai avuto or ora l'audacia di giuocare tutto per tutto! Ed hai vinto. No, non cercherò più, non cercherò più mia figlia! Io scorgo in te lo strumento perfezionato della fatalità di cui sono stato il giocattolo e mi riprometto un piacere nuovo ed enorme: quello che inconsciamente ho invocato ed ho aspettato, quello che sarà l'ultimo gradino della mia abiezione: stringerti fra le braccia sentendomi dilaniare dal rimorso! (Traendola a sè e avvinghiandosi a lei in uno spasimo di ebbrezza morbosa) E quanto più ti comprendo, quanto più ti disprezzo, quanto più mi fai soffrire, quanto più mi fai paura, tanto più ti desidero e ti chiedo aiuto! Sii perfida! Sii mostruosa! Mi piaci così, e ti merito così! (Stringendola forte) Non mi lasciare!...
Livia
Sei mio, di', sei mio?!
Il duca
Come un dannato!!
(Restano avvinti.)
(Giungono delle voci graziosamente allegre e scherzose, appena distinguibili, attraverso l'uscio di fondo.)
Una voce
È finito, sì o no, quest'idillio?
Un'altra voce
Ma si può vedere finalmente a occhio nudo questo Duca felice?
La voce di Lolotte
Duchino, io muoio d'invidia, sai!
La voce di Guidolfi
Ed io muoio di fame!
Il duca
(a Livia, staccandosi da lei:) Va!
Livia
(esce a destra.)
(Dopo un istante, si ode lieve, velata, come un'esclamazione corale) Oooh!
(Silenzio profondo.)
La voce di Guidolfi
(lontanissima) A tavola, a tavola!
Il duca
(barcollando, si toglie la giacca, prende il frac, va innanzi allo specchio. Appena infilato l'abito, porta la mano al cuore.) O Dio.... Che cos'è questo?!... Io soffoco... soffoco... (Gli manca il respiro. Gli manca la voce.) (Si sorregge a una sedia. Fa uno sforzo per gridare.) Aiuto... (La parola gli si spegne nella gola stretta.) (Ha come un lampo di chiaroveggenza. Balbetta:) Il testamento!... A lei, no... no... no... (Cerca di trascinarsi fino alla scrivania. Ma, come le sue braccia si stendono e le sue mani si aggrappano al cassetto, egli è vinto dalla paralisi e cade pesantemente — morto.)
(Un po' di vocìo festoso giunge di nuovo a traverso l'uscio.)
(Sipario.)
ATTO TERZO.
L'abitazione di Nunzio e Paolina: una stamberga. È un pianterreno che potrebbe servire da stalla. Non una finestra, non uno spiraglio. L'aria entra soltanto dalla grande porta che si apre nel mezzo della parete in fondo. Il livello del pavimento è inferiore a quello della strada, sicchè dalla strada si accede scendendo un gradino. I muri sono screpolati e grommati di muffa. Il soffitto basso mostra le travi scoperte. Accosto alla parete destra, un letto per due persone, con le scranne di ferro senza spalliera. Verso il lato sinistro della stamberga, una tavolaccia, due o tre seggiole, una panchetta. A sinistra della porta, un cassettone con su una statuina di Madonna, dinanzi alla quale arde una bella lampada di ottone. Dalla stessa parte, nell'angolo, un focolaretto, con pochi utensili da cucina, in creta. L'altro angolo, a destra, è tutto nascosto da una gran cortina fatta di pannolini di diversi colori, qua e là rattoppati, la quale pende da una cordicella stesa in alto, di traverso, tra i due muri. Alla parete sinistra sono conficcati dei chiodi in modo che vi si possa appendere qualche cosa. La porta è tutta aperta. Si scorgono le finestre e i balconcini d'un vicoletto angusto e bieco, illuminato dalla poca luce che penetra tra i muri altissimi delle vecchie casupule accavalcate le une alle altre. Si vede, molto di rado, passare per il vicoletto qualche femminuccia del volgo affaccendata, qualche popolano, qualche figura indefinibile.
SCENA I.
PAOLINA e NUNZIO, poi DONNA COSTANZA.
( Paolina veste un abito succinto, povero, scuro: scarpacce grosse e sporche: capelli ravviati con semplicità. È seduta sopra il letto, con le gambe penzoloni. — Nunzio le sta accanto, in piedi, col violino sotto il braccio, l'archetto in una mano, occupato ad insegnarle la canzone del «Passero sperduto».)
Nunzio
Le parole, prima di tutto. Le ricordi bene?
Paolina
Sì. (Ripete monotonamente le parole della canzone senza intenderne abbastanza il significato e pur dando ad esse, involontariamente, una vaga tinta di mestizia.)
Un passero sperduto e abbandonato
su d'una casa bianca si posò.
Lì c'era un bambinello appena nato
che urlava tanto!... E il passero tremò.
E, vinto dal timore, il poverino
fuggì da quella casa e dal bambino.
Andò a posarsi in mezzo a una foresta
tutta frescura e tutt'erba odorosa.
Lì vide un uomo, e poi... vide una vesta,
e il passero comprese qualche cosa.
Gli disse l'uom: Questa foresta è mia.
Il passero gettò due penne, e via!
Nunzio
(fa il gesto analogo.)
Paolina
Più tardi si posò su di una chiesa
piena di fiori e piena di lacchè,
Un principe sposava una marchesa...
Piangevan tutti e due — chi sa perchè!
Il passero pensò: «Oh, che allegria!»...
Nunzio e Paolina
(terminando insieme la strofa.)
E andò a cercare un'altra compagnia.
Paolina
(non ricorda più, e tace.)
Nunzio
(dandole lo spunto.)
Allora si fermò...
Paolina
Allora si fermò quand'ebbe scorta
una capanna sopra una montagna.
C'era lì dentro una vecchietta morta.
Ei mormorò: « Questa è la mia compagna. »
Entrò, si mise accanto alla dormente,
e vi rimase in pace, finalmente!
Nunzio
(facendo l'eco) «Finalmente.» Benissimo! Adesso vediamo se ricordi la musica.
Paolina
La musica unita con le parole?
Nunzio
S'intende.
Paolina
Ma falla tu pure col violino.
Nunzio
La faccio pure io. (Si mette in posizione per suonare.)
Paolina
(discende dal letto, e, in un atteggiamento di riflessione, gli occhi rivolti in su, le mani unite sulla schiena, canta con la sua vocetta un po' tremula ma intonata e toccante, quasi macchinalmente, la prima strofa della canzone.)
Nunzio
(l'accompagna, all'unisono, col violino, portando la battuta col piede.)
(È un canto semplice e gentile: è una musica piana che semplicemente racconta.)
Paolina
(cantando:)
Un passero sperduto e abbandonato
su d'una casa bianca si posò.
Lì c'era un bambinello appena nato
che urlava tanto!... e il passero tremò.
E, vinto dal timore, il poverino
fuggì da quella casa e dal bambino[3].
Nunzio
Lo vedi che va bene?
Paolina
E come fa il ritornello?
Nunzio
Non c'è ritornello. Invece, a ogni strofetta, c'è la risposta del violino, che è dolce assai: dolce come se fosse una voce di consolazione per il povero passero vagabondo. Senti se ti piace. (Suona. La sua inesperienza non impedisce che le note della breve e lenta melodia si effondano teneramente soavi.)[4]
Paolina
(quando si è perduta l'ultima nota, resta assorta, tacendo, quasi udisse ancora, nell'aria, la melodia.)
Nunzio
(animandosi) Come ti pare?
Paolina
È bella.
Nunzio
(posando sul letto l'archetto ed il violino) E quando ti accompagnerai tu stessa con la chitarra, e quando io suonerò meglio di così, sentirai che effetto! (Con giocondità) La gente ce ne dovrà dare dei soldi!
Paolina
Ma è difficile accompagnarsi con la chitarra.
Nunzio
A poco a poco, imparerai. Anche per me è ancora difficile suonare il violino. Ma per questo dobbiamo studiare. (Gaiamente) I maestri non mancano, perchè il maestro tuo sono io, e il maestro mio è l'orecchio. (Ridendo un po') E dànno lezione gratis tutt'e due.
Paolina
La chitarra, intanto, ce l'ha mastro Giuseppe.
Nunzio
Ce l'ha per accomodarla. Era già così vecchia quando la comperammo!
Paolina
Sì, ma dico: se l'è presa sin da stamattina. Aveva promesso di riportarcela in giornata.
Nunzio
Non avrà avuto ancora il tempo di venire. Andrò io da lui. Meglio che non venga.
Paolina
Perchè?
Nunzio
No, per niente. Dammi, dammi il cappello e il bastone. Ci vado sùbito, anzi.
Paolina
E solo vuoi andarci?
Nunzio
Che novità! Cammino rasentando il muro a destra, e piano piano ci arrivo. Oramai, sono pratico. E, d'altronde, è bene che mi abitui a camminar solo. (Come un'ombra gli passa sul volto.) Non si sa mai....
Paolina
(va a prendere il bastone, che è in un angolo, e il cappello, che è appeso al muro.)
Donna Costanza
(attraversa la strada. Indugia un po' dinanzi alla porta e guarda dentro, tossendo lievemente.)
Paolina
(le fa un gesto sgarbato, come per dirle: «vattene, non mi seccare».)
Donna Costanza
(si allontana.)
Nunzio
Chi è che tossiva presso la porta?
Paolina
Non ho visto. (Gli si avvicina e posa sulla tavola il cappello e il bastone.)
Nunzio
Pensavo: quanti progressi abbiamo fatti da che fuggimmo insieme! Sette anni fa, io non potevo dare un passo nella strada senza che qualcuno mi conducesse. E tu! Che cosa eri allora? Eri cieca anche tu. Più cieca di me. E come eravamo perseguitati, maltrattati, battuti!
Paolina
(ha un brivido per tutto il corpo.)
Nunzio
Che ne sarà stato di coloro che ci maltrattavano tanto? (Si stringe nelle spalle.)
Paolina
(presa da un timor panico) Ci voglio venire anch'io da mastro Giuseppe.
Nunzio
No, Paolina, no.... Quel vecchio è diventato non so come.... E nella sua bottega, poi, si riuniscono sempre dei giovinastri impertinenti, che, quando mi vedono con te, mi punzecchiano, si divertono; e questo mi dà fastidio.
Paolina
La sera andiamo per i caffè e per le osterie. Non è lo stesso?
Nunzio
Non è lo stesso. Se si burlano di me nei caffè e nelle osterie, non me lo fanno capire, perchè, in certo modo, ci devono rispettare. Eppure, da un certo tempo in qua, accade qualche cosa che non mi fa piacere.
Paolina
Che accade?
Nunzio
Non so... ma, quando tu vai attorno col piattino per raccogliere i soldi dagli avventori, io mi mortifico.... E in quel momento vorrei poter suonare cento chitarre e cento violini insieme per farmene rintronare il suono nelle orecchie.
Paolina
(abbassa gli occhi, e sente come se le si piegassero le ginocchia.)
Nunzio
Sì, Paolina,... quella notte, sette anni fa, prima che noi ci decidessimo a fuggire, tu mi dicesti una bugia.
Paolina
(sinceramente) Che bugia ti dissi?
Nunzio
Io ti domandai: «Come sei tu, Paolina? Come sei?» E tu mi rispondesti: «Io sono brutta.» (Breve pausa.) Non era vero. (La cerca con le mani.)
Paolina
(gli si avvicina per farsi trovare.)
Nunzio
(le tocca la fronte, gli occhi, i capelli, le guance, le labbra. Indi, con dolcezza:) Non era vero. Io me ne sono accorto da un pezzo. E se pure non me ne fossi accorto io stesso? La sera, appunto come ti dicevo, quando vai attorno, io capisco, capisco tutto, e afferro ora un mormorìo, ora un complimento, ora una celia.... E poi, già, è inutile: io lo sento nell'aria, ecco, lo sento nell'aria!...
Paolina
(con le lacrime agli occhi e il pianto nella gola) Che colpa ne ho io se non sono tanto brutta come credevo di essere?
Nunzio
Che colpa? Non si tratta di colpa. Anzi. E se potessi togliermi dagli occhi questa cortina nera almeno per un momento, almeno per vederti una volta sola, io sarei felice di trovarti diversa da come mi avevi detto e te ne ringrazierei anche, perchè di quel solo momento io riempirei tutto il ricordo degli anni in cui non sei stata che mia!
Paolina
E dunque?
Nunzio
Ma io ho parlato d'un miracolo che non posso fare; e, se tu sei bella, Paolina,... questo bene non sarà mai per me. (Pausa.) (Egli prende di su la tavola il cappello ed il bastone.)
Paolina
(interdetta, confusa, vorrebbe protestare e non ne ha il coraggio, nè la chiaroveggenza. Con gli occhi bassi, gli sguardi erranti, le mani aggrappate tra loro, si torce le dita cercando qualche parola e qualche idea.)
Nunzio
(continuando) Purtroppo, se tu sei bella, un giorno o l'altro, te ne andrai. Te ne andrai per la tua via. Io sono il tuo destino..., e io stesso te l'avrò preparata. Ma non la conosco. Non la vedo. Te ne andrai, e sarà giusto. Tanto, adesso, sono in condizioni di poter tirare avanti la vita da me. Questo, te l'assicuro. Ma — giacchè siamo a tale discorso — io ti chiedo un favore. Quando starai per andartene, non me lo dire. No, perchè, naturalmente, anche non volendo, io riuscirei a trattenerti, e ti farei forse del male, o crederei di fartene, e ne avrei uno scrupolo di coscienza sino alla morte. No, non me lo dire, Paolina. Soltanto, affinchè io non ti aspetti tante ore, tante ore, inutilmente, con una vana speranza nel cuore, sai in che modo devi avvertirmi?... Come il vento smorzò la candela — ti ricordi? — nella notte in cui fuggimmo insieme, così tu, prima d'andartene, smorzerai quella lampada dinanzi alla Madonna.... Sempre che tu non sei in casa, io ho l'abitudine di accostarmi molte volte a lei, e sento sulla faccia il calore della lampada accesa. Ebbene, quando non sentirò più quel calore, io penserò: «Se n'è andata!» (Le lacrime gli rigano il volto. Si mette il cappello e, facendo precedere ai piedi la punta del bastone, lentamente esce.)
SCENA II.
PAOLINA, DONNA COSTANZA, BARBACANE.
Paolina
(resta stranamente impressionata, immobile. A vederla, sembrerebbe pensosa, ma il suo cervello non sa veramente pensare. Esso è soltanto attraversato da impressioni, le quali non sono soccorse dal discernimento. In quel cervello, le idee spuntano, in uno stato quasi formale, per la concatenazione dei ricordi recenti e non per una vera cogitazione di essere pensante. Ora, nel succedersi dei ricordi recenti, quello della canzone del passero, testè imparata, ha un qualche rilievo. Ed ella, sempre immobile, ne ripete, senza le parole, con la bocca chiusa, lieve lieve, la cantilena.)
(Compariscono, in fondo, nel vicoletto, Donna Costanza e Ciro Barbacane, confabulando.)
Donna Costanza
(sottovoce, a Barbacane:) No, non vi fate vedere, voi. Se capisce che sono spalleggiata, crederà che voglio farle del male.
Barbacane
(sottovoce anche lui) Ma, a ogni buon fine, io resto di guardia qui dietro.
Donna Costanza
Va bene.
Barbacane
(sparisce.)
Donna Costanza
(è una vecchia popolana, brutta, dall'aspetto bieco; ma nella voce ha qualche cosa d'insinuante che rivela come ella agisca in piena buona fede. — Porta sul braccio un involto. Si accosta a Paolina senza fargliene accorgere e le sussurra alle spalle:) L'uccello che sta in gabbia non canta per amore, canta per rabbia.
Paolina
(voltandosi spaurita) Un'altra volta venite a seccarmi?
Donna Costanza
Stupida!
Paolina
Lasciatemi in pace.
Donna Costanza
Stupida! Stupida! Vuoi morire qua dentro come sta morendo poco lontana di qua la figlia di Filomena Carrese?
Paolina
La figlia di Filomena Carrese sta morendo?! (Con un atto di desolazione) Oh!
Donna Costanza
È agli estremi. Adesso ci andava anche il Viatico. Passando, ho voluto vederla. Che pietà!
Paolina
Ma poi, come c'entra? Assunta ha presa la mala salute nella tintoria.
Donna Costanza
E tu la piglierai dormendo con questo cieco malaticcio, in questo angolo di vicolo oscuro e solitario, in questa scatola umida, dove, se non si sta con la porta spalancata, si crepa per mancanza d'aria e di luce, e dove, per non farti guardare, quando ti spogli e ti vesti, da qualche straccione vizioso che viene apposta a passare davanti alla tua porta, hai dovuto appendere queste belle drapperie (indicando la cortina composta di luridi brandelli), che farebbero rivoltare lo stomaco perfino a un cenciaiuolo. Se due anni fa la figlia di Filomena Carrese avesse sentito i consigli miei, a quest'ora sarebbe bella e fresca come una rosa di maggio. Ma volle fare la scrupolosa, ed ecco che se ne muore sopra un materasso di paglia. Ha presa la mala salute nella tintoria? Sì sì! È la miseria! È la miseria!
Paolina
Per me, la miseria non è niente. Ci sono nata dentro.
Donna Costanza
Bella ragione! Ma intanto il veleno cammina per il corpo e te lo infracida. È un peccato mortale! La Provvidenza ti ha dati questi tesori che hai sulla faccia, e tu, ingrata, ti metti a vivere con un uomo che non può guardarti nemmeno!
Paolina
Questo è vero, ma che ne sapevo, io?
Donna Costanza
Di gente che ti può guardare ce n'è quanta ne vuoi!
Paolina
Donna Costanza, voi siete peggio del diavolo tentatore.
Donna Costanza
Non ci pensare più. Vieni con me. Che aspetti? Di farti vecchia?
Paolina
Voi mi tentate, e io lo so che farei bene a venire con voi; ma Nunzio come potrei lasciarlo? Mi ci sono affezionata, oramai. Io e lui siamo una sola persona. Io campo perchè c'è lui; ed egli campa perchè ci sono io.
Donna Costanza
Senza di te, camperà ugualmente. E se combina una società con altri suonatori ambulanti, il professore mette tavola sera e mattina. Che ragione hai di sacrificarti tanto, cuore mio?
Paolina
Mi ha insegnate tante cose.
Donna Costanza
Per utile suo.
Paolina
Mi ha preso dalla strada ch'ero una pezzente, senza madre nè padre....
Donna Costanza
Gli faceva comodo di avere la cantante, che chiama danaro, e la femmina in casa.
Paolina
Ma il pane non mi manca.
Donna Costanza
(incalzando) E vorresti che ti lasciasse anche morire di fame? (Con affettuosità lusingatrice) Tu non l'hai capito ancora quello che meriti.
Paolina
(provando una sensazione nuova di vanità sciocca) E che merito, io?
Donna Costanza
Quando lo vedrai, ne riparleremo.
Paolina
Ma ditemi più o meno.
Donna Costanza
Per esempio, una casa come ce l'hanno i signori: una casa con gli specchi, con i divani, con i tappeti....
Paolina
La mamma mi diceva d'averne vista una ch'era la più bella di tutte!
Donna Costanza
E poi,... il pranzo cucinato ogni giorno,... la pettinatrice per questa gioia di capelli che paiono velluto,... abiti di costo come quelli che porta in carrozza la moglie di don Gennaro Streglia quando va alla festa di Montevergine....
Paolina
(ascoltando, ha negli occhi dei barbagli di desiderio incosciente.)
Donna Costanza
(aprendo l'involto sulla tavola) Guarda.... Per oggi ho già qualche cosa per non farti sembrare una malata che puzzi ancora di ospedale. Sarebbe una rovina! Se ti vedessero per la strada così vestita insieme con me, lo scorno sarebbe mio. E cattive figure io non sono abituata a farne. Prendi. Questa è una bella sottana di seta a righe. Questa è la gonnella....
Paolina
(animandosi) Tutta celeste!
Donna Costanza
Già. Questa è la camicetta....
Paolina
(animandosi sempre di più) Color di rosa! Mi piace! Che stoffa è?
Donna Costanza
Non so come la chiamano, ma è di prima qualità. Questo è un pajo di calze tutte di filo; e questo poi è un paio di scarpini di pelle fina, così aggraziati che, quando te li metti, tu vedi i piedi di una pupa, tal'e quale.
Paolina
(prendendoli con cura e guardandoli attentamente) Come sono lucenti!
Donna Costanza
Spìcciati dunque, chè quel cieco della malora sa anche camminare in fretta, quando vuole.
Paolina
(d'un sùbito, si rabbuia. Alla luminosità dei suoi occhi che irradiava tutta la fisonomia, succede un'espressione di pena invincibile. Lascia cadere sulla tavola gli scarpini. Indi, le sue labbra hanno il lieve tremito che prelude il pianto infantile) No... no! Con voi non ci vengo.
Donna Costanza
Ma vuoi farmi impazzire?!
Paolina
(convulsa, vibrante, quasi con l'urgenza di liberarsi da una tentazione) Prendetevi questa roba.... Prendetevela.... Prendetevela.... E andatevene sùbito, donna Costanza!... Non vi voglio più vedere!...
Donna Costanza
(inviperita) E mi scacci anche, adesso?
Paolina
(angosciosamente, come un'allucinata, sospingendola un po' verso la porta) Vi scaccio, sì, vi scaccio... vi scaccio....
Donna Costanza
Non mettermi le mani addosso, chè te la faccio scontare!
Paolina
Non vi voglio più vedere!... Non vi voglio più vedere!... (Continua a sospingerla, quando a un tratto entra Ciro Barbacane, e, alla vista di quell'uomo, ella, perdendo quel po' di energia fittizia onde si è ribellata alla vecchia, indietreggia con le mani sul capo, assalita dal terrore come dinanzi ad una belva.) Madonna mia cara, proteggetemi voi!
Barbacane
(È un uomo piuttosto vecchio e piccolo, ma forte e tarchiato. Ha la testa grossa, il collo corto, le spalle quadrate, i capelli crespi e grigi, gli occhietti scintillanti, il naso rincagnato da bull-dog. Non porta nè barba nè mustacchi, ma ha sul viso l'ombra bluastra che lasciano i folti ed ispidi peli rasati di fresco. Sulla fronte bassa, una cicatrice. Veste sudicissimamente; ma gli pende dal panciotto una grossa catenella d'oro. Ha alle mani e sui calzoni qualche macchia rossigna.) (Calmo, freddo, semplice, sincero, addirittura bonario nel gesto e nell'accento.) (A Paolina, dopo un silenzio.) E non parli più? Non fai più la prepotente? (Pausa.) Mi conosci?
Paolina
(balbetta appena) No, non vi conosco.
Barbacane
E, senza conoscermi, tu hai fatto come se avessi visto il diavolo?
Paolina
Ho avuto paura.
Barbacane
Mi dispiace. E mi maraviglio, poi, che volevi accoppare una vecchia. Non sta bene. Tu sei una buona ragazza. E perchè sono qua, io? Per non farti avere seccature. Io ti voglio trattare come una figlia. Ma tu devi ragionare. Fammi capire com'è che ti sei incaponita così.
Donna Costanza
(sorvegliando alla porta) Dice che non vuole lasciarlo, il cieco. Quello è la spina.
Barbacane
(a Paolina:) E se quello è la spina, noi te la toglieremo sùbito, perchè con lui non si faranno cerimonie.
Paolina
(assalita di nuovo dal terrore, spalanca gli occhi.)
Barbacane
Se fosse per me, non gli torcerei un capello, e gli direi: «Tieniti la ragazza, chè io non so che farmene.» Non è per disprezzare, no. Avessi tu le bellezze del sole, per me, sarebbe lo stesso. Che me ne importa delle femmine? Io ho bottega di macelleria, e ho bisogno di altro bestiame. Ma c'è alle mie spalle chi mi comanda e ha il diritto di comandarmi, e io sono nè più e nè meno che come il soldato che va alla guerra. Se proprio non vuoi venire, il cieco, poveretto,... è condannato. E, per quanto è vero che mi chiamo Ciro Barbacane, ne avrei una pena che non ti so dire a pigliarmela con quel disgraziato che non ha neppure gli occhi per vedere come sono fatto.
Paolina
(oscillando in tutto il corpo come per freddo, scoppia a piangere disperatamente, e, senza gridare, ripete ancora:) Madonna mia cara, proteggetemi voi!
Barbacane
Ma le tue lagrime non acconciano niente, oggi, e non faranno risuscitare il morto, domani. Desideri veramente di salvargli la pelle? A te sta. Pensa bene a quello che fai, e concludiamo.
Paolina
Madonna mia cara, proteggetemi voi!
Barbacane
(con le braccia incrociate, tranquillamente, aspetta.)
(Giunge dalla strada il suono cadenzato d'un campanello: due tocchi ed una pausa, due tocchi ed una pausa. Indi, insieme col suono ritmico, un salmodiare sommesso che si ode appena come un fioco mormorìo monotono.)
Donna Costanza
(che è presso la porta, s'inginocchia con la faccia volta alla strada, sospirando:) Ah, povera giovane!
Barbacane
Che è?
Donna Costanza
È il Viatico per Assunta la tintora. Ci è andato passando per i gradini del Rosariello, e ora se ne torna per il vicolo della Tofa.
Barbacane
(si accosta a Donna Costanza, si toglie il berretto, si inginocchia come lei con la faccia volta alla strada, col capo chino come sotto un peso invisibile.)
Donna Costanza
(vedendo con la coda dell'occhio che Paolina è in piedi, le si rivolge severamente:) E inginòcchiati anche tu, scomunicata!
Paolina
(cade ginocchioni, piegandosi nella vita, stendendo le braccia a terra, toccando la terra con la bocca.)
(Si odono ora solamente i singhiozzi di Paolina, il suono del campanello e il mormorìo fiochissimo.)
(Nella strada, alcune femminucce sgusciate dai loro tuguri e qualche viandante col capo scoperto fanno gruppo, genuflessi e raccolti: si direbbero quasi accasciati. Il tintinnìo cadenzato e le salmodie si allontanano, si allontanano, e si perdono nel silenzio. Barbacane e Donna Costanza si levano. Il gruppo della strada dilegua. Paolina resta a terra, con le braccia distese, lagrimando.)
Barbacane
(andandole vicino) Dunque?
Paolina
(sollevando la testa, parlando angosciosamente nel pianto dirotto ed infrenabile) Va bene, va bene.... Farò quello che volete voi.... Ci verrò... ci verrò....
Barbacane
E non piangere più, chè ti consumi gli occhi e diventi brutta come un accidente!
Donna Costanza
(che è sempre all'uscio) Eccolo, eccolo!
Barbacane
Il cieco?
Donna Costanza
Sì. Ma s'è fermato davanti alla porta di Filomena Carrese.
Barbacane
(tranquillamente) Be', io me ne vado. (A Paolina:) A rivederci, amica. (Esce.)
Paolina
(con uno sforzo istantaneo, trattiene le lagrime restando ancora ginocchioni, abbattuta, annientata.)
Donna Costanza
(corre a lei, come per dirle: «andiamo».)
Paolina
Fatemi la carità.... Datemi almeno una mezz'ora di tempo. Fra mezz'ora, mi troverete nella Piazza del Carmine....
Donna Costanza
Non ti credo. Tornerò io stessa a cercarti con un buon pretesto. Intanto, vèstiti come meglio puoi.... Il professore non se ne accorgerà.
Paolina
A casa vostra mi vestirò.
Donna Costanza
E poi ritarderemo troppo. Ho data la mia parola. (Duramente) Obbedisci, e zitta!
Paolina
Non dico più niente.
Donna Costanza
Attenta chè egli è qua. (Sgattaiolando, esce.)
Paolina
(si drizza in piedi come se temesse d'essere proprio veduta da Nunzio in quello stato. Va difilata alla porta, poi torna, raduna la roba di su la tavola, e, vedendo entrare Nunzio, imbarazzata, quasi che egli potesse sorprenderla, getta tutto in un cantuccio.)
SCENA III.
NUNZIO e PAOLINA, la voce di FILOMENA CARRESE.
Nunzio
(entra con in mano la chitarra) Paolina!
Paolina
Sono qua, Nunzio. (Ma non osa avvicinarsi a lui.)
Nunzio
Dove?
Paolina
(gli si accosta timidamente) Qua. Eccomi.
Nunzio
Hai sentito?
Paolina
Che cosa?
Nunzio
La povera Assunta... è morta.
Paolina
Già morta?!
Nunzio
Or ora.
Paolina
Sapevo che era agli estremi.
Nunzio
Che tristezza! (Pausa.) Era una ragazza che non faceva male a nessuno. Onesta.... Amava il lavoro....
Paolina
È vero.
(Un lungo silenzio.)
Nunzio
(posa la chitarra sulla tavola, si toglie il cappello e siede. Cambia discorso, cercando di recuperare un po' di gaiezza.) Mastro Giuseppe voleva vendermi una chitarra nuova. Mi diceva: «Siamo in estate, e l'estate è la stagione dei canti e dei suoni: i suonatori ambulanti guadagnano bene; sicchè, questa spesa potete farla allegramente. Se non avete il danaro — aggiungeva lui — pagherete quando potrete pagare.» Ma io non ho voluto. I debiti non mi fanno dormire. Per ora, dico io, potremo cavarcela con quest'osso vecchio. Chè, poi, nell'estate dell'anno venturo, (sorridendo bonariamente) se il ministro delle finanze ce lo permetterà, compreremo anche la chitarra nuova.
Paolina
(comincia a sbottonarsi il corpetto.)
Nunzio
Non ti pare giusto?
Paolina
(con gli occhi rossi, sogguardando con una espressione di paura la roba gettata in un cantuccio) Mi pare giusto.
Nunzio
Che hai?
Paolina
Niente ho.
Nunzio
Niente?... Ci sono le lagrime nella tua voce.
Paolina
No. (Si cava una manica.)
(Un viandante losco indugia con curiosità presso l'uscio. Ella se ne avvede, raccoglie subito la roba, e si nasconde dietro la cortina.) (Il viandante continua per la sua via.)
Nunzio
Non negare. Io ho capito che la notizia di Assunta ti ha impressionata. E non hai da vergognartene. Al contrario. Questo mi consola. Tu, una volta, non eri così. Eri una piccola selvaggia: un animaluccio insensibile. Ma, vivendo accanto a me, ti sei mutata. Ogni giorno che passa, tu mi somigli un poco di più. E poi forse anche tu... forse anche tu non eri selvaggia proprio per istinto. Mi ascolti, Paolina?
Paolina
(di dietro la cortina, alzando alquanto la voce per fargli credere d'essere più vicina) Sì, ti ascolto.
Nunzio
Già, hai ragione. Io ti parlo sempre troppo... difficile. Per te dev'essere una fatica l'ascoltarmi. Tuttavia, verrà il tempo in cui tu intenderai tutto e mi ascolterai volentieri. (Una nube gli passa sul volto) Che vuoi! Io t'ho detto mezz'ora fa: «Tu te ne andrai, Paolina....» Ma la verità è che qualche volta io lo credo veramente e mi pare che per te sarebbe una fortuna, e qualche altra volta, invece, non lo credo affatto e mi pare che se tu te ne andassi sarebbe una sventura per te come per me. E sai quando mi pare che sarebbe una sventura? Quando vedo intorno a me peccati e sofferenze d'ogni sorta. Allora penso che noi due siamo più forti e migliori degli altri solamente perchè siamo uniti; e penso che, continuando a vivere insieme, possiamo andare sempre un poco più su, sempre un poco più su, come abbiamo fatto finora. (Con vivace gaiezza umoristica mista di malinconia) Che ci sarebbe di meraviglioso, in sostanza, se un giorno diventassimo tu una cantante sul serio e io un violinista coi fiocchi? Della stessa creta sono fatti i pupazzi più diversi!... E dunque, che ne sappiamo noi di quel che potremo essere un giorno? (Pausa.) Tu non mi ascolti, Paolina?
Paolina
Sì, Nunzio, t'ascolto.
Nunzio
Che fai lì dietro?
Paolina
(infilando la camicetta viene fuori sùbito come per rassicurarlo. Ha tuttora gli occhi gonfi di lagrime, il volto terreo, i capelli scarmigliati, il passo mal fermo, il petto ansimante, tutto il corpicino corso dai brividi.) Io... metto un po' d'ordine.
Nunzio
(con un sorriso d'ironia mite) Eh! Ne vale la pena!
Paolina
(ha già indossata la breve sottana a righe, che lascia scoperti i garetti, e già i suoi piedini paiono trasformati nelle calze ben tirate e negli scarpini di pelle nera lucidissima.) (Smuove qualche seggiola per fare un po' di rumore.)
Nunzio
(si alza.)
Paolina
(nel vederlo alzare ha un sussulto violento) Vuoi qualche cosa?
Nunzio
(celiando) No... metto un po' d'ordine anch'io.
Nunzio
(appende al muro il cappello e la chitarra.)
Paolina
(si abbottona la camicetta, e va a tirare la gonnella fuori della cortina.)
Nunzio
Il violino dov'è?
Paolina
Eccolo qua. (S'affretta e gli porge il violino e l'archetto con la mano tremante, mentre nell'altra mano ha la gonna.) Era sul letto.
Nunzio
(prendendo) Ih, che tremarella! Temevi di romperlo? Una bestia così delicata non è.
Paolina
(infila adesso la gonna, davanti a Nunzio, seguendo ogni movimento di lui con gli sguardi imploranti.)
Nunzio
(accostandosi alla tavola) Piuttosto, è traditore. Questo sì! (Quasi ridendo) E quando, poggiato sulla spalla, pare che stia per baciarti, all'impensata, ti tradisce, e mette fuori una nota che è un castigo di Dio! Vuoi sentire? (Si dispone a suonare.)
La voce di Filomena Carrese
(dalla strada, in lontananza, in un tono di disperazione pazza) Ho perduta la figlia mia! Ho perduta la figlia mia!
Nunzio
(rabbrividendo, abbandona sulla tavola il violino.)
La voce di Filomena Carrese
(sempre più lontana) Meglio se avesse gittato il suo onore in mezzo alla strada!
Nunzio
(mormora:) Che tristezza! Che tristezza! (Siede, avvilito.)
SCENA ULTIMA.
DONNA COSTANZA, PAOLINA, NUNZIO.
Donna Costanza
(dal fondo) È permesso?
Paolina
(si sente mancare il respiro.)
Nunzio
Chi è?
Donna Costanza
Sono io, donna Costanza.
Nunzio
Oh, donna Costanza? Da quanto tempo?... Favorite.
Donna Costanza
(restando sotto l'arco della porta) No, grazie, non serve. Volevo pregare Paolina....
Nunzio
Dite pure....
Donna Costanza
.... Là, in casa della Carrese, c'è bisogno di qualcheduno. Quella povera mamma si dispera e si strappa i capelli, e farà così per tre giorni e per tre notti. Ma, intanto, si ha da pensare alla morta.... Io sola non posso, e....
Nunzio
Capisco. Va, va, Paolina. Non si può dire di no. È carità cristiana....
La voce di Filomena Carrese
(lontanissima) Gente correte! Gente non mi abbandonate!...
Donna Costanza
(dà un sospiro.)
Paolina
(scoppia di nuovo a piangere.)
Nunzio
(che ode quei singhiozzi mal repressi, si commuove anche lui.) Tu piangi, Paolina?... È vero, sì, è uno strazio!... E se proprio non hai il coraggio.... (Ha le lagrime agli occhi.)
Donna Costanza
(fissa su Paolina gli sguardi terribili.)
Paolina
(cercando, invano, di soffocare il pianto, esce precipitosamente.)
Donna Costanza
(senza profferir parola, segue con cupidigia la sua preda.)
(Una breve pausa.)
Nunzio
Donna Costanza? (Aspetta. Indi fa un lieve gesto come per dire: non c'è più. Ripensa al caso di Assunta. Con profonda commozione, scrolla il capo, assai compassionevolmente, e conclude:) Così è; e può essere anche peggio di così!... (Tentando di sottrarsi ai pensieri lugubri, si alza e ripiglia il violino.) Dunque, dicevamo.... (Accenna appena con la voce, tra i denti, lo spunto della risposta melodica alle strofe del «Passero sperduto». Poi la esegue tutta intera col violino, cercando di perfezionare la cavata e di raddolcire il suono. Ora le note fluiscono, difatti, più sicure, più flebili, più carezzose.)[5]
Paolina
(comparisce nella strada, come uno spettro. Si ferma, diritta, un istante, in mezzo al vano della porta. Si leva gli scarpini. Li lascia sulla soglia. E, mentre Nunzio è assorto nella melodia, ella entra camminando sulla punta dei piedi, smorza la lampada dinanzi alla Madonna, e fugge.)
Nunzio
(torna da capo, e continua a suonare.)
(Sipario.)
Fine del dramma.
Numero I.
Musica del 'Passero sperduto'
[
Ascolta
]
Un passero sperduto e abbandonato
Su d'una casa bianca si posò.
Lì c'era un bambinello allora nato
che urlava tanto e il passero tremò.
E vinto dal timore il poverino
fuggì da quella casa e dal bambino.
Numero II.[6]
Musica per violino
[
Ascolta
]
NOTE:
1. Questa scaletta, guardata dallo spettatore, si perde dietro la curva che dal pilastro va al soffitto.
2. Fare il palo equivale a «stare alla vedetta».
3. Musica a pag. 369:Numero I.
4. Musica a pag. 369:Numero II.
5. Musica a pagina 369:Numero II.
6. All'ultima scena del 3º atto, quando cioè Paolina smorza la lampada e fugge; Nunzio suona questa frase due o tre volte e non cessa se non quando il sipario è calato.
(La musica della canzone del Passero sperduto è del maestro Enrico de Leva.)
OPERE DI ROBERTO BRACCO
pubblicate dalla Casa Editrice REMO SANDRON
TEATRO
(Raccolta completa di tutta la produzione teatrale)
VOLUME I.
- Non fare ad altri. — Commedia in un atto.
- Lui, lei, lui. — Commedia in un atto.
- Dopo il veglione, o viceversa. — Scenette.
- Un'avventura di viaggio. — Commedia in un atto.
- Le disilluse. — Fiaba in un atto.
- Una donna. — Dramma in quattro atti.
in-16, pagg. VIII-348 — L. 3,50.
VOLUME II.
- Maschere. — Dramma in un atto.
- Infedele. — Commedia in tre atti.
- Il Trionfo. — Dramma in quattro atti.
2ª edizione riveduta. Un volume in-16, pagg. 364 — L. 4.
VOLUME III.
- Don Pietro Caruso. — Dramma in un atto.
- La fine dell'amore. — Satira in quattro atti.
- Fiori d'arancio. — Idillio in un atto.
- Tragedie dell'anima. — Dramma in tre atti.
2ª edizione riveduta. Un volume in-16, pagg. 382 — L. 4.
VOLUME IV.
- Il diritto di vivere. — Dramma in tre atti.
- Uno degli onesti. — Commedia in un atto.
- Sperduti nel buio. — Dramma in tre atti.
3ª edizione riveduta. Un volume in-16, pagg. 370 — L. 4.
VOLUME V.
- Maternità. — Dramma in quattro atti.
- Il frutto acerbo. — Commedia in tre atti.
2ª edizione riveduta. Un volume in-16, pagg. 336 — L. 3.
VOLUME VI.
- La piccola fonte. — Dramma in quattro atti.
- Fotografia senza.... — Scherzetto.
- Notte di neve. — Dramma in un atto.
- La chiacchierina. — Monologo.
Un volume in-16, pagg. 282 — L. 4.
VOLUME VII.
- I fantasmi. — Dramma in quattro atti.
- Nellina. — Dramma in tre atti.
Un volume in-16, pagg. 308 — L. 4.
IL PICCOLO SANTO
DRAMMA IN CINQUE ATTI
Un vol. in-16, pagg. 304, in edizione speciale — L. 3,50.
SMORFIE GAIE
(Seconda Edizione)
- FALSA PARTENZA
- SUL MARCIAPIEDE
- UN COLPO DI RIVOLTELLA
- IL PRIMO CONVEGNO
- AMORE BENDATO
- CONFESSORE IN IMBARAZZO
- POLITICA INTERNA
- UN «MODUS VIVENDI»
- UN PESSIMO AFFARE
- TELEFONO NAPOLI-ROMA
- INTERMEZZO: IL GIGANTE
- STASERA: UGONOTTI
- IL SUCCESSORE
- L'IDEALE DELLE FANCIULLE
- UNA TAZZA DI TÈ
- TUTTE E DUE
- CINQUE MINUTI DI FERMATA
- L'ORLO DEL BICCHIERE
- IN FUMO
- UN BACIO AL BUIO
- UNA MANO LAVA L'ALTRA
- LA PRINCIPESSA
2ª edizione riveduta. Un elegante volume in-16, di pagg. 304 L. 3,50.
SMORFIE TRISTI
(Seconda Edizione)
- LA CANZONETTA DELL'ALBA
- UN MURO
- LA PICCOLA LADRA
- LA SARTA DELLA SIGNORA «ZULIA»
- IL SORTEGGIO
- IL NEONATO
- NELLA NEBBIA
- LA RIVALE
- NELL'OMBRA
- LA PRIMA FINZIONE
- IL FIDANZATO
- PICKMANN
- IL NOTTAMBULO
- LEIT-MOTIV
- «IN MANUS TUAS»
- IL TESTIMONE
- TRAMONTO
- L'ARTICOLO OTTAVO
- IL MOSTRO
- L'ULTIMA LEZIONE
- LA LOTTA
2ª edizione riveduta. Un elegante volume in-16, di pagg. 328 L. 3,50.
SCRITTI VARII — Vol. I.
VECCHI VERSETTI
CON PREFAZIONE DELL'AUTORE NOTE DELL'EDITORE E GLOSSARIO Un volume in-16, di pagg. 180 — L. 3.