Raven continuò a fissare lo schermo, senza scomporsi.
— Come mai avete voluto una mia foto?
— Non sono stato io a chiederla — rispose Thorstern, troppo pronto per lasciarsi sfuggire un’ammissione. — Mi è stata consegnata dalle autorità, che su questo pianeta agiscono con vera efficienza. In questo momento la vostra foto circola in ogni angolo della città. Pare che la polizia abbia una gran voglia di mettervi le mani addosso.
— Chissà poi perché — disse Raven, fingendosi stupito.
Thorstern tossicchiò per schiarirsi la voce. — Una persona con la mia posizione sociale si troverebbe in grande imbarazzo se si venisse a scoprire che ha dato asilo a un ricercato. Quindi, se avete qualcosa da dire, non perdete tempo. Non ne avete molto a disposizione.
— E poi?
Thorstern si strinse nelle spalle. Aveva l’espressione che poteva assumere un imperatore romano nel gesto del pollice verso.
— La polizia verrà a prendervi, così non avrò responsabilità di sorta.
Il tono della voce dimostrava la massima sicurezza. Thorstern non voleva certo nascondere che lui poteva manovrare la polizia a suo piacimento, al punto che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto far eliminare una persona trincerandosi dietro la solita e banale scusa della resistenza all’arresto.
E, per la verità, Thorstern aveva davvero simili poteri.
— Siete un uomo molto in vista — disse Raven, ammirandolo apertamente. — Peccato che vogliate insistere nel prendere parte a tutti i disordini in corso.
— E voi siete impertinente — disse Thorstern. — Lo so che sperate di confondere le mie idee e di farmi irritare. Ma non sono tanto ingenuo. Le emozioni incontrollate sono un lusso che solo gli stupidi possono permettersi.
— Comunque, non avete negato l’accusa.
— Non posso smentire né confermare una cosa assolutamente senza senso.
Raven sospirò, sconsolato. — Se assumete questo atteggiamento, la nostra missione diventa più difficile. Comunque, resta necessaria.
— Quale missione?
— Quella di convincervi a mettere fine alla guerra non dichiarata che state conducendo contro la Terra.
— Santo cielo! — Thorstern finse di sbarrare gli occhi per lo stupore. — Non vorrete farmi credere che la Terra mi ha mandato un criminale per discutere di una guerra che esiste soltanto nella vostra fantasia.
— La guerra è in atto, e voi la dirigete manovrando i burattini che avete su questo pianeta e su Marte.
— Che prove avete?
— Non sono necessarie — disse Raven.
— Perché no?
— Perché sapete che ho detto la verità, anche se non volete ammetterlo. Le prove occorrebbero solo nel caso di dover convincere una terza parte interessata. Ma siamo soli. È una cosa che rimane interamente tra voi e noi due.
Thorstern rimase un attimo a meditare. — Una persona che ha sempre per le mani affari importanti — disse alla fine — finisce inevitabilmente col diventare il bersaglio di dicerie anche poco lusinghiere. Io non ci faccio più caso. Sono cose che non mi toccano minimamente. Rappresentano il pedaggio che si deve pagare per correre lungo la strada del successo. I gelosi e gli ostili ci sono sempre fra i piedi, e ci saranno sempre, e io li considero indegni perfino di disprezzo. Devo però ammettere che questa assurda e fantastica storia dell’essere il fomentatore di una guerra è la più oltraggiosa offesa che mi sia mai giunta alle orecchie.
— Non è né assurda né fantastica — ribatté Raven. — Sfortunatamente è un fatto vero, e che non vi offende. Anzi, ne provate un segreto orgoglio. Siete intimamente felice che qualcuno abbia avuto l’intelligenza di intuire che siete il grande capo. Siete soddisfatto che, una volta tanto, il vostro burattino Wollencott non attiri su di sé tutte le luci dei riflettori.
— Wollencott? — disse Thorstern, con la massima impassibilità.
— Ora comincio a capire qualcosa. Evidentemente, Wollencott, da mediocre agitatore di masse qual è, ha finito col pestare i calli a qualcuno. E voi avete stupidamente seguito una falsa traccia che vi ha portato a me.
Charles si agitò sulla sedia e disse: — Non sono abituato a seguire piste sbagliate.
— No? — Thorstern lo studiò attentamente una seconda volta, ma vide solo un individuo grasso, dalla faccia cordiale e dallo sguardo quasi privo di espressione. — Così, siete voi che reclamate il merito di avermi identificato quale animatore di una guerra che non esiste.
— Ammesso che si possa chiamare merito.
— Allora non siete soltanto pazzo, ma anche pericoloso! — Thorstern fece un gesto di disprezzo. — Non ho tempo da perdere con i pazzi. Meglio che me ne lavi le mani e vi consegni alla polizia. — Li fissò con sguardo freddo e severo. — Da buon cittadino, ho piena fiducia nell’opera dei nostri agenti.
Charles fece una smorfia. — State parlando certamente di quelli che ricevono soldi da voi. Li conosco. Sono i più temuti poliziotti del pianeta, e a ragione. — All’improvviso i suoi lineamenti si fecero tesi, e per un attimo la sua faccia non sembrò più né grassa né bonaria. — Tuttavia devo dirvi che noi non li temiamo.
— Cambierete opinione, vedrete. — Thorstern rivolse di nuovo la sua attenzione a Raven. — Nego tutte le accuse prive di senso che mi avete fatto. È tutto! Se la Terra pensa di ristabilire la sua autorità su Venere, lo faccia nel modo più appropriato. Wollencott può anche essere la causa dei guai che esistono con la Terra. Ma la loro risoluzione è un problema che non mi riguarda.
— Sentite, noi non ci lasciamo ingannare dai vostri burattini. Se togliamo di mezzo Wollencott, vi fareste una bella risata perché subito lo sostituireste con uno dei burattini che avete in lista di attesa, e perché fareste subito di lui un martire buono a fare dell’ottima propaganda contro la Terra.
— Davvero?
— Voi non alzerete un dito per salvare Wollencott. Anzi, gli fareste fare la parte del primo martire venusiano per la libertà. La Terra non ha tempo da perdere per fornire uno o due santi e un piccolo dio.
— Questa divinità sarei io? — chiese Thorstern sogghignando.
— Sì — disse Raven. — La nostra mossa logica è stata di giungere alla persona che muove le corde dei burattini. Ecco perché siamo venuti a parlare con voi. Ora, però, siamo convinti che è impossibile farvi ragionare; quindi non ci rimane che usare le maniere drastiche.
— Questa è una minaccia — disse Thorstern, mostrando una fila di denti bianchi. — Ed è strano che venga da una persona in mio potere. Mi dispiace deludervi, ma debbo informarvi che vi trovate in una solida prigione di pietra, completamente isolata dal mondo esterno.
— Divertitevi, finché potete.
— Comincio a credere che siate completamente pazzo — continuò Thorstern, senza badare all’interruzione. — Secondo me avete bisogno di uno psichiatra. Siete spinto dall’ossessione che io, Emmanuel Thorstern, ricco commerciante di Venere, sia una specie di Golia contro cui dovete recitare la parte di David. — Abbassò gli occhi per guardare qualcosa che non veniva inquadrato dallo schermo. — Sì, vedo che vi chiamate proprio David. Evidentemente siete rimasto condizionato dal nome.
— Non più di quanto lo siate voi per il fatto di chiamarvi Thor o Emmanuel.
Sulla faccia di Thorstern comparve la prima reazione visibile. La fronte gli si coprì un attimo di rughe. Riuscì tuttavia a sorridere con alterigia. — Ho piegato uomini per molto meno di questo! Li ho spezzati — disse stringendo rabbiosamente i pugni. — Li ho ridotti in uno stato pietoso.
— Vedo che conoscete i significati dei vostri nomi.
— Non sono un ignorante. — Thorstern inarcò le folte sopracciglia. — Ma mi occupo soltanto del mio commercio… non di fanatismi. Voi siete l’ossessionato, non io. Voglio il potere, certo, ma solo delle cose materiali. I vostri insulti non sono pericolosi per me, ma per voi.
— Le vostre minacce sono del tutto inutili. Sì, voi potrete annientare certi uomini, ma non riuscirete mai a vincere la Terra. Fate cessare la guerra, finché siete in tempo.
— E se non lo facessi?
— La Terra deciderà di averne più che abbastanza e di dover colpire a modo suo. Volete sapere come?
— Sto ascoltando.
— Eliminerà gli uomini dell’opposizione, uno a uno, cominciando da voi.
Thorstern rimase impassibile. Spinse indietro una ciocca di capelli bianchi e abbassò lo sguardo per consultare alcune carte che non venivano inquadrate dallo schermo.
— La mia coscienza è a posto, quindi non ho alcuna paura. Inoltre, noi siamo tutti Terrestri, soggetti alla legislazione terrestre che stabilisce la colpevolezza di un cittadino soltanto quando si possono produrre prove inconfutabili. Queste prove sarà impossibile produrle, dato che mancheranno i testimoni, inclusi voi due.
— Questa è una minaccia — disse Raven.
— Consideratela come volete. A quanto pare, non capite la posizione in cui siete venuti a trovarvi.
— Sì, sì, lo sappiamo… siamo in trappola… Almeno così sperate!
— Siete rinchiusi in una stanza dalle pareti solidissime e senza finestre. L’unica porta è chiusa da un congegno di serrature che possono essere aperte soltanto da qui. Usavamo la sala in cui vi trovate per i colloqui con i paranormali che venivano in visita senza chiari motivi. L’abbiamo già usata diverse volte.
— Capisco.
— Non sono tanto stupido da sentirmi al sicuro dietro una cancellata che si può facilmente superare, come avete fatto voi. Ma adesso avrete certamente capito che chi vuole lottare contro di me deve farlo nel momento e nel luogo da me scelti.
— Precauzioni piuttosto elaborate per la casa di un onesto commerciante, non vi pare? — disse Raven.
— Ho grandi interessi, da proteggere. I mezzi difensivi che ho studiato non si limitano certo a quelli che avete scoperto nella casa. Voi avete raggiunto soltanto la seconda linea di difesa. — Si protese verso lo schermo e li fissò con sguardo trionfante. — Anche se foste arrivati nella stanza in cui mi trovo, avreste scoperto che sono invulnerabile.
Raven sorrise.
— Sarebbe interessante fare la prova.
— Non ne avrete la possibilità. È ora che facciate entrare nei vostri piccoli cervelli l’idea che l’uomo comune non manca d’ingegno. Certi di noi… io in particolar modo… sanno come regolarsi con i mutanti. Sappiamo pensare con maggior rapidità, in qualsiasi momento.
— Pensate in ritardo, ma non lo sapete.
— Se siete tanto fieri dei vostri poteri telecinetici, provate a scardinare le serrature della porta. O forse siete due ipnotici. Provate allora a incantarmi attraverso lo schermo. Se invece siete telepatici, provate a leggere i miei pensieri. È impossibile, vero? Non sapete dove mi trovo, né in quale direzione, né a quale distanza. Potrei essere a dieci metri da voi, e avere i pensieri protetti da uno schermo d’argento, o essere in una stanza che si trova dall’altra parte del pianeta.
— Si direbbe che abbiate paura di qualcuno.
— Non temo nessuno — disse Thorstern, e stava affermando la verità. — Ma riconosco l’esistenza di poteri paranormali che non ho. Per questo sono prudente. Su Venere e su Marte non si può fare diversamente. Il numero dei mutanti è altissimo. È un fattore che la Terra dovrebbe tenere in considerazione, prima di scatenare qualcosa che forse non saprebbe poi come fermare.
— Anche la Terra ha i suoi mutanti — disse Raven. — Più di quanti possiate immaginare. Siete convinti di avere un gran numero di mutanti e non considerate quelli che possono esserci sulla Terra. Chi vi ha portato su questo pianeta? La flotta di astronavi terrestri, pilotata allora, e ancora oggi, da equipaggi che trascorrono quindici o venti anni in volo, soggetti alle radiazioni dello spazio. I figli di questi lupi dello spazio non sono come i figli di tutti gli altri.
— Su questo sono d’accordo — disse Thorstern, poi assunse il tono della persona che sta per affermare qualcosa che non si può discutere. — Se c’è davvero una guerra in atto, perché mai la Terra non schiera i suoi mutanti contro quelli di Venere?
— Chi ha mai detto che Venere stia usando i mutanti?
Thorstern impiegò un decimo di secondo per darsi dell’imbecille. Aveva commesso un grosso sbaglio e doveva rimediarlo. — Non è così? — chiese fingendosi candidamente sorpreso.
— No.
— Che cosa succede allora?
— Qualcosa di infinitamente peggio. I Venusiani si servono di un nuovo tipo di raggio che rende sterili le nostre donne.
— È una sporca menzogna! — esclamò Thorstern, arrossendo di collera.
— Esatto — disse Raven con calma. — E voi lo sapete. Lo avete ammesso in questo momento. Come fate a saperlo?
— Nessuno potrebbe permettersi di combattere in un modo tanto indegno — disse Thorstern, e segretamente si maledì per aver fatto un secondo errore. Avrebbe dovuto stare molto più attento. — Mi sono stancato di questo colloquio. Non è interessante né piacevole. Vi voglio sistemare come farei con qualsiasi pazzo che viene a minacciarmi in casa mia.
— Se vi riesce.
— Sarà facile. Gli anormali come voi hanno lo stesso tipo di polmoni degli altri. Anche un notturno cadrebbe addormentato in pochi attimi. Nonostante la sua qualità rimarrebbe inerme di fronte al sonno quanto un bambino appena nato. Non sarebbe più l’individuo biologicamente superiore che si vanta di essere. Addormentato, non è altro che un pezzo di carne. E chiunque potrebbe sistemarlo.
— Ci volete addormentare con il gas?
— Proprio così — disse Thorstern, compiaciuto di poter usare i suoi poteri contro i potenti.
— Ci sono dei tubi che portano il gas fino alla sala in cui vi trovate. Fanno parte del sistema difensivo. Come potete vedere, la nostra immaginazione è più fertile della vostra. — Si strinse un labbro tra le dita. — Mi piace fare le cose nel modo più semplice, in silenzio, e senza troppe difficoltà.
— Ma rifiutate di fare qualcosa per fermare la guerra.
— Non siate stupidi. Non posso proprio ammettere che ce ne sia una, né tantomeno che sia implicato io. Questa vostra guerra immaginaria ha smesso d’interessarmi. Vi tratterò come due malfattori penetrati nella mia casa. Farò in modo che la polizia vi possa prendere senza la minima difficoltà.
Si piegò in avanti e afferrò qualcosa che si trovava all’estremità della scrivania. Improvvisamente Charles si accasciò contro lo schienale della sedia e scivolò in avanti. La faccia gli si fece pallida e gli occhi si chiusero, come per sempre.
Raven distolse l’attenzione dallo schermo e si alzò di scatto per impedire che il compagno cadesse. Poi gli mise una mano sotto l’abito e cominciò a massaggiare all’altezza del cuore.
— Una commedia abbastanza divertente — disse Thorstern piegando le labbra con sarcasmo. Era ancora piegato verso lo schermo, ma la sua mano si era momentaneamente fermata a mezz’aria. — Il grassone finge di essere ammalato. Voi gli massaggiate il petto con grande serietà. E fra un istante mi verrete a dire che è stato colpito da un attacco cardiaco, o qualcosa del genere. Affermerete che bisogna fare subito qualcosa. A questo punto, io dovrei chiudere il gas, aprire la porta della sala in cui vi trovate, e mandare di corsa qualcuno con una bottiglia di tambar.
Raven rimase con la schiena voltata allo schermo. Non rispose e continuò a massaggiare il petto di Charles.
— Non attacca! — gridò Thorstern con rabbia. — State recitando una commedia tanto infantile che non riuscirebbe a convincere uno scemo. E io la considero un insulto alla mia intelligenza. Inoltre, se l’attacco del grassone fosse vero, io me ne starei tranquillamente seduto a vederlo morire. Chi sono io per voler fermare l’opera del destino?
— Sono contento che abbiate detto una cosa del genere — fece Raven senza voltarsi, con grande indifferenza per quello che Thorstern poteva fare. — La gente come noi è spesso ostacolata dalle considerazioni morali. Perdiamo un’infinità di tempo nel convincere altri a non farci fare cose che devono essere fatte. Cerchiamo di rimandare l’inevitabile fino a quando non si può più esitare oltre. È una nostra debolezza caratteristica. Siamo deboli nelle cose in cui gli uomini senza scrupoli, come voi, sono forti.
— Vi ringrazio — disse Thorstern.
— Quindi ci è di grande sollievo il fatto che la vittima cancelli i nostri scrupoli — aggiunse Raven, e sentì che quello era il preciso istante, l’esatto momento. Girò di scatto la testa e fissò gli occhi scintillanti d’argento sullo schermo. — Addio, Emmanuel! Un giorno forse ci incontreremo di nuovo.
Thorstern non rispose. Non ne fu capace. I suoi lineamenti aggressivi vennero scossi da una serie di violente contrazioni e gli occhi parvero voler schizzare dalle orbite. Le labbra si mossero, ma non ne uscirono suoni. La fronte si coprì di sudore. Thorstern sembrava sottoposto a una violenta tortura.
Raven osservò la scena senza mostrare la minima sorpresa, e continuò a massaggiare il petto di Charles. La faccia di Thorstern scomparve sotto il limite inferiore dello schermo. Una mano si sollevò per annaspare spasmodicamente nell’aria. Poi ricomparve la faccia, sempre contratta in maniera spaventosa. Tutta la scena si era svolta in meno di venti secondi.
Alla fine, lo strano fenomeno cessò con la stessa rapidità con cui era cominciato. I muscoli della faccia si rilassarono e l’espressione tornò quella di prima. Rimase solo il sudore sulla fronte. La voce profonda riprese a parlare, calma e fredda. Era la voce di Thorstern, con un leggero timbro che non gli apparteneva. Bocca, laringe e corde vocali sembravano essere diventate quelle del pupazzo di un ventriloquo. L’uomo girò la testa verso un microfono situato alla sinistra dello schermo e disse: — Jesmond, i miei visitatori stanno per uscire. Fate in modo che non vengano fermati.
Il pupazzo Thorstern distese il braccio, premette un pulsante, e tutte le serrature si aprirono. Fu l’ultimo atto della sua vita. L’espressione del viso cambiò ancora una volta, la bocca si aprì, e tutti i muscoli ebbero rapidissime alterazioni. Poi la testa svanì dallo schermo. Nell’attimo in cui il corpo crollava a terra parve quasi di sentirne il tonfo.
Charles si agitò. Quando Raven lo scosse con vigore, socchiuse gli occhi e cercò di sollevarsi. Tremava leggermente e aveva il respiro affannoso.
— Dobbiamo fare presto, David. Credevo di poterlo tenere sotto controllo, ma quel maledetto…
— Lo so. Ho visto la sua faccia. Andiamo!
Balzò verso la porta e la spalancò.
Poi aiutò Charles a uscire. La sala era immersa nel silenzio e lo schermo continuava a brillare vuoto. Raven richiuse il battente e svoltò nel corridoio. Era deserto.
— Quel maledetto! — disse Charles, ansimando.
— Stai zitto. Risparmia il fiato.
Superarono la porta protetta dal raggio invisibile e si trovarono nel cortile avvolto nella nebbia. Il flusso di pensieri che giungeva da ogni angolo consigliò loro di allungare il passo.
“… la ballerina avanza contorcendosi come un serpente e… È morto, te lo assicuro. È impossibile che…, ci vuole altro per incendiare quel magazzino…, …sono riusciti a colpirlo nel momento in cui stava per premere il pulsante del gas. Non so come abbiano…, …si dice che qualche anno fa un apparecchio monoposto abbia raggiunto Giove. Io immagino che siano voci sparse dai Terrestri per…, …devono esserci mutanti con diversi talenti, anche se qualcuno afferma il contrario. In questo caso…, …ha scoperto un filone d’argento su un versante delle Sawtooths, così…, …non possono essere andati lontano. Suona l’allarme, idiota! Non startene a contemplare un morto mentre quelli…, …il levitante si solleva per mettersi a camminare sul soffitto e dalla tasca gli esce una fotografia che cade ai piedi della moglie. Lei la raccoglie e…, …non possono essere ancora arrivati al cancello. Mettete in azione la sirene, e sparate a vista… Avresti dovuto giocare l’asso. Ehi, cos’è tutto questo baccano?…, …non importa chi siano e cosa sanno fare. Possono morire come tutti gli altri.”
Jesmond, arcigno come sempre, stava aspettando vicino al cancello. La pessima visibilità gli impedì di riconoscerli fino a quando non furono a pochi passi. Allora spalancò gli occhi.
— Voi? Come avete fatto a entrare?
— Non sono affari che vi riguardano — disse Raven, poi fece un cenno verso il cancello. — Obbedite agli ordini e aprite.
— Va bene, state calmo.
Borbottando tra sé, Jesmond cominciò ad armeggiare attorno alla complicata serratura. Tutti gli avvenimenti di quella sera lo avevano già seccato abbastanza.
— Presto. Non abbiamo tempo da perdere.
— Davvero? — La guardia si girò per guardarli, risentito. — Chi sta tribolando con la serratura, voi o io?
— Io — disse Raven con rabbia, e sferrò un pugno potente sul naso di Jesmond. Poi si massaggiò le nocche indolenzite. — Scusami, amico.
Jesmond cadde a terra di schianto e dalle narici cominciò a uscire un filo di sangue. Gli occhi si erano chiusi e la mente doveva ondeggiare in qualche punto in mezzo alle stelle.
Raven terminò di aprire e spalancò il cancello. — Hai già fatto abbastanza — disse a Charles. — È ora che te ne torni a casa.
— Non ci penso nemmeno — rispose Charles, fissando l’amico con occhio esperto. — Il cancello aperto è una finta, altrimenti non avresti colpito con tanta forza quel disgraziato. Tu vuoi rientrare nel castello, e io voglio venire con te.
In quel momento, la sirena collocata sulla torre più alta si mise a suonare. Il suono, dapprima rauco, in pochi attimi si trasformò in un ululato lacerante che penetrò nella nebbia per echeggiare in tutta la regione circostante.