I VIAGGI DI GIO. DA MANDAVILLA. Volume II.
I VIAGGI DI GIO. DA MANDAVILLA
VOLGARIZZAMENTO ANTICO TOSCANO ORA RIDOTTO A BUONA LEZIONE COLL'AIUTO DI DUE TESTI A PENNA
per cura di
FRANCESCO ZAMBRINI.
Vol. II.
BOLOGNA. PRESSO GAETANO ROMAGNOLI. — 1870.
Edizione di soli 206 esemplari per ordine numerati.
N. 199.
IMOLA. — TIP. D'I. GALEATI E FIGLIO
Via del Corso, 35.
INDICE
Trattato bellissimo delle più maravigliose cose
DI MOLTI VARII E DIVERSI PAESI CHE SONO DI LÀ, E DEL MONTE ATALANTE, E DELLA CITTÀ DI TRABISONDA, DOVE GIACE SANTO ATANAGIO, E DI MOLTI REAMI DI BARBARIA.
Poi che io v'ò detto e scritto di sopra el magnifico[1] della Terra Santa, e del paese d'intorno, e di molte vie per andare a quele tere e al monte Sinai, e della minore Babillonia, e degli altri luoghi sopradetti, oramai è tempo di parlare, se vi piace, del paese confinante e de le altre province e isole di diverse gente e bestie che sono oltre a quegli confini, perchè nel paese di là sono di molte strane contrade e molte diverse regione per cagione di quatro fiumi che vengono dal paradiso terrestre, perchè Mesopotamia, il Reame di Caldea e Arabia sono tralle due riviere di Tigris ed Eufrates: e i Reami di Artusia, di Assiria, di Media e di Persia sono tralle riviere del Nilo e di Tigris: e Soria, della quale v'ò parlato di sopra, e Palestina e Finice sono tra il fiume di Eufrates e il mare mediterraneo; el qual mare mediterraneo dura di lungo da Maroch sopra il mare di Spagnia infino al mare grande, sì che e' dura oltra Gostantinopoli oltre a CCC º. XL. leghe lombarde, verso el mare Occeano. In India è il mare di Sithia, il quale è sempre serrato di montagnie: e poi di sotto Sithia, dal mare Caspio infino al fiume di Tanai, è Amazonia, cioè terra di femine, ove non sono se non femine: e poi il Reame di Albania, el quale è molto grande; e chiamasi Albania, perchè le gente del paese sono più bianche che l'altre d'intorno. In questi paesi son cani sì grandi e sì forti, che uccidono e lioni. E poi appresso v'è Ircania, Ibernia e molte altre regione. E tra el mare rosso e el mare Occiano, verso mezo dì, è la regione di Etiopia e la superiore Libia; la quale Libia comincia al mare di Spagnia, dove sono le colonne d'Ercole, e dura infino inverso Etiopia e Egitto. E in questo paese di Libia è assai el mare più alto che la tera, e pare che la tera si deba coprire d'acqua; niente di meno l'acqua non passa il suo termine. E vedesi da quel paese il monte Atalante che passa le nuvole, dove non si può andare; ma chi va inverso oriente, in questo paese, l'ombra del suo corpo gli va a man dritta, sì come abiamo di qua a man sinistra. In questo mare di Libia non vi si truova pesci, però che pel caldo del sole l'acqua è tanto calda, che non vi posono vivere. In questa Libia son molti Reami e diversi paesi, e quali sarebe cosa lunghissima a parlarne e a narrargli. E similmente nelle parti basse, inverso il mare di Spagna, vi sono molte regioni; come il reame di Zeb, e il reame di Terruza, e il reame di Raugia, e il reame di Algarbo, e il reame di Turnita di bella marina, e di Maroch, e di Monte Fiore, di Cartagine e di Affrica, e molti altri sono inverso cristianità; de' quali tutti non vi potre' racontare, ma assai appresso vi parlerò più pienamente delle parte orientale. Adunque chi volessi andare verso Tartaria e verso Persia, verso Caldea, verso India, enterebe nel mare a Genova, a Vinegia, o vero ad alcuni altri porti sopraddetti; e vassi per mare a una buona città chiamata Trabisonda, che soleva essere chiamata Porto di Porti. E ivi è il porto de' persi, e de' medii e altre contrade di là. In questa città giace santo Attanagio, che fu vescovo d'Alesandria. Questo vescovo fu gran dottore in teologia e fece il simbolo: Quicumque vult salvus esse. Il quale, perchè profondamente parlava della Divinità e della Trinità, fu acusato per eretico e imprigionato per lo papa; e fece il detto simbolo in prigione, e mandollo al papa, domandandogli se lui era eretico, ciò era perchè gli articoli di quelo simbolo non erono buoni[2]. E poi che 'l papa l'ebe veduto, disse, che quella era la nostra fede, e comandò che si cantassi ogni dì a prima, e riputollo vescovo valente e vero cristiano, e fu liberato; ma mai non volle ritornare al suo vescovado, però che per invidia era stato acusato di eresia. Trabisonda soleva esere dello imperadore di Gostantinopoli, ma un ricco uomo, mandato per lo imperadore per guardia del paese contro a' turchi, ha usurpato la terra e subgiogato il paese, e chiamasi imperadore. Di Trabisonda si va per la piccola Armenia, chi vuole.
DEL CASTELLO DI SPARVERI, DOVE STA UNA BELLA DONNA DE' DONI DI VENTURA, LA QUALE DÀ, A CHI FA LA VEGHIA VII. DÌ NATURALI, QUELLO CHE 'L SA ADOMANDARE.
E in questo paese sono dua castegli antichi, le mura de' quali sono alquanto coperte di edera, e sono di sopra a un monte. E uno di quegli castegli è chiamato[3] Castello delli Sparvieri, e è posto oltra la città di Laiais, e è assai apresso della villa di Persipea, la quale è del signore di Zench, il quale è ricco e valente e buono cristiano. In questo castello si truova uno sparviere sopra una pertica, molto bello e pulito, e una bella donna di doni di ventura, la quale guarda questo sparviero; e chiunche vegliasse sopra questo sparviero sette giorni naturali, et alcuni dicono tre soli, sanza dormire nè tanto nè quanto, questa donna verrebbe a lui, fatta la veghia, e domanderebbeli el primo augurio che egli si sapesse augurare delle cose terrene. Questa medesima veghia già gran tempo fece uno valente principe, Re di Armenia; e da poi che ebbe veghiato, la donna venne a lui e dissegli, che egli havea ben fatto il dovere. Il Re rispose, che era assai gran signore e bene in pace, e havea assai gran riccheze, e che non si augurarebbe altro al suo volere, che havere il corpo di questa donna. La donna rispose, che ella non sapeva, perchè egli domandava così fatta cosa, e ch'e' non la potrebbe havere, e che non doveva chiedere altro che cosa terrena, e che ella non era terrena, anzi spirituale. Il Re disse, che non voleva altre cose. E la donna disse: Poi ch'io non vi posso ritrare del vostro volere e stolto core, io vi fo un dono sanza aguriare, che tutti quegli che discenderanno di voi, per insino al nono grado, sempre abbiate guerra senza ferma pace, e sarete in subiezione di vostri inimici, e harete bisogno di riccheze. E dapoi in qua, nessuno Re d'Armenia è stato in pace, e non è stato abondevole, e sempre è stato sotto tributo de' saracini. Item, il figliuolo d'uno povero il simile fece una volta la veghia, e sì si augurò, che elli si potessi ben guardare dalla fortuna e d'essere bene avventurato in mercatanzia. E la donna gli concesse, e diventò il più rico e 'l più famoso mercatante che potesse essere nè in mare nè in terra. E tanto fu ricco, ch'el non sapeva la millesima parte di ciò che egli haveva; e costui fu più savio in augurarsi, che non fu il Re. Uno cavaliero del tempio per lo simile veghiò, e augurossi una borsa sempre piena d'oro, e la donna gliel concesse, ma li disse che haveva dimandato la destruzione di casa sua e del suo ordine, sì per la fidanza di questa borsa, sì per la grande superbia che harebbe; e così avenne. Ma guardisi bene tutta via colui che farà la detta vigilia, che egli non potrebbe sì poco dormire, che egli sarebbe perduto in tutto, e mai più non si rivedrebbe. Questa non è però punto la dritta via per andare alle prenominate parte, ma chi volesse vedere sì fatta maraviglia, lo potrebbe fare. E chi vuole andare per la dritta via a Trebisonda verso la grande Armenia, va a una cittade, chiamata Articon. Questa soleva essere molto buona e abondante, ma li turchi l'hanno molto guasta. Ivi d'intorno nasce poco vino e pochi altri frutti. In questo paese è la terra molto alta, e èvi gran fredi, e sonvi assai buone acque di fonte, che vengono da uno fiume del paradiso terrestre, e viene di sotto terra et è chiamato Eufrates, e è dilungi el fiume dalla città quasi una giornata; e viene questa riviera sotto terra d'India, e risurge alla terra di Altasar, e passa apresso a Armenia, e entra nel mare di Persia. Da questa città di Articon si viene a una montagna, chiamata Sabisacola.
DELLA MONTAGNA DI ARARATH, DOVE SI FERMÒ L'ARCA DI NOÈ, E DELLA CITTÀ DI LAIDENGE, E DELLA CITTÀ DI THAURISSA, E DELLA ABONDANZIA SUA.
Et ivi allato è un'altra montagna, chiamata Ararath, e li giudei la chiamano Camon[4], dove si fermò l'arca di Noè dopo il diluvio; e ancora oggidì v'è sopra questa montagnia l'arca, e vedesi quando el tempo è ben chiaro. È questa montagnia alta ben VII. leghe; e dicono alcuni, che vi sono stati, che ànno veduto e toccato l'arca e posto el dito nel buco per lo quale uscì el nimico, quando Noè disse: Benedicite: ma tutti questi che ciò dicono partono a lor piacere, però che niuno vi poterebe salire suso. Per la grande abundanzia delle neve, che sempre vi stanno il verno e la state, uomo niuno non vi poterebe montare, nè mai montò dopo il diluvio di Noè, salvo che un monaco, el quale per la divina grazia se ne portò un pezo dell'arca, la quale è al presente appiè della montagna in una chiesa. Questo monaco aveva grande disiderio di montare insu questa montagnia, e sforzossi un dì per salire; ed essendo montato infino alla terza parte del monte, trovossi molto lasso e stanco: più oltre non potea andare, e riposossi a dormire; e isvegliato che fu, si ritrovò a piè de la montagnia. E allora dolcemente pregò el nostro Signiore, che gli volessi concedere e aconsentire, che vi salisse. Onde uno angelo vi venne, e dissegli, che montasse un'altra volta, e così fece, e reconne quel pezo; e dapoi niuno mai non vi salì; ma così fatte parole non sono però da credere. A piè di questa montagnia era la città di Laigdenghe, la quale edificò Noè; e dall'altra parte, assai d'appresso, la città di Ani, nella quale soleva esere mille chiese. Da questa città si va alla città di Thaurissa, che soleva esere chiamata Farsi, la quale è una bella città, e grande, e una delle magiori che sia al mondo per mercatanzia. Qui vanno mercatanti per comperare roba di pregio: questa è la terra dello imperadore di Persia, e dicesi che lo imperadore à più rendita di questa città, per cagione della mercatanzia, che non à il più ricco Re de' cristiani di tutte le sue terre, però che quivi sono mercatanzie d'ogni sorte sanza numero. In questa città è una montagnia di sale, della quale ogni uomo ne toglie quanto n'à bisogno. Ivi dimorano molti cristiani sanza trebuto de' saracini; e da questa città si passa per molte ville e per molte castella, andando verso India; e vassi a una città chiamata Sodoma, ch'è dilungi da Taurissi X. giornate, ed è molta nobile città e grande, e ivi la state sta lo imperadore di Persia; imperò che 'l paese è assai fresco; e qui sono di molte riviere, che portono navilii. E dipoi si va al camino di verso India per molte giornate e per molte città, e passasi a una città chiamata Cassach, la quale è molto nobile città e abundante di biade e di vino e d'altre cose. Questa fu la città onde si trovorono e si ragunorono insieme, per la divina e inmensa grazia, e tre Re per andare a Bethlem per vedere e adorare e presentare il nostro Signiore Iesù Cristo. E da questa città infino a Bethlem sono LIII. giornate. Da questa città si va a una altra città, chiamata Tech, la quale è a una giornata dal mare arenoso. Questa è la magiore città che abia el Re di Persia, e in tutta la sua terra dicono al vino vape, e alla carne dagabo: e i pagani dicono, che in questa città non possono lungamente vivere e cristiani, e però poco vi stanno; e di ciò non so la cagione. Poi si va per molte città e per molte ville, delle quale sarebe lunghissimo contare, infino alla città di Cornea, la quale soleva esere tanta grande, che le mura d'intorno tenevono XXV. leghe di circuito: le mura parevono dipinte; ma non è la città così grande, come solea. E da Cornea si va per molte città et eziandio per molte terre e molte ville infino alla terra di Iob; e ivi finisce la terra de lo 'mperadore di Persia: e se volete sapere le lettere de' persi, e come son chiamate, legete qua[5].
DELLA TERRA DI IOB E DELLA ABUNDANZIA D'ESSA, E COME SI RICOGLIE LA MANNA, E DELLA PROPRIETÀ SUA.
Poi, partendosi da questa città di Cornea, si entra nella città di Iob. Questo è bel paese, e ivi è grande abundanzia d'ogni bene, e chiamasi la terra Sichessa: e in questo paese è la città di Tenian. Iob fu pagano, figliuolo fu del Re Aredengorza: e' tenea questa tera a modo di principe del paese, ed era sì ricco, che non sapea la centesima parte di ciò che aveva; e quantunque fussi pagano, non di meno serviva al nostro Signore Idio, sicondo la sua legge; e il nostro Signore Idio aveva a grado il suo servigio; e quando lui cadde in povertà era d'età d'anni LXXVIII. E poi che 'l Signor vide la sua grandissima pacienzia, lo rimisse nella sua grandeza e richeza, e nella sua alteza; e poi fu Re di Idumea, dopo el re Esaù. E quando e' fu Re, e' fu chiamato Iobab: e in quel reame Iob visse C º LXX anni; e quando lui murì aveva CCXLVIII. In quela terra di Iob non è mancamento di cosa alcuna a l'uomo bisognoso. Ivi sono montagnie, dove si truova magiore e migliore abundanzia di manna più che in niun'altra parte. Manna è chiamata pane degli angioli, ed è una cosa bianca e molto dolce e dilettevole, e asai più dolce che mele o zuchero, e viene dalla rugiada del cielo, e cade sopra all'erbe di quel paese, e poi aggelasi e viene bianca e dolcie: e di quella si mette in medicine per gli ricchi uomini; però che netta il ventre e purga il cattivo sangue e leva la malinconia dal cuore. Questa tera di Iob confina col reame di Caldea.
DEGLI ORNAMENTI DE' CALDEI, E QUALI SONO BEGLI UOMINI, E LE FEMMINE SONO BRUTTE E MAL VESTITE.
Il Reame di Caldea è molto grande, e questo linguaggio[6] è el magiore che sia di là dal mare. Di qui si passa per andare alla terra di Babillonia, cioè la grande Babillonia, della quale v'ò altre volte parlato, là dove e linguagi furono in prima trovati; ed è quatro giornate di qua da Caldea. E nel Reame di Caldea sono gli uomini begli, e sono nobilmente apparati di corege dorate, e i drappi loro sono ornati con fregi d'oro, di perle e di pietre preziose nobilisimamente: e le donne loro sono bruttissime e mal vestite, e vanno a piedi ignudi, e portano una brutta foggia di vestimenti, larga e corta infino a' ginochi, e sono le maniche larghe a modo d'uno scapolare da monaco; e queste maniche pendono infino a' piedi: e queste femine ànno e capegli neri e scompigliati, e spenzolano giù per le spalle: e sono le dette femmine molto nere, brutte e non punto graziose; e sono spaventose a risguardare, e in loro si truova tanta bruttura, che io non saprei scriverlo. In questo reame di Caldea è una città chiamata Hus, e ivi stette Thar, padre d'Abraam patriarca, e fu nel tempo di Nino, che fu Re di Babillonia, di Arabia e di Egitto. Questo Nino fece la città di Ninive, la quale avea Noè cominciata a fare; e poi che Nino l'ebe compiuta, sì la chiamò del suo nome, Ninive. Ivi giace Tubbia profeta, del quale parla la santa Scrittura. Da questa città d'Hus, per lo comandamento di Dio, si partì Abraam dopo la morte di suo padre e menò seco Sara, sua moglie, e Loth, figliuolo del suo fratello, però che lui non aveva figliuolo. E poi dimorò Abraam nella terra di Canaan in un luogo chiamato Sichem; e questo luogo fu salvato quando Soddoma e Gomorra e altre città furono arse e somerse in abisso, là dove ora è il mare morto, sì come v'ò detto altre volte. In quela tera di Caldea egli ànno lor proprio linguagio e lor propie lettere fatte come qui di sotto.[7]
DEL REGNO DELLE AMAZONE E DE' LOR COSTUMI E USANZA, E DI TRAMEGITTA, DOVE ALESSANDRO MAGNO FECE EDIFICARE ALESSANDRIA.
Da poi, oltre a Caldea, è il paese di Amazonia, cioè la terra di femine. Questo è un reame dove non abita se non femine, non punto come alcuni dicono, che gl'uomini non vi poterebono vivere, ma le femine non vogliono che gli uomini abino signoria sopra di loro; però che anticamente fu uno Re, el quale era Re di quello paese, e maritavansi gli uomini colle donne, come altrove si fa[8]; e quello re era chiamato Colapino. Guerregiando col Re d'Africa, fu morto in battaglia insieme col nobile sangue del suo Reame; e vedendo la Reina, insieme con altre nobile donne, che elleno erono rimase tutte vedove, e che la gentilezza di quel paese era perduta; a modo che disperate, tutte s'armorono, a ciò che tutte l'altre femine del regnio della loro veduità le facesono compagnia, e uccisono tutto el resto degli uomini del paese; e d'allora in qua non ànno voluto che niuno uomo abiti fra loro più di sette dì, e non vogliono compagnia d'uomini: elle si riducono inverso le terre de' lor confini, e ivi truovono e loro amici che le vicitono e con esse dimorono X. giorni, e poi ritornono indietro. E se elle ànno figliuoli maschi, o sì ch'elle gli uccidono, o vero che dipoi che eglino sono d'anni due, che eglino ànno apparato a mangiare da loro e andare, gli mandono ai lor padri; e le femine che nascono di gentil sangue gli tagliono, o vero cautarizano la mammella sinistra, a ciò che sien più atte a portar lo scudo: e s'elle son femine populare, gli tagliono la destra poppa, acciò che non le 'mpacci a saettar coll'arco turchesco, però ch'elle tragono molto bene. In questa terra si è una Reina, la quale governa tutto el paese, e tutte le femine ubidiscono a lei. Questa Reina si fa sempre per elezione, ed è eletta quella che è più valente in arme. Queste femine sono molte buone guerriere, prode e savie e valente, e spesse volte vanno al soldo per guadagnare, e aiutono degli altri signiori e mantengonsi vigorosamente. Questa terra de Amazonia è una isola tutta circundata d'acqua, salvo che in dua luoghi, per li quali sono due entrate, e allato di queste entrate stanno e loro amici, colli quali elle vanno a sollazare a lor volontà. Allato Amazonia è la terra di Tramegitta, la quale è un paese molto buono e dilettevole. Per la grande bontà del paese, il Re Alesandro fece fare prima ivi la sua Alesandria, la quale è ora chiamata Cielsite: dall'altra parte di Caldea è Etiopia, un gran paese, el quale si stende infino a' confini d'Egitto.
DI ETIOPIA, E COME IVI SONO GENTI DI DIVERSE MANIERE, PERCHÈ ALCUNI NON ÀNNO PIEDI, ALTRI SONO FANCIUGLI E ÀNNO CANUTI E CAPEGLI, E QUANDO SON VECHI GLI ÀNNO NERI.
Etiopia è partita in due parte principale, cioè nella parte occidentale e nell'altra parte meridionale: la parte meridionale si chiama Montagnia, e ivi sono le persone più nere che altrove. Ivi è una fonte che di dì è tanta fredda, che niuno none può bere; e di notte è tanto calda, che niuno vi poterebe tenere le mani dentro. E più oltre a questa parte meridionale, tutta via inverso al mezo dì, al passare del gran mare Occeano, quivi è una gran terra e un gran paese, ma niuno non vi poterebe abitare per lo gran caldo del sole, che sopra a questo paese dirittamente sparge li suoi ragi. In Etiopia tutti' fiumi sono turbi, e l'acque sono insalate per cagione del gran mare Occeano. Le genti del paese spesso si imbrodono, cioè imbriacono[9], e non ànno mai grande apetito di mangiare, e ànno comunemente flusso di corpo, e vivono poco tempo. In Etiopia sono gente di diverse maniere, tra le quali è una gente che non à se none uno piede tanto largo, che, distendendosi in terra, coprono tutto il resto del corpo, e corono sì forte, ch'è una maravigliosa cosa a vedere; e sono chiamati Cussia. Ivi i fanciugli ànno i capegli canuti; quando diventon grandi, si fanno neri. Item, in Etiopia è la città di Sabba, de la quale fu signiore uno de' tre Re, e quali vicitorno il nostro Signiore in Bethlem. Di Etiopia si va in India per molti e diversi paesi, la quale si chiama India alta e magiore, la quale è paese caldissimo: in India mezana è il paese temperato.
COME SI FA IL CRISTALLO, COME NASCONO LE PERLE, E COME NASCONO E DIAMANTI, E COME CRESCONO; E DELLA VIRTÙ E PROPIETADE SUA, E COME E' PERDONO LA VIRTUDE, E COME SI CONOSCONO E BUONI DA' CATTIVI.
India minore, che è la terza parte et è verso settentrione, è paese freddissimo, nella quale, per la continua freddura dell'acqua, si fa cristallo sopra e sassi. Di questo cristallo nascono buoni diamanti, e quali ànno similitudine di colore di cristallo torbido e giallo, che trae al colore d'olio: e questi diamanti sono tutti duri che non si possono pulire. Altri diamanti sono che si truovono in Arabia, che non sono così buoni, e sono più bruni, e sono più teneri, e truovasene ancora nelle terre di Macedonia, ma e migliori e più preziosi sono in India. E molte volte si truovono diamanti nella massa della minera d'oro, quando, affinando, si rompe, e sono molti duri, ma e' si conviene rompere la massa per minuti pezi; e truovasene alle volte de' grandi come uno quattrino fiorentino, e tal volta minore; e sono così duri, come quegli d'India e tagliono l'acciaio e 'l vetro legiermente. E quantunque in India sopra e sassi di cristallo si truovino buoni diamanti, niente meno si ne truova sopra e sassi di may[10] e sopra le montagnie dove è miniera d'oro. E diamanti si truovono e crescono molti insieme, l'un piccolo e l'altro grande, et àvvene alcuno della grandeza d'una fava[11]; e lo più grosso, che possa esere naturalmente, è della groseza d'una nocciuola; e tutti son quadrati e acuti, per natura senza opera d'uomo, e sono chiamati in India Ameseth, e si truovono, come di sopra t'ò detto, nella via dove passa la miniera d'oro, e crescono insieme maschi e femine, e sì si nutricono della rugiada del cielo, e sì concepono e generono de' piccoli a lato a loro, e comunemente multiplicono e crescono ogni anno. Io ò molte volte esperimentato, che, mettendo el diamante a la rugiada colla punta in suso e spesso molificarlo della rugiada di maggio, elli crescono, e li piccoli si fanno buoni, grandi e grossi, sicondo la loro natura. E veri diamanti fanno come fanno le perle, che si concriono alla rugiada del cielo[12]; e come le perle naturalmente pigliono ritondità, così e diamanti per divina virtù pigliono quadratura. Ogni diamante, portato dallato sinistro, è di magiore virtù che portarlo dallato destro, perchè la forza dell'origine loro viene da settentrione, che è la sinistra parte del mondo, ed è alla sinistra parte de l'uomo quando volge la faccia verso oriente. Se voi volete sapere la virtù del diamante, quantunque voi abiate li vostri lapidari, non dimeno, perchè ogni uomo non lo sa, io la metterò qua, secondo che dicono e afermano quegli d'oltrammare, da' quali è proceduto ogni scienzia e profezia. Il diamante, a colui che 'l porta, dona ardire e forza a custodire e membri corporali interi: dona vittoria di inimici in piato e in guerra[13], se la cagione è giusta; e tiene il portatore in buono stato e sentimento, e difendelo da lite, e contese, e cattivi spiriti; e qualunque volesse afatturare, o incantare colui che 'l porta, per la virtù della pietra, le fatture, o vero incantazioni, tornerebono sopra de' maestri: niuna bestia salvatica arebe ardire d'assalire colui che 'l porta. Il diamante debbe essere donato sanza miseria d'avarizia e sanza comperarlo, e allora à magior virtù, e fa l'uomo più forte e più fermo contro a' suoi inimici, e libera e lunatici e li indemoniati; e se veleno o altra mala puntura o animale venenoso son posti in presenzia del diamante, subito diventa umido e comincia a sudare. In India sono alcuni diamanti che sono violati, o vero più bruni che violati, i quali sono ben duri e preziosi; ma alcuni non gli amono punto tanto quanto gli altri, ma io, quanto per me, gli amerei bene altrettanto, imperò che io gli ò veduti isperimentare. E d'altra maniera ne sono, bianchi quanto cristalo, ma pur alquanto più torbidi, e son buoni e di gran virtù, e tutti sono acuti; e tali quadrati; altri ànno sei coste, e altri tre: sono così di natura formati: però li grandi signori, scudieri, cavalieri, e altri gran maestri, che cercono onore in fatti d'arme, o vero nelle guerre e nelle battaglie, gli portono in dito. Quantunque io alquanto mi dilunghi dalla materia mia, nondimeno, a ciò che egliono non sieno ingannati da' barattieri del paese che gli vanno vendendo, io parlerò alquanto più de' diamanti. Chi vuol comperare diamanti, gli conviene che gli sapia conoscere, però che gli contraffanno di cristallo giallo e di zafiro; di luopa e di citrino; d'una pietra chiamata Iris, e d'alcune piccole pietre che si truovono ne' nidii delli sorci, cioè ratti, che sono molte dure; ma tuttavia e contrafatti non sono così duri come e naturali, e la punta leggiermente si rompe; e sì si puliscono meglio; ma alcuni rubaldi non gli puliscono maliziosamente a ciò che si creda che non si possino pulire per sua fineza. La esperienza del diamante si fa in questo modo: prima si pruova a tagliare in zafiro o in altre pietre preziose, e in cristallo, e in acciaio; poi si toglie una pietra di calamita buona, cioè la pietra de' marinari, che tira a sè il ferro; e se la calamita non fussi troppo grossa, sopra di questa pietra si mette el diamante, e poi si mette apresso un ago; e se 'l diamante non è contrafatto, anzi sia diamante vero, mentre che 'l diamante sarà presente, mai la calamita non trarrà l'ago, s'ella non fusse troppo grossa, la calamita[14]. Questa è la pruova che fanno quegli d'oltrammare. Ma interviene, che un perfetto diamante perde la virtù per lo inconveniente di colui che 'l porta, e alora è di bisognio fargli ritornare la propia virtù, o vero che sarà di minore virtù e valuta.
DI INDIA E DELLA DIVERSITÀ DELLA GENTE CHE VI SI TRUOVONO; E DE L'ISOLA DI ORIENS; E DE L'ISOLA DI CANNA, DOVE SI FANNO DIVERSE ADORAZIONE, E LA RAGIONE PERCHÈ FANNO QUESTO; E PERCHÈ NON SOTTERRONO E LORO MORTI.
In India sono molti diversi paesi e molte diverse contrade, ed è chiamata India per uno fiume, el qual corre per lo paese, apellato Indo. In questo fiume si truovono anguille lunghe XXX piedi; e le gente che abitono intorno a questo fiume sono tutte verde e gialle. In India, e qui intorno a India, son più di V. M ª isole, buone e grande, sanza quelle che sono inabitabili e piccole. In ciascheduna isola è grande numero di città e di ville e di gente sanza numero, però che gl'Indiani sono di così fatta maniera, che egli non escono del suo paese; perchè eglino non sono mobili, perchè e' sono sotto el primo clima, cioè Saturno, ch'è tardo e poco mobile, però che sta XXX. anni a voltarsi pe' XII. segni del zodiaco, e la luna passa quegli XII. segni in un mese: e perchè Saturno è di così tardo movimento, per questo le gente che son sotto poste a lui non curono di muoversi del luogo loro. Nel nostro paese è tutto el contrario; noi siamo sotto el settimo clima, cioè della luna, la quale è di legieri movimento, ed è di pronta via da caminare per diverse vie, di cercare cose strane[15], e la diversità del mondo; però che ella circunda la terra più presto che altro pianeto, come di sopra ò detto. Item, pel mezo d'India si va per molte e diverse contrade infino al mare Occeano, e poi si truova una isola che si chiama Ormes, dove vanno spesso mercatanti viniziani e genovesi e d'altri confini per comperare mercatanzie. In questa isola è così gran caldo che, per la stretta del caldo, gli testicoli degli uomini gli escono di corpo, e ivi pendono infino alle gambe per la grande disoluzione; ma le gente che sanno la natura del paese, si fanno legare bene fermamente e ugnere d'uno unguento ristorativo e rinfrescativo per tenere e testicoli nel corpo, che altrimenti non poterebono vivere in questo paese. E in Etiopia e in altro paese le gente stanno nude nelle riviere dell'acqua, uomini e femine tutti insieme, da l'ora di terza in fino a bassa nona, e giaciono nell'acqua infino alla faccia pel caldo, ch'è tanto ismisurato, che apena si può fugire; e non ànno le femine punto vergogna de gl'uomini, ma giaciono privatamente a lato a lato infino che 'l caldo è abattuto. Ivi si possono vedere di molte brutte figure ragunate, spezialmente apresso a di buone ville. Ad Ormes sono le nave di legnio sanza chiovi di ferro per li sassi della calamita, della quale nel mare è tanta quantità, che è una maraviglia. E se per questi confini passassi una nave che avessi ferro, di subito perirebe; però che la calamita tira a sè per natura el ferro. Per la quale cagione tirerebe a sè la nave, nè più di là si poterebe partire. Di qui si va per mare a un'altra isola, chiamata Cana, nella quale è grande abbondanza di biade e di vino. Quella isola soleva essere grande e solevavi essere buono porto, ma al presente il mare l'à fortemente guasta e sminuita. Il Re di questa soleva esere tanto potente, che guerreggiava col Re Alessandro. Le genti di queste terre ànno diverse legge, però che alcuni adorono il sole, alcuni il fuoco, alcuni gli alberi, alcuni e serpenti, alcuni altri la prima cosa che iscontrono la mattina, alcuni simulacri e altri idoli; ma tra' simulacri e idoli si fa diferenzia. Simulacri sono figure fatte a similitudine d'uomo o di femine o del sole o di bestie, o vero d'altre cose naturali: idolo si è una certa immagine fatta stoltamente, la quale non si potrebe assimigliare ad alcuna cosa naturale, come sarebe una immagine di quattro teste e uno uomo colla testa d'un cavallo o d'un bue, o d'altra bestia, che non vide niuno giammai, sicondo la disposizione naturale. E sapiate, che ognuno che adora simulacri, il fa per riverenzia d'alcuno valente uomo, già stato, come fu Ercole, e molti altri, e quali nel tempo loro feciono molte maraviglie. E però queste gente dicono, che egli sanno bene, che questi tali valenti passati non sono dii, anzi è un solo Dio di natura, il quale criò tutte le cose, ed è suso nel cielo; e che e' sanno bene, che loro non poterebono fare le maraviglie che fanno, se none per la speziale grazia di Dio; e perchè costoro furono amati da Dio, loro li adorono. E il simile dicono del sole, però che egli muta il tempo e dà caldo e nutrimento a ogni cosa sopra la terra: e però che il sole è di tanta e sì perfetta virtude, e' sanno bene, che questo aviene, perchè Dio l'ama più che l'altre cose, onde egli gl'à donato le magiore virtù che a cosa che sia del mondo. Adunque è ragionevole, come e' dicono, che sia onorato e fattoli reverenzia. E il simile dicono nelle loro ragioni degl'altri pianeti e del fuoco, però che gli è utile. E degl'idoli dicono, che il bue è la più santa bestia che sia in terra e dell'altre la più utile, imperò che fa di molti beni e niun male; e sanno che ciò non poterebe essere sanza spezial grazia di Dio; e però loro tengono il loro Dio mezo bue e mezo uomo, imperò che l'uomo si è la più nobil criatura, che sia in terra, e à signoria sopra a tutte le bestie. E il simile fanno de' serpenti e de l'altre cose che iscontrono la mattina, spezialmente tutte le cose che ànno buono incontro; e questo ànno lungamente sperimentato; e però dicon loro, che buono iscontro non può venire se none per la grazia di Dio, e però fanno fare gli dei simiglianti al buono iscontro, per riguardargli e adorargli prima la mattina che egli scontrino cosa contraria. Alcuni cristiani dicono, che alcune bestie ànno buono iscontro, e alcune cattivo, come si dice ch'è stato provato molte volte, che la lepre è cattivo iscontro, un porcello, e più altre cose. Per lo simile, uno sparviere e altri uccegli da rapina, volando innanzi a gente d'arme, se 'l piglia, è buon segnio; e se nol piglia, è cattivo. E altri dicono, che 'l corbo è cattivo iscontro. In simili cose molte volte le genti credono (ma non se gli debba dare fede, ch'è gran peccato, da poi che li cristiani, che sanno la santa dottrina, sono a lor vietate queste oppenioni) e a tal credenza egli dànno credito. Adunque ora non è da maravigliare, se' pagani, e quali non ànno altra dottrina che la naturale, e' per la loro semplicità più largamente le credono. E veramente io ò veduto pagani e saracini, che chiamono auguri, che, combattendo noi in arme, o vero in alcuna parte contro ai nostri nimici, per voli d'uccegli egliono ci promettono per tutto quel dì vittoria; e tutto quello che poi noi troviamo e facciamo, egli molte volte mettono per pegnio la lor testa, che così sarà; e quantunque tutto ciò, ch'egli dicono, avenisse, niente di meno non si debe dar fede a così fatte cose, anzi si dee avere ferma credenza nel nostro Signiore, il quale può fare e disfare tutto ciò che gli piace. Questa isola di Canna ànno guadagnata e saracini, e sì la tengono. In questa isola e in molte altre non si sotterrono e corpi morti, però che 'l caldo è sì grande, che in brieve tempo la carne si consuma infino all'ossa. Da questa isola si va per mare verso India magiore, e a una gran città chiamata Zarba, la quale è bellissima e buona. Quivi stanno di molti cristiani di buona fede, e quivi sono molte religione, e spezialmente di mediani. Da questa città si va per mare insino a Lomba. In questa terra cresce il pepe in una foresta, chiamata Combar, la quale dura XVIII. giornate.
COME NASCE IL PEPE E COME SI COGLIE, E DI QUANTE MANIERE DI PEPE SI TRUOVA, E CHE MODO SI TIENE PER LI SERPENTI CHE IVI STANNO.
In questa foresta sono due buone città, l'una chiamata Flandrina e l'altra Ginglante, e sono molte isole, e in ciascuna di quelle stanno gran numero di cristiani e di giudei, però che 'l paese è buono, ma è molto caldo. Voi dovete sapere, che 'l pepe cresce a modo d'una vignia salvatica posta appiè d'uno albero, al qual si possono e palmiti[16] di quella sostenere; il frutto pende a modo di grappoli d'uve, e caricansi tanto gli alberi, che pare che tutti si debono rompere. E quando è maturo, è tutta via verde a modo che sono badie di edera, e in quela ora si vendemiono a modo che si fa le vignie, e poi il seccono al sole tanto, che diventa nero e crespo. In uno albero viene tre maniere di pepe; il primo pepe è lungo, el sicondo è nero, e l'ultimo pepe è bianco. Il pepe lungo è chiamato Sorbotin, el nero Sulfur, e 'l bianco Bavos. Il primo, che viene quando la foglia incomincia a venire, s'asomiglia alquanto a la fazione[17] del fiore de le nocciuole, che viene prima che le foglie, e pende a basso: e poi viene il nero, che à la foglia a modo di grappoli d'uva, molto verde e ricolto: dopo il nero viene il bianco, el quale è asai migliore del nero, e di questo non se ne porta in questo paese, perchè egli lo tengono per loro, però che è migliore e più temperato che 'l nero, e non ànno sì grande abundanzia del bianco, come del nero. In questo paese son molte maniere di serpe e d'altri vermini per lo gran caldo del paese e del pepe. Alcuna gente dicono, che quando si ricoglie il pevaro, che si fa fuoco a pie' degli albori per cacciare le serpi e colubri, ma salvo la grazia di quanti ciò dicono, egli non metterebono fuoco per cosa alcuna del mondo, però che secherebono e arderebono così quegli alberi, come gli altri; ma quando egli vogliono ricorre el pepe, e' s'ungono le mani e' piedi di sugo di limoni, o vero che e' portono erbe con loro che ànno grande odore; per lo quale odore le serpi fuggono, sicchè, quando sono unti, vanno sicuramente a vendemmiare, e non ànno paura che serpe nè altri vermini sì si approssimino per nulla. Item, verso il capo di questa foresta è la città di Palomba, sopra la quale è una montagnia chiamata Palomba, per la qual piglia el nome la città.
D'UNA FONTE CHE À SAPORE D'OGNI SPEZIE, E DELLA SUA VIRTÙ.
Su questa montagna è una fonte, la quale à odore e sapore d'ogni maniera di spezie, e ciascuna ora ella muta odore e sapore, e chiunche ne bee tre volte a digiuno, di questa è curato da qualunque infermità che abia, e li abitatori ivi d'intorno, che spesso ne beono, mai non ànno malattia, e sempre, mentre che vivono, paiono giovani. Io ne bee' tre o quatro volte, e ancora mi pare ch'i' mi senta meglio; e' dicono, che questa fonte vene dal paradiso, e però è di tanta virtù. Alcuni la chiamono la fonte de' giovani, perchè quegli che l'usano a bere, tutta via paiono giovani: per tutto questo paese cresce ottimo gengiovo. La gente del paese, per la loro semplicità, adorono el bue, e dicono che 'l bue è la più santa bestia che sia in terra, perchè a loro pare che sia sempice ed è buono da arare, piacevole e utile e santificato; però che a lor pare che ogni virtù abia. Egli sì 'l fanno lavorare VI. o VII. anni, e poi se lo mangiono con gran solennità; e il Re del paese à sempre con lui un tal bue, e colui che lo à a guarda riceve ogni dì la sua fiamata e la sua orina in due vasi d'oro, e poi la dà al loro prelato, che egli chiamono Archiproth, o Papaton. E questo prelato la porta innanzi al Re, e 'l Re, per grande divozione, mette la mano in quela orina, la quale egli chiamono Gau, e così si bagna la fronte e 'l petto con gran divozione e riverenzia: e dànno a intendere che sia ripieno delle sopradette virtù che à el bue, e che sia santificato de la virtù di questa cosa, che nulla vale. Dopo il Re, lo fanno e gran signori, e, dopo i signori, gli altri gran maestri, quando ne possono avere, ma alcuna volta no ne rimane. In questo paese e' fanno idoli, che sono la metà uomo e la metà bue: in questi simulacri e diavoli parlono a loro, e dànno a loro risposta di tutto ciò che egliono dimandono.
COME IN QUESTO PAESE FANNO SACRIFICIO DE' PROPII FIGLIUOLI, E COME, MORTO EL MARITO, LA MOGLIE S'ABRUCIA CON LUI INSIEME.
Innanzi a questi simulacri egliono uccidono spesse volte i suo' figliuoli, e aspergono e simulacri del sangue di morti; e in questo modo fanno i loro sacrifici. Quando alcun muore nel paese, egli ardono il corpo per nome di penitenzia, a fine che non patisca pena in terra; però che dicono, che' vermini gli mangerebono; e se la moglie del morto non à figliuolo, egli l'ardono con lui, e dicono, che è ragione, che ella gli faccia compagnia nell'altro mondo, così come à fatto in questo. E se le moglie ànno figliuoli, egli le lascion vivere per nutricare e figliuoli; ma se la moglie vuole innanzi vivere co' suoi figliuoli, che esere arsa col suo marito, ela è sempre imputata maligna e falsa, nè alcuno si fiderebe in lei, nè mai è più appregiata. E morendo la moglie prima che 'l marito, el marito si fa ardere con ella piangendola; e se lui non vuole, non è costretto, anzi si può maritare un'altra volta sanza biasimo. Item, in questo paese crescono forti vini, e le femine beono vino, e gli uomini none beono punto. Da questo paese si va, passando per molti confini, verso un paese, dilungi a due giornate, il qual si chiama Maburon. Questo è molto gran reame, e sonvi di belle città e di belle ville. In questo Reame giace el corpo di santo Tommaso appostolo, in carne e in ossa, in una bella sepultura, nella città di Calamia, perchè ivi fu martorizato e sepulto; e li assirii feciono già portare il suo corpo in Mesopotania, nella città di Edisse, e dipoi fu riportato indietro il braccio colla mano che mettee nel lato del nostro Signiore Giesù Cristo, quando gli apparve dappoi la resurresione, dicendo: Noli esse incredulus, sed fidelis. E al presente, el detto braccio con la mano, è fuora del vaso, dove è il corpo. E con quella mano quegli del paese fanno le lor sentenzie e giudicii, e sanno chi à ragione e chi il torto, perchè quando è quistione tra due parte, e ogni uomo si tiene d'avere ragione, egli mettono nella mano di santo Tomaso le ragione delle parte predette in iscritto, e di subito la mano gitta via il torto o vero la falsità, e ritiene il dritto, o vero la verità. E così vengono di lungi paesi molte cause dubbiose per questo giudicio.
DEGLI IDOLI DI QUESTA GENTE E DELLA GRANDE DIVOZIONE CH'EGLI V'ÀNNO.
Item, san Tomaso giace in una bella e grande chiesa, la quale è piena di grandi simulacri, cioè di immagini di idoli loro, chiamati dii; delle quali la minore è per grandeza come due comuni uomini; e infra l'altre è una immagine assai maggiore dell'altre, tutta coperta d'oro e di pietre preziose e è a derisione de' falsi cristiani[18] rinnegati, et è sopra una cattedra molto nobile; e à intorno al corpo suo di larghe cintole lavorate d'oro e di perle e pietre preziose. La chiesa è tutta dorata: di dentro a questa chiesa si va comunemente in pellegrinaggio con gran divozione, a modo che vanno e cristiani a santo Antonio e a santo Iacopo di Galizia. E molte gente, che dilunge terre si muovono per andare inverso questo idolo, con grande divozione per tutto el viagio sempre sì tengono gli ochi bassi, nè ardiscono d'alzare le lor teste per risguardare d'intorno, per timore di non veder cosa che gli rimuova da la loro divozione. Alcuni vi vanno in pellegrinagio, che portono coltegli nelle lor mani, e sì si vanno fedendo et impiagando nelle braccia, ne le gambe e ne le coscie, e spargono el sangue loro per amor di questo idolo; e dicono che beati [sono] coloro che muoiono per questo idolo, Idio loro. Altri sono che menono i lor figliuoli per uccidergli e sacrificargli a questo idolo, e poi aspergono l'idolo del sangue de' suo figliuoli. Altri vi sono che, da l'ora che si partono di casa loro, a ogni terzo passo s'inginochiano tanto, che aggiungono a questo idolo; e quando e' vi sono arivati, lo incensono d'incenso e d'altre cose odorifere, a modo che fussi il corpo del nostro Signiore, e vengono ad adorare questo idolo dilungi più di C º. leghe. E innanzi al munistero di questo idolo ( sic ) è a modo d'una peschiera, o vero laghetto pieno d'acqua, nella quale e pelegrini gettono oro e ariento e perle e pietre preziose sanza numero per offerta. Quando e ministri dell'idolo ànno bisogno d'alcuna cosa per la chiesa, subito vanno a la peschiera e pigliono tutto quelo che è bisogno per la rifezione della chiesa, sì che nulla vi manca, che subito non sia aparechiato. Item, quando si fanno le gran feste di questo idolo, come la dedicazione della chiesa, tutto el paese si viene d'intorno a questo idolo con gran riverenzia; il quale idolo sta sopra a uno carro molto bene adornato di drappi d'oro di Tartaria; e così lo menono intorno alla città. Inanzi al carro vanno primamente a processione ordinatamente, a due a due, tutte le pulzelle del paese; appresso le pulzelle vanno e pellegrini, che sono venuti dilungi confini, de' quali pellegrini alcuni si fanno o lasciono cadere in terra di sotto al carro, sì che il carro colle ruote gli passa a dosso; alcuni uccidono di subito, altri rompono braccia o gambe; alcuni le cosce; e tutto ciò fanno per grande divozione e per amor del loro Dio; e credono che, quanto magior pena e tribulazion patiscono per amor di questo idolo, tanto più presso saranno a Dio e in magiore allegreza. E brievemente in diversi modi fanno sì aspre penitenzie, e colli loro corpi portono e sofferiscono tanti martiri, per amor del loro Dio, che quasi niuno cristiano arebe ardire portare la centesima parte, per amore di Giesù Cristo. E poi io vi dico, che innanzi al carro, più presso, vanno e sonatori del paese con diversi istrumenti, che sono sanza numero, e fanno fra loro di grande melodie. E quando egl'ànno circundato tutta la città, e' tornono a la chiesa e rimettono il loro idolo nel suo luogo; e alora per amor de l'idolo e per riverenza della festa egliono uccidono CC º. o CCC º. persone, che di lor volontà si fanno uccidere, de' quali e corpi son posti dinanzi all'idolo; e dicono che costor son santi, imperò che, per sua buona volontà, son morti per amor del loro Dio. E così, come di qua un casato o provincia sarebe onorata per uno santo che fussi stato di quello o vero di quelli fatti, de' quali si metterebbono in iscritto per farlo canonezare, così tengono di là onorati quegli che s'uccidono per amore del loro Dio; egli gli mettono in iscritto colle loro letanie; e così si vantano l'un co l'altro, e dicono: io ò più santi del mio parentado, che voi non avete del vostro! E ànno questa usanza, che, quando egl'anno intenzione d'uccidersi pel loro Dio, fanno mandare per tutti e loro amici, e con grande abundanzia di pifferi vanno innanzi all'idolo, menando gran festa; e colui che si debe uccidere tiene nelle mani un coltello bene aguzato, e tagliasi un pezo di carne, e gittalo nella faccia dell'idolo, dicendo le sue orazioni, e racomandandosi al suo Dio; e poi si ferisce e impiagasi in qua e in là tanto, che cade morto. E allora gli amici presentono il corpo a l'idolo, e dicono, cantando: Guardate, Dio, che à fatto el vostro leale amico e servidore! lui à abandonato la moglie, figliuoli, richeze e tutti e beni temporali di questo mondo e' à rinunziato, per amor di voi, e à fatto sacrificio del suo sangue e carne; sì che adunque vogliatelo riposare allato a voi, fralli più diletti da voi, nella gloria del paradiso; perchè egli à bene meritato. E dopo questo e' fanno un gran fuoco e ardono el corpo, e ciascheduno piglia della cenere, e sì la conserva in luogo di reliquie: e dicono che questa è una buona cosa, che di nulla temono, mentre che gl'ànno di questa cenere sopra di loro.
DELL'ISOLA LAMORI E DELLA GENTE CHE IVI ABITA, E LA RAGIONE PERCHÈ VANNO NUDE; E COME MANGIONO CARNE UMANA, E QUANTI GRADI È TUTTO IL FIRMAMENTO.
Da questo paese si va per lo mare Occeano per molte diverse isole e per molti diversi paesi, [che] il racontare e iscrivere sarebe lungo e tedioso: però toccherò alcuna principale riviera e città. Da quella isola, della quale io ò parlato, infino a un'altra terra, che è molto grande, chiamata Lamori, sono LII. giornate. In questa terra è gran caldo: la gente del paese à questa usanza, che gl'uomini e le femine vanno tutti ignudi, e sì si befono, quando vegono alcuno forestiero vestito, e dicono, che Dio, il qual fece Adam, il fece ignudo, e che Adam e Eva furono fatti ignudi, e che l'uomo non si dee vergognare di mostrarsi tale quale Dio lo fece, però che niuna cosa è brutta che sia naturale. E dicono, che quegli che si ornano, son gente che non credono in Dio; e egli, dicono, che ben credono in Dio, el quale creò el mondo e fece Adam e Eva e tutte l'altre cose. E egli non isposono mai femine, anzi sono tutte le femine del paese comune, e elle non rifiutono niuno, e dicono che pecherebono, s'elle rifiutassino gl'uomini, e che Dio comandò così a Adam e a quegli che discendono di lui, quando disse: Crescite et multiplicamini, et replete terram. In questo paese nissun può dire: questa è mia moglie; nè alcuna dire: questo è mio marito. E, quando elle partoriscono, dànno e figliuoli a qualunque gli piace, di quegli che ànno avuto in sua compagnia. Il simile, tutta la terra è comune; uno la tiene uno anno, e un altro l'altro; e ciascuno piglia di quela parte che vuole. Il simile, tutti e beni del paese son comuni, biade e altre cose, però che niuna cosa sta serrata infra loro nè ascosa: ciascuno à d'ogni cosa ciò che gli piace sanza contradizione alcuna; e in tal modo è così rico l'uno, come l'altro. Ma egl'ànno una cattiva usanza, però che loro mangiono più volentieri carne d'uno uomo, che di niuna altra cosa che sia; e però el paese è molto abundante di biade e di pesci, d'oro e d'ariento e d'altri beni. Quivi vanno e mercatanti e menono a vendere e fanciugli, e quegli del paese gli comprono; e se son grassi, subito gli mangiono; e se son magri, gli fanno ingrassare, e dicono che questa è la migliore e la più dolce carne del mondo.
In questo paese, e in molte altre terre di là, non si vede il polo artico, cioè la stella tramontana, la quale è immobile verso settentrione, ma vedesi un'altra, la quale è al contrario di quella verso mezo dì, chiamata polo antartico. E come e marinai si governono di qua per la stella ch'è inverso setentrione, così fanno e marinai di là per la stella che è verso mezzo dì; sicchè quella di mezzo dì non appare a noi, nè a loro appare quela di settentrione. Per la qual cagione si può comprendere, che 'l mondo si è di ritonda forma, perchè una parte del firmamento apare in un paese, che non appare in un altro: e questo si può provare per esperienza e per sottile indagazione; che se si trovassi passaggio di navi e di genti che volessino andare cercando el mondo, sì vi si poterebe andare con navilii intorno al mondo e di sotto e di sopra; la qual cosa io l'ò provato, perchè sono stato inverso la gente di Brabin, et ò riguardato con lo astrolabio, che la tramontana si è ivi alta LXIII. gradi, e in Alamagna, verso Boemia, LXVIII. gradi; e più avanti, inverso le parte di Settentrione, ella è alta sessanta due gradi e alcuni minuti; però che io stesso l'ò misurato con lo astrolabio. Ora voi dovete sapere, che sono due stelle tramontane, come è detto di sopra; l'una si chiama Artica e l'altra Antartica: queste due stelle sono inmobili, e per loro si volge tutto il firmamento del mondo, sì come una ruota si volta per lo suo mezo, sì che queste due stelle dividono tutto il firmamento in due parti eguale, ed è tanto di sopra quanto di sotto. Io sono andato poi nelle parte meridionale, e ò trovato verso l'alta Libia, che si vede prima il polo antartico; e quanto più andavo inanzi a quelle parti, tanto più ritrovavo questo polo antartico più alto, sì che più inanzi, ne l'alta Libia verso Etiopia, questo polo antartico era alto XVIII. gradi e alcuni minuti: li LX minuti fanno un grado. E poi andando verso questo paese, del quale io v'ò parlato, e verso altre isole e altri paesi, a l'incontro io trovai l'antartico alto XIII. gradi e VI. minuti; e se io avesi trovato navile e compagnia per andare più oltre, io mi son certo, che noi aremo veduto d'intorno la ritondità del firmamento; imperò, sì come io v'ò detto di sopra, la metà del firmamento è fra queste due stelle; e questa metà io l'ò tutta veduta, verso settentrione, sotto la tramontana LXII. gradi e X. minuti; verso le parte meridionale, io l'ò veduto di sotto l'antartico XXXIII. gradi e XVI. minuti. Ora la metà del firmamento tiene cento ottanta gradi; e di questi cento ottanta gradi, io n'ò veduti LXII. in una parte, e XXXIII. in un'altra parte; che sono novantacinque gradi e quasi la metà d'un grado. E così mi mancono, aver veduto tutto il firmamento, LXXXIIII. gradi e quasi la metà d'un grado; e questi non sono la quarta parte del firmamento, perchè la quarta parte del firmamento è ottanta gradi; sì che ne manca cinque gradi e mezo della quarta parte: e così io ò veduto le tre parte della ritondità del firmamento, e V. gradi più, e quasi mezo. Per la qual cosa io dico certamente che l'uomo può bene ritondare o vero circundare tutta la terra del mondo, così di sotto, come di sopra, e ritornare nel suo paese, avendo compagnia di navile, e sempre ritroverebe buone terre e isole, come in questo paese. E sapiate, che quegli che sono al diritto di l'antartico, egli sono dirittamente piedi contrappiedi a quegli che sono al diritto dell'artico; e così quegli che stanno d'intorno a' poli, per diritta opposizione, stanno piedi contrappiedi; imperò che tutte le parti del mare e della terra ànno ne' loro oppositi abitabili o vero trapassabili, e di qua e di là. E sappiate, che, sicondo che io posso col mio ingegnio vedere e comprendere, la terra del Prete Giovanni Imperadore d'India, è di sotto a noi, perchè andando di Scozia, o vero d'Inghilterra, verso Gierusalem, tutta via si saglie; però che le parte nostre sono ne la bassa parte de la tera, verso occidente, e la terra del Prete Giovanni è ne la bassa parte verso oriente: e li indiani ànno il giorno quando noi abiamo la notte; e così, per contrario, egli ànno la notte, quando noi inghilesi abiamo el dì; imperò che la terra e il mare sono di ritonda forma; e quando si saglie da uno lato della terra, alora si discende dall'altro lato. Ora voi avete veduto di sopra, che Gierusalem è nel mezo del mondo: questo si pruova per una lancia diritta in terra nell'ora del mezo dì a tempo di equinozio; la quale, essendo diritta, non fa ombra dallato alcuno. E che Gierusalem sia nel mezo della terra, il profeta David disse: Et operatus est salutem in medio terræ. Adunque quegli che si partono di queste parte per andare verso Ierusalem, tante giornate, quante egli fanno per andare a Ierusalem, altrettante giornate si può fare, partendosi da Ierusalem, per infino agli altri confini della estremità della terra di là: e quando si va alcune giornate verso India, tuttavia si va circundando la ritondità della terra e del mare per di sotto il nostro paese di qua.
D'UNO CHE ANDÒ CERCANDO EL MONDO E RITROVOSSI IN PAESE, DOVE E' SI PARLAVA IN SUA LINGUA.
E imperò mi sono maravigliato molto d'una cosa, che io udi' già recitare, essendo piccolo; come uno valente uomo del nostro paese, già fu gran tempo, si partì per andare cercando el mondo: il quale, avendo lui passata tutta l'India e le isole alte di India, dove son più di semila leghe, per molte stagione, e' tanto andò circundando il mondo, che trovò una isola, nella quale udì parlare in suo linguaggio, e vide caricare e buoi e dire quelle parole medesime, che si dicono in suo linguaggio, o veramente nel suo paese. Di che si maravigliò grandemente, imperò che non si sapeva dare a intendere a qual modo potessi essere. Ma io dico, ch'egli era tanto andato per terra e per mare, che lui aveva circundato infino nel suo paese, dove egli era conosciuto. Ma lui ritornò indietro per la via onde lui era venuto; e dipoi stette un gran tempo, e quivi perdè molte delle sue sostenute fatiche nel suo ritornare indietro, sì come lui medesimo disse; perchè una volta verso Noverga il sopprese una tempesta fortissima in mare, per la quale lui fu portato in una grande isola, la quale riconobe esere quella isola, nella quale egli aveva udito parlare il suo linguaggio e menare e buoi al carro. E questo fu bene pussibile, quantunque a la grossa gente pare, che non si possa andare sotto terra, e che si cascherebe verso el cielo di sotto: ma questo non può esere altrimenti, che se noi cascassimo da la terra, dove noi siamo, verso il cielo; però che sì come a noi pare, che noi siamo di sopra a loro, così a loro pare, che noi siamo di sotto a loro: e se vero fussi, che l'uomo potessi cadere dalla terra infino al cielo, molto maggiormente la terra e 'l mare, che sono così grandi e così pesanti e gravissimi, doverebono più presto cadere infino al firmamento. Ma questo è impussibile, però che questo non sarebe cadere, anzi sarebe salire e ascendere. E però dice il nostro Signiore: Ne timeas me qui suspendi terram in nichilo.
DELLA GRANDEZA DI TUTTA LA TERRA.
E quantunque sia pussibile circundare tutto el mondo, non dimeno de mille l'uno non si dirizerebe così bene per ritornare inverso il suo paese, come fece colui, per la grandeza della terra e del mare. Si poterebe andare per mille altre vie, delle quali niuna sarebe perfettamente diritta per ritornare verso le parti donde si mosse[19]; che quantunque sia pussibile circundare la terra, come ò detto, non dimeno non poterebe andare nè dirizarsi per la diritta via, se ciò non fussi fortuna, o per grazia di Dio; perchè la terra è molto grande e alta, cioè larga; e dura la ritondità d'intorno, di sotto e di sopra, sanza el mare, ventotto milia CCCC º. XXV. miglia. Di queste, sicondo l'oppinione degl'antichi e savii, la quale io non ripruovo, ma sicondo la parvità del mio intelletto a me par di dire, salvo la lor grazia, che sie più migliaia. E perchè intendiate meglio quelo ch'io ò detto, io sì ò immaginato una figura, nella quale sia un gran compasso orbiculare e sperico, in mezo del quale sia un punto, el quale chiamo centro. E in questo compasso grande ò fatto un piccolo compasso; poi ò partito tutto il gran compasso in XL. passi, partiti per le vie diritte, che tutte cominciono dalla superfice del grande compasso, e sieno terminate al centro del piccolo compasso; doverebe esere così partito in XL. parte, come il grande, quantunque le parte sieno minore che e suoi spazii. Or facciamo che 'l gran compasso, il quale è d'intorno al centro, ripresenti la terra; e conciò sie cosa che tutti gli astronomi sappino, che 'l firmamento è partito in XII. parte, cioè di XII. segni, e ciascheduno di questi segni è partito in XXX. gradi, che verrebe il fermamento eser partito in CCC.º LX. gradi. E il simile la terra è partita in altrettante parte, e corrisponde ciascuna parte della terra a un grado del firmamento, che sarebe ottanta volte trentuno migliaio e cinque cento migliaia, e ciascuno di otto stadii; sì che tanto à la terra di ritondità e di circuito d'intorno, sicondo quel che io posso comprendere per lo detto delli Astrolomi, come io ò detto di sopra. E per meglio intendere il fu giustificato per termini mensurali, io metterò questa distinzione: Quinque pedes passuum faciunt, passus quoque centum viginti quinque stadium dant, sed miliaria octo faciunt stadia, duplicata dant tibi legam: una torsa fa X. piedi. E, seguendo la mia materia, io dico, che non debe dispiacere a quegli che legono di ciò, che io dico, che una parte di India è sotto a' nostri piedi, e che per lo simile una parte del nostro paese è di sotto a una parte d'India dirittamente. A lo opposito, sì come al diritto oriente è opposto el diritto occidente, e sì come a la parte meridionale è la parte settentrionale, de le quale io v'ò di sopra parlato, quantunque a la grossa gente pare che non si possi andare sotto la tera, e che si deba cadere verso 'l cielo di sotto, così a noi doverebe parere, che siamo sotto a loro. E se vero fussi, che l'uomo potessi da la terra al cielo cadere, molto magiormente la tera e il mare, che sono tanta materia e sì possente e grave, doverebono cadere infino al firmamento; e questo sarebe impossibile e contro a natura, perchè non sarebe cadere, ma sarebe salire; e però dice el nostro Signiore: Ne timeas me, quia suspendi terram in nihilo. Ora tornando: è vero ch'io ò misurato collo astrolabio, che quegli che stanno nelle parte settentrionale, stanno piè contra piè a quegli che stanno dalla parte verso 'l mezo dì, e così siamo noi contro a una parte delle isole di India. E se verso oriente e verso occidente fusson segni immobili o vero stabili, pe' quali si potessi misurare le parte, a modo che si fanno le parte che sono verso settentrione o verso mezo dì, per le due stelle immobile, cioè artico e antartico, certamente si troverebe l'isole, che a la terra del prete Giovanni serien declinate. E circundando più la terra di sotto, che non sono le parte di settentrione e di mezo dì, de' quali io ò fatto menzione di sopra, io so bene, che io ò fatte più giornate andando verso settentrione e diritto verso mezo dì, che da occidente verso oriente. E poi che la terra è ritonda, adunque è altrettanto da settentrione verso mezo dì, come dal diritto oriente al diritto occidente. Per la qual cagione io dico come si passa oltre a questa misura: e di sotto a noi circulando la tera, non è però di sotto più, quantunque si dica per intelligenzia.
DELL'ISOLA DI SIMBOR, DOVE GL'UOMINI E LE FEMINE SI FANNO SEGNIARE NELLA FRONTE CON UN FERRO CALDO PER GENTILEZA; E DELL'ISOLA DI BOTEGON.
Item, a lato di questa isola[20] di Lamori sopra detta, verso mezo dì, è un'altra isola, chiamata Simbor. Questa è una grande isola, e il Re è molto possente; e le gente di questo paese si fanno segniare nella fronte con un ferro caldo, uomini e femine, per grande nobilità e per esere conosciuti dall'altra gente, perchè e' si tengono più nobili che l'altre gente là d'intorno, perchè stanno sempre in guerra con quela gente nuda, de' quali ò parlato di sopra. Assai apresso questa isola è un'altra, la qual si chiama Botegon, la quale è molto buona e abbondevole, con molte altre isole che sono ivi d'intorno, nelle quali abitano molte diversità di genti: e perchè volendo io parlare di tutte sarebbe lunghissimo sermone, io non parlerò di tutte, ma piglierò le più notabile.
DELL'ISOLA DI GIANNA, E DELLE COSE CHE IVI NASCONO, E DELLA POSSANZA DI QUESTO RE, E DEL SUO PALAZO, EL QUALE È UNA COSA MOLTO STUPENDA.
Assai apresso questa isola di Botegon sopra detta, passando un poco di mare, è un'altra isola, che è un gran paese; la quale si chiama Ianna, e circunda quasi dumila leghe. Il Re di questo paese è un gran rico e possente, e à sotto lui sette altri Re di sette altre isole, che sono ivi d'intorno. Questa isola di Gianna è molto bene abitata e popolata di gente. Ivi vi cresce d'ogni maniera di spezie più abundantemente che altrove, come è gengiovo, chiodi di gherofani, cannella, noce moscade, zedoc e maci. E sappiate che e maci sono propii a modo che la noce, e à di fuori una cappannella, dove sta avilupata infino a tanto che è matura, poi cade fuori; e così è della noce moscada e del mastice. Molte altre spezie e molte altre cose crescono quivi in questa isola, perchè d'ogni bene abonda, e d'oro e d'ariento in gran quantità, salvo che di vino. Il Re à un palazo nobilissimo e maraviglioso molto e il più rico che sia al mondo: gli scaglioni, per li quali si saglie ne le sale e nelle camere, son fatti come quadretti d'oro e d'ariento, e tutte le mura loro, a modo che si dipignie di qua, son coperte di piastre d'oro e d'ariento; nelle quale piastre sono battaglie e istorie di cavalieri rilevati; tutti hanno grillande in testa di pietre preziose e di grosse perle; e tutte le sale e le camere di dentro sono soffitate e lastricate d'oro e d'ariento sì e talmente, che, chi non avessi veduto, non poterebe credere le nobilità nè le richeze che sono in questo palazo. E sapiate, che questo Re di Ianna è un semplice Re e il più possente Re del mondo; e già spesse volte à voluto el Gran Cane di Cattai disfarlo, el quale è il più possente imperadore che sia sotto il firmamento di qua nè anche di là dal mare; e però ànno spesso guerregiato insieme, però che 'l Gran Cane lo voleva fare suo tributario e riconoscere la terra da lui, ma costui si è sempre bene difeso contro di lui.
DELL'ISOLA DI PATEM, DOVE SONO ALBERI CHE FANNO FARINA; ALTRI FANNO VINO, ALTRI FANNO MELE, E ALTRI VELENO; E D'UN CERTO LAGO, NEL QUALE NASCONO CANNE CHE ÀNNO NELLA RADICE PIETRE PREZIOSE.
Appresso questa isola, andando per mare, si truova un'altra isola buona e grande, la qual si chiama Talamasi, e alcuni la chiamono Patem. Questo si è un gran reame, e il Re del paese à molte bellissime città e molte belle ville. In questa terra e in questo paese crescono alberi che fanno farina, de la qual si fa buon pane e bianco e di buon sapore, e pare che sia di grano, ma non è però di sapore di grano. E ivi sono altri alberi, che fanno mele buono e dolce; e altri alberi vi sono, che fanno vino: altri sono che fanno veleno, contra 'l quale non è altro che una sola medicina, la qual è a bere el proprio sterco stemperato con acqua; e veramente chi non l'avessi, presto morrebbe, sì che nè triaca nè altre medicine lo poterebono aiutare. Di questo veleno avevon mandato e giudei a torre a uno di questi alberi per velenare tutta la cristianità, siccome io udi' dire alla confessione nella lor morte; e, per la divina grazia, quantunque fallisse il loro male proponimento, nondimeno egliono ne feciono grande mortalità. E se a voi piace sapere in qual modo si fa la farina degl'alberi, io vel dirò. E' perquotono gli alberi con una accietta atorno a' piedi, sì che la scorza intorno in molte parte si lieva, e d'indi n'esce un licore spesso, el quale egli fanno seccare al sole, e poi diventa farina bella e bianca. El mele, el vino e 'l veleno son tratti dagli altri alberi per questo medesimo modo, e poi si conservono ne vasegli. In questa isola è uno mare morto, cioè un lago, al qual non si truova fondo, nè mai fu trovato; e tutto ciò che cade in questo lago non si truova mai. In questo lago crescono canne, ch'egli le chiamono Tabi, e sono lunghe XXX. torse e più. Quivi sono altre canne non così lunghe, le quali crescono appresso della riva e ànno le radice lunghe IIII º. aripanti, o vero tormature[21] di terra e più; e ne' nodi delle radice di queste canne si truovono pietre preziose di gran virtù. Chi porta una di queste pietre sopra di lui, non può essere magagnato nè impiagato, nè di lui tratto sangue con ferro nè con acciaio. E perchè egl'ànno queste pietre, sì combattono arditamente per mare e per terra, però che arme niuna non gli può nuocere; ma quegli che ànno a combattere con loro, che sanno le loro maniere, gli tragono con lor saette e quadregli sanza ferro: e così gli percuotono e uccidono. E di queste canne ne fanno casse, navi e altre cose, a modo come noi facciamo di qua d'altri legnami. Ma non crediate, che io parli per ciancia, nè per menzogna, avisandovi che io vidi cogli occhi miei canne sì grandi sopra queste rive, che XX. de' nostri compagni non poterono levare una sola da terra.
DELL'ISOLA DI TALANOCH E DEL SUO RE E DELLA POSSANZA SUA, E DEGLI ELEFANTI, I QUALI LUI TIENE PER SUA DIFESA; E DI DUE ALTRE COSE MARAVIGLIOSE CHE VI SONO.
Dopo questa isola si va per mare a un'altra isola che si chiama Talanoch, nella quale è molta abundanzia di bene. Il Re di quel paese à tante femine quante ne vuole, però che 'l fa cercare le più belle per tutto il suo paese e pel paese d'intorno, e falle menare innanzi a lui, e piglia una notte l'una, e l'altra notte l'altra; e così fa lui tanto, che n'à mille e più, e non giacerebbe con una più d'una notte, cioè non arebe seco a fare più d'una volta, salvo se una non gli piacessi più delle altre. Questo Re à gran numero di figliuoli: tale n'à cento, tale dugento; e alcuni più e altri meno. Questo Re à circa XIIII º. mila elefanti privati, e quali si fa nutricare a' suoi villani per lo paese, perchè a caso di bisogno, avendo a far guerra con alcuno altro Re d'intorno, egli fa montare gente insu castegli di legname posti sopra e leonfanti per combatter contro a' suoi nimici: e così il simile fanno gli altri Re di quegli confini, perchè il modo di guerregiare di là non è simigliante al nostro ordine di qua. Ivi chiamono gli elefanti Varqui.
QUI SI FA MENZIONE D'UNA GRAN MARAVIGLIA, DEL PESCIE CHE SI GITTA ALLA RIVA DI QUESTA ISOLA.
In questa isola è una grande maraviglia, la quale non è in altra parte del mondo; però che ogni maniera di pescie viene una volta l'anno dritto alla terra, e sì si gittono alla riva di questa isola, sì che e' non si vede in mare se non pesci; e ivi stanno tre dì, e ciascuno del paese ne piglia quanto ne vuole. Poi questa maniera di pesci si parte, e vienne un'altra; e così l'una maniera drieto all'altra ne viene per insino a tanto, che di tutte le ragioni del pescie di mare vi vengono; e così ordinatamente l'una drieto all'altra stanno tre giorni, tanto che ogni uomo del paese n'abbi preso d'ogni maniera, quanto ne vuole. E' non si sa la cagione perchè questo si sia; ma quegli del paese dicono, che questo è per fare riverenzia a loro Re, il quale è il più degnio che sia, come e' dicono, e perchè il loro Re adempiscie quello che disse Dio a Adam: Crescite et multiplicamini. E, perchè chi multiplica a questo modo il mondo di tutti li suoi figliuoli, per questo gli manda el pescie di tutto il mare, perchè e' ne pigli al suo volere, per lui e pel suo paese; e così tutti e pesci si arrendono a lui, faccendogli onore come il più eccellente e il più amico di Dio al mondo, sicondo che dicono. Io non so la ragione perchè è questo: Idio la sa, il qual sa el tutto, ma questa maraviglia non è punto di natura, anzi è tutta contra a natura; che gli pesci, che ànno a governare tutto el mondo[22], si vengono abondantemente a rendere alla morte di lor propria volontà, sanza che sieno costretti; e però io son certo, che questo non può essere sanza grande significazione. In questo paese son chiocciole grande, che nelle case loro molte persone poterebono abitare e abergare a modo d'una piccola casetta; e altre ve ne sono minore molto più l'una dell'altra. Vi sono vermini grandi a modo d'una coscia d'uomo, e sono bianchi colla testa nera; e degli altri ve n'è minori, della fazione di quegli che si truovano ne' legni marci; e di questi vermini si fa la vivanda regale al Re e per li gran signiori. E se uno uomo sposato muore in questo paese, egliono soppelliscono la sua moglie viva a lato a lui, e dicono che ragion vuole, che ella gli facci compagnia nell'altro mondo, come à fatto in questo.
DELL'ISOLA DI RAFFO, OVE DÀNNO GL'UOMINI A MANGIARE A GL'UCCEGLI.
Da questa isola si va per lo mare Occeano a una isola chiamata Raffo. La gente di questa isola, quando gli amici lo' sono amalati, egliono gli apicono a uno albero, e dicono, ch'egli è meglio, che gl'uccegli, e quali sono angioli di Dio, gli mangiono, che sien mangiati in terra da' vermini, che sono così brutti. Da questa isola si va a un'altra isola, dove son gente di malvagia natura. Questi nutricano di gran cani, e sì gli tengono per fare istrangolare i lor parenti, quando sono amalati, perchè egliono non aspettono tanto che muoino della loro morte naturale, perchè e' dicono, che e' sofferiscono troppo gran pena. E quando sono così strangolati, si ragunono insieme per mangiarli in luogo di cacciagione.
D'UNA ALTRA ISOLA CHIAMATA MULCA, DOVE SONO CATTIVISSIME GENTE CHE BEONO SANGUE D'UOMO; E DELL'ISOLA CHE SI CHIAMA TRACONDIA, DOVE SON GENTE CHE NON PARLONO, MA SIBILLANO.
Da poi si va per molte isole di mare per insino a una isola, che si chiama Mulca; e quivi è ancora cattivissima gente, perchè e' non si dilettono in alcuna cosa, tanto quanto fanno nel battagliare e in uccidere l'un l'altro, e spezialmente forestieri: e egliono beono tropo volentieri sangue d'uomo; il qual sangue chiamono Dan: e quello che più ne può uccidere, è più onorato fra loro. E se due persone, che si portino odio, si sono acordati per amici, o vero che alcuni fanno patto e obligazioni fra loro, fa di bisogno che ciascun bea del sangue dell'altro, altrimenti la concordia, o patto, o vero obligazione sarebe nulla: se un facesse contro a tal concordia, o patto, o ubligazione, di nulla sarebe biasimato nè riprobato. Da questa isola si va per mare, di isola in isola, infino a un'altra isola che si chiama Tracondia, ove sono le gente tutte bestiale a modo che inrazionale, e stanno in caverne che fanno in terra, perchè e' non ànno tanto senno che sappin fare case; e mangione carne di serpenti e altre brutte cose. Egliono non parlono, ma sibillano l'uno a l'altro a modo di serpenti, e di nesuno aver si curono, salvo che d'una pietra preziosa, la quale è di XL. colori; e però il nome dell'isola è chiamata Tracondia. Egli amono molto questa pietra, e non sanno che virtù s'abbia, ma egliono disiderono solamente la sua belleza.
DELL'ISOLA ONGAMARA, DOVE SON GENTE CHE ÀNNO TESTE DI CANI, CHE SI CHIAMONO CENOFALI, E DELLA GIUSTIZIA DEL SUO RE.
Dopo questa isola si va per mare Occeano per molte isole infino a una isola chiamata Ongamara[23], la quale è molto bella e grande e tiene di circuito più di mille leghe. Tutti gl'uomini e le femine di questa isola ànno teste di cani, e son chiamati Cenofali, e sono gente ragionevole e di buono intelletto, e adorono un Bue per suo Dio, e ciascuno di loro portono nella testa uno Bue d'oro o d'ariento, a dimostrazione che egliono amono bene il loro Dio: e vanno tutti ignudi, salvo che portano uno drappetto per coprire le loro secrete membra. Eglino sono grandi, forti e buoni combattenti: eglino portano una targa grande, che gli cuopre tutto il corpo, e una lancia in mano; e se pigliono alcuno in battaglia, e' lo mangiono. El Re di questa isola è molto potente e ricco e divoto, sicondo la lor legge, e porta intorno al suo collo CCC º. perle grosse d'oriente, incordate d'ariento a modo di pater nostri. E come noi diciamo pater nostri e ave Maria, contando e pater nostri d'ambra in ambra, così questo Re dice ogni dì CCC º. prieghi divotamente al suo Dio prima che mangi. E similmente porta ancora intorno al suo collo un rubino orientale fine, nobile, lucente, el quale è quasi lungo un piè, e V. dita largo; però che quando egli elegono il loro Re, egli gli dànno a portare questo rubino in sua mano; e così lo menono cavalcando d'intorno alla sua città; e da quel dì innanzi e' son tutti ubidienti a lui; e il Re debbe portare tutta via questo rubino intorno al suo collo, perchè se egli non avessi il rubino, e' non lo terrebono punto per Re. El Gran Cane di Catai à molto disiderato di questo rubino, ma mai non l'à potuto avere, nè per guerra, nè per niun modo. Questo Re è molto divoto, sicondo la lor legge, e molto giusto; per la qual cagione si può andare molto sicuramente per tutto il suo paese, e portare tutto ciò che gli piace, che niuno sarebe tanto ardito che rubasse alcuno, imperò che el Re subito ne farebe giustizia.
DELL'ISOLA DI SILLA, E DI MOLTE STRANE E DIVERSE NATURE D'ANIMALI CHE QUIVI SI TRUOVONO.
Da questa isola si va a una altra, la qual si chiama Silla, la quale circunda circa V. C º. leghe. In questa isola è molto la terra guasta e diserta, nella quale sono molti serpenti, e tanti dragoni e cocodrilli, che niuno ardisce star quivi. Questi coccodrilli sono serpe gialle e rossette, e àno quatro piedi, le gambe corte e l'unghie grande: alcuni sono lunghi sette torse, alcuni X; e dove e' vanno per lo sabbione, pare che un grande albore vi sia strascinato. Ivi sono molte altre bestie salvatiche e spezialmente leofanti. In questa isola è una montagna assai grande, e in mezo di quella è un lago grande, in un bel piano, et evvi grande quantità d'acqua; e dicono che Adam et Eva piansono sopra questa montagna C º. anni, quando furono scacciati del paradiso, e per lo lungo pianto, delle lagrime loro si fece questo lago: e nel fondo di questo lago si truova di molte pietre preziose e perle grosse. In questo lago crescono di molte canne e di grandi glagos, e sonvi dentro molti coccodrilli ed altre serpe e di grande sansughe[24]. Il Re del paese, ogni anno una volta, dà licenza a le povere gente d'entrare in questo lago a pescare di queste pietre; e questo fa per limosina, e per amor di Dio e di Adam; e ogni anno se ne truova assai; ma per le serpe e vermi che vi son dentro, e' s'ungono le mane e le braccia di sugo di limoni e d'altre erbe, e poi non ànno paura nè di cocodrilli e d'altri vermini. Questa acqua corre e passa per una costa della montagnia: in questo rivolo si truova gran quantità di pietre preziose e di perle; e dicono comunemente in questa isola, che nè serpente, nè bestie salvatiche del paese non tocherebono, e non farebono male, nè alcuno dispiacere a' forestiere niuno che entri nel paese, salvo solamente a quegli che son nati nel paese. In questo paese, e negli altri che sono d'intorno, sono oche salvatiche, che ànno due teste. E qui son lioni bianchi tutti, e grandi come buoi, e molte altre bestie diverse. Ivi sono uccegli che non sono di qua da mare. E sappiate, che in questo paese, e in altre isole d'intorno, el mare è tanto alto, che pare che penda dall'onde, e che deba coprire tutta la terra[25]. Io non so perchè modo si possa così sostenere, eccetto che per la divina grazia: ed è bene tanto alto verso l'alta Libia; e però dice David: Mirabiles helactiones maris, mirabilis in altis Dominus.
DELL'ISOLA DI DONDINA, DOVE E' MANGIONO L'UNO L'ALTRO, QUANDO NON POSSONO SCAMPARE; E DELLA POSSANZA DEL LORO RE, IL QUAL SIGNIOREGIA LIIIIº. ISOLE; E DI MOLTE MANIERE D'UOMINI, I QUALI ABITONO IN QUESTE ISOLE.
Da questa isola, andando per mare verso mezo dì, è un'altra contrada e larga isola, chiamata Dondina. In questa isola son gente di diverse nature, perchè il padre mangia el figliuolo, e il figliuolo el padre, e il marito la moglie, e la moglie il marito. Quando el padre o la madre o veruno altro di loro amici sono amalati, subito el figliuolo, o vero altri, vanno al Padre de la lor legge e prieganlo, che voglia adomandare al suo idolo, se 'l padre morrà di quella malattia, o no. El Padre della loro leggie allora va, insieme col figliuolo dello ammalato, innanzi al loro idolo; e per virtù del diavolo, el quale v'è dentro, gli risponde e dice, che egli non morrà di quella infermità; e insegna loro in qual modo debba guarire. E allora el figliuolo ritorna e serve el padre, e fagli ciò che l'idolo gl'insegnò, per insino che 'l padre è guarito. El simile fanno le mogli pe' mariti, e' mariti per le mogli, e gli amici l'uno per l'altro. Ma se l'idolo dice, che deba murire, alora il prete va col figliuolo, o cola moglie, o vero coll'amico a l'amalato, e sì gli mettono un panno sopra la bocca per torgli il fiato; e così, soffocandolo, lo uccidono. E poi tagliono il corpo in pezzi, e fanno pregare tutti i loro amici che venghino a mangiare di questo corpo morto, e fanno venire quanti pifferi possono avere, e così il mangiono con gran festa e con gran solennità. E quando egliono ànno mangiato la carne, pigliono l'ossa e sì le seppelliscono, cantando e facendo gran festa e gran melodìa; e tutti e lor parenti, che non sono stati a questa festa, sono riprobati, e ànno gran vergogna e dolore, perchè più non sono riputati per amici: e dicono gli amici, che lor mangiono le carne per liberarlo delle pene, sì com'egli dicono. E se la carne è troppo magra, gli amici dicono, che egl'ànno fatto gran peccato averlo lasciato tanto languire e sofferire pena sanza ragione; se ella è grassa, egli dicono, che ciò è ben fatto, e che presto l'ànno mandato al paradiso, e non à punto sofferto pena. Il Re di questa isola è molto possente, e à di sotto di lui liiiiº. isole grande, le quale io l'ò tutte vedute. Nelle quale isole son molte e diverse gente; e ciascuna di queste isole à un Re coronato; e tutti questi Re ubidiscono a lui. In una di queste isole stanno gente di grande statura, come giganti e spaventosi a vedere. Questi ànno solo un ochio in mezo la testa, e non mangiono altro che carne e pesci sanza pane. E in una altra isola, verso mezo dì, stanno gente di brutta statura e di malvagia natura. Questi non ànno punto di testa, e ànno gli occhi nelle spalle e la bocca storta a modo che d'un ferro di cavallo in mezo el petto. In altra isola son gente sanza testa, e ànno gli occhi e la bocca dietro alle spalle. In un'altra isola son gente che ànno la faccia tutta eguale sanza naso e sanza ochi, salvo che due buchi ritondi nel luogo degli ochi, e una boca piatta a modo d'una sfenditura sanza labbra. In un'altra isola son gente di brutta fatta, che ànno labbra di sotto la bocca grande, che quando vogliono dormire al sole, e' si quoprono tutta la faccia di questo labbro. In un'altra isola sono piccole genti a modo di nani, e tutte sono due tanti magiori che li pigmei. Questi ànno un piccolo buco in luogo di boca, per lo quale e' conviene lor pigliare, per un legnio bucato, tutto ciò che mangiono e beono. Egli non ànno lingua, nè parlon punto, salvo che egli sibillono, e fanno segni l'uno all'altro a modo che' muti, alla mutesca; e così intendono l'uno l'altro. In un'altra isola son gente che ànno orechie, che gli pendono infino a' ginochi. In un'altra isola son gente, che ànno piedi di cavallo: questi sono forti e possenti, e corono forte per modo, che, correndo, pigliono bestie salvatiche, le quali mangiano. Item, in un'altra isola son gente che vanno in quatro sopra e piedi e mani loro, come fanno le bestie: questi sono tutti pilosi, e salgono legiermente sopra gli alberi, come fanno le scimmie, e così prestamente. Item, in un'altra isola sono ermofroditi, cioè uomini e femine insieme, che ànno una mamilla dalla parte destra, e niente da l'altra, e ànno membra d'ogni ragione d'uomini e di femmine; e usano di quel che gli piace, dell'uno una volta e dell'altro l'altra. Quando egliono usono el sesso femminino, egli ingenerono figliuole; e quando egliono usono el mascolino, egli concipono e portono figliuoli. In una altra isola son gente che vanno sempre co' ginochi molto maravigliosamente, e pare che a ogni passo debbin traboccare; e da ciascun piede ànno otto dita. Nelle altre isole ivi d'intorno, son molte altre maniere di gente, delle quale si potrebe tenere lunghissimo parlamento, ma perchè la materia mia sarebe troppo lunga, io me ne passerò assai brevemente.
DEL REAME DI MAURI CH'È MOLTO BUONO E GRANDE, E DELLE MANIERE E COSTUMI DI QUELLE GENTE.
Di questa isola andando per lo mare Occeano, verso oriente per molte giornate, si truova un gran paese e un gran Reame, el qual si chiama Mauri. Questo paese è in India magiore, e è la migliore terra, e il migliore paese, e più dilettevole, e abondevole d'ogni cosa, che sia in possanza de l'uomo. In questa terra stanno molti cristiani e saracini, perchè il paese è grande e buono. In questo paese sono più di mille città, o vero dumila città grande, sanza le ville. El popolo è molto grande in questo paese, più che i' nisuno altro luogo di India: per la bontà sua[26] nissun dimanda pane per Dio, però che in tutto el paese non è povero alcuno. Ivi sono bella gente, ma sono molto pallidi e ànno gl'uomini la barba chiara con pochi peli e lunghi; quasi che uno uomo non à L. o LX. peli nella barba, un pelo in qua l'altro in là, a modo d'una barba di leopardo, o vero di gatta. In questo paese sono le femine molto più belle che i' niuno altro luogo. La prima città di questo paese, la quale è una lega dilungi dal mare, si chiama Latori, e è assai più grande che non è Parigi. In questa città è un gran fiume, che porta navilio, el quale va infino al mare: niuna città è così ben fornita, come è questa: tutti quegli del paese adorono idoli. In questo paese tutti gli uccegli sono due volte magiori che di qua: ivi sono oche bianche e rosse intorno al collo, e ànno uno grosso becco sopra la testa e sono dua volte[27] magiori che le nostre. E ivi sono gran quantità di serpi, delle quali e' fanno gran festa, e sì le mangiono con gran solennità; però che chiunque avessi fatto una gran festa, e avessi dato tutte le vivande che si sapessi dare, non avendo dato una vivanda di queste serpi, non arebe fatto nulla; però che niuno aprezerebe cosa che avessi fatta ma'. Buone città sono in questo paese, e ivi si è grande mercato di vivere che non saperei dire, nè io domandare. In questo paese son molte chiese di religione sicondo la lor legge; e sono in queste chiese idoli grandi come giganti, a' quali idoli dànno a mangiare il giorno delle feste loro in questo modo: e' portono le vivande inanzi a loro così calde, come le tolgono dal fuoco e lasciono ascendere il fummo inverso l'idolo: alora dicono, che l'idolo à mangiato: e dipoi e riligiosi mangiono di queste vivande. In questo paese son galline bianche, che, in luogo di piuma, ànno lana bianca, come pecore. Le femine maritate ivi portono un segnio a modo che un corno sopra la testa, per esere conosciute da quelle che non son maritate. In questo paese è una bestiuola chiamata idria[28], la quale abita in acqua, e vive di pesci. Le gente del paese amaestrono questa bestiuola per modo, che a lor piacere la gittono nell'acqua, e ne' laghi, e ne' fiumi profondi, e quela bestiuola areca fuori presto di gran pesci; e così ne pigliono quanti ne vogliono. Passammo per questo paese per molte giornate.
DELLA GRANDE CITTÀ DI CASSAGA, E DELLE SUE MANIERE.
Da questa città è un'altra città[29], la più grande del mondo, la qual si chiama Cassaga, ciò è a dire, città del cielo. Questa è di circuito circa L. leghe, ed è così bene abitata, che in una casa stanno ben XII. famiglie. In questa sono X. porte principale, e di fuora ciascuna porta, a tre leghe, o vero a quatro, è una gran villa. Questa città è situata in un lagume di mare a modo che è Vinegia, e sono in detta città più di XII. mila ponti; e sopra ciascuno ponte sono di forte torre, ove stanno guardie per guardare la città per lo Gran Cane; però che questa terra confina col Gran Cane. Da una parte della terra corre uno gran fiume, dilungi dalla città. Ivi stanno religiosi cristiani, e spezialmente mediani e mercatanti di molte nazione, perchè el paese è buono e abondevole. Ivi fanno molto buon vino, il quale chiamono Bighon, ed è molto possente e grazioso a bere. Questa è una città reale, dove soleva stare el Re di Mauri o vero Marchi. Per questa città si va per acqua sollazando e giucando infino a una gran Badia, la quale è asai presso, dove stanno gente religiose, sicondo la lor legge. In questa badia son giardini molto grandi e begli, ove sono alberi di molte maniere di frutti. Fra questi giardini è una montagnia ben fornita d'alberi, nella quale sono giardini d'intorno, e molte diverse nazioni di bestie, come sono babuini, scimie, marmote e altre diverse bestie. E quando el convento di questa badia à mangiato, fa portare li loro avanzi nel giardino per limosina, e fa sonare una campanella d'ariento, la quale tiene l'abate nella sua mano; e subito discendono di questa montagnia queste tale bestie sopra dette, che tre, o vero quatro mila ivi si riducono a modo che' poveri. E alora li è dato tutte le reliquie che sono avanzate al convento con belli vasi d'ariento dorati. Quando queste bestie ànno mangiato, l'abate suona un'altra campanella, e e' ritornono ne' lor luoghi, donde vennono. Questi religiosi dicono, che queste bestie sono anime di gentili uomini, che ivi sono entrate per fare penitenzia, e loro gli dànno da mangiare per lo amore di Dio; e dicono, che l'anima de' villani, dopo la morte loro, entrono nelle bestie villane; e così credono fermamante, in modo, che niuno gli può rimuovere di quella oppinione. Egli nutricono le dette bestie in gioventù, quando ne possono avere; e egli le pascono de la limosina, come v'ò detto di sopra. Noi gli dimandamo, se non sarebe meglio, che egliono donassino quele reliquie a' poveri. Ci risposono, che nel paese non era alcun povero; e quantunque vi fussi poveri, non dimeno a lor pareva, che la limosina fussi meglio data a queste anime, le quali fanno loro penitenzia, e che non sanno ove guadagnare, nè afaticarsi, che non sarebe nella povera gente, le quali anno senno e possanza di guadagnarsi le spese. Molte maraviglie sono in questa città, o intorno pel paese, le quali io non iscrivo.
DELLA CITTÀ DI CHILAFONDA, E DELLA TERRA DELLI PIGMEI E DELLA STATURA LORO.
Da quella città si va a un'altra città presso a quella a sei giornate, la quale città è chiamata Chillaffonda, della quale le mura circundan circa 20. leghe. In questa città sono circa LX. ponti di pietra, e più begli che io già vedessi mai. In questa città fu la prima sedia del Re di Mauri, perchè ella è più bella e molto più abondante di tutti e beni: poi si passa a traverso d'un gran fiume, chiamato Dalai, lo quale è la maggiore riviera d'acqua dolce che sia al mondo, perchè ove ella è più stretta, ella è ben IIII º. miglia, o vero leghe larga. Di là si va più inanzi, e poi s'entra nella terra del Gran Cane. Questa riviera passa pel mezo la terra di Pigmei: questi pigmei sono gente di piccola statura, i quali sono lunghi circa a tre spane, e son begli e graziosi, uomini e femine, per rispetto della loro piccoleza. Egli si maritono nella età di sei mesi, e in due, o vero tre anni, sì ànno figliuoli, e non vivono comunemente più di sei o vero VII. anni; e chi vive VIII. anni, è riputato vechissimo. Questi pigmei son i più sottili e' migliori maestri d'opera di seta e di bambagia, e d'ogni cosa che sia nel mondo. E' fanno spesso guera cogl'ucegli del paese, e sono molte volte da loro presi e mangiati. Questa piccola gente non lavorono terra nè vignia, ma fra loro sono gente grande, come siamo noi di qua, che lavorono le terre, e sì gli sostengono come fa di bisogno. E quella gente grande sono da loro scherniti, come noi faremmo loro, se eglino fussino di qua infra noi. Una buona città infra l'altre v'è dove è gran moltitudine di questa picola gente, ed è questa città molto bella e grande. Quando gl'uomini grandi, che stanno fra loro, ingenerano figliuoli, e' diventono così piccoli, come li pigmei, però che quela terra è di tal natura. Il Gran Cane fa guardar ben questa città, perchè è sua; e quantunque li pigmei sieno così piccoli, niente di meno e' sono razionali, sicondo il lor tempo, e sanno assai sì di senno e sì di malizia.
DELLA CITTÀ DI IANCAI, E DELLA CITTÀ DI MENCA, E DELLE LORO RICHEZE E USANZE.
Da questa città si va innanzi nel paese per molte città e per molte ville, insino a una città chiamata Iancai; ed è molto nobile, e rica, e bene situata. Ivi vanno gran parte di mercatanti per ogni mercatanzia. Questa città val più che niuna altra del paese, perchè el lor signiore n'à ogni anno d'entrata, sì come dicon quegli della città, L. mila tome di fiorini d'oro, perchè e' contono ogni cosa a tome. Ciascuna toma vale X. mila fiorini d'oro, e questo si può bene sommare. Il Re di questo paese è molto possente; non dimeno è sotto posto al Gran Cane; e 'l Gran Cane à sotto di sè XII. simile provincie; e in questo paese sono buone ville. Quivi è una buona usanza, perchè sono alcuni ostieri, a li quali, volendo far festa, o veramente convito, si dice: fatemi aparechiare domane per tanta gente da mangiare; dicendogli propio tutto el numero, e le vivande manifestandogli; e dicendogli: io voglio ispendere ancora tanto, e non più. Subitamente l'oste farà aparechiare sì pulitamente, che di nulla vi fallerà; e più presto e con assai meno spesa, che non farebe nella sua propia casa. E da questa città, lungo V. leghe, verso il capo di questa riviera di Dalai, è un'altra città, chiamata Mencha. In questa città si truovono grandissimi navilii, e sono tutte le nave bianche, come neve, per la natura del legnio, e sono grandissime e bellissime navi e bene ordinate; ne le quali sono sale con camere; e sono così bene ordinate e adobbate, come fussino in terra, edificate in una casa. Poi si va, per lo paese, per molte ville e per molte città insino a una città che si chiama Lenterim, la quale è di lungo otto giornate dalla città sopra eletta. Questa città sta sopra una riviera grande e larga, che si chiama Caromoran: questa riviera passa pel mezo Catai, e spesse volte dannegia el paese, quando ela cresce troppo.
DELL'ISOLA DI CATAI, E DELLE CITTÀ CHE IVI SONO, E DEL PALAZO DEL GRAN CANE, E DELLE SUE MAGNIFICENZIE.
Catai si è un'isola bella e buona, e mercatantesca, e rica. Ivi vanno ogni anno e mercatanti per ispezie e per altre mercatanzie più che non vanno altrove. E sapiate, che' mercatanti, e quali vanno da Genova e da Vinegia e da l'altre parte di Lombardia e di Romagna, e' vanno per mare e per tera XII. mesi, e anche più, prima che possano venire a l'isola di Catai, la quale è principale Reame di tutte le parte di là e del Gran Cane. Da Catai si va verso oriente di molte giornate, e truovasi una buona città, fra l'altre, chiamata Sugramarcho. Questa è una città me' fornita del mondo di seta, di spezie e d'altre mercatanzie in grandissima quantità. Poi si va più innanzi, verso uriente, a un'altra città antica, la quale è ne la provincia di Catai: e, allato a questa città, gli tartari ànno fatto fare un'altra città, che si chiama Caadonia, la quale à XII. porte, e trall'una porta e l'altra sì à una gran lega, sì che le due città, cioè la vechia e la nuova, ànno di circuito più di XX. leghe. In questa città è la sedia del Gran Cane in un grande e nobilissimo palazo: le mura di quello circundono circa a due leghe e più. Questo palazo è pieno di dentro d'altri palazi, e dentro v'è un giardino e un monte, sopra el quale è un altro palagio, il quale è il più bello e il più ricco che si potessi divisare nel mondo. Intorno al palagio e 'l monte sono fossi grandi e profondi pieni d'acqua, e allato vi sono gran peschiere da una parte e dall'altra: e ivi si è un bel ponte per passare e fossi. In queste peschiere sono oche salvatiche, anitre, cisoni e anghironi sanza numero; e intorno le fosse e le peschiere è un gran giardino tutto pieno di bestie salvatiche; sichè il Gran Cane, quando e' vuole avere di queste bestie e uccegli salvatichi, egli va a cacciare, e pigliane da la finestra sanza uscir fuori de la sua camera. Questo palazo, dove è la sedia, è molto grande e bello d'intorno, del quale nella sala sono XXXIII. colonne d'oro fine, e tutte le mura sono coperte di dentro di belli coiami rossi di bestie chiamate pathios, le quale sono molto odorifere; sì che, per lo buono odore delle pelle, nissuno cattivo aere vi poterebe stare nè entrare nel palazo; e' peli di quelle pelle son rossi a modo di sangue, e lucono contro al sole, che quasi niuno vi può guardare. Molte gente adorono queste bestie, quando le veggono, per la lor virtù grande; e, per la virtù che ànno, egliono apprezono tanto queste pelle, più che piastre d'oro. In mezo di questo palazo è un tribunale per lo Gran Cane, tutto lavorato d'oro e di pietre preziose e di perle grosse; ed è quadrato per ogni cantone de la quadratura; e in su ogni canto di questo tribunale sono IIII. serpe, tutte d'oro; e d'intorno, alquanto largo, vi sono un Re e una Reina fatte di seta d'oro e d'ariento e di perle grosse, le quale pendono atorno a questo tribunale; e di sotto a questo tribunale sono condotti delle bevande che si beono nella corte dello imperadore; e, a lato a questi condotti sono molti vasi d'oro, colli quali quegli del palazo beono al condotto. La sala del palazo è molto solennemente ornata, e molto maravigliosamente bene aparechiata d'ogni cosa che si può aparechiare. Primamente, a capo della sala, è el trono dello imperadore, ben alto, dove e' siede a la tavola, ed è adornata di fine pietre preziose e ricamature intorno d'oro, le quali sono tutte piene di pietre preziose e di perle grosse; e' gradi, pe' quali si saglie, sono tutti di diverse pietre preziose e di fine oro. Da la sinistra parte del seggio dello Imperadore, è il seggio della sua prima moglie, e è un grado più basso del seggio dello Imperadore, e è di diaspro ricamato d'oro e di pietre preziose. E poi segue el seggio della sua seconda moglie, e è un grado più basso che quello della prima, e è di diaspro lavorato così come l'altro. Lo terzo seggio, che v'è, si è quello della sua terza moglie, e è un grado più basso che il secondo; imperò che lo 'mperadore à tuttavia tre moglie in qualunque parte si sia. E, dopo le sue moglie, in quel medesimo luogo, siedono le donne e fanciulle del suo lingnagio, ancora più basso, sicondo la loro condizione; e tutte quelle che sono maritate ànno uno piede contrafatto d'uomo sopra le loro teste, lungo circa d'uno cubito, lavorato tutto di perle grosse di oriente, e di sopra lavorato di penne lucente di pagone, o vero di collo di grù, a modo che un cimiero, o vero d'un capo d'elmetto, a dimostrare, che ele sono in subiezione e sotto e piedi de l'uomo; e quele che non sono maritate none portono. Da la destra parte de lo 'mperadore siede prima el suo primogenito, il quale debe regnare dipoi lui, e siede un grado più basso che lo 'mperadore, a modo che quegli delle imperadrice stanno; e dapoi segue quegli del suo lignaggio, sicondo le loro condizioni. Lo imperadore à la sua tavola fatta d'oro e di pietre preziose e di cristallo bianco, intarsiata d'oro e de amatisto e di legno aloes, che viene di paradiso; e d'avorio bianco ricamato d'oro. E ciascuna delle sue mogli à una tavola di per sè e' suoi figliuoli, e altri gran signori che seggono presso a lui: per lo simile non è tavola ivi, che non vaglia un gran tesoro. E sotto la tavola dello Imperadore seggono IIII. uomini litterati, e quali mettono in iscritto tutto quelo che dice lo 'mperadore, o ben o male che sia; però che si conviene ritenere tutto ciò che dice, perchè egli non può mutare o stornare la sua parola. Inanzi a la tavola dello imperadore sono gran feste: ivi sono tavole d'oro, e pagoni d'oro ismaltati molto nobilmente, e sonvi di molte altre maraviglie d'uccegli, tutti d'oro ismaltati molto nobilmente, e sonvi molte altre cose e d'altre maniere: e fanno questi uccegli ballare, danzare e cantare sopra le tavole, percotendosi le palme; e di ciò fanno gran festa e buffoneria. Io non so se questo sia per artificio, o per nigromanzia. Ed è pure una bellissima cosa a vedere e una gran maraviglia, come ciò possa essere; ma questo posso bene io dire, che queste sono le più sottil gente in ogni scienzia, nella quale egli s'intromettono. In ogni artificio che sia, o che possa esere per lo universo mondo, egli el sanno bene; e per questa cagione e' dicono, ch'e' vegon ben da due occhi, e i cristiani non vegono se none da uno occhio; però che egliono sono e più sottili da poi loro, ma tutte l'altre nazione sono cieche in opere e in iscienzia. Io durai gran fatica per sapere il modo con che fanno ciò, ma il maestro mi disse: io ho botato a Dio immortale di non lo insegnare ad alcuno, ecetto al primo mio genito, e così voglio oservare. Item, di sopra alla tavola dello imperadore, cioè da un lato della sala, è una vigna tutta messa a oro fino, la quale à molti grappoli e racimoli di pietre preziose di diversi colori, come bianche, gialle, rosse, verde, nere. Le bianche sono di cristallo di berillo e di yris; le gialle sono di topazzi[30]; e li rossi sono di rubini granati e di albandina; li verdi sono di smiraldo, di perides e di grisolido; e i neri sono di onichini; e sono così bene lavorati, che egli paiono veri grappoli d'uve. E inanzi a la tavola istanno e gran baroni e gli altri che egli servono, e non v'è uomo di tanto ardimento, che vi dicessi una parola, non parlando a lui lo 'mperadore, salvo che e pifferi[31], che dicono canzone e giuochi e altre cose per sollazzo dello imperadore. Tutti e vasi, con che si serve nelle sale e nelle camere, son di pietre preziose, spezialmente a le gran tavole; o che sono di diaspro, o di cristallo, o di ametisti; e sonvi tazze e cuchiai di smeraldo e di zafiro e di topazio e di peridos e di molte altre pietre: e sonvi ancora vasellami d'oro fine e di ariento. Non ve n'è però alcuno che eglino aprezino tanto l'ariento che e' si degnino fare vasi, ma d'argento fanno i gradi, e le colonne e aparamenti delle sale e delle camere. Item, inanzi a l'uscio della sala stanno molti baroni e cavalieri a ciò che niuno entri sanza comandamento e volontà dello imperadore, salvo che' servidori e ministri dello ostello e quali entrano e escono a loro volontà, e nessuno altro è tanto ardito che ardisca apressimarsi a l'uscio della sala. E sapiate che i miei compagni, e io insieme lo servimo al soldo per ispazio di XV. mesi contra il Re di Manthi, col quale aveva guerra; e la cagione fu, che noi avavamo disiderio grande di vedere se lo stato, la nobiltà, l'ordine e il governo della corte sua era tale qual noi avavamo udito. E certo noi trovamo nella corte sua asai più ordine, nobilità, eccellenzia e maraviglia di quello che c'era stato detto, e giamai creduto non l'aremo, se non avessimo veduto; però che a pena niun potrebe credere la nobilità e la moltitudine della gente che è nella sua corte, se non lo vedesse; perchè ivi non è come di qua; che' signiori di qua vanno con poca gente, cioè con poco numero, e 'l Gran Cane à ogni dì, a suo spese, gente quasi sanza numero. Ma l'ordine, e il costume, e il vivere, la onestà e la netteza non sono simile a quelle di qua, però che ivi la comune gente mangia sanza tovaglia, sopra piedi e sopra ginochi, e mangiano di ciascuna maniera di carne, e poco pane; e dopo mangiare si forbono le mane alle giornee, e non mangiono altro che una volta el dì: ma lo stato del gran Signiore è grandissimo, e richissimo, e nobilissimo. E quantunque alcuni sieno che non credono, e tengono a favola e bugia quel ch'io discrivo della nobilità di sua persona, di suo stato, di suo cortesia e del grande ordine di gente che tiene, niente dimeno io dirò alcuna parte delle maniere e dell'ordine di lui e della sua gente, sicondo che io ho veduto molte volte. Chi mi vuol credere, mi creda, se gli piace; e chi nol vuol credere, sì lasci stare, però che io so bene, se alcuno è stato nel paese di là, quantunque non sia stato infino al luogo dove sta il Gran Cane, arà udito parlar di lui e del suo stato tanto, che legiermente mi crederà. E quegli che saranno stati nel luogo e nel paese, o vero nella stanza del Gran Cane, saperranno ben se io dico il vero; sì che per quegli che nulla sanno e non credono altro che quello che egli vegono, non lascerò di scrivere una parte di lui e del suo stato che mena quando va da uno paese all'altro, e quando egli fa feste solenni.
PERCHÈ SI CHIAMA EL GRAN CANE E DI CUI DISCESE, E DEL NOME DE' SETTE LINGUAGGI DI BARBERIA.
E inprimamente iscriverò la cagione, perchè lui è chiamato Gran Cane. Voi dovete sapere che, dapoi el diluvio, esendo il mondo distrutto, rimase Noè co la sua famiglia. Noè aveva tre figliuoli, cioè Cam, Sem e Iafet. Cam fu colui che rise del padre, quando innebriò per lo bere del vino, addormentato e discoperto, e però fu maladetto; ma gli altri tre suo frategli, di ciò dolendosi, copersono el padre. Questi tre frategli presono tutta la terra in libertà. Cam per sua crudeltà prese la parte orientale, chiamata Asia, la minore e la magiore: Sem prese Africa, e Iaphet Europa, e però in tre parte è la terra divisa. Cam fu el maggiore e 'l più possente dei suo frategli; e di lui discese più generazioni che degl'altri. Di Cam nacque Chus, del qual nacque Nebroth gigante, el quale fu primo Re al mondo, el qual fece la torre di Babillonia. Colle femine della generazione di questo Cam giacevono e dimonii, e ingeneravono gente diverse, come sono monstri e gente sfigurate; alcuni sanza testa, alcuni con gli orechi grandi, alcuni con uno ochio, altri con piè di cavallo e con altri membri disformi. Dalla generazione di Cam discese la pagana gente, e la diversità delle gente che son nelle isole del mare e per tutta l'Asia. E perchè egli era il più possente, e niuno poteva contastare a lui, egli si facea chiamare figliuol di Dio, e superiore di tutto 'l mondo: e per questo Cam, tutti gl'imperadori poi son chiamati tutti Gran Cani e figliuoli di Dio per natura, e superiori di tutto el mondo, e così si chiaman nelle sue lettere. E della generazione di Sem discesono e giudei e' saracini. Della generazione di Iaphet sono discesi li occidentali, che stanno in Europa. Questa oppinione ànno e giudei e' saracini, e così m'ànno dato a intendere, prima ch'io andassi in India, cioè che per la detta ragione lo imperadore de' Tartari era chiamato Cane: ma quando io fui in India, io trovai altrimenti essere la cosa: nondimeno gli tartari e quegli che stanno nella grande Asia discesono da Cam, ma lo imperadore di Catai non si chiama punto Cane, anzi Cam; e io vi dirò el vero, e in che modo si chiama Cam. Non sono ancora C º. e LX. anni passati, che tutta la tartaria era in subiezione e in servitù d'altre nazione d'intorno, però ch'egli erono tutti bestiali, e era la vita loro come bestie nelle pasture. Ma tra tutti questi tartari erone sette principali nazioni, le quali erono superiori a tutti loro; de le quali e primi erono chiamati Tartari; e da questa nazione pigliò el nome tutta Tartaria, però che questi erono più nobili e li più appregiati degli altri. Il sicondo lingnagio era chiamato Fhanghut, el terzo Bionch, il quarto Vilar, il quinto Semoth, el sesto Mongil, il settimo Coboch. Del primo lingnaggio fu uno valente uomo vecchio, non ricco chiamato Canguis[32]: giacendo una volta costui nel suo letto e dormendo, per visione gli parve, che gli venisse inanzi un cavaliere armato di bianche arme, il qual gli disse: Cam, dormi tu? a te mi manda Dio immortale: i' vo' che tu dica alli sette lingnaggi, che tu se' lo' mperadore, però che tu conquisterai il paese che è qua d'intorno, e li confinanti saranno i' nostra subiezione, sì come voi siete stati nella sua, perchè questa è la volontà di Dio immortale. Venendo la mattina, Canguis si levò, e andò a dire alli sette lingnaggi ciò che gli aveva detto el cavaliere; e i sette lingnagi feciono beffe di lui, e dicevono che lui era impazato. Onde lui si partì tutto vergognioso: e la notte seguente el bianco cavaliere venne a li sette lingnaggi, e comandogli da parte di Dio immortale, che eglino facessono Canguis loro imperadore, e che egliono sarebono fuori di subiezione e di servitute, e torrebbono gli altri regni intorno a loro nella loro subiezione. Onde la mattina egli elessono quello Canguis per imperadore, e sì l'assettorono sopra uno feltro nero, e, insieme col feltro, egli lo levorono alto con gran solennità, e sì lo assettorono in una cathedra, e tutti gli feciono riverenzia, e sì lo chiamorono Cam, a modo che aveva detto il bianco cavaliere. Quando costui fu talmente eletto, e' volle assagiare, se si potessi fidare in loro, e se egli vorrebono esere ubbidienti; e fece fare molti statuti e ordini, chiamati Isacham. El primo statuto fu, che egli ubidisono e credessino in Dio immortale e onnipotente, al quale piacesse di tragli di servitute, e 'l quale sempre chiamassono in adiutorio nei loro bisogni. L'altro statuto fu, che tutti gl'uomini del paese che potessino portare arme, fussino numerati, e che a ciascuna decina fusse dato uno maestro; et a venti, uno altro, e a C º. uno capo, e a M e. un capitano. Da poi comandò a tutti e principali dei sette lingnagi, che egli lasciassono e rinunziassono ciò che avevono di bene di redità, e che in quell'ora poi rimanessino contenti di ciò, che farebe di sua grazia: egliono lo feciono subito[33]. Da poi fece un altro oribil comandamento a tutti e principali sopradetti, che ciascuno faciessi venire il suo primo genito, e con loro propie mani ogni uno tagliassi il capo al suo figliuolo sanza dimora alcuna: e subito fu compiuto el comandamento. Quando el Can vide che e' non contradicevono a cosa alcuna che e' comandassi, si pensò che molto bene si poteva fidare; e presto comandò loro, che fusino tutti aparechiati in arme per seguire la sua bandiera; e poi per forza sottomettesse tutte le terre che sono d'intorno. E avenne, che, un dì cavalcando el Cane con poca compagnia per riguardare la forza del paese, che egli aveva guadagnato, si riscontrò con gran multitudine di suoi nimici; e ivi fu il suo cavallo morto e lui abattuto. E vedendo la gente sua i' lor signiore abattuto, e credendo che fussi stato morto, tutti si missono in fuga; e i nimici gli seguitorno apresso, e non si avidono, che per la lor fuga lo imperadore s'andò ascondere per un picolo e spesso bosco. E ritornati i nimici dalla fuga, andorono a cercare pel bosco, se vi trovasino alcuno ascoso. Molti ne trovorono e missongli a morte; e mentre ch'egl'andavano cercando verso el luogo, dove era el Cane, vegono sopra uno albero, dove era il Cane, nascoso uno uccello chiamato Rub. Allora dicevano fra loro, che poi che quelo uccello stava sopra quell'albero, ivi non era alcuno riposto; e così nelle altre parte tornorono. Lo imperadore, salvato dalla morte, si partì di notte a salvamento, e inverso la gente sua andò, la quale molto fu lieta della sua venuta e renderono grazie a Dio immortale e a quello uccello, per cui si fu salvato i' lor signore; e però sopra a ogni altro uccello del mondo egli onorono quello, e se possono avere della penna, la serbono in luogo di reliquie e conservono molto preziosamente, e la portono sopra loro teste, e credono, quegli che la portono, essere difesi da ogni pericolo. Dipoi il Cane ordinò suo gente per andare sopra quelli che l'avevono asalito, e tutti gli distrusse e misse a servitute. Quando il Cane ebe guadagnato e sotto poste le terre e 'l paese d'intorno di qua dal monte di Beliam, el bianco cavaliere un'altra volta venne a lui dormendo, e disse a lui: Cam, la volontà di Dio immortale e onnipotente è, che tu passi el monte Belliam, e guadagnerai le terre, e sottometterai a te molte altre nazioni; e perchè tu non truovi bene passaggio per andare verso quel paese, và al monte Beliam, el quale è sopra el mare, e inginochiati IX. volte verso oriente, al nome di Dio immortale. e a lui chiedi che ti mostri il camino dove tu puoi passare. El Cane fe' a quel modo che gli fu comandato, e di subito el mare, che toccava el monte, si ritrasse adietro, e dimostrava una via larga e bella VIIII. piedi. E in tal modo passò colla sua gente, e per quelle VIIII. inginochiate, e per li VIIII. piedi della via, dall'ora in qua el Cane e tutti e Tartari ànno auto e anno il numero VIIII -nario in gran riverenzia. E per questo, quando lui vuole presentare o cavagli, o ucegli, o archi, o frutti, o qualunque altra cosa, tutta via manda il numero di nove, e il presente è più degnamente ricevuto, che se fusse C º. o CC º.; perchè a lor pare, che questo numero sia santificato, però che 'l messaggio di Dio immortale el costituì. Dopo che 'l Cane ebe guadagnato el paese di Catai e sotto posto molto paese intorno, lui cadde in malattia, e ben conobe, ch'egli dovea murire, disse a' XII. suo figliuoli, che ciascuno di loro gli portassi una delle sue saette. Subito lo feciono; e poi disse, che tutte a XII. fussono legate insieme con tre legami: e, così legate, dette al primo suo figliuolo, e disegli, che le rompessi tutte insieme: el figliuolo si sforzò di romperle, ma non potè. El Cane comandò al sicondo figliuolo che le rompesse; e così da l'uno a l'altro, ma niun di loro le potea rompere. Dipoi disse il Cane al più giovane: separa l'una da l'altra, e rompi ciascuna di per sè; e così fece. E poi disse el Cane al primogenito e agl'altri, perchè cagione non l'avevono rotte? Risposono, che non potevono, perchè erono legate tutte insieme; e egli disse: perchè egli l'à rotte el vostro minor fratello? però che eron separate l'una da l'altra. E allora disse el Cane: figliuoli miei, el simile è di voi, imperò che, mentre che sarete legati insieme di tre legature, cioè d'amore, lealtà e di concordia, niuno vi poterà agravare; ma se voi sarete separati da questi legami, sì che l'uno non aiuti l'altro, vo' sarete distrutti e annichiliati. Adunque argomentatevi, e ricordatevi del mio consiglio: onoratevi e amatevi l'un l'altro, chè sarete signiori e superiori di tutto: e, fatti gli ordini suoi, si murì.
Dopo lui sì regniò Othetana Can con suo primo genito, e gl'altri fratelli suoi andoro a guadagnare altri paesi e molti regni, infino alla terra di Prussia e di Rossia: e tutti si feciono chiamare Can; ma erono però sotto l'ubidienzia del lor primo fratello; sì che per questa cagione fu lo 'mperadore chiamato Cam; e dappoi successono tutti gli altri. Dopo Otetana Cam, regniò Brunon Cam, e poi Mango Cam[34], e questo fu buon cristiano battezato, e dette a tutti e cristiani lettere[35] di perfetta pace, e mandò suo fratello Alaon con gran multitudine di gente per guadagnare la terra santa, e per ridurla nelle mani de' cristiani, e per distruggere la lege di Maometto, e per pigliare el Califfe di Baldach, che era signiore et imperatore di tutti e saracini. E, quando fu preso il Califfe, tanto tesoro vi fu trovato, che appena ne doveva esere altrettanto nel resto del mondo. Alaon fece venire el Calife inanzi a sè, e dissegli per qual cagione e' non aveva tolti molti soldati per una parte di questo tesoro, per difendere il suo paese; e lui rispose, che si credeva assai avere di questi del suo paese propio. Allora disse Alaon: tu fusti a modo che Dio tra' e saracini, e li Dii non debono mangiare vivande mortale; imperò tu non mangerai altro che pietre preziose, e 'l tuo tesoro, che tu avevi tanto acomulato e tanto ragunato e amato. E fecelo mettere in prigione, e tutto il suo tesoro appresso a lui: e quivi si murì di fame e di sete. E dappoi Alaon arebbe guadagnato tutta la terra di promissione e messo nelle mani di cristiani, ma il Gran Cane murì fra quel termine; onde la impresa rimase tutta impedita. Dapoi Mango Cam, regniò Cobilla Cam, el qual fu cristiano e regniò XLII. anni: edificò la gran città di Ieuis in Catai, la quale è assai magiore di Roma. Gli altri Cam, che vennono dappoi, diventorono pagani, e così e successivi, tutti sono stati pagani infino al presente.
DEL TITOLO DEL GRAN CANE, E DEL GOVERNO DELLA CORTE SUA QUANDO SI FA FESTA, E DELLE MANIERE DE' BARONI CHE SERVONO A TAVOLA, E DELLI SAVI CHE VI SONO, E DI MOLTE ALTRE COSE MIRABILE E STUPENDE.
El Gran Cane è el più possente imperadore che sia sotto il firmamento, e così si chiama per titolo nelle sue lettere: Cam, filius Dei excelsi, omnium universam terram colentium summus Imperator, et Dominus omnium dominantium. Le lettere intorno al suo suggello suonano talmente, cioè: Deus in cœlo, et Cam super terram, eius fortitudo omnium hominum Imperatoris sigillum. E così è scritto nel suo piccolo sigillo. E quantunque questo imperadore non sia di presente cristiano, niente di meno lui e tutti e tartari credono in Dio immortale e onnipotente. E quando egli vogliono minacciare alcuno, dicono: Dio sa bene, che tu ti comprasti quello che io ti farò: tal cosa dicendogli, ciò che voglion fare. Poi che io v'ho detto la cagione, per la quale lo imperadore si chiama Cane, iscriverò ora il governamento de la corte sua, quando egli fa festa solenne, cioè le quattro principale feste dell'anno. La prima festa è de la sua natività; l'altra della sua presentazione nel luogo di Moisach, cioè nel tempio dove fanno una maniera di circuncisione: le altre due feste sono di duoi loro idoli; la prima quando l'idolo fu prima posto nel tempio e intronizzato[36]; l'altra quando l'idolo cominciò a parlare, o vero o fare il primo miracolo. Altre feste solenne non fanno, se non quando un de' suo figliuoli pigliassi moglie. Or sappiate, che a ciascuna di queste feste è grandissima copia di popolo, e molto ordinato e armato per migliaia e per centinaia e per decine; e ognuno sa ben chi el debe servire, e ciascuno si è ben acorto e atento a quelo che gl'apartiene; che non v'è difetto alcuno. Prima vi sono quatro mila baroni, richi e possenti, per guardare e ordinare la festa e per servire lo 'mperadore. Queste feste solenne son fatte di fuori nelle tende fatte di drappi d'oro di Tartaria e di camosciato, molto nobilissimamente. Tutti questi baroni ànno corone d'oro sopra le teste loro, molto nobile e molte riche, lavorate di gran pietre preziose e di perle grosse orientale, e tutti son vestiti di drappi d'oro di Tartaria, o vero di camossciato, e più pulitamente che nel mondo si potessi pensare nè scrivere. E sono queste vestimenta tutte fregiate d'oro d'intorno e lavorate di pietre preziose molto ricamente; e non dimeno drappi d'oro e di seta sono quivi a miglior mercato, che non sono di qua e panni di lana. Questi quatro mila baroni sono partiti in quatro parte, o sia compagnie; e ciascun migliaio è vestito di drappi d'un colore solo, e sono così bene adornati ricamente, che è una maraviglia a vedere. El primo migliaio, il quale è di duchi, di conti e di marchesi e d'amiragli, son vestiti di drapi d'oro, tessuti di seta verde, e ricamati d'oro e di pietre preziose, al modo come io ò detto di sopra. El sicondo migliaio è vestito tuto di drappi di colore di diaspro e di seta vermiglia, tuta fregiata a oro e a perle, molto nobilissimamente lavorate. El terzo migliaio è vestito di drapi di seta purpurina di India. El quarto miglaio è vestito di drapi bianchi, e tute le lor veste sono nobilissime e pulitamente lavorate d'oro, di pietre e perle, chè uno uomo di nostro paese, avendo una sola di queste veste, potrebe per vero dire, che mai non sarebe povero; però che le lor pietre e perle varebono un gran tesoro di qua, più che non fanno di là. E, in tal modo aconci e chiamati, vanno ordinatamente a due a due inanzi a lo 'mperadore sanza parlare, inclinandosi solennemente. Ciascuno di loro porta inanzi a sè una tavoletta di diaspro, o d'avorio, o di cristallo, o di ametiste: inanzi a loro vanno tutti e pifferi, sonando di molti e diversi strumenti. Quando el primo migliaio è passato, e fatto la sua mostra, e' si tirano da lato a una parte. Poi passa oltre l'altro migliaio, e così el terzo, e anche il quarto, a uno modo; nè uno solo v'è che parli una sola parola. A lato a la tavola dello imperadore, il quale siede in tribunale, seggono di molti filosafi e savi di molte scienzie, come d'astronomia, di geometria, di negromanzia, di idromanzia, di augurii e di molte altre scienzie. Alcuni di questi filosafi ànno, inanzi a loro, astrolabii, sproni d'oro, vasi d'oro pieni di sabione, teste di morti, ne le quali fanno parlare maligni spiriti; e alcuni vaselli d'oro pieni di carboni ardenti; vaselli d'oro pieni d'acqua; altri d'olio; altri di vino; oriuoli d'oro e molti altri loro istrumenti, sicondo le loro scienzie. A certe ore, quando pare a loro, e' dicono a' suoi vassalli e a' famigli, che tutta via stanno inanzi a loro, disiderosi e pronti per fornire e loro comandamenti: fate pace. Allora dicono e famigli: fate pace; ascoltate. Poi dicono e filosafi: ciascuno faccia riverenzia, e fortemente inchini allo imperadore, il qual è figliuol di Dio e signior superno di tutto il mondo, perchè l'ora è di presente: e ciascuno abassa el capo a terra. Poi dicono questi filosafi: levate su. Poi a un'altra ora dirà un filosafo: mettete il vostro piccol dito nell'orechio vostro: e subitamente egli el fanno. E un'altra ora dirà un altro filosafo: mettete la vostra mano inanzi alla vostra bocca: e egli il fanno. Poi dice un altro: mettete la vostra mano sopra la vostra testa: e egli subitamente el fanno. Poi dice, che egli la levino; e così fanno. E in questo modo, d'ora in ora, gli dicono diverse cose; e dicono che queste cose ànno grandissimo misterio. Io gli domandai da parte, qual misterio e qual significazione avevono queste cose. Egliono mi risposono, che l'abassar le teste in questa ora aveva così fatto misterio, che, tutti quegli che l'avevono abassata, sarebono sempre ubidenti a lo imperadore, che nè per doni nè per promesse poterebono mai esere corroti, nè, per alcuno avere, inclinati a fare alcuno tradimento. Di mettere il dito nell'orechie dicevono, che niuno di quegli poterebe mai udir cosa contro a lo imperadore, che subito non gliene dicessino, se ben fussi il padre, figliuolo o fratello che 'l dicessi. E così di ciascuna persona o di cosa ch'egli dicono o fanno fare, eglino dànno diversi misterii. Siate certi che nessuna cosa si fa che appartenga allo imperadore nè drappi, nè panni, nè veruna altra cosa, salvo che a quella ora che dicono e filosafi, e' non moverebono un passo, se none a punti di stelle. E se nella terra de lo 'mperadore si fa guerra, o vero cosa a lui contraria, questo subito e filosafi e negromanti el vegono, e dicono a lo 'mperadore, o al suo consiglio: Signiore, di presente nella terra vostra, o in tal parte, si fa la tal cosa. E subito lo 'mperadore manda gente verso quella parte, e fa la sua providigione. Quando e filosafi ànno così fatto e suoi comandamenti, e' pifferi cominciono a sonare, e ciascuno el suo istromento, l'uno e poi l'altro, e fanno una gran melodia. Quando ànno sonato un gran pezzo, uno de' pifferi dello imperadore monta alto sopra una sedia lavorata molto nobilmente, e grida, e dice: fate pace; e ciascuno si tace. Da poi vengono tutti quegli del parentado dello imperadore, aparechiati molto nobilmente di drapo d'oro, e quali ànno aparechiati cavagli bianchi, quanti ne possono avere; e poi il siniscalco della corte chiamagli tutti, e nomina prima il più nobile, dicendo: siate aparechiati con el tale numero di cavagli bianchi per servire il nostro imperadore, signior nostro. E così, digradando, chiama tutti quegli dello 'mperadore; e poi, quando gli à così chiamati tutti, e' passono inanzi a lo 'mperadore l'uno dietro a l'altro; e, così ordinati, entrono l'uno dopo l'altro e presenton loro cavagli bianchi a lo 'mperadore, e passono oltre. E dapoi viene gli altri baroni, ciascuno di quegli gli dona, o vero presenta gioielli, o vero altra cosa, sicondo la lor condizione. Dipoi vengono e prelati de la lor legge, e ciascun gli dona qualche cosa: poi quando egli ànno tutti oferto a lo 'mperadore, el magiore de' prelati dona la sua benedizione, dicendo l'orazioni de la sua legge. Poi cominciono e pifferi a sonare un'altra volta; e quando gl'ànno così un pezzo sonato, e' restono e fanno venire inanzi allo 'mperadore lioni provati e altre bestie, aquile e avoltoi, e altre ragione d'animali, di pesci e serpe, per fargli riverenzia, perchè e' dicono che ogni criatura debe ubidire a lui e fagli onore e riverenzia. E poi vengono giocolatori e incantatori, che fanno trope maraviglie; però che fanno venire nell'aria el sole e la luna per sembianza (per fare riverenzia al Re), di tanta chiarezza, che quasi l'uno non può veder l'altro. Poi fanno venire la notte, sì che e' non si vede quasi niente. Poi fanno ritornare el dì: poi fanno venire danze con le più belle fanciulle del mondo, sì come paiono; e fanno venire altre fanciulle, che portono coppe d'oro piene di latte di vacca, e dànno da bere a' gran signiori e a gran donne; e po' fanno venire cavalieri che giostrono nell'aria, armati molto pulitamente di tutte l'arme che s'apartengono a giostra, e rompono le lance sì ferventemente, che e tronconi volano per tutte le tavole. Poi fanno venire cacce di cervi, e di cinghiali, e di cani coridori, e in somma fanno tante diverse cose, che è una maravigliosa cosa a vedere. E questi giuochi fanno insino a ora di mangiare. Questo imperadore à molte gente per servirlo, come io v'ò altre volte detto, e di piferi el numero è di XIII. cornuas: uno di questi cornuas fa di numero X. migliaia; ma e' none istanno però tutti con lui: però che tutti e piferi vengono inanzi a lui di qualunque nazione: egli gli fa tenere nella sua stanza; e quantunque e' vadino in altre terre, egliono non dimeno si chiamono piferi dello imperadore; e però n'è così gran numero de' valenti. E famigli[37] che sono diputati a la guardia degl'ucegli, astori, girifalchi, sparvieri, falconi gentili di riviera, e pappagalli parlanti, e altri uccegli; e così quegli che guardano le bestie salvatiche, mille elefanti e più, e altre diverse bestie arabiche, scimmie, marmotte, e altre bestie sono per numero XV. cornuas: e li fisici per la sua persona sono CC º., e i più sono cristiani, e sonvene XX. saracini; però che più si fida nell'opere de' cristiani che de' saracini. L'altra comune gente e famiglia è quasi innumerabile, e tutti ànno ciò che bisogna dalla corte dello imperadore. Ne la corte vi sono molti baroni e servidori che sono cristiani, che ivi stanno convertiti a la buona fede per le predicazioni de' religiosi cristiani che ivi sono; ma vi è molti, che non vogliono che si sappia, che sieno cristiani. Questo imperadore può spendere quanto vuole sanza istimazione, perchè egli non fa spendere oro nè ariento; nè d'altro fa moneta, che di corame e di papiro improntato. Ed è la moneta di vario pregio, sicondo la impronta sua; e quando la moneta è fatta vechia per molto manegiarla e è rotta e guasta, el tesoriere dello imperadore ne dà della nuova per la vecchia, una per una, per tutto el suo paese e per tutte le sue province, perchè ivi, come ò detto, non fanno monete d'oro nè d'ariento; e però pote egli spendere assai; ma dell'oro e dell'ariento, che è in suo paese, fa tutta via lavorare nel suo palazo e far cose diverse e mutare e rimutare sì come a lui piace. Nella sua camera è una colonna d'oro, sopra la quale è un rubino de la lungheza d'un piede, el quale di notte alumina tutta la camera. Questo rubino non è però diritto vermiglio, ma tiene di colore d'un bruno amatista: ivi sono molte pietre preziose e molti altri rubini, ma questo è el meglio e il più prezioso che lui abia. Item, al tempo della state sta lo imperadore a una città, che è inverso Bissa, la qual si chiama Sedon: ivi è assai freddo. Al tempo di verno sta in una città di Camacalech, ove è molto caldo paese, ma comunemente sta a Chaida, o vero in Ions, che è buon paese e asai temperato, secondo el paese di là: ma di qua parrebbe troppo caldo[38]. Item, quando lo imperadore cavalca da un paese a l'altro, egli fa ordinare IIII º. oste delle gente sue. El primo oste va inanzi a lui una giornata, però che questo oste giace la notte, dove lo 'mperadore debe giacere la mattina: ivi truova ogni uomo ciò che gli bisogna; e a questo primo oste, e da cavalo e da piede, son per numero L. cornuas: un altro oste va a la destra parte, di lungi una meza giornata, e l'altro a la sinistra parte altrettanto; e a ciascuno di questi due osti son tante genti, quante nel primo. El quarto, che è assai magiore che niun degl'altri, va dietro a lo 'mperadore, lontano a una arcata; e ciascuno oste ànno la sua giornata ordinatamente in certi luoghi, dove debono star la notte, e ivi egli truovono quanto fa di bisognio: e se aviene che una di quelle oste muore, subito n'è rimesso un altro in suo luogo, sì che il numero rimane sempre intero.
DELLA MANIERA DEL GRAN CANE QUANDO LUI CAVALCA, E DI COLORO CHE CAVALCANO SECO, E DELLA SIGNIORIA E GRAN POSSANZA SUA.
E sappiate, che lo 'mperadore colla sua persona non cavalca mai: el simile e gran signiori di là, salvo se eglino volessino andare in alcuna parte con poca compagnia secretamente; e questo per non essere conosciuto. Lo 'mperadore va in una carretta di IIII º. ruote, sopra la quale è una bella camera fatta d'una ragione legno chiamato aloes, el quale è condotto per un fiume dal paradiso, come io ò detto di sopra. Questa camera è molto odorifera, per cagione di questo legnio, e è tutta coperta di dentro, la camera, di piastre d'oro con pietre preziose e perle grosse: quattro elefanti e quattro destrieri bianchi, coperti di riche coperture, tirono questa carretta, e sei gran signiori vanno d'intorno a la carretta, a cavallo e aparechiati molto nobilmente: e niuno s'aprossima a la carretta, salvo questi signiori e quegli che son chiamati dallo imperadore per parlare. Sopra questa camera sono posti certi girofalchi, a ciò che, vedendo lo 'mperadore uno uccello salvatico, e volendo vedere e aver piacere di quello, gli lascia uno d'essi suoi girofalchi e più, come gli piace: in questo si piglia diletto passando pel paese. E, come io ho detto, niun cavalca inanzi a lui di sua compagnia, anzi tutti vengono dipoi, lungo lui, e niuno s'ardisce apressarsi a la camera, ecetto que' signiori che sono intorno a lui: e tutto l'oste vien dopo lui pianamente, dove è gran moltitudine di gente. In una simile carretta, e similmente ordinate vanno le imperadrici, ciascuna per sè, in IIII. osti, a modo che va lo 'mperadore, ma non con così gran moltitudine di gente. Dappoi il primo genito suo va in un altro carro e per un'altra via, per questa e con questa medesima maniera, ed è una maravigliosissima cosa a vedere la gran multitudine di gente: nissuno crederebbe la somma, chi non la vedessi! Alcuna volta aviene, che lo 'mperadore non va molto dilungi da loro, anzi va insieme, e sono loro gente nobile e ordinate e partite in IIII. parte[39]. Item, lo imperio di questo Gran Cane è partito in XII. province: in ciascuna provincia sono più di duo mila città, e ville sanza numero; e 'l suo paese è molto grande, però ch'egli à XII. Re principali, de' quali ciascuno à molti Re sotto posti a lui, e tutti ubidiscono al Gran Cane. La sua terra e la sua signoria dura tanto, che si starebe a andare da l'un capo a l'altro, per mare e per terra, più d'un anno: e pe' diserti, dove non si truova alcuna villa, vi sono ordinati ostelli per giornate, dove i trapassanti possin trovare quel che gli fa bisognio, a ciò che si possa andare per lo paese.
DEL MODO CHE OSSERVONO E CORRIERI SUA IN PORTARE PRESTO LE NUOVE, E DELLE COSE CHE SI FANNO AL GRAN CANE QUANDO CAVALCA PER LO SUO PAESE.
In quello paese è una maravigliosa usanza, ma è utile, perchè quando alcuno contrario viene, o altre novelle che tocchi allo imperadore, sì sa tanto in un dì, che un altro non saprebbe in tre, perchè ha gli cavallari ordinati che subito montono sopra durmedrari, o vero cavagli corridori, e vanno sempre correndo infino a uno oste de' predetti; e, quando lui s'appressa, suona un corno, e colui che è all'oste lo intende, e subito è aparechiato un altro e dà le lettere, e va correndo; e così, correndo, tramutandosi l'uno e l'altro, giugne a lo 'mperadore; e a questo modo à presto novelle: e son questi corrieri nel lor linguaggio chiamati adilla, che tanto vuol dire, quanto messaggieri. Quando lo 'mperadore va da un paese a un altro, sicondo il modo che io ò detto, e passa per le città e per le ville, ciascuno inanzi al suo uscio fa fuoco, e ardono polvere d'incenso molto odorifero, per donare buono odore a lo 'mperadore; e le genti s'inginochiono intorno a lui; e lungo le contrade sì gli fanno gran riverenzia: e i cristiani e i religiosi, che stanno nelle sue terre, gli vanno inanzi a la procissione colla croce e aqua benedetta; e andando verso lui cantano ad alta boce: Veni, creator spiritus. E quando egli ode, comanda a' signiori, che sono dallato a lui, che cavalchino e faccino venire inanzi a lui questi religiosi. E quando e' s'appressono e che vede la croce, si leva el suo galeotto, che siede sopra a la sua testa a modo d'un cappello di feltro, fatto d'oro e di pietre preziose e di perle grosse, el quale è tanto ricco, che sarebe stimato un reame di quel paese; e poi s'inginochia contro a la croce e fagli riverenza. Poi il prelato di questi religiosi dice inanzi a lui orazioni, e poi lo benedice colla croce; e lui s'inchina alla benedizione molto divotamente: e poi il prelato gli dona alcun frutto al numero di nove in un piattello d'ariento, cioè pere, o frutte, o pomi, o altre frutte; e lui ne piglia uno, e poi ne dà agli altri signiori che son d'intorno; però che l'usanza è tale, che niuno forestieri venga inanzi, che non gli doni qualche cosa, sicondo l'antica lege, che dice. Non apperebis in conspectu meo vacuus. Di poi lo 'mperadore dice a li religiosi, che si tirino indietro, a ciò che non sieno soffocati per la grande multitudine de' cavagli che vengono. El simile fanno a quelli che stanno nel campo della imperadrice: il simile fanno al primo genito, presentandogli dei frutti. E sapiate, che queste tante genti, che sono in queste tante oste d'intorno a lui e intorno alle moglie e i suoi figliuoli, non istanno continuamente con lui, ma, ogni volta che gli piace, son comandati, e poi tornono nelle propie stanze, salvo quegli che stanno per servire a lui e alle sue moglie e lor figliuoli per governare la sua corte. E quantunque tutti gli altri si partino, non dimeno comunemente e onorevolmente si stanno con lui nella corte L. mila uomini da cavallo e dumila da piedi, sanza e pifferi, e sanza quegli che guardano le bestie salvatiche, e gl'uccegli; el numero de' quali ò di sopra detto. Sotto il firmamento, nè sopra terra, nè sotto terra non è sì gran signore[40], come è il Gran Cane. El prete Giovanni, el quale è imperadore dell'alta India, e 'l Soldano di Babillonia con lo imperadore di Persia, nè di nobilità, nè di richezze non ànno comparazione alla sua possanza; imperò che egli avanza tutti i principi terreni. Adunque gran danno è che e' non creda in Dio fermamente. Lui ode molto volentieri parlare di Dio, e lascia farsi cristiano chiunque vuole per tutto el suo paese; però che a niuno è negato e vietato a mantenere qual legge si vuole. In questo paese uno à cento moglie, uno XL.; e chi più, e chi meno: egli pigliono le loro parenti per moglie, ecetto la madre, e le figliuole, e le sorelle; ma egli possono pigliare le sorelle da parte di padre d'un'altra femmina, e le moglie de' frategli, dopo la morte. E' portono tutti e drappi larghi sanza foderare, e sono interi dinanzi e di dietro, e dallato è allacciato e formato di seta; e portono le pelliccie di sopra, e non portono nè vestono nè usono cappucci. Usono una maniera di mantegli fessi dallato, sopra e quali si vestono e capucci a modo d'un capperone. Le femine loro si vestono a modo che gli uomini, sì che e' non si conoscono gl'uomini dalle femine, se non le maritate, che portono un segno sopra 'l capo; e gl'uomini non istanno insieme colle femine, ma ciascuno da sè; e l'uomo va da quella che gli piace a la sua casa; uomini e femine. Le case loro sono ritonde, fatte di bastoni, con una sola finestra ritonda di sopra, la quale fa i' lume, e dove n'esce il fummo: il coperto e le parete dentro sono di feltro. Quando e' vanno in guerra, e' portono le case seco a modo che noi facciamo le tende e' padiglioni, e fanno el fuoco nel mezzo della casa. Item, egli ànno grandissima moltitudine d'ogni maniera di bestiame, salvo che de' porci, de' quali egli non notriscono.
DEL MODO DEL SACRIFICARE LORO, E DE' NOMI DEI FIGLIUOLI DEL GRAN CANE.
Costoro credono in uno Dio, il quale criò e fece ogni cosa, e non dimeno egli ànno idoli d'oro e d'ariento e gli offeriscono sempre latte di bestie loro; così delle vivande e del vino prima ch'egli mangino; e ispesse volte oferiscono cavagli e altre bestie, e chiamono, lo Idio di natura, Iroga; e il loro imperadore, abia il nome come si voglia, egli lo chiamono Cane. Quando io fui in quel paese, il loro imperadore aveva nome Tinth Cane, e 'l suo figliuolo aveva nome Cosuc, e quando sarà fatto imperadore si chiamerà Cosuc Cam. Questo imperadore aveva XII. figliuoli, sanza quello, e nomi de' quali son questi: Cahadai, Vinim, Neag, Vocab, Cadi, Sida, Tuie, Soalac, Rabi, Cam, Gare, Gan[41]; e aveva tre moglie; la prima e principale fu figliuola del prete Giovanni, e aveva nome Serocam, e l'altra Heracam. Queste genti cominciono a fare ogni cosa a luna nuova, e molto onorono la luna e il sole, e spesso s'inginochiono verso di quegli. Egli cavalcono comunemente sanza isproni, ma portono sempre una sferza in mano, colla quale isferzono il cavallo.
DELLE COSE CHE E' TENGONO PER PECATO E DELLA PENITENZIA CHE GLI CONVIENE FARE PER QUESTI PECCATI, E DEL MODO CH'EGLI TENGONO A PRESENTARE IL GRAN CANE.
Egli tengono molto contro a cuscienzia e a gran peccato a gittare un suo coltello nel fuoco, e a tagliare col coltello la carne, e apogiarsi colla sferza colla quale si sferza el cavallo, e a percuotere il cavallo col suo freno, e a rompere uno osso con un altro osso, e a recare[42] un piccolo fanciullo sopra porpora. Un grandissimo peccato tengono a pisciare ne la casa dove stanno; e, chi vi pisciasse, certo l'ucciderebbono; e di ciascuno di questi peccati è bisogno che si confessino al lor prete, e pagare una gran somma d'ariento per penitenzia; e conviene, il luogo dove è stato pisciato, sia lavato e benedetto, e altrimenti, niuno vi ardirebe stare, nè entrare. E quando egli ànno pagato la lor penitenzia, egli gli fanno passare pel mezzo del fuoco e pel mezzo di due porte, per nettarlo di quel peccato. E quando alcun viene a presentare o a fare imbasciata a lo 'mperadore, è di bisogno, che lui, e il presente, e lo portatore passi per due fuochi ardenti per fagli purificare, a ciò che non vi sia veneno, o cosa cattiva che nuoca a lo 'mperadore. L'uomo preso in fornicazione è ucciso. Egli uccidono qualunque ruba cosa alcuna; e' sono tutti buoni arcieri, e corrono così bene le femine come gl'uomini. Le femine fanno tutte le cose, come drappi, tele, e altre arte, e menono carri e carrette: universalmente fanno ogni mestiero, salvo che archi, saette e armi[43], le quali fanno gl'uomini. Tutte queste femine portono le brache, come gl'uomini: tutte le genti di questo paese sono ubidienti molto ai lor signori e supriori. Egli non sono contenditori, nè fanno quistione l'un co l'altro, e nel paese non è alcuno rubatore: molto si onorono l'un l'altro, ma non portono onore a gente strana nè a forestieri, quantunque fussino principali. Egli mangiono cani, gatti, lupi, volpi, giumenti, puledri, asini, topi e ogni altra bestia grande, e salvatica privata; e mangiono tutte le bestie dentro e di fuori, e non gli cavono alcuna cosa, se non la feccia. Poco pane mangiono e usono, salvochè nelle corti de' gran signiori; e in molti luoghi del paese non fanno altro per minestra che brodo. Quando eglino ànno mangiato, eglino si nettano le mani a' gironi, perchè eglino non ànno tovaglie, se non alle corti de' gran signori, come è detto di sopra. E li signiori usono spesso pelle di bestie in luogo di tovaglie, e così la comune gente. E quando egli ànno mangiato, e' rimettono le scodelle non lavate nel lavegio[44], o vero nella caldaia del brodo, infino a tanto che vogliono mangiare un'altra volta. E richi uomini beono latte di cavalla e d'altre bestie, ed un'altra bevanda, che fanno d'acqua e di mele cotto insieme, perchè non ànno nel paese nè vino nè cervogia, e vivono molto cattivamente; e, come io ò detto, non mangiono se none una volta el die, e anche poco. Uno uomo di nostro paese più mangerebe in un dì, che loro in tre; e a' messaggi forestieri, che vengono dallo imperadore, gli dànno mangiare una volta el dì e poco. Egli guerreggiono molto saviamente, e sempre si studiono di confondere e nimici: ciascun di loro à due archi o tre, e delle saette in grandissima abundanzia, e una grande accetta in mano. Li gentili uomini ànno spade larghe e tagliente da uno lato, e ànno piastre e elmi di coiame pulito, di pelle di dragoni; e il simile le coperture da cavallo: e se alcun di loro fugge dalla battaglia, egliono l'uccidono. Egliono usono una gran malizia quando sono a uno assedio ad una terra murata, promettendo loro ogni cosa che sanno adimandare, oro e ariento, e ogni altra cosa, se s'arendono. Ma quando si sono arenduti, tutti gl'uccidono e sì gli tagliono gli orechi, e sì gli fanno quocere, e di questo mangiono a modo d'insalata: di questo fanno ancora guazzetto per li gran signiori. E' ànno intenzione di sottomettere tutte le criature, e dicono, che sanno bene per profezia, che saranno vinti per gente arcieri, e sì si convertiranno alla legge di quegli che gli vinceranno; e però sostengono pacientemente, che ogniuno, di qualunque legge si sia, abiti nel paese. Quando vogliono fare e loro idoli, o vero alcuna immagine in memoria d'alcuno amico morto, li fanno sempre nudi, e le immagine tutte ignude sanza segnio di vestimenta, perchè egli dicono, che nel buono amore non è coperta alcuna, e che e' non si debe amare per nobil vestimento, nè per nobile apparamento, ma solo amare pel corpo, il quale naturalmente è dotato di virtù, e non per vestimenti, che non son dote di natura. Item, un gran pericolo è a seguire e tartari quando fugono in battaglia, perchè, fugendo, tragono indietro, uccidendo gl'uomini e' cavagli. E quando s'aparechiono e aconciono per combattere, e' sono sì serrati insieme, che dua milia non paiono uno, e guadagnono molto bene le terre altrui, ma non le sanno guardare; però che sono più usi a stare nella campagna in tende e in padiglioni, che in ville e in castella. Egli non aprezono alcuna cosa nè 'l saper de l'altre nazione. Egliono apreziono e vendono molto olio d'ulive, però che dicono, che è una nobile medicina. Tutti e tartari ànno piccoli ochi e poca barba e chiara, e sono sì falsi e sì malvagi traditori, e tanto fraudolenti, che niun si dè fidare nè nelle parole nè nelle promesse loro: e' sono assai durissima gente e possono sofferire molta pena e sinistro, molto più che altra gente; però che egli ànno molto bene imparato nel propio paese. Nulla spendono quando alcuno debe murire per malattia: e' mettono una lancia apresso del malato, e quando laborat in extremis, ciascuno fugge fuori della casa, tanto che sia morto; poi lo sotterrono nei campi.
DEL MODO CHE SERVONO QUANDO MUORE LO IMPERADORE IN SOTTERRARLO, E DEL MODO CHE TENGONO QUANDO NE FANNO UN ALTRO, E DELLE PAROLE CHE LUI DICE ALLA ELETTA.
Quando lo 'mperadore muore, egli lo mettono in una catedra[45] a sedere nel mezzo della tenda sua molto onorevolmente, e inanzi a lui una tovaglia con carne e con vivande e uno nappo pieno di latte, innanzi a lui, di cavalla; e mettongli apresso il suo puledro e una cavalla sellata col suo freno, e, sopra alla cavalla, oro e ariento; e empiono la tenda di strame; poi fanno una gran fossa e larga: con tutte queste cose il sotterrono, e dicono, che, quando e' sarà nell'altro mondo, e' non sarà sanza stanza, nè sanza cavallo, nè sanza oro, nè sanza ariento, e la cavalla gli darà latte e gli farà altri cavalli, tanto che sarà ben fornito nell'altro mondo. Alcuni de' suoi cavalieri e uficiali si mettono nella fossa con lui per servirlo nell'altro mondo, però che credono, che a l'altro mondo si viva in sollazo con femine, a modo che fanno di qua. Ancora molte volte egli lo fanno sotterrare secretamente di notte nel più salvatico luogo che possono; e sopra la fossa vi rimettono l'erbe e gli roghi, acciò che niuno lo truovi mai più, e che più non venga in memoria a niuno degli amici suoi. Allora dicono, che si troverà vivo nell'altro mondo e che lui è magiore signore di là che non era di qua. Dopo la morte dello imperadore e sette lingnaggi si ragunono e elegono il suo figliuolo maggiore, e sì gli dicono: noi laudiamo ( sic ), ordiniamo, e vi preghiamo, che voi siate nostro Signiore, e nostro imperadore, e nostro governatore. E lui risponde: se voi volete, ch'io regni sopra di voi, ciascun di voi faccia ciò che io gli comanderò, e tutto quello che io dirò sia compiuto. Egli rispondono tutti a una boce: tutto ciò che voi comanderete, sarà fatto. Poi dice a loro lo imperadore: sappiate che da ora inanzi la mia parola sarà tagliente come ispada. E poi l'assettono sopra nel feltro nero, e poi il mettono nella sua sedia, e sì gli mettono la sua corona. Poi il paese gli manda tutti a presentarlo in modo, che in quel dì à più camegli carichi d'oro e d'ariento, sanza e gioielli de' gentili uomini, d'oro e di pietre preziose, che sono sanza estimazione; e sanza i cavagli, sanza i drappi di porpora e di camosciati di Tartaria, che sono sanza numero.
Questa terra di Catai è nella profonda Asia, e poi di qua è Asia maggiore, e confina col Reame di Tarsia dallato verso occidente; el qual Reame di Tarsia fu d'uno de' Re, che venne a trovare e presentare il nostro Signiore in Bethlem; e quegli che sono del linguaggio di quel Re, son tutti cristiani. In Tarsia non mangion carne, nè beono vino. Di qua dal Reame di Tarsia, da lato, verso occidente, è il reame di Turcquestem, el qual si stende verso occidente infino al reame di Persia, e di verso settentrione, infino al reame di Corasina. In questo paese di Turcquestem sono poche buone città: la migliore città di quello reame si chiama Ottorai. Ivi sono grande pasture e poche biade, e però son eglino tutti pastori, e giaciono nelle tende, e beono cervoge fatte di miglio.
DELLA CITTÀ DI CORASINA, E DI MOLTI PAESI STRANI.
Poi da lato di qui è il Reame di Corasina, el quale è buon paese abondevole, [ma] sanza vino: verso oriente è un diserto, che dura più di C º. giornate. La magiore città del paese si chiama Corasina, della quale el reame piglia el nome: quegli del paese son molto buoni guerrieri e arditi. E poi di qua è il reame di Comano, del quale anticamente furono discacciati li comani, che furono in Grecia. Questo è uno delli magiori reami del mondo, ma non è tutto abitato, però che da una parte, verso Bissa, è il freddo sì grande, che nissuno lo potrebbe mai patire; e sonvi tante mosche, che non si sa in qual parte volgersi. In questi paesi sono pochi alberi fruttiferi, onde vi sono poche legnie. Gli uomini giaciono nelle tende e ardono sterco secco di bestie. Questo reame viene discendendo verso Prussia e verso Russia; e pel mezo di questo reame corre el fiume di Tigris, el quale è una de le magior riviere del mondo, e si aghiaccia sì forte, che spesse volte sopra il ghiaccio sono ragunati combattenti a cavallo e a piedi, più di XXX. mila persone. E tra questa riviera è il gran mare occeano, che si chiama el mare Mauro. Verso il capo, di sotto questo reame, è il monte Cochis, el quale è uno de' più alti monti del mondo. E tra il mare Mauro e il mare Caspio, ivi è uno molto istretto passo, per andare verso India; e però vi fece fare Alessandro una città, che chiamò Alessandria, per guardare el paese, acciò che niuno vi pasasse contra sua voglia: e al presente si chiama quella città, Porta di ferro. La principal città di Cumana si chiama Barach, ed è una delle tre vie d'andare in India; ma per questo passo non potrebbe andare gran multitudine di gente, salvo che di verno: per questa via si ruba l'altra via, per andare nel reame di Turquesten in Prussia, e per questa via son molte giornate di diserto. La terza via è, per la quale ( sic ) si viene di Cumana, e vassi per lo gran mare, e per lo reame di Archas, e per la grande Armenia. E sapiate che tutti questi reami, e tutte queste terre, infino a Prussia e a Russia, ubidiscono tutti il Gran Cane di Catai e molti altri paesi e confini, sicchè il suo potere e la sua signioria è molto grande.
DELL'IMPERIO DI PERSIA, E DELLE CITTADI CHE IVI SONO.
Poi che io v'ò discritto le terre e i reami inverso le parte di settentrione, discendendo da la terra di Catai infino alla terra de' cristiani, verso Prussia e verso Russia, io vi scriverò altre terre e reami, iscendendo per questa costa verso la parte destra, infino al mare di Grecia, inverso la terra di cristianità. E dipoi lo 'mperio di Catai, è lo imperio di Persia, e minori reami. Io parlerò prima del reame di Persia. Dua reami vi sono; il primo comincia di verso oriente infino a la riva di Frison, e di setentrione infino al mare Caspio, e verso mezzo dì infino a' diserti d'India. Questo paese è buono e ben popolato, e evvi dua buone città principali; l'una Botrura e Socvergant, la quale alcuni chiamono Sarmagant. L'altro reame di Persia si stende per la riviera di Frison, verso la parte occidentale, infino al reame di Media, e verso settentrione infino alla grande Arminia e 'l mare Caspio, e in verso mezo dì infino a la terra di India. Questo si è buon paese e abondevole: ivi sono III. principali città, Neabor, Saphaon e Carmasana: dapoi è Erminia, ove soleva esere IIII. reami. Gli è un nobile paese, e abondevole di beni, e comunemente comincia a Persia, e sì si stende verso occidente dilungi infino a Turchia: da l'altra parte dura, dalla città chiamata Alessandria (da altri chiamata Porta di ferro) sopra detta, infino al mare di Media; e in questa Armenia son molte buone città; ma Taurissa è la più famosa. Di poi è 'l reame di Media, il quale è molto buono, e non è men largo[46]; e comincia verso oriente, alla terra di Persia e alla minore India, e sì si stende verso occidente, verso il reame di Caldea, e di verso settentrione discendendo verso la piccola Armenia. In questa regione di Media son molte grande montagne, e poca terra piana. Gli saracini tengono questo reame, e un'altra maniera di gente, che sono cordiani. Le due magior città che sieno in questo reame sono Serra e Carima. Apresso a questo è il reame di Giorgia, il qual comincia verso oriente a una montagna grande, chiamata Absor, ove stanno diverse gente e diverse nazioni, e chiamono il lor paese Allano. Questo reame si istende verso Turchia, e verso il gran mare, e verso il mezzo dì, e confina colla grande Armenia.
DEL REAME DI GIORGIA, E DEL REAME DI ABTHAS, E DELLA PROVINCIA DI BONAVISON, NELLA QUALE È UNA COSA MOLTO MARAVIGLIOSA, E DELLE GENTE CHE IVI ABITONO.
In questo paese sono due reami, l'uno è questo Giorgia, e l'altro è il reame di Abthas, e tutta via sono tuta duo e paesi cristiani, ma quello di Giorgia è sotto posto al Gran Cane. Il reame di Abthas è più forte paese, e àssi vigorosamente e fortemente sempre difeso contro a qualunque l'à assalito e non fu mai sottoposto ad alcuno. In questo reame di Abthas è una grande maraviglia, perchè v'è una certa provincia, la quale circunda tre giornate, ed è chiamata Bonavison, ed è tutta coperta di tenebre sanza alcuna chiarezza, sì che niun può sapere che cosa vi sia, e niuno vi ardisce d'entrare; ma quegli del paese dicono, che alcuna volta ànno udite voce di gente [gridare] e cavagli anitrire, e galli cantare; e sassi bene di certo, che vi stanno gente, ma non si sa che gente. E dicesi, che queste tenebre vennono per divin miracolo, perchè fu già uno imperadore di Persia, malvagio uomo, chiamato Sauro. Costui perseguitava tutti e cristiani per istringelli e per fagli sacrificare agli suoi idoli, e cavalcava a oste bandito per confondere tutti gli cristiani. In quello paese dimoravano molti cristiani, i quali, lasciando i loro beni, volevano fuggire in Grecia. Essendo pervenuti in un piano il qual è chiamato Imegon, ivi venne incontro il malvagio imperadore coll'oste suo per una valle, per distruger tutti questi cristiani. Li cristiani, vedendo questo, si missono inginochioni, e feciono prieghi a Dio, e di subito venne una nuvola tanto fonda e spessa, che coperse lo 'mperadore coll'oste suo per sì fatto modo, che non poterono andare inanzi nè a dietro. E così questi stanno fra le tenebre, che mai poi n'uscirono; e i cristiani n'andorono dove a lor piacque, e li inimici loro stettono confusi sanza fare colpo. E possono bene dire: A Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris. Però che un grande miracolo fu questo, che Dio fece per loro, sì come apare di presente per la cagione predetta; sicchè tutti e cristiani doverebono per questo esser più divoti del nostro Signiore che non sono; però che sanza dubbio, se non fussi la malvagia gente e i peccati de' cristiani, egli sarebono signiori di tutto el mondo; chè la bandiera di Giesù Cristo è sempre spiegata e aparechiata per ogni uno suo buon cristiano e servidore per aiutarlo; sì che per uno valente uomo amico di Dio, ne sconfondorebe mille cattivi, come dice David nel Salterio: Cadent a latere tuo mille et decem millia a dextris tuis: Ad te autem non apropinquabit. Et in altro luogo: Quoniam persequebatur unus, mille et duo fugarunt decem millia ( sic ). E come può essere, che uno ne cacci mille, David profeta dice: Sequendo quia manus Domini fecit omnia ( sic ). Il nostro Signior dice per la bocca del profeta: Si inimicis meis ambulaveritis super tribulantes vos mississem manum meam ( sic ). Sì che noi vegiamo apertamente, che se noi vogliamo esser buoni, niuno poterebe durare contra di noi. Item, fuora di questa terra tenebrosa è una gran riviera, la quale dimostra segniale, che dentro stanno gente, ma niuno vi vuole stare, nè dimorare, nè entrare per vedere. E sapiate, che in questo reame di Giorgia e di Abthas e della piccola Armenia, vi sono uomini cristiani e ben divoti, perchè si confessono e comunicono ogni settimana una volta o due; e molti vi sono, che si comunicono ogni dì, e noi di qua non lo facciamo punto, quantunque San Paolo lo comandi, dicendo: Omnibus diebus dominicis ad comunicandum hoc est tempus: egli el custodiscono, e noi no.
DELLA TURCHIA E DELLE PROVINCE CHE VI SONO, E DI CALDEA, DI MESOPOTAMIA, E DI MOLTE COSE CHE LÌ SI TRUOVONO.
Item, apresso questo paese di qua, è la Turchia, la quale confina colla grande Armenia e colla piccola. La Turchia à molte province; Chomana, Capadocia, Sarra, Bricca, Chessa, Chompitam, Gea, Comana, Nachi; e in ciascuna città di queste province son molti buon cristiani. La Turchia si distende infino alla città de Stachala, la quale siede sopra el mare di Grecia, e confina con la Soria. Soria è gran paese e buono, come di sopra è detto; e ancora dallato di sopra verso il Reame di Caldea, il quale si distende dalle montagne di Caldea inverso oriente, infino alla città di Ninive, che siede sopra alla riviera di Tigris; e di largheza comincia verso Bissa a la città di Marga; e sì si distende fino mezzo dì infino al mare occeano. In Caldea è il paese piano, e poche montagne e fiumane vi sono. Da poi è il reame di Mesopotamia, il qual comincia a li confini di Giorgia, a una città chiamata Mossella, e sì si stende verso occidente infino al fiume di Eufrates, e poi sì si stende verso una città chiamata Roais: di largo tien dal monte d'Armenia infino a' diserti d'India minore. Questo è un buon paese e piano, ma son poche riviere. In questo paese non sono se non due montagne, l'una chiamata Simar, l'altra Lison, e confina questo paese col reame di Caldea e col reame di Arabia. Ancora, verso le parti meridionali, sono molti paesi, molte terre e molte regioni. Prima si è la terra di Etiopia, la quale confina verso oriente con gli gran diserti, e verso occidente con gli reami di Nubia, e verso mezzo dì col Reame de Mortagna, e verso Bisa con lo mare rosso. In questo paese son molte genti con molti reami: dipoi si è Mortagnia. Da Etiopia, infino a l'alta Libia, giace tutto questo paese di lungo el mare occeano verso el mezzo dì; e in questi paesi son molti reami, e confina da l'altra costa con Nubia, la quale confina colle terre sopradette, e co' diserti d'Egitto: li nubiani sono cristiani. Dopo Egitto, del qual di sopra ò parlato, è l'alta Libia e la bassa Libia, la qual discende a basso verso il gran mare di Spagna, ne la quale sono i reami di Seoth, Taramensa, Tunisi, Cartagine, Buglia, Algarba, Bellamarina, Montefiore, e molti altri reami, e molte altre diverse gente.
DEL PAESE DI CADISSA E DELLE COSE CHE IVI NASCONO, E DELLI MONTI CASPI, NEI QUALI SONO RINCHIUSI E GIUDEI, E DI MOLTE ALTRE COSE.
Io v'ò iscritti di molti paesi che son di qua dallo grande reame di Catai, i qua' molti paesi ubidiscono al Gran Cane; ora farò discrizione, seguendo, d'alcuni altri paesi e d'alcune isole che sono di là. E dicono, che passando tutta la terra di Catai, verso l'alta India e verso Bacaria, si passa poi per una regione chiamata Cadissa, la quale è paese molto grande e bello. E ivi crescie una region di frutti a modo che carobe, ma assai più grossi: e, quando sono maturi, si fendono pel mezzo, e truovasi dentro una bestiuola in carne e in ossa e in sangue, a modo d'un piccolo agnello sanza lana, sì che si mangia insieme col frutto: e questo frutto è di gran maraviglia e di grand'opera di natura. Niente di meno io dissi ad alcuno del paese, che io non tenevo questa opera per gran miracolo, però che son così alberi ( sic ) nel nostro paese, de' quali e frutti sono uccegli; e ancora ne sono in altre parte, che nelle nocciuole è il vermine, che è animal sensitivo, benchè non abia ossa. Ivi son pomi di buono odore e sapore, lunghi, de' quali ne sta insu nun ramo più di C º., e tanti insu un altro ramo; e ànno foglie grande e lunghe un piede e più, e un altro piede e più larghe. In questi paesi e in altri, quivi intorno, crescono molti alberi, che fanno chiovi di gherofani e noce moscade e grosse noce d'India, e altre spezie. Ivi sono vigne che fanno grapoli de uva sì grandi, che uno uomo arebe affanno a portare una palmetta[47] co' grappoli. In questa medesima regione sono e monti Caspii, chiamati Uber: alcuni di quegli del paese gli chiamono Gothet e Magoth. In questi monti sono ancor serrati i X. tribi d'Israel co' loro Re, nè uscir possono. Ivi furono rinchiusi per lo Re Alessandro con XXII. Re di corona col popol loro, el quale sta ne le montagnie di Scizia; e infra questi monti Caspii dal detto Re furono incalzati. Vedendo il Re Alessandro che non gli poteva rinchiudere per opera degli uomini suoi, come e' credeva, pregò lo Idio di natura, che gli volessi aempiere quello che aveva cominciato; e quantunque non fusse degnio d'esere esaudito, non dimeno Dio, per la sua grazia, chiuse e monti insieme, sì che quivi stanno serrati intorno da altri monti; salvo che da uno lato, dal quale è il mare Caspio. Potrebono domandare alcuni: poi che 'l mare è da uno lato, perchè non escon egli, e vadino dove a lor piace? A questo rispondo, che questo mare Caspio esce fuori di terra di sotto a questa montagna, e corre pe' diserti da una costa di quel paese e si stende infino a' confini di Persia; e quantunque sia chiamato mare, non dimeno non è però mare, nè rocca d'altro mare[48], anzi è un lago magiore del mondo. E quantunque e' si mettessino in questo mare, non saperebbono dove arrivare; però che non sanno altro linguaggio, che il loro propio; e però non si metterebbono a uscire. Ma non crediate però, che siano quegli proprio che incalciò il Re Alessandro, ma sonvi quegli che son discesi di loro, però che quegli non sarebbono vissuti tanto tempo. E sappiate, che gli Giudei non ànno terra propria in tutto el mondo, se non quella fra quegli monti; e anco di quella rendono tributo alla Reina d'Amazonia, la quale fa molto ben guardare quegli monti, acciò che non eschino, perchè la terra sua confina con quegli monti. Alcuna volta aviene, che alcuno giudeo sale su per quegli monti, ma la moltitudine non vi potrebe montare, nè dismontare, perchè e monti sono sì aspri, forti e alti, che a malgrado loro vi possono stare, perchè non ànno uscita da parte alcuna, salvo che per un piccolo sentiero e stretto, el qual fu fatto a mano per forza, e dura forse quatro leghe e è tutta terra diserta, dove per niuno ingegno si può trovare acqua. Per la qual cagione non vi si può abitare; e sonvi tanti dragoni e serpenti e altre velenose bestie, che non vi si può passare, salvo per grande verno; e chiamasi questo passo Olirem: e questo fa guardare la reina d'Amazonia. E se pure alcun ne esce, non sanno altro linguaggio, che 'l suo, e non sanno parlare con altra gente che si truovino; ma dicesi ch'egl'usciranno al tempo d'Anticristo. E per questa cagione tutti e giudei che son dispersi per tutte l'altre terre, imparano il parlare ebreo a speranza, che que' de' monti Caspi escino fuori e egli si possino intendere co loro: e questi conduceranno quegli per cristianità, per distruggere e cristiani; imperò che gli giudei di qua dicono, che egli sanno per profezie, che quegli de' monti Caspii usciranno e spargeransi pel mondo. E così, come e giudei sono stati sotto posti a' cristiani, così e cristiani saranno sotto posti a' giudei. E se voi volete sapere a qual modo e' troveranno uscita, sicondo che io ò inteso, io vel dirò. Nel tempo d'Anticristo sarà una volpe, la quale arà una tana in quel luogo, dove il Re Alessandro fece fare una delle porte; e tanto anderà questa volpe cavando e perforando la terra, che ella passerà oltre questa terra verso questi giudei; e quando e' vederanno queste volpi, forte si maraviglieranno; però che e' non vidono mai sì fatta bestia, e però che d'ogni bestia ànno con loro, salvo che delle volpi. Allora cacceranno questa volpe e seguiteranla tanto, che enterrà nella sua tana; e egliono v'anderanno drieto, perseguitandola infino alla tana tanto, che egliono troveranno le porte, che fece fare il Re Alessandro, di pietre grosse. Queste pietre romperanno, e a questo modo troveranno uscita.
DELLA TERRA DI BACARIA, E DI CERTE ARBORE CHE FANNO LANA; E DELLA GROSSEZA DEL GRIFONE, E D'ALTRE COSE CHE LÌ SONO.
Da questo paese si va verso la terra di Bacharia, dove sono malvage gente e crudeli; e in questa terra sono alberi che fanno lana come fanno le pecore, de le quale si fa drappi per vestire. In questo paese son molti ipotami; altri gli chiamono centauri. Queste son bestie che conversono alcuna volta in acqua, e alcuna volta in terra; e sono d'uomo e di cavallo[49], e mangiono le gente, quando ne possono pigliare. E ivi sono riviere che son tre volte più insalate del mare; e ivi sono più grifoni che in altre parte. Alcuni dicono che i grifoni ànno corpo di lione a dietro, e d'aquila dinanzi; dicono il vero, perchè son fatti di così fatta forma. Ma il grifone à il corpo maggiore e più forte, che non è otto lioni di qua, e à più grandeza e fortezza, che cento aquile; imperò che porta al suo nido volando un gran cavallo co l'uomo di sopra, se lo truova; o vero due buovi legati insieme, almodo che si legono al carro; perchè egli ànno alie e unghie dinanzi così grande e lunghe, come sono corna di bue e di vache; delle quali si fanno vasegli per bere, a modo che di corna di bufoli; e delle coste delle penne dell'alie, se ne fanno di grandi archi per saettare.
DELLA POSSANZA DEL PRETE GIOVANNI, E DELLE GENTE E NAZIONI E REAMI CHE GLI SONO SOTTO POSTI, E DEL CAMINO CHE SI FA PER ANDARE IVI, E DELLE RICHEZE E PIETRE PREZIOSE CHE SONO IN QUELLE PARTE.
Di là si va per molte giornate per le terre del prete Giovanni, el grande imperadore d'india, a un reame, el qual si chiama Avison, o vero la isola di Pontesoro. Questo Presto Giovanni à molte gran terre, e molte buone città, e molte ville e buone isole, diverse, grande e larghe, nel suo reame, perchè questo paese de India è tutto partito per isole, per cagione de' gran fiumi che vengono dal paradiso terresto, e quali partono la terra in molte parte: il simile in mare vi sono molte isole. La migliore città dell'isola di Pontesoro è chiamata Nisa, la quale è città reale molto nobile e molta rica. Il prete Giovanni à sotto di lui molti Re, molte isole, e molte diverse gente; e il suo paese è molto buono e rico, ma non però sì rico, come quel del Gran Cane per li mercatanti che non vanno così là comunemente per comperare mercatanzie, come fanno nella tera del Gran Cane, perchè il paese è troppo lontano, e eziandio perchè egli truovono nell'isola di Catai seta, spezie, drappi d'oro, e tuto quel che fa bisogno. E quantunque egli avessino migliore mercato ne la città del prete Giovanni, non dimeno e' dubitono de la lunga via e degli gran pericoli che sono in quel mare, perchè in quel mare, in molti luoghi, sono molti scogli, e assai sassi di calamita, che tira a sè il ferro co la sua propietà; e per questo non passa nave dove sia chiovi o bandelle di fero. Questi sassi di calamita, per sua propietà, tirono le nave e mai più di lì non si posono partire. Io medesimo vidi in quel mare, di lungi a modo d'una isoletta, ove erano alberi, spine e pruni in quantità; e dicevono e marinai, che ciò erano nave, che quivi erono restate pei sassi de la calamita; e perchè erono marcite, lì erono cresciuti questi alberi, spine, pruni e altre erbe, che vi sono in gran quantità. Questi sassi vi sono in molti luoghi in quele parte, e però non v'usano passare mercatanti, se egliono non sanno molto bene la via, e se e' non ànno buono guidatore. E ancora temono la via molto lunga, sì che adunque e' vanno più presto a l'isola di Catai, e lì pigliono ciò che vogliono: la quale è più presso; e non è però così presso, che non si peni XI. o XII. mesi a andare da Vinegia, o da Genova insino a Catai. E ancora la terra del prete Giovanni è più dilungi di molte giornate; e' mercatanti, che vanno di là, passono per Persia, e vanno per una città chiamata Hermopoli, perchè Hermes filosofo la edificò. Poi passono un braccio di mare, e vanno a una gran contrada, o vero città, che si chiama Cobach; e ivi truovono ogni mercatanzia e papagalli, e, a modo che di qua, l'allodole. E se e mercatanti vogliono passare oltre, e' possono andare sicuramente. In quel paese à poco fromento e orzo, imperò mangiono riso, miglio, latte e formagio, o vero frutte. Questo prete Giovanni piglia tutta via per moglie la figliuola del Gran Cane, e 'l Gran Cane piglia tutta via per moglie la figliuola del prete Giovanni. Ancora, ne la tera del prete Giovanni, sono molte diverse cose, e molte pietre preziose, sì grande e sì grose, che ne fanno vasegli, piattegli, scodelle, taglieri e molte altre maraviglie, che sarebe cosa lunghissima a scrivere. Ma d'altre isole principale del suo stato e delle sue legge iscriverò alcuna cosa.
Questo imperadore, prete Giovanni, è cristiano, e così è gran parte del suo paese; ma tutta via non ànno gli articoli della fede che noi, e credono nel Padre e nel Figliuolo e nello Spirito Santo. Egli sono molti divoti e leali l'uno co l'altro, e non si curono di baratterie, nè di cautele, nè d'alcune fraude. Egli à sotto lui LXXII. provincie, che tutte gli dànno trebuto, e ciascuna provincia à uno Re. In suo paese sono molte maraviglie: ivi è il mare arenoso, el quale è tutto di rena e di granelle sanza gocciola d'acqua, e fa grande onde, fluendo e refluendo, a modo che fa l'altro mare, e mai per niun tempo non posa nè sta quieto. Niuno può passare questo mare nè con nave, nè con altro ingegno; e però non si può sapere che terra sia oltra questo mare. E quantunque non vi sia punto d'acqua, non dimeno si truova di molti pesci alle fiumane d'altra maniera e d'altra fazione, che non sono quegli dell'altro mare; e sono di buono gusto e dilicati a mangiare. E, a tre giornate dilungi a quello mare, vi sono gran montagne, delle quali escie fuori un fiume, il qual viene dal paradiso terresto; ed è tutto di pietre preziose, sanza acqua, e corre a basso pel diserto a grande onde, a modo che fa el mare arenoso, e finisce in questo mare, e ivi si perde. Questo fiume corre a questo modo tre volte la settimana, e mena seco di molte grosse pietre del monte, che fanno gran romore: e subito, come sono entrate nel lor mare arenoso, più non si veggono e perdonsi. Queste tre giornate che corre, niuno ardirebe d'entrarvi, ma negli altri dì vi s'entra. Item, oltre a quel fiume, più inanzi nel diserto, v'è un gran piano arenoso; e, tralle montagne, è questo piano. Ogni dì, quando si leva el sole, cominciono a crescere albucegli piccoli, e crescono infino a mezzo dì, e fanno frutti; ma niuno s'ardisce a pigliare di questi frutti, perchè sono a modo di cosa afatata; e, dopo mezzo dì, discrescono e entrono in terra, sì che al calare del sole più non si veggono: e così fanno ogni dì; e questa è una grande maraviglia. In questi diserti sono molti uomini salvatichi, cornuti e spaventosi; e' non parlono, ma rughiano a modo che' porci. Ivi è gran quantità di papioni, cioè cani salvatichi qui sono molti pappagalli, che gli chiamono, in suo linguaggio, parsistat: ve ne sono alcuni, che parlono di sua natura e salutono le gente che vanno pe' diserti; e parlono così perfettamente, quanto se fussi un uomo: quegli che parlono bene ànno la lingua larga, e ànno sei dita. Un'altra ragione v'è, che non ànno altro che tre dita per piede: questi parlano poco o nulla, e male s'intendono, e non fanno se non gridare.
DEL MODO CHE TIENE IL PRETE GIOVANNI QUANDO CAVALCA CONTRA' NIMICI, O VERO PER LA TERRA; E DEL PALAZO SUO, E DE L'ORNAMENTO DELLA SUA CAMERA.
Quello imperadore, prete Giovanni, quando lui va contro al Gran Cane in battaglia, o vero contra alcuno de' confinanti, egli non porta stendardo nè bandiera innanzi a sè, ma fa portare XIII. croce grande e alte d'oro fine e di pietre preziose. Ciascuna croce è posta in un carro e guardata da più di cento mila uomini a piè[50]. A modo come di qua si guardono gli stendardi. A tempo di guerra questo numero di gente è sanza oste prencipale e sanza le schiere ordinate in battaglia. E quando e' non fa guerra e cavalca con privata compagnia, non fa portare innanzi a lui altro che una croce semplice, di legnio, sanza dipintura, e sanza oro e pietre preziose, per memoria che Giesù Cristo sofferì morte sopra a una croce di legnio. Il simile, fassi portare innanzi un piattello d'oro, pieno di terra, a memoria, che la nobiltà di sua persona e possanza delle sue carne diventeranno e torneranno in terra; e fassi portare altri vasegli d'ariento, ne' quali sono gioegli d'oro e di pietre preziose, in segnio della sua signioria e della sua gentilezza e della sua possanza. E' dimora comunemente nella sua città di Susa, e ivi è il suo principale palazzo, el quale è sì rico e sì nobile, che non si poterebe dire nè istimare. E di sopra della maestra torre del palazzo sono due pomi d'oro; in ciascun di quegli sono due carbonchi grandi e larghi, che lucono molto chiaro di notte. Le porte principali di questo palazzo sono di pietre preziose, che si chiamano sardonio; e le ricamature delle porte d'intorno, e le sbarre e le traverse sono d'avorio: le spere della sala e della camera sono di cristallo. Le tavole dove mangiono, alcune sono di smiraldi, alcune di matiste, e altre di pietre preziose; e sono ornate d'oro. E trespoli di queste tavole sono di quelle medesime pietre; e' gradi, dove si saglie al trono dove lui siede, l'uno è di onice, l'altro è di cristallo, l'altro di diaspro verde, l'altro di amatiste, l'altro di sardonio, l'altro è di cordellino; l'ultimo, sopra lo quale lui tiene i piedi, è di grisolito; e tutti questi gradi sono d'oro fine, ornati e lavorati di pietre preziose e di perle grosse d'oriente. Le parte della sedia sono di smeraldo, e ornata d'oro molto nobilmente e d'altre pietre preziose e perle grosse. Nella sua camera sono colonne d'oro fine con pietre preziose e con molti carbonchi, e quali rendono di notte gran chiarezza; e quantunque gli carbonchi luchino, non dimeno arde tutta via uno vasello di cristallo pieno di balsamo, per dare buono odore, e per cacciare l'aire cattivo. La forma del suo letto è tutta di fine zaffiro bene adornato d'oro, però che el zaffiro fa bene dormire e rifrena la lussuria, perchè non vuole giacere colle sue moglie altro che quattro volte l'anno, sicondo le quattro stagioni; e questo fa solamente per generare. E nella città di Nissa si è un bel palazo e molto nobile, nel quale sta quando gli piace; ma quivi non è aere così temperato, come a Susa. In tutto il suo paese non si mangia altro che una volta el dì, come fanno a la corte del Gran Cane; e nella sua corte mangiono ogni dì più di XXX. mila persone, sanza quegli che vanno e vengono; ma quegli XXX. mila di suo paese e del paese del Gran Cane, none spendono tanto bene, quanto farebono nel paese di qua XII. mila.
DELLI SERVIDORI DEL PRETE GIOVANNI, E DEL MODO CHE LORO TENGONO IN SERVIRLO.
Questo prete Giovanni à sempre, insieme con lui, un Re per servirlo. Gli Re si partono a mesi, e sì si mutano l'uno l'altro; e, insieme con questo Re, sempre sono LXII. duchi e CCC º. XL. conti. Nella sua corte mangiono ogni giorno XII. arcivescovi e XX. vescovi e il patriarca di san Tommaso; e così, come el papa, li arcivescovi, vescovi e abbati in quello paese son Re; e ciascuno de' gran signiori sanno ben di che debon servire. L'uno è maestro dell'ostello, l'altro è camerieri, l'altro serve di scodelle, l'altro di tazze, l'altro è siniscalco, l'altro è maniscalco; e, gradati, ciascuno à l'uficio suo; e a questo modo egli è molto nobilissimamente servito. La sua terra, per larghezza, à quatro mesi di giornate; e dilungi, sanza misura; perchè lui tien gran parte delle isole sotto terra, che noi diciamo, che sono di sotto a noi.
D'UNA ISOLA CHIAMATA MILSCORACH, NELLA QUALE STAVA UNO UOMO MOLTO CAUTO, CHE AVEVA FATTO UNO PARADISO; E DELLE COSE MARAVIGLIOSE CH'ERANO IN QUESTO PARADISO, E COME FU DISTRUTTO COSTUI.
Item, allato a l'isola di Pontesoro, sì v'è una grande isola lunga e larga, che si chiama Milscorach; ed è ubbidiente al prete Giovanni. In questa isola è grande abundanzia di beni; ivi soleva essere uno ricco uomo, non è molto tempo, el quale si chiamava Gatalonabos, uomo molto liticoso e cauteloso[51]. Costui aveva una montagna con un castello sì forte e sì nobile, quanto si potessi dire. Egli aveva fatto murare tutta la montagnia nobilmente, e, dentro a questi muri, erono i più begli giardini che si potessino trovare e avere. Quivi aveva fatto piantare ogni cosa buona e odorifera, e tutti gli alberi e l'erbe che fanno nobili fiori e che si posson trovare e avere; e sonvi ora molte belle fontane allato, alle quali avevavi fatto fare molte belle sale con belle camere, tutte dipinte d'oro e d'azzurro, e aveva fatto fare molte e diverse truffe di istorie: quivi aveva uccegli, che si movevono e cantavono con ingegni, come fussino vivi. In questo giardino aveva posto d'ogni ragione di gente e di bestie, che aveva potuto avere, i quali potessino piacere e dilettare a l'uomo per il tocare e per guardare. Ivi aveva poste le più belle fanciulle di età di XIIII. anni, che aveva potuto trovare, e i più begli giovinetti di simile etade; ed erono tutti vestiti di drappi d'oro; e diceva, che erano angeli. Costui aveva fatte fare tre belle fontane e nobile, tutte intorniate di pietre preziose e di perle, con certi condotti sotto terra; sì che, quando voleva, faceva per l'uno correre latte, e per l'altro vino, e per l'altro mele: questo luogo lui lo chiamava paradiso. E quando alcuni giovani valenti, prodi e arditi venivono a veder costui, gli menava a vedere il suo paradiso, e mostravagli le diverse cose, gli piaceri, e gli diversi canti degli uccegli, e le belle fanciulle, e le belle fontane di latte, e di vino, e di mele, e faceva sonare diversi strumenti musici e cantici in una alta torre, sanza veder quegli che sonavono: e diceva, che quegli erono angeli di Dio, e che quel luogo era il paradiso, che Idio aveva promesso alli amici suoi, dicendo: Dabo vobis terram fluentem, lac et mel. Dopo che gli aveva mostrato tutte queste cose, gli dava una bevanda; di che subito s'imbriacavono; e così ubbriachi, gli parevono quelle cose più grandi. Allora costui gli diceva, se egliono volevono murire per amor suo, che, dopo la morte, e' verrebono in questo paradiso, e si troverebono della età di queste fanciulle; e sempre sollazzerebono con quelle, e sempre si troverebono quelle fanciulle pulzelle, e che poi gli metterebbe in un altro paradiso più bello assai, dove vederebono visibilmente Idio di natura, nella sua maestà e gloria. E allora questi giovani, che più altro non sapevono, si offerivono a lui far tutti i suoi voleri. Da poi lui gli diceva, che eglino andassono al tal signiore, il quale era suo contrario, e confortavagli, che non temessino punto di farsi uccidere, per lo amore di lui; imperò che gli metterebe, dipoi la morte loro, in un altro paradiso, cento volte più bello; e ivi starebbono sempre con le più belle damigelle. E per questo modo e giovani uccidevono gli signiori del paese, e loro propii si lasciavono uccidere a speranza d'andare a quel paradiso. E in tal modo quello vechione, con sue cautele e sagacità, si vendicava degli aversari suoi. Quando gli uomini possenti di que' confini si furono aveduti di ciò, e conobono la malizia, e la cautela, e la cattività di quel vechione, sì lo distrussono, e sì distrussono tutti i begli luoghi, e tutte le nobilità che erono in quel paradiso. E luoghi vi sono ancora delle fontane e delle altre cose, ma le richezze non vi sono rimase, e non è gran tempo che il luogo fu distrutto.
DELLA VALLE PERICOLOSA, DOVE STANNO DIAVOLI, E DELLE COSE PAUROSE CHE SI TRUOVONO IN QUESTA VALLE PERICOLOSA.
Allato a questa isola di Milscorach, dalla sinistra parte, verso la riviera di Frison, si è una maravigliosa cosa, cioè una valle fralle montagne, che dura circa a IIII. leghe. Alcuni la chiamono la valle di montagnia[52], altri la chiamono la valle pericolosa. In questa valle si vede e ode di gran tempeste e di gran voci e spaventevoli. Ogni giorno e ogni notte è gran romore, e gran suoni di tamburini, di nachere e di trombe, come sempre vi fusse nozze. Questa valle è tutta piena di diavoli e stanno tutta via; e dicesi, che è una delle entrate dello inferno. In questa valle è molto oro e molto ariento, per li quali molti infedeli e cristiani entrono spesso, per pigliar tesoro; ma pochi ne ritornono, e spezialmente degli infedeli più che dei cristiani, chè per avarizia vi vanno; però che subito sono da' diavoli strangolati. Nel mezzo di questa valle, sopra un sasso, v'è una testa col viso d'un diavolo, orribile a vedere, e non si vede altro che la testa insino alle spalle. Ma io non credo, che sia uomo al mondo, sia chi si vuole, tanto ardito, nè tanto sicuro, che guardandolo, non abbia tanta paura, che gli par venir meno, tanto è spaventoso a vedere, e sì taglientemente[53] riguarda le persone! e à gli ochi tanto orribili e sfavillanti, che per certo è gran maraviglia! e cambia e trasmuta spesso la sua maniera e la sua continenzia, e per così fatto modo, che niuno la può perfettamente riguardare una volta pure, o appresso o di lungi. E da quella n'esce fuori fuoco e fiamma con tanta puzza, che a pena niuno la può sofferire. Ma tutta via e buoni cristiani, e quali sono in buono stato e fermi nella fede, v'entrono bene sanza pericolo. Niente di meno non sono però sanza gran paura, quando e' vegono visibilmente e diavoli d'intorno a loro; e egli gli fanno di molti assalti e minacci, in aria e in terra, di colpi di tuoni e di tempesta; e tutta via l'uomo teme che 'l nostro Signiore non faccia vendetta di quel che è contro a la volontà sua. E sapiate che, quando io e li miei compagni fumo in questa valle, noi entramo in gran pensieri, se noi dovessimo mettere e corpi nostri in ventura, e entrare nella difesa di Dio. Alcuni de' compagni s'accordavono, e altri erono al contrario, ma dua valenti uomini, frati minori, che erono di Lombardia, dissono, se v'era alcuno di noi che vi volessi entrare, che si mettessino in buono stato, et egli enterrebono con loro. Quando questi frati ebono così parlato, sopra la fidanza di Dio e di loro, noi gli facemo dir messa, e sì ci confessamo e comunicamo e entramo noi e XIIII. compagni. Ma allo uscire, non ci trovamo se non VIIII, nè mai più potemo sapere, se i nostri compagni fussin perduti, o ritornassino indietro. Ma, fussi come si volesse, noi non gli vedemo mai; ed erono due greci e tre spagnuoli. Il resto de' compagni non volono entrare, anzi se n'andorono per una altra costa, per esere inanzi, come furono. E in questo modo noi passamo la detta valle; e ivi vedemo di molti beni, oro e ariento e pietre preziose e molti gioielli in gran quantità di qua e di là, come a noi pareva. Ma non sapiamo noi però, s'egli erono veri, però che 'l diavolo è tanto sottile, che spesse volte fa parere quel che non è, per ingannare la gente; e per questa cagione io non volli tocar cosa che io vedessi, e perchè non mi volevo levare dalla mia divozione; imperò che io ero in quela ora molto divoto per paura, perchè io vedevo molte brutte figure, e per la moltitudine de' corpi morti, che io vedevo giacere per tutta la valle; che se vi fussi stato una battaglia, non vi doveva essere tanti morti quanti erano in quella valle, che certo era una oribil cosa e spaventosa a vedere! Io mi maravigliai molto, come e in che modo v'erono tanti corpi morti, e come e corpi erono così interi; perchè pareva che di nulla fusson putrefatti. Io credo, che e diavoli gli facessino parere così interi, però che, sicondo el mio giudicio, non potrebe essere che tanti nuovamente vi fussino entrati, nè che vi fussino cotanti morti, che non puzasono. Molti ve n'erono in abito di cristiani: io credo che fussino ingannati, per la troppa avarizia, perchè e' disideravono del tesoro che e' vedevono, o vero perchè ebbono il quore debole, e non poterono soferire la puzza, sì che per tanto noi eravamo più divoti. E questa valle à assai bella entrata, ed è bella nel cominciamento, e va la via sempre calando infra e sassi, torcendosi or qua e or là, ed è assai chiara infino a mezza lega, e poi l'aria comincia a esere spessa, a modo che è tra giorno e notte. E quando noi fumo caminati bene una gran lega, l'aria era tanta spessa e scura, che noi non potavamo vedere, se non come di notte, quando non lucon le stelle. Poi noi entramo in tutto ne le tenebre, le quali durono bene una lega; e quivi avemo molto che fare e sofferire, e credavamo certamente essere tutti perduti. In questo punto noi eravamo tutti religiosi; e se alora ognun di noi fussimo fatti signori di tutto el mondo e di tutta la terra, aremo ogni mondana cosa volentieri renduta, pur che noi fussimo stati fuori di quegli pericoli; imperò che veramente noi non credavamo mai portare novele al mondo di queste tenebre. Fumo noi tutti abattuti più di mille volte, e in molte maniere noi non eravamo così tosto ridirizati, che subitamente noi eravamo riabbattuti. Ivi erono grande multitudine di bestie, ma non potavamo vedere che bestie si fussono, ma istimavamo che fussino, al tocare, a modo di porci neri e di molte altre bestie, le quali corevono fralle nostre gambe, e sì ci facevono cadere una volta a ritto, l'altra volta a rovescio, e ora da uno lato, l'altra da l'altro; e talvolta era, che la testa andava giuso bassa, a modo che in una fossa. Alle volte noi fumo abattuti a terra per tuoni, alcuna volta per folgore, e tal volta per venti grandissimi: alcuna volta a noi pareva fussimo feriti nelle reni, e ora per traverso. Noi trovamo molti corpi morti sopra e quali noi passamo co' piedi; e quali, nel passare sopra loro, si lamentavano e piagnevono che li passassimo per adosso; e era una cosa terribile e spaventosa a vedere! Io credo certisimamente, che se noi non avessimo riceuto il Corpus Domini, che noi saremo rimasi quivi tutti e perduti. In questo luogo ebe ciascun di noi un segniale; perchè quivi fu ferito ciascuno di noi duramente per sì fatto modo, che stemo tutti strangosciati, a modo che morti, lungamente. Io non so come si fussi, ma in quela angoscia noi vedavamo spiritualmente molte cose, delle quale io non ardisco parlare, perchè e monaci, che rimasono insieme con noi, proibirono a noi, che non parlassimo di ciò cosa alcuna. salvo che di quelo che noi avavamo veduto corporalmente, per celare i grandi segreti del nostro Signiore Giesù Cristo. Noi fumo feriti in diversi luoghi, e in questi luoghi delle ferite, ognuno di noi aveva una tacca nera, di largheza d'una mano; l'un nel viso, l'altro nel petto, tale da un costato, e altri dallato. Io fui ferito nel collo per così fatto modo, che io mi credetti che 'l collo mi fussi separato dal corpo; e io n'ò portato il segniale, nero come carbone, più di XVIII. anni, e molte persone l'anno veduto. Ma poi che io mi sono ripentito de' miei peccati, e che io mi son posto a servire a Dio, sicondo la mia flagellità, questo segnio mi s'è convertito in niente, e ò in questo luogo la pelle più bianca che altrove; ma tutta via vi pare il colpo, e del continovo vi sarà, infino che l'anima nel corpo durerà. Per la qual cagione io non consiglierei alcuno che mai v'entrasse, però che, al parer mio, al nostro Signiore non piace punto che alcun v'entri. E quando noi fumo nel mezo di queste tenebre, noi vedemo quela spaventosa figura sotto a un sasso profondo: una volta pareva presso, e un'altra da lunga; e così ardenti e sfavillanti erano le fiamme del fuoco che gittava, che gli erano d'intorno, ch'era una cosa spaventosa a vedere. Ma noi non eravamo tanti arditi che 'l potessimo ben guardare; lui tutta via guardava noi: e ivi noi avemo gran paura, tal che noi venavam meno quasi in tutto, e poco vi mancò che totalmente non fossimo istinti. E così passamo oltre con gran fatica, tanto che abiamo passato queste tenebre. Quando noi rivedemo la chiareza, quantunque noi fossimo infino lì tormentati e tribulati da' nimici, e quali in ogni guisa ci avevono tribulati, pur noi ci consolamo assai. Io non saprei punto scrivere tutto quel che noi vedemo, perchè io ero molto atento a pregare per divozione, perchè fui molte volte battuto per venti, tuoni e per tempeste, ma tutta via ci aiutava Dio colla sua grazia e pietà: e in questo modo, per sua misericordia, noi passamo questa valle sanza danno di noi, che n'uscimo.
DI DUE ISOLE, NELLE QUALI ABITANO GIGANTI DI GRANDE STATURE, E FEMMINE TERRIBILE COME EL BASILISCO.
Appresso, oltre a questa valle, è una grande isola, che v'è giganti lunghi XXVIII. o vero XXX. piedi. Questi non portono altri vestimenti che di pelle di bestie sabatiche, le quali e' pongono sopra loro come si levano da dosso alle bestie, e non ànno pane, e mangiono carne cruda, e beono sangue; però che ànno assai bestiame; e non ànno case; e mangiono più volentieri carne umana che altra carne. In questa isola niuno v'entra volentieri, nè vi si apressa, però che se eglino vedessino una nave con gente dentro, e' mangerebono bene quelle genti. In un'altra isola di là da questa, sicondo che ci dicevono le genti di quel paese, v'erano assai giuganti magiori, come di grandeza XLV. o vero L. piedi, e altri vi sono lunghi L. gomiti; ma noi non gli vedemo punto, nè volontà avavamo d'aprossimarsi a quel luogo; imperò che niuno entra in quel paese, nè in altro, che non sia divorato. Fra questa gente son pecore così grande come sono buoi di qua, e ànno la lana grossa rispondente della grandeza. Io ò ben veduto di queste pecore molte volte, e molti sono stati veduti di questi giuganti pigliare la gente in mare, e portarne dua in ciascuna mano e andarli mangiando crudi. Un'altra isola è verso austro, dove sono molte crudele femine e malvage, le quale ànno pietre preziose negli orechi, e sono di tal natura, che se riguardono alcuna persona con ira, egli la uccidono solamente del guardare, a modo che fa il bavalischio.
D'UN'ALTRA ISOLA, E DELLA USANZA CHE TENGONO IN ISPOSARE LE LOR MOGLIE, E PERCHÈ NON DORMONO LA PRIMA NOTTE CON LORO, MA E' VI DORME UN ALTRO.
Un'altra isola v'è molto grande e molto buona e bene popolata, nella quale è usanza, che, la prima notte che lo sposo debe giacere co la moglie, e' fanno giacere un altro uomo con lei per dispulzellarla[54], e di ciò gli donono buon salario: e, per questo mistiero, in ogni villa sono certi valletti o vero servidori, i quali non fanno altro che questo; e chiamono questi in suo linguaggio cadeberia, e suona in nostra lingua, matto, disperato; però che quegli del paese riputono questo così gran cosa, e tanto pericolosa, cioè ispulzellare una femina, ch'a lor pare, che quegli che la dispulzellano si mettino a dubio di murire; e se la seconda notte e mariti non truovono le moglie dispulzellate per alcuna cagione, egli si lamentono del valletto, el quale non à fatto el suo dovere, non altrimenti che 'l servidore l'avessi voluto uccidere. Ma oltra la prima notte, da poi che sono dispulzellate, egli le guardano strettamente, che non ànno tanto ardimento che ardischino a parlare ad alcuno. Noi gli dimandamo per qual cagione e' tenevono sì fatta usanza: e' risposono, che, per dispulzellare femine, anticamente alcuni ne sono morti; però che eglino avevono serpi nel ventre. Per questa cagione e' mantengono questa usanza ancora; tutta via si fanno fare credenza del passo, prima che egli si menino alla ventura.
D'UN'ALTRA ISOLA, E DELLA USANZA CHE ÀNNO QUANDO NASCE UNO E QUANDO MUORE, E DEL RE DI COSTORO, E DELLA BUONA GIUSTIZIA CHE S'OSSERVA IN QUESTO PAESE.
Apresso è una grande isola, dove le femine fanno gran dolore quando nascono e figliuoli; e quando e' muoiono fanno grande allegreza e gran festa; e così morti gli gittono in un gran fuoco ardente. E quelle che amono i lor mariti, se gli lor mariti muoiono, egli si gittono nel fuoco con loro e li figliuoli, e dicono, che 'l fuoco gli purgherà da ogni immondizia e da ogni vizio, e puro e netto se n'anderà nell'altro mondo, e i mariti loro gli meneranno seco. E la cagione perchè lor piangono, quando e figliuoli nascono, e che fanno alegreza quando e' muoiono, si è, che dicono, che quando e figliuoli nascono, e' vengono nel mondo a la fatica, al dolore e a tristizia; e quando e' muoiono e' vanno al paradiso, dove ànno fiume di latte e di mele, e vivono in allegreza e in abundanza di beni, sanza dolore e sanza fatica. In questa isola si fa un Re per elezione, e non si elegge il più nobile, nè il più rico, ma tutta via si elege colui che è stato di buoni costumi e di virtù dotato, e che è di grande etade, e che non abia alcun figliuolo. In questa isola sono gl'uomini molto leali e molto diritti, e fanno diritto giudicio a ciascuno, così del grande come del piccolo, sicondo il delitto commesso. El Re di questa isola non può giudicare l'uomo a morte sanza el consiglio de' suoi baroni, e conviene che tutta la corte se n'accordi. E se 'l Re, lui medesimo fa omicidio, o vero commetta cosa da morte, conviene che muoia così bene, come farebe una spezial persona; non però che a lui sia messa mano, nè toccato, ma è divietato che niun sia tanto ardito che gli faccia compagnia, nè che gli sia parlato, nè che gli sia donato, nè venduto alcuna cosa, nè che uomo gli ardisca a servire, nè che li sia dato mangiare e bere; e in cotal modo gli conviene murire in miseria. Egli non perdonono ad alcuno che abia fallito, nè per amore, nè per favore, nè per richeza, nè per grandeza: a ognuno è fatto giustizia, secondo el loro delitto. Tra quelle isole v'è un'altra isola, dove è grande abundanzia di gente, le quali per cosa alcuna non mangerebono carne di lepre, nè di gallina, nè d'oca; e nondimeno molte ne notricono per vendere e solamente raguardare; e mangiono carne d'ogni altra bestia, e beono latte. In questa isola e' pigliono i lor figliuoli, le sorelle sue, li lor parenti per moglie; e se in una casa sono X. o XII. uomini, tutte le moglie loro sono comune a ognuno, sì che ogni uno dorme con chi gli piace, ma per una notte con una, e l'altra coll'altra; e il figliuolo è dato a colui che prima giace colla madre; e a questo modo non si sa di chi si sia il figliuolo. E per questo modo ànno un proverbio, che dice, che se egli notriscono e figliuoli d'altrui, e altri nutricono i suoi. In quella isola, e per tutta India, è gran moltitudine di coccodrilli, e quali sono una ragione di serpi, come ò detto di sopra, che abitono di notte nell'acqua, e di dì sopra la terra nelle grotte, o vero nelle cave di sassi, e non mangiono per tutto verno, e stanno in questo tempo freddo tra due terre ( sic ) umide, a modo che fanno l'altre serpi. Queste serpe, mangiando, muovono le mascelle di sopra, e non quelle di sotto, perchè in esse non ànno giunture.
COME NASCE EL COTONE, E DI MOLTE ALTRE COSE MARAVIGLIOSE E STUPENDE CHE SONO IN QUESTI PAESI.
In quello paese, e in più altri di là, eglino mettono a opera la semenza del cotone, e seminono ogni anno; e di quela nascono piccoli albucegli, e quali portono el cotone, del quale ànno grande abundanzia per tutto il paese. Per questo paese tutto, e in molti altri, v'è una ragione di legnio duro e forte, e carboni del quale accesi, sotto la cenere durerebono vivi uno anno e più. E questo albero chiamono ginepre, e somiglialo alquanto: à le foglie e à ogni propietà come el ginepro. Ivi sono ancora molti alberi di ebeno, e quali non posono per alcun modo ardere nè marcire. Ivi sono nocellari che portono noci grosse come el capo di un uomo. Ivi son molti oraflos in alberi: egli gli chiamono giefaris, o vero girifalchi. E ivi è una bestia alta a modo che un corsiero, e à el collo lungo circa XX. cubiti, e la groppa e le corna a modo che cervio. Questa bestia guarderebe sopra il tetto d'una casa, e chiamasi giraffa. In questo paese son molti camalioni, i qua' son piccoli a modo che chierons salvatichi, e vanno tutta via colla gola aperta per pigliare l'aere, imperò che e' vivono solamente de l'aere, e non mangiono nè beono alcuna cosa, e cambiono colore spesse volte, perchè alcuna volta si vegono d'un colore, e un'altra volta d'un altro, e si possono mutare d'ogni colore che vogliono, salvo che in rosso nè in bianco. Quivi sono serpenti grandi, grossi e lunghi 100. e 200. piedi; e sono serpi di molti e diversi colori, rossi, gialli, verdi, neri, tutti maculati; e son lunghi, qual cinque torse, tal IIII º. E altre serpi ivi sono, che ànno le creste sopra 'l capo e vanno sopra piedi, alquanto diritti; e son ben lunghi quatro torse o più, e sono grossi e abitono tutta via nelle caverne de' sassi, e sempre stanno colla gola aperta, della quale a ogni ora li gocciola veleno. E ivi son porci di molti colori salvatichi, così grandi, come sono di qua e nostri buoi, e sono tacchellati, o vero traversati a modo che un cinghiale. Ivi sono spinosi, o ricci, grandi come di qua, e sono e nostri porci salvatichi. Ivi sono leoni bianchi tutti. Ivi sono altre bestie grandi come destrieri o più, gli quali chiamono toncherons, e quali ànno la testa nera e tre lunghe corna nella fronte, tagliente a modo d'una spada, e 'l corpo fievole; e cacciono e uccidono gli elefanti. Ancora vi sono altre bestie molto cattive e crudele, che non sono magiore che come è un vermine[55], e ànno la testa a modo ch'un cinghiale, e ànno sei piedi, e per ciascuno piede unghie larghe e tagliente, e ànno el corpo come el vermine, e la coda come lioni. Ivi sono oche tre tante magiori che le nostre di qua, e son rosse, e ànno la testa e 'l collo e il petto nero tutto. In questo paese, e altrove intorno, son molte altre ragione di bestie e molti diversi uccegli, i quali, volendo tutti iscrivere, sarebe cosa lunghissima.
DELL'ISOLA DI BRAGMANI, E DE LA LOR BUONA VITA, E D'UNA LEGIADRA LETTERA, LA QUAL MANDORONO AD ALESSANDRO MAGNIO.
Oltr'a questa isola è un'altra isola grande e buona e abondevole, ne la quale è buona gente e divota e di buona vita, sicondo la fede loro. E quantunque e' non sieno perfetti cristiani, e che e' non abino la lege compiuta, come noi, nondimeno egli di legge naturali son pieni e d'ogni virtù, e fugono ogni vizio e ogni malizia e ogni peccato, però che non son punto superbi, nè avari, nè accidiosi, nè invidiosi, nè golosi, nè lussuriosi. Egli non ànno alcun peccato, e fanno ad altrui quelo che e' vogliono che sia fatto a loro, e egliono adempiono tutti e X. comandamenti. Egliono non ànno cura d'avere, nè di richeza: egliono non dicono bugia per alcuna cagione, ma dicono semplicemente sì e no, perchè dicono, che quegli che dicono bugia e giurono, vogliono ingannare il suo prossimo, e però egli favellono e parlono sempre sanza giuramento. Questa isola si chiama terra di fede, e alcuni la chiamano l'isola Bragmani. Per mezo di questa isola corre una grande riviera, la qual si chiama Theba; e generalmente tutta la gente dell'isola, ivi intorno a questi confini, sono più leali e più diritti che non sono in alcuna parte del mondo. In questa isola non è ladroni, nè assassini, nè meritrice, nè mai vi fu morto uomo. Ivi son le gente così caste, e mantengono buona vita, come potrebe fare alcuno religioso: ogni dì digiunono; e perchè e' sono così leali e così pieni di buone condizione, e' non furono mai gravati di tempesta, nè di fame, nè di pestilenzia, nè di niuna altra tribulazione, come siamo noi di qua molte volte per li nostri peccati. Per la qual cagione e' pare che Dio gli ami, e abi a grado la lor fede e le lor buone operazione. E' credono bene in Dio, il qual fece e criò ogni cosa, e lui adorono, e non aprezono niuno onore terreno; e sono così diritti, e vivono così ordinatamente e così sobriamente nel mangiare e nel bere, che e' vivono molto lungamente, e molti di lor muoiono sanza che abino auto malizia alcuna; però che la natura gli viene a meno per vechieza. El Re Alessandro anticamente gli mandò a disfidare, perchè lui voleva guadagnare il lor paese; e e' mandorgli imbasciadori, e quali portorono lettere per parte del paese, che dicevono così: Re Alessandro, che cosa poterebe assai essere a colui, a chi tutto el mondo non basta? tu non troverai in noi quella cosa, per la quale tu ci debbi guerreggiare, perchè noi non abbiamo richezze alcune, nè disideriamo, perchè tutti e beni del paese qui sono comuni tra noi, e il mangiare e 'l bere è per lo sostenimento de' nostri corpi e la nostra richeza; e, in luogo di tesoro e d'oro e d'ariento, noi facciamo tesoro di concordia e pace e amore l'un coll'altro: in luogo di belle vestimenta pei nostri corpi, noi usiamo d'un cattivo panno per inviluppare le nostre carne, solamente quanto basta a difenderci dal freddo e coprire le segrete membra del corpo; e le nostre donne, o sia moglie, non si adornono per piacere, anzi terrebono per grande tristizia ogni aparechiamento che si facessi per abellire e per adornare el corpo, a ciò che paresse più bello, che Idio non l'à fatto di sua natura: elle non sanno e non si curono d'altra belleza, che di quella che Idio dette a la natura loro. La terra n'è aparechiata per due cose; la prima, per sostentazione, mentre che noi viviamo: e per la nostra sepultura dopo la nostra morte. Noi abiamo sempre avuto pace fin qui perpetuamente, della qual voi ne volete discacciare. Noi abiamo un Re, non già per fare giustizia, perchè fra noi non si truova chi commette pecato, ma noi l'abiamo per mantenere nobilità, e per mostrare, che noi siamo ubidienti; però che non à a fare, nè adoperare giustizia fra noi, perchè noi non faciamo cosa altrui, che non vogliamo che sia fatta a noi; sì che adunque a noi non potete voi torre alcuna cosa, salvo che la nostra buona pace, la quale è durata sempre fra noi. Quando el re Alessandro ebe letto questa lettera, si pensò, che tropo gran male sarebbe, se gli turbassi; e allora gli mandò una buona pace, e che e' non si dubitassino punto di lui, e che e' mantenessono la lor buona usanza e modo che usati erono.
DI DUE ALTRE ISOLE, CIOÈ MESIDRATA E GENOSAFFA, NE LE QUALI FU PROFETIZATO LA INCARNAZIONE DEL FIGLIUOL DI DIO; E D'UNA GENTIL RISPOSTA QUAL FECIONO AD ALESSANDRO MAGNO.
Due altre isole vi sono; una si chiama Mesidrata, l'altra Genosaffa, nelle quali sono così buone genti, leali e piene di gran fede, e mantengono el costume de l'isola sopra detta. In queste isole entrò Alessandro; e quando lui vide la lor buona fede e la loro lealtà, disse, che non gli graverebe punto che gli domandassono richeze o altre cose, che gli donerebe volentieri. E' risposono, che egli erono assai richi, poi ch'egli avevono da mangiare e da bere per sostenere il corpo, e che le richeze e' tesori in questo mondo nulla vagliono, nè vogliamo; ma se lui ci potessi donare, che noi non morissimo, e che fussimo inmortali, di ciò gli renderebono grazia e mercè. Re Alessandro rispose, questo non potrebe fare, chè lui era così mortale come erono loro. Egli dissono: per qual cagione dunque, se se' mortale, se' tu così rigoglioso e fiero e di vani pensieri, che vuoi sottomettere tutto el mondo a modo che tu fussi Dio inmortale? In termine alcuno non ài vita, nè ora, nè meza; e tu vuoi ragunare tutto l'aver del mondo, il quale in brieve tempo tu lascerai, almeno quando tu morrai; e in cotal modo quelo ch'è stato d'altrui prima che tuo, sarà d'altrui dapoi ch'è stato tuo, però che teco non porterai alcuna cosa, e come nascesti nudo, così nudo ritornerai in terra, de la qual fusti criato. Tu debi pensare e sapere, che niuno è inmortale, salvo che Idio, che ogni cosa criò: tu non debi disiderare quel che a te non può rimanere. Per questa risposta il Re Alessandro fu sbigottito, e partissi da loro sanza alcun male. E quantunque questa gente non abino gli articoli della fede totalmente, come noi abiamo, non dimeno per la loro buona fede naturale e per la loro intenzione buona, io mi penso e rendomi certo, che Dio gli ama, e ch'egli piglia e lor servigii a grado, a modo che fece di Iob, che fu pagano; e benchè fusse pagano, pure Idio lo tenne pel suo leale servo. E, benchè sieno assai più leggi diverse per lo mondo, io credo che Iddio ami tutti quegli ch'amano e servono lui, cioè in verità, lealtà et umilità, e che dispregiano la vita di questo mondo a modo che fanno quelle genti, e come Iob faceva. E questo diceva el nostro Signiore per la bocca de Osea profeta: Scribam ei multiplices leges meas. E altrove dice la Scrittura: Qui totum subdit suis orbem legibus ( sic ). Per lo simile dice il nostro Signore nello Evangelio: Alias oves habeo, quae non sunt ex hoc ovili; ciò è a dire che aveva altri servi, che [son] quegli che sono sotto la lege di natura, [non] cristiani. E con questo si concorda la visione che ebe santo Petro al Giaffo, quando l'agniolo discese dal cielo e recogli inanzi molte ragioni di bestie, di serpi e altri rettili della terra in grande quantità, e disse a san Pietro: piglia e mangia. E san Piero rispose: io non mangiai mai di cotal bestie immonde. E l'angiol disse: Non dicam immunda quae Deus mandavit ( sic ); ciò è a dire, che non si dee avere in odio e a dispetto alcuna gente cristiana per la diversità della lege loro, nè alcuni di loro giudicare; anzi si dee pregare Idio per loro, perchè noi non sappiamo quelli che Dio ama, nè quegli che abia in odio; imperò che Dio non odia creatura che abbia fatto; e però disse san Piero, che seppe la significazione di quella visione: In veritate comperi, quia non est acceptor personarum Deus, nec discernit inter judeos et gentiles, sed omnis[56] qui timet eum, et operatur iustitiam acceptus est illi. E per cotale esemplo, quando io dico De profundis per le anime passate, io lo dico, congiugnendo [tutti] con li cristiani insieme, cioè per le anime di tutti e morti pro quibus sit orandi; però che io dico, che Idio ama questa gente per la lealtà e per la umilità loro, perchè tra loro tutta via sono perfetti molto. Ve ne sono stati di continuo in questa isola, che ànno profetezato la incarnazione del nostro Signiore Giesù Cristo, come e' doveva nascere di vergine, bene tremila anni o più imprima che nascesse. Egli credono la incarnazione perfettamente, e non sanno in qual modo sofferisse morte per noi, nè non sanno li Evangeli suoi, nè la sua operazione così bene, come sappiamo noi.
DE L'ISOLA DI FRACAN, DOVE LE GENTE VIVONO DEL SOLO ODORE DE' POMI SALVATICHI, E D'UNA ALTRA ISOLA, OVE SONO LE GENTE PILOSE.
Tra queste isole v'è[57] una gran città chiamata Fracan, e à il nome dell'isola. La gente di questa isola non coltivano nè lavorono la terra, però che egliono non mangiono alcuna cosa, e sono di buon colore e di buona fazione, sicondo la lor grandeza; però che sono piccoli; ma non però così piccoli come li pigmei. Costoro vivono d'olore di pomi salvatichi; e quando vanno in alcuna parte dilungi, portono seco de' pomi; però che, se sentissino male odore e non avessino seco di questi pomi, subito morrebono; e non sono molti ragionevoli, ma sono tutti semplici e bestiali. Dopo questa isola è un'altra isola, dove le genti son tutte pilose, salvo che 'l viso e le palme delle mani. Queste genti vanno così per mare come per terra, e mangiono carne e pesci tutti crudi. In questa isola v'è una gran riviera, la quale è larga circa due leghe e mezo, e chiamasi Lebuermar.
DEGLI ARBORI DEL SOLE E DELLA LUNA, E DELLA CAGIONE PERCHÈ SI CHIAMA PRETE GIOVANNI.
Da questa riviera, a XV. giornate dilungi, si va pe' diserti, e sonvi gli alberi del sole e della luna, e quali parlarono ad Alessandro Re e predicerono a lui la morte sua. E dicono che 'l prete Ianni, e gl'altri che guardono questi alberi, e mangiono di lor frutto e del balsamo, el quale ivi crescie, e' vivon bene CCCC º. e CCCCC º. anni, per la virtù del balsamo; perchè dicono, che ivi in que' diserti crescie gran quantità di balsamo, e altrove no, salvo che in Babillonia, ove di sopra scrissi. Noi saremmo andati volentieri verso le parte di quegli arbori, se a noi fussi stato pussibile, ma io non credo che C º. uomini potessino a salvamento passare questi diserti, per le grande multitudine di bestie salvatiche e di grandi dragoni, e gran serpenti, e quali uccidono e divorono quanti ne giungono in questi paesi. Vi sono elefanti bianchi e bigi sanza numero, et unicorni e altre bestie, le quali ho inanzi scritte; e molte altre bestie assai orribile e spaventose. E molte altre isole sono nella terra del Presto Giovanni, e sonvi molte maravigliose cose, le discrizioni delle quali sarebe cosa lunghissima; però ò lasciato. Molte richeze vi sono e nobile città, e magnificenzie; fra l'altre cose v'è grande abundanzia di pietre preziose. Io credo che voi sappiate bene, o vero abiate udito dire, per qual cagione questo imperadore si chiama Prete Giovanni; ma ancora, per quelli che non sanno, io iscriverò la cagione.
Fu già uno imperador valente e animoso, il quale, avendo in sua compagnia cavalieri cristiani a modo che à costui che è al presente, gli venne voglia di vedere la maniera e modo degli ufici divini, e altri costumi di cristiani. In quel tempo durava la cristianità di là dal mare per tutta Turchia, Armenia, Soria, Gierusalem, Arabia, Allape e per tutta la terra d'Egitto. Questo imperadore venne con poca compagnia, e andò un dì di sabato a una chiesa d'Egitto, e fu propio il sabato presso a la Pentecosta, ne l'ora e punto, che 'l vescovo d'Alessandria faceva l'ordine della messa. Lo imperadore ascoltò e risguardò l'ordine dell'ufficio; poi domandò, chi doveva esere quella gente che era innanzi al vescovo, o vero prelato, i quali avevono a fare così grande misterio. Questi erono preti, diacani e soddiacani e altri, solennemente apparati al modo che s'usa di qua nelle nostre parti occidentale. Un cavaliere rispose, che quegli erono preti. Allora lo imperadore disse, che non voleva essere imperadore, nè re, ma voleva esser prete e avere el nome del primo che uscirebe fuora dell'uscio di quella chiesa. Allora il vescovo con gli altri preti partendosi per uscire fuori, venne per sorte, che il primo che uscì di fuori ebbe nome Giovanni, benchè noi, corrompendo il nome, lo abbreviamo, dicendo, Ianni; e però quello Imperadore de India dipoi è stato chiamato Prete Ianni. Nella terra di questo prete sono buon cristiani, di buona fede e di buona legge, e spezialmente quegli del suo paese propio. Egli ànno comunemente i suo cappellani che canton la messa e fanno i sacramenti di pane, a modo de' greci, ma e' non dicono tante cose quanto fanno di qua; però che egli dicono solamente quelle che gl'insegniò san Tommaso apostolo, a modo che cantorono gli apostoli, dicendo el Pater Nostro e le parole colle quali si consacra il corpo del nostro Signiore: ma noi abiamo molte addizioni, che ànno dappoi fatte li papi, le qua' cose egli non sanno.
DELL'ISOLA TABROBANA, DOVE SONO DUE STATE E DUE VERNI, DOVE I LOR GIARDINI SEMPRE SONO VERDI.
Verso le parti orientali, di là dalle parte delle terre dello Prete Giovanni, vi è una grande isola e buon reame, el quale è chiamato Tabrobana. Questa isola è un paese molto buono e notabile e fruttuoso. Il Re di quella è molto ricco: quegli del paese fanno sempre un Re per elezione, ma tutta via questo re ubidisce il Prete Giovanni. In questo paese sono due state e due verni, e ivi si semina due volte l'anno biade ed ogni altre ragione cose; e i giardini son sempre verdi e fioriti. Ivi istanno buone genti e ragionevoli tra loro. Ivi sono molti cristiani, che sono tanto richi, che non sanno quanto abbino. Anticamente, quando nelle nave antiche s'andava da la terra del Prete Giovanni a questa isola, si penava a passare XXXIII. giornate e più, ma nelle loro nave moderne si passa da una parte a un'altra in VII. giornate, e vedesi el fondo dell'aqua in più parti, imperò che non è profondo.
DELL'ISOLA ORILLA, E DI ARGUTA, NE LE QUALI SON GRANDI TESORI E BEN GUARDATI, E DEL MODO CHE SI TIENE A AVER DEL DETTO TESORO.
Dallato a questo reame son due altre isole; la prima si chiama Orilla, e l'altra Arguta. Tutta la terra di quelle è di minera d'oro e d'ariento. Queste due isole sono là dove il mare rosso si parte dal mare occeano. In quelle isole non si vede quasi alcuna stella che paia chiaramente, salvo che una, la quale è molto chiara, ed è da loro chiamata canopos. Ivi in ogni lunazione non si vede mai se none el sicondo quartieri della luna. In queste isole son montagne grande d'oro, le quale sono dalle formiche molto ben guardate e custodite curiosamente. Queste formiche separano l'oro puro dallo impuro e naturalmente bene affinandolo; e sono grandi come cani grandi[58]; onde la gente non usa aprosimarsi alle montagne, perchè le formiche gli assalterebono e da quello non si poterebono difendere, sì che e' non possono sanza ingegno aver di questo oro; e però al tempo caldo, quando le formiche sono sotto terra nascose, dall'ora di terza infino a bassa nona, le genti vanno con cammegli e dormedarii e carregiono pian piano, e poi si fugono inanzi che le formiche escin fuori della terra. Ma nell'altro tempo, quando non è tanto caldo, e che le formiche non s'ascondono, e' s'ingegniano per altro modo, e pigliono giumente ch'ànno i puledri piccoli, e sì gli mettono a dosso duo vasegli per uno, a modo che due cesti, neri e aperti di sopra, pendenti infino appresso a terra, e mandono queste giumente a pasturare al contorno di queste montagne, e gli puledrini ritengono legati. Quando le formiche veggono questi vasegli, e' vi montono suso, et entranvi dentro; e ànno per natura, che non si lasciano alcuna cosa d'intorno, nè in caverna, nè sotto terra, nè in altra parte dove stanno, e sempre vanno rimovendo e rimutando or qua, or là; onde loro stesse empiono questi vaselli, d'oro. E quando, le gente che aspettono, pensono che le giumente siano assai cariche, e' menono inverso loro e puledri e fannogli rughiare, e subito le giumente tornono verso loro, e egliono le scaricono, e ànno l'oro per cotal maniera in gran quantità; però che le formiche conoscono gl'uomini dalle bestie, e comportono bene che le bestie vadino tra loro, ma non vogliono patire l'andare degl'uomini.
DEL PARADISO TERRESTE E DE' FIUMI CHE ESCONO DI QUELLO.
Oltre alla terra e l'isole del Prete Giovanni, andando verso oriente, non si truova altro che gran montagnie e regione tenebrose, dove non si potrebe vedere nè di giorno nè di notte, sì come testimoniano quegli del paese. Queste montagnie diserte, e questi luoghi tenebrosi durono da una costa ( sic ) infino al paradiso terreste, dove Adamo nostro padre ed Eva furono in prima posti, e quali non molto vi rimasono. Il paradiso è verso oriente a cominciamento della terra; ma quelo oriente non è già il nostro oriente di qua quando el sole si leva a noi; però che, quando el sole si leva all'oriente verso el paradiso terresto, allora è meza notte tra le parte di qua, per cagione della ritondità della terra, sì come io ò scritto di sopra. E perchè il nostro Signore fece la terra tutta ritonda nel mezo del firmamento, bene che vi sia monti e valli, questo non è naturalmente, ma venne per ragion del diluvio, che fu al tempo di Noè, el quale guastò la terra molle; e la dura terra, e e sassi rimason montagnie.
Io non saperei propiamente parlare del paradiso, che io non vi fui mai, e ciò mi duole; e penso, che io non fu' degno, ma quel che io ò udito dire a' più savi di là, io volentieri lo discriverrò. E' dicon che il paradiso terresto è la più alta terra del mondo, e è in oriente al cominciamento della terra, e così alto, che tocca quasi el cerchio della luna: per lo quale cerchio, o vero spera, la luna fa il suo torno. Il paradiso è tant'alto, che il diluvio di Noè coperse di sotto e di sopra e intorno tutta la terra, salvo che questa del paradiso. Questo paradiso è serrato intorno di mura, e non si sa di che cosa sia murato, e non vi par pietre, nè anche altra materia della quale siano le mura. Questi muri si distendono da mezo dì verso Bissa. Una sola entrata v'è, che sta serrata di fuoco ardente per modo, che niuno uom mortale no può entrare per diritto. Nel mezzo de la più alta terra del paradiso è il fonte, el quale getta li quattro fiumi, e quali corrono per diverse terre. Il primo fiume si chiama Phison, e corre per India, nel qual sono molte pietre preziose, e molto legnio aloes e molti granelli d'oro; l'altro si chiama Gion o vero Nilo, quale passa per Etiopia e per Egitto; l'altro si chiama Tigris, el quale corre per Soria e per la grande Armenia: e 'l quarto si chiama Eufrates, il qual passa per Media e per Persia e per Armenia. E dicono gl'uomini di quel paese, che tutte l'acque dolce del mondo, di sopra e di sotto, pigliono origine da quel fonte, e da quello tutte l'acque dolce escono. El primo fiume si chiama Phison, che vuol dire in nostra lingua, ragunanza, o vero congregazione, perchè molti altri fiumi si ragunono e vanno in questo fiume: altrove si chiama Ganges per uno che fu Re in India, chiamato Ghangores, però che correva per la sua terra. Questo fiume è in alcun luogho torbido, in alcun chiaro, in alcun caldo, e in alcun freddo. El sicondo fiume, che si chiama Gion, o vero Nilo, è detto, però che sta sempre torbido, e Gion, nella lingua di Etiopia, vuol dire torbido. El terzo fiume si chiama Tigris, ciò è a dire, tosto, corrente; imperò che corre più presto degli altri, e a similitudine di questo, v'è una bestia chiamata tigris, la qual corre molto velocemente. El quarto fiume si chiama Eufrates, ciò è a dire, ben portante, perchè molti beni crescono sopra questo fiume, frutti, biade e altre cose. E sapiate, che niuno uomo mortale può andare, nè aprosimarsi al detto paradiso per la moltitudine delle bestie salvatiche che sono in quegli diserti, e per l'alteza di quele montagne e per l'aspreza de' sassi e quali niuno poterebe passare[59]. Molti gran signori ànno voluto molte volte isprementare e andare per questi fiumi verso el paradiso, con gran compagnia, ma mai non poterono trovar la via; anzi molti di loro murirono per la foresta e per lo navicare, e molti altri rimasono orbi, e altri sordi per lo strepito della acqua, e altri son morti e perduti nell'onde. Sì che pertanto niun mortale vi si può approssimare, salvo che per ispezial grazia di Dio. E di questo luogo io non saperei discriver più; e pertanto tacendo, ritornerò a quel che io ò veduto.
Chiunque avessi grazia di sapere tener la via diritta, sì poterebe passare per queste isole sopradette della terra del Prete Giovanni, le qua' sono sotto terra, quanto a noi di qua, e per altre assai isole più inanzi, e circundare la terra e poi ritornare dirittamente alle parte de le quale si fussino mossi; e arebono circundato tutto el corpo della terra. Ma perchè vi converrebe gran tempo, e molti pericoli vi sono nel passare, parte per le isole diverse, parte per li gran mari e parte per dubio di smarrir la via, pochi uomini si mettono a farlo, quantunque si possa fare, tenendo la diritta via in modo, che io ò detto di sopra: e per questa cagione si ritorna da queste isole sopradette, costegiando, nella terra medesima del Prete Giovanni.
DELL'ISOLA DI CAISAM, CH'È MOLTO GRANDE E BUONA, E DE LA USANZA CHE TIENE IL FIGLIUOL, MORTO IL PADRE, IN QUESTO PAESE.
Dipoi, ritornando, si viene a un'altra isola, chiamata Charsam, la quale isola tiene di lungo 60. giornate e di largo 50. o più. Questa è la magiore isola e 'l migliore reame del mondo, eccetto Cataim. Questo paese è così bene abitato e così pieno di città e di ville e di gente, che, quando e' s'esce fuora d'una città per andare in qualunche parte si voglia, si vede un'altra città inanzi a sè. In questa isola è una grande abundanzia di vino e di spezie. Il Re di questa isola è molto possente e gran ricco, ma nondimeno riconosce la sua terra dal Gran Cane e ubidisce lui; però che questa isola è una de le XII. province che 'l Gran Cane à sotto di sè, sanza la sua propia terra e de le isole migliore, de' le quali n'à molte. In questo paese son gran boschi di castagneti, e se e mercatanti usasino così in questa isola, come fanno ne l'isola di Catai, ella sarebe asai migliore che Catai. Da questa isola si viene, ritornando, a un altro reame, chiamato Riboeh, che è sotto posto al Gran Cane, ed è un buon paese e abondevole di biade e di vino e d'altri beni. Le gente di questo paese non ànno case, ma stanno nelle tende e padiglioni fatti di feltro nero. La lor città principale o reale è tutta murata di pietre preziose, cioè nere e bianche, e tutte le strade di questa son ben lastricate di queste simile pietre. In questa città non è uomo che ardisca spander sangue d'uomo nè di bestie per riverenza d'uno idolo ch'egli adorono. In questa città istà il Papa della fede loro, il quale e' chiamono Sabasi, e concede tutti e benifici e tutte l'altre cose, che apartengono agl'idoli. E tutti quegli che riconoscono alcuna cosa de le lor chiese religiose, e altri ubidiscono a lui, al modo che fanno qua le genti di santa chiesa al Papa. In questa isola è una usanza, che, volendo el figliuolo grandemente onorare el padre, quando e' muore, manda per tutti gli amici e' parenti suoi, religiosi e preti e pifferi in gran quantità, e portono il corpo del padre sopra a una montagnia, facendo gran festa e solennità. Poi che l'ànno lassù portato, il maggior prelato sì gli taglia el capo e sì lo ripone in uno piattello grande d'ariento dorato: dipoi lo dà al figliuolo. Allora el figliuolo o gli altri il pigliano e portano, cantando e dicendo molte orazioni. Poi gli preti e religiosi tagliano el troncone del busto per pezzi, dicendo orazioni; e gli uccelli del paese, che sono usitati a quella usanza per lungo tempo, vengono, e sì si apresentono di sopra, volando come fa tra noi il nibbio a la carogna; e i preti gittono e pezzi de la carne, e gl'ucegli gli pigliono e vanno alquanto dilungi, e sì la mangiono. E poi gli preti cantano a modo che di qua per gli morti, e dicono l'uficio in loro linguaggio ad alta voce. Dipoi dicono: Riguardate come era valente uomo costui, il quale gli angioli di Dio son venuti a trovare e portare in paradiso. Alora pare al figliuolo che sia molto onorato, quando gli ucegli ànno mangiato il suo padre. E colui, a chi viene maggiore numero d'uccelli, è quello che gli pare abbia avuto maggiore onore più che gli altri. Da poi il figliuolo rimane a casa cogl'amici e co' parenti suoi e fagli gran festa; e gl'amici racontono tra loro qual mente gli uccegli gli vennono a torre; e così ragionando, in questo molto si gloriano. E quando sono raunati a casa, il figliuolo fa cuocere la testa del padre, e alquanto della carne dà in luogo di guazzetto; e danne a ciascuno de li suoi più speziali amici; e dell'ossa del craneo se ne fa fare una tazza, colla quale lui e i parenti beono con gran divozione a memoria del santo uomo, mangiato dagl'uccegli; e il figliuolo serba questa tazza; e tutto 'l tempo della vita sua bee con quela per memoria di suo padre.
D'UNO UOMO MOLTO RICO, E DE LO STATO SUO, E DELLA CONCLUSIONE DEL LIBRO CHE FA L'AUTORE.
Da questa isola, ritornando per X. giornate per mezo la terra del Gran Cane, è una grand'isola e buona e buon reame, nella quale è uno rico e potente Re. Fra gli altri di questo paese v'è uno uomo richissimo, el quale non è principe nè amiraglio nè duca nè conte, ma sono molte gente a lui suggette che tengono terre da lui; e à costui una grandissima entrata ogn'anno, e è troppo ricco, perchè à continuamente più di tre mila cavagli caricati di biada e di riso, anno per anno. Costui fa molto nobil vita: sicondo l'usanza di là, lui ha cinquanta damigelle vergini, le quali tutta via lo servono quando mangia. E quando egli è assettato a tavola, tutte quelle vergini gli portano insieme una maniera di vivande, e sempre la portano cantando una canzona. Poi gli tagliano innanzi quella vivanda, e di quella lo imboccano, però che lui non fa alcuna cosa, se non tenere le mani sopra alla tavola e mangiare le vivande che gli danno quelle damigelle; imperò ch'egli ha l'unghie tanto lunghe, che non potrebbe colle mani nè tenere nè pigliare alcuna cosa; e quando si va a coricare, quelle damigelle lo spogliano, e così quando si leva lo rivestono. La nobilità degli uomini di quello paese è lasciarsi crescere l'unghie quanto possono; e sono molti nel paese, che, tanto se le lascion crescere, che circundano tutta la mano: e questo è tra loro gran gentilezza. E la nobilità delle donne loro si è aver piccoli piedi: e per questo, come son nate, legono e piedi così stretti, che non crescono la metà di quelo che doverebbono. Sì che queste fanciulle cantono canzone mentre che e' mangia; e quando lui à mangiato quela vivanda, ne portone un'altra, cantando a modo che di prima; e così fanno per insino che à mangiato, e ogni dì fanno a questo modo. E in tal modo usa costui la sua vita, come ànno fatto i suoi, e come fanno gl'uomini dati all'ozio e al ventre e alla gola, e quali sempre disutilmente vivono sanza fare alcuno bel fatto o altre opere degne di laude e di virtù. O quanti ne sono oggi a lui simiglianti che disiderano la vita solo per stare a riposo a grattarsi el ventre, come fa el porco nella grassa! Egli ha molto bello palazzo e ricco, dove si sta; del quale le mura circundano due leghe. Dentro vi sono be' giardini: le sue camere e sale sono d'oro e d'argento, e nel mezo d'un bel giardino si è uno monticello, ove è uno piccolo praticello, nel quale è uno munisterio con torri e pinacoli tutti d'oro. Molte volte va costui a questo munisterio, che non è fatto per altra cagione, se non per diletto di costui.
Da questo paese si ritorna indietro per la terra del Gran Cane, della quale io ò detto di sopra, però non bisogna c'un'altra volta vi discriva, nè di quale si tenga conto. E sapiate, che di tutto quel paese e di tutte quell'isole e diverse gente e diverse legge e fede, ch'egl'ànno, le quali io ò scritto, niuna gente non è lì, la quale, pur che abia ragione e intelletto, che non abia alcuno articolo della nostra fede e alcun buon punto di ciò che noi crediamo, e che eglino non credino in Dio, il qual fece il mondo, el quale egli chiamono Hiretarze, ciò è a dire: Dio di natura, sicondo che dice il profeta: Et intuentur omnes fines terrae; e altrove: Omnes gentes servient ei etc. Ma egli non sanno però perfettamente parlare di Dio padre, nè del figliuolo, nè dello Spirito santo; nè sanno parlare della Bibbia, e spezialmente del Genesis e degl'altri libri di Muises, de l'Esodo e degli profeti, però che non ànno chi gl'insegni; sì che non sanno se non di loro intelletto naturale. E' dicon bene, che le criature ch'egliono adorono, non son punto Dio, ma egli le adorono per le gran virtù che sono in quelle, le quali non vi poterebono esser sanza grazia di Dio. Dei simulacri e idoli e' dicono, che non v'è alcuna gente, che non abino idoli; e questo dicono, perchè noi abiamo le immagine e le figure della nostra Donna e di molti altri santi che adoriamo noi; ma e' non sanno, che noi non adoriamo punto le immagine di legnio, nè di pietre, anzi e santi, a memoria de' quali son fatte; perchè, a modo che la lettera dimostra a' litterati che è come si dee credere, così le immagine e le pitture dimostrono alla idiota gente a pensare e adorare e santi, a nome de' quali son fatte; però che 'l pensare umano ispesse volte è invilupato per molte cose, per le quali e' dimenticherebono di pregare Dio e nostra Donna e gl'altri santi, se le figure, fatte a lor nome, non gli rendesson memoria. E dicono, che gli angioli di Dio parlono a loro ne' loro idoli, e che e' fanno di gran miracoli: e di ciò dicono vero, perchè negli idoli loro ve ne sono, ma sono due ragione d'angioli, buoni e cattivi, come dicono e greci; chalo bono e caccho malo, cioè: chalo vuol dire buono, e chacho vuol dire cattivo; sicchè gli buoni angioli non sono negli idoli loro, anco vi sono i malvagi e cattivi, per mantenergli nel loro errore.
Molti altri paesi diversi, e molte altre maraviglie sono di là, le quali non ò già tutte vedute; e di quelle che io non ò vedute, non saperrei propriamente discrivere; e nelli paesi propii, dove io sono stato, molte cose diverse sono e strane, delle quali io non fo menzione, perchè sarebe cosa lunghissima a ricontare il tutto, perchè, se io iscrivessi tutto ciò che è ne le parte di là, chiunque poi si afaticassi e travagliasse la persona per andare per le parte di là cercando i lontani paesi, volendo racontare, o vero iscrivere delle cose strane, si troverebe impacciato per la mia discrizione; però che non poterebe nè dire nè contare cosa novella, della quale gli auditori si potessino dilettare. E ancora dicesi: Omnia nova placent, ciò è a dire, che tutte le cose nuove piacciono; sì che pertanto io farò fine, sanza più ricontare delle cose strane e diverse che si truovono nelle parte di là. E ciò che io ò scritto d'alcun paese, è tanto, che debbe bastare. E sapiate, che quello che io ò scritto, si è la propia verità, come se fussi il santo Evangelio, benchè saranno molti, che non lo crederanno, ma lascio il giudicio ad altrui che voglia andare di là; però che loro molte altre cose troveranno da scrivere, e vederanno se io dico il vero o no[60].
Finito il libro bellissimo di Giovanni Madivilla, ridotto in lingua Toscana. Laus Deo omnipotenti. Amen[61].
Io Giovanni de Mandavilla sopradetto, il quale mi partì di nostro paese, e passai el mare nell'anno di grazia 1322; e dipoi ho ricercato molte terre e molti paesi, e sono stato in molta buona compagnia, et ho veduto molti begli fatti, benchè io nonne faciessi mai alcuno nè altro bene, del quale io debbi parlare, et ora al presente io sono allo stanco riposo ritornato oltre a mia voglia, per cagione delle gotti antiche. E per prendere alcun sollazzo nel mio tristo riposo, ricordandomi del tempo passato, ho compilato e messo in iscritto le sopra dette cose, secondo el meglio che ho potuto ricordarmi, nell'anno di grazia 1357, nell'anno tregesimo quinto che io mi parti' di nostro paese. E priego tutti quegli che qui leggieranno, se a loro piace, voglino pregare Iddio per me, che io pregherrò per loro; e tutti quegli che per me diranno uno Pater nostro, acciò che Iddio mi faccia remissione degli miei peccati, io gli faccio tutti participevoli, e sì gli conciedo parte di tutti gli miei peregrinaggi e di tutti gli buoni fatti, e quali io feci e farò insino alla fine mia. E priego Iddio, dal quale ogni bene discende e ogni grazia, che tutti quegli cristiani che qua leggono o odono leggiere, che gli voglia adempiere tanto della grazia sua negli corpi e anime loro, salve fare ( sic ), alla gloria e laude di lui; il quale è trino et uno sanza cominciamento e sanza fine; senza equalità buono, e senza quantità grande; in ogni luogo presente, e in sè ogni cosa continente; il quale niuno bene può migliorare, il quale è in trinità perfetta [e] vive e regna per ogni seculo e per ogni tempo. Amen.
FINIS: DEO GRATIAS.
INDICE.
Di molti vari e diversi paesi che sono di là, e del monte Atalante, e della città di Trabisonda, dove giace santo Atanagio, e di molti reami di Barbaria Pag. 5
Del castello di Sparveri, dove sta una bella donna de' doni di ventura, la quale dà, a chi fa la veghia VII . dì naturali, quello che 'l sa adomandare 9
Della montagna di Ararath, dove si fermò l'Arca di Noè, e della città di Laidenge, e della città di Thaurissa, e della abondanzia sua 12
Della terra di Iob e della abundanzia d'essa, e come si ricoglie la manna, e della proprietà sua 16
Delli ornamenti de' Caldei, e quali sono begli uomini, e le femmine sono brutte e mal vestite 17
Del regno delle Amazone e de' lor costumi e usanza, e di Tramegitta, dove Alessandro Magno fece edificare Alessandria 19
Di Etiopia, e come ivi sono genti di diverse maniere, perchè alcuni non ànno piedi, altri sono fanciulli e ànno canuti e capegli, e quando son vechi gli ànno neri 22
Come si fa il cristallo, come nascono le perle, e come nascono e diamanti, e come crescono; e della virtù e proprietade sua, e come e' perdono la virtude, e come si conoscono e buoni da' cattivi 23
Di India e della diversità della gente che vi si truovono; e de l'isola di Oriens; e de l'isola di Canna, dove si fanno diverse adorazione, e la ragione perchè fanno questo; e perchè non sotterrono e loro morti 29
Come nasce il pepe e come si coglie, e di quante maniere di pepe si truova, e che modo si tiene per li serpenti che ivi stanno 35
D'una fonte che à sapore d'ogni spezie, e della sua virtù 37
Come in questo paese fanno sacrificio dei propii figliuoli, e come, morto el marito, la moglie s'abrucia con lui insieme 39
Degli idoli di questa gente e della grande divozione ch'egli v'ànno 41
Dell'isola Lamori e della gente che ivi abita, e la ragione perchè vanno nude; e come mangiono carne umana, e quanti gradi è tutto il firmamento 46
D'uno che andò cercando el mondo e ritrovossi in paese, dove e' si parlava in sua lingua 52
Della grandeza di tutta la terra 54
Dell'isola di Simbor, dove gl'uomini e le femine si fanno segniare nella fronte con un ferro caldo per gentileza; e dell'isola di Botegon 58
Dell'isola di Gianna, e delle cose che ivi nascono, e della possanza di questo Re, e del suo palazo, el quale è una cosa molto stupenda 59
Dell'isola di Patem, dove sono alberi che fanno farina; altri fanno vino, altri fanno mele, e altri veleno; e d'un certo lago, nel quale nascono canne che ànno nella radice pietre preziose 61
Dell'isola di Talanoch e del suo Re e della possanza sua, e degli elefanti, i quali lui tiene per sua difesa; e di due altre cose maravigliose che vi sono 63
Qui si fa menzione d'una gran maraviglia, del pescie che si gitta alla riva di questa isola 64
Dell'isola di Raffo, ove dànno gl'uomini a mangiare a gl'uccegli 67
D'una altra isola chiamata Mulca, dove sono cattivissime gente che beono sangue d'uomo; e dell'isola che si chiama Tracondia, dove son gente che non parlono, ma sibillano 68
Dell'isola Ongamara, dove son gente che ànno teste di cani, che si chiamono Cenofali, e della giustizia del suo Re 69
Dell'isola di Silla, e di molte strane e diverse nature d'animali che quivi si truovono 71
Dell'isola di Dondina, dove e' mangiono l'uno l'altro, quando non possono scampare; e della possanza del loro Re, il qual signioregia LIIII º. isole; e di molte maniere d'uomini, i quali abitono in queste isole 73
Del reame di Mauri ch'è molto buono e grande, e delle maniere e costumi di quelle gente 78
Della grande città di Cassaga e delle sue maniere 81
Della città di Chilafonda, e della terra delli Pigmei e della statura loro 83
Della città di Iancai, e della città di Menca, e delle loro richeze e usanze 85
Dell'isola di Catai, e delle città che ivi sono, e del palazo del Gran Cane, e delle sue magnificenzie 87
Perchè si chiama el Gran Cane e di cui discese, e del nome de' sette linguaggi di Barberia 96
Del titolo del Gran Cane, e del governo della corte sua quando si fa festa, e delle maniere de' baroni che servono a tavola, e delli savi che vi sono, e di molte altre cose mirabile e stupende 106
Della maniera del Gran Cane quando lui cavalca, e di coloro che cavalcono seco, e della signioria e gran possanza sua 118
Del modo che osservono e corrieri sua in portare presto le nuove, e delle cose che si fanno al Gran Cane quando cavalca per lo suo paese 120
Del modo del sacrificare loro, e de' nomi dei figliuoli del Gran Cane 125
Delle cose che e' tengono per pecato e della penitenzia che gli conviene fare per questi peccati, e del modo ch'egli tengono a presentare il Gran Cane 126
Del modo che servono quando muore lo imperadore in sotterrarlo, e del modo che tengono quando ne fanno un altro, e delle parole che lui dice alla eletta 131
Della città di Corasina, e di molti paesi strani 134
Dell'imperio di Persia, e delle cittadi che ivi sono 136
Del reame di Giorgia, e del reame di Abthas, e della provincia di Bonavison, nella quale è una cosa molto maravigliosa, e delle gente che ivi abitono 138
Della Turchia e delle province che vi sono, e di Caldea, di Mesopotamia, e di molte cose che lì si truovono 141
Del paese di Cadissa e delle cose che ivi nascono, e delli monti Caspi, nei quali sono rinchiusi e Giudei, e di molte altre cose 144
Della terra di Bacaria, e di certe arbore che fanno lana; e della grosseza del Grifone, e d'altre cose che lì sono 149
Della possanza del prete Giovanni, e delle gente e nazioni e reami che gli sono sotto posti, e del camino che si fa per andare ivi, e delle richeze e pietre preziose che sono in quelle parte 150
Del modo che tiene il prete Giovanni quando cavalca contra' nimici, o vero per la terra; e del palazo suo, e de l'ornamento della sua camera 155
Delli servidori del prete Giovanni, e del modo che loro tengono in servirlo 158
D'una isola chiamata Milscorach, nella quale stava uno uomo molto cauto, che aveva fatto uno Paradiso; e delle cose maravigliose ch'erano in questo Paradiso, e come fu distrutto costui 159
Della valle pericolosa, dove stanno diavoli, e delle cose paurose che si truovono in questa valle pericolosa 163
Di due isole, nelle quali abitano giganti di grande stature, e femmine terribile come el basilisco 170
D'un'altra isola, e della usanza che tengono in isposare le lor moglie, e perchè non dormono la prima notte con loro, ma e' vi dorme un altro 172
D'un'altra isola, e della usanza che ànno quando nasce uno e quando muore, e del Re di costoro, e della buona giustizia che s'osserva in questo paese 173
Come nasce el cotone, e di molte altre cose maravigliose e stupende che sono in questi paesi 176
Dell'isola di Bragmani, e de la lor buona vita, e d'una legiadra lettera, la qual mandorono ad Alessandro Magnio 179
Di due altre isole, cioè Mesidrata e Genosaffa, ne le quali fu profetizato la incarnazione del figliuol di Dio; e d'una gentil risposta qual feciono ad Alessandro Magno 183
De l'isola di Fracan, dove le gente vivono del solo odore de' pomi salvatichi, e d'una altra isola, ove sono le gente pilose 187
Degli arbori del sole e della luna, e della cagione perchè si chiama prete Giovanni 188
Dell'isola Tabrobana, dove sono due state e due verni, dove i lor giardini sempre sono verdi 191
Dell'isola Orilla, e di Arguta, ne le quali son grandi tesori e ben guardati, e del modo che si tiene a aver del detto tesoro 192
Del paradiso terreste e de' fiumi che escono di quello 194
Dell'isola di Caisam, ch'è molto grande e buona, e de la usanza che tiene il figliuol, morto il padre, in questo paese 199
D'uno uomo molto rico, e de lo stato suo, e della conclusione del libro che fa l'autore 202
EMENDAZIONI AL SECONDO VOLUME.
Pag. lin.
5. 7 el viaggio el magnifico. [62]
30. 14 mercatanzie In questa mercatanzie. In questa.
59. 3 di genti, e perchè di genti: e perchè.
74. 25 la bocca, per torgli la bocca per torgli.
NOTE:
1 . Qui i codd. leggono invece el magnifico . 2 . e disse che se egli era eretico che ciò credeva; e perchè gli articoli di detto salmo erano buoni, però così credeva . Così il cod. Ricc. Il Magliab. e le stampe leggono altresì confusamente come sopra. 3 . Qui il cod. Magl. è mancante: mi valgo del Riccardiano e delle due edizz. del 1488 e 1492. 4 . Qui rientra il cod. Magl. 5 . Manca, come altrove. 6 . Così i codd. e le stampe: forse lingnaggio . 7 . Qui pur manca, come altrove. 8 . Il cod. Magl. e le stampe leggono: fu uno Re nel paese e abitarono insieme con uomini maritati, come si fa altrove . Sembrami che la lez. sia difettosa in tutti e quattro i testi. 9 . Così amendue i codd. Nella stampa del 1488 manca si imbrodono cioè . 10 . Il cod. Ricc.; di mari : il Magl. e le stampe leggono di mai e di may . 11 . e nissuno è di grandeza d'una fava : cod. Magl. e ediz. del 1488. 12 . perle fine, le quali si conceranno e ingrosseranno della rugiada : cod. Ricc. 13 . in pace e in guerra : cod. Magl. e st. 14 . Il cod. Ricc. legge: a se l'agulia, e sopra di quella pietra si mette il diamante, e poi se gli presenta l'agulia; e se 'l diamante è vero e virtuoso, mentre che 'l diamante è presente, mai la calamita non tirerà l'agulia, se la calamita non fussi troppo grossa. 15 . Così il cod. Magl. e le stampe: la lez. del Ricc. legge come segue: et è proprietà di via e di camminare per diverse vie e cercare cose strane . 16 . Cioè tralci . 17 . In signif. di forma . 18 . Così il cod. Magl. e le stampe: il cod. Ricc.: et è lo Adabo de' falsi cristiani . 19 . Qui vien meno per tutto il Capitolo il cod. Riccardiano: noterò più innanzi dove rientra. 20 . Qui rientra il cod. Riccardiano. 21 . così il cod. Magl.: il Ricc. legge tornature , e la stampa del 1488 tornate . 22 . Così i codd. e le stampe: forse mare . 23 . Il cod Ricc. Machumaram : il cod. Magl. e le stampe, come sopra. 24 . Così i codd. e le stampe: sinc. di sanguisughe . 25 . Così il cod. Magl. e le stampe. Il Ricc. che pare che venga dagli nuvoli e pare che egli voglia coprire tutta la terra . 26 . per la bontà del paese in questo paese : cod. Magl.: per la bontà sua. In quello paese : cod. Ricc. 27 . Il cod. Magl. legge: e ànno una grossa bocca sopra la testa e sono nove volte . Anche le antiche stampe recano una grossa bocca . 28 . Cod. Ricc. Utria : edizz. ant. Udria . 29 . Così il cod. Magl. e le stampe. Il cod. Ricc. ha invece. Passando per quello paese per più giornate è una città . 30 . Il cod. Magl. legge compassi , come altresì hanno le stampe: nel Ricc. manca. 31 . Nota qui usato piffero per suonatore di piffero : i vocabolaristi non ne adducono che un solo es. tratto dalla Vita di Benvenuto Cellini . 32 . Il cod. Ricc, ha variatamente Chiamgnus e Chagnus . 33 . Così il cod. Magl. o le stampe. Nel cod. Ricc. varia la lez. nel modo seguente: che eglino oservassino a tutto quello che egli aveva detto e ordinato, e che in quell'ora, e dipoi eglino rimanessino contenti di ciò che egli gli farebbe di sua grazia: et eglino dissono, ch'erano, e sarebbono presti a ubbidire e fare tutti e sua comandamenti . 34 . Il cod. Ricc. qui ed altrove legge sempre Magno : forse meglio. 35 . Così il cod. Magl. e le stampe: il Ricc. ha le terre . 36 . Da Intronizzare, Mettere in trono . Del verbo, niuno es. cita il vocab.; dell'add. un solo, tolto dalle Rime di Alessandro Allegri . 37 . Il cod. Ricc. legge: e gli valletti e' famigli . 38 . Così i codd.: forse patirebbe troppo caldo ; o proverebbe troppo caldo . L'ediz. del 1488 legge perebbe . 39 . Così i codd. e le stampe. 40 . E dico che sotto il firmamento non è sì gran Signore : cod. Ricc. Sotto il firmamento nè in terra ec. cod. Magl. 41 . sanza el suo primogenito, de' quali e nomi loro sono questi: Chadai, Balach, Rabilan, Sare, San, Vrin, Neagu, Vocab, Cadi, Sidan, Turen . Cod. Ricc.: le stampe: Cahadai, Vinim, Nengu, Vocab, Cadi, Sidam, Tulem, Soalach, Rabbi, Can, Gare, Gan . 42 . La stampa del 1488 legge arectare . 43 . Il cod. Magl. e le stampe: salvo che arte di seta e armi . 44 . Nota laveggio in signif., pare a me, di quello stanzino ove si lavano e si ripongono le pentole, le tegghie, i piatti ed ogni altra sorte di stoviglie: chiamasi oggi da alcuni lo acquario , da altri lo scaffale e da altri il secchiaio . 45 . Il cod. Magl. legge carriera: le stampe cadrega , forse per carega . 46 . ma non è molto largo : cod. Ricc. 47 . Così i codd.: le stampe polmetta : intendi uno palmite , cioè un tralcio . 48 . Cod. Ricc. nè rocca d'alto mare . 49 . Così i codd. e le stampe. 50 . Il cod. Ricc. da più di 1000 uomini ec. Le stampe: da più di cento millia cavaleri da cavallo , o da cento millia homini da pè . 51 . Questi è il famoso Veglio della Montagna , di cui parlarono eziandio Marco Polo e il beato Odorico ne' loro Viaggi, e da cui il Boccaccio trasse argomento della sua Novella 8. Giorn. III . 52 . Ediz. del 1488: la valle di fontana . 53 . Nota avver. efficace, detto in sen. fig. per acutamente, sottilmente, in modo assai penetrante e che offende. Registrasi nel Vocab. in signif. prop. soltanto, e senza es. 54 . Spulzellare o spulcellare per isverginare citasi nel Vocabolario, ma senza veruno esempio. 55 . Così i codd. e le stampe. 56 . Ne' testi moderni della Scrittura venner tolte via le parole nec discernit inter judeos et gentiles, sed omnis . 57 . Il cod. Ricc.: un'altra isola grande, chiamata Pichon, la gente ec. 58 . Le parole come cani grandi si leggono soltanto ne' due testi a penna. Nell'edizione del 1488, che ho qui sotto gli occhi, dicesi semplicemente e sono grandi : onde per verisimiglianza sarà da preferirsi la lezione della stampa a quella de' manuscritti. 59 . Il cod. Riccardiano à il segu. brano per soprappiù: et etiam per gli luoghi tenebrosi che vi sono molti. E per acqua non vi si potrebbe andare, perchè non vi sono altre acque marine, se non gli sopradetti fiumi per gli quali per modo alcuno non si potrebbe andare nè navicare, perchè corrono e discendono così forte e impetuosamente e con onde sì grandi, che niuna nave vi potrebbe andare: eglino fanno tanto romore e menano tanta tempesta e stridore per gli alti e aspri sassi, onde discendono, che benchè si gridassi forte, niente nelle navi l'uno non potrebbe intendere l'altro . 60 . Cod. Ricc. di là in quelle parti, però che molte cose troveranno ancora a scrivere, delle quali io non ò fatto menzione . 61 . Fin qui il cod. Magl.: quel che seguita appartiene al Riccardiano. 62 . Colla scorta delle stampe prescelsi el viaggio al el magnifico de' codd., che posi in nota. Ora considerato per bene la diversità dalla lez., sembrami si debba anteporre la lez. de' mss., come più consentanea alla mente dello scrittore. Secondo che chiaramente apparisce, magnifico qui è posto sostantiv. e ha forza di magnificenza.