VIAGGIO A COSTANTINOPOLI

DI

TOMMASO ALBERTI

(1609-1621)

PUBBLICATO

DA

ALBERTO BACCHI DELLA LEGA

Stemma dell'editore

BOLOGNA

Presso Romagnoli Dall'Acqua

1889

Edizione di soli 202 esemplari ordinatamente numerati

N. 145 BOLOGNA—SOCIETÀ TIP. AZZOGUIDI

Stemma dell'editore

Di Tommaso Alberti, bolognese o veneziano, viaggiatore della prima metà del secolo XVII, nessuna memoria rimane, fuor che la semplice relazione del suo viaggio a Costantinopoli, che offro ora ai Lettori della Scelta di Curiosità. L'ho cavata da un manoscritto di questa Biblioteca Universitaria a cui mi onoro di appartenere: e il manoscritto, segnato di N. o 99, cartaceo e in forma di piccol foglio, appartenne ad Ubaldo Zanetti, il noto original farmacista, raccoglitore assiduo di codici e stampe. Si raccomanda da se e non ha bisogno di prefazione: perchè, oltre la curiosità, ha il merito d'aver preceduto senza nessun fasto e clamore, il Tavernier, la cui Relazione del Serraglio ebbe ristampe e traduzioni, mentre questa, la primogenita, giaceva affatto dimenticata.

A. B.

Fregio

Viaggio fatto da Tommaso Alberti nel 1609 da Venezia a Costantinopoli per via di mare sopra la nave del Mag . co S. r Giacomo Bonesi di Venezia nominata Nave Buona Ventura .

Al Nome di Dio e della B. V. Maria. Alli 18 Maggio andassimo tutti in nave per far partenza il giorno seguente, in porto delli due castelli; la sera a due ore di notte vennero li ammiragli con le sue barche per condurci fuori di porto, e remorchiandoci, andassimo a seconda d'acqua a scorrere in prua d'un berton Inglese con la nostra nave, dove si ingabbiò le antenne ed ordegni insieme; ma noi subito con arme, manare ed altro tagliassimo tutte le corde ed anco la cividiera, portandoli via li pennoni di detto bertone, senza aver noi alcun danno da esso. E così uscimmo fuori di porto, dubitando che esso ci giungesse nel viaggio e che con noi volesse combattere.

Alli 19 d. o facessimo vela a nostro cammino; alli 23 fece un poco di mar contrario, dove fossimo sforzati andar a pigliar porto nelle .... di Pola, in un luogo detto Fasana, dove gli stassimo sino il giorno della Sensa; ed in questo tempo andassimo in terra di d. a Fasana, luogo piccolo ma molto abbondante d'ogni cosa, cioè carne di manzo soldi tre la libbra, un capretto 40 soldi, l'olio tre soldi la libbra, pane e vino a buonissimo mercato; insomma buonissimo vivere, il sito bellissimo e molto abondante d'olive. Andassimo a un'altra terra lontano tre miglia, luogo nominato Dignano, dove trovassimo il medesimo vivere; dipoi andassimo a Pola, città antichissima ma piccola e tutta rovinata e cascata dall'antichità sua, ma a suo tempo dovea essere una bella cosa, essendo tutte le case ed altro di pietra viva; nella quale vedessimo una memoria sopra la porta del Duomo, dove egli è un millesimo che dice dell'anno 757. Di poi gli è un teatro bellissimo e di molta altezza, tutto di pietra viva, cosa molto vaga da vedere, nel quale li Palatini se ne servivano per farvi le loro giostre e tornei. Vi è anco il palazzo d'Orlando, qual poco più si tien insieme, ma doveva esser molto grande e bello. Vi è molte sepolture, cioè cassoni di pietra, ma tutti ruinati dall'antichità, quali dicono che sono sepolture de' Pagani.

Gli era sopra la detta nave una compagnia di soldati che avevamo levati da Venezia per condurre al Zante; ed il Capitano era il S. or Marzio Timotei da Rimini. E in questo tempo che andassimo vedendo questi luoghi, quattro delli suddetti soldati furono scoperti che avevan trovato modo di rubare la polvere dell'artiglieria della nave; li quali furono la mattina della Sensa legati all'argano, e confessarono il furto, dove ebbero alquante bastonate, ed il medesimo fu fatto a due altri de' detti soldati, quali avevano tratto di ammazzare M. r Pietro Mazza da Bologna per torgli li denari; e dopo le bastonate che ebbero, furono messi nei ceppi per quattro giorni continui.

Il p. o di Giugno andassimo a Lesina per pigliar biscotto per li soldati, qual si era fornito, dove vedessimo quel luogo assai bello di vista, per esser su la riviera d'una collina; e in cima di quella gli è una fortezza bella; ma subito pigliato detto biscotto, tornassimo a nave e seguitassimo il nostro cammino. La sera istessa giungessimo a Curzola, fortezza bella per di fuori ma dentro bruttissima, dove ci fermassimo per quattro ore sole, perchè il Peota di nave fece un suo negozio; e così trovassimo il pesce a tanto buon mercato, che è cosa da non credere, che per quindici soldi ne avessimo passa venti libbre; il vino buono, pane, formaggio, ogni cosa a buon mercato, l'olio soldi sei la libbra.

Tornassimo a nave per il nostro viaggio; alli 6 essendo sotto a Corfù scoprissimo due vascelli grossi che venivano alla volta nostra; dubitando che fussero nemici, ci mettessimo tutti in arme insieme con li soldati, ma conoscessimo che erano due vascelli Francesi, e così passassimo avanti. Gli fu un soldato che voleva sparare il suo moschetto, nè mai volse pigliar fuoco: andorno due o tre altri, fe' li il medesimo, andò un altro, subito prese fuoco, il moschetto crepò e gli portò via mezza la testa; il poverello poi si buttò in mare. La sera istessa a 23 ore scoprissimo sette vascelli grossi sotto il Zante, quali andavano alla volta di Venezia; e così giunti, conoscessimo che erano sette navi Veneziane che venivano d'Alessandria, cariche di molta ricchezza; ci accostassimo facendo molte allegrezze con sparare artiglieria, e ci dessimo avviso l'uno all'altro; e gli era assai mercanti Veneziani. E così passato che fu parola, pigliassimo licenza ognuno al suo cammino.

Alli 7 detto, giorno di Pasqua rosata, giungessimo al Zante, dove gli stassimo sei giorni, e vedessimo quel luogo assai bello, con una grandissima fortezza in cima d'un monte, dove gli sta il S. or Provveditore; ma poi trovassimo molto caro ogni cosa, essendo isola molto fruttifera d'uva passa e Romania, che per la relazione avuta gli fa trenta milioni d'uva passa, Ribola e Romania gli ne fa trenta mila botti, quali sono vini grandi e buoni; fichi assai e sono di tal grossezza che fa meraviglia il vederli; di frumento non gli ne fa molto.

Il martedì sera, che fu alli 9 detto, essendo a dormire in nave, venne la notte un tempo cattivissimo con vento tanto grande, con fortuna di mare grandissima, la quale ci travagliava assai; ed essendo un bertone Inglese poco lontan da noi sopra vento, se gli ruppe la gomena grossa, e il d. o bertone con gran furia veniva alla volta nostra, facendoci grandissima paura che non ci scorresse nella nave; ma essi gettarono un'altra gomena in mare; e per il gran vento che faceva l'ancora non teneva, ed il bertone ci veniva addosso, perchè l'ancora non si attaccava ed andava arando sotto acqua; ne gettarono un'altra e si attaccò e subito si fermò: e vedessimo quel vascello a gran pericolo di rompersi, ma ancor noi avessimo assai paura; e quel tempo durò tutto il giorno seguente. E noi sul far della sera andassimo in terra con gran fatica per la fortuna del mare, ed erimo tutti affamati, non avendo potuto tener in corpo niente di cibo; e tutti andassimo all'osteria dove gli stassimo sino alla nostra partenza, venendo ancora il sud. o signor Capitano de' soldati con altri officiali.

Il giovedì che fu alli 11 detto il sud. o signor Capitano si imbarcò con li suoi soldati e robe sopra tre fregate per andare alla fortezza di Nassi: ed essendo a cammino circa cinque miglia, il signor Capitano volendo salire sopra un'altra di quelle fregate che veleggiava più delle altre, ed accostatesi le due fregate, si intrigarono con le corde, vele ed antenne insieme, e quella dove era salito il Capitano, si affondò con perdita di tutta la roba e di 17 uomini fra soldati e marinari; ma il Capitano si salvò a un remo insieme con cinque soldati, e venirono in terra, ma più morti che vivi; ed il Capitano stette molto male e perse tutta la sua roba che in quella era, che manco pure il Capitano aveva drappi attorno, quando venne in terra: e gli fu danno grande, che oltre la roba sua persa, ancora perse le lettere Ducali, li gruppi di denari di S. to Marco che lui aveva; ma vedendo il caso, il S. or Proveditore del Zante gli diede danari e lettere, e lo spedì via alla peggio alla volta di Nassi, senza insegna nè tamburo; e li soldati non volevano più stare sotto la sua ubbidienza, dicendo che essendo perso l'insegna e il tamburo, non esser più obbligati a servire; e così gli ne scappò da 6 o 7, e lui andò via con la metà dei soldati e poco onore.

Alli 13 detto che fu sabato, facessimo vela a nostro cammino insieme con una nave Francese la quale andava ancor lei a Costantinopoli. Alli 18 d. o giorno del Corpus Domini, trovandoci nell'Arcipelago la mattina nella levata del sole, scoprissimo sotto certe isole alquanti vascelli e galie, dove tutti ci mettessimo in arme, e così stassimo in questo dubbio sino a mezzo giorno, sempre in bonazza cioè, senza vento; ma per bene conosciuti quelli non essere vascelli nè galie, ma erano li monti che per il riflesso del sole facevano quell'effetto; e a quel tempo venne buon vento che ci portò avanti. Alli 21 d. o che fu la domenica, essendo sotto Pessavà isola fece un vento maestrale a noi contrario, tanto grande, che fossimo sforzati andar a pigliar porto nell'isola di Scio in un luogo detto S. ta Anastasia, dove gli stassimo 18 giorni, per il d. o vento qual sempre seguitò, che non potessimo levarci di quel luogo, nel quale ogni giorno andassimo in terra per quelle ville e casali, ma non andassimo mai alla città di Scio, perchè vi era gran peste, ed anco perchè vi erimo lontani da XX miglia. Pigliassimo pesci in quantità; ed io per mio ricordo, il giorno di S. to Pietro, essendomi andato per mio diporto in acqua con molti altri della nave per lavarci e rinfrescarci, quali sapevano benissimo nuotare, ed io per non saperne pigliai un'assa in mare, con la quale mi andava sostenendo, e quella mi portò assai lontano dalla nave; uno di quelli che nuotavan venne sotto acqua e mi diede nell'assa la quale mi scappò di mano, e restando io abbandonato di quella, andai sotto acqua molte volte, dove mi messi per morto. Uno, visto il pericolo, venne alla volta mia per aiutarmi: ed io sentendo d'aver appoggio me gli attaccai talmente attraverso le sue braccia, e con le mie gambe le incrociai insieme con le sue, che ancor lui non potendo nuotare, avendo prese le braccia e gambe, tutti due ci annegassimo. Fu visto dalli altri il pericolo, vennero gli altri, quali ci aiutarono e ci portarono quasi come morti alla nave; ed io per grazia di quella Beatissima Vergine di S. Luca di Bologna, la quale sempre chiamai in aiuto, fui liberato, ma stetti molto male per otto giorni per la grand'acqua salsa che avevo in corpo; ed averò ricordanza di tal giorno.

Alli 8 Luglio ci levassimo di d. o luogo per il nostro viaggio.

Alli 10 detto, essendo sotto Troia in bonaccia grande, cioè senza vento, vedessimo una galera di Barbaria che veniva alla volta nostra dove erimo in gran paura e ci mettessimo tutti in arme; ma la Maestà di Dio ci mandò buon vento, dove scappassimo dentro delli due castelli di Costantinopoli, quali sono di tal fortezza che credo non ve ne sia due altri simili, con riviere di ville, giardini, che rendono vista bellissima.

Alli 12 d. o che fu la domenica, avanti giorno, fossimo a Gallipoli: e la sera giunse quella galera di Barbaria che avevamo lasciato addietro, la quale venne con gran allegrezza sparando artiglieria, moschetti ed altro, per segno d'allegrezza d'una presa che avevan fatto d'un vascello di Siviglia, nel quale vi era dentro un figliuolo del Vicerè di Napoli, qual avevano preso insieme con tre altri vascelli che andavano da Napoli in Siviglia, per passare d. o figliuolo in altro luogo, e detti quattro vascelli furono presi dalle galere di Barbaria; nelli quali vi era ancor quattro Padri Zoccolanti: ed ogni cosa condussero in Barbaria, eccetto il figliuolo suddetto, quale era un putto di dodici anni in circa, bello e garbato, il quale stava assai di buona voglia; e lo condussero a presentare al Turco, il quale l'ebbe molto caro e lo fece rinnegare subito.

Alli 15 d. o ci partissimo di Gallipoli ed essendo nel golfo di Marmara scontrassimo l'armata Turchesca, quali erano settanta galere ma ben armate, le quali andavano per trovare quelle di Fiorenza.

Alli 17 d. o stassimo sotto Silivrea città. Alli 19 d. o con l'aiuto del S. Dio e della Beatissima Vergine Maria fossimo a Costantinopoli.

Fregio

Viaggio fatto da me Tommaso Alberti da Costantinopoli in Polonia, cioè in Leopoli, per via di terra, con molti effetti dei signori miei principali mercanti Veneziani cioè 27 carri carichi di tappeti, tre carri di reobarbaro, due carri di seta, tutto per condurre alla lor casa aperta in Leopoli, ed io sopracarico delle suddette robe, quali carri erano tutti condotti da Turchi.

Al Nome del S. Dio e della B. V.

Alli 26 Novembre 1612 ci levassimo di Costantinopoli con li carri, e stassimo fuori della porta chiamata la porta d'Andrinopoli due giorni e due notti, sempre con vento e pioggia, per la spedizione del commercio, cioè dazio. Alli 8 d. o giovedì facessimo levata: la sera giungessimo al ponte lungo, qual ponte è tutto di pietra viva e lungo mezzo miglio in circa; vi è molti occhi ma è basso, vi è un bellissimo Cavarserà, che vuol dire luogo riservato, dove vanno li viandanti per posarsi, e tutto coperto di piombo; non vi è che una porta; vi è comodità di stalle, fontane ed alloggiamenti per persone in quantità; il ponte serve per esser laguna marittima.

Alli 9 d. o facessimo levata: la sera fossimo a Silivrea città alla marina. Alli 20 d. o ci levassimo e a mezzo giorno fossimo al Corlù, bazar grande cioè villa di mercato. Alli 11 domenica ci levassimo, la sera fossimo a Pergas villa. Alli 12 fossimo a Capsi villa grande. Alli 13 ci levassimo, la sera giungessimo in Andrinopoli, città antichissima ma brutta: vi stassimo due giorni. Ed io avevo un rinnegato che era otto anni che si era fatto Turco, quale era Ludovico Zarlatini da Modena, ed io stavo con qualche timore e sospetto, perchè conduceva costui in Cristianità per ritornarlo alla nostra e vera fede, siccome feci con l'aiuto di Dio.

Alli 15 d. o a mezza notte ci levassimo, la sera giungessimo a Dervente, villa abitata da Bulgari. Alli 16 d. o camminassimo per un bosco molto pericoloso d'assassini, però andassimo ben provvisti da ogni sospetto. La notte stassimo in detto bosco. Alli 17 d. o camminassimo sempre per il detto bosco con strada cattivissima e sempre pioggia. Alli 18 d. o domenica giungessimo a Aidos, città brutta senza muraglie grandi e in bel sito.

Alli 19 d. o facessimo levata al nostro cammino, e trovassimo un monte molto faticoso da salire, che vi voleva dieci paia di cavalli a tirare un carro. La sera stassimo in una villa disabitata e bruciata dai Tartari, quali spesse volte fanno delle scorrerie a danno dei passaggieri, e saccheggiano li villaggi ed altri luoghi secondo li piace. Alli 20 detto Martedì ci levassimo e camminando giungessimo nel bosco di Balcar, bosco grandissimo; e si passa un fiume 39 volte. La sera con gran pioggia stassimo a una villa nominata Giengia, abitata da Bulgari, ma la più parte indisposti di mal di idropisia per la cattiva aria che vi regna, per essere in una valle, cioè in fondo a monti altissimi. Alli 21 d. o ci levassimo di detto luogo; la sera giungessimo a Provadia, città abitata da Turchi, posta in pianura senza muraglie: ma è circondata da monti altissimi, che la guardano molto bene; vi stassimo due giorni per accomodare li carri e provvederci di vittovaglie necessarie, ma sempre con pioggia.

Alli 24 ci levassimo per il nostro cammino; la sera giungessimo a una villa piccola, disabitata, da Tartari, dove stassimo tutto il 25 per esser giorno di Bairam dei Turchi, cioè il dì di Pasqua e il giorno di S. ta Caterina; ed erimo in cima a un monte altissimo, e li furbi di carrettieri ci lasciarono in d. o loco con li carri e mercanzia, ma menarono via li cavalli; e restassimo in cima a d. o monte lontani dalla villa otto, o dieci miglia, che per danari non trovassimo da mangiare nè bere; e li carrettieri tutti erano andati a quella villa per far la festa; ed ivi stassimo con gran freddo e vento.

Alli 25 ci levassimo di detto luogo e camminassimo per boschi grandissimi; la sera fussimo a Barzargichi, città dei Turchi posta in pianura, città brutta e senza muraglie. Alli 27 ci levassimo, camminassimo al nostro cammino, entrassimo nella Provincia della Dobiza e Tracia, confine della Tartaria, tutta pianura grandissima. La sera fossimo a Carages villa. Alli 28 d. o ci levassimo e camminassimo sempre per dette pianure, le quali sono tanto grandi che par un mare di terra, che non si vede che cielo e terra, senza un minimo albero; le strade sono facilissime da fallare, con tutto ciò che vi sia persone pratiche, per la gran quantità di carreggiate che si vedono, traversando una sopra l'altra; e noi fallassimo la strada due volte. La sera stassimo a una villa detta Bulbul, villa piccola posta in detta pianura. Alli 29 d. o fessimo levata, e sempre per dette pianure camminassimo e togliessimo uno a quella villa, pratico delle strade, acciò ci conducesse bene; e passassimo per Caracchicci, città piccola, per posar li cavalli; nella qual città vi è un bello Cavarserà, cioè luogo serrato per le mercanzie e cavalli, qual è alla similitudine di un convento con una sola porta, e tutte le comodità necessarie per li viandanti e cavalli; la sera giungessimo a Straggia, villa grandissima, abitata la più parte da Valacchi.

Alli 30 d. o, giorno di S. o Andrea, camminassimo sempre per dette pianure con la guida; scontrassimo una grandissima carovana che andava a Costantinopoli, la quale veniva di Polonia; la sera fossimo a Cavachei, villa grande. Il 1 o dicembre facessimo levata, camminassimo sempre per dette campagne con la guida; la sera giungessimo a una villa detta Sohaali, villa grande posta sopra la riva del Danubio. Alli 2 d. o facessimo levata, camminassimo dietro il Danubio, a mezzo giorno giungessimo a Mecina, villa e scala del Danubio, cioè dogana e dazio del confine della Turchia, discaricassimo tutti li carri, pagassimo il dazio, ci sbrigassimo da quella maledetta razza dei Turchi, ma con molte difficoltà, e ci liberassimo da quelli furbi dei nostri carrettieri Turchi; mettessimo tutte le robe in barca e così passassimo il Danubio, lasciando la Turchia, entrassimo in Cristianità, facessimo la notte 60 miglia giù per il Danubio.

Alli 3 detto giungessimo a Galazzo città su la riva del Danubio, stato del Principe di Bogdania. Discaricassimo la mercanzia di barca, e stassimo in detto luogo tutto il giorno per accomodare le balle e per trovare li carri per il nostro viaggio. Alli 4 d. o stassimo in detto luogo, facessimo dir messa alla Valacca, stassimo con molto nostro gusto, trovassimo molti e buoni pesci, cioè morone fresche, sturioni e lucci in grandissima quantità ed a buonissimo mercato, quasi per niente, gran quantità di lepri a soldi cinque l'una; galline ed altri polli non ne trovassimo per esser stata, già quattro mesi, ogni cosa svaligiata dai Tartari. Alli 5 d. o ci levassimo da detto luogo con le nostre mercanzie, camminassimo tutta la notte a lume di luna con gran freddo. Alli 6 d. o camminassimo sempre per le campagne già dette, con altra guida, senza mai trovar ville nè casali. La sera ci fermassimo. Alli 7 seguitassimo sempre per dette campagne con gran freddo, senza mai trovare ville nè casali. Alli 8 d. o camminassimo al nostro viaggio, sempre come di sopra, la sera giungessimo a Barlado città, ma tutta disfatta e svaligiata. Alli 9 seguitassimo per dette campagne con grandissimo freddo, la sera fummo a Zizzaar villa, cenassimo e poi facessimo levata al nostro cammino tutta la notte. Alli 10, sempre per dette campagne, passassimo per Vasclù mercato, posto di molte case, e vi è una chiesa e un palazzo del Principe di Bogdania ma tutto rovinato. Alli 11 d. o camminassimo sempre fra monti, e seguitassimo tutta la notte camminando con gran freddo. Alli 12 d. o seguitassimo sempre con gran pioggia, entrassimo in un gran bosco, nel quale vi stassimo la notte, sempre camminando con gran vento e pioggia. Alli 13 d. o, giorno di S. ta Lucia, camminassimo per d. o bosco il quale è grandissimo, le strade cattivissime, che sei para di bovi non potevano tirare un carro; restassimo la notte in detto bosco, senza niente da mangiare e con gran paura dei lupi quali urlavano grandemente. Alli 14 camminassimo sempre per d. o. La sera fossimo fuori, e stassimo la notte fuori di d. o bosco.

Alli 15 d. o camminassimo per strade molto cattive, e giungessimo in Jassi città dove risiede il Principe di Bogdania e Moldavia: la qual città è senza muraglie e vi sono da ottomila case in circa, ma tutte di legno, alquante chiese, alcune di pietra, ma parte son ruinate dalla guerra; il palazzo del Principe è di pietra e serrato attorno di legnami. Quando il Principe va per la città cavalca accompagnato da 500 archibugieri, e vestito di rosso con la mazza ferrata in mano. La città è sporchissima, con molto fango, che rende molto mal camminarvi; la città è stato suo; sono obbligate tutte le case, se vi va un viandante per voler alloggiare, riceverlo; e vi usano molto accoglienze. Le donne sono quelle che reggono e fanno tutti li fatti necessari alle loro case, ragionano liberamente e famigliarmente con uomini in pubblico e in secreto, chè non vi è guardato; quando portano da bere, o mangiare, sono le prime a far la credenza. Quando muore la moglie a uno, quello per esser conosciuto vedovo, cammina per alquanti giorni per la città senza niente in capo. In d. a provincia fanno alla greca, la quale circonda 700 miglia. Vi fa gran freddo; usano le stufe. In detta provincia vi sono 24 m. ville. Paga di tributo al Gran Turco talleri 60 m. La Valacchia paga 100 m. talleri, ed ha nel suo stato 24 m. ville.

Alli 20 d. o giovedì ci levassimo da d. o luogo con gran freddo e neve: camminassimo il giorno e la notte. Alli 21, giorno di S. Tommaso, camminassimo per pianure e giungessimo li nostri carri che erano partiti due giorni avanti di noi da Jassi. Alli 22 seguitassimo il nostro cammino con detti carri, passassimo il fiume di Greggia qual era ghiacciato, e passassimo sopra il ghiaccio con li carri; la sera giungessimo a Steffaneste, villa grande di due mila case; vi è una gran chiesa fabbricata di pietra ma non è fornita; vi è in d. a villa mille soldati mantenuti dal Principe per presidio e per riguardo dei Polacchi. Al 23 d. o facessimo a mezzanotte partenza di d. a villa: camminassimo con gran patimento di freddo. Alli 24 d. o camminassimo sempre per campagne, nè trovassimo mai acqua nè legne per scaldarci e beverare li bovi, ma bene la terra tutta coperta di cavallette morte dal freddo, che pareva neve ghiacciata che fosse in terra; per le quali si era empito tutti li pozzi ed altri laghetti, che avevano fatto putrefare tutte le acque; e pensisi che dette cavallette fecero un notabilissimo danno la estate passata, che mangiarono tutti li raccolti che erano in erba; e dette cavallette erano grandi e lunghe mezzo palmo. Alli 25 d. o, a mezzanotte del Santissimo Natale, ci levassimo con gran freddo, e a mezza mattina ci trovassimo a passare un fiume detto il Pruto, ma lo passassimo con molta difficoltà, rispetto che era molto grosso, come anco che era un grandissimo vento da maestro, che lo faceva molto ondeggiare, con cavalle, che rendeva assai timore; e vi stassimo tutto il giorno a passare. La notte stassimo malissimo di freddo, di neve e vento che tagliava la faccia e senza da far fuoco, senza vino nè altra cosa da mangiare. Camminassimo tutta la notte per poter giungere quanto prima a Cutino. In tutto questo viaggio mai siamo stati con li carri e cavalli e bovi al coperto, ma sempre alla campagna aperta. Alli 26 d. o cessò il vento: passassimo certi monti cattivi la sera; a ore due di notte giungessimo a Cutino, ultima città del Principe di Bogdania, ma tutta bruciata e saccheggiata dai Polacchi. Vi è una bella fortezza su la ripa del fiume, la quale è in potere dei Polacchi, quali vi tengono un presidio per pegno di fiorini 100 m. al Principe.

Alli 30 d. o domenica ci levassimo di detto luogo e passassimo d. o fiume sopra del ghiaccio, e passato su la Podoglia, vi è una villa su la ripa di detto fiume, nominata Bragà. A mezzo giorno giungessimo a Camignizza, città senza muraglie, ma circondata attorno d'un fiume che lo fanno alzare quanto vogliono; e vi è anco attorno certi monti di sasso vivo, in modo che non vi si può salir se non per le porte ordinarie, le quali sono due, guardate da soldati. In detta città vi sono le chiese e case tutte di pietra, ma le strade molto fangose. Stassimo in d. o luogo molti giorni, per riposare del gran patimento avuto, e per accomodar li carri ed altro.

Alli 24 Gennaio 1613 ci levassimo di d. a Camignizza e la sera stassimo a una villa detta la Scala. Alli 26 d. o a Sanuff, alli 27 d. o domenica a Nastasuff, la sera a Coslù, alli 28 d. o desinassimo a Sborù, alli 29 d. o desinassimo a Ghelignano, la sera a Savannizza.

Alli 30 d. o martedì giungessimo a Leopoli, città e fine del nostro viaggio, e qui stassimo per espedire le nostre mercanzie sicome segue. La città non è bella, le case tutte coperte d'asse; è abbondantissima di carne, di pollami, e pesci di laghi: si beve cervogia, per esser il vino molto caro; le donne attendono alle botteghe e fanno loro tutti li negozii; si usa il baciare le donne per le strade e nelle case, con gran domestichezza e famigliarità. La città è mercantile, per esser vicina alla città di Iublino ed altre città grosse di negozio. E qui finissimo di contrattare tutti li nostri effetti e mettessimo all'ordine il ritratto per ritornelo a Costantinopoli, sì come facessimo.

Alli 24 Aprile 1613 facessimo levata di Leopoli per ritornare a Costantinopoli con li ritratti di nostre mercanzie, parte in contanti e parte botti di coltelli. La sera stassimo lontano da Leopoli tre leghe in casa d'un amico; alli 25 seguitassimo a cammino; la sera a Ptevisano, villa grande dell'illus. mo S. re Adam Signaschi Palatino della Corona, il qual Signore mi presentò un paio di cavalli da carrozza; vi stassimo tutto il dì 26, per alcuni negozii che aveva con d. o S. r Palatino. Alli 27 d. o ci levassimo, facessimo leghe quattro; alli 28 facessimo leghe sette; alli 29 d. o andassimo avanti una lega, e scontrassimo uno a cavallo, il quale ci disse che in un boschetto che dovevamo passare vi erano alquanti furfanti, che facevano del male alli viandanti; e da lì a poco trovassimo uno a cavallo che era stato svaligiato, e piangeva della perdita del suo carro e robe, ma anco per le bastonate avute; così noi, per esser soli tre, ci ritirassimo a Probona villa, per aspettar altri mercanti che avevano a venire, per andar ancor loro a Camignizza, dove si faceva la raccolta della carovana; e ci risolvessimo pigliare otto uomini con arme, quali ci accompagnarono sino alla Scala. Alli 30 giungessimo a Camignizza, ed ivi si fece tutta la raccolta dei carri della carovana per andare a Costantinopoli.

Al 4 Maggio facessimo levata da Camignizza con n. o 60 carri grandi, tutti da 6 cavalli per carro, carichi di diverse mercanzie, cioè zibellini, lupi cervieri, conigli ed altri pellami, cremisi, coltelli e molte altre robe, tutte per condurre a Costantinopoli: che N. S. ci dia buon viaggio e ci guardi da assassini. Alli 5 passassimo il fiume di Cutino, alli 6 passassimo il fiume Pruto, alli 7 d. o stassimo a Steffaneste villa grande, alli 8 camminassimo avanti, alli 9 giungessimo in Jassi città del Principe di Bogdania, alli 11 d. o ci levassimo, alli 12 camminassimo, alli 13 passassimo per Barladi città, e avessimo una grandissima pioggia con venti, tuoni e tempesta; alli 14 camminassimo; alli 15 giungessimo in Galazzo città, e ivi discaricassimo le robe per metterle nelle barche per passare il Danubio. Alli 16 passassimo il Danubio, ed era il giorno della Assensa; alli 17 fossimo a Mecino, ed aggiustassimo li dazieri per la gabella dei Turchi, e vi stassimo sino alli 22 d. o; facessimo levata la sera a Provadia.

Alli 23 entrassimo nel gran bosco di Balcano, dove avessimo un passo molto pericoloso, che li carri non potevano passare fra un dirupo grande: nel qual luogo si ribaltò un dei nostri carri nel quale vi era trenta sacchi di reali di n. o 500 per sacco, zibellini e altre robe; e recuperassimo ogni cosa senza perdere niente, perchè il carro fu trattenuto dalli arbori che non dirupò in fondo; e fessimo presto a tirar via li cavalli, e accomodassimo ogni cosa, e seguitassimo nostro cammino. Alli 24 passassimo per Aidos città; alli 30 passassimo per Silivrea; il primo Giugno a Costantinopoli; ed ivi si diede spedizione a tutte le merci, e tornassimo a caricare un'altra volta la carovana per ritornare in Polonia.

Alli 21 Giugno mi partii da Costantinopoli; alli 27 Luglio giunsi in Leopoli; alli 13 Agosto mi partii da Leopoli, alli 15 giunsi in Ieroslavia città, e fiera grandissima ci avea; alli 29 mi partii di Ieroslavia, al p. mo Settembre giunsi in Cracovia città reggia del Re di Polonia, alli 13 mi levai, alli 26 giunsi in Praga città metropoli dell'Imperatore, alli 29 mi partii, alli 4 Ottobre giunsi a Norimbergo, alli 8 mi levai, alli 10 giunsi in Amo, alli 12 giunsi a Lindo, alli 14 a Coira gran città dei Grigioni, alli 15 e 16 passai per monti altissimi con gran neve; la sera a Chiavenna; alli 17 d. o giunsi a Ceva prima città d'Italia, stato di Milano, la notte passai il lago di Como, alli 18 fui a Como, alli 19 a Milano, alli 22 a Lodi, alli 23 a Piacenza, la sera a Borgo s. Donnino, alli 24 desinai a Parma, la sera a Reggio, alli 25 desinai a Modena, la sera a Bologna.

Alli 20 Aprile 1614 mi partii da Bologna, andai a Venezia, mi imbarcai sopra d'un galeone per Costantinopoli; alli 30 Giugno giunsi in detto luogo di Costantinopoli, nel qual luogo mi fermai sette anni.

1621

Viaggio fatto da Costantinopoli a Venezia per via di terra. Alli 14 Maggio mi partii di detto luogo, alli 20 Luglio giunsi a Venezia, il primo Agosto a Bologna.

Fregio

Il Servo degli onoratissimi luoghi della Mecca e Medina, Sig. r delli SS. ri del Mondo, Possessore dei paesi dell'Arabia, Persia, Grecia, Iram, Turam, Polonia, Svezia, Valacchia, e Bogdania, Padron della spada e della penna, Sig. r il Sig. r Osman, al presente Re ed Imperatore della Musulmana Fede, a cui l'Eccelso Iddio sia favorevole.

Si narra dei Beglerbei cioè Duchi, dei Sangiacchi cioè Rettori, delli Alai Bei che son capi delle ordinanze, dei Mutaffaragà cioè lancie spezzate, dei Contimari ch'è feudatarij, dei Chiaussi, dei Dottori, Moggini, dei S. ri della staffa, dei giovani che sono nei Serragli, delli Spahì cioè cavalli leggieri, dei Capiggi cioè portinai, dei Gianizzeri cioè pedoni, dei Zamoglani cioè giovani inesperti, dei bombardieri, degli armariuoli, dei Savazi cioè quelli che insellano i cavalli, della cucina regia, degli Spezieri cioè di quelli che fanno i canditi, delli Chilarzi cioè dispensieri della milizia, dei Mechtemi cioè quelli che distendono i padiglioni, dei Casnadari cioè tesorieri, dei sartori, dei marangoni, dei pittori, degli orefici, dei frizzeri ed altri salariati del Re.

Dei giovani che sono nel Serraglio.

Nella camera maggiore, cioè Chasodà, vi sono giovani N. 300

Nella camera Chasnà cioè camera del Tesoro » 170

Nella seconda camera maggiore » 300

In quella delli Doganzi cioè falconieri » 500

Nella camera minore » 220

In quella delli Baltazi cioè ragazzi » 370

I Mutaffaragà dell'Eccelsa Porta sono » 400

I Chiaussi dell'Eccelsa Porta sono » 2070

I Capiggi dell'Eccelsa Porta sono » 2170

Delle squadre delli Spaì.

1. a Primo si chiama Spaì Oglani, e porta bandiera rossa. 2. a Sillichtari gialla. 3. a Il destro Buluch bianca. 4. a Il sinistro Buluch bianca e gialla. 5. a Garibani destro, verde. 6. a Garibani sinistro, verde e bianca.

Gianizzeri N. 43000

Zamoglani » 17000

Bombardieri » 6000

Zebezi cioè armaiuoli » 5000

Sarazi cioè stallieri » 500

Zadir Mechteri, cioè quelli che scopano » 200

Zenegifi, cioè scalchi » 140

Dispensieri molti

Candittieri, cioè chi fa canditi » 100

Medici Turchi » 40

Medici Ebrei » 30

Tesorieri » 180

Sartori » 220

Marangoni » 200

Pittori » 30

Orefici » 70

Frezzeri » 17

Stallieri cioè che fanno staffe » 70

Beglerati, o Ducati, che sono in Asia e nella Natolia.

Quelli della Grecia

Iemen Adina Grecia

Cairo Cipro Buda

Cabessia Caramania Bossina

Babilonia Sernauza Temisvar

Damasco Canz Agria

Tripoli Gienze Canizza

Balsera Adil Zuas Silistra

Sachsà Tauris

Diarbechin Trabisonda

Arzirum Caffa

Riccà Elrinzan

Seresul Isirab

Cara Amit Natolia

Iildir

Servan

Aleppo

Nelli sopraddetti Beglerati sono 500 Sangiacchi, ed altrettanti Capi di ordinanze.

Della precedenza dall'uno all'altro.

Primo si senterà l'Alfier maggiore. Secondo il Capo delli Capiggi Bassi. Terzo poi tutti. Quarto il Cavallerizzo maggiore. Quinto il Cavallerizzo minore. Sesto il Capighilarchiaiassi. Settimo il Capo Scalco.

Il Secher Emini, o Emin.

Questo è obbligato di sovrastare a tutte le fabbriche del serraglio, di provvedere anco a certi bisogni della città, come il far conciar strade, condur acque, conciar le mura della città, e far altre fabbriche necessarie alla città. Emin della cucina. Emin delle biade per cavalli.

Dell'ordine dei Rettori della legge, dei Visiri, Giudici ed altri S. ri dell'Imperio.

Se per caso il Mufftì col Visir grande si trovassero insieme in un luogo, l'uno non precederà all'altro, ma si senteranno egualmente, cioè il Mufftì in un canto, ed il Visir in un altro.

Sotto il Mufftì si senterà il Cadì Leschier della Grecia, e dopo quello della Natolia, e sotto questi diversi altri Cadì; e dopo questi, i Lettori delle Moschee principali e regie, che sono settecento.

Ordine dei Capi Principali della milizia dei Gianizzeri dal primo sino all'ultimo.

Il primo è l'Agà dei Gianizzeri.

2. o Il Chiaia Bei serve per luogotenente.

3. o Il Sceimen Bassi, cioè il capo di quelli che hanno cura dei cani del Re.

4. o Il Saganzi Bassi, cioè il capo dei bracchieri.

5. o Il Duganzi Bassi cioè il capo dei levrieri.

6. o L'Agà di Costantinopoli, e questo è capo delli Zamoglani.

7. o Il Musur Bassi o Agà, e questo è come commesso della milizia dei Gianizzeri, che sta appresso il Bassà grande, mentre che dà udienza, così nell'imperial Divan come in casa sua, acciocchè in occorrenza che alcun querelasse alcun Gianizzero, esso sia pronto di far eseguire la Giustizia ai capi; e se all'incontro anco per qualche negozio occorresse alcun Gianizzero, di farlo venire.

8. o Il Chiaus Bassi, col Chiaus mezzano, e il Chiaus minore; questi tre sono obbligati di far intendere a tutte le camere dei Gianizzeri quello che devono fare, cioè l'andar al Divano, quando che di fuori venissero le loro vettovaglie, legne, ed altre cose, per andar a levarle, e far altre cose simili.

9. o Il Sansongi Bassi, cioè il capo di quelli che hanno cura dei cani corsi del Re.

10. o Il capo dei Mastri che tengono le scuole per insegnar a tirar d'arco.

11. o Il capo dei balestrieri.

12. o I Hugiu Bassi: questi sono una compagnia, che quando si fa levata, apparecchiano quelle scope che l'Agà suol tener avanti il suo padiglione, e passano avanti, e le tornano ad impiantare nell'altro alloggiamento.

13. o Il Jedechzi Bassi, cioè il capo di coloro che menano i cavalli di rispetto dell'Agà.

14. o Dopo, i Jaia Bassi, cioè i capi dei pedoni, e sono centurioni dei Gianizzeri.

15. o I Solachi: questi vanno avanti al Re con una certa scopa in testa, e con le camicie fuori delle braghesse; ed in occasione che il Re vada alla guerra, questi sono per guardia intorno al suo padiglione. Seguono poi i Gianizzeri, e Zamoglani: a questi succedono gli scrivani delli Gianizzeri, lo scrivano dell'Agà e lo scrivano del Chiecaia.

Dei Tefterdari, cioè Camerlenghi.

Un Tefterdar maggiore. Un minore. Uno di Natolia. Uno della Grecia. Uno del Cairo. Il Nascinzi Bassi. Uno di Aleppo. Uno di Damasco. Uno di Caramania. Uno di Caffa. Il Cancelliero maggiore e Tefter Emin, custode di tutti i libri.

Dei scrivani che servono nell'imperial Divano.

Il Prusmanegi grande, cioè il giornalista maggiore ed il minore. Il Basmuchasebeggi, cioè il ragionato maggiore. Il Teschereggi grande, cioè il notaio degli ordini del Bassà in esecuzione delle suppliche fattegli. Il Basmuchatazi, cioè il capo di quelli che tengono il conto degli appalti. Il Muchatazi di Natolia. Il Muchatazi, cioè il scontro della cavalleria. Un simile della fanteria. Il Muchataggi dell'appalto di Costantinopoli. Il Muchataggi del carazo. Il Muchataggi della Mecca e Medina.

Brussia Natolia Minere Pecore Entrate Valona Negroponte Adin Sarcan Teschiereggi

Il Meucufeuggi: questo è uno scrivano che tira in resto tutti i debitori. Il Teschiereggi minore. Il Teschiereggi delle fortezze minori. Il Teczifatzi, cioè colui che tiene conto delli presenti che si portano, e delle vesti che si danno via. Il Teschiereggi, cioè colui che mette la data alle scritture. Il Teslimateggi, cioè colui che fa le ricevute a chi porta danari, o altro. Il Teschiereggi, cioè il scrivano che tiene conto particolare delle presentazioni dei danari.

Gli scrivani con li sotto-scrivani del Divano sono in circa N. 300

I Cancellieri di signoria » 80

Del danaro dei tributi, delle tanse e delli traffichi, che si cavano dagli infrascritti paesi.

Dal Cairo Zecchini 600000

Tripoli » 50000

Damasco » 60000

Di Arbeca » 11000

Aleppo » 50000

Cipro » 50000

Adino Sarcan » 83000

Arzirum » 105000

Babilonia » 105000

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Zecchini 1213000

Nelli paesi di Natolia vi sono 390000 case che pagano le tanse, zecchini tre per casa importa. Zecchini 1170000

Dalli paesi suddetti di Natolia si cava di carazo per ogni anno. » 450000

Dalli paesi suddetti di Natolia si cava di berratico ogni anno. » 836000

Nelli paesi della Grecia sono 150000 case che pagano zecchini tre per casa di tansa. » 450000

Nelli paesi suddetti di Grecia si riscuote di carazo ogni anno. » 150000

Insomma tutto il danaro che si cava da queste due provincie e da tutti i paesi dei Musulmani, passa più di sei milioni di some d'aspri, e poco manco vien distribuito.

Delli presidii che tengono per custodia delle fortezze che sono alli confini.

In Babilonia Sultan Soliman Chan vi ha posto per custodia schiavi. N. 12000

In Arbeca vi sono spade » 9000

In Cairo vi sono schiavi » 12000

In Arzirum vi sono schiavi » 8000

Nelle parti della Grecia, in Dobriza, sono per l'occasione della guerra deputati guastatori » 90000

Ed insomma fra le parti di Natolia e Grecia vi sono quattrocento mila persone di esercito obbligato di andare alla guerra di Sua Maestà Imperiale, e cento e diecimila sono gli schiavi stipendiati.

Dell'origine della Casa Ottomana.

1. Ordoghios Chan fu il primo della Casa Ottomana. 2. Osman Chan suo figliuolo. 3. Emir Orchan suo figliuolo. 4. Sultan Murat Chan. 5. Sultan Baiazit Chan. 6. Sultan Memet Chan. 7. Sultan Murat secondo. 8. Sultan Memet secondo, che prese Costantinopoli. 9. Sultan Baiazit secondo. 10. Sultan Selim, primo di questo nome. 11. Sultan Soliman Chan. 12. Sultan Selim Chan, secondo di questo nome. 13. Sultan Murat, terzo di questo nome. 14. Sultan Memet, terzo di questo nome. 15. Sultan Acmat Chan. 16. Sultan Mustafà, fratello di Sultan Acmat, regnò mesi 3 giorni 9, e poi rinunciò l'imperio. 17. Sultan Osman, figliuolo di Sultan Acmat, imperatore l'anno 1620, qual fu ammazzato dalli Gianizzeri.

Dell'ordine nel baciar la mano di Sua Maestà nel giorno del Bairano quando esce fuori e si senta nella sedia imperiale.

Prima gli bacierà la mano il figliuolo del Re Tartaro, poi il Muftì con varii altri dottori e legisti; ai quali succedono i Visiri, diversi Beglerbei, li Tefterdari, il Nisangi, il Cancellier grande, e per ultimo viene ad essere il Gianizzero Agà, ed altri capi principali della milizia; e finito che avranno di baciar la mano questi, il Re si leva e va dentro e mutato di abito torna fuori e va alla moschea.

Mentre li soprascritti ed altri baciano la mano, è ordinario che il Re si leva in piedi.

Dell'entrate di Costantinopoli.

Gli Visiri grandi hanno di entrata dodici some di aspri all'anno, ed il Nissangi ha cento cinquanta mila aspri.

Dieci Serragli di Sua Maestà Imperiale.

Prima nel Serraglio sono più di 300 Baltaggi, e questi sono quelli che fanno tutti li servizii nel Serraglio, come lo scopare, tappezzare ed altri servizii simili; ed hanno di paga aspri 4 al giorno.

Nel Serraglio di Galata sono settecento e venti giovani, ed hanno di paga aspri 5 al giorno, ed anco in annum le loro vesti.

Nel Serraglio di Andrinopoli e in quello di Ibraim Bassà quanti siano non si sa il numero, ma hanno di paga aspri 5 il giorno.

Titoli che il Re dà alli suoi Visiri nel Serraglio.

All'onorato ed ecc. te Visir regolatamente intelligentissimo mediatore in tutte le cose del mondo, prudentissimo definitore delli negozii degli uomini, che il Sig. r Dio per sua divina grazia faccia forte nella sua grandezza, mio Visir il ............. che il S. r Dio conservi nella sua grandezza.

Alli Cadì principali.

Al più glorioso tra li giudici della musulmana fede, l'ecc. te arbitro e difensore dell'unità divina, miniera di eloquenza e di sapienza, erede della scienza delli Profeti, instrumento della ragione dei popoli, partecipe della divina grazia ............ Cadì, che accresca in maggior dottrina.

Alli Beglerbei.

Al Sig. re delli SS. ri onorati, grande, diligente ed ecc. te Sig. r di onorevolezza e di dignità e pompa e di altezza il ................. che per la grazia dell'Altiss. mo Iddio è Berglerbei di .......... cui prosperità sia sempre.

Titolo che si dà al segno imperiale.

Segno imperiale, nobile, sublime, singulare ed esquisito, dimostratore di prosperità, adornatore ed acquistatore del mondo, il quale per grazia e per favor divino corre e viene eseguito.

Titolo che si dà ad un Principe Cristiano.

Al più glorioso tra li SS. ri grandi nella nazione Cristiana, eletto tra li sublimi ed ecc. te nella religione del Messia, moderatore delli negozii di tutte le nazioni Nazarene, possessore del manto della pompa e della riputazione, Sig. re che guida alla gloria, e grande tra li Principi Cristiani, il cui fine termini in bene.

Divisione delli monasteri e parocchie della Cristianità, e di sua possibilità.

Li monasteri dei frati berettini sono trenta seimila, ed altrettanti di S. to Agostino, cioè Eremitani, Dominichini, Carmelitani, Monaci e tutti quelli che sono sotto la regola di S. to Agostino.

Abbadie e monasteri di monache sono venti settemila, che in tutto fanno cento e quaranta quattromila monasteri in tutta la Cristianità.

In tutta la Cristianità sono parocchie dugento e ottanta ottomila; mettendo un uomo per parocchia, farebbero dugento e ottanta ottomila persone da guerra.

Se ogni monasterio pagasse soldi 15 alla settimana, sarà in un anno zecchini 936000; novecento e trenta seimila.

Le parocchie sono dugento e ottanta ottomila; a s. 52 all'anno per parrocchia fanno in tutto 14976000; sono la somma delli monasteri, fa s. 15912000.

A s. 3 per testa si può assoldare all'anno quattrocento e quaranta quattromila soldati da far guerra a tutto il mondo.

Profezia mandata dal Nuncio di N. ro Sig. re residente in Francia, all'Ill. mo e Rev. mo Cardinal Borghese, la quale è stata ritrovata nel rinnovare certe fondamenta di un palazzo, in una cassetta di marmo finissimo, in lingua ebraica, nella chiesa di S. Dionisio, fuori di Parigi.

1621 Bellum magnum in tota Italia. 1622 Pastor non erit. 1623 Ira Dei super terram. 1624 A paucis cognoscetur Christus. 1625 Resurget magnus vir. 1626 Africa ardebit, et luna scaturiet sanguinem. 1628 Europa, Africa, Asia trepidabunt. 1629 Infideles Trinum et Unum Deum cognoscent. 1630 Extinguuntur lumina et erit unus pastor et unum ovile.

Il Gran Signore tiene due milioni e cinque centomila uomini continuamente pagati ed obbligati di andare alla guerra, compresi però li Bassà con tutte le loro corti.

Quando il Gran Signore va in persona alla guerra, sono obbligati andarvi tutti quelli che tirano paga, e molti altri ancora che non hanno paga, quali vanno per venturieri sopra la sua borsa.

Titoli che si assume il Gran Turco.

Il Servo dei sacri luoghi di Mecca e Medina, Ombra di Dio in terra e Vicario del Profeta, Signore dei Sig. ri, Dominatore del mondo, Rifugio dei Potentati, Augusto Donator di Corone dei Regni della terra, Custode dell'Oriente ed Occidente, Possessore dei paesi della Natolia, Soria, Babilonia, Caramania, Mesopotamia, Trabisonda, Armenia, Persia ed Arabia, dell'Egitto, della nobile Gerusalemme, di tutto il Dominio di Salomone, di Grecia, di Macedonia, Morea, Bossina, Moldavia, Valacchia e Bogdania, di Belgrado, Buda, Agria, Alba Reges, Strigonia e Canissa, Tripoli, Tunisi e Algeri, ricetti de' Guerrieri, e delle tre Sedie Imperiali, Brussia, Andrinopoli e Costantinopoli, Re dei Re ed Imperatore sublime, Sig. r del Mar Negro e del Mar Bianco, del Caffà di Negroponte, Scio, Cipro, Rodi e d'altre isole, terre, città e castella, Padron della spada e del calamo, sempre vittorioso, Sultan Osman figlio di Sultan Acmat Imperatore.

Titoli che si danno alla Sultana Regina.

All'onestissima regia Sultana, signoril gioiellata corona delle pudiche, la Sultana .......... che Dio guardi e feliciti.

Fregio

Adì xi Novembre 1620 in Costantinopoli.

Faccio noto come questo giorno fece l'entrata in questa città l'Ambasciatore del Re di Persia, con una superbissima pompa, ed incontrato da buon numero di Turchi, cioè tutta la milizia del Gran Signore.

Alli 15 d. o il detto Ambasciatore andò a baciare le mani al Gran Signore, accompagnato dalla bellissima corte regia fino al regal palagio; il quale Ambasciatore era vestito superbissimamente, sì come anco tutta la sua corte; e presentò al Gran Signore le qui sottoscritte robe, e prima:

Quattro elefanti grandissimi, guarniti di superbi e ricchi tappeti, col castello sopra di loro.

Due tigri grandi come un asino, bellissime.

Un rinoceronte, il corpo grande come un bove, ma basso di gambe, senza pelo, di colore di bufalo, il mostaccio simile al bove, ma assai più lungo, sul naso un osso, o corno simile a un pane di zuccaro, le orecchie piccole, senza corni, la coda corta.

Una casselletta piena di gioie di gran valsente.

Una vesta di bellissimo e ricco drappo, foderata di bellissimi zibellini.

Una spada di damaschino tutta gioiellata di preziose gioie.

50 cammelli carichi di sete.

25 cammelli carichi di porcellane.

25 cammelli carichi di tappeti bellissimi.

Un bellissimo cavallo fornito di sella e brena, tutta gioiellata di superbe e ricche gioie.

Fregio

Ambasciatori di teste coronate, ed altri principi che sono di presente 1620 alla corte del Gran Turco, e quello che da Sua Maestà gli viene assegnato per cadauno d'essi per le loro spese di vitto, mentre risiedono alla Imperial Porta.

L'Ambasciatore dell'Imperatore tira al giorno di paga Zecchini 100

Ambasciatore del Re di Francia » 40

Bailo per la Serenissima Signoria di Venezia nulla. L'Ambasciatore straordinario per la detta » 50

Ambasciatore del Re d'Inghilterra » 40

Ambasciatore dei potentissimi stati di Fiandra » 40

Ambasciatore del Re di Polonia » 60

Ambasciatore d'Ungaria » 40

Ambasciatore del Re di Boemia » 40

Ambasciatore del Re di Slesia » 40

Ambasciatore di Moravia » 40

Ambasciatori delle Provincie d'Allemagna » 40

Ambasciatore di Transilvania » 25

Ambasciatore di Ragusi » 25

Principe di Valacchia » 25

Principe di Moldavia » 25

Ambasciatore del Re di Persia » 400

Ambasciatore del Re di Marocco » 100

Ambasciatore di Mingrelia » 10

Fregio

Il Serraglio dove abita il Gran Turco con tutta la sua real famiglia di servizio, è posto in un sito mirabile, ed è posto in quella parte dove prima fu fabbricato Bisanzio, sopra una gran punta di continente che guarda alla bocca del mar Maggiore, in forma triangolare, bagnato da due parti dal mar Egeo, e dalla parte terza sta col resto dei cortili: e tutto è servato e circondato di muraglia altissima e molto ben fatta per diverse torrette che sono sopra di lei compartite. Circonda miglia tre italiane. Ha diverse porte, così da mar come da terra, fra quali una è la principale da terra, per la quale ogni giorno ognuno vi entra, e le altre stanno serrate, e si aprono a gusto e comodo del Re e dei ministri principali di detto Serraglio, secondo le ordinarie occorrenze, stando la notte tutte serrate. E la prima è maestra, che è come un corpo di guardia, grande e magnifica: sta il giorno guardata da una grossa compagnia di Capiggi, che a vicenda si danno la muta, e la notte viene custodita da altri Capiggi, che sono portieri, sotto il comando d'un Capiggi-Bassi, loro capo. Li quali Capiggi Bassi essendo al numero di sei per l'ordinario, hanno obbligo una notte per uno di dormire dentro il Serraglio per buona e sicura custodia d'esso. Appresso queste guardie si tiene la notte fuori di detta porta alcuni Gianizzerotti in una casetta di tavole mobili sopra ruote, li quali stanno vigilando ed osservanti di tutte le cose, per potere svegliare quelli di dentro e dar quelle notizie che portasse il bisogno. E intorno le mura di detto Serraglio, buon spazio distanti l'una dall'altra, vi sono le torrette nelle quali dormono diversi Agiamoglani, che vuol dire figliuoli esperti greggi, per guardia, e per veder che nè per mare nè per terra di notte alcuno si accosti; tenendosi particolarmente dalla parte di mare alcuni pezzi d'artiglieria disposti e caricati, per adoperar quando occorresse reprimere la trascuraggine e la temerità di qualche vascello che se gli accostasse.

In detto Serraglio vi sono le stanze regali, le quali sono molte ed appropriate alle stagioni dell'anno, la maggior parte nel piano, ed alcune fabbricate per sopra colli naturali, e diverse anco sopra il mare, nominate chioschi, che vuol dire stanze di bel vedere, dove si ritirano li Re lor soli, o vero con le donne per ricreazione; fra quali, la stanza dove si radunano gli Gran Signori sempre a dar udienza a tutti gli Ambasciatori, a tutti i Bassà li giorni del Divano pubblico, e per lo più a tutti quelli che si licenziano per andare alli carichi loro assegnati, e che ritornano da essi ancora. Questa è posta nel piano del cortile, in isola assai piccola, ordinata di fuori di alcune fontane, secondo il loro costume superbissime, e dentro ha un sofà, cioè soglio, coperto di ricchissimi tappeti d'oro, in particolare di velluto cremisino ricamato di perle ricchissime, sopra i quali si siedono i Re. Intorno poi alla stanza vi sono pietre biancheggiate con colori diversi a fogliami e così ben compartiti insieme, delle quali essendo incrostata la muraglia, fa una bellissima vista. Vi è anco una camera apparente, tutta coperta di lastre d'argento profilate d'oro e di seta, ricchissime e bellissime. Oltre alle dette stanze reali che sono molte e poste in diverse parti d'esso Serraglio, che servono solo alla persona reale, vi è l'appartamento delle donne nel quale abita la Regina Sultana e le Sultane, e tutte le altre donne e schiave del Gran Signore; il quale appartamento è come un monasterio amplissimo, in cui si ritrovano tutte le comoditadi di dormitorii e refettorii, di bagni e stanze, ed ogni altra sorta di fabbriche per necessità del vivere; e questi appartamenti reali hanno amplissimi giardini di fiori, di frutti, con strade bellissime di cipressi e con fontane in tanta abbondanza, che si può dire che quasi in tutte le strade l'abbiano, con gran vaghezza e comodità. Appresso vi sono stanze di abitazioni separate d'ogni sorta, le quali servono non solo per i ministri principali, e per li mezzani, e anco per gli infermi; e così ben ordinate e disposte, che non vi è alcuno che patisca di cosa veruna. Tra queste fabbriche sono due lavori molto riguardevoli, grandi e molto capaci, uno dei quali serve per tener il Casnà, cioè tesoro di dentro, e l'altro per la guardia della roba regia; queste sono due bellissime fabbriche, le quali sono stanze separate al piano ed in solaro, capacissime per molta comodità che tengono, e sono sicurissime per essere di muraglia grossissima, con poche finestre tutte ferriate, e con una sola porta per una, di ferro, fortissima; le quali stanno sempre serrate, e quella del Casnà regale sigillata col sigillo regio.

In detto Serraglio sono moschee per l'orazione, bagni, scuole, lambiccatori, stalle, cucine, dispense, luoghi da correre cavalli, piazze da lottare, da tirar d'archibugio, da far rappresentazioni, ed infine tutte quelle comodità che si possano desiderare.

Quello che rende superbo e grave detto Serraglio, non è bene a tacerlo, ed è l'ordine col quale è posto; e per primo l'ingresso d'un portone amplissimo e nobilissimo, con sotto porticali capacissimi d'una guardia di cinquanta uomini forniti con le sue armi, cioè archibugi, archi con freccie e scimitarre in buona quantità. Passata questa, nella quale i Bassà ed altri grandi e qualificati soggetti possono entrarvi a cavallo, si entra in una gran piazza o vero cortile d'un terzo, o quarto di miglio italiano di lunghezza, ed altrettanto di larghezza in circa, con un solo porticale a mano sinistra, fatto per starvi li cavalli e servitori al coperto in tempo di pioggia. In questo gran cortile all'entrare a mano dritta vi è l'ospitale, o vero infermeria, la qual serve a tutti del Serraglio, nel quale si trova ogni comodità necessaria: ed è custodito da un Eunuco, con diversi ministri tutti disposti per servire agli infermi. Ed all'incontro, che è a man sinistra, vi è un luogo grandissimo dove tengono legne, carri ed altre cose necessarie da mano, per servigio ed uso del Serraglio, sopra il quale vi è un gran salone dove si tengono riposte alcune armi antiche, come morioni, mani di maglia, giachi, archibugi e zagaglie, delle quali si servono per armare i Gianizzeri, la maestranza dell'arsenale, ed altre arti, per incontrare il Re e li Bassà generali, quando fanno l'entrata solenne nella città di Costantinopoli. Cavalcato che si è questo cortile, si smonta ad un'altra porta poco minore della prima, simile di fazione, e più ricca e più bella, con il sottoporticale che serve per il corpo di guardia, la quale medesimamente viene custodita da Capiggi e fornita d'arme, come si è detto. Per questa si entra ad un altro cortile poco minore del primo, ma molto più bello, per avere nobilissime fontane, per esservi strade compartite da altissimi cipressi, e per ritrovarvi alcuni quadri di parco, dove nascendo l'erba, pascolano diverse gazzelle che fruttano, e sono tenute per delizia. Questo cortile si cammina da tutti a piedi, fuori che dal Re solo, che a cavallo va a smontare fino alla terza porta. Dall'una e dall'altra parte d'esso vi sono porticali sostentati da bellissime colonne, fuori dei quali sogliono star in piedi li Ciaussi, le milizie dei Gianizzeri e Spahì in ordinanza, nobilissimamente vestiti, quando si fa Divano grande e pomposo per l'entrata d'alcun Ambasciatore, che passa per andare a baciar le vesti al Gran Signore.

In detto cortile alla destra vi sono tutte le cucine, le quali sono nove in numero, tutte separate e destinate alle loro dispense, e ministri, e che hanno da servire; la maggiore e la principale è quella del Re, la seconda quella della Regina, la terza delle Sultane, la quarta del Capi Agà, la quinta del Divano, la sesta delli Agalari che sono li favoriti del Re, la settima quella delle genti di basso servizio, l'ottava quella delle donne, e la nona quella delli ministri bassi del Divano, guardie, ed altri assistenti al ministerio d'esso.

Alla sinistra vi è la stalla del Re, di 25 in 30 cavalli bellissimi, dei quali si serve la Maestà Sua per li esercizii e giuochi che fa con li suoi favoriti dentro del Serraglio; e sopra d'essa vi è una mano di stanzie dove si conservano tutti li fornimenti da cavallo, li quali avendo io veduti, posso affermare che sono di straordinaria bellezza e ricchezza, perchè vi sono selle, briglie, pettorali e groppiere, rimesse di gioie d'ogni sorte, con tanta vaghezza ed artificio e in tanta quantità che rende stupore ad ognuno che le vede, perchè eccedono alla immaginazione. Contigue a detta stalla vi sono alcune fabbriche per servizio dei ministri del Divano pubblico, attaccato alle quali vi è il Casnà che si chiama tesoro di fuori, il quale quando è serrato sta sempre sigillato col sigillo del Bassà primo Visir; e nel medesimo cortile, quasi al paro del Divano, ma dentro ad esso, alla parte sinistra, vi è la porta della Regina, custodita e guardata da una mano di Eunuchi negri. Il fine di questo vago e delizioso cortile termina alla terza porta del Re per la quale si entra dentro nel Serraglio riservato alla sola persona imperiale, e schiavi che lo servono. Nè in questa porta può entrare alcuno senza volontà dell'Imperatore, parlando dei soggetti di condizione; ma altri da servizio, come medici e quelli che attendono alle dispense ed alle cucine possono entrare, con licenza del Capi Agà che è il maggiordomo maggiore, a cui è raccomandata la guardia d'essa; e sempre vi assiste, per avere vicine le sue stanze con li suoi Agà, Eunuchi come egli, e sono tutti bianchi. In modo che quando si rappresentano delle cose di queste porte di dentro, la maggior parte è per relazione, perchè non si può vedere o se si vede in alcuna minima parte, ciò segue in occasione che il Re si ritrovi assente, e si viene introdotto da qualche favorito per una delle porte del mare; il che riesce con molta difficoltà, per il rispetto nel quale vogliono che sia tenuta la persona reale, ed anco le sue stanze.

Ora, passata questa terza porta, la quale anco essa ha un bellissimo porticale, ma senza arme, subito, si può dire, si entra alla già detta stanza deputata alle pubbliche udienze delli Ambasciatori e Bassà; e si scopre, entrandovi, un altro bellissimo cortile sotto lastricato di finissimi marmi e lavorato a mosaico, con fontane e fabbriche da tutte le parti sontuosissime, perchè sono per lo più dove il Re abita per mangiare e per fare le sue ricreazioni.

Io, con l'occasione d'essere il Re ritornato fuori alla caccia, per la stretta amicizia che teneva con il Chiecaia, che è il maggiordomo del Bostangi Bassi, che vuol dire capo delli giardinieri dei Re, ebbi comodità d'entrare con la scorta di lui nel detto Serraglio per la porta del mare, e fui condotto a vedere diverse stanze ritirate del Re, diversi bagni ed altre cose molto deliziose e curiose, così per la ricchezza dei lavori a oro, come per l'abbondanza di fontane. In particolare vidi un appartamento di stanze d'estate posto sopra una collinetta, così ben inteso di sala e camere, e così vago per lo sito, che appariva essere luogo ed abitazione di Re; così grande era il Divano, cioè la sala, aperta dalla parte del levante, colline bellissime, che guardava sopra un laghetto di forma quadra, fatto artificiosamente da alcune fontane in numero di trenta, tirate e compartite sopra un corridore di pietra di marmo finissimo che circondava questo lago.

So che le fontane gettavano l'acqua da quel corridore nel lago, e l'acqua di esso si scolava poi con alcune seriole in alcuni giardini che rendevano il luogo deliziosissimo; per lo corridore potevano camminare due uomini al paro, e girandolo godere di quelle fontane che facevano un continuo e soave mormorio; e nel lago vi era un brigantino assai piccolo, nel quale mi fu detto che entrava spesso la Maestà Sua con buffoni e matti, per farsi vogare a ricreazione, e per far loro qualche burla di sballarli nell'acqua, come spessissimo, camminando con loro per lo corridore, gli faceva far tombole per traboccarli nel lago. Vidi anco da detto Divano per una finestra la stanza del letto di Sua Maestà, la quale era di grandezza ordinaria, aveva li muri alla usanza incrostata di pietre, cioè maioliche, che mostravano macchie di fiori di diversi colori che facevano bellissima vista. Sopra le porte vi erano portiere ordinarie di panno d'oro di Brussia, con fregi di velluto cremisino, ricamato d'oro con molte perle sopra. La lettiera era simile a una trabacca alla Romana, con le colonnette d'argento profilate d'oro; in luogo di pomelli aveva lioni di cristallo, e il fornimento era di panno d'oro e verde, pur di Brussia, senza sguazorone, in luogo del quale erano alcuni merli fatti di perle, che mostravano essere di gran valore e molto ben composti; li stramazzi erano poco più d'un palmo alti da terra, ed erano pur di broccato d'oro, come erano anco li cuscini, in suolo così di questa come delle altre stanze, con li suoi sofà, che sono li luoghi dove sta a sedere, alti da terra mezzo braccio incirca; tutti erano coperti di ricchissimi tappeti Persiani di seta e d'oro, e li stramazzi da sedere e cuscini da appoggiare erano di bellissimi broccati d'oro e seta. E in mezzo il Divano vi vidi pendente un fanò assai grande di forma rotonda, con li termini d'argento rimessi d'oro, di turchine, rubini e smeraldi, e gli intermedii erano di finissimo cristallo, che faceva una bellissima vista. Per le mani vi era un bacinetto piccolo con il suo ramino tutto d'oro massiccio, tempestato di turchine e rubini bellissimi che facevano una gran vista. Dentro al detto Divano vi era un luogo da tirare di freccia, dove vi vidi archi e freccie bellissime; e mi furono mostrate passate fatte con freccie dal forte braccio del Re, così grandi che mi diedero maraviglia.

La stanza nominata Divano pubblico, vi è un appartamento fatto già non molti anni sono; è un quadro di stanze da servizii, di passa otto incirca per ogni verso, con una retrostanza da servizi, ed un'altra stanza a canto posta a mano destra nell'entrare, divisa solamente dal Divano da termini che fanno entrar in essa; fuori poi dalla porta di esso vi sono due casette di tavole posticcie per abitazione dei ministri, oltre le altre poco discosto, disposte alla spedizione dei negozii.

In questo Divano, che è chiamato il pubblico, perchè pubblicamente ed indifferentemente ogni sorta di persone vi può concorrere a dimandare giustizia e spedizione delle grazie, liti e cause che hanno di qual si voglia sorte, si radducono quattro giorni della settimana (la quale finisce il venerdì, per esser quello il giorno della sua festività; e sono li giorni della sua riduzione il sabato, la domenica, il lunedì, il martedì) il primo Visir con tutti gli altri Bassà, li due Cadì Leschieri di Grecia e Natolia, che sono li capi delli Cadì di quelle due provincie; e li Cadì sono uomini professori della legge che per privilegio governano come Rettori in tutti i luoghi e città dell'Imperio; li tre Tefterdari, che sono come i questori Romani, e quelli che hanno cura di riscuotere le entrate regie, e che sborsano il danaro alle milizie ed altri stipendiati della Porta; il Reschisop, che è il Cancellier grande; il Nisangi, cioè quello che segna li comandamenti e le lettere con il segno regio, li secretarii di tutti li Bassà ed altri grandi con un numero di notari, assistendo sempre alla porta di detto Divano il Ciaus Bassi che è il capo delli messaggieri, per non dire comandadori, con buon numero di detti Ciaussi per obbedire alli ordini del Bassà; il quale Ciaus Bassi porta un bastone d'argento in mano; e gli altri per premio servono per lettere e per portare ambascerie per capitani, per guardiani, ed in fine per cose simili; e tutti si radducono all'alba.

Li Bassà tutti, entrati nella stanza del Divano, si siedono in faccia dell'introito sopra una banca attaccata al muro, un dopo l'altro, alla destra, come lato inferiore, del primo Visir; ed alla sinistra sopra la medesima banca siedono li due Cadì Leschieri, cioè prima quello della Grecia, come provincia più nobile e stimata, poi quello di Natolia; ed alla destra nell'entrare stanno pur a sedere li tre Tefterdari, li quali hanno dietro di loro nella stanza già detta tutti gli notari, li quali stanno a sedere in terra con carta e penna in mano, e sono pronti a scrivere quanto occorre e gli viene comandato; ed all'incontro d'essi Tefterdari, ch'è dall'altra parte della stanza, pur sopra una banca, vi sta il Nisangi con la penna in mano circondato da' suoi ministri, stando nel corpo e nel mezzo di detta stanza tutti quelli che pretendono udienza. Ridotti che sono, danno principio alla spedizione delli concorrenti pretensori, li quali tutti senza avvocato, usando di trattare le loro cause da per loro, fanno capo dal primo Visir, il quale, se vuole, può spedire il tutto, perchè tutti gli altri Bassà mai parlano ed aspettano di essere ricercati da lui, o di essere delegati giudici come spesso occorre; perchè il primo Visir, gustato che ha la sostanza della causa, per liberarsene, se è civile legale la rimette ai Cadì Leschieri, se è dei conti alli Tefterdari, se è di falsità, come sovente occorre, alli Nisangi, se è di negozio mercantile concernente difficoltà di probazione, a qualcheduno delli altri Bassà, liberandosi in questo modo se gli pare del carico che ci ha, di mano in mano, e riservando a se quello che gli pare di grave interesse fra nazioni forestiere, e che per qualche via gli potesse giovare. E in dar le spedizioni, si trattengono tutti fin a mezzogiorno, che viene l'ora di pranzo, nel qual tempo comparendo uno delli scalchi destinati a tal servizio, prende la parola del primo Visir di portar il cibo. Vengono immediatamente licenziati della stanza tutti li particolari, e restando libera la stanza, sono poste le mense in questo modo: innanzi al primo Visir sopra d'un scabello è posta una mezolera di rame stagnata, rotonda e grande come un fondo di botte, alla quale mangia esso primo Visir con uno o ver due delli altri Bassà, li quali mangiano tutti insieme; il medesimo alli Cadì Leschieri, alli Tefterdari ed alli Nisangi. Alcuni serventi pongono a tutti sopra li ginocchi un fazzoletto per preservarli le vesti, e li portano le vivande dopo aver empito all'intorno quelle mezolere di molto pane di varie sorte, ma tutto tenero e buono. Le vivande gli vengono portate ad una ad una e poste in mezzo di quella mezolera in un piatto da loro chiamato tepsi, capace e grande; e finita una, levano quella e gli ne portano un'altra, essendo il mangiare ordinario castrato, galline, colombini, oche, agnelli, pollastri, minestre di risi e legumi, acconcie in diverse maniere, qualche torta per postpasto, e così in breve tempo spediscono, mangiando dell'avanzo di queste tavole tutti gli altri ministri del Divano, ai quali anco di più viene dalle cucine somministrato quello di più che li potesse bisognare.

Alli Bassà ed alli grandi alle volte viene portato il bevere ed il sorbetto in alcune scodelle di porcellana grande, poste sopra di alcuni piatti della medesima, o vero di cuoio miniato d'oro; gli altri non bevono, e se hanno sete si fanno portare dell'acqua cavata dalle fontane vicine. Nel medesimo tempo che mangia il Divano, mangiano anco tutti gli altri ministri e custodi, li quali per l'ordinario non sogliono essere meno di cinquecento bocche, nè a questi si dà altro che pane e sorba, cioè minestra. Finito il desinare, il Bassà primo Visir attende a negozii pubblici, e consigliando con chi gli piace e come gli piace con li altri Bassà, risolve da per se il tutto, e lo prepara per portar dentro al Re; essendo costume ordinario delli quattro giorni del Divano andar in due di essi a dar conto alla Maestà Sua, cioè la domenica ed il martedì, di tutti li negozii spediti; per lo qual effetto dà udienza il Re ancor egli; fatto il pranzo, passa dalle sue stanze nella stanza del Divano, e va dentro, ove sentandosi manda a chiamare per uno a questo deputato, che è il Capegiler Chiaiassi, che porta un bastone d'argento lungo in mano, prima li Cadì Leschieri, li quali levatisi con il far riverenza al primo Visir partono, ed accompagnati da detto Capigiler e dal Chiaus Bassi, che tutti due vannogli innanzi con gli bastoni d'argento in mano, entrano dal Gran Signore, al quale danno conto di quanto aspetta al loro carico, e spediti partono e ritornano a drittura alle loro case. Dopo questi sono chiamati li Tefterdari, li quali usando li medesimi termini si trasferiscono al Re, e spediti li loro negozii si licenziano, e danno luogo alli Bassà, li quali vanno per ultimi in schiera uno dopo l'altro; e capitati in Divano, alla presenza del Re, con le mani giunte ed il capo basso, come fanno tutti gli altri, solo il primo Visir è quello che parla e dà conto di ciò che gli pare, mostrandogli i memoriali ad uno ad uno; e poi rimettendoli in una borsa di raso cremisino, li pone con grande umiltà a canto al Re; e se non viene ricercato d'altro, senza che gli altri Bassà mai parlino, si partono e vanno a montar a cavallo fuori della seconda porta già detta, ed accompagnati dai suoi e da altri, massime il primo Visir, vanno alli suoi Serragli. E così resta finito per quel giorno il Divano, che può essere ora di vespero.

È da sapere che alle volte vanno nel detto Divano gli Agà delli Gianizzeri ed il Capitano del mare, quando si trovano in Costantinopoli, che hanno negozii; ma questo solo, gli giorni che si entra al Re, può entrar anco egli, però con li Bassà, e dar conto dei negozii aspettanti all'arsenale ed all'armata; il luogo del quale è in Divano sopra la banca delli Bassà, ultimo di tutti; ma se fosse Bassà Visir, come spesso occorre, siede in questo caso al suo luogo al numero designatoli di secondo o terzo, come sta la sua elezione. E l'Agà delli Gianizzeri, il quale non siede in Divano, ma dentro della seconda porta del Serraglio, a man destra sotto il portico, quando gli occorre andar dal Re, vi va prima delli altri già detti, ed uscito torna a sedere al suo luogo fino al finire del Divano, ed è l'ultimo delli grandi a partire.

Erano soliti gli Imperatori passati e questi presenti non tralasciare alle volte di trasferirsi per entro delle sue stanze ad una finestra che guarda in Divano, e risponde sopra il capo del primo Visir, alla quale sta una gelosia spessa per non esser visto; da questa vede ed intende la Maestà Sua tutto ciò che si tratta in esso Divano, e particolarmente vi va quando ha da dar udienza ad alcuno Ambasciatore di Principe grande, per vederlo a mangiare con li Bassà, e per intendere ciò che si ragiona. E questo fa gran servizio alla giustizia, perchè teme il Bassà primo Visir sempre della sua testa, e si regge perciò con molta circospezione.

Quando occorre agli Ambasciatori di teste coronate baciar le vesti al Re, questo si fa per lo più la domenica o il martedì, giorno del Divano destinato alla udienza del Re; e ciò si fa per non dar incomodo negli altri giorni alla Maestà Sua. Ed allora il primo Visir comanda Divan grande, che vuol dire convocazione di tutti i grandi della Porta, di tutti li Ciaussi, di tutti gli Mutefaragà che sono lancie spezzate, di tutti gli Spahì che sono le milizie a cavallo, e tutti gli Gianizzeri che sono le milizie a piedi, le quali sotto li loro capi sono comandate a vestirsi meglio che possono e ridursi alli luoghi loro ordinarii che sono nel secondo cortile; comparendo compartiti in modo che rendono e fanno vista bellissima, perchè sono molto riccamente vestiti, portando nelli turbanti e loro scuffie pennacchi d'ogni sorte bellissimi. Ed accomodato il Divano, nel quale quel giorno si fanno pochissime faccende, manda il primo Visir il Ciaus Bassi con molti delli suoi Ciaussi a cavallo a levar l'Ambasciatore; e condotto in Divano si fa sedere dirimpetto al Bassà primo Visir sopra un scagno senza appoggio, guarnito di broccato; e dopo un pezzo di ragionamento piacevole, comanda il Bassà che si porti il desinare, il quale vien portato dall'ordinario scalco in quel modo che è stato detto, e mangia l'Ambasciatore con il primo Visir ed uno o due delli altri Bassà; nè altra differenza si scuopre dal solito, se non che il mezolaro è più grande e tutto d'argento, e le vivande sono in maggior copia e più delicate, sborsando la Maestà Sua per ognuno di tali banchetti scudi mille d'oro a quello della dispensa. Al banchetto vi assiste sempre il Dragomanno, per potere ragionare ciò che occorre, e si sta trattenendosi, fino che il Re manda ad avvisare d'essere all'ordine, e che abbia fornito di desinare la corte dell'Ambasciatore, alla quale è apparecchiato sotto un porticale, in terra, sopra alcuni bulgari in luogo di mantili, e le vivande sono positive e con ordine. Fornita tutta la cerimonia del banchetto, si ritira l'Ambasciatore con tutta la sua corte in un certo luogo vicino alla porta del Gran Signore a sedere, sino che tutti gli ordinarii del Divano siano andati alla udienza del Re. Usciti, fuorchè gli Bassà che restano per servire alla Maestà Sua per onore, poi è chiamato l'Ambasciatore dal mastro delle cerimonie, e condotto sino alla porta; dove essendo il Capi Agà con un'ala di Eunuchi Agà, viene condotto sino alla stanza del Gran Signore, alla porta del quale stanno due Capiggi Bassi delli detti, che lo pigliano uno per braccio; ed accompagnato a baciar la vesta della Maestà Sua, è dalli medesimi ritornato in dietro al muro della stanza; dove fermatosi l'Ambasciatore fino che li detti Capiggi Bassi abbiano accompagnato tutti li destinati a baciar le vesti ad uno ad uno, introdotto il Dragomanno, espone al Re la sua commissione: alla quale per il più delle volte non risponde il Re cosa alcuna, ma solo il Bassà primo Visir dice qualche parola a proposito per licenziarlo; e così l'Ambasciatore si parte con far riverenza al Re, senza levarsi la berretta.

È curiosa cosa sapere questo particolare, che non è persona così d'ambasceria come d'altri, che vada a baciar le vesti alla Maestà Sua per licenziarsi da lei, che non sia vestita di veste del Re. Però il primo Visir, innanzi che vadano gli Ambasciatori al Divano, gli manda a presentare quante vesti sono descritte nel Canon per li Ambasciatori e suoi gentiluomini, le quali poi si portano piegate, nè si vestono se non all'entrare che si fa alla porta che va al Re: e dette vesti sono di diverse sorte, cioè una, o due per li Ambasciatori di quelli broccati di Brussia d'oro e di seta, e le altre, se bene li lavori sono di Brussia, sono di poco valore. È anco vero che all'incontro non è alcun Ambasciatore che vadi al Re, e Bassà, che ritorni da governo, che baciando le vesti non lo presenti giusto al Canon ordinario puntualmente osservato, tenendosi questo libro molto ben custodito, per non perdere le buone usanze, sì che per questa ragione è molto maggiore l'entrata che l'uscita; perchè gli Bassà oltre l'ordinario del Canon fanno a parte grossissimi presenti e ricchissimi di cose squisite e rare, accompagnate alcune volte secondo la qualità delli Ambasciatori, per conservarli favoriti ed in grazia.

Gli altri Ambasciatori, che non sono di teste coronate, se bene sono vestiti di vesti del Re in presente, non entrano però con questa gran pompa in Divano, nè ricevono il banchetto, ma vanno come gli altri soggetti grandi privatamente, portando il presente, alcuni sedendo alla presenza del Bassà ed altri non sedendo, fino che vengono poi condotti al Re nel modo sopraddetto.

Avendo fin qui descritto il Serraglio e le fabbriche in esso esistenti, per quello si è potuto vedere ed intendere, con qualche altro particolare appresso dell'uso d'esso, entrerò a narrare di quelli che l'abitano, e del loro ministerio. Dirò prima che tutti quelli che si ritrovano in detto Serraglio, così uomini come donne, sono tutti schiavi dell'Imperatore, come sono tutti quelli che sono sudditi nel suo grande Imperio; perchè in esso non è altro capo che il Re, riconoscendo tutti l'essere e l'avere dalla semplice volontà della grazia di lui. E puotesi con verità affermare e dire che questo Serraglio riesce come un seminario di soggetti, li quali secondo la loro riuscita e naturale disposizione vengono ad essere quelli che subornati reggono con principalissimi carichi la macchina di così amplo Imperio.

Tutti quelli che stanno dentro dalla terza porta chiamata porta reale, io credo che non eccedono, per l'informazione che avetti, fra uomini e donne al numero di due mila; le donne saranno da trecento in circa, giovani, belle, atte, ridotte e abbracciate dal Re, vecchie da governo, e altre da servizio.

Quelle che sono tenute in luogo di belle, sono tutte giovani d'esterne nazioni state prese o rubate, ed educate in buone creanze con altre virtù di sonare, cantare, danzare e ben cucire, sono poi state donate alli Re per presenti nobilissimi, come vergini virtuose e stimatissime fra i Turchi; e di queste tali si accresce il numero ogni giorno, secondo che vengono mandate a presentare dal Tartaro, dalli Bassà, e da altri grandi al Re ed alla Regina, e le mette anco, secondo che pare alla Maestà Sua per qualche accidente di farne passare da questo Serraglio al Serraglio vecchio, che anco egli è un luogo amplissimo, come a suo luogo si dirà.

Queste, entrate in Serraglio, siano di che religione esser si voglia, s'intendono immediatamente turche; alle quali non si usa di far altro, che di farli alzare un dito e dire Mehemet; e secondo le loro età e disposizioni, esaminate da una vecchia nominata Cadum, che vuol dire maggiordoma maggiore, sono collocate in una stanza ad abitare e vivere fra le altre della medesima età e del medesimo genio. Ed è da sapere che in quelli appartamenti di donne si vive come si fa ne' monasterii di monache grandi, perchè hanno li suoi refettorii e dormitorii grandissimi, che capirebbono fino al numero di cento d'esse. Dormono sopra li sofà posti al lungo della stanza dall'una e dall'altra parte, sì che resta una capacissima strada nel mezzo di poter camminare; li loro letti sono di schiavine e felzade, e per ogni dieci giovani donne dorme una vecchia. Nelle stanze stanno di notte diversi ferali accesi, pendenti dal cielo d'essa, e così compartiti, che da per tutto si può comodamente vedere; e ciò per divertire il male e per lo bisogno che gli potesse occorrere; appresso detti dormitorii vi sono li suoi bagni, le cucine, e l'uso per la necessità, con abbondanza di fontane per lo bisogno delle acque, e diverse altre stanze sopra essi dormitorii, dove si riducono a cucire, e dove tengono li suoi sanduchi, che sono forzieri per custodire li loro vestimenti. Mangiano poi a camerata nelli loro refettorii sopra il piano del sofà e sopra corami di bulgaro che servono per mantili, e vengono servite da altre donne secondo il loro bisogno, sì che non restano in mancamento alcuno. Hanno li loro luoghi da ridursi alle scuole per imparare a leggere, parlar turco, a cucire, a sonare, e con le loro madri che sono donne di età vivono e stanno tutto il giorno con qualche ora anco di ricreazione, perchè non gli mancano giardini nè piaceri quanti ne vogliono fra di loro.

Il Gran Signore per l'ordinario non vede nè pratica queste tali giovani, se non quando gli vengono presentate, e dopo, in caso di volere qualcheduna d'esse per suo uso, o vero per vederla a giuocare, o sentire a suonare; per tal effetto fa sapere alla Cadum governatrice il suo desiderio, la quale immediatamente fa porre le giovani che paiono a lei bellissime all'ordine di tutto punto, apparecchiate e poste in fila dall'una e dall'altra banda della stanza, e introduce il Re, il quale passando fra di loro più d'una volta e quanto li piace, adocchia quella che più gli piace ed aggrada, e nel voler partirsi li getta uno de' suoi fazzoletti in mano, segno di volerla quella notte a dormir seco. Questa, avuta così buona nuova, si pone quanto può l'arte, e governata e profumata dalla Cadum, dorme la notte con il Re nelle stanze regali, nell'appartamento delle donne, che sta sempre preparato per tal effetto: e nel dormire la notte dalla Cadum le vengono assegnate alquante More vecchione, le quali a vicenda, due ogni tre ore, li stanno in camera, dove sta una delle dette More vecchie e l'altra dai piedi del letto, e si mutano senza strepito, sì che il Re non possa sentire alcun disgusto.

Nel levar che fa la mattina il Re si muta tutto di vestimenti e lascia alla giovane quelli che aveva in dosso con tutti li danari che nella scarsella si trovano; e passato ad altre sue stanze li manda quel presente di vesti, gioie e danari, quello che gli piace corrispondere alla soddisfazione e gusto ricevuto; il medesimo modo fa con tutte le altre che gli danno nell'umore, continuando più con l'una che con le altre, secondo il gusto e l'affezione che gli porta; e quella che riesce gravida, è medesimamente nominata Sultana Regina, e se fa un maschio, con grandissime feste viene confermata.

Ha detta Regina il suo appartamento di stanze nobilissime e gli viene immediatamente formata la casa di servitù d'ogni sorte; e gli assegna il Re entrata sufficientissima per poter donare e spender largamente in tutto quello che gli bisognasse; e tutte del Serraglio la riconoscono per tale con molto onore e riverenza. Le altre donne, se bene figliano, non sono chiamate Regine, ma Sultane solamente, per avere avuto commercio carnale con il Re; e sola è nominata Regina quella che si trova madre del Principe successore all'Imperio. Le quali Sultane, per esser praticate dal Re a suo piacere, hanno anche esse questa prerogativa d'esser immediatamente levate del comune delle altre, e poste a parte, con assegnamento di stanze, con servitù, e ricevono assegnamento di tanti aspri al giorno per li loro bisogni; nè li mancano vestimenti d'ogni sorte bellissimi, per potere comparire fra le altre sontuosissime.

Tutte queste Sultane praticano con molta dimestichezza e con altrettanta dissimulazione fra loro, per non dar disgusto al Re, perchè essendo schiave e vivendo con gran timore e gelosia della Maestà Sua, ognuna si sforza di darle nell'umore, per esser più favorita ed accarezzata delle altre; e se per caso occorresse che il figliuolo maschio della prima, detto il Principe, morisse, e che un'altra avesse partorito il secondo figliuolo, questa del secondo, per subentrar Principe il figliuolo, sarìa Regina, e la prima restarìa Sultana; e così di mano in mano cammina la successione con il titolo.

La Regina viene alle volte sposata dal Re ed alle volte resta senza il Chibin, che vuol dire senza il segno di dota e senza la cerimonia del contratto nuziale, che altro non è, secondo il costume turchesco, che alla presenza del loro Muftì, che è come il Pontefice, dà l'assenso del matrimonio del quale si fa l'oggetto, cioè instrumento autentico, declaratorio non solo della volontà delli contraenti, ma della dote che li assegna il Re. La causa perchè rare volte sono sposate le Regine, è per non smembrare il patrimonio reale di circa un mezzo milion di zecchini di entrata all'anno; ch'è quello che Selim Imperatore, avendo voluto fare tale solennità, lasciò per Canon che dovesse esser dato in dota all'Imperatrice moglie, perchè avesse comodo di spendere largamente, di fabbricar moschee ed ospitali, e farsi per ogni verso onorare e stimare. Ed essendo ora dette entrate applicate ad altro, difficilmente li Bassà grandi consigliano li Re a doverlo fare; anzi quando possono, gli persuadono ad astenersi, perchè non vedono volentieri più d'un capo dominante nell'Imperio: ma con tutto ciò, sposate o non sposate, come madri del Principe si chiamano Regine, e per tali sono conosciute ed onorate con presenti, e particolarmente viene riverita e servita dalla guardia che tiene alla sua porta, il Chislaragà, che è un Moro Eunuco capo delli Eunuchi Mori, tutti tagliati; il quale con un numero di forse trenta simili a lui, sta sempre alla custodia della detta porta ed al servizio della detta Regina e per dette Sultane: le quali non escono mai del detto suo Serraglio se non con la persona del Re che le conduce tutte o parte, come più li piace, ad altri Serragli di piacere; e nel passare che fanno per le strade vengono esse strade serrate ed oscurate con tele; e nelli caicchi e cocchi che montano, mai vi stanno presenti altri uomini che i loro Mori Eunuchi infino che sono montate e serrate nelle poppe delli detti caicchi, ovvero cocchi, che mai possono esser vedute, come mai da altri praticate che dal Re solo.

Le zie, le sorelle e li figliuoli del Re stanno nel medesimo Serraglio nelli loro appartamenti, servite regalmente, e vestite sontuosissimamente, e vivono in continui piaceri fra loro, fin che piace al Re di maritarle; nel qual caso escono dal detto Serraglio con una cassa, così si dice, che gli viene fatta dalla Maestà Sua, di vesti, ori e gioie per il valsente almeno di cinquecento mila sultanini, che sono zecchini, portando esse seco quello di più che sanno nascondere delle cose preziose che a loro sono state donate; sì che alle volte suol ascendere a gran somma, e le tiene comodo per tutto il tempo della loro vita. E se sono amate dalli Re, conducono seco quante schiave del Serraglio, cioè al numero di 15 o 20, con quelli Eunuchi che gli sono più cari, per il loro servizio.

Queste, nominate anco esse Sultane, ritengono in vita lo stipendio che avevano dentro, che è di mille e cinquecento aspri al giorno, intendendosi li aspri 120 il zecchino, facendo il medesimo le schiave e gli Eunuchi; anzi che della Porta e del Casnà regio gli viene fornita la casa e tutto per suo particolar servizio, di tutto quello che è necessario per lo vivere alla grande come Sultana, sì che vengono a star meglio fuori di quello facevano dentro; e se il Bassà marito non avesse Serraglio capace e nobile, ne gli viene dato uno dal Re, dei molti che ne ha, per conservare in quella riputazione che conviene alla grandezza loro. All'incontro il marito nel sposarla li fa contraddote, che si dice chibino, almeno di cinquecento mila sultanini, e presenti di vesti, gioie, e pennacchi, ed altri fornimenti necessarii per somma molto considerabile, essendo il vestire delle Sultane d'abito comune a tutte le altre, e come quello che portano gli uomini, nondimeno molto superbo e costoso; il che riesce di gran spesa alli mariti Bassà, con tutto che mai praticano con uomini ma molto con donne, e per lo più con quelle del medesimo Serraglio del Re, dal qual però uscite come, ho detto, non possono più entrarvi, se non con licenzia della Maestà Sua.

Queste Sultane mogli di Bassà sono padrone delli mariti, e gli comandano a suo piacere; portano sempre il cangiar, che è il pugnale gioiellato, in segno del predominio, e chiamano li loro mariti schiavi, facendoli del bene e del male secondo la soddisfazione che ne ricevono, e l'autorità che hanno con il Re; ed alle volte li repudiano per pigliarne un altro, ma ciò non farebbono mai senza licenza del Re, che sarìa con la rovina e morte loro.

Le altre donne alle quali non tocca in sorte d'esser favorite dal Re, vivono con le altre a tinello, lambiccando la sua gioventù in mali pensieri fra di loro; e venendo vecchie, servono per maestre e governatrici delle giovani che ogni giorno capitano nel Serraglio, reputando in così mala congiuntura gran ventura di essere per qualche accidente mandate fuori nel Serraglio vecchio; perchè di quel luogo possono esser mandate, secondo la benevolenza di quella governatrice, ed anco quello che si trovano di sparagnato ed avanzato delle paghe e presenti ricevuti, che può essere di qualche considerazione; perchè nel Serraglio sono sempre avvantaggiate dalle Sultane di molte cose che loro avanzano, oltra la paga corrente, che suol essere loro fatta dal Casnà del Re, di aspri cinque sino a quindici al giorno per le donne mezzane, e da tre sino a cinque per le basse, e questo per ognuna di loro. Le sono pagate di mesi tre in mesi tre, senza punto differire, come viene fatto ad esse Sultane, secondo l'assegnazione fattagli dal Re, da mille fino a mille e cinquecento aspri il giorno, avendo oltre di questa paga quante vesti vogliono, e gioie quante piace al Re donarli; ed esse donne di servitù ancor esse hanno due vesti di panno all'anno, una pezza di tela chiara per camicie di venti braccia, e da carnevale una vesta di seta per una, ed anco qualche altra cosa, secondo il gusto e la liberalità della Regina e del Re: il quale di questo tempo con le donne vuole allargar la mano, con donar alle Sultane vesti foderate di preziosissime pelli, e lavori di gioie di grandissimo valore, come puntali, pennacchi e orecchini, manini per le mani e per le gambe, e cose simili, di quali cose abbonda il Re, per li presenti che gli vengono fatti, indicibilmente. Vengono anco dette Sultane in tal giorno presentate dalli Bassà ed altre Sultane di fuori, che lo fanno per conservarsi con il mezzo loro in grazia del Re, di cose ricchissime e bellissime ed anco di danari, li quali gli riescono più cari delle altre suppellettili, perchè essendo avarissime, accumulano e spendono quietamente in altre cose che desiderano, ma particolarmente procurano conservarli per ogni accidente che gli potesse occorrere, in specie in occasione della morte del Re; perchè dalla Regina in poi, che resta nel Serraglio, madre del successore Principe, tutte le altre deplorate perdendo il titolo di Sultane, immediatamente sono mandate in Serraglio vecchio, lasciando le figlie e figliuoli, se ne hanno, nel Serraglio del Re, per custodirsi sotto il governo di altre donne a questo deputate. Ed in questo caso ritrovandosi con molta facoltà vengono facilmente maritate in persone grandi, o vero di mediocre condizione, secondo il loro avere e volontà della governatrice del Serraglio vecchio, con l'assenso però del Re, il quale per lo più vuol sapere oltra il soggetto che dote li fa, essendo costume che gli uomini fanno le doti alle mogli, al contrario in tutto che si usa fra i Cristiani; le quali doti conseguisce la moglie in caso che fosse repudiata dal marito senza suo consenso, e vedovando. Onde per ciò sovente occorre vedersi che la figliuola di un Re, Sultana, sia maritata in un Bassà, e che la madre di quella figlia sia moglie d'un soggetto disuguale di titolo e di ricchezza del genero, di che non si tiene conto alcuno.

Nel Serraglio regale si introduce per mezzo delle Sultane, che intercedono licenzia dal Re, spesso qualche Ebrea, sotto colore d'insegnarli qualche bel lavoro, o vero d'aver almeno segreto medicinale: le quali, introdotte con il presentare molto a quelli Eunuchi della guardia della porta della Sultana, si fanno così domestiche che divengono padrone di tutte queste donne, portandoli dentro e fuori ciò che vogliono per vendere e comprare; e da qui nasce che tutte le Ebree che hanno pratica nel Serraglio si fanno tutte ricchissime, perchè quando portano dentro comprano a buon mercato e vendono caro, e quando portano fuori di nascosto, che sono gioie per lo più bellissime d'ogni sorte, vendendole quanto vogliono ai forestieri, rispondono a quelle donne semplici che non sanno, e temono d'esser scoperte, quanto a loro pare: e per queste cose, del Serraglio escono cose bellissime e anco ad onesto prezzo. Se ben queste infelici Ebree fanno infine infelicissima riuscita, perchè essendo discoperte ricche e fraudolenti, vi lasciano la roba e la vita per mano del Bassà, o delli Tefterdari, li quali nel bisogno di danari si immaginano di dar in tali soggetti, stimando per questa via di far restituzione al Re del mal acquistato e rubato.

Queste donne di Serraglio vengono castigate secondo le loro colpe molto severamente, poi che dalla loro superiora sono fatte battere; se restano inobbedienti, se insolenti e temerarie, sono per ordine del Re mandate in Serraglio vecchio, come contumaci, e restano spogliate di quanto pare alla maggiordoma di ritirargli; e se per qualche stregheria o altro gravissimo errore fossero ritrovate colpevoli, sono poste in un sacco e ben legato di notte sono mandate ad annegare; sì che convengono stare molto ubbidienti e contenersi nei termini di onestà, se vogliono passare la vita loro con buona fine. Perciò non è lecito ad alcuno di mandarli dentro cosa alcuna con la quale possono usare disonestà; e se vogliono mangiar zucche o cocomeri, se gli danno dentro spezzati, per levar loro l'occasione di far male, essendo giovani morbide, ben nutrite, e senza dubbio inclinate al peggio.

Essendomi sbrigato a parlare delle donne, entrerò a narrare il numero delli Azamoglani, che servono in esso Serraglio, ed il loro esercizio. Questi possono essere in circa 700, di età dalli 17 fino a 25 e 30 anni il più, e sono la maggior parte Cristiani rinnegati, di quelli delli Cristiani, che gli raccolgono ogni tre anni alla Morea e da tutte le provincie d'Albania, le quali decime si distribuiscono in questo modo. Possono essere li decimanti or più or meno, secondo la diligenza e discrezione delli Capiggi destinati a questo ufficio, e rare volte accedono al numero di duemila, levati alle famiglie dove si trovano più disposti, ed atti al servizio della guerra, che non passino l'età di anni 12 in 13; ed a parte ben custodita sono mandati in Costantinopoli, per farne la compartita che si dirà.

Capitati tutti questi giovanetti alla Porta, sono vestiti di colori diversi, di panno di Salonicco con un cappello in testa di feltro giallo della forma d'un pan di zuccaro lungo, e condotti alla presenza del primo Visir, il quale per questo effetto è accompagnato dalli altri Bassà e ministri del Serraglio: fa egli la scelta di quelli che gli paiono più belli e più disposti per servizio della guerra. Fatta questa scelta, i medesimi tali garzoni, chiamati Azamoglani, condotti dentro del serraglio dal Bostangi Bassi che è il capo dei giardinieri, e distribuiti alli capi delle compagnie nelle quali ne è mancamento, vengono tagliati e fatti turchi, e destinati ad imparare la lingua turca; e secondo che si scopre la loro inclinazione, si fanno anco imparare a leggere e scrivere, ma a tutti indifferentemente è insegnato a lottare, il correre ed il saltare, il tirar d'arco, la zagaglia ed in fine tutti gli esercizii necessarii per la guerra.

Delli altri che restano, parlo delli decimandi, il medesimo Bassà primo Visir ne distribuisce per tutti li giardini ed altri Serragli di piacere del Re, in tutti li vascelli che navigano di ragione delle Sultane, e che vanno per legne ed altri esercizii del Serraglio, consegnandoli alli padroni d'essi, per doverli restituire ad ogni sua richiesta. Il medesimo fa alli artisti principali d'ogni sorte, acciò che imparino le arti da potere esercitare nelle camerate, quando saranno Gianizzeri, ed in particolare quando sono alla guerra; ne dispensa e dà ancora a tutti li Bassà e grandi della Corte quando ne vogliono per il loro servigio, cincignandogli per nome, segno e capelli, e con ricevuta sopra a un libro a questo destinato, per riaverli nel bisogno di rimettere le milizie dei Gianizzeri. E questi tali, dispensati a questi Bassà, sono delle più basse condizioni che vi siano, perchè vengono pigliati per servizio delle stalle, delle cucine e simili bassi servizii. E gli altri che restano vengono posti in diversi serragli sotto la custodia e disciplina dei suddetti Eunuchi a questo destinati, per fargli educare nell'esercizio dell'arme, perchè riescano atti a subentrare nel numero delli Gianizzeri, e in luogo dei morti per vecchi, non buoni per la guerra, in modo che tutti questi si può dire vengono conservati in un seminario per valersi in tutte le occorrenze: servendosi buon pezzo, e ben spesso il Re, la Regina ed il primo Visir in tutti li bisogni di fabbriche e altre fatiche necessarie, senza alcun rispetto. Fatta tutta questa distribuzione, il Bassà primo Visir li rappresenta al Re sopra un libretto, il quale vedutolo, fa assegnamento a ciascheduno di stipendio secondo che gli pare, al Canon ordinario, che è d'aspri due fino a tre e cinque per uno al giorno; e detto libro, sopra al quale è stabilito detto stipendio, formato di pugno regio, viene immediatamente per lo Bassà consegnato al Tefterdar grande, perchè a suo tempo li possa e debba far dare il suo pagamento; il quale Tefterdar ha obbligo di vestirgli ogni tre mesi che fa la paga, per vedere li morti, e per sopraintendere come vivono e sono governati.

Tornerò a parlare del li Azamoglani del Serraglio, stimando non esser stato superfluo in questa poca descrizione fatta, perchè se non sarà stata a proposito nostro, riuscirà almeno curiosa a chi non l'avesse più sentita così distinta.

Questi giovani del Serraglio sono la più bassa gente che vi sia, perchè attendono alle fatiche, alle stalle, alle cucine, alli giardini, al tagliar legne e ad altri servizii bassi di bagni, di ogni altra cosa che occorre, come guardiani, vogar il caicco del Re, condur li cani alla caccia, ed attendere a quanto gli viene comandato dai loro capi, che sono decurioni e centurioni, e tutti poi subordinati al comando del Chiaia, che è il maggiordomo del Bostangi Bassi; ed hanno di stipendio aspri.... al giorno; e al medesimo Bostangi Bassi, che è sopra a tutti, gli può aspettare aspri... perchè è suo padrone e giudice e protettore; ed oltra il stipendio che hanno, come ho detto, hanno due vesti all'anno di panno, due pezze di tela per camicie e fazzoletti, o tanta rasa, o panno, che gli fa un paio di braghesse alla loro usanza, lunghe fino a terra, per uno. Vengono questi distribuiti dal detto Bostangi Bassi alli carichi ordinarii, compartiti secondo l'occorrenze, sotto capi ai quali hanno da obbedire. Li capi, per essere conosciuti dagli altri, hanno maggior paga, e portano alcune poste cinte a traverso, d'un bordo di seta di diversi colori: e li rendono assuefatti totalmente, a forza di bastonate, alle fatiche ed all'esercizio, che riescono tutti soggetti sofferenti ed atti ad ogni patimento. Hanno fra di loro li suoi termini e prerogative, succedendo per testa l'uno all'altro, sì che in fine, quando non sono per altra occasione mandati fuori, tutti possono aspirare al grado di maggiordomo ed anco di Bostangi Bassi, che è titolo eminente, che serve per timoniere alli caicchi del Re, e può portare per il Serraglio il turbante in capo. Può anco il Bostangi Bassi di questo carico passare, secondo l'amore che gli porta il Re, a quei gradi maggiori che si è veduto, di Capitano di mare, di Bassà del primo Visirato.

Questi Azamoglani non sono conosciuti nè praticati, perchè non possono uscire dal Serraglio, ma obbediscono alli comandamenti del Bostangi Bassi ed escono con lui e con altri a far delle suddette esecuzioni contro delle persone grandi, come e di quel modo che lor viene comandato dal detto Bostangi Bassi per ordine del Re. Fra questi vi sono anco dei Turchi naturali introdotti per broglio del Bostangi Bassi, per far cosa grata ai suoi amici che desiderano liberarsi de' figliuoli e porgli in luogo sicuro e vantaggioso: il che viene sempre eseguito con saputa e permissione del Re. Le stanze, li bagni, le cucine sono intorno alle mura del Serraglio, compartite a camerate, e disposte per lo comodo dei servizii spettanti al ministerio che sono destinati; e nel vivere si governano da per loro, come più li torna comodo, avendo il carniero a parte, li legumi per le minestre, e li fornari che gli danno il pane, separati; e per star vicini alle mura del Serraglio pescano e prendono buoni pesci, li vendono vantaggiosamente dagli altri. Dormono sempre vestiti, secondo l'ordinario costume de' Turchi, fra schiavine l'inverno, e felzade l'estate. Questi non veggono mai il Re, se non quando passa per li giardini per transferirsi a qualche giuoco, o in caicco, o vero quando va alla caccia, perchè di loro si serve come cani per cacciare le fiere, tanto sono lesti e gagliardi. E quando la Maestà Sua vuol stare nei giardini con le donne per piacere, escono fuori dalle porte del Serraglio a marina dove sono alcuni andei e spazii di terreno, nè entrano fino che non è partito, perchè con le donne mai stanno altri uomini che la persona reale, e gli Eunuchi negri; anzi, se per qualche verso alcuno del Serraglio facesse qualche prova in alcuna parte per volere vedere le donne, e che fosse scoperto, o accusato, immediatamente sarebbe fatto morire. Però quando si sa che il Re sta con le donne nei giardini, ognuno fugge più lontano che può, per starvi sicuro d'ogni sospezione.

Di questa sorte d'Azamoglani non si serve la Porta per rimettergli nel numero delli Gianizzeri, come si fa nelli altri Serragli che ho detto, che sono dispensati nelli altri Serragli per educare, e che sono portati a diversi soggetti; ma si serve il Re di questi per donarli ai suoi favoriti, quando mandandoli fuori del Serraglio in qualche governo principale, ne vogliono come conoscenti per lo servizio; e riescono ancor essi con il tempo uomini di onesta fortuna e condizione. E medesimamente si conservano per lo servizio reale in occasione di viaggio, cioè quando va alla guerra, o vero lontano da Costantinopoli, perchè per addrizzar padiglioni, portar forzieri e far molti servigii manuali che occorrono, bisogna che di questi almeno ve ne sia 500, e più.

Resta di trattare di quel corpo di giovani ed uomini che di onesta condizione sono tenuti in Serraglio, per servizio del Re e del Regno, per esser educati nelle leggi, nelle lettere, e nell'esercizio militare, per dover servire alla persona reale ed al governo di tutto l'Imperio; e questi per la maggior parte se ben sono schiavi Cristiani rinnegati, non di meno fra di loro vi sono anco de' Turchi, se ben pochissimi, naturali, giovinetti di bellissimo aspetto, introdotti per lo broglio del Capi Agà che è il cameriero maggiore, con l'assenso del Re; il che riesce di raro e con molta difficoltà, perchè l'antica istituzione fu che tali fossero sempre Cristiani rinnegati dei più civili e più nobili che si possono avere; e però, quando nelle guerre da mare o da terra occorre la cattura di alcun giovinetto conosciuto nobile, subito viene destinato per il Gran Signore, per essere educato ed applicato ai governi; e sono questi carissimi e stimatissimi, perchè ancora i Turchi affermano che dalla nobiltà del sangue riescono d'animo generosissimi, massime quando sono ben ammaestrati e disciplinati come si professa fare nel Serraglio, dove è gran rigore in tutti gli ordini delle discipline, per esser la superiorità in mano di maestri che sono per il più Eunuchi bianchi, li quali sono severissimi e scabrosissimi in tutte le loro azioni. Sì che per proverbio si dice che quando uno esce di quel Serraglio con aver passato tutti gli ordini di esso, riesce il più mortificato e paziente uomo del mondo, perchè le bastonate che sopportano e le vigilie che gli fanno fare per ogni minima trasgressione è cosa di meraviglia. E riescono così aspri, che moltissimi che si trovano vicini al fine del suo corso per dover fra pochi anni uscire uomini grandi di Serraglio, per non poter ad alto sopportar tante crudeltà, procurano di farsi cavar fuori con solo titolo di Spahì, o di Muttaffaragà, che è lancia spezzata del Re, con pochi aspri di paga al giorno, che patir vita così stentata ed insopportabile.

Il numero di questi tali non è prefisso, ma ora più ora meno, perchè quanti soggetti della natura che ho detto, che vengono donati al Re, tutti li riceve allegramente, quando però non eccedono l'età giovanile, per non dire puerile; e possono essere questi, così d'avviso, da trecento incirca.

L'ordine con il quale sono dispensati, subito capitati in Serraglio, certo è mirabile e documentale, e non da attribuirsi a barbari, ma a soggetti di singolar virtù e disciplina; perchè così intorno alla moralità dei costumi, per la compressione dei sensi, come alla compressione delle virtù intenzionali, e non meno al rito della loro legge e setta, ed alle discipline militari, sono ottimamente incamminati ed assiduamente ammaestrati.

Chiamano i Turchi Odà, che vuol dire stanza, quella che più propriamente per l'effetto diremo noi scuola; delle quali ne hanno quattro subordinate l'una all'altra. Nel primo Odà entrano tutti quando sono d'età puerile; e se non sono già fatti turchi, si fan ritagliare. Se gli espone prima la taciturnità, e precetto se gli commette a non parlar mai, se gli insegna la positura della persona in segno di servitù e di riverenza singolare verso il Re, che è di tenere il capo chino, gli occhi bassi e le mani davanti giunte ed incrociate.

Questi vengono veduti dal Re e registrati per il nome turchesco e per la patria in libro; ricevono stipendio dalla Maestà Sua, che è per l'ordinario da due sin a cinque aspri il giorno. La copia di questo libro viene mandata fuori al Tefterdaro grande, perchè a suo tempo li manda il predetto stipendio: poi da un Eunuco bianco sopraintendente, capo di altri maestri e ripetitori, vengono introdotti con grande assiduità, come si usa, nelle scuole, ad imparare a leggere e scrivere, con l'uso della lingua, e delle loro orazioni per il culto della religione; e in quello Odà mattina e sera con tanta diligenza e servitù vengono sollecitati, che per quanto mi è stato referto è cosa di stupore. In questa scuola ognuno stanno per il meno sei anni ed otto mesi, di quelli che sono di capo duri e difficili ad imparare. Da questo Odà passano al secondo, ove da altri precettori di maggior intelligenza sono introdotti nelle lingue persiane, arabe e tartare; e li affaticano nel leggere libri a penna di scrittori diversi per ben apprendere il parlare elegante turchesco, il quale consiste nell'aver perfetta cognizione di queste lingue e di proferirle mescolatamente, ritrovandoli differenza del parlare d'uno nutrito ed educato fuori. E in questo Odà principiano ad apprendere la lotta, il tirar d'arco, il lanciar la mazza ferrata e la zagaglia, il maneggiar l'armi di colpo di ferro, il correre velocemente; e in questi esercizij nei loro luoghi separati si esercitano l'ore intiere, con molta severità di castigo e con assiduità grande. Spendono anco in questo Odà altri cinque o sei anni, dal quale si trasferiscono, fatti uomini robusti d'età e d'ogni fatica, nel terzo, ove non scordandosi però, anzi esercitandosi sempre più nelle cose acquistate, apprendono di più giostrare forte a cavallo, e il giuocarvi sopra per esser lesti nelle guerre: e oltre di ciò ognuno, secondo la loro inclinazione e disposizione, imparerà un'arte necessaria per servizio della persona del Re, come il fare turbanti, radere, tagliar le unghie, piegar li vestimenti con garbo, governar cani da caccia, conoscere ogni sorta di falconi ed altri uccelli, servir di scalco, di maestro di stalla, di cameriere, di scudiere, ed infine servire alla casa ed alla bocca del Re, di quel modo che anco si usa alla corte di altri Re ed Imperatori; ed in questi officii si fanno per quattro o cinque anni uomini da insegnare ad altri molto pratichi e valorosi. E fin che stanno in questi tre Odà vestono positivamente, avendo essi ancora le due vesti di panno all'anno, ma però fine, e le tele come gli altri: e convengono star sotto le discipline dei maestri, li quali, come severissimi, per ogni mancamento e sospetto di disonestà li fanno dare le centinaia di bastonate sotto le suole dei piedi e sopra le natiche, che li lasciano per morti. Mentre che stanno in questi Odà, non è loro permesso il praticare se non fra loro medesimi e ben modestamente; e con difficoltà alcuno di fuori può vederli e praticarli; il che seguendo, è con licenza espressa del Capi Agà, alla presenza di qualche Eunuco. Anco quando occorresse andar nei bagni, e per le loro necessità, sono grandemente osservati dalli Eunuchi, per tenerli lontani quanto più è possibile dai vizii, e se vengono ritrovati o accusati di qualche mancamento, restano severissimamente castigati. E nei loro dormitorii, che sono stanze lunghe dove possono stare quaranta o cinquanta per camerata, e dormono poco discosto l'uno dall'altro sopra li sofà in schiavine e felzade, vi sono la notte dei lumi nelli ferali pendenti dal soffitto, e gli Eunuchi che dormono compartiti fra di loro, per tenerli in timore e lontani dalle fierezze giovanili. Vi sono anco di quelli che imparano qualche arte, come quella di cucire in corame che è stimata fra i Turchi, il conciar archibugi, il far archi e freccie, e carcassi, e cose simili, da che alle volte prendono il cognome e riputazione, essendo grandemente ragguardevole quello che fugge l'ozio, ed ama l'operanze. Di questi soggetti usano gli Eunuchi far gran persuasione, per vedere se sono costanti nella religione, e se si turbano in alcuna parte, perchè avvicinandosi a dover passar al quarto Odà ultimo e detto il grande, per dovere uscire a comandare in carichi grandi, non vorrebbono che ritenendo memoria d'esser stati Cristiani, e di voler ritornar nella sua prima religione, causassero nell'Imperio qualche notabilissimo danno. Però, fatta ogni sorta di prova e tentativo per ogni via, ritrovandoli bene e fortemente inturcati, li fanno passare al detto quarto Odà, e nel passare vengono di nuovo arrolati e registrati, perchè non trasferendosi tutta la camerata intiera, ma quelli solo che di mano in mano hanno fornito il corso delle discipline, e sono riusciti atti e ben esperimentati al servizio, è bisogno tener conto a parte, perchè entrino. In questo quarto Odà sono immediatamente destinati alla servitù del Re, però ricevono accrescimento di paga, e le vesti, che gli vengono mutate di panno in seta, ed anco di broccato d'oro ben lavorate; e restando pur rasi di testa e barba, si lasciano nelle tempie crescere li capelli per averli lunghissimi, segno evidente di essere dei prossimi alle stanze regali; e nel vestire e nella mondizia si tengono molto garbati e netti. Assistono al servizio regale, accompagnando molti di loro la persona di Sua Maestà in tutti i luoghi quando vanno a piacere, e praticano con tutti i grandi del Serraglio liberamente, ed anco con li Bassà: vengono spesso presentati di vesti ed altre cose importanti per tenerli grati, essendo una ottima disposizione di uscire grandi e con gran carichi. Da tali soggetti, capitati dopo il corso di tanti anni a questo segno, ed ammaestrati nella maniera che si è detto, il Re sceglie li suoi Agalari, cioè favoriti che lo servono, e sono gli infrascritti:

Il Scilictar Agà—quello che porta la spada al Re. Il Chioadar Agà—quello che porta le vesti. L'Erchiupter Agà—il staffiere maggiore. Il Metereggi Agà—quello che li dà l'acqua alle mani. Il Tulpenter Agà—quello che li fa il turbante. Il Chiamasir Agà—quello che li lava i piedi in stufa. Il Cesnir Bassi—scalco maggiore. Il Chilergi Bassi—credenziere maggiore. Il Dogongi Bassi—falconiere maggiore. Il Sachergi Bassi—strozziere maggiore. Il Musmengi Bassi—contista maggiore. Il Ternachgi Agà—quello che gli taglia le unghie. Il Berber Agà—barbiere maggiore. Il Camargi Agà—quello che lo lava in stufa. Il Tescheriggi Bassi—segretario maggiore.

Li quali sono di quelli che hanno più età, ed assistono sempre quando il Re esce fuori dalle sue stanze, alla sua presenza, con gli occhi bassi, non guardandolo mai in faccia, e con le mani incrociate, dimostrando quella maggior umiltà e reverenza che possa immaginarsi; nè gli è lecito mai di parlare, nè con il Re nè fra di loro; ma se il Re gli comandasse alcuna cosa, sono velocissimi ed eseguiscono il comandamento immediato. Questi fanno tutti i loro carichi, come ho detto, destinati e separati, ed attendono nei luoghi a loro consegnati ad eseguire il loro ministerio per esser pronti ad ogni cenno all'obbedienza, ricevendo alla porta le vivande dal scalco di più: ed apparecchiata la mensa reale, la quale è di un semplice cuoio di bulgaro sopra di un sofà in terra, gli portano le vivande, le quali ad una ad una vengono solo per mano del scalco maggiore poste innanzi alla Maestà Sua, e levate secondo li viene accennato da lei.

Del servizio e della conversazione di questi si compiace il Re, facendoli montar a cavallo e giuocando con loro a diversi giuochi per quel tempo che li pare, facendoli sempre qualche presente di vesti, di sultanini, di spade ed altre cose che gli capitano per le mani, e che riceve pur di donativo. Oltra questi donativi usa la Maestà Sua di presentarli la missione dell'ambascerie, da loro tenuta per mercanzia di molta utilità, perchè essendo mandati a Principi hanno l'occhio al donativo. Per tanto, avuta che l'hanno, fanno elezione d'un Chiaus, o altro soggetto di fuori, ed accordandosi di ricevere un tanto di netto, o facendo alla parte, come più li torna a comodo, gli danno la spedizione in mano. Questi tali presenti riescono di gran considerazione, perchè nella confermazione dei Principi di Valacchia, Bogdania, di Transilvania e del Re dei Tartari, ai quali tutti vengono mandate dalla Porta le insegne del possesso, cavano gran donativi, essendo nel Canon specificato quanto ognuno ha da sborsare per ricevere tal solennità. E questo fa il Re con artificio, perchè si facciano li Agalari ricchi, acciocchè abbino danari accumulati da fare le spese necessarie nel vestirsi, e porsi all'ordine di molte cose quando vanno fuori del Serraglio; il che segue quando pare alla Maestà Sua, per lo più all'improvviso, con mandargli Capitani del Mare, Bassà al Cairo, in Aleppo, in Babilonia, ed in altre provincie, dandogli anco ad alcuno di loro titolo di Mosaige, che vuol dire Contabulario, cioè che abbia libertà d'entrare a parlargli quando gli piace. Il qual titolo e favore riesce di tanta riputazione, che viene stimato sopra ogni cosa, perchè si fa di raro ed in quelli soggetti che sono amatissimi dagli Imperatori; e questo è stato introdotto anticamente dai Re per aver soggetti confidenti fuori del Serraglio che gli abbiano da riferire ciò che viene operato dalli Bassà e da ogni altro in pregiudizio dell'Imperatore, per poter poi porli freno con il castigo e la provvisione; e quando nel mandar fuori non vuole il Re aggradirli, tanti li fa uscire Beglerbei della Grecia e della Natolia, Agà dei Gianizzeri, Spailar Agassi che è capo delli Spaì, Introher Bassi che è mastro di stalla maggiore, o almeno Capiggi Bassi che è capo dei portonieri.

Questi, quando escono, portano tutto il suo avere di roba e danari, e spesso con loro escono delli altri giovani delli altri Odà, scacciati per la loro importunità, ma senza favore del Re, con poca paga e minor titolo; e quelli che escono grandi, sono mandati a levar del Serraglio dal Bassà primo Visir per il suo Chiaia, in compagnia di molti cavalli; condotti al proprio Serraglio di esso primo Visir, gli riceve, gli presenta, dandogli ospizio per tre o quattro giorni, fin che si provvedano di abitazione. Vanno poi essi nelle proprie case dove fanno la famiglia, ricevendo, come conoscenti, di quelli che sono usciti con loro del Serraglio, per ministri nel carico assignatoli, ed ammettendo di più degli altri con donativi per avvantaggiarsi secondo il costume. A questi usciti dal Serraglio succedono quelli che gli vengono dietro per età, così dei rinnegati, e disposti per Canon, che non possono, se non per qualche sinistro accidente di masse, esser alterati o mutati, in modo che sempre si sa l'uscire di alcuno dei tali, e di quello che gli ha da subentrare; ed è tanto regolato questo negozio, che fin quelli di tre Odà sanno presso a poco quello che gli può toccare ed a che tempo. Però vivono tutti a questa speranza e con il desiderio che venga voglia spesso al Re di mandar fuori delli suoi Agalari, per esser tanto più prima fuori di servitù misera, e in stato di amplissimo governo. Sogliono per il più questi tali essere di trentasei in quaranta anni: e perchè escono rasi di barba, convengono fermarsi qualche giorno in casa per lasciarla crescere, per poter comparire fra gli altri; ma si fermano anco volontieri per ricevere li presenti che gli vengono mandati da tutte le Sultane, di vesti, di camicie, braghesse, fazzoletti d'ogni sorte lavorati e di gran valore, e dalli Bassà ed altri grandi, dei cavalli, tappeti, vesti, schiavi ed altre cose bisognevoli per la creazione d'una casa; li quali presenti tanto più li fanno maggiori, quanto che si intende quello dal Re esser favorito ed amato. Egli poi, uscendo di casa, principia le sue visite dal primo Visir e continuando dalli altri grandi, va poi a costituirsi molto umile servo del Capi Agà, mostrando di aver ricevuto ogni bene ed onore dalle sue mani, promettendo ossequio e ricognizione perpetua; e questo officio fa egli fuora della porta del Serraglio del Re, cioè alla terza porta delli Eunuchi, perchè non può più entrare dentro, se non è chiamato dalla Maestà Sua in qualche chiosco, per trattar seco delle cose spettanti al suo carico; e particolarmente procura di star bene col detto Capi Agà, per avere la protezione di questo principalissimo presso il Re.

Oltre le donne, gli Azamoglani, cioè li giovani, come ho detto, di questo Serraglio, vi sono molti e diversi ministri per tutti gli esercizii necessarii e per li ammaestramenti particolari; vi sono anco diversi buffoni, d'ogni sorte di lottatori, giuocatori, suonatori, molti muti vecchi e giovani che hanno libertà d'entrare ed uscire con licenza del Capi Agà. Ed è più da sapere che nel Serraglio del Re e da tutti si intende e tratta così bene alla mutesca, che per servare la gravità molto professata dai Turchi è più quello che si espone con cenni alla muta che quello si ragiona vocalmente; il medesimo si fa fra le Sultane ed altre donne grandi, perchè anco fra di loro ve ne sono di vecchie e di giovani mute; e questo è antichissimo costume del Serraglio di desiderare d'aver muti quanti più ne possono ritrovare, particolarmente perchè non essendo lecito al Re di parlare per la riputazione, tratta perciò e giuoca con questi assai più domesticamente di quello che fa e che gli è permesso di far con altri.

Appresso vi è la classe delli Eunuchi, come sono li negri, questi applicati al servizio delle Sultane ed alla guardia della loro porta, e li bianchi destinati alla porta del Re; e li principali e li più vecchi di essi attendono a carichi principalissimi della persona e casa reale. Fra quelli è il Capi Agà, capo di tutti gli altri Agà Eunuchi; il secondo è il Casnadar Bassi che è il tesorier maggiore; il terzo è il Chilergi Bassi che è il dispensier maggiore; il quarto è il Sarai Agassi che è custode del Serraglio.

Di questi quattro vecchioni il primo è sopra tutti d'autorità con la persona del Re, perchè altro che costui non può parlare alla Maestà Sua, nè per altre mani possono passare per l'ordinario ambasciate o scritture e memoriali che di fuori vengono mandati di dentro. Questo è come commissario maggiore, accompagna sempre la persona del Re, vada dove si voglia, e fuori e dentro del Serraglio, e quando va alle donne lo accompagna fino alla porta che passa da loro, fermandosi e ritornando alle sue stanze, lasciando sempre assistenti a quella porta, perchè uscendo il Re corrano a chiamarlo come fanno. Ha questo soggetto d'ordinario stipendio al giorno zecchini x, ed altre cose che gli bisognano quante ne vuole, e tesori di danari e gioie incomparabili per più di privata persona, perchè la sua autorità lo costituisce in stato di guadagnare ed accumulare quanto oro gli piace, poichè e quelli di dentro e questi di fuori, di ogni condizione e sesso, per avere il suo favore, li presentano di ciò che si sanno immaginare che possa aggradirgli.

Il secondo è il Casnadar Bassi. Questo ha carico del tesoro di dentro della Porta: il quale avendo due chiavi, una che sta appresso il Re e l'altra tenuta da lui, resta anco custodito ed assicurato dal sigillo regio che sta sempre posto sopra la porta di esso, nè mai si leva se non quando si apre di ordine del Re. In questo Casnà stanno tutti li tesori ammassati dalli Imperatori, che è di 600 m. sultanini che ogni anno si cavano dall'Egitto; e le altre entrate vanno nel Casnà di fuori, delle quali si fanno tutte le spese ordinarie e straordinarie; e dal detto Casnà di dentro non si cava cosa alcuna, se non per straordinario bisogno e con nota ed obbligo al Tefterdar grande di dovere il tutto restituire. Questo Agà ha cura di tener conto di tutto il tesoro che esce ed entra, nè altri possono entrare in detto Casnà che il detto Casnadar, con quelli che a lui pare bisognare per li servizii necessarii; e quando viene cavato oro e moneta, che il tutto viene tenuto in borse di corame, tutto viene portato alla presenza del Re, il quale comanda poi e dispone di esso secondo la necessità. Ha medesimamente in conto e cura di tutte le gioie regie, le quali sono descritte in un libro tenuto da lui, delle quali fa nota per sapere quelle che dona il Re, e quelle che gli vengono donate, e quelle medesimamente le quali la Maestà Sua si tiene per l'uso ordinario. E morendo il Capi Agà, subentra egli in suo luogo.

Il terzo è il Chilergi Bassi, dispensiero maggiore, il quale tiene conto con diversi aiutanti della guardaroba regia, cioè di tutte le suppellettili: nella quale entrano tutti li presenti di panno d'oro, di seta, di lana che vengono fatti al Re, di pellami di ogni sorte, di spade, pennacchi, selle ed ogni altra cosa spettante all'uso della persona reale, delle quali cose tiene nota particolare, perchè in ogni caso possa vedere l'entrata e la dispensa che fa la Maestà Sua. E questo riesce carico molto laborioso, perchè poco sta in ozio, ricevendo e donando il Re ogni giorno e dentro e fuori gran numero di vesti ed altro; ma però tutto è tenuto con tal ordine, che mai ne segue confusione alcuna. Questo Eunuco ha molti sotto di sè, sta quasi sempre dentro il Serraglio come custode di cose preziose, ha di stipendio mille aspri al giorno che sono ducati quindici, e vesti e presenti di cose diverse in abbondanza, e sempre anco egli è favorito dal Re, perchè è quello che deve subentrare al Casnadar Bassi, occorrendo la morte del vivente; però viene stimato e riverito da tutti di dentro e di fuori.

Il quarto è il Sarai Agassi, ed è un altro simile Eunuco il quale ha cura del Serraglio, nè mai da esso si parte. In assenza del Re sta sempre oculato non solo a quello che bisogna per tenere in punto il Serraglio di tutte le cose che alla giornata patiscono, ma anco ha carico di andar rivedendo tutte le stanze ed osservando tutti li ministri, per vedere che si eserciti sempre nei suoi carichi di quel modo che comporta il bisogno. E perchè il vecchio ha libertà di poter andar a cavallo come possono anco andarvi gli altri tre primi, però dentro è tenuta una stalla nel giardino di diversi cavalli che servono per questi nelle cose necessarie. Ha di stipendio aspri ottocento al giorno, che sono ducati tredici, vesti e fodere in abbondanza per lo suo bisogno, ed è disposto a subentrare al Chilergi Bassi, e di mano in mano fin al Capi Agà se sopravvive agli altri.

Per tanto tutti questi quattro Eunuchi possono portare il turbante in capo per il Serraglio, e cavalcare, e sono le prime teste presso il Re, di grande autorità, riveriti e stimati da tutti; se ben questi tre non ponno da se parlare al Re, ma solo rispondere essendo ricercati; ma però assistono sempre con il Capi Agà alla presenza e servizio regio, con tutti gli altri Eunuchi sotto di loro e gli altri Agalari già detti, e sono quelli che governano, come è comune, tutte le cose reali, e danno gli ordini per tutte le cose ordinarie, così di giorno come di notte. Tutti gli Eunuchi possono essere da cento fra vecchi, di mezzana età e giovani, sono castrati e tagliati tutti, e si eleggono di quelli giovanetti rinnegati che vengono presentati al Re, come ho detto; ma rari sono i castrati contro la sua volontà, poichè il maestro delle cerimonie dice che correrebbono gran pericolo di morire. Ed a questo consenso conduce li giovani la certezza che hanno di dovere riuscire con il tempo uomini grandi se vivono castrati; che se vivono, sono educati con gli altri e cavati a suo tempo dal quarto Odà per servizio del Re, come si fa di quelli che non sono castrati.

È da sapere che li Re si servono di castrati bianchi nel governo di tutti gli altri Serragli e seminarii che tengono di giovani così in Costantinopoli come in Andrinopoli, Brussia e in diversi altri luoghi, dove vi stanno duecento e fin a trecento scolari; possono con la loro sopraintendenza e con altri ministri ridurli ad ottima disciplina, nel che riescono uomini assai buoni; ovvero anco spesso che il Re per dar luogo ad altri inferiori Eunuchi di età, che aspettano di mano in mano di subentrare alli già detti gradi, manda fuori qualcheduno d'essi della prima bussola in governi grandi, come Bassà del Cairo ed altre provincie nell'Asia, e gli fa anco Bassà Visir alla Porta, come si è veduto molte volte, che riescono soggetti molto placidi e prudenti.

Questi Eunuchi stimati, che sono li più fidati di tutti gli altri del Serraglio, perchè dal Capi Agà come maggiordomo maggiore sono dispensati alla cura delle cose carissime al Re, in particolare guardano alcuni luoghi separati dove si ripongono le cose vaghe e belle che gli vengono donate, come pezzi d'ambra greggia grandi, mandatigli dal Bassà della Mecca, muschii, triaca, mitridati dal Cairo, terre sigillate, balsami bolarmini, belzuari ed altre cose simili preziosissime di vasi di agata, di porcellane, di diaspro, di cristallo, e altre pietre di grandissimo valore; e il tutto viene tenuto con tanta delicatezza e ordine, che per quanto mi è stato detto, è cosa di stupore; medesimamente vi è un altro luogo separato nel quale viene riposto il pelame donato, medesimamente sete, mussole ed altre cose simili dell'Indie, delle quali cose la persona del Re come le Sultane si servono con saputa del custode. Nel detto Serraglio è un luogo molto capace, nel quale si guardano e si conservano tutti li mobili che cadono nel fisco per la morte così dei soggetti fatti decapitare, come d'altri morti da se, dei quali il Re vuole esser padrone; nel qual luogo egli li fa portare dal Tefterdar grande che ha questa cura particolare, e veduto il Re con la presenza dei suoi ministri, fa egli la scelta di ciò che gli pare che si conservi per presentare; del resto fa fare un incanto per quelli del Serraglio che volessero comprare alcuna cosa, e l'avanzo fa portare nel Bisisten pubblico, che è un luogo di mercato dove il tutto viene venduto al più offerente per via di incanto. Il ritratto delle quali robe è riportato in mano del Casnadar Bassi di dentro, Eunuco, e conservato nel Casnà; e se bene le robe sono di quelli che muoiono dalla peste, non è perciò alcuno che si astenga di comprarle e di maneggiarle, come se il male non fosse contagioso; reputando i Turchi di aver nel fronte scritto il suo fine, senza poterlo per opera umana fuggire.

Quanto alli Mori Eunuchi che servono le Sultane, e molte altre femmine More che stanno fra le donne, è conveniente dire che la maggior parte vengono mandati dal Cairo, putti e putte, a presentare al Re da quelli Bassà ed altri grandi di quella provincia d'Egitto; e vengono li putti custoditi e disciplinati fra gli altri giovani del Serraglio fino ad una certa età al servizio; poi cavati di là sono mandati alle donne ed applicati sotto gli altri al servizio della porta della Sultana, e stanno sotto il loro capo nominato il Chislar Agà, che vuol dir capo delle vergini, con stipendio ognuno di loro da sessanta fino a cento aspri al giorno, due vesti di seta bellissime, tele ed altro per loro bisogno all'anno, oltre quello che di presente gli abbonda da diverse bande. A questi tali li vengono posti li nomi di fiori, come giacinto, narciso, rosa, garofano, e simili, perchè servendo alle donne abbino il nome corrispondente alla virginità candida e di buon odore. Le puttine poi, così piccole come vengono, essendone delle volte mandate con le navi una dozzina d'esse, subito sbarcate sono condotte all'appartamento delle donne, e sotto maestre vengono allevate e disciplinate per gli esercizii di tutte le sorte; e quanto sono più brutte e deformi, tanto più sono dalle Sultane apprezzate; e se ne vedono qualcheduna difettosa per qualche infermità, la mandano al Serraglio vecchio, come fanno delle altre donne bianche che loro vengono in fastidio o riescono imperfette, come si dirà; il che però tutto si fa con saputa del Re e di suo ordine.

Questi Eunuchi negri possono per occasione di far qualche ambasciata al Re, a nome delle Sultane, praticare e passare nell'appartamento degli uomini a portare li biglietti al Capi Agà che li dia al Re, e medesimamente ricercare alcuna cosa dalli custodi del Serraglio, e per parlare anco a qualche suo amico; ma non possono però uscire del Serraglio, dal loro capo in poi, senza espressa licenza della Regina, etiam che a loro fosse comandato dalle Sultane qualche servizio. Quello che non possono far gli Eunuchi bianchi è di passare nell'appartamento delle donne, perchè se bene sono Eunuchi, è a loro proibito, non potendo come si è detto altri uomini che il Re vederle e praticarle; anzi se per occasione di infermità occorre mandarvi l'Echim Bassi, che è il protomedico, si osserva di pigliar licenza dal Re per l'entrata; ed entrato l'Echim per la porta della Sultana, non vede altro che Eunuchi negri, essendo tutte le altre donne ritirate: li quali lo conducono alla stanza dell'inferma, la quale stando tutta coperta da capo sin a piedi con coltre ed altro, tiene solo il braccio fuori, tanto che il medico possa toccare il polso, ed ordinato quanto gli occorre al bisogno, se ne ritorna per la medesima via addietro; e se occorre che l'inferma sia Regina o Sultana, il braccio posto fuori del letto da esser toccato dal medico resta coperto di una tela di seta con tutta la mano, perchè non le sia veduta nè toccata la carne. Nè alla sua presenza può il medico parlare cosa alcuna, ma uscito dalla stanza ordina il medicamento, il quale per il più secondo il costume ordinario dei Turchi è di qualche sorbetto solutivo, perchè non usano altri medicamenti di fisico, sì bene di chirurgia. Convengono le pazienti accomodarsi alla necessità, nel qual caso quando non sono Sultane o vero altre care al Re per le sue virtù, vengono mandate nel Serraglio vecchio a curarsi.

Li figliuoli che nascono al Re, se sono di donna Sultana, si tengono uniti e governati in un sol luogo da balie esquisite, che sono ritrovate fuori dal Serraglio; ma se sono di più Sultane, come sovente occorre, sono allevati e nutriti separatamente dagli altri, sì che ogni madre ha cura delli suoi, e con molta gelosia, fin che non sono in una certa età di cinque o sei anni. E sempre vengono dalle madri caramente custoditi, e dal Re sontuosissimamente senza differenza vestiti ed ordinati di gioie bellissime e ricchissime; e le balie, slattati che sono, vengono ben pagate e presentate e mandate nel Serraglio vecchio, quando non abbiano le loro case, per esser maritate. Le figliuole femmine poi sono indifferentemente e senza riguardo alcuno nutrite, poi che di loro non vi è sospetto alcuno. Sogliono per l'ordinario li figliuoli stare fra le donne fin all'età di undici anni, perchè finiti, vengono ritagliati con pompa grandissima, massime il primo, e con feste per tutta la città superbissime, perchè queste sono le gran festività di Noè, che appresso li Turchi si chiamano, come fanno li Cristiani appunto nel sposalizio; e come i Turchi fanno poco o nulla nel condurre a casa le spose, così nel ritaglio dei figliuoli usano di fare gran solennità di feste, di banchetti e di presenti. Dagli anni cinque fino alli undici che stanno fra le donne, hanno il suo Coza, che vuol dire precettore, eletto dal Re ed assegnatoli per maestro. Questo entra nel Serraglio delle donne ogni giorno, e condotto in una stanza delli Eunuchi negri, senza mai vedere le donne, si trovano li figliuoli con l'assistenza di due schiave vecchie negre, gli ammaestra per quante ore gli è permesso di fermarsi, e poi se ne ritorna fuori. Fatto il ritaglio del principe successore nell'Imperio, quando pare al Re di non volerlo tener più dentro presso di se, gli forma la sua casa di tutto punto, cioè gli dà uno degli Eunuchi principali per governatore, gli assegna il suo maestro, e di mano in mano lo fornisce di soggetti del proprio Serraglio e di fuori, per quanto aspetta al bisogno della grandezza del suo stato, assegnando a lui ed a tutti gli altri quel stipendio che gli pare conveniente per potersi trattenere signorilmente: e presentato dal Re, dalla Regina, dalle altre Sultane, e da tutti li Bassà ed altri grandi della Porta, vien mandato in Mangacia città dell'Asia a risiedere per governo di quella provincia, nella quale non ha però suprema autorità, ma solo comanda come luogotenente del Re suo padre; e se trapassasse questo limite e comandamento caderebbe in disgrazia e sospetto grande, come è occorso a diversi. E li Eunuchi dati per custodi son obbligati tener avvisato ordinariamente il Re e la Porta di quanto occorre per osservanza del Canon, e per ricevere da lui li comandamenti che occorrono alla giornata.

Per il vivere di tutto il Serraglio, dalli Azamoglani in poi, si cucina per lo più, se bene vi sono delle cucine dentro le già dette porte, nel secondo cortile: nelle quali assistono più di duecento fra Eunuchi, oltre li ministri principali come scalchi, credenzieri, dispensieri, ed altri del servizio, tutti destinati e compartiti alle loro cucine separate, ma non confidandosi l'uno con l'altro.

La cucina del Re comincia per l'ordinario a cucinare innanzi giorno, perchè levandosi la Maestà Sua a buon'ora, è di bisogno avere sempre vivande preparate in ogni caso che dimandasse cibo, perchè alle volte mangia tre o quattro volte al giorno. Il suo desinare per l'ordinario è dopo l'ora di terza, la cena verso sera, così nel tempo di estate come di inverno; e quando dice al Capi Agà di voler mangiare, spedisce egli immediatamente un Eunuco a farlo sapere allo scalco di fuori, il quale ponendo le vivande nei tepsi, che sono li piatti, li porta sino alla porta del Re che è pochissimo discosta, dove si trova il scalco maggiore di dentro, che con gli altri delli Agalari riceve li piatti e li porta ad uno ad uno alla mensa del Re; il quale stando a sedere solo sempre sopra il suo solito alla turchesca con le gambe sotto, e con un ricchissimo fazzoletto ricamato sopra dei ginocchi, e con un altro sopra il braccio sinistro, servendosi d'esso per salvietta, senza che gli venga fatta alcuna sorte di credenza, come è costume di altri Principi, principia a mangiare, avendo all'incontro sopra del bulgaro che gli serve per mantile, pane in gran quantità di due o tre sorte, ma tutto tenero e perfetto, perchè non adopera nè coltello nè pirone, ma solo il cucchiaro di legno di questi grandi: anzi che ne vengono posti due: uno che serve per mangiare le minestre, l'altro per sorbire con esso certi liquori fatti di sugo di frutti d'ogni sorte, composti con sugo di limoni e zucchero, che servono per estinguere la sete e tener morbido il cibo che mangia. Continua poi a cibarsi di quelle vivande che più gli aggradano, gustandole ad una ad una, e facendo levar presto o tardi come gli piace li piatti della tavola. Mangia sempre con le mani, perchè li cibi sono così teneri e delicatamente cotti e perfetti, che pigliando un pollo in mano, con le dita si scarnifica facilmente. Non usa sale in tavola, nè vi usa antipasti nè postpasti, ma si entra subito nelle carni, e si continua, con il finire con qualche torta: e finito il desinare o la cena, si lava le mani in un baciletto d'oro, con il suo ramino tutto gioiellato.

Il pasto ordinario della Maestà Sua è di colombini, e ne porteranno almeno in uno di quelli piatti una dozzina di rosti, d'oche ponendone almeno tre, d'agnelli, di galline, di pollastri, castrato, alle volte salvaticine, ma di raro, ma il tutto ottimamente composto, con sapori ed altri ingredienti di gusto e di valore considerabile. Appresso le dette vivande vi sono minestre di tutte le sorte, diversi scodellini di canditi e di frutti composti con liquori di varie sorte, torte eccellentissime composte di carne e canditi di tutte le sorte, e qui finisce il mangiare, con il bere una sola volta, verso il fine, di sorbetto delicatissimo in una scodella di porcellana portatagli dal coppiere sopra un piatto della medesima. Nel mangiare che fa la Maestà Sua non parla mai con alcuno, sì bene gli stanno diversi muti e buffoni all'incontro, facendo fra di loro dei giuochi, delle buffonerie, e burlandosi sempre alla mutesca, che viene benissimo inteso da lei, perchè anco in eccellenza alla muta si fa benissimo intendere. Quanto farà alle volte, sarà per favore ad alcuni delli Agalari assistenti, ed è che gli lancierà nelle mani qualche pane della sua propria mensa, il che viene stimato per favore singolarissimo, e quel pane viene dagli Agalari compartito e presentato alli altri, come segno di favore, e per cosa delicatissima.

Li piatti del servizio reale sono tutti d'oro, e tutti doppi, perchè sono coperti e sono in buona quantità, li quali restano consegnati al credenziero che attende alla cucina, come stanno anco consegnati altri di porcellana gialla meschiata, stimatissima, e che con difficoltà si ritrova: nei quali mangia la Maestà Sua nel tempo di Ramazan, che è la sua quaresima, la quale è d'una luna intiera, nel segno della quale non si mangia mai di giorno, ma solo di notte, e pur quanto vogliono, senza differenza di cibi, non mangiando mai il Re pesce se non per qualche accidente di gusto, e quando si ritroverà fuori a piacere con le donne. L'avanzo del mangiare del Re viene immediatamente portato alla tavola delli Agalari titolati già nominati, il quale essendo abbondante, con altro che gli viene somministrato supplisce al loro bisogno. In questo mezzo il Re sta nella stanza a trattenersi con quelli muti e buffoni senza mai parlare vocalmente, ma solo alla muta, dandogli sparamani, buffettoni e calci come più gli viene voglia, dando loro, perchè allegramente li sopportano, aspri e zecchini al suo gusto, tenendone perciò nelle scarselle sempre abbondantemente; ed in questo tempo mangia anco il Capi Agà in stanza separata dei cibi apparecchiatigli nella sua cucina a parte, di assai inferiore condizione e condimenti di quella del Re; con il detto mangia il Casnadar Bassi, il Sarai Agassi, alle volte alcuni dei medici che chiamano dentro per compagnia, e qualche altro Eunuco di questi che stanno custodi del Serraglio di fuori, che si trovano alla sua visita; e l'avanzo del suo desinare con il supplemento, portato di nuovo dalla cucina, serve di mano in mano a tutti gli altri Eunuchi bianchi. Al medesimo tempo viene dato il mangiare a tutti gli altri Odà ed al Serraglio, il quale è di pane a ragione di due pani il giorno per uno, un poco di castrato lesso ed una minestra per lo più di risi, acconcia con butirro e miele, la quale consiste più in brodo che in essenza, e sottile di riso, e basta che abbia il sapore di carne per potervi bagnare il pane dentro. Per altra mano viene dato il mangiare dentro alla Regina, alle Sultane e a tutte le altre donne, nel qual è tenuto l'ordine medesimo che si è detto, portando dentro dalli Eunuchi negri, sì che nello spazio poco più d'un'ora e mezza tutto è fornito.

La Regina non è servita con piatti d'oro, ma di rame stagnato, e tenuti sempre limpidissimi, e con parte piatti di porcellana bianca: se bene per lo più si intende che ella si serve di dentro per la sua bocca di ciò che gli viene voglia, come è da credere che facciano anco tutte le altre Sultane; perchè spesso il Re si trattiene li giorni intieri fra di loro mangiando, giuocando come più gli piace, senza che sia veduta nè saputa delle sue azioni cosa alcuna; sì che è da credere che avendo le loro cuoche e facendo portar dentro ciò che vogliono, fra di loro sappiano fare e facciano delicatissimi e sontuosissimi banchetti.

Fuori degli ordinarii pasti del desinare o cenare, mangiano il Re e le Sultane quello che gli viene voglia di carne, ma per lo più fra pasto si dilettano di canditi, di frutti d'ogni sorte avendone dei presenti in abbondanza: e bevono dei sorbetti l'estate, dei quali si fanno le conserve abbondantissimamente per li Serragli, e dirò così costosamente, perchè per farle spende la Porta più di 20 m. zecchini all'anno per li donativi, per le spese, e per le cerimonie che si fa per levarlo dalle montagne, e sotterrarlo nelle cave a questo deputate, non usando i Turchi per l'ordinario confezioni, nè cacio, perchè in Turchia non sanno fare tal cosa, massime il cacio, che se bene si fa non riesce buono. Per il che le Sultane e tutti i grandi mangiano volontieri il piacentino, e domesticamente si servono dal Bailo di Venezia: e vogliono averne sempre buona provvisione dentro, perchè ne mangiano assai con gran gusto e massime quando vanno alla caccia e ad altri piaceri.

Per il mantenimento di detto Serraglio tutte le cose sono abbondantemente preparate e dispensate dai soggetti, che hanno cura di fare particolare provvisione, in modo che mai li mancano le cose necessarie. Il pane prima si fa di più sorte, bianchissimo ed eccellentissimo per la bocca del Re, delle Sultane, delli Bassà ed altri grandi, di mediocre bontà per la gente mezzana, e della terza sorte negro, per li Azamoglani ed altri di basso servizio. Per la bocca reale e per le Sultane si adopra e costuma farina fatta venir di Brussia, cavata dai frumenti di quella provincia, di Bitinia, e terreni patrimoniali dell'Imperio; e l'annua provvisione sarà di sette, o ottomila Chiler, che può esser in circa stata tremila delle nostre; li quali frumenti sono bellissimi e fanno bellissima farina, per li molini che in quella città sono perfettissimi e d'altra bontà di quelli che sono nei contorni di Costantinopoli. Per gli altri il frumento viene tutto dal Vuolo di Grecia, dove sono terreni proprii patrimoniali dell'Imperio, li grani dei quali sono sempre consumati nell'armata, facendosi di essi biscotti in Negroponte, e vendendosi anco a Ragusei ed altri che vanno con le navi a caricargli, con il comandamento in mano; di questi vengono ogni anno mandati in Costantinopoli da trentasei in quarantamila Chiler, che possono esser da 15,000 staia veneziane, e posti nelli magazzini a questo deputati, per farsi d'essi farina, secondo l'occorrenza ed il bisogno del Serraglio. Nè si maravigli alcuno d'intendere che la Porta consumi tanto grano, perchè oltre quelli di servizio, come si è detto, tutte le Sultane, tutti li grandi ed infiniti altri hanno le quotidiane assegnazioni del pane da quello che dispensa e dai forni della Maestà Sua, come sarebbe a dire le Sultane ne avranno venti, li Bassà dieci, il Muftì otto, e di mano in mano fino ad uno solo per testa; il che è terminato e comandato dal primo Visir, restando queste concessioni descritte in libri che stanno presso il capo della dispensa, o vero il capo dei forni; e ogni pane è grande come una buona focaccia delle nostre, ma alta, tenera, spugnosa e molto facile alla digestione. Risi, ceci, lenticchie, ed ogni altra sorte di legumi, dei quali si consuma grandissima quantità, il tutto d'anno in anno viene condotto d'Alessandria con li galioni, li quali fanno due viaggi all'anno, passando da Costantinopoli carichi di legnami in Alessandria, e portando da quella provincia d'Egitto non solo li sopraddetti legumi, ma ogni sorte di spezierie e zuccheri con diverse sorte di canditi in gran quantità, perchè di tali e di zuccheri ancora consuma la Porta indicibilmente per li sorbetti e torte che usa non solo il Serraglio, ma dei presenti che capitano nelle case delli Bassà ed altri grandi, che è cosa di stupore il vedere come sono quelle dispense piene e come facilmente si vuotano. È vero che di spezierie consuma poco il Serraglio, come fa anco il resto dei Turchi, perchè non tenendosi per l'ordinario vino, fuggono questo incitamento; ma però nelle dispense della Porta vi è la provvisione di tutte le sorte di spezierie e altre droghe per quei bisogni ed accidenti che potessero occorrere.

Dall'Egitto ancora hanno gran quantità di dattoli, susine, o prugne secche di varie sorte, le quali cose tutte vengono dalli schalchi e cuochi adoperate nelli mangiari così rosti come lessi, in eccellenza buoni, che li rende delicatissimi.

Li mieli che in grandissima quantità consuma la Porta, perchè l'adoperano nelle minestre, quasi in tutti li cibi e nei sorbetti ancora per certe sorte di persone, li cavano dalla Valachia, dalla Transilvania, e Moldavia, così di presenti che vengano di quelle vivande al Re come da particolari, comprandoli, come si fa particolarmente per la cucina del Re di quelli di Candia, per esser più puri e delicati.

L'olio poi, del quale si fa gran consumo, lo cavano da Modone e Corone in Grecia, essendo obbligato il Sangiacco di quella provincia provvedere le dispense di quella quantità che gli bisogna; ma per la cucina del Re si compra per l'ordinario di quello di Candia, per esser senza odore e più bello e chiaro di quello della Morea.

Il butirro di cui similmente si fa gran consumo e strapazzo, per servirsi d'esso si può dire in tutti li mangiari, questo l'hanno di mar Negro, cavato dalla Moldavia, dalla Tana e Caffa, e lo fanno venire in balle di bue grandissimamente, e ne empiono li magazzeni, dispensandone anco, quando ne hanno in abbondanza, per la città, con molto utile e vantaggio della Porta. Del detto butirro fresco si può dire che pochi lo conoscono, perchè pochissimo se ne fa in Costantinopoli e in quelli contorni, dilettandosi però li Turchi di latticini, dei quali se bene si ritrovi in particolare capo di latte eccellentissimo, non ne fanno però gran consumo, e sono quelli comprati e mangiati dai Cristiani; solo il latte agro è comunemente usato da loro, perchè dicono che estingue la sete.

Quanto alli carnaggi, ogni anno nell'autunno, venendo l'inverno, il Bassà grande fa fare li pastromani per le cucine reali, li quali sono di vacche pregne fatte ammazzare per avere la carne più saporita: la qual carne conservano per le minestre e mangiare, come fanno li Cristiani le carni d'animali porcini, usando di fare le luganiche e le salciccie di quella carne, come facciamo noi della porcina. Questa carne attaccata alle stanghe, secca e salata pochissima, è posta nelle botti, dura tutto l'anno, mangiandola molto saporitamente non solo quelli del Serraglio, ma dall'universale dei Turchi si usa talmente, che non è casa comoda che non faccia la sua munizione per termine di sparagno e di molto comodo. Però il Bassà vuol vedere di presenza li animali e comandar l'opera, dalla quale per l'ordinario si consumano vacche quattrocento; il resto dei carnami che consuma il Serraglio e che giornalmente va alle cucine è qui sotto scritto. In prima:

Ogni giorno castrati giovani N. o 200

Agnelli e Capretti a suo tempo » 100

Vitelli per li Eunuchi » 4

Galline, paia » 100

Oche giovani » 40

Pollastri, paia » 100

Colombini, paia » 100

Pesce non si consuma per l'ordinario, ma se gli Agalari ne hanno voglia per delizia alle volte ne mangiano, e di quella sorte che più gli piace, essendo quel mare abbondantissimo di pescagione, sì che se ne piglia con facilità quantità grandissima, stando fin alle proprie case. Frutti non mancano al Re ed a tutti del Serraglio, perchè ne ricevono de' presenti gran quantità e ne fanno dei giardini regi, che sono molti in diverse parti circonvicini, ogni mattina copia grande dei buoni e dei più belli che si raccolgano, essendo obbligato il Bostangi Bassi di essi mandar a vendere il sopravanzo, in un luogo separato appunto dove si vendono li frutti del Re; il tratto dei quali di settimana in settimana viene portato in conto al Bostangi Bassi del Re, che lo dà poi alla Maestà Sua, e sono danari chiamati per la scarsella del Re, li quali sono dispensati da lui senza conto a chi gli pare de' suoi muti o buffoni.

Gli instrumenti delle cucine è cosa meravigliosa da vedere, perchè sono li pignattoni, le caldare ed altre cose necessarie, e così grandi e quasi tutti di bronzo, che in suo genere non si può vedere cosa più bella nè più ben tenuta.

Il servizio poi dei piatti è tutto di rame stagnato e tenuto così spesso rifatto e netto, che a vederlo, massime adoperandosi ogni giorno, rende stupore. Di questi ne hanno una grandissima quantità e ne sente la Porta un notabilissimo danno ed irreparabile, perchè dando le cucine da mangiare a tanti di dentro e di fuori, massime li quattro giorni del Divano pubblico, glie ne vengono rubati tanti, che è cosa di meraviglia. E diverse volte mosso il Tefterdar da un tanto dispendio ha voluto pensare di far detto servizio tutto d'argento per consegnarlo alli dispensieri, per doverne dar sempre conto, ma la spesa riusciva tanto grande, ed irreparabile il pericolo, che mai alcuno si è risolto di farlo.

Le legne che vengono consumate da dette cucine e da tutto il Serraglio è un numero infinito di pesi, che così a peso si vendono le legne in Costantinopoli. Dirò solo, che per conto della Signoria, cioè della Porta, navigano del continuo più di trenta Caramussali grandi, li quali usano in mare Maggiore alli boschi del Re caricare; queste costano poco al Casnà, rispetto al suo valsente, poi che sono mandate a tagliare nei boschi, e nel condurle e scaricarle riesce poca la spesa, per valersi la Porta dei suoi vascelli e dei suoi schiavi, che fanno le fatiche senza pagamento alcuno.

Il vestire delle donne è simile a quello degli uomini: portano braghesse e scarpe ferrate, e dormono vestite come fanno gli uomini, cioè con le braghesse di tela e con una giubba imbottita, l'estate molto leggiera e l'inverno più grossa. Non tengono mai i Turchi nelle stanze loro alcuna cosa di servizio, ma occorrendogli il bisogno, si levano e passano ai luoghi vicini, a questo destinati, nelli quali tengono fontane per lavarsi come è loro costume, e l'inverno por non usare l'acqua calda al fuoco, se la fanno portare o la portano da per se, come gli torna più comodo.

Il Re medesimo tiene il medesimo stile nel vestire, se bene di vestimenti ricchissimi, e solo differisce dagli altri in questo che porta le vesti più lunghe e scarpe senza ferri, intagliate e dipinte a fogliami.

Nel dormire poi, dorme quando sta in Serraglio la notte sopra una lettiera con stramazzi di velluto e broccato, l'estate fra lenzuoli di seta ricamati, puntati con la coltre, e l'inverno fra copertori di lupi cervieri o di zibellini. Porta sempre un turbante piccolo in testa la notte, e quando dorme solo nelle stanze è guardato sempre dai suoi camerieri, a due per volta ogni tre ore per sentinella: uno dei quali sta alla porta della stanza e l'altro poco discosto dalla sponda del letto per coprirlo in caso che gli cadessero le coperte, e per esser pronto ad ogni bisogno. Nella stanza medesima dove dorme vi stanno sempre due Turchi con due torcie accese, quali mai si smorzano se non dopo levata dal letto Sua Maestà.

Lo stipendio che si dà a tutti del Serraglio si cava dal Casnà di fuori, e il Tefterdar grande, che ha il libro nel quale sono notati tutti gli stipendiati con il loro stipendio, è obbligato mandare ogni tre mesi a tutti gli Odà in borse separate quanto importa la paga, facendo il medesimo alle donne e con gli Azamoglani, in tanta buona moneta. Appresso il tempo di Ramazano, che è il carnevale, gli manda le vesti e le tele, del che non pretermette, perchè di tutte queste cose ne hanno grandissimo bisogno, e non avendole hanno grandissimo strepito contro di esso Tefterdar, che basterebbe a precipitarlo.

Quando alcuno muore nel Serraglio, resta erede la camerata e tutto viene diviso fra li compagni: e morendo alcuno delli Eunuchi grandi, tutto resta al Re, perchè sogliono avere ricchezze grandi per li molti presenti che ricevono; e se alcuno Eunuco dei Serragli di fuori, o vero in alcuno governo morisse, per Canon li due terzi del suo avere si intende di Signoria, e il terzo viene dato conforme la volontà del testatore, quando però di suprema autorità il Re non voglia impadronirsi del tutto, come è solito di fare sempre con tutti li grandi e ricchi, intendendosi sempre la persona reale primo e legittimo erede di tutto, come schiavi che hanno avuto l'essere e il benessere dalla grandezza e dalla volontà di lui.

Quando alcuno si ammala nel Serraglio, è condotto fuori in un carro coperto, tirato a mano e posto nella infermeria già detta, dove è governato alla turchesca e tenuto custodito senza che possa parlarli alcuno, o almeno con difficoltà; e se risana viene nell'istesso modo ritornato dentro alla sua stanza dove prima si trovava.

La spesa di questo Serraglio è così grande come ognuno può comprendere dalle dette cose; ma presso questa è di grandissima considerazione quella che fa il Re alla Regina, li Bassà primi Visiri, li generali nelli eserciti, e li Tefterdari grandi, li quali tutti presentano e possono presentare, secondo gli accidenti che gli occorrono di nuove portategli, o di spedizioni che fanno; e detti presenti sono di vesti foderate di pellami preziosissimi, di spade, di archi gioiellati, di pennacchi, di cinture, ed infine di diverse altre cose di prezioso valore, ed anco secondo la condizione dei soggetti che se gli offeriscono. Dirò solo questo, che nelli panni di Brussia d'oro ed argento per far vesti, il Casnadar Bassi di fuori, che ha la custodia ed il carico di provvedere, mi ha affermato di spendere ogni anno 200 m. sultanini, oltre questo sborso per comprar panni di lana e di seta veneziani, dei quali il Serraglio fa un consumo grandissimo, non vestendosi per lo più d'altro che di questo. Nè tambasta, poichè viene impiegato in questo tutto quello che viene donato al Re da altri di fuori, suoi sudditi e forastieri, e di più gran parte di quello che cava dalle spoglie dei morti, delle quali si fa padrone, come si è detto; il che se non fosse, certo non potrebbe il Re mantenersi a così gran profusione che fa di presenti di questa sorte, presentando alle donne, alli Bassà, alli Ambasciatori, ed infine a tutti quelli che gli baciano le vesti. È vero che la maggior parte delle cose che dona, che sono di gran valore, col tempo gli ritornano nelle mani, poichè con la morte delle Sultane, dei Bassà ed altri ricchi si fa padrone del tutto: e così di tali cose nel Serraglio vi è il continuo flusso e riflusso.

Ho detto che la Regina dona, perchè essendo presentata da molti convien ancor ella a corrispondere: però ha assegnamento di vesti ed altre cose in abbondanza per questo effetto, oltre che la libertà di disponere anco di molte, dal Re già portate, che gli restano nelle mani, e sono in suo potere. Il medesimo fa il Bassà primo Visir, così in Costantinopoli come quando parte generale dell'esercito, per lo che al suo partire gli viene consegnata dal Casnadar quantità grande di vesti ed altre cose, acciò che in campagna abbi comodità di presentare e fare l'uso turchesco, che sta nel ricevere e donare quasi in tutti li negozii.

Il Re esce del suo Serraglio quando gli pare, e per terra e per mare. Quando va per mare, ha li suoi caicchi da dodici in quindici banchi l'uno, con le poppe superbissime, coperti di ricchissimi panni di seta ricamati, con li cuscini sopra li quali egli sta sedendo, e sono di velluto, e di oro; nè altri che la persona del Re siede sotto poppa, stando li suoi Agalari sempre in piedi: e il Bostangi Bassi suo timoniero alle volte può sedere, per esser fuori della poppa e per reggere il timone comodamente. Quando va per terra, cavalca sempre, esce per lo più per la porta maestra. Quando va alla moschea, che è il venerdì, giorno della sua festa, e per la città, viene accompagnato da li Bassà e dai grandi della Porta e da infiniti altri grandi che ascendono a un numero grande di cavalli, oltre li suoi Peichi, che sono staffieri; e cavalcando saluta il popolo con la testa, e viene salutato con clamori di benedizione, ricompensati alle volte con la dispensa di molti aspri e zecchini, quali cavandosi dalla scarsella getta per la strada. A piedi l'accompagnano molti delli suoi del Serraglio, li quali hanno obbligo di ricevere li memoriali che cavalcando vengono presentati alla Maestà Sua, osservando alcuni poveri, che non ardiscono d'accostarsi, di star lontani, con una stiora in capo ardente e la mano alta con il memoriale; da che tratto il Re a guardare, spedisce subito a pigliarli, e ritornato nel Serraglio se li fa leggere tutti, e comanda ciò che gli piace, ed opera bene spesso in virtù di tali memoriali contro a principalissimi all'improvviso, cosa che fa stupire la Porta, usando di non formar processi nè ricevere esatta informazione, ma solo di fare eseguire ciò che gli viene in animo; e perciò li Bassà non vedono volontieri che esca così in pubblico, per lo timore che hanno che per questa via non gli capitino alle orecchie le loro male operazioni: e vivono sempre con timore, per esser sottoposti a gran travagli, con pericolo di perdere la vita facilmente.

Il Re per servizio di tutta la sua regal casa in Costantinopoli tiene una stalla capacissima e fornita di circa mille cavalli e più, dei quali ha cura il suo Imbroher piccolo, così di farli governare, come d'ammaestrare, da molti che tengono sotto di loro per tal servizio. Questi hanno cura di distribuirli e darli a tutti quelli che accompagnano il Re, così alla caccia come quando va in altro luogo per diporto. Oltra di questa stalla ha anco diverse stalle in diversi altri luoghi, governate per servizio della persona e casa reale, capitando in quei luoghi, che sono dei suoi Serragli e giardini, ai quali appresso si suole trasferire; e queste non hanno più di otto, o dieci cavalli per una. Vi sono poi le stalle delli staffieri per le razze come in Brussia, in Andrinopoli, e in diversi altri luoghi, dalli quali cava cavalli bellissimi, oltre quelli che gli vengono mandati a presentare dal Cairo, da Babilonia, e dalla Arabia, e da altri luoghi dalli Bassà, e che eredita dalla morte, li quali sono tutti cavalli bellissimi e di gran prezzo, destinati alla persona reale: e perchè per la gente bassa ha bisogno di un numero infinito, si può dire, di ronzini, di questi ha infinità da strapazzo, e li cava di Valacchia a prezzi bassi. Ha il Re appresso queste stalle le sue provvisioni di muli e cammelli: quella di cammelli vuol esser di quattromila, e dei muli di cinquemila, li quali servono per portare padiglioni, sanduchi, cioè forzieri, acqua ed ogni altra cosa di servizio, ma realmente non sono mai tanti in essa, perchè il primo Visir quando esce generale, si serve di essi, e ne fa gran consumo. È ben vero che ad ogni cenno e consumo del Re è obbligato ritrovarli e provvedere d'essi: perchè quando li Re sono per andare alla guerra, la sua casa sola ha di bisogno più di 10 m. di tali animali, oltre li cavalli per cavalcare, perchè usano gli Imperatori d'andare così comodi per viaggio, come fanno stando nelle città.

Il Re è obbligato, per Canon dell'Imperio, il primo giorno del suo Bairano, che è il Carnevale, cioè finito il Ramazano, che è la quadragesima, lasciarsi vedere in pubblico, e baciar le vesti da tutti li grandi ed altri di suo servizio. Però quel giorno, all'alba, vestito superbissimamente ed ornato delle più belle gioie che abbia, esce della porta del suo Serraglio, cioè di quella terza, guardata dalli suoi Eunuchi, in una certa piazzetta subito fuori del porticale, dove è accomodata sopra un tappeto persiano di seta ed oro una ricchissima sedia; si pone a sedere, e si ferma fino che da tutti gli vengono baciate le vesti in segno di riverenza, tenendo il Bassà primo Visir accanto, che gli dice il nome di quelli che gli pare, perchè siano conosciuti da lui, ammaestrandolo delle cerimonie, poichè ad alcuni Dottori della legge graduati si leva un poco, per riverirgli ed onorargli, ad altri fa anco salutazioni più affettuose degli altri e del suo ordinario; e finita la cerimonia, va alla moschea di Santa Sofia, accompagnato da tutti a cavallo, e nel ritorno licenziandosi si ritira alle sue stanze, dove desina solo al suo solito, facendo quel giorno nella stanza del Divano banchetto solennissimo alli Bassà ed altri grandi, e nel cortile un desinare assai lauto a tutti quelli che l'hanno accompagnato e che si trovano presenti. Manda poi la Maestà Sua, tenendo osservato il costume ordinario, a presentare al primo Visir una bellissima vesta foderata di preziosissime pelli, e facendo il medesimo con gli altri Bassà, ed altri grandi della Porta di vesti assai inferiori, continua con tutti gli altri Agalari, con tutte le Sultane, e con molti altri del Serraglio a far loro buona mano, dona a chi vesti, a chi spade, ed alle donne fornimenti d'oro gioiellati d'importanza; e la notte di quelli tre giorni del Bairano, che non sono più, resta fornito tutto il carnevale, fa fare dimostrazioni, espugnazioni di città con lumi e fuochi artificiali, che durano a giorno: li quali sono goduti dalle Sultane, ritirandosi la Maestà Sua con esse per vederli e goderli, e stare in continui tripudii. A queste feste sono convitate tutte le Sultane di fuori, le quali vanno a portar presenti al Re ed a riceverli; anco in questi tre giorni viene presentato all'incontro da tutti li Bassà ed altri grandi, e li presenti che gli vengono fatti sono di molta considerazione, perchè uno a gara dell'altro si sforza di dar nell'umore al Re. E le Sultane ancora non mancano di far il debito, ma di camicie, di fazzoletti, braghesse ed altre cose simili, di vaghezza e bellezza indicibile, delle quali poi ordinariamente si serve la Maestà Sua.

Il medesimo Bairano di tre giorni si fa per tutta la città ed in tutte le case, nè altro si vede per le strade che biscoli di diverse sorte, sopra i quali gli uomini si scapricciano a farsi lanciare in aria per festa e trattenimento; nel qual tempo, essendo il popolo molto licenzioso, riesce pericolosissimo ai Cristiani ed Ebrei il transir per le strade, perchè vogliono danari, e non ricevendone, pieni di vino ed insolenti fanno brutti scherzi, come il medesimo segue in un altro loro Bairano, chiamato piccolo.

Per aver diverse volte fatto menzione del Serraglio vecchio, il quale è dipendente accessorio e parte di quello del Re, sarà bene distintamente toccare con poche parole la sostanza. Questo è un Serraglio amplissimo, tutto serrato di muraglia altissima e fabbriche capacissime di molte persone, perchè passerà bene uno e più miglio italiano di giro, situato in una bellissima parte della città; e fu il primo Serraglio che fabbricò Memet secondo per abitarvi, quando prese Costantinopoli, con tutta la sua corte. È serrato con una sola porta doppia, serrata e guardata da una compagnia di Eunuchi bianchi. Nel qual mai entrano uomini, se non per portarvi le cose necessarie, ed entrando non vedono mai le donne che vengono levate, per non dir scacciate, dal Serraglio del Re, cioè le Sultane che sono state donne degli Imperatori morti, quelle che per alcuna mala disposizione del Re o delle Sultane che stanno con i Re, loro sono cadute in disgrazia, ed altre difettose, e così di mano in mano soggetti di questa considerazione: le quali tutte vengono governate da una maggiordoma vecchia la quale ha la cura di vedere che siano conformi all'uso, in abbondanza, che abbiano il suo vivere e vestire, il suo stipendio, ben spesso diminuito assai di quello che avevano prima; ma però quelle che sono state Regine e Sultane vivono fuori del comune nelli suoi appartamenti, con servitù e comodità onorata, se bene siano in poca grazia del Re. Questo hanno di buono, che la maggior parte di dette Sultane, non compresa la Regina, possono esser maritate ed uscire al modo loro, ma però con il beneplacito del Re; e questi matrimoni sono trattati per lo più da Eunuchi che le hanno in custodia con la maggiordoma; e maritandosi portano seco tutto quello che si trovano aver di rubato e ben guardato; perchè nell'uscire che fanno del Serraglio del Re, se hanno qualche cosa bella e preziosa che si sappia, gli viene levata dalla Cadum e restituita al Re. Però se hanno valsente di roba, secretamente danno fuori la fama, perchè alcuni soggetti di considerazione si dispongano a farle dimandare e promettendogli buona dote.

In detto Serraglio sono tutte le comodità necessarie, giardini, fontane e bagni bellissimi, ed il Re vi tiene un appartamento di tutte le cose, per andarvi alle volte a visitare li parenti, e particolarmente l'ava scacciata dopo aver tanti anni dominato assolutamente, sotto il marito e sotto il figliuolo, si può dire tutto l'Imperio.

Il vivere per le donne di detto Serraglio è assai parcamente assegnato di tutte le cose necessarie: e se non avessero da consolarsi del suo, alle volte la farebbono male. Però si trattengono con il lavorare, cavando da ciò molto utile col mezzo di diverse Ebree, che gli servono di mezzane per tal servizio.

Ed è da sapere come li Turchi possono tenere da sette mogli con li Chiebini, e quante schiave vogliono, e li figliuoli così di mogli come delle schiave sono tutti veri e legittimi alla successione ed eredità della roba: anzi che li figliuoli delle figliuole degli Imperatori non possono per Canon ascendere a maggior grado che di Sangiacco, o di Capiggi Bassi che è capo de' portonieri, per esser tenuti bassi e come parenti della Corona non atti a far rivoluzione; e se vi sono fratelli, cioè figliuoli del marito, fatti con le schiave, questi possono riuscire grandi e Bassà senza alcun rispetto, perchè non sono del sangue Imperiale; e da qui nasce che sovente si veggono li figliuoli d'un Bassà, che abbia avuto Sultana per moglie, in grado minore, perchè il nato di schiava domina il nato di Sultana.

Possono ancora ripudiare l'une e l'altre per diverse cause disposte nella loro legge, e massimamente quando non possono adottargli insieme; e se l'uomo ripudia, è obbligato pagargli la dote promessagli, e se la donna ripudia l'uomo, non la può conseguire, ma si parte con quanto ha portato del suo in casa del marito.

Quanto poi alle schiave, se figliano, non possono esser vendute, ma si intendono membri della famiglia, nella quale hanno da vivere sin alla morte; se riescono sterili, possono esser vendute e passare di mano in mano a quante case comporta la loro fortuna, avvertendo che i Turchi possono comprare d'ogni sorta di schiavi di tutte le religioni, e servirsi d'essi in tutte le cose che loro torna comodo, dall'ucciderli in poi, quello che non possono far li Cristiani e gli Ebrei, che non hanno libertà di comprare altro, o altre. Essendo per questo effetto un Bisisten, cioè un luogo di mercato pubblico in Costantinopoli, nel quale a pubblico incanto ogni mercoledì si vendono e si comprano schiavi di tutte le sorte, ed ognuno vi concorre liberamente a comprare secondo il suo bisogno, chi per balie, chi per serve, chi per uso d'altri suoi capricci, poi di quelli che si servono di schiave nella sensualità non possono essere dalla giustizia castigati, come farebbono se li ritrovasse con altre donne libere e turche; e particolarmente questi schiavi si comprano e si vendono come si fanno gli altri animali, perchè sono esaminati della persona e della patria, e venduti e rivenduti in diverse parti per non essere ingannati, come si fanno tanti cavalli, comprando le madri con li figliuoli, e li figliuoli senza le madri, e li fratelli uniti e separati, senza timore di amore, d'onore, d'onestà alcuna, ma solo di quel modo che torna comodo al compratore e venditore. E quando è vergine e bella, è tenuta in molto prezzo, pagandola più delle altre: per sigurtà della qual condizione è obbligato il venditore non solo alla restituzione del prezzo, quando fosse trovata non vergine, ma resta anco per la fraude condannato: e vi sono per questo mercato li sensali ordinarli come di cosa ordinaria mercantile. Nel detto Bisisten sta l'Emin, cioè il daziero, il quale ha la cura di riscuotere il dazio dalli venditori e compratori; d'essi la Porta sente più che onesto utile.

Li Bassà ed altri soggetti, zii o cognati delli Imperatori, non hanno per tal parentela alcuna domestichezza con la Maestà Sua più di quello che comporta il carico che hanno, ma si conservano schiavi come gli altri e con maggior servitù, perchè nell'uso delle donne perdono si può dire la libertà, essendo obbedienti alle Sultane, e liberandosi da tutte le altre schiave e mogli se ne avessero, sopportando con gran pazienza le loro imperfezioni: e per tal causa pochi Bassà di riputazione e di concetto desiderano tali matrimonii, perchè gli riescono di grandissimo dispendio, ed altrettanta servitù. Ma quando il Re comanda, convengono come schiavi obbedire e sottoporsi.

La cerimonia dei matrimonii fra Turchi non è altro che fare alla presenza del Cadì, che è il giudicante, un oggetto, cioè uno stromento per mano di notaro pubblico, della volontà delli contraenti, con specificazione della dote che fa il marito alla moglie; e ciò viene fatto alla presenza di testimoni degni di fede e giuridici, perchè in Turchia non si ammette ogni sorte di persone a testimoniare, ma solo uomini che sono liberi, di età idonea, che sappiano far l'orazione della legge, e conosciuti di buona e onesta condizione. Con tutto ciò che in Turchia, particolarmente in Costantinopoli, è maggior quantità di testimoni falsi che in qualsivoglia parte del mondo: anzi che una certa sorte di Emini, cioè quelli che pretendono essere della discendenza di Maometto, che portano la tocca verde, ed altri Cadì dismessi, di bassa condizione, sono quelli, che per danaro usano far simili tristezze: da che nasce l'ardire nel levare le avanie, e nel sostentarle con molta facilità ad uno dei poveri Cristiani, o liberi, ed anco di loro medesimi, secondo l'occasione, perchè essendo li Turchi per natura avari, e senza timore di Dio, intenti per lo più alla rapina, non la sparagnano quando possono a qualsivoglia persona, sia di che condizione si voglia. Però il contrattare con loro riesce pericoloso, per avere facile il modo del liberarsi con l'inganno di ogni sorte d'obbligazione, consistendo tutta la giudicatura nella forza della probazione, quale conviene esser fatta da soggetti musulmani, dove interviene il Turco.

Poichè si è toccato e parlato delli ministri della religione, per non tralasciare anco questa curiosità, brevemente si narrerà l'instruzione d'essa, e le cerimonie, e la condizione dei suoi ministri.

Credono li Turchi in Dio onnipotente, creatore de l'universo, e grazioso redentore di tutti li buoni nel giorno del giudizio, che stia nel cielo supremo servito dagli angeli speciosi, avendo ab eterno scacciati li mali ed inobbedienti, per li quali, come anco per le male umane creature abbia formato l'inferno. E come affermano esservi la vita eterna in questi due luoghi, paradiso ed inferno, così aspettano e confessano la risurrezione dei corpi, ed unirsi alle anime al tempo del suono di quella orribile tromba, che sarà fatta sonare da Maometto per comandamento del grande Iddio il giorno del giudizio.

Credono che la vita eterna in paradiso, essendo luogo di gaudio e consolazione, non avendo quel lume di spirito e di dottrina concesso ai fedeli credenti, sia una tal felicità che in altro non consiste che nelle delizie e nelli piaceri del senso, cioè un uso delle cose naturali in tutta perfezione senza differenza, senza stenti, e senza fatica; e che all'incontro nell'inferno l'uso delle predette cose sia nel fuoco indeficiente, con amarissimo gusto, e nausea. E questo è tutto il premio che attribuiscono al bene, e la pena che dicono aspettare alli tristi, in retribuzione in quanto ad umani operano.

Dicono poi esser tal l'onnipotenza di Dio, che nella creazione dell'anime avendoli prefisso e assegnato il fine, così è irreparabile all'arbitrio e provvidenza umana il divertirlo; però nei pericoli delle guerre ed in altri accidenti sono più degli altri arditi, curiosi e intrepidi.

Affermano l'ampiezza grande dei cieli che sono di diamanti, rubini, turchine e cristallo: e che i corpi risuscitati saranno trasparenti, più agili, più atti in un momento a passar da un cielo all'altro, e trasferirsi in lontanissime parti per visitare ed abbracciare le mogli, le madri, li fratelli, ed altri parenti.

Del trono di Dio, presente a tutto quello, e dell'assistenza per servizio degli angeli e profeti, rappresentano quello di che è incapace il senso e l'intelligenza umana, affermando che non possa essere veduto così facilmente da tutti per la lucidezza dei raggi che gli usciranno dagli occhi, per lo gran splendore che manda fuori della sua faccia: e che solo gli angeli e profeti hanno grazia di tal fruizione.

Questi sono li fondamenti principali della loro credenza, sopra i quali fabbricano il corso della vita loro temporale e corruttibile, per conseguire la eterna e felice ed affermata dal Profeta esser ripiena di tutte le delizie di questo mondo, usate di tutta eccellenza e perfezione con modo soprannaturale e incorruttibile.

Dicono che sono stati quattro li Profeti mandati da Dio nel mondo per istruire, reggere, e salvare il genere umano, e tutti uomini santi, giusti, ed immacolati, cioè Moisè, David, Cristo e Maometto; che a tutti mandò Iddio per mano degli angeli un libro perchè sapessero istruire i popoli, a Moisè l' Heurat, cioè la Legge vecchia, a David Zebor, cioè li Salmi, a Cristo Ingit, cioè il Vangelio, ed a Maometto il Turcan, cioè l'Alcorano; che li tre primi Profeti con li popoli da loro retti non erano per esser vissuti nella legge data a loro da Dio, ma che essendo venuto per l'ultimo Maometto per salvar tutti con una legge candida, sincera, e veridica, per acquistare l'amor di Dio, non hanno creduto, e tuttavia continuano nell'errore, le nazioni che suggendo il latte materno non si sono accostate alla verità; e che per tal mancamento essendo prive ipso iure del cielo, avranno bisogno nel giorno del giudizio, si doveranno per grazia, della protezione di Maometto, unico intercessore e mediatore appresso il grande Iddio; il quale, stando alla porta del paradiso in quel tremendo giorno, sarà pregato dagli altri Profeti ognuno per la salute delle loro nazioni; che sarà così potente e benigna la volontà di lui, che intercederà con il Salvatore la loro salute, sì che li buoni Cristiani e li buoni Ebrei conseguiranno gli uni e gli altri della vita eterna, nelle delizie perpetue sensuali come si è detto, ma in luogo separato ed inferiore ai Turchi, come privilegiati e cari sopra gli altri a Dio. Le donne saranno anco elle ammesse in cielo, ma in luogo inferiore agli uomini, con minor gloria.

Tutti li Profeti sono tenuti da loro in gran venerazione. Chiamano Moisè Chieli Massol, cioè parlatore con Dio, Cristo, nominato anco Messia, Rullulah, cioè spirito di Dio, e Maometto Ressolah, cioè nuncio di Dio. Quando parlano di Cristo, dicono tutto quel bene che si può dire d'un uomo eletto da Dio per la salute del popolo: confessano che per invidia fu preso dalli Ebrei e che però loro per malignità lo fecero condannare e lo condussero al patibolo della morte per esser crocifisso: ma che essendo stati mandati da Dio gli angeli in una chiusa nube, fosse stato rapito e portato in cielo, e che detti Ebrei confusi presero uno di loro e lo crocifissero in luogo di lui, divulgando che quel tale era il Messia, che però si ritrovava in compagnia delli altri suoi fratelli in cielo, amandosi, e nel servizio di Dio.

L'uso ed esercizio della loro religione, o per dir meglio setta, o confusione, è questo. Hanno il Muftì, che vuol dire dichiaratore delli casi di coscienza, il quale rappresenta fra di loro il capo della religione come fra i Cristiani il Pontefice, qual sempre è uomo versato nella legge e consumato nei carichi, ed eletto dall'Imperatore ha carico di soprastare ed intendere tutte le cose pertinenti alla legge ed al culto di Dio; e se bene assolutamente non comanda alli altri Muftì delle altre Provincie, non di meno con la sua accortezza opera con il Re le cose secondo la sua intenzione, massime quando non ha contrario il primo Visir, che per grado di dignità ed autorità è superiore a lui. Sotto detto Muftì sono due Cadì Leschieri, che vuol dire giudici delli esercizii, cioè uno della Grecia ed uno della Natolia, i quali essendo anco essi uomini dell'ordine di quella legge, ed atti ad essere Muftì, hanno cura di tutti gli altri Cadì, cioè giudicanti, che vanno per la città ed altri luoghi a giudicare ed amministrare giustizia, e li mandano e mutano, finito o non finito il triennio ordinario per uno della risedenza, con la parola del Gran Signore, come più gli piace. E questo è quell'ordine dei soggetti che fra i Turchi naturali stanno più uniti e che hanno gran forza appresso il Re, ed il primo Visir. Fra detti Cadì sono anco li suoi ordini, cioè quelli della prima classe nelle città principali, e son nominati mollà, che vuol dire signori, e gli altri di mano in mano secondo le loro virtù e condizioni, cavando il loro stipendio dalle amministrazioni del carico, in modo che nei libri che stanno nelle mani di detti Cadì Leschieri sono tutte le tanse delli Cadì, che si sa di che utile che è d'ogni residenza, non passando la maggiore di fermo cinquecento aspri il giorno. Questo ordine fra gli altri ha questo privilegio, di non esser fatto morire, e se pur d'alcuno stravagantemente occorresse accidente di farlo, poi che l'assoluta volontà del Re non è mai quando vuole obbligata alla legge, ciò viene eseguito molto cautamente e secretamente, il che riesce rarissime volte. Ma il Muftì e i Cadì Leschieri vengono mutati quando piace al Re, se bene l'ordinario par che sia di due in tre anni, dipendendo la fortuna dal sapersi bene conservare in grazia del primo Visir. Tutti questi portano il turbante in testa molto maggiore delli altri e con altre piegature, in segno di dovere essere sopra gli altri riveriti; e se bene vestono l'abito ordinario e comune, è in questo molto differente, perchè usano il ciambellotto bianco ed il panno, e poca seta. Il carico principale delli Muftì è di rispondere alle proposizioni che gli vengono fatte, le quali sono delle materie in generale sopra li casi concernenti l'obbligo di coscienza e del rito giudiciale e legale, le cui risposte che sono di poche parole e brevissime, le chiamano fetfa, che vuol dire caso; e con questa decisione, quando il caso particolare è compreso in essa, si può costringere non solo tutti li giudicanti e li Bassà, e la medesima persona reale, all'esecuzione, perchè non facendo, caderebbono in pena di lesa maestà di ciò. Hanno appresso parte in tutte le deliberazioni di guerra e di pace, perchè tutto si fa con fine di ampliare la loro setta in onor del Profeta; e la sua risposta è grandemente e molto stimata, perchè viene sostentata da tutto l'ordine delli Cadì per lo più ostinatamente. Hanno appresso li governatori delle moschee chiamati Mutaueli con gli Iman, che sono come piovani, e i Messini come chierici, li quali tutti assistono al governo ed all'amministrazione delle loro moschee. Questi chiamano il popolo all'orazione, leggono alle sepolture dei morti, seppelliscono, ed infine fanno tutto ciò che occorre al culto ed al servizio di esse per comodo del popolo.

Le loro orazioni nelli giorni di festa sono cinque e nel venerdì giorno dominicale, le quali sono fatte così nelle moschee come nelle strade ed anco per le case, cioè la mattina innanzi giorno, a mezzogiorno, a vespero, la sera, e alla quarta della notte e a tutte l'ore e a terza il venerdì, che è chiamato tutto il popolo, per tutte le contrade, da una o due voci altissime in luogo di campane, sopra un campanile o torre posta vicina alla moschea, onestamente alta, dalla quale si dà segno con dette voci di laude a Dio ed a Maometto dell'ora, a fine ognuno che volesse possa prepararsi per far e per far andare all'orazione: e perchè li Messini che gridano non hanno nè sentono orologi, usano di adoperare l'ora di sabbione, con la quale si reggono così in questo come nel resto delle altre loro operazioni.

Nelle moschee grandi stanno li Mudetis che sono come lettori, li quali insegnano a diversi scolari l'orazioni e l'amministrazioni delle moschee e sono pagati dell'entrate d'esse.

Le condizioni di quelli che hanno da far l'orazione sono di mondizia corporale; solamente, non essendo lecito ad alcuno d'entrare nelle moschee nè di orare quando si trova con qualche sorta di polluzione carnale e naturale, sia di che condizione esser si voglia, per minima e necessaria che sia, però di mondificarsi, ogni uno è obbligato a lavarsi nella stufa, se di commercio carnale, o con acqua, se d'altra sorte, abbondando per ciò tutta la città ed altri luoghi di stufe pubbliche e private, e le moschee in particolare, per servizio dei poveri, di fontane bellissime ed amplissime. Mondificati ed entrati nelle moschee, il principale Iman che è il piovano va a far l'orazione e tutti li circostanti l'imitano, perchè da se la maggior parte non sapria fare. Le dette orazioni consistono nell'elevazione di genuflessione, e nel toccarsi sovente ora gli occhi, ora le braccia, ed alle volte il capo, dicendo alcune parole di laude a Dio e al Profeta: e sono fatte stando in terra sentati secondo il loro costume e le gambe incrociate; e perciò nelle moschee sono le stuoie dappertutto, ed in alcuni luoghi qualche tappeto di lana per qualche soggetto di condizione. Le dette orazioni, secondo le ore, sono diverse fra loro, e più lunghe e più brevi, nè alcuna arriva al tempo d'una ora; solo quelle della sera in tempo di Ramazano, che è di quadragesima, sono più lunghe delle altre, e si farà in canto di quella voce che è la guida, cioè di qualche Iman o Messetto che sia stimato valoroso, come si stima fra noi li musici: si userà anco la predicazione del venerdì. In tempo di Ramazan, e quando vogliono pregare per qualche felice successo o maledire alcuno ribello, hanno in costume di far le processioni per le contrade, a due a due, senza torcie o altro in mano, laudando il nome di Dio; e di leggere alcune loro orazioni lunghissime tutte in una giornata, per diverse mani applicate a quel tal soggetto, stimandolo allora maledetto.

In occasione dei travagli gravi sogliono con la pubblicazione nelli luoghi pubblici convocare tutti li grandi e il popolo ad orare in compagnie a questo destinate, imitando il popolo Ebreo; e raunatisi, dei loro santoni di estimazione di santità fanno sermoni efficacissimi ed esortationi alla fortezza, alla pazienza ed all'amor e timor di Dio; e se li travagli continuano, aggiungono le orazioni delle quaranta ore e quaranta giorni nelle moschee principali degli Imperatori, le quali vengono fatte da una mano di uomini applicati al servizio d'esse, come appresso di noi sono li chierici; e questi nè in abito nè in costume sono differenti dagli altri, conciossiacosachè principiando dalli Muftì fin a questi inferiori tutti vestono l'abito ordinario e possono maritarsi e tenere quante schiave vogliono per suo gusto e piacere.

Il Muftì ha la sua entrata separata in tanti terreni che possono rendere da 15 m. sultanini all'anno: che restando privo del carico, quando sia in disgrazia del Re, lasciando al successore l'entrata, ha mille aspri di paga al giorno, che fanno ducatoni X al giorno, come hanno li Cadì Leschieri quando sono attuali.

Nel tempo del loro Ramazan, che è quaresima, non fanno altra cerimonia che di astenersi di mangiare il giorno, potendo di notte mangiare sempre ciò che vogliono, senza distinzione di cibi; e da prima sera nelli loro campanili si accendono delli cesendelli che durano fino all'alba, osservando gli Iman delle contrade tutti quelli che spesso mancano, massime la sera nelle moschee, che bevessero vino e mangiassero di giorno, perchè oltre che sariano tenuti per sprezzatori della legge, sariano severamente castigati, se fossero trovati in tal mancamento.

Usano appresso li Re ed altri grandi, così in tempo di Ramazan come in occasione dei loro travagli, sacrificare diverse sorte di animali, cioè bovi, castrati, agnelli, così ai luoghi di loro divozione, cioè sepolture di soggetti stimati esser stati santi, come nelle moschee, il che è osservato farsi di privato; ma li Re sogliono comandare che si facciano detti sacrificii anco per le strade pubbliche e quando entrano nelle città, facendo compartire le carni degli animali squartati vivi al popolo e alli medesimi Bassà e uomini grandi della Porta; e detti sacrificii sono fatti assai frequentemente, perchè per questa via stimano di placare l'ira e conciliarsi l'amor di Dio.

Portano li Turchi professori d'umiltà e divozione le corone in mano molto lunghe, nelle moschee e per le strade, passandole molto velocemente, poichè come noi diciamo l'Ave Maria, così loro per ogni grano dicono Allà bir, cioè Dio puro e vero, Allà è Dio grande. E si trasferiscono in pellegrinaggio alla Mecca ed in Gerusalemme: alla Mecca per visitare il tempio che dicono fu fabbricato da Abram, nel quale è Maometto, quando era idolatra; asseriscono poi che verso la sua età di quaranta anni ricevesse l'Alcorano da Dio e che allora principiasse il Munsulmanlich, e che morto, sepolto fosse in Medina, otto giornate discosto dalla Mecca, dove si trova il suo sepolcro visitato da tutti che vanno in detto pellegrinaggio: e quando vanno in Gerusalemme vi vanno per visitare non il sepolcro di Cristo, perchè dicono non esser morto, ma per vedere i luoghi praticati da lui, come profeta miracoloso che risuscitava morti, sanava infermi e faceva simili miracoli. Si trasferiscono anco alla valle di Josafat, perchè dicono che in quel luogo ha da essere la resurrezione per il giorno del giudizio; e vi sono molti Turchi che sprezzando tutto il mondo, abbandonano ciò che hanno e si ritirano a vivere vicino a quella valle, per divozione e per esser anco più vicini alla risurrezione; e quelli che fanno tal pellegrinaggio ritornando alla città, alle loro case, sono chiamati Agì, cioè pellegrini, e vengono tenuti per uomini di gran venerazione e bontà.

La maggior cerimonia che si faccia fra i Turchi, di carattere impresso con maggior pompa e solennità di feste, è quella di ritagliare li figli, cerimonia ebraica, in questo differente, che tutti ritagliano dopo passati gli undici anni, anzi seguendo Ismael, di cui si fanno seguaci e ministratori, affermando che Abram è da loro stimato e non Isach. Questo ritaglio viene fatto fuori delle moschee per l'effusione del sangue, e con l'invito dei parenti ed amici per segno di allegrezza e consolazione, usando anco con quelli d'altra religione che passano al Munsulmanlich, li quali, in fede di rinnegare la loro fede ed abbracciar quella di Maometto, levano il dito indice, proferendo queste parole: hali lahi ile la li memet resus allali, che vuol dire: non vi è altro che un solo Dio e Maometto è il suo nunzio.

Non mancano per le città e campagne, a comodo di abitanti e viandanti, diversi ospizii con fontane per comodo dei poveri, ed ospedali e collegi per educazione dei giovani e per imparare a leggere e scrivere: e tutte le moschee degli Imperatori ed altri grandi sono dotate di ricchissime entrate per sostentare detti collegi ed ospedali, avvertendo che gli Imperatori per Canon non possono far moschee se non in memoria di qualche notabile acquisto, o fazione memorabile; e le Sultane, se non sono state madri di Imperatori regnanti; nei quali fabbricano con incredibile spesa e dedicano a quell'impresa con gran solennità.

In dette moschee sono certe opere di gran costo e macchine di gran bellezza e venerazione altrettanta, per la grandezza e politezza del vaso dove si fa l'orazione, e non meno per li accessorii dei collegi ed ospedali dotati di opulentissime entrate, sì che possono compararsi a qualsivoglia bellissima del mondo. Sono tutte fabbriche di pietra, a volta, concave, coperte tutte di piombo, e le colonne sono di porfido ed altre pietre preziosissime; e sono li vasi di esse tutti biancheggiati, ed illuminati, quando si fa l'orazione, da alcune ciocche di cesendelli pendenti dal cielo, di forma rotonda e di grandezza d'un gran cerchio di tinazzo, ma sono diversi lumi l'uno sopra l'altro; e di questi saranno due o tre per moschee, secondo la loro grandezza e bisogno. Non vi sono nè banchi nè altro da sedere, ma solo da una parte vi è un pergoletto assai basso per il predicatore, e dall'altra un altro più basso, dove si va a porre il Re quando entra all'orazione, essendo tutti gli altri posti in terra a sedere sopra le gambe, secondo li costumi loro ordinarii; e per tal causa tutti li pavimenti, se bene sono di bellissime pietre, vengono coperti con stuoie per lo più finissime, di quelle del Cairo, le quali si conservano sempre nette e pulite, perchè dal Re in poi non è chi entri con scarpe in esse, lasciandole tutte alla porta. Nelli estremi casi di morte assistono alli infermi: e morti, posti in un lenzuolo e ben fasciati e serrati in una cassa, vengono portati alla sepoltura con il capo avanti; e se è maschio con il turbante sopra la cassa, e se è femmina la scuffia e il pennacchio; essendo accompagnati dalli assistenti delle moschee e dai parenti fino alla sepoltura, senza lumi di sorta alcuna, ma ben con il condurre delli Messini, li quali invocando il nome di Dio e del profeta Maometto pregano per la salute dell'anima; e nel ritorno fanno a tutta la compagnia il banchetto, per il ristoro delle fatiche fatte.

Le sepolture degli Imperatori per l'ordinario sono poste in terra a pari al tumulo che sta coperto di panno eletto o di velluto, con il turbante sopra con li suoi pennacchi di airone, e da capo e da piedi vi sono sempre candelieri; e per l'ordinario sono vicini alle loro moschee in una cappella separata; per ogni tumulo dei grossi e grandi cerchi miniati e dorati sostentano due cerindelli che del continuo ardono giorno e notte; e in dette cappelle da tutte le ore vi assistono Messini provvisionati che a vicenda gli danno lodi continue, o l'uno, o l'altro, leggono l'Alcorano, e pregano con le corone per la gloria degli Imperatori ad imitazione delli Re. Li Visiri Bassà grandi e ricchi usano di far il medesimo, ma con minor pompa e spesa, e quelli che non hanno luogo vicino alle moschee possono farsi seppellire anco vicino alle loro case e dove più gli pare per la città, quando il terreno sia di loro ragione; gli altri sono portati fuori della città quando muoiono e in altre campagne a questo deputate, e sono sotterrati come usano gli Ebrei di fare con quelle pietre che appaiono sopra della terra, nelle quali descrivono il nome, la patria, il titolo, e ciò che vogliono.

Fra i Turchi non è alcuna sorte di religione nè meno monasterii, perchè tutti sono incamminati all'arme e pochi sono quelli che sanno scrivere e leggere, anzi pochissimi, perchè di quelli del Serraglio del Gran Signore e non tutti, e del popolo dipendenti da soggetti grandi che stanno nei seminarii e collegi a questo deputati, e dell'ordine di quelli che attendono alle leggi, che sono li Cadì, e alli Jasegi che sono li notari. Anzi che alle volte occorre vedere in Divano qualche Bassà non uscito del Serraglio, che non sa nè leggere nè scrivere. E così ad ultimo convengono imparare, e non solo a far il segno imperiale, ma qualche altra parola, per poter di suo pugno porre in carta sogno della sua volontà; e chi sa fra i Turchi leggere, è tenuto per dottore e viene più degli altri stimato. Vi sono però diversi che professano di vivere fuori del costume, che si chiamano Dervis Issich, che vuol dire mansueti. Questi vestono poverissimamente e malamente, con una scuffia in testa, mendicando il vivere e dormendo nelli cortili delle moschee e luoghi simili; sono stimati di grande semplicità, perchè attendono alle orazioni e speculazioni mentali, e vivono sempre innamorati dell'onestà, predicando questa dottrina, che non si può perfettamente arrivare all'amor di Dio se non con la scala dell'amor umano; e tengono che per questo non solo vivono innamorati e appassionati in questo mondo, per esser poi tali nel cielo da Dio; e con tal favola e coperta di santità possono anco vivere disonestamente, più comodamente degli altri.

Delle donne per osservanze della religione non si tiene niun conto; però non entrano mai nelle moschee, e se vogliono esse osservare l'onore, in tempo che sentono a gridare l'ora dell'orazione la fanno, se vogliono, nella propria casa; ma solo restano grandemente osservate di onestà, essendo obbligato l'Iman e i piovani delle contrade essere osservati, intendere molto bene le loro pratiche, e scoprendo il male o sospetto sono tenuti accusarle alli mariti, perchè le ripudino, o vero alli padri e parenti perchè gli proveggano. Con tutto ciò se bene le donne non possono essere praticate dagli uomini, fuor che padre, mariti e fratelli, e che siano in appartamenti separati, e vadano sempre coperte, nondimeno le Turche sono lussuriosissime e disonestissime, per la comodità che hanno dell'assenza dei mariti alla guerra di potere uscire in bagni e andare coperte, e quello che più importa, che non possono venire a peggio, che essere ripudiate.

Nota del donativo da farsi dal Gran Turco nella sua assunzione all'Imperio.

Al Muftì Zecch. 2500

Al primo Visir » 2500

Alli altri Visiri, per uno » 2000

Alli Cadì Leschieri, per uno » 250

Alli Tefterdari, cioè Camerlenghi, per uno » 250

Alli Capiggi Bassi, per uno » 200

Alli Capi delle squadre dei Spahì, aspri 5 m. per uno, e accrescimento di paga » 40

All'Agà dei Gianizzeri » 250

Alli Imani, cioè astanti del Re, per uno » 25

Alli Dottori di legge zecchini 60 per uno, e una vesta di ciambellotto » 60

Alli altri Dottori inferiori, per uno » 32

Al Giornalista maggiore » 42

Al Computista maggiore » 42

Al Computista dei caraggi » 32

A quelli che tengono li libri della entrata del Divano, per uno » 20

Alli scrivani del Divano, per uno » 25

Alli Muteffaragà, cioè lancie spezzate del Gran Signore, zecchini 16 per uno, e accrescimento di paga » 16

Alli scrivani delli Tefterdari, per uno » 12

Alli Spahì accrescimento di paga, aspri 5 il giorno, e di donativo » 8

A quelli che menano li cavalli del Gran Signore, per uno » 8

Alli Capi dei padiglioni, per cadauno » 25

A quelli che sonano li tamburi del Gran Signore zecchini 8, e di accrescimento aspro uno di paga al giorno » 8

Alli staffieri del Re, per cadauno aspri 500 » 4

Alli Capiggi zecchini 8, e accrescimento di aspro uno di paga al giorno » 8

Alli Casnadari, cioè tesorieri, per cadauno » 8

Alli Chiaia, cioè maestri di casa, per cadauno » 8

A quelli che portano acqua al Gran Signore, per cadauno » 8

A tutti gli Emini, cioè Dazieri, con il loro capo, per cadauno » 100

Alli Gianizzeri un aspro per uno di accrescimento di paga al giorno, e più, secondo la loro paga, e di donativo zecchini 25 per uno » 25

Alle genti delle stalle, delle cucine, e a quelli che pregano Dio nelle cappelle dove sono sepolti li Re Ottomani, zecchini 8 per cadauno » 8

Finis. Tommaso Alberti in Costantinopoli scrisse 1620.

Fregio

Dispense pubblicate dopo il catalogo Aprile 1888

226. Lamenti storici dei secoli XIV, XV e XVI , a cura di Antonio Medin e Lodovico Frati . Vol. II.—Bologna, Tipi Fava e Garagnani. 1888 L. 12,50

227. Rime di Francesco Bertioli da Ostiglia , a cura di Nicola Zingarelli .—Stabilimento Tip. Succ. Monti. 1888 » 2,50

228. Regole della vita matrimoniale, pubblicate da Carlo Negroni .—Bologna, Tipi Fava e Garagnani. 1888 » 4,50

229. Viaggio in Terra Santa, fatto e descritto da Roberto da San Severino , a cura di G. Maruffi .—Bologna, Società Tipografica Azzoguidi. 1888 » 11,50

230. Narrativa della prigionia di Ercole Fantuzzi , a cura di Corrado Ricci .—Bologna, Stab. Tip. Succ. Monti. 1888 » 5,50

231. Viaggio da Venezia a Costantinopoli di Tommaso Alberti , a cura di Alberto Bacchi della Lega .—Bologna, Società Tipografica Azzoguidi. 1889 » 6,50

IN CORSO DI STAMPA

Storia Siciliana d'anonimo autore scritta in dialetto nel Sec. XV, pubblicata a cura di Stefano Vittorio Bozzo. (Parte II. a Storia).

La bella Camilla, poemetto inedito di Piero da Siena, a cura di Vittorio Fiorini.

Testi inediti di antiche rime volgari, messi in luce da Tommaso Casini. Vol. II.

Lamenti storici dei secoli XIV, XV e XVI, a cura di Antonio Medin e Ludovico Frati. Volume III.

Sonetti e Canzoni di Poeti Veneti del secolo XIV, a cura di Oddone Zenatti.

Fiorio e Biancifiore, poemetto antico toscano, a cura di Vincenzo Crescini.