STORIA DEL QUINDICI MAGGIO IN NAPOLI
STORIA DEL QUINDICI MAGGIO IN NAPOLI
CON L'ESPOSIZIONE
D'ALCUNI FATTI
CHE HAN PREPARATO LA CATASTROFE
SCRITTA DA T. C.
TESTIMONE OCULARE.
FIRENZE TIPOGRAFIA DEL VULCANO 1848.
I BREVE CENNO DELLE CONDIZIONI DEL REAME DI NAPOLI FINO AL 1847.
Tristi casi io vado ad esporre, al cui racconto i più remoti posteri non aggiusteranno fede o chiameranno barbaro il secol nostro: ma la tirannide non ha riconosciuto mai altro incivilimento che il raffinamento delle sue pratiche. Se non ci attristano più tiranni che arpeggiano al cospetto di città che ardono[1], o rinchiudono le loro vittime in gabbie sospese sulle muraglie di una rocca[2], pure la tirannide è sempre una, sempre la stessa l'influenza che esercita sui popoli, quantunque quella d'oggi si copra col manto delle solenni proteste d'animo umanissimo e delle pratiche religiose.
Colui che ancor porta il titolo di re del Regno delle due Sicilie, e che la Provvidenza ha permesso che occupasse per 18 anni un trono che i suoi maggiori han bruttato di turpezze e di stragi, ha studiato i mezzi tutti onde conservarlo, se n'eccettui quello d'esser generoso ed onesto; misura che essendo virtuosa, assicurerebbe la durata di un potere che col progresso dei lumi va temperato e riformato. Esso ha fatto tutto servire alle sue mire: ha intralciato e ristagnato il commercio, perchè la gran ricchezza dei popoli lo metteva in apprensione dando a quelli troppi mezzi. Ha stornato sempre l'educazione di molte classi, onde la serva ignoranza tenesse al buio le sue usurpazioni, ed ha insultato all'altare obbligandone i sacerdoti a guastar l'indole suavissima del cattolicismo colle larve dell'impostura, ed assegnando ai popoli appositi confessori che insegnassero essere minor delitto il furto e l'uccisione, che il mancamento all'obbedienza di suddito. — Codesto re ha trovato anche il fatto suo nella sobrietà dei supplizii (sobrietà per altro spiacevolissima ai tiranni) ma costoro han fatto che tutto servisse alle loro mire. Così delle vittime designate dalla sua paura poca parte, e la più temuta lasciava al carnefice, e le altre aggravava di catene perpetue entro a fosse non rallegrate da raggio di sole. La plebe, e con la plebe molti illusi l'han visto genuflesso dinanzi agli altari e l'han creduto devoto; han contato il numero delle sue grazie (ammetti che cogli assassini era indulgente sempre) e l'han creduto di cuor pietoso! Ecco le conseguenze di quella brutale ignoranza che codesto re ha lasciata crassa e pressochè selvaggia in tante e tante migliaia d'uomini. Ma l'ordine ammirevole delle cose non gli ha permesso a lungo di starsene a fare il tiranno dietro le cotte dei preti e fralle nebbie della cecità; lo ha messo in un punto ove era mestiere o fare il bene davvero, o puntare il cannone contro i reclami dei popoli. Egli non ha esitato; ha usato la forza bruta, ed ha abbandonato i suoi dilettissimi popoli ad ogni genere di violenza, ed i suoi scherani, ai quali nessuno oserà dar titolo di soldati, fidi interpetri delle sue paterne intenzioni, hanno tolto il freno ad ogni pudore, e dopo inegualissima pugna si sono scagliati sugl'inermi fanciulli e le donne colla libidine delle più nefande atrocità, ed han riempito la mia patria, la leggiadrissima Napoli, di uccisioni, di rapine e d'incendii — Innanzi a così lagrimevole narrazione mi vien manco l'animo, ma nemmeno la carità della mia terra natale farà ch'io alteri quello che mi è caduto sotto gli occhi, nè farà aggiungere colori a quella catastrofe, alla quale ebbi parte io stesso, e da cui la provvidenza permise io fossi campato per opera sua: santissimo amor di vero, rispetto alla religione del giusto, ed ira cristiana mi daranno lena onde io possa tracciare questo lagrimevole racconto.
Da troppi anni gemeva Napoli nel più duro e turpe servaggio; ingorda la finanza, rallentata l'amministrazione, scemati gl'impieghi, solo attivissima e fiorente la giandarmeria, impiegata ad obbligare i morosi a esorbitanti tasse, e ciò con modi duri e oltraggiosi; agli arresti di quei rei la cui più parte era trascinata al delitto dalla miseria e dall'ozio, per la scarsezza dell'industria ed il ristagno d'ogni speculazione scoraggiata e non voluta da un governo aspro e pauroso: la classe più infelice era quella cui la natura avea dato maggior dote di mente e cuore, la classe dei letterati: costoro mai mancanti alla loro missione assiduamente predicavano, ed educavano la giovinezza, per quanto il permettevano ad essi le minacce d'una polizia insolente, e l'insidie delle spie; la stampa repressa e vigilata, ed il giornalismo nella più assoluta decadenza — Furonvi alcuni che avventurarono libertà ed avvenire stampando opericciuole nelle quali versarono qualche semenza di liberalismo, e non ammisero alcuna transizione tra la minaccia o la seduzione del potente, e la verginità delle loro idee. Vi furono altri che venderono la penna e l'onore al governo, e questi ultimi compilarono il giornale ufficiale riboccante di sfrontate menzogne. È rattristante il vedere fino l'ingegno chinarsi a far plauso alla tirannide...... ma che dico? non mai il genio, raggio partito dalla corona di Dio, si è tolto dal suo divino santuario ad informare cuori perversi... no! invece la pedante saccenteria e ridicolosi grammaticuzzi hanno prestato la forma ai dettati del despota in mancanza di consiglio virile e della ispirazione del trionfante pensiero.
Ma si accuserà sempre il popolo di cui fo parte, di schifosa viltà, se preferiva codesta esistenza lugubre e misera al glorioso morire che s'incontra in un magnanimo tentativo? Si ponga mente ai tempi. Grosso il partito del tiranno che esso impinguava col sangue che suggea dalle vene del più povero: a lui fide e devote le armi, e l'impero austriaco sempre minaccioso e potente in Italia: d'altronde l'astuta e raffinata tirannide non lo portava mai a sottoporre le sue sciagurate popolazioni allo stato di ultima violenza, ben intendendo che allora insorge la massa e non cura la mitraglia, rompe le siepi delle baionette, non sente la minaccia straniera, e col bastone e le coltella sconfigge eserciti e spiana le rocche; così la mitezza di un cielo incantato, la facilità dell'esistenza, la poca spesa del vitto rallentavano la ferocia dei molti, mentre i ricchi erano spossati dai vizi e sedotti dal prezioso sorriso del monarca, e la classe pensante poca, sorvegliata e povera, miseramente languiva e fremeva invano...! e vogliamo inorridire della ferocia di una belva che divora e strugge fabbricando così la sua rovina, in paragone al malizioso despota delle Sicilie che guasta o sperde i semi di ogni civile miglioramento, conduce le masse tra le colpe e la miseria, ed avvizia il ricco facendogli bere le aure contaminate della corte; funesta tirannide che uccide i popoli prolungandone la morale agonia. La giovinezza senza incoraggimento tra la scelta di aspre fatiche e la voluttà del piacere, abbraccia più volentieri il secondo partito, e si fa guasta tra i vizi finchè la miseria la conduca al delitto ed al patibolo. — Oltre a ciò l'ipocrisia del principe usava circondarsi di ecclesiastici avari furbi e lussuriosi, e facea predicare da costoro quelle virtù che essi stessi sconoscevano[3]: e che? si pretendeva virtù tra i vizii della tirannide? e la virtù del senso da esseri privi delle virtù del cuore? il mezzo sicuro di dare al vizio nuova esca è il voler limpida la corrente senza aver purgata la scaturigine: la religione può vincere la seduzione del vizio, ma la religione non allignerà mai nell'animo della spia o dell'egoista, e lo spionaggio e l'egoismo era l'opera del governo di Ferdinando II.
II RIFORME. 48.
Le opinioni politiche afforzate da esempio operativo si comunicano colle celerità dell'elettricismo, e per quanto rigorose fossero le sue misure, il governo non potè far sì che non si commovessero gli animi de' Napolitani agli eventi di Roma. — I principi Piemontese e Toscano da sè operarono e proclamarono quelle riforme che i popoli avrebbero ottenute colle rivoluzioni e la strage, ed il plauso dei popoli rispose alle regie concessioni: gli esuli tornarono ai lari disertati, e i prigionieri videro un giorno non invano lungamente sperato: era felice per l'Italia l'epoca in cui il vessillo di Cristo operava rivoluzioni senza sangue basate sulla fiducia dei popoli ed il buon talento dei re: e Ferdinando II che facea intanto? il popolo inerme si portava sotto il suo palazzo a gridare — Viva Pio IX, vivano i Principi riformatori, — ed egli rispondeva con decreti che condannavano simili dimostrazioni come attentati all'ordine pubblico e rigorosamente punibili: e s'empievano le carceri, e si instruivano processi.
Intanto simili dimostrazioni si eseguivano in Palermo. Ingordi intendenti l'aveano ammiserita, e ad essa aveano preclusa ogni via di civile progresso, e d'altra parte usava Ferdinando tenervi grossa guarnigione: per essa era giunta l'ora che il fremito si facea universale, le opinioni mature. Dapprima i Siciliani inviarono pietosissime suppliche al re, che togliesse in considerazione lo stato loro: non voler altro che miglioramento di amministrazione e intendenti meno tirannici ed impudentemente ladri; a codeste suppliche aggiungevano de' moniti prudentissimi; gli fecero intendere la natura dei popoli che non vuol esser torturata a segno nè esser messa a tal partito che ogni altro sia migliore.
Ed egli che facea?
Passeggiava Capodichino colle sue migliaia di soldati; s'affacciava dal regio balcone, e di là guardava una darsena riboccante di cannoni, il nuovo porto con parecchi vapori e fregate, e tale apparato ragionava al suo cuore la santità del suo diritto, ed in esso vedeva il baluardo contro i clamori dei popoli; e guardava cannoni, soldati e navi e con quelli si preparava a far ragione a sette milioni di uomini. Quindi nel 12 gennajo contro una dimostrazione inerme che seguiva in Palermo, facea irromper la cavalleria sul popolo, ed il popolo la respingeva: inviava i suoi battaglioni, ed il popolo li sperdeva: facea fumare i suoi vapori ma contro un popolo intero e risoluto che s'unisce si stringe e pugna per la libertà, è vana la potenza dell'oppressore, è Dio contro lui.
E tanti tiranni trionfano? — I decreti del Signore sono imperscrutabili, e l'albero prezioso della libertà va lungamente educato onde i popoli possano gustarne le frutta suavissime.
Ferdinando nelle sue falangi scorse una spaventosa decimazione; nel veder tornato un vapore carico delle vestimenta di soldati uccisi.... pianse! — e gli uccisi di Palermo che la sua impudenza addimandava suoi figliuoli, non meritavano una sua lagrima paterna? sì pianse gli uccisi: gli mancavano altrettante braccia a compiere le stragi che designava. — Fu mestieri sgomberare Palermo e cedere le fortezze di Castellamare: i Siciliani baciarono il nimico vinto, come ferocemente l'avean battuto oppressore — Ma son prodigii di incivilimento codesti, ma è l'eroismo dei cuori liberi! — aspetta e guarda come i Borbonici sanno fare nel 15 maggio quando la città è in mano loro!... Sì, la tirannide non riconosce incivilimento mai; la viziosa radice non darà mai pomo che velenoso, e contaminato non fosse.
Le cose andavan male per esso: in tutti i punti del regno si tumultuava: ei ripartiva le sue forze per le province, ma non bastavano: la polizia spogliata della sua forza morale se ne giaceva inerte; Napoli vedea di dì in dì moltiplicati i seguaci del liberalismo, ed inermi migliaja ad alta voce reclamavano riforme. Nel 27 gennajo si fè una sontuosa dimostrazione; vi prese parte l'ultima plebe, la nobiltà, preti, professori, artigiani e mercatanti, era tutto un paese che si commovea; innanzi agli occhi gli stava l'esempio siciliano troppo recente; ma ei tentò un ultimo sforzo, fè uscire il cannone e schierare la truppa, e la turba correa al soldato e l'addimandava fratello, e raddoppiava la festa al cospetto del cannone e della miccia fumante... seguì il 28, giorno di commozione, di oscillazione: nel dì precedente il Borbone, avea gittato il guanto di sfida, il popolo lo avea raccolto... S'aprì il dì 29 con un sole fulgidissimo ed un cielo azzurro e le prime ore del mattino trascorsero colla trepida espettazione di eventi decisivi.
III COSTITUZIONE DATA DA FERDINANDO BORBONE.
E Ferdinando diè una Costituzione. Fu spontaneo l'atto col quale esso prometteva dividere la sovranità col popolo accordandogli due Camere legislative? La nostra illusione dovea poco durare, ma ebbri di una libertà che non avea costato sangue, e sperando che una volta un re avrebbe potuto, rovesciando un colosso cancrenoso di politica tortuosa e perfida, coll'affidarsi all'indole generosa del popolo interrogando i suoi bisogni ed operosamente cospirando alla sua felicità, ottenere la propria sicurezza, che mal si cerca lasciandosi fronteggiare dal cannone, e cingendosi da baionette: non potemmo credere per un istante che le oppressioni e i delitti del governo avessero potuto esser cagionate da un ministro prepotente e criminoso; il languore dello Stato, le oscillazioni della finanza, il depauperamento delle province da ministri ingordi e retrogradi: che costoro avesser con malefizi alterato il buon vedere del re, che al più avesse potuto essere accagionato di indolente fiducia; sì, io stesso non immaginava mai che fra le dimostrazioni delle masse entusiasmate egli maturasse il disegno di retribuirle di tradimento: noi plaudivamo; come erano sinceri i nostri voti! come mi pareva invidiabile la posizione d'un re che può innalzare i popoli a distinto incivilimento, a potenza, a libertà, ed innalzare a sè stesso un monumento che i secoli non crolleranno mai, perchè consacrato nella pagina dell'umanità. Sì, egli disegnava, preparava la miseria di quelle popolazioni che lo festeggiavano.
Eccolo omai solo. — Il vecchio Governo più che dimesso è disfatto: eccolo solo — a lui spetterà la gloria o l'infamia delle sue opere: è opportunissimo il momento — romperà le vecchie simpatie dell'Austria? concorrerà al risorgimento italiano coi suoi treni formidabili e il suo esercito disciplinatissimo? sentirà il suo cuore qual differenza passi tra il regnare pel plauso d'uomini liberi, o per lo spavento degli schiavi? vediamo quel che fa: e da sè solo egli è alla ricostruzione dell'edifizio. — Si mette in piedi un nuovo ministero. Osservate; il primo passo che dà Ferdinando è quello di smembrare i comitati, togliere i capi che regolavano la rivoluzione, collocarli nella nuova amministrazione, e metterseli dattorno. — Vedemmo Bozzelli, fatto ministro dello interno e della polizia, adire ai consigli della corte e dello Stato. — Fu grave fallo pel nuovo ministro il separarsi dalle masse che avean fiducia in lui e far causa diversa da esse: dovea pensare che la macchina guasta e pesante dell'amministrazione sarebbe andata con troppa lentezza, ed esso nel caos delle faccende, tralle fatiche del riordinamento, tra i lunghissimi consigli di Stato, non avrebbe potuto usare di quella vigoria necessaria a tant'uopo. Un comitato non dovrebbe scomporsi mai per accettar cariche nel nuovo governo; invece nel riordinamento delle nuove cose resterebbe imparziale spettatore, e terrebbe sempre vigoroso e potente il partito dell'opposizione; Bozzelli da privato avrebbe imposto al nuovo ministero e col favore del popolo avrebbe dato al governo un forte impulso, fino a che formate le leggi, istruite le plebi, fatti potenti i cittadini, sarebbero riusciti tardi e vani gl'intrighi e le malizie dei gabinetti; egli incorse in grave colpa; ed io ammetto che in buona fede errò quando accettò la carica di ministro, ma l'errore fu gravissimo per le conseguenze, giacchè adì il Consiglio ed il re, nè pensava di che pericolo fosse lo splendore d'una corte corrotta! come fan traviare le blandizie d'un re! quale influenza malefica esercita sui migliori! e Bozzelli, non migliore di tutti coloro che hanno frequentato le corti, se errava in buona fede dapprima, in breve si pervertì: e gli ultimi fatti indicano con qual coscienza avesse egli operato. Se ne eccettui che si lasciava vedere un po' più degli altri suoi antecessori, e qualche cosa di familiare con cui diè udienza, egli non si distinse nel breve spazio del suo primo ministero: egli fu lento e retrogrado; non so se dapprima lo voleva essere, ma lo dovea: egli vedea tutti i giorni Ferdinando che lo ricevea con carezze e dandogli i sigari di sua mano. Arti meretricie! — L'organizzamento della guardia nazionale fu incompleto — non fu armata che in parte e se ne addebitò la deficienza de' fucili; si fecero delle pratiche, per averne dalla Francia, se ne commisero 50,000 nel mese di gennajo, ed oggi che scrivo (luglio) si aspettano ancora. Per lui tornarono vane le pratiche d'accomodamento che si proponevano tra Napoli e Sicilia; egli fu lento, indeciso, la sua politica fu incerta, ma così doveva condursi, giacchè Ferdinando, di cui egli era l'organo, aspettava che il cannone avesse dovuto esser l'arbitro sommo delle differenze tra popolo e re; no, un trattato decisivo non era nei suoi divisamenti. Il reclamo potente del popolo dimostrò chiaramente l'indignazione contro il ministro che nato da esso così lo retribuiva.
Allora si avvide Ferdinando che non bastava al popolo napolitano una Costituzione come quella che aveva dato. Questi con tutti i suoi sforzi s'inoltrava nella via dell'incivilimento e della libertà: la Costituzione co' suoi privilegi portava, libertà di reclamo, libertà di stampa, libertà di associazione; coi reclami la volontà potente della nazione lo costringeva ad operare e ad accordare, l'espulsione dei gesuiti ch'ei mai non avrebbe ordinato da sè stesso, e l'invio in Lombardia di spedizioni crociate. Ei non sentiva, non voleva, abborriva da questa guerra: egli legato ai tedeschi di stretto e regio patto, e da simpatia, egli che avea sorbito la politica di quella corte, egli marito ad una austriaca, non poteva decidersi a mandare i suoi cannoni, le sue navi, i suoi reggimenti contro l'esercito austriaco. Ben'egli inviò alcune migliaia di uomini, ma lentissimi furono i movimenti dell'armata a segno che dopo lungo viaggio giunse, ed appena giunta tornossene di nuovo. — La libera stampa smascherava tutti i vizii di un ministero che s'era fatto l'organo del despota, oltre a ciò coll'invito della satira e del riso diffondeva per tutte le classi sensi di liberalismo: v'era chi predicava all'ultimo popolo onde educarlo alle libere istituzioni e fare ad esso intenderne i vantaggi — eran due — uno, un tal Viscusi, uomo che oltre ad un'eloquenza plebea non aveva altro merito; costui alle volte arringava il popolo in sulle generali, e senza farlo migliore lo facea piegare al suo intendimento, gli si mettea a capo e percorreva con esso la città; aggiungi che la qualità di gran popolano gli dava adito alla corte, ed il re lo vedea spessissimo — quest'ultima circostanza farà conoscere appieno l'animo e le massime di costui. — L'altro fu Angiolo Santilli — nato in Terra di Lavoro, ricco di dottrine politiche, che ad una veemente e generosa eloquenza accoppiava la limpidezza delle idee, l'onestà di un'anima vergine e le fiamme d'un cuor liberalissimo. Costui toccava le corde dei cuori: costui faceva alla plebe la spiegazione del vangelo e della libertà: religione e liberalismo, fratellanza e amore, ecco i santi principii su cui si volgeano le sue prediche che commovevano ed istruivano, quelle prediche nelle quali trionfando chiarezza e forza di principio, sono adatte all'intendimento di tutte le classi. Giovane infelice! il tuo assassinio e quello di tanti virtuosi, ha provocato l'ira divina, ha aguzzato le ire cittadine che già s'aggravano sul tiranno e lo minacciano. Angiolo Santilli, genio nato a dirozzare e ad illuminare la plebe napolitana, era una delle cause primarie che fecero vedere al re come le sue malizie erano sventate, come la sola buona fede ed il buon volere in un principe può farlo andare d'accordo con un popolo libero ed avviato pel completo incivilimento: e Ferdinando designò una controrivoluzione e si diè all'opera. — Più volte fè correre sinistre voci d'allarme e fè uscire truppe e cannoni; altra volta dietro l'espulsione dei gesuiti incitò la plebe per mezzo dei suoi emissarii facendo credere che si dimandava la dissoluzione del convento dei Carmelitani, e l'abolizione del santuario la di cui custodia a quei padri è affidata: questa mena ebbe effetto, giacchè i lazzari levati in massa e frementi si gittarono per le vie e giunsero innanzi il palazzo reale usando violenze a quanti scontravano per le vie e venendo a conflitto colla guardia nazionale. Poco mancò che questo tentativo non avesse raggiunto il suo scopo. Ma la guardia nazionale sventò le congiure e sorprese vari carri di sassi con superficie formata da strati di aranci; così il buon talento dei cittadini e la vigilanza della guardia civica non gli diè agio per lungo tratto di mettere ad esecuzione i suoi disegni di sangue, ed egli ne fremè, e su quella faccia di reprobo il Signore lasciava le tracce del suo infernale rancore: in ultimo egli risolse di assumere esso medesimo il carico d'una controrivoluzione e ne aspettò il momento. Intanto con ogni blandizia procurò prepararsi gli animi dei suoi soldati — parlava ad essi familiarmente, accordava ogni petizione, dava tutto quello che gli chiedevano — e così, lasciava loro travedere, avvicinarsi occasione in cui avrebbero avuto da fare; star pronti; come star pronto egli stesso alle largizioni ed ai premii.
Nè men pensiero gli davano le truppe spedite in Lombardia: aveva designato il tiranno con quelle fare alcun colpo che gravemente danneggiasse la cosa italiana. Egli pensava: quindicimila uomini o che proditoriamente o inerti o a rilento operassero, precipitare le cose o arrestarne il corso: in ultimo avendo il disopra casa d'Austria, egli conchiudeva, quelle truppe sarebbero state l'ultimo crollo alla causa italiana, quindi trionfalmente avrebbero percorse le terre soggiogate ed una buona mano di Tedeschi (giacchè Ferdinando aspettava grossissimi rinforzi che la testa piccolissima dell'alleato confederato imperatore promettea) colle truppe sarebbero tornati in Napoli ove egli avrebbe con prudenza disposte le cose. — Quindi quella Costituzione che era ai suoi occhi un pensiero molestissimo, sarebbe stata revocata, oppure ristretta ai limiti angusti delle Costituzioni della decrepita Europa, cioè a quelle Costituzioni che a fronte del despota non fanno altro che accusarlo d'illegalità, senza prevenirne le violenze, o validamente opporsi al suo arbitrio, quelle Costituzioni che l'incivilimento e la giovine Italia non può riconoscere, poichè ha mostrato come sà spargere il sangue. I sacrificii cui volenti si sottopongono tanti generosi è la prova della sviluppata potenza degli animi italiani, e l'iniziativa d'istituzioni liberissime a cui sono avviati. Ma codesti disegni gli vennero attraversati: giacchè se è maravigliosa la costante attività del tiranno con cui và rannodando le fila che qua e là si spezzano, sublime è la mano del Signore che non gli permette che trionfino le arti subdole ed infernali quando i popoli contro i quali congiura, sono virtuosi ed arditi. — Re Ferdinando s'ingannava quando tenea per certo essere quelle truppe stromento di trionfo alla causa tedesca; il comandante supremo di quelle era il general Pepe sul conto del quale non dirò altro che di animo ardente e vigoroso, accagionato dei malaugurati avvenimenti del 1821, ad ogni costo volea riscattarsi nella pubblica opinione col battersi contro quel tedesco contro cui nol potè dianzi, e provare qui, in Italia, al cospetto del cielo medesimo, che non animo italiano gli mancava, nè animo agl'Italiani mancava, ma dal dito di Dio non esser indicata quella come l'ora del nostro compiuto riscatto. È dettato notissimo, che Dio non paga il sabato, e mal s'appongono quei tiranni che, passato il sabato, credono per sempre passato il giorno dell'ira celeste e della redenzione dei popoli. Le truppe napoletane una volta tolte alle sozzure della loro giornata, ed all'influenza malefica che esercita la presenza del loro corruttore, le arti di quest'ultimo riescono tarde, e l'aspetto del territorio italiano e dei generosi suoi popoli sarebbe stato per essi un battesimo, sarebbe cominciata una nuova vita, avrebbe trionfato la sublime scintilla che il Signore diè alle anime italiane, e l'incontrastabile valore dei Napoletani avrebbe trovato nuova energia nello sviluppo dei sacri principii ai quali Ferdinando II preclude il loro intelletto: di tuttociò egli si avvide, e capì ch'era ben tempo di richiamarle. Il pretesto? un voluto tentativo dei repubblicani, quindi ansiosamente ne aspettò il momento.
Egli trovò l'opportunità d'una controrivoluzione nell'inaugurazione stessa della Rappresentanza nazionale, come nelle pratiche devote e nel tempio di Dio ha tante volte cercato la corruzione dei popoli napolitani.
IV NOTTE DEL 14 AL 15 MAGGIO.
Cadeva il giorno 14 maggio.
Erano già compiuti i parati delle Camere legislative, ed il tempio di S. Lorenzo era pomposamente apparecchiato per l'inaugurazione della Rappresentanza nazionale. — Il popolo napolitano come è suo uso aspettava con ansia il giorno 15; le classi pensanti come quello che fosse l'iniziativa della sovranità popolare, e la plebe lo considerava come quel giorno in cui avrebbe veduto affaccendarsi tanta gente, avrebbe sentito tanto romore, si sarebbe gettata nella folla per vedere anch'essa qualche cosa, ed avrebbe potuto legittimamente bere e far baldoria. Gli spiriti erano calmi, i buoni vedeano nella prossima apertura del Parlamento il termine di molte oscillazioni politiche, e gli ardenti che conosceano l'entità ed il buon voler dei Deputati, sedavano gli spiriti, lieti che nelle elezioni avesse trionfato la opinione pubblica; insomma l'intera popolazione napolitana tranquillamente chiudeva la sua giornata.
I Deputati si riunivano a deliberazione preparatoria nella sala di Monteoliveto: era uscito in sulla sera del giorno antecedente un cerimoniale che annunziava la solenne inaugurazione, e ne indicava il rito; nessuna partecipazione erasi fatta ad essi, nè ancora proceduto alla verificazione dei mandati che li costituivano deputati del popolo — oltre a ciò il programma del cerimoniale annunziava che dai deputati e dal re si sarebbe giurata la Costituzione del 12 febbraio senza veruna condizione, mentre essendosi riconosciute le imperfezioni dello Statuto con decreto del 3 aprile erasi dato al Parlamento la facoltà di svolgerlo e di fecondarlo: l'obbietto della seduta era deliberar qual condotta tenere nella circostanza, sopratutto chè essendo imminente l'ora del giuramento pareva una sorpresa la pubblicazione di quel cerimoniale in cui s'obbligavano i Deputati giurare in conformità del regio volere, e contro il mandato della nazione, mandato nel quale era indicato il contenuto del giuramento da darsi: in tutto ciò chi non riconosce nel re Ferdinando l'iniquo talento di presentare l'occasione di una contesa? se il Ministero gli avea notificato l'inconvenienza dello Statuto e la necessità di riformarlo, con quale intendimento egli prescrisse al collegio dei Deputati una formola insidiosa? egli si aspettava un'opposizione, come infatti dopo molto discutere ne fu compilata una nuova, nella quale si proponeva il giuramento in conformità del decreto del 3 aprile, quindi fu mandata al presidente dei ministri che la fè presentare al re per mezzo del signor Conforti ministro dell'Interno. Questi, poco appresso ritornò presentando all'adunanza un'altra formola compilata dal re: — fu votata e rigettata, perchè più chiaramente proibiva altro giuramento che quello indicato nel cerimoniale pubblicato il dì innanzi. — Di questa risoluzione si dette avviso al presidente dei ministri e lungamente s'attese una risposta che finalmente giunse. Che avea fatto Ferdinando in quel tempo?
Avea raccolto intorno a sè Domenico Merenda, il general Filangieri ed il general Nunziante; ed avea detto loro: è venuto il destro di fiaccare l'orgoglio dei Napolitani, e di dissipare il nembo che minacciava di farmi divenire il giuoco della volontà sfrenata di codesti ribelli — se seppero strapparmi una Costituzione saprò ritorgliela ben io, o darla come va fatto; una volta per ciascuno; allora io era affaccendato colla Sicilia, ora son re, sì son re; giacchè non si è mai re quando non si può fare da sè. — Quindi si venne a consiglio — le fila tese sin allora erano intatte — gran numero di spioni stavano desti — avvertiti e pronti alcuni comandanti della guardia nazionale, giacchè tra le malizie di Ferdinando vi era stata quella che avea dato facoltà alla guardia nazionale di dare i gradi per votazione ma fino al grado di capitano, restando a lui formare gli uffiziali superiori e dare ad esse i capi; e ad uffiziali superiori avea nominato in gran parte i suoi zelatori e le sue spie[4]; la truppa educata all'ira, aizzata contro i liberali, anelava anch'essa far sangue: d'altra parte era poco il numero degli arditi che al grido delle barricate fossero corsi, e questi bisognava spegnere: in ultimo le masse non eran preparate alla rivoluzione, e la plebe sempre favorevole a chi tien più oro, e a chi trionfa, per cui il colpo in quel momento avrebbe ottenuto esito felice: si formarono le liste di quelli che erano designati alla strage, si fè il piano d'operazione e si diè principio.
Si lasciarono uscir le truppe dai quartieri, e da un'altra parte si compilò un nuovo cerimoniale accettabile e fu inviato alla Camera dei Deputati per mezzo del prefetto di polizia; accettabile, giacchè volea Ferdinando far conoscere non per opera sua, s'era venuti a quella tremenda collisione. Esso fu discusso, e mentre si procedea alla votazione che parea risultare favorevole, si presentò il capitano della guardia nazionale signor La Cecilia, ed annunziò le truppe uscite dai quartieri ed esser pronte ad investire la Camera: giungono altri uffiziali; tutti sono agitati dalla minaccia d'una violenza, accorrono cittadini tutti in grave apprensione, comincia lo scompiglio a impadronirsi degli animi: si grida doversi difendere la santa proprietà della nazione nei Deputati del popolo: lo stato d'irritazione è al colmo; varie sono le opinioni dei Deputati, ma trionfa quella che il coraggio della Camera esser debbe coraggio civile, quindi dover affrontare una violenza con dignità ed animo composto.
Ma le truppe uscivano ancora ed occupavano le piazze, quindi si lasciò alla guardia nazionale che avesse operato da sè; d'altra parte per la dignità del magistrato, ciascuno dei Deputati votò in disfavore dell'ultima formula inviata dal re, per fargli intendere che fralle deliberazioni civili è reato ingiusto prepotente lo schierare la soldatesca, far balenare le bajonette, e che soldatesche e baionette non valgono a far piegare lo spirito d'un collegio legislativo, che anzi l'offesa dignità, e la minacciata libertà di deliberazione nuovo coraggio infondono in anime libere.
Al calare delle guardie nazionali dalla Seduta le spie di Ferdinando in uniforme nazionale gridano alle barricate; barricate gridarono alcuni soldati che si finsero disertori ed asserirono essere eguale lo spirito della truppa intera: io stesso vidi un caporale dei cacciatori brandire la sciabola e gridar barricate, morte al tiranno; queste voci trovarono eco nello spirito dei giovani ardenti; i nuovi arrivati replicavano l'invito medesimo: si mandò per braccia: si obbligarono i facchini dei rioni pel trasporto di oggetti necessari all'uopo: si trassero dalle case i muratori onde togliere le pietre della via e farne parapetto: per mancanza d'uomini si fecero togliere dalle ultime locande i dormienti, e con gran solerzia si diè opera alla costruzione delle barricate: invano uomini assennati prevedendo le conseguenze di un falso tentativo, o di una rivoluzione immatura, cercarono tutti gli argomenti onde distogliere gli animi da questa attitudine minacciosa, invano! chè le voci dei falsi declamatori fecero tornar inutili i nostri sforzi.
In questo eransi veduti alcuni della squadra francese unirsi per la formazione delle barricate, ed alcuni di questi s'illusero, ed illusero i poveri Napolitani a segno da promettere lo sbarco di 4000 Francesi con parco d'artiglieria; d'altra parte giungevano ad ogni istante altre guardie invitate dalla generale ed i regi declamatori procuravano di tenere gli spiriti concitati: altri volontarii si presentarono nell'idea che quella fosse una dimostrazione armata, di guisa che non essendo disposti o da congiura o da allarme antecedente o da opinione matura, pochi aveano munizione e scarsa. E quel che io scorsi nella maggior parte della gioventù accorsa, si fu che in loro prevaleva la risoluzione di fare una imponente dimostrazione contro l'attentato alla Rappresentanza nazionale, anzichè animo deliberato a un tentativo sanguinoso. Così un pugno d'uomini quasi inerme dovea affrontare la ferocia di oltre a 15,000 soldati, e il fuoco delle castella e delle altre artiglierie; castella e cannoni dovevano fulminare uomini che erano sforniti di munizione tratti alla rete preparata dalla più nefanda e diabolica malizia: non tentino i vili ed infami satelliti di Ferdinando cercare di purgarlo dall'esecrazione che cielo e terra gli fulmina contro; egli ha imposto alla Camera un giuramento contro il mandato della nazione; esso ha schierato le sue inique falangi per le vie quiete di Napoli durante una pacifica discussione, e mentre insultava ed attentava così alla sicurezza ed alla libertà della nazione, fè incitare al funesto ed intempestivo tentativo di rivoluzione quelli che maggiormente risentivano l'ingiuria di questo violento procedere. No, quando pendevano nell'alta Italia i destini lombardi e di tutta la penisola, quando ivi si combatteva la guerra santa dell'indipendenza lombarda e della nazionalità italiana, alcun napolitano non avrebbe osato movere voci di sedizione e brandire la spada della guerra civile, onde dare al tiranno appicco pel richiamo delle truppe, e togliere alla difesa dei fratelli lombardi molte migliaia di braccia; ciò sarebbe stato sommamente riprovevole, giacchè avrebbe presentato una diversione al concentramento delle forze italiane. I Napolitani col loro prudente aspettare e colla fiducia riposta in una Camera eminentemente liberale ed in un ministero che s'avea meritato il pubblico suffragio, avrebbero fatto che questi elementi stessi cospirassero allo sviluppamento ed al consolidamento delle libere istituzioni: ma fu la malizia di Ferdinando atroce e sanguinaria che maturò la caduta del ministero, la dissoluzione della Camera, ed il ritorno alla schiavitù ed alla barbarie passata, colla strage de' buoni e degli arditi che in quel giorno per la solennità eran raccolti in Napoli: oggi col cannone domani coll'arbitrio di Borbonici decreti. — Fra poco vedremo come il colpo cadde ed atroce e sanguinoso, come violenti decreti spogliarono la capitale d'ogni franchigia.... ma la Provvidenza salvò dall'eccidio gran parte dei suoi, ai quali affidò l'arca santissima della libertà; nò, i suoi fini non son raggiunti; l'offesa dignità delle province, e la guerra che i prodi Calabresi combattono chiaramente dimostrano che il genio italiano vive nei popoli delle Sicilie, e le arti d'inferno non fecero che farlo sorgere più vigoroso e sublime dalle stragi del 15 maggio 1848.
Erano le truppe per le piazze: la loro presenza avea portato l'irritazione negli animi, la loro presenza avrebbe ritardato o impedito la formazione delle barricate, quindi bisognava che fossero rientrate. E Ferdinando fè correr voce che le Camere si sarebbero aperte ed il giuramento si sarebbe differito: questo partito fu ad unanimità di voti abbracciato, e così la seduta si sciolse che già spuntava l'alba del giorno 15; alba di sangue.
V 15 MAGGIO.
Le truppe si ritirarono, la Camera si sciolse, ma il fermento restò nella via di Toledo, ove si seguitò la costruzione di nuove barricate. Da tutte parti accorrevano guardie nazionali, ma tra queste non eravi ordine alcuno — il comando non era concentrato, onde partissero le disposizioni; non governo di sorta, ciascuno faceva da sè: furono convocati gli uffiziali e molti si presentarono; parte di questi restò, altra parte si ritirò. Per le prime ore del mattino si fecero nuove barricate, quindi si ristette, e verso le nove ore tutte le vie di Toledo eran chiuse e lo sbocco dei vicoli alla via grande era custodito da qualche fazione. A meglio intendere i fatti che vanno a seguire, io credo necessario parlare di questa via che fu il campo principale della strage nefanda.
Napoli è chiusa quasi in semicerchio, da parte di terra, dai colli di Pizzo-Falcone, S. Elmo, Capodimonte, dal poggio ove è situato il palazzo della Riccia da cui piglia il nome, da Capodichino, dal quale ultimo colle attraversandosi per ubertose paludi e verzieri si giunge al mare che chiude il semicerchio. Partendo dal colle di Capodimonte, traversando il real museo e le fosse del grano comincia la via Toledo che termina col palazzo reale, il cui piede vien bagnato dal mare. La via splendida di alti palagi ove abitano i più ricchi e la più scelta nobiltà, la frequenza della gente che vi affluisce, il numero immenso delle carrozze che la percorrono, il romore delle grida, le voci dei venditori, i magazzini che la fiancheggiano splendidi d'immense dovizie, ne formano una delle principali vie delle più popolose città del mondo. Da destra a sinistra vie e vicoli mettono in essa.
Molte barricate principali la traversavano, ed altre secondarie la chiudevano dalla parte dei vicoli. — Io replico, nella guardia nazionale lo scopo della formazione delle barricate (provocate dalle regie spie) era quello di una dimostrazione. E questo vien dimostrato dal non aversi eletto un capo militare — dal lasciar passare per le barricate gran numero di curiosi, tra i quali non mancavano certamente ufficiali senza uniforme; ed in ultimo dalle munizioni scarse in alcuni, nulle in altri. — Così trascorse ancora del tempo fino a che si riunirono i Deputati di nuovo in Monteoliveto in abito di gala, mai supponendo che le cose avessero dovuto prendere un'attitudine così minacciosa, e maravigliando che non fossero disfatte le barricate, anzi trovandone delle nuove. Allora raccolti formarono delle nuove deputazioni e si intavolarono nuove trattative; ad ogni modo essi Deputati fecero affiggere per le vie e per i cantoni di Toledo dei cartelli (in quell'istante io era nelle barricate). Questi contenevano un invito alla nazione di disfarle ed aprir la via per la solenne cerimonia, essendosi differito il giuramento. — Codesti cartelli in pessimo carattere da molti non furon creduti opera del Parlamento, bensì affissi per paura nata nel cuore del re, e pigliarono ardire; altri non vollero prestare obbedienza, perchè diceano, una volta composta la nazione ad attitudine così minacciosa, tolto quel baluardo, si sarebbe stati esposti ai colpi della tirannide, che avrebbe preso una vendetta per procedere così ardito. Infelici! e' non sapevano per l'opera del tiranno essere raccolti lì, e che già era accesa la miccia dei cannoni e non s'aspettava che un segno.
Non essendovi capi, e come avviene in questi casi, tutti dissero le loro, ognun fece da se, e le barricate restarono. Intanto scorrevano momenti terribili... sì, momenti terribili.
In questo tempo io veggo passeggiare le barricate da un generale svizzero, alto e tarchiato della persona, con due occhietti grigi, seguito da un cavallo ed un'ordinanza, e circondato da molti ufficiali della guardia nazionale. La faccia di costui mi parve equivoca, un tristo presentimento mi strinse il cuore; quel volto non m'era nuovo; cercai una memoria... e la trovai: in occasione dell'espulsione dei gesuiti, ad alcuni suoi ufficiali che mostravano troppo zelo in favor della nazione egli dicea, moderandone l'ardore, prudence, prudence, nous ignorons l'avenir; ed io lo sentiva e quella cautela mi parve ed era l'indizio di un animo doppio e tale da piegare agli eventi, e farsene strumento. Ora veder costui nelle barricate spiegare un'aria di liberalismo... egli soldato del tiranno! mi fè concepire gravi sospetti; interrogai alcuni amici, che tutti lieti mi dicevano esser colui da parte nostra, io ne dubitai... allora risolutamente me gli feci innanzi e gli dimandai: Chi siete voi signore? egli rispose, Svizzero repubblicano; per favor di chi venite? egli esitò un istante, il mio contegno risoluto lo tenne un momento sospeso, ma presente a sè stesso, riprese: pel popolo! questo è il momento d'innalzarvi a nazione gigante! coraggio, io vengo da parte di sei mila Svizzeri, sei mila braccia repubblicane son per voi; animo, o valorosi! Il suo discorso fu chiuso coi plausi del crocchio che lo cingeva, ma io vedea la patria mia sul punto di divenire un campo di battaglia, per abbandonarmi a mal fondato entusiasmo; onde dissi ad alcuni ufficiali — in nome d'Iddio non ve ne fidate; se veramente è per noi, resti con noi, e mandi gli ordini ai reggimenti svizzeri. — Il mio consiglio non fu accolto, mi fu risposto che non si sarebbe abusato della fiducia d'uno che volente era venuto fralle barricate; gli aprirono un passaggio e lo congedarono con nuovi e replicati plausi. Io mi restai muto, e guardai i balconi guarniti di giovani pronti ad opporre una vigorosa resistenza e dalle barricate gioventù decisa che ad ogni istante prendeva posto sui balconi; la gente cominciava a diradare, la scena si facea da momento in momento più imponente e minacciosa; da un'altra parte v'erano in mezzo al largo di palazzo alcune migliaja di soldati; io trovai una certa sicurezza nei liberali che avrebbero avuto a lottare con armi eguali, fucili contro fucili, giacchè non si vedeano cannoni fiancheggiar la truppa. Scarsa ragione! non potevano uscir le artiglierie da un momento all'altro? pure io sormontai la prima barricata cioè quella fatta in contro al palazzo reale e mi trassi fino al largo di San Francesco di Paola, piazza messa innanzi al palazzo, e vidi i cannoni celati dietro le fila dei soldati ed i cannonieri colle miccie accese; mi ritrassi col cuore che mi si facea in brani, vedendo Napolitani approntare la mano omicida sulla macchina distruttrice che dovea fulminare i fratelli, le mura, i palazzi; spargere di terrore e di sangue le vie che tante volte aveano passeggiate, le vie della patria loro; ed i nostri che avrebbero opposto al cannone? pochi in numero, col baluardo insicuro di deboli barricate, e fiducianti in insidiose promesse; guardai il cielo... come era bello e limpido! come era raggiante il sole di maggio! Ma tra poco l'azzurro del cielo ed il disco solare sarebbe stato velato dal fumo della polvere, l'aria assordata dai colpi di cannone e dalle strida delle vittime!...
Io tornai sulle barricate, ne avvertii i fratelli miei, i miei cari fratelli, di cui tanti ho dovuto deplorare estinti; si comincia a pensare davvero; si risolve correre attorno ai quartieri ove è la truppa, rompere le vie ed impedirne l'uscita occupando i balconi adiacenti dai quali un vivo fuoco li avrebbe ricacciati nelle caserme, mentre si sarebbe consumato la rivolta a Toledo; si cominciò a mandar gente in provincia per dimandar soccorso alle guardie nazionali di là; si disponeva per aver sacchi d'arena... allorchè s'intese una archibugiata partita nessun sà da dove; il levarsi e l'accorrer delle truppe alle barricate, e il ricambiar colla nazione la fucilata micidialissima, e il tuonar del cannone, fu un punto solo.
La nefanda strage è cominciata: dalla barricata S. Ferdinando e dai balconi dei palazzi parte un fuoco micidiale diretto contro la truppa, che da parte sua risponde con fuoco non meno vivo; solo essendo la guardia nazionale in eccellenti posizioni e difesa dalle materasse collocate sulle ringhiere dei balconi, così i suoi colpi recavano danno gravissimo alla truppa che trovavasi scoperta nel largo; aggiungi che essendovi molti provinciali che tiravan sulla regia armata, nessun colpo partiva dai loro fucili senza recar morte, essendo essi educati al tiro delle armi nell'esercizio della caccia.
Nel primo cominciar del fuoco cadde ferito il generale Statella da proiettile che gli ruppe la rotella del ginocchio, e parecchi ufficiali e gran numero di soldati furono uccisi. Tosto si aprirono le fila ed uscì l'artiglieria che cominciò a battere contro le barricate, e la mitraglia che fulminava contro i balconi; ma la barricata S. Ferdinando era unicamente costruita con arte militare a segno che poco nocumento ne riceveva e del pari i balconi per la cura con cui erano difesi: così passò circa un'ora in cui il vantaggio si manifestava per la guardia nazionale, tuttochè anch'essa soffrisse qualche perdita, giacchè molta truppa in agguato dal palazzo reale tirava sopra alcuni terrazzi e balconi ove i combattenti non erano abbastanza difesi[5].
Fin dal principio dell'attacco il re avea fatto tirare tre colpi a polvere dalle castella ed inalberare bandiera rossa, ed a quel segnale uscirono di nuovo le truppe dai quartieri — eccole giungere sul luogo della tremenda battaglia con altra artiglieria; qui ricomincia un fuoco spaventevole: non v'è balcone o finestra dalla quale non si faccia fuoco, e dall'altra parte il fuoco della truppa a scariche così dette di battaglione, il fragore del cannoneggiamento, formavano di quella ridentissima piazza una scena di terrore. Il re ordina a Bouman, quello stesso che due ore prima io avea visto sulle barricate, che si avanzassero i suoi reggimenti e dirigesse l'assalto da due punti: dal largo di palazzo, e dal largo del castello onde prendere ai fianchi la guardia nazionale. Il perfido Bouman dà le disposizioni; si comincia l'assalto innanzi alla prima barricata; succede un accanito e spaventevole conflitto, una strage tremenda: Bouman per aizzare vieppiù la ferocia dei soldati, fa prendere i cadaveri dei compagni e li fa passare per la fila, e le ire crescono e più s'accendono; tornano gli Svizzeri all'assalto con più ferocia, ma con grave perdita son respinti: il largo di palazzo e la barricata di S. Ferdinando sono coperti di cadaveri. Escono i carretti e si riempiono d'estinti, escono cataletti e son coperti da feriti. Nè miglior fortuna toccava a quei che dal largo del Castello tentarono un assalto da parte di S. Brigida, e la Concezione (due vie che mettono a Toledo). Tuttochè in quel punto fossero protetti dall'artiglieria propria e dal fuoco delle castella, pure dovettero indietreggiare con grave perdita di guisa, che la truppa fino alle 2 e mezzo ebbe a contar la perdita di oltre a 1000 individui; il fuoco ristà un momento, un silenzio funebre tremendo s'impadronisce del campo di battaglia.
Intanto vogliam dire che Napoli era indifferente a questo spettacolo? no; i cuori battevano al romore del cannone, ma le masse non erano preparate ad una rivoluzione, nè questa era rivoluzione tentata dalla nazione, quivi condotta dall'invito del tradimento: presso di lei non erano armi nè munizioni; non conosceva con quale intendimento si fossero costruite le barricate, nè perchè la guardia nazionale si fosse posta a difesa di esse, ed in ultimo attaccato il fuoco, maravigliava come si battesse colla truppa; la rivoluzione suole seguirsi o per opinioni mature, o per setta o congiura antecedentemente apparecchiate, nè il popolo napolitano fremea per concordia d'ire, nè per lega d'opinioni.
Intanto i generali ricorrono al re, gli espongono lo stato delle cose: un pugno di uomini collocati in sui balconi trionfar di parecchie migliaja, mancare le munizioni, la diffidenza insinuarsi negli animi. Ne fremè il Borbone, e tosto disse a diversi comandanti dei corpi: fate uscire artiglieria grossa, battete mura e porte, ed ai soldati dite, che queste vie sono abitate dai più ricchi, e tutte le dovizie che troveranno nei palagi espugnati saranno premio della vittoria: intanto si puniscano i colpevoli ed in modo visibile. Vi fu alcuno che d'animo men tristo, fè osservare che con tali disposizioni le ire potrebbero traboccare con maggior violenza ed i soldati inferocire con ogni specie di baldanza e di licenza: impazientito il sovrano riprese: si sa che il soldato non è frate — e li accomiatò: quindi chiamò il magazziniere della polvere, per nuova distribuzione di munizioni: costui a quel comando trasalì pensando a che sarebbero impiegate l'altre che gli venivano richieste; ma sperando poter impietosire l'animo di Ferdinando, esitò alcun tempo ed accusò la dispersione di chiavi: allora l'altro cavata di tasca una pistola gliela puntò sulla faccia, intimandogli pronta resa delle chiavi se non volea restar morto, l'altro obbedì.
Intanto s'era tornati all'assalto: la promessa del bottino, e la gioia feroce della vendetta inanimava i soldati; da un'altra parte la scarsa munizione della guardia nazionale toccava il suo termine, ma non v'era a chi ricorrere per ottenerne altra, ed il cannone di grosso calibro scuoteva i palazzi, sconficcava le porte e crollava le mura: già la barricata di S. Ferdinando è disfatta: già i palazzi sono aperti e la truppa s'introduce nelle case messe intorno alla reggia, e le prime atrocità si commettono sotto gli occhi del despota. Fu saccheggiato il palazzo messo sul caffè d'Europa e dall'ultimo piano furono precipitati due. Un capitano delle guardie ed un cittadino: — quest'ultimo morì immantinenti, l'altro sopravvisse alcuni secondi e colle mani palpava le parti ferite del corpo moribondo. Fu saccheggiato il secondo palazzo che mette nella via Toledo alla sinistra di chi viene dalla reale stanza, e quello della diritta che è di proprietà del principe di Cirelli: nel primo furono uccise alcune guardie nazionali inermi che tentavano fuggire, e miseramente scannati tutti gl'infelici abitanti, non esclusi vecchi, donne, fanciulli. Nel palazzo Cirelli le guardie nazionali evasero e restarono il principe, con un suo fratello ed il figlio, che furono fatti prigionieri e tra gli scherni e gl'insulti d'ogni genere trascinati nella darsena ove sarebbero stati moschettati, se un uffiziale superiore di loro conoscenza non li avesse salvati e con estrema difficoltà..... ma quale scena d'orrori vado io svolgendo? se dovessi ad una ad una indicare le vittime dell'immane ferocia del re di Napoli non basterebbero queste poche pagine, dovrebbe empirsi un volume d'orrori.... queste nefande scene seguirono per quasi tutte le abitazioni di quella magnifica via. Non si ebbe rispetto nè per sesso nè per condizione; i combattenti dopo aver contrastato ai regii scherani i posti occupati palmo per palmo tentavano fuggire e la più parte riusciva, ma la strage ai quali eransi sottratti ricadde sugl'innocenti, giacchè la ferocia di quelle belve chiedeva delle vittime e queste furono imbelli vecchi, innocenti fanciulli e delicate giovinette. Ognuna di quelle vittime, meriterebbe una memoria di dolore, perchè il martirio fu atroce egualmente per tutti; ma stanchi di tracciare tutta una giornata d'orrori, andremo indicando alcuni dei nomi più conosciuti ed alcune delle catastrofi più distinte per notorietà e violenze.
Ecco alcune circostanze legate alle sorti di quella memoranda giornata.
VI GLI SVIZZERI.
Siccome è cagione di alta maraviglia lo scorgere nel soldato napolitano tanta attitudine guerriera, tanta bravura militare e personale e nello stesso tempo un'anima così serva e nessuna luce nel pensiero, eguale stupore si sveglierà e forse maggiore nel considerare l'indole della nazione svizzera generosa e guerriera, libera e capace di spargere tutto il suo sangue per mantenere integri i diritti della sua indipendenza, così incontro a nemico esterno come a tirannide interna, e come nello stesso tempo porzione de' suoi figli abbandoni le nevose e giganti sue vette, ove i nembi dell'inverno, e la tremenda maestà delle rupi natie par che abbiano in custodia il palladio della libertà; i costumi semplici ed intemerati dalle loro pendici, le austere virtù dei loro padri, l'alito illibato delle loro vergini, per discendere ove è lunga abitudine di servaggio, mollezza di clima, vizii ed inerzia, delitti e superstizioni, vizii alimentati da millenare schiavitù, straniera, viceregale, in ultimo indigena: ivi prostituirsi della purezza del cuore, e di quell'energia guerriera impartita ad essi dalla maestosa natura delle loro contrade, e fino di quel valore incontrastabile farne baluardo alla sicurezza del tiranno, e stromento, che collocato nelle di lui mani divien tanto più funesto quanto più deciso e feroce è il colpo che vien dal rinnegato anzichè da nemico qualsiasi. Ma una menoma frazione di rei non formerà accusa contro una valorosa ed invitta repubblica, come la bruta ferocia con cui i valorosi napolitani tolti alla guerra generale e santissima che combattevano contro lo straniero, per rivolgere le armi per la guerra fratricida (d'onde è che si è allentato il prospero corso dei trionfi italiani) ripeto, quella serva e bruta ferocia non permetterà che sul nome di liberi napolitani vada a ripiombare quell'esecrazione tutta al tiranno dovuta, che insanguina la terra delle Sicilie con quelle armi che ha tolte all'esercito italiano col pretesto d'una rivoluzione da lui stesso provocata e condotta. I reggimenti svizzeri da molti anni educati al servaggio napolitano, han dato prova di vizi turpi ed abbominevoli: i comandanti hanno confortato i Napolitani ad una rivoluzione e li hanno poscia traditi, ed i soldati sulla vinta ed inerme città hanno esercitato ogni genere di nefandità; entrando nelle case hanno ucciso l'inerme ed il prigioniero, le donne ed i vecchi: indi han saccheggiato (come ne aveano avuto licenza, anzi promessa) nella stanza stessa che suonava dell'agonia delle loro vittime; gli uffiziali stessi in case neutrali han messo a prezzo la vita di inermi cittadini; una povera donna non avendo altro da offrir loro che cibo, cibo essi presero da lei. Tanta ferocia! e contro un popolo che gli aveva amati, ed in essi avea rispettato liberali istituzioni e generosa fortezza! oh quante sciagure ci lascia a deplorare la tirannide! ma la maggiore è la corruzione dalla quale vediamo perduti i migliori.
Aspettiamo dalla Repubblica Svizzera giustizia; l'aspetta Napoli ed Italia, la reclama la civiltà Europea.
VII I LAZZARONI.
Ecco una classe del popolo napolitano, nella quale si suole riconoscere l'ultima feccia; molte bizzarre voci corrono per l'Italia e per lo straniero sul conto di costoro: ma eccone un cenno il più sincero che sappia darne.
Questa classe, nella quale si sogliono noverare i facchini, gli ultimi venditori a minuto che van per la via facendo mercato, i garzoni dei cocchieri da nolo, pescivendoli e che so io, fu per l'addietro oltremodo numerosa. L'istoria ci riporta varii fatti ne' quali si son segnalati: come la rivoluzione di Masaniello, e la resistenza che opposero nel 1799 ai Francesi nel loro ingresso in Napoli non con altra arma che quella di ben equilibrati ciottoli, che essi trattano maestrevolmente. Il progresso (di che par che al popolo napolitano non sia giunto che l'eco) pure d'assai di quei paltonieri ne formò dei piccoli mercatanti, di guisa che questa classe è sensibilmente scemata di numero. In generale il popolo napolitano è di cuore sensibile, ed egualmente lo è il lazzarone, oltre a ciò superstizioso, ed ignorante per l'influenza che i suoi re hanno esercitato su di esso: la nessuna coltura gli dà un aspetto sozzo e grossolano, mentre può dirsi di spirito penetrante, e par che abbia grande attitudine ad un miglioramento per le ragioni che andrò sponendo.
Dal 29 gennajo le classi operose e pensanti diedero opera a curare i vizii di questa numerosa frazione del popolo napolitano, e possiam dire, d'allora fino al 15 maggio non essersi bruttata d'un furto solo, vizio di che in specie si macchiava sotto i rigori della polizia passata (oggi tornata in essere); si tentò prima colle prediche e gli esempli virtuosi di maturare in essa l'opinione, per poi soggettarla ad una certa coltura. Nella catastrofe del 15 maggio cominciò di buon'ora a prendere parte per la nazione: io stesso vidi al largo della Carità, cominciata la zuffa, alcuni lazzari disarmar quattro svizzeri a colpi di pietra, poi quando la giornata cominciò a pigliar cattiva piega molti di loro si ritirarono: il re che dell'atroce banchetto volea avesser preso parte anche i lazzaroni, fece invitarli ad uscire colla offerta di uno scudo per ciascuno, e la promessa del bottino: così la miseria, l'abbrutimento, la seduzione potente della preda ed il prestigio del trionfo che meravigliosamente s'esercita sulla plebe, fè che i lazzaroni uscissero: il primo loro bottino consistè negli oggetti che erano serviti per le barricate, che in gran parte erano formate di panche, scanni, carrozze ed omnibus. Intanto gli Svizzeri, e con gli Svizzeri la truppa regia, saccheggiavano a man franca i palagi, togliendo per se gli oggetti più piccoli, come argento, oro, gemme, ed invitavano i lazzaroni pel saccheggio d'oggetti di maggior volume; pure in questo spettacolo di depravazione e delitti i lazzaroni salvarono qualche vittima dall'eccidio: per altro la trionfante tirannide di nuovo gittò la trista classe nei mal repressi vizii, e disperse ben presto quei pochi semi di virtù che lo sforzo dei liberali avea tentato di far germogliare in essi entro spazio di tempo così corto.
VIII UN PARRUCCHIERE DI VIA S. BRIGIDA.
Da quel che ho detto, si può facilmente intendere che un pugno d'uomini avea dato prove di un valore che ben poteva dirsi eroismo; con poca munizione, disgiunti gli uni dagli altri, senza capo, e traditi opposero una resistenza prodigiosa, e la battaglia tremenda non cessò che colle tenebre. Però in mezzo a tanti fatti di bravura è a rammemorarsi la resistenza disperata d'un giovane che dal balconcino della sua bottega (giacchè era un parrucchiere) sosteneva contro gli Svizzeri un fuoco accanito: sotto i suoi colpi furono visti cadere due uffiziali e qualche soldato: un gran numero di fucilate si dirigono contro di lui, ma la sua materassa lo salva, mentre ogni colpo che parte dal suo archibuso uccide. Vedendo ciò gli Svizzeri si gettano sulla porta della sua abitazione; a colpi di accetta la sfasciano, irrompono nella stanza ove lo rinvengono parato ad un'ultima lotta: gli impongono di rendersi e consegnare l'archibuso; nò, risponde, l'arma affidata a me dalla nazione sarà tolta al mio cadavere; dopo breve lotta l'infelice cadeva sotto colpi replicati.
IX VASATURA.
Un'altra vittima, una giovinetta non ancor giunta ai quattro lustri! in quell'età in cui la vita è bella di sogni e di speranza. Ohimè! la poesia non dipinse un fiore calpestato da orma selvaggia, o spogliato delle sue foglie dall'uragano, no non pinse un fiore sì bello che ti somigliasse; il vergineo tuo petto fu aperto dalle baionette svizzere, mentre senza alcun fallo genuflessa dimandavi il dono della tua preziosa esistenza.... così gentile, con quel viso d'angelo, con quelle mani giunte, col pallore d'una nuvoletta che si innalza, quali belve non avresti fatte pietose? ma la ferocia immane dei satelliti borbonici nei tuoi vezzi, nel tuo terrore trovarono novella esca alle loro ire mostruose. Le tue vergini e soavi sembianze irritarono viepiù i tuoi assassini, siccome la tua bell'anima contrastava con quei sozzi scherani grondanti sangue: non ti valsero condizione e ricchezze, innocenza e beltà: il tuo martirio fè tornare il tuo spirito fra gli eletti ond'erasi dipartito.
X SANTILLI.
Nel dì 14 maggio Angelo Santilli predicava al popolo napolitano per l'ultima volta, ed il popolo commosso plaudiva e piangeva; era la luce purissima del Vangelo che splendeva ad essi; era quel raggio celestiale che Dio ha lasciato nell'anima delle sue creature, onde talvolta riflettervi la sua immagine, fecondare lo spirito, e fargli sentire a traverso dei suoi vizii quale Ospite chiuda in sè: oh come è potente il grido del filosofo che del liberalismo forma una religione, e alla religione del liberalismo ognuno sente essere il più sacro dei doveri offerire il suo braccio sul campo di battaglia e sè stesso al martirio. Angelo Santilli maledetto e odiato dal tiranno come quello che gli rapiva degli schiavi ad ogni sermone, fu designato alla strage. Un non so che di sublime e di malinconico in quel cuore palpitante d'amore di libertà e di religione, si diffondeva in quel dì nelle sue parole ispirate.
Tornato a casa ammalò e tutto il quattordici e la notte appresso fu sorpreso da parossismo di febbre ardentissima. In letto giaceva quando sentì i colpi del cannone e della fucilata a segno che l'alterazione delle sue facoltà appena gli fè intendere l'olocausto che s'immolava alla tirannide. Due giovani fratelli, la sorella, la fantesca atterriti dal moschettio che seguiva sulla via, se ne stavano intorno al suo letto spaventati. Le sue finestre eran chiuse, da esse non s'era fatto fuoco, non v'era motivo all'assassinio, ma gli ordini erano stati precisi, ed indicato l'infelice a segno, che s'andò cercando la casa del Santilli: si ruppe la porta del palazzo e violentando l'entrata delle sue stanze, si fè fuoco su di tutti; il colpo che toccò ad Angelo Santilli fu aggiustato con sicurezza e prevenzione, così ferito al cuore morì sull'istante. Tolto dal suo letto insanguinato fu trascinato fino alle scale ove fu lasciato; due fratelli ed una sorella subirono la sorte medesima, e la fantesca mortalmente ferita, morì dopo alcuni giorni allo spedale dei così detti Pellegrini.
Così veniva trucidato Angelo Santilli nella verde età di 27 anni!
XI PALAZZO GRAVINA.
Questo palagio da alcuni anni di pertinenza della casa Ricciardi, può dirsi essere stato l'unico in Napoli che avesse conservato maestà d'architettura di marmi e di fregi, e l'indole degli antichi palagi feudali: di un perfetto quadrato isolavasi da tutti i lati dalle contigue abitazioni. Replico in arte s'era detto modello, se non che da alcuni anni lo spirito d'economia invalso in tutti i fabbricati ne avea fatto sollevare l'altezza delle mure ed aumentarne i piani, come a terreno eransi aperto dei magazzini da locarsi a merciaiuoli ed artigiani. Quivi si attacca un fuoco vivissimo, ed ivi guardia reale e svizzeri patirono considerevoli perdite a segno che un solo palagio ben tre volte li fè retrocedere, se non che il sopravvenire continuo di rinforzi ed il cannone che cominciò a battere contro alla porta principale fecero infine cadere il palazzo nelle mani della regia truppa: da un'altra parte fu lanciata sul tetto una palla incendiaria che al momento sortì il suo effetto. Il tetto cominciò ad ardere e le fiamme ben tosto si comunicarono agli appartamenti sottoposti; nell'istesso tempo gli scherani di Borbone tutto manomettevano nelle case, e siccome grande era il numero degl'inquilini così le vittime furono molte: si saccheggiava e s'uccideva spietatamente; la signora Ferrara una delle abitatrici del palazzo promise ai soldati che s'introducevano negli appartamenti dar loro gemme di sommo valore a condizione che sarebbe stata rispettata la vita dei tre componenti della sua famiglia cioè: sè stessa, suo marito, sua madre: così convenuto ella tolse da un armadio alcune cassette di gioje il cui valore era di molte migliaja di scudi: essi avidamente le presero. Però se era soddisfatta la loro cupidigia, non lo era del pari la ferocia: quindi impugnano le armi contro la di lei madre e marito e barbaramente li trucidano: ella restò sbalordita, stupida, demente: il suo stato non ben le permise d'intendere tutta l'atrocità della scena che le era sott'occhio... e smarrita e senza moto guardava i due corpi carissimi nuotanti nel sangue, allorchè ode i passi affrettati d'altra gente armata... a questi mette un grido e corre alla finestra: i lazzaroni che eran giù si commuovono allo stato di quel terrore e presentano ad essa le loro braccia e l'invitano a slanciarvisi, partito che ella accettò; quantunque fosse raccolta dalle braccia del popolo impietosito pure l'altezza del piano non permise che impunemente avesse tentato un passo così disperato e si fratturò una gamba. Queste scene di orrenda barbarie seguirono in molti punti del palazzo di cui già le fiamme si erano affatto impadronite. Quei disgraziati che tentavano salvarsi dalle fiamme erano ricacciati nell'incendio dai colpi dei circostanti soldati che si beavano dello spettacolo. — Di quel magnifico edificio non sono in piedi che le mura ed arse così, che si dubita di ricostruzione; e per parecchi giorni dalle macerie si scavarono cadaveri mezzo arsi, ed ossa disgiunte e sparse: altri erano in cenere ed invano si fa ricerca delle spoglie mortali dei Ferrara giacchè n'eran disparite fin le vestigia.
XII IL GENERALE ROBERTI.
Mentre lo spirito inorridito è ad ogni istante assalito da atroci stragi e neri tradimenti; mentre la penna quasi si ricusa ad una descrizione d'orrore al cospetto d'un principe che induce il suo popolo in un laccio funesto; d'un generale che spergiura, d'una armata che scanna i fratelli, di repubblicani elveti che fan risorger la tirannide e il dispotismo sui cadaveri dei liberali da loro scannati, pure su questa via d'esecrazione ci occorre un punto di riposo, un atto sublime di virtù siccome una zolla di rose nell'aridità d'un deserto. Il fatto che riporto non è certamente al suo luogo, considerato in ordine di tempo, ma non ho saputo ove collocarlo prima di questo punto.
Il general Roberti comandante il castello di S. Elmo fortezza che in ispecial guisa sovrasta a Napoli, fu nel 14 maggio chiamato da Ferdinando che in atto di somma confidenza gli disse. Mio fedele, domani i tuoi cannoni dovranno tuonare. Sì, rispose Roberti, onde festeggiare l'inaugurazione della Rappresentanza nazionale: ebbene, non saranno stati impiegati mai per causa più decorosa. — Ma che mi vai impastocchiando di Rappresentanza e del diavolo che se la porti? domani mi occorrerà di punire alcuni facinorosi. — Ed in qual guisa? — Coi tuoi cannoni ed i tuoi mortai. — O mio re, ripiglia il generoso soldato, indicatemi lo straniero contro di cui impiegare la mia sapienza di generale, e la mia virtù di soldato, ed io non avrò mai fatto opera più gradita al mio cuore, ma contro le mura della patria, oh! no mai, risolutamente conchiuse. — Ma io ti conosceva, per aspettarmi questa risposta, rispose Ferdinando, sei un eroe, e se lo strinse al cuore: con che cuore ognuno intende.
Noi ammiriamo la generosa fermezza di Roberti, e mentre avvertiamo ogni onorato cittadino che ne imiti la virtù sconosciuta dal restante della truppa, pure gli ricordiamo che se avesse mai a scoprire un facinoroso che cospiri contro la patria, lo sveli tosto alla nazione. L'eccessiva lealtà di Roberti, e la poca certezza di un domani minaccioso lo fecero tacere, ma se egli fosse corso col suo credito alla Camera e sin dal bel principio l'avesse tenuta prevenuta contro ciò che si macchinava in danno della nazione, si avrebbero potuto con facilità impedire gli orrori avvenuti; ma, replico, la somma lealtà di Roberti non gli fè nemmeno supporre le atrocità che designava il Borbone. Io ritorno sul principio, che è sacro dovere del cittadino indicare l'inimico comune, sia che oscuro cospiratore, sia che regnante si fosse. Innanzi al bene della patria non v'ha re, siccome nulla sta innanzi d'Iddio.
XIII IL 16 MAGGIO.
La città come terra di conquista, come espugnata, è in potere della milizia: per la via di Toledo sono schierate e bivaccate le soldatesche, i cannoni sono puntati sullo sbocco dei vicoli, grosse pattuglie praticano per gli anditi segreti. Intanto la banda militare festivamente eseguisce dei concerti, mentre la città atterrita insanguinata offre il più lugubre spettacolo — su tutti i balconi v'ha un panno bianco; sopra altri, e questi sono i più, stan materasse lacere dai colpi ivi drizzati, ed abbandonati così dopo la strage: le invetriate ed i legni dei balconi fracassati, le case deserte, le mura percosse dal cannone, le porte dei palagi traforate ed arse: le vie sono sparse di ruderi e frantumi di calcina, di sassi e delle barricate incendiate:... oh qual veste d'orrore nel dì che dovea seguire la solenne inaugurazione!
Intanto la plebe è tornata a tutti i suoi vizii, e quelle poche pratiche virtuose di cui avea dato prove fin qui, è molla che compressa spicca con energia raddoppiata. Il più sucido e laido popolaccio s'impadronisce d'una bandiera regia e percorre trionfalmente la città; è un'orda strabocchevole, un'orda che deve far terrore: la più lieve occasione può far rinnovellare le nefandità del giorno antecedente. Escono le meretrici dai sozzi loro abituri e colla feccia de' ladri intrecciano danze oscene per le vie sul ritmo delle bande musicali: i soldati mescono il vino e tutti bevono; nè vale a sminuire la libidine di quest'orgia il continuo passaggio di carri funebri che van togliendo gli uccisi delle case, ed il passaggio de' feriti.
Tutti quelli che camminano per le vie d'aspetto decente sono arrestati ed obbligati a gridare viva il re. Modi più violenti si usano contro coloro che han peli sulla faccia giacchè la marmaglia osa metter loro le mani sulla faccia e strapparne i baffi di guisa che in un giorno solo tutti color che aveano barba, la raderono.
Intanto queste masse luride si gettano innanzi il palazzo reale e quivi intrecciano nuova danza, ed evocano il loro re che esce sul balcone e si delizia delle ovazioni della plebe, dei monelli e delle meretrici... E ben di queste sole classi dovrebbe essere composto un popolo, governato da Ferdinando. In mezzo a questo turpe festeggiamento scorse il mattino, ed alcune ore pomeridiane. Intanto il re non contento di ringraziare dall'alto della sua reggia i suoi fidi, risolve di uscire e popolarmente scorrere la città il giorno antecedente da lui cannoneggiata: invita l'ammiraglio della squadra francese ancorata in rada ad accompagnarlo nella passeggiata, ed il signor Baudin accetta: ed insieme festeggiati dalle laide turbe si portano nel tempio della Madonna del Carmine, a ringraziare la divinità del trionfo ottenuto! Oh Signore, i vostri templi sono stati oltraggiati da profanazione così atroce! un tiranno che conduce il suo popolo in un orribile laccio, lo lascia scannare, e compie così le sue mire nefande ed il giorno seguente viene nel tempio Tuo, nel Tuo santuario a rendere mercede a Te!!!
Ecco la religione di Ferdinando II.
XIV PREMII.
Dopo queste scene d'orrore voi aspetterete veder Ferdinando rappresentar la commedia degli altri tiranni: cioè deplorar le sciagure de' suoi figliuoli dilettissimi, punire gli autori delle nefandità del 15 maggio, versar lagrime amare.... ed altre prove della pietà dei tiranni. No, Ferdinando non ricorre a questi sotterfugi, non gli conviene di metter nell'animo de' suoi, il solo sospetto di aver mal fatto; ma eroicamente dispensa premii; a questo aumenta gradi, a quello raddoppia il soldo, a un terzo dà una croce!... sì, fino le croci fregiano il petto degli omicidi. Si riconosca però in questa condotta del monarca delle Sicilie il disegno di scindere assolutamente le classi del popolo, e far che le ire discordi divergessero dalla causa primaria delle sciagure — così invita gli ardenti a battersi, attentando alla santità della Rappresentanza nazionale, collo schierare i reggimenti; scatena l'armata sulla città col mandato di scannare in modo visibile, ed in ultimo fa uscire i lazzaroni con promessa di premio onde rubassero quel che le truppe non avean potuto rubare. Ecco adunque gli odii fraterni, e nati da ragione di sangue.
E voi che sul petto portate il segno del regio contentamento non intendete che desso somministrato dal Borbone nel dì che ha seguito una strage fratricida, è la vostra accusa e la vostra condanna, è cifra d'infamia? non vedete che ne gocciola sangue, e che sangue! su deponetelo: illusi e traditi voi stessi, foste condotti alla strage dei vostri fratelli che vi accusavano come vostri nemici; o valorosi traviati, piangete il vostro delitto e lavate il sangue di cui son tinte le vostre spade con altro sangue. Rinascete, battezzatevi nella guerra che si combatte contro lo straniero, mostrate che il vostro coraggio non è quello degli assassini: da bravi; i popoli perdoneranno, i popoli sono così generosi come astuti e crudeli i tiranni; non fate che si chiuda la giornata della gloria: non fate che Carlo Alberto coi suoi prodi raccolga solo quegli allori di cui una porzione può spettare anche a voi, perchè italiani voi pure. Sì, la fonte del gran battesimo è aperta guai se giunge a chiudersi: non andate innanzi ad un avvenire vergognoso ed esecrato. E se trionfano le nazioni quale sarà la sorte di voi ostinati? i campi di Lombardia e le città del Veneto vi reclamano: correte o prodi, vi sono ancora dei Metternicchiani a battere, sudate, ed il sangue che gronderà dalle vostre spade sarà il sangue dell'oppressore straniero, e le croci che quivi raccorrete, varranno bene la gloria, ed i plausi, che li avrete ben meritati.
XV ATTI DEL NUOVO GOVERNO.
Disfatta la guardia nazionale, atterrita la città, Ferdinando dà mano a disfare il governo passato ed a spogliar Napoli di ogni franchigia.
Annulla il passato ministero e ne ricostruisce un nuovo; un membro solo ve ne indico per giudicare degli altri, e questo è Bozzelli; maledetto dalla nazione, indegno della fiducia pubblica, egli torna al governo quando la nazione è prostrata. È disarmata la guardia nazionale, e con lei ogni cittadino a segno che è proibito possedere un fucile da caccia ed una lama qualunque. È rivocato il decreto del 3 aprile, mentre per atroce scherno dichiara il re di mantenere inalterata la Costituzione del 12 febbraio!
E tacendo mille altre disposizioni arbitrarie ed oppressive aggiungo in ultimo che viene sciolta la Camera.
A questo proposito riporterò una sensata critica d'un Deputato mio amicissimo:
Il decreto del 17 maggio dichiara sciolta la Camera de' Deputati convocata pel 15 maggio: perchè erasi «rilevato da documenti autentici, che nel disastroso giorno del 15 maggio coloro i quali erano stati eletti a far parte della Camera dei Deputati si riunivano a vestir carattere di Assemblea unica rappresentante della nazione, e si sceglieano un presidente, e procedeano a delle deliberazioni creando un comitato di sicurezza pubblica, sotto la cui assoluta dipendenza dovesse porsi la Guardia Nazionale»; perchè «non essendo ancor da essi prestato il giuramento richiesto dalle leggi, il potere assunto era tanto più arbitrario, illegittimo e sovversivo di ogni ordine civile, in quanto esso usciva dalla sfera delle attribuzioni entro cui è ristretto un Collegio puramente legislativo»; perchè «da malvagi fini era unicamente suggerita una sì turbolenta condotta, poichè la voce autorevole di moltissimi onesti Deputati non mancò di farsi udire per biasimarla come assurda ed illegale, quantunque ogni grido di ragione fosse stato soffocato da' clamori e da ogni genere di minaccia dal canto di coloro che aveano risoluto di apportare una funesta mutazione nello Stato ed evitare i disordini della guerra civile».
È poi curioso il leggere nel decreto di scioglimento, che i Deputati si sceglieano un presidente, e procedeano a delle deliberazioni. Come si volea che si fosse fatto? Se si erano riuniti, lo aveano fatto per deliberare: ed io non so se nella logica costituzionale del ministero del 16 maggio sia lecito ad una società di Deputati, che sono alla vigilia di una legale riunione, il congregarsi e deliberare: o forse sarà vietata la deliberazione a' Deputati soltanto, mentre non vi ha governo che abbia il solo nome di governo libero, in cui il dritto della deliberazione sia tolto a' semplici cittadini. Nè solamente era un dritto, ma era anzi un dovere pei Deputati il riunirsi e deliberare, quando il governo gli avea messi nella dura condizione di prestare un giuramento, a cui non si credeano obbligati dalla legge[6], e a cui non sapea adattarsi la loro coscienza.
Se dunque a' Deputati, che dalla nazione sono chiamati esclusivamente a deliberare, un onesto governo non può vietare che deliberino, non era meraviglia che essi si sceglieano un presidente di età, e poi un vice presidente, perchè una numerosa assemblea che delibera non può mantener l'ordine nelle discussioni, quando non ci sia un presidente che vegli alla regolarità delle discussioni e delle deliberazioni.
Ma quello che più parse illegale e turbolento al ministero del 16 maggio è, che in una deliberazione de' Deputati raccolti nella seconda sessione si creò un comitato provvisorio di pubblica sicurezza, da cessare dalle sue funzioni, appena ristabilita la tranquillità, sotto la cui dipendenza si mettesse la Guardia Nazionale. Questa deliberazione de' Deputati in quel momento tristissimo presenti, è stata dichiarata dal governo come l'atto di assumere un potere arbitrario illegale e sovversivo di ogni principio di ordine civile: e pare a prima vista che ragionevolmente si potesse rimproverare a quei Deputati questa imprudente e intempestiva usurpazione del potere esecutivo. Sennonchè io credo che il ministero siasi male apposto nelle sue argomentazioni, conciossiachè abbia, a caso o a disegno non so, dimenticata una circostanza essenzialissima che fa mutar faccia alla questione; ed io sono nel debito di rammentargliela, quando ai miei elettori debbo dar conto del modo come ho usato de' poteri che mi accordarono. Questa circostanza è che il cannone già rimbombava tremendo in via Toledo, e già scorreva il sangue cittadino, allorchè i Deputati sedeano per deliberare. Essi crearono un Comitato di pubblica sicurezza, perchè già innanzi aveano inviato una deputazione di cinque membri al re per tentare tutte le possibili vie, onde le discordie si componessero senza venire alla effusione del sangue; e mentre si aspettava il ritorno della deputazione, udirono il rimbombo del cannone che primo annunziò loro la guerra civile: e tanto erano essi lungi dal crederlo, che pensarono e sperarono fossero salve di artiglieria per qualche legno arrivato nel porto. Non pertanto i Deputati non perderono ogni speranza di frenare quelle ire, che non aveano potuto impedire di traboccare: in uno stato di guerra civile flagrante non era certo tollerabile, che l'intera Assemblea deliberasse per venire ad una risoluzione; onde si pensò di creare quel comitato provvisorio d'interna sicurezza, che sarebbe cessato al cessar delle ostilità. Che ci era di arbitrario, di illegittimo, di sovversivo in questo comitato, che si componea di cinque Deputati, ed avea l'incarico di avvisare a' mezzi più efficaci e solleciti per ristabilir l'ordine e la tranquillità? Un comitato che tende a turbar la pace spaventa; ma può spaventare un comitato il cui scopo è di ricondurre all'ordine un popolo tumultuante? Il governo avea ben diritto di non riconoscerlo siccome un comitato di un'Assemblea costituita, che avesse poteri speciali e legittimi; ma potea rivelare di riconoscerlo come una società di cinque uomini onesti e pacifici che la Nazione avea deputato a rappresentare gl'interessi generali del paese, che erano stati prescelti da' loro colleghi per tentare le migliori vie di prevenire tutti gli orrori e le nefandezze di cui siamo stati o testimoni o vittime? E perchè si mostri quali erano le attribuzioni di questo comitato, io prego il ministero del 16 maggio di considerare quali ne furono gli atti: non ce n'ha che un solo, un indirizzo al Comandante della piazza, col quale si mostrava il vivo dolore eccitato nei Rappresentanti della Nazione, della guerra civile già rotta, il grande interesse che essi aveano nel ristabilimento della tranquillità, e il desiderio ardentissimo di concorrere con tutti i loro mezzi perchè si cessasse dalle stragi e dal sangue: questo messaggio mal ricevuto non produsse alcun frutto, e le stragi continuarono, e il sangue corse più abbondevolmente, e finì la giornata colla strage degl'innocenti. Ecco il comitato che il ministero ha dichiarato illegittimo e sovversivo di ogni ordine civile.
E perchè sembrasse che veramente quella riunione di Deputati avesse assunto un potere arbitrario, e avesse usurpato il potere esecutivo, il ministero ha rilevato principalmente la clausola che mettea la Guardia Nazionale alla dipendenza del comitato. Se questo lo avesse fatto in istato di tranquillità e di pace, sarebbe stato certamente una usurpazione del potere legislativo sull'esecutivo: ma se il governo ritiene che quella riunione non era una Camera costituita, nè in veruno dei loro atti i Deputati han mai dichiarato di essersi costituiti in Camera legalmente riunita, era natura il dedurne, che quel Comitato dovea considerarsi come una società di uomini onesti, che già teneano dalla Nazione un carattere se non un potere, e che con questo carattere poteano bene assumere una influenza sulla Guardia Nazionale, quando la Guardia Nazionale, già in aperta guerra col governo, non più ne volea riconoscere il comando: e questa influenza intendeva esercitare l'Assemblea nel disegno di far cessare un combattimento attivissimo, il cui risultamento non so se abbia reso più saldo o più labile il potere. La differenza di condotta tra il governo e l'Assemblea mi par questa: l'Assemblea volea ristabilir l'ordine ammonendo e persuadendo, il governo fucilando e scannando.
Il ministero riconosce che moltissimi onesti Deputati non mancarono colla loro voce autorevole di opporsi a coloro che avean risoluto di apportare una funesta mutazione nello Stato e di eccitare i disordini di una guerra civile. Dunque eran moltissimi i Deputati che intendeano procedere legalmente, e non moltissimi coloro che avean risoluto una mutazione nello Stato: dunque la maggioranza nella Camera sarebbe stata per la legalità del procedimento, poichè le risoluzioni non si prendono sulla forza dei polmoni, ma sul numero dei voti. Perchè dunque il governo ha sciolto la Camera? O il governo voleva una Camera senza opposizione, vuol dire un'Assemblea di 163 deputati che pensassero tutti allo stesso modo; o il governo avea bisogno di altri due mesi di vita senza una rappresentazione, o il governo sentiva male che i Deputati non volessero rinunziare all'articolo 5 del decreto 3 aprile, che dava al potere legislatore la facoltà di svolgere lo statuto del 10 febbraio. Ed io credo che sieno entrambi questi due ultimi i disegni del governo, poichè non posso immaginare che il ministero del 16 maggio speri di verificare in Napoli in una prima legislatura quello che non si è visto mai in nessuno dei governi rappresentativi, la unanimità de' deliberanti, che si incontra solo e non sempre ne' governi dispotici.
E che sia questo il pensiero del governo, mi pare confermato dalla introduzione al decreto del 24 maggio, ove dice: «La nostra fermissima ed immutabile volontà è di mantenere la Costituzione del 10 febbraio pura ed immacolata da ogni specie di eccesso.» E in queste parole noi scorgiamo lo stesso spirito delle parole del decreto del 3 aprile: parole vaghe e generali che possono interpetrarsi in senso più o meno ampio o ristretto, e menare a conseguenze differentissime secondo le diverse interpetrazioni. Ma questo linguaggio da una parte non dichiara i principii del ministero, se pure non isvela la politica delle incertezze e delle dilazioni; dall'altra non iscioglie nè tronca le difficoltà, ma le differisce a tempo migliore.
Ecco un cenno dei tradimenti e delle stragi seguite sulla parte forse più bella della nostra Italia: io l'ho dato se non col miglior senno, almeno colla miglior coscienza non avendo esagerato o scemato in alcun modo l'esposizione dei fatti. Ecco come nell'istesso tempo l'esecrando tiranno delle due Sicilie schiacciava nella povera Napoli la mole che il progresso e il liberalismo costruiva, ed insieme recava un detrimento considerevole al fatto dell'Italia tutta.
O Fratelli miei di Napoli se avverrà mai che queste pagine vi cadano sotto gli occhi, in esse rilevate il saluto ai prodi che han durato sotto un colosso d'atrocità, l'esecrazione al nemico comune, e le lagrime che pur troppo c'è duopo versare per l'ignoranza di tanta plebe (plebe però di varie classi) ignoranza che porta con se o un servo attaccamento a quello che osa addimandarsi l'unto del Signore, o una glaciale apatia contro ogni miglioramento o sforzo che debbe condurre al supremo dei beni.
Il tiranno d'Italia invia ordini di ruine dal fondo della sua reggia che il suo terrore gli ha fatto eleggere a carcere volontario dal giorno 16 maggio, preludio dei maggiori gastighi che Dio gli prepara; già comincia a provare la giustizia celeste, a soffrirne le punizioni, ma il suo cuore è ferreo, l'animo suo non si commove. L'Italia basterà a sè stessa: un grande slancio d'ira compatta contro lo straniero, e le risoluzioni di volontà decisa, son certo la faranno trionfare dei barbari da cui vien minacciata: ma se si dovesse mai ricorrere all'intervento straniero!... Se l'atrocissimo re coi colpi aspri che reca a Napoli ed all'Italia giungesse a far sì che noi non bastassimo alla difesa nostra e della penisola, intenda il barbaro che l'Italia bastava a sè stessa, ma di essa una porzione sola ha sostenuto la guerra, una porzione sola e la minore, chè tutta unita è invincibile; ed esso non potrà insultarci.
Ferdinando II intende gittare sull'Italia quelle sciagure di cui la infelice fu aggravata per l'ambizione di Lodovico il Moro, ma noi l'invitiamo a considerare la fine di quel tiranno (troppo all'attuale inferiore per delitti), gli ricordiamo che l'Italia non vedrà famelici conquistatori che verranno a calpestarla, ma fratelli liberi che voleranno a congiungere le loro armi alle armi italiane, se non per difesa di una terra comune, almeno in difesa del santissimo principio di libertà, comune tra i popoli veramente inciviliti, e che stringe ad un patto gli abitatori di regioni diverse, come la religione di Cristo che ci affratella e ci fortifica.
FINE.
NOTE:
1 . Nerone. 2 . Luigi XI re di Francia. 3 . Non si voglia supporre che io intenda accusare il clero napolitano dei vizii di pochi, chè, distinte dalle colpe de' rei, han risaltato con più splendore le virtù dei buoni. 4 . A spiegazione di quel che dico, mi giova dichiarare che tra i comandanti della guardia nazionale eranvi ancora riputati e liberalissimi cittadini, come il colonnello Piccolessis, Giuseppe Avitabile, ed alcuni altri. 5 . Uno degli errori commessi dalla guardia nazionale non diretta da alcuno, fu di collocarsi alla spicciolata in diversi posti, aspettando l'inimico; al quale (forte di numero e d'artiglieria) riuscì in ultimo scannare i cittadini così sparpagliati, e mal provveduti. 6 . Il decreto di scioglimento dice, che non essendosi prestato il giuramento richiesto dalla legge, il potere assunto era tanto più arbitrario, ec.: ma qual legge esige il giuramento da un Deputato, prima che sia stato riconosciuto valido il suo mandato? In qual governo costituzionale si è visto mai, che il giuramento si presti in una qualità, prima che questa qualità sia assicurata?