Il rasoio lucente scivolava sulla gola di Sweeney, scendendo sotto il mento per grattare gentilmente all’insu, asportando schiuma e peli e lasciando una superficie morbida e liscia. Infine risalì sulla faccia.
— Prendete l’affare dello Squartatore — diceva il barbiere, mentre puliva il rasoio su una salvietta e lo riportava sulla faccia. — Ha messo in subbuglio la città e ieri sera mi ha anche fatto fermare dagli agenti.
Sweeney grugnì in tono interrogativo.
— Perché avevo con me un rasoio, il migliore che ci sia in commercio, uno Swatty; lo tengo a casa perché qui potrebbero anche portarmelo via e perciò ogni volta mi porto a casa un rasoio, e nessuno ha mai avuto niente da dire. L’ho messo nel taschino della giacca e la punta si vedeva, e guarda tu se un poliziotto non mi ferma per la strada e comincia a far domande. Per fortuna che potevo dimostrare di essere un barbiere, altrimenti mi avrebbe portato dentro senza discussioni. Ma ci è mancato proprio poco. Anche perché tutti dicono che lo Squartatore deve essere un barbiere. Ma non lo è di certo.
Il rasoio grattò nel contropelo e Sweeney domandò: — Come fate a saperlo?
— Le gole. Un barbiere che diventasse matto taglierebbe le gole: tutto il giorno si hanno davanti delle persone con la gola nuda ed esposta e il mento all’indietro e uno non può fare a meno di pensare come sarebbe facile e… insomma, capite!
— Capisco. Anche voi avete provato qualcosa del genere — rispose Sweeney. — Spero che oggi non abbiate di questi impulsi.
— No, non abbiate paura — ridacchiò il barbiere — ma certe volte, così a un tratto… sapete com’è, vengono certe idee in testa…
— A voi! — replicò Sweeney. Il rasoio grattò ancora.
— Una delle tre ragazze che ha ammazzato — continuò il barbiere — lavorava a pochi passi da qui, nel locale all’angolo.
— Lo so — disse Sweeney — stavo andandoci. La conoscevate voi?
— L’ho vista diverse volte, abbastanza da riconoscerla quando hanno pubblicato la fotografia sul giornale. Ma non vado in quei locali molto spesso, coi miei incassi. Senza accorgersene uno si trova con cinque o dieci dollari di meno fra le mance, il bere e il resto. Non che io non sia pronto a spendere cinque o dieci dollari per ottenere qualcosa di più di una «conversazione» con una donna, dato che di chiacchiere ne sento abbastanza tutto il giorno! I seccatori che si siedono su questa poltrona! — E picchiettando sulla faccia di Sweeney un panno umido e caldo, continuò: — Ma, in ogni caso, lo Squartatore adopera un coltello invece di un rasoio. Si potrebbe certo usare anche un rasoio in quella maniera, ma mi pare che debba essere troppo difficile tagliare così profondamente come fa lui, perché si dovrebbe sfilare il manico per avere una buona presa nel tagliare e allora sarebbe quasi impossibile portarlo con sé. Anche perché, se qualcuno lo vedesse, sarebbe come una confessione. Io credo che adoperi un temperino, e di misura piccola, che possa essere portato tranquillamente: uno di quelli importati prima della guerra, con la lama di vero acciaio, in modo da essere affilata come una lama di rasoio. Debbo tagliarvi i capelli?
— No — rispose Sweeney.
— Voi che cosa credete che usi lo Squartatore? Un coltello o un rasoio?
— Mah… — rispose Sweeney, alzandosi. — Quanto vi devo? — Pagò e uscì nel torrido sole di agosto, dirigendosi verso l’indirizzo che aveva letto sul giornale. Il locale aveva un aspetto scintillante: le scritte al neon, di un rosso malinconico nel sole, proclamavano che quello era il locale di Susie, dove le vetrate esagonali erano riparate all’interno da pesanti tende, e portavano in mostra pudiche fotografie rappresentanti impudicissimi esemplari di femminilità. Se ci si provava, dai vetri sfaccettati si poteva anche guardare nell’interno. Ma Sweeney non provò: spinse addirittura la porta ed entrò. C’erano fresco e oscurità, e mancavano i clienti. Un barista ciondolava ozioso dietro il bar, all’estremità del quale sedevano due ragazze, vestite una di rosso e l’altra di paillettes biancodorate. Nessun bicchiere appariva davanti a loro, e tutti si voltarono a scrutare Sweeney, quando entrò.
Egli sedette su uno sgabello a metà del bar e posò sul banco un biglietto da cinque dollari. Subito il cameriere si avvicinò, e la ragazza vestita di rosso si preparò a scendere dal proprio sgabello. Il cameriere la superò in velocità e Sweeney fece in tempo a chiedergli whisky e selz, prima che quella, ormai sullo sgabello vicino a lui, esclamasse: — Ciao.
— Ciao — rispose Sweeney. — Sola?
— Questo devo dirlo io, tocca a me. Mi puoi offrire da bere, se vuoi.
Sweeney annuì, mentre il barista stava già riempiendo il bicchiere, per poi allontanarsi discretamente e lasciarli in solitudine. La fanciulla in rosso rivolse a Sweeney un sorriso luminoso. — Sono felice che sei venuto. È stato sempre un mortorio oggi, da quando sono arrivata. Andiamo a sederci in uno dei salottini? Mi chiamo Tess, te lo dico, così ci siamo presentati. Su, andiamo in un salottino, e Joe ci porterà…
— Conoscevi Stella Gaylord?
Troncando la frase a metà, la ragazza fissò Sweeney, e domandò: — Non sei un altro poliziotto, vero? Qui pullulavano, dopo quanto è successo a Stella.
— Allora la conoscevi — disse Sweeney. — Bene. No, non sono un poliziotto, sono un giornalista.
— Uno di quegli altri. Posso bere, per piacere?
Sweeney assentì, e il cameriere, che non si era recato poi molto lontano, accorse subito a versare.
— Parlami di Stella.
— Parlarti come?
— Tutto quello che sai. Pensa che io non abbia mai sentito parlare di lei. Tanto più che, agli effetti pratici, veramente non ne ho sentito parlare, perché non ho lavorato al caso, quando è avvenuto. Ero in vacanza.
— Oh, e adesso ci stai lavorando?
Sweeney sospirò: doveva soddisfare la curiosità della ragazza, prima che lei potesse soddisfare la sua. — Non per il giornale — disse — debbo scrivere la storia per una rivista di cronaca nera e romanzi gialli. Non solo di Stella, ma di tutto il caso dello Squartatore. Ma la potrò vendere solamente quando il caso sarà risolto, perché gli editori non si occupano di casi rimasti insoluti. Però voglio essere pronto a scriverla subito e voglio avere tutti gli elementi, non appena il caso sarà risolto.
— Oh, vedo. E pagano bene per racconti come questo, non è vero? Quanto c’è per me?
— Un altro bicchiere — disse Sweeney, con un cenno al barista. — Senti, sorella, io andrò a parlare con almeno cinquanta persone che abbiano conosciuto Stella e Dorothy e Lola e anche con i poliziotti e con i giornalisti che si sono occupati della faccenda. Non ti sembra che sarei in un bel pasticcio se dovessi distribuire a tutti un pezzettino del guadagno? Anche se il caso venisse risolto e io vendessi il racconto, ne uscirei senza un soldo per me, ti pare?
La ragazza rise. — Tentar non nuoce!
— Certamente no. E, tanto per informarti, ti dirò che se saprai darmi indicazioni per risolvere il problema, a te darò una fettina. Non conosci per caso l’assassino?
La ragazza assunse un’espressione dura. — Se lo sapessi, caro mio, lo saprebbe anche la polizia, perché Stella era una brava ragazza.
— Parlami di lei: qualunque cosa. Quanti anni aveva, di dove veniva, che cosa voleva, a che cosa assomigliava: tutto.
— Non so quanti anni avesse, credo fosse sui trenta. Veniva da Des Moines, e una volta mi ha detto che era arrivata cinque anni fa. Ma io la conoscevo solo da un mese.
— Sei stata tu a entrare qui, un mese fa, o lei?
— Io: lei c’era già da due mesi circa. Io prima ero da Halsted, che per tanti lati era peggio di questo, ma io ci facevo più affari. Però c’erano sempre guai, santo cielo, e io non li posso soffrire. Io vado d’accordo con la gente, se la gente va d’accordo con me. Io non comincio mai…
— Torniamo a Stella — interruppe Sweeney. — Che cosa sembrava? Com’era? Ho visto la fotografia sul giornale, ma non era molto chiara.
— Lo so, l’ho vista. Stella era molto carina. E aveva una bellissima figura; aveva anche cercato di fare l’indossatrice, una volta, ma bisogna avere degli appoggi. Era sui trent’anni, gli occhi azzurri, i capelli biondo-scuro. Avrebbe potuto tingerli, ma non voleva.
— Ma lei, dentro, com’era? — insisté Sweeney. — Che cosa voleva fare?
Il vestito rosso si strinse nelle spalle. — Che cosa cerchiamo di fare tutti quanti? Tirare avanti, no? E come faccio a sapere come era dentro? È una bella pretesa da parte tua! Cosa ne diresti di bere qualcosa?
— Subito — disse Sweeney. — La notte della sua morte, tu eri qui al lavoro?
— Sì. Ho già detto ai poliziotti quello che ne so.
— Dillo anche a me.
— Ha fatto un extra. Cioè dopo le due di mattina, perché qui si chiude alle due. Era un tale che è arrivato verso le dieci o le undici ed è rimasto a parlare con lei per più di mezz’ora. Non l’avevo mai visto prima e non l’ho più visto dopo.
— È venuto a prenderla alle due?
— Doveva andare lei a trovarlo non so dove. Credo al suo albergo. — Si volse a guardare Sweeney. — Non è una cosa che facciamo per chiunque, ma qualche volta, se uno ci piace, perché no?
— Perché no? — ripeté Sweeney. — E poi con le percentuali che prendete qui non fate grandi affari.
— Non tanto da vestirci come ci vestiamo. E tutto il resto. Non è un gran posto, ma ce ne sono di peggio. Per lo meno possiamo scegliere quelli che ci piacciono e riceviamo venti o trenta proposte al giorno. — Gli sorrise con impudenza. — A quest’ora non succede spesso, però. Tu saresti il primo, quando ti deciderai.
— Se mi deciderò — disse Sweeney. — Ti ricordi quel tale con cui doveva incontrarsi?
— Praticamente no, perché non ho notato niente in lui. Dopo che era uscito, Stella tornò da me, che ero rimasta sola per caso per pochi minuti e mi accennò che avrebbe dovuto rivederlo dopo le due e mi domandò che cosa pensassi di lui. Bene, io l’avevo appena guardato mentre era seduto con lei e tutto quel che ricordavo era un tipo molto normale, vestito di grigio, mi pare. Né vecchio né giovane, né alto né basso, né grasso né altro di speciale, se no lo avrei ricordato. Non credo che lo riconoscerei, vedendolo.
— Non aveva la faccia rotonda e un paio di grossi occhiali?
— Non ricordo. Non potrei giurare di no. Ma ti dirò una cosa: nessun altro qui lo ha notato o ha qualche idea in merito. Questa è l’unica certezza che i poliziotti hanno tirato fuori da tutti. È inutile chiederlo a George al bar o a Emmy, la ragazza vestita di bianco. C’erano tutti e due, quella notte, ma non sanno niente più di me.
— Aveva nemici Stella?
— No, era una cara ragazza. Anche noi che ci lavoravamo insieme le volevamo bene, e anche il padrone, che è tutto dire. E, per risparmiarti la prossima domanda, ti dirò anche che non c’era nessun uomo veramente importante nella sua vita e non viveva con nessuno. Non che non andasse via qualche volta con una valigetta per due o tre notti, ma non viveva con qualcuno seriamente.
— Aveva una famiglia a Des Moines?
— Un giorno mi ha detto che i genitori erano morti, e se aveva altri parenti non ne ha certo mai parlato. Ma non credo che ne avesse di prossimi.
— Viveva nella West Madison, secondo l’indirizzo pubblicato. A pochi passi da qui, vero? Che cos’è, un albergo o una casa privata?
— Un albergo, il “Claremore”. Una porcheria. Posso bere un altro bicchierino?
Sweeney schioccò le dita verso il cameriere. — Anche per me, questa volta. — Spinse indietro il panama sulla testa. — Senti, Tess, mi hai detto che cosa faceva e cosa appariva. Ma che cosa era in realtà? Che cosa la interessava davvero, che cosa voleva?
La ragazza in rosso alzò il bicchiere scrutandone il contenuto. Poi, per la prima volta, fissò apertamente Sweeney. — Sei un bel tipo, tu. Credo proprio che mi piaceresti.
— Che esagerazione — rispose Sweeney.
— Mi piace anche il modo con cui dici così. Prendi in giro come un demonio, eppure… non so neanch’io che cosa voglio dire. Nel nostro mestiere si incontrano tutti i tipi di uomini e… — Rise leggermente e vuotò il bicchiere, poi continuò: — Immagino che se io fossi stata uccisa dallo Squartatore, ti saresti preoccupato di scoprire che cosa interessava a me, che cosa io volessi realmente. Avresti… oh, al diavolo!
— Ormai sei adulta, non una ragazzina — disse Sweeney — non te la prendere. Mi piaci anche tu, davvero.
— Sì, certo, certo. Io so bene quel che sono, perciò è meglio passarci sopra. Ti dirò quello che Stella desiderava: un istituto di bellezza. In una cittadina piccola, lontano da Chicago. Puoi riderci sopra, ma era per quello che risparmiava denaro, proprio per quello. Aveva già messo via un po’ di soldi, facendo la cameriera, e poi si era ammalata e aveva consumato tutto. Questo mestiere non le piaceva, come alla maggior parte di noi, ma ormai c’era da un anno e con un altro anno avrebbe avuto abbastanza da potersene andare.
— Aveva dei risparmi, dunque. Chi li ha presi?
La ragazza scrollò le spalle. — Nessuno, credo, a meno che non sia comparso qualche parente. Aspetta, che mi viene in mente qualcosa: Stella aveva un’amica che fa la cameriera in un posto vicino a dove è stata uccisa. È un ristorante che resta aperto tutta la notte, in State Street, un po’ più su della Chicago Avenue, dove lei andava quasi sempre a mangiare dopo le due. Io l’ho detto anche ai poliziotti che forse uscendo di qui sarà andata là a mangiare un panino prima dell’appuntamento con quel tale. O forse si è incontrata con lui al ristorante, invece che in albergo o in un altro posto.
— Non sai per caso il nome della cameriera?
Tess scosse il capo. — No, ma conosco il ristorante. È la terza o quarta porta dopo la Chicago Avenue, sul lato ovest di State Street.
— Grazie, Tess — disse Sweeney. — Adesso devo andare. — Guardò il denaro sul banco: tre dollari e qualche spicciolo di resto ai dieci da lui consegnati.
— Mettiteli sotto il materasso. Ci rivedremo, ciao.
Lei gli pose la mano sul braccio. — Aspetta, cosa vuoi dire? Che tornerai?
— Forse.
Tess sospirò e tolse la mano. — Bene, allora non tornerai, lo so. I ragazzi simpatici che mi piacciono non lo fanno mai.
Quando Sweeney uscì sul marciapiede, il caldo lo investì con una vampata ed egli esitò un momento prima di avviarsi.
Tutto quel che dalla strada era visibile dell’Hotel Claremore era una rampa di scale assolutamente inattraente. Sweeney si arrampicò per i gradini fino al sudicio pianerottolo del secondo piano, dove scorse un uomo brutto e tarchiato, che non si radeva la barba da almeno due giorni, intento a scegliere la posta su un banco. Alzò gli occhi su Sweeney e brontolò: — Pieno. Completo — poi tornò a occuparsi della posta.
Sweeney si appoggiò al banco in attesa, finché l’uomo rialzò lo sguardo. — Stella Gaylord viveva qua? — disse Sweeney.
— Dio Onnipotente, un altro poliziotto o un altro giornalista. Sì, viveva qua. E allora?
— Allora niente — rispose Sweeney.
Si volse a osservare il corridoio scuro, dove le porte perdevano la vernice, e le scale nude che portavano al pianterreno. Annusò l’aria e concluse che Stella Gaylord doveva desiderare davvero il suo negozio di bellezza per riuscire a vivere in una simile topaia.
Scrutò di nuovo l’uomo tarchiato, incerto se fargli un’altra domanda, poi decise di mandarlo all’inferno.
Voltò le spalle, scese le scale e uscì in strada.
L’orologio in mostra nella vetrina di un orefice accanto al portone gli disse che mancava un’ora all’appuntamento con Greene e Iolanda all’“El Madhouse”.
Gli ricordò anche che lui non possedeva più un orologio, così entrò a comperarne uno. Riponendo il resto nel portafoglio, domandò al gioielliere: — Conoscevate per caso Stella Gaylord?
— Chi?
— Ecco la fama cos’è! Lasciate perdere.
Appena fuori, si fece portare da un taxi in State Street: probabilmente la cameriera amica di Stella non sarebbe stata di servizio a quell’ora, ma poteva ottenerne l’indirizzo e forse altre informazioni.
Il ristorante si chiamava “Dinner Gong” e vi erano due cameriere dietro il banco, mentre un uomo in maniche di camicia, con l’aria del proprietario, stava al banco dei tabacchi, dietro a un registratore di cassa.
Sweeney acquistò delle sigarette, dicendo: — Sono del “Blade”. So che avete una cameriera che era amica di Stella Gaylord. Fa sempre il turno di notte?
— Parlate di Thelma Smith, vero? Se n’è andata una settimana fa. Aveva paura a lavorare in questi paraggi, dopo quel che era successo alla Gaylord.
— Avete il suo indirizzo?
— No. Voleva andarsene dalla città. È tutto quel che so. Parlava di New York e può darsi che sia andata là.
Sweeney tentò: — Stella è stata qui, quella sera?
— Certo. Io allora non c’ero, ma c’ero dopo, quando la polizia ha interrogato Thelma. E lei ha detto che Stella era venuta poco dopo le due a prendere un panino e un caffè e poi era uscita.
— Non disse a Thelma dove era diretta?
Il padrone scosse la testa. — No, ma è probabile che fosse qua vicino, se no non sarebbe arrivata da Madison Street a qui per un panino. I poliziotti pensavano che avesse un appuntamento in qualche albergo qua attorno, per la notte, dopo finito il lavoro nel locale.
Sweeney lo ringraziò e uscì. Era sicuro che non valesse la pena di rintracciare Thelma Smith; la polizia l’aveva già interrogata e, se nella sua partenza ci fosse stato qualcosa di sospetto, ci avrebbe pensato lei a rintracciarla.
Mentre attendeva il momento per attraversare la Chicago Avenue, si avvide di aver dimenticato di porre una domanda a Tess, così, attraversata finalmente la strada, le telefonò nel locale di Susie.
— Sono quel tale con cui parlavi una mezz’ora fa, Tess — le rammentò. — Mi è venuta in mente una cosa. Stella ti ha mai detto nulla di una statuetta… la figura di una donna, nera, alta circa venticinque centimetri?
— No. Dove sei?
— Mi sono perduto nella nebbia. Sei mai stata in camera di Stella?
— Sì, pochi giorni prima del… prima che morisse.
— Non aveva una statuetta come quella che ti ho detto?
— No, però aveva una statuetta sul comodino, bianca. Era una Madonna e mi ricordo che mi ha detto che l’aveva da molto tempo. Perché? Cosa vuol dire questa storia della statuetta?
— Probabilmente nulla. Senti, Tess, la frase: «La statua che urla» ti dice qualcosa?
— No. Che cos’è, un gioco?
— No, ma non posso dirti altro. Comunque, grazie. Ci vedremo qualche volta.
— Ci scommetto!
Uscendo dal negozio dove aveva telefonato, si diresse all’“El Madhouse”.