Appuntamento col destino

Kenniston capì che si stavano sbriciolando tutte le sue dispe­rate speranze, e tutte le disperate speranze degli abitanti di Middletown. Si volse ai tecnici con gli occhi allucinati, e que­sti lo guardarono, con espressione incerta.

Come un’eco tremenda, gli tornavano in mente le parole di Varn Allan: “Non potete lottare contro la legge della Fede­razione!”

Ma Jon Arnol, infuriato nel vedere il sogno della sua vita minacciato così, proprio all’ultimo momento, si lanciò sul messaggero.

Lo afferrò per il colletto e urlò: «Hai pensato a usare il misuratore di distanza, quando hai captato il messaggio di quelle navi spaziali?»

«Sì» disse l’altro prontamente «il quadrante indi­cava...»

«All’inferno il quadrante!» urlò Arnol. «A che distanza si trovavano le navi spaziali dalla Terra?»

«Credo che siano a tre o quattro ore di viaggio, se vengo­no a tutta velocità.»

«Puoi stare sicuro che verranno a tutta velocità» ribatté Arnol, sempre infuriato. Aveva il viso tutto sudato, i denti stretti, i nervi tesi, mentre si rivolgeva ai suoi uomini: «Ce la facciamo?»

«I comandi sono a posto» rispose uno dei tecnici. «Ci vorrà ancora un’ora o poco più per finire il resto.»

Kenniston riacquistò un poco di speranza, quando udì il piccolo margine di tempo che potevano ancora avere.

«Possiamo farcela di sicuro, Arnol!» gridò. «Dirò che sgombrino la città, immediatamente!»

Il sindaco Garris non era lontano. Con gli occhi pieni di terrore e pallido come un morto, aveva assistito sino ad allo­ra ai preparativi attorno al grande pozzo.

Kenniston gli si avvicinò con un balzo.

«Fate uscire immediatamente la popolazione!» gli gridò. «Fatela salire sulle colline. Solo gli ammalati e i vec­chi useranno le automobili... gli altri debbono camminare. Non possiamo correre il rischio di un ingorgo di traffico!»

«Sì!» balbettò il sindaco. «Sì! Subito!» Ma, dopo aver dato quella pronta risposta, il sindaco afferrò il braccio di Kenniston e, volgendosi a guardare la forma ovoidale del­la potente bomba energetica, domandò, a voce bassa, come se avesse paura di dimostrare ancor più apertamente il ter­rore che gli si leggeva in viso: «È molto grave il pericolo, Kenniston?»

Kenniston lo scosse, per rassicurarlo.

«Non preoccupatevi!» disse. «Andate subito, e fate uscire tutta la popolazione dalla città!»

Avrebbe desiderato di poter essere sicuro egli stesso.

I minuti che seguirono furono un vero incubo. Lavorando così, sotto pressione, lottando contro il tempo che passava inesorabile, sembrava che tutto cospirasse contro di loro. I metalli, i meccanismi, persino gli attrezzi, sembrava volesse­ro tradirli.

Infine, la mole scura della bomba scivolò lentamente al suo posto, nell’incastellatura, al disopra del pozzo. Gli ultimi contatti vennero innestati, e tutto fu pronto.

«Prendete i vostri apparecchi, subito» disse Kenniston. «Andiamo! Vi è ancora altro da fare!»

Uscì con Hubble, Arnol e tutti gli altri. La città era come l’aveva vista la prima volta: vuota, silenziosa, senza vita. La popolazione se ne era andata. Mentre usciva dalla porta della cupola, poté vedere la massa scura degli abitanti di Middletown che si moveva, già lontana, nella pianura. L’avanguar­dia attaccava già la salita delle colline lontane.

Ansiosamente Kenniston esaminò il cielo, come se temes­se di vedersi piombare addosso, da un momento all’altro, la squadra di navi spaziali della Federazione.

Arnol mandò avanti i tecnici, verso le colline, con gli stru­menti e gli apparecchi di comando a distanza. Gorr Holl, Ma­gro e Hubble seguirono i tecnici. Poi Kenniston e Arnol si av­viarono di corsa verso l’incrociatore spaziale.

Attorno a esso vi era un piccolo gruppo di persone: gli abi­tanti che dovevano lasciare la Terra.

Kenniston li guardò stupefatto. Da circa duecento che era­no, si erano ora ridotti ad appena una ventina.

Arnol disse loro, brevemente: «Potete salire, ora.»

Alcuni di essi rimasero irresoluti, guardando i loro com­pagni e Kenniston, come se volessero dire qualcosa, ma non dissero nulla. Infine salirono e scomparvero nell’incrociato­re spaziale.

Kenniston li contò. Due uomini, due donne e un bambino.

«Ebbene» urlò agli altri «che aspettate? Salite!»

«Credo» disse uno del gruppetto rimasto «che... pre­ferirei rimanere con gli altri.»

Detto questo, si mise a correre per raggiungere la folla or­mai lontana.

A uno a uno, anche gli altri lo seguirono, finché non furo­no che piccoli punti neri che si allontanavano di corsa, nella pianura desolata.

Arnol sorrise.

«Fra la vostra gente, Kenniston» commentò «anche i vigliacchi sono coraggiosi. Dev’essere una cosa anche più du­ra, in certo modo, per coloro che hanno deciso di andarsene.»

Entrarono nell’incrociatore e liberarono Mathis, Norden Lund e Varn Allan dalle cabine nelle quali erano rinchiusi. Varn Allan non parlò, ma il Coordinatore disse, gelido: «Co­sì, volete realmente farlo?»

«Sì» rispose Arnol. «Il mio capo pilota si allontanerà con l’incrociatore spaziale. Sarete salvi, comunque vada.»

«Spero» disse Norden Lund, amaramente «che finia­te in frantumi! Ma anche se non fosse così, anche se riusciste, non vincerete egualmente. Avrete ancora di fronte la legge della Federazione. Ci penseremo noi!»

«Non ne dubito» ribatté Arnol. «Ma ora dobbiamo andarcene.»

Arnol gli volse le spalle, ma Kenniston si fermò ancora, guardando Varn Allan. Il viso di lei era un poco pallido, ma non vi era in esso alcuna traccia d’ira, come in quello di Lund.

Ella lo guardava con occhio attento, indagatore.

Kenniston avrebbe voluto parlare, liberarsi da un peso che si sentiva dentro, ma non riusciva a trovare le parole. Infine, poté soltanto dire: «Mi spiace infinitamente, Varm, che le cose siano andate così. Addio...»

«Aspettate, Kenniston.»

Egli si fermò di nuovo, ed ella gli si avvicinò, pallida e cal­ma, con gli occhi azzurri che lo fissavano in viso.

«Rimarrò qui» disse «mentre farete quella cosa.»

Kenniston la guardò, muto per la sorpresa. Udì Mathis esclamare: «Allan, siete pazza? Che vi salta in mente, ora?»

Ma Varn Allan disse, lentamente, a Mathis: «Sono l’amministratrice di questo settore. Se i miei errori hanno causa­to questa crisi, non ne eviterò le conseguenze. Rimarrò qui!»

Lund si rivolse a Mathis, infuriato.

«Non pensa affatto alla sua responsabilità! Pensa solo a questo selvaggio primitivo, a questo Kenniston!»

Varn Allan si volse verso di lui, come per dargli una furiosa risposta. Ma non parlò. Guardò invece Kenniston, col viso pallido, teso, stanco.

Freddamente, Mathis le stava dicendo: «Non vi ordinerò di venire con noi. Ma siate sicura che questa vostra condotta verrà tenuta nel debito conto.»

Varn Allan chinò il capo, senza una parola, in cenno di as­senso; si volse, e abbandonò l’incrociatore spaziale. Kenni­ston, che la seguiva, sentiva dentro di sé una meravigliosa, incredibile emozione.

Uscirono così nella luce rossastra del sole. Con un lieve ronzio, l’incrociatore spaziale si innalzò, dileguandosi nel cielo.

Gli ultimi abitanti di Middletown stavano scomparendo sulle colline quando Kenniston, Varn Allan e Arnol s’incam­minarono in quella direzione.

«Presto!» li sollecitò Arnol. «Anche ora può essere troppo tardi...»

Quando raggiunsero le colline, Gorr Holl, Magro e Hubble li attendevano coi tecnici e i loro apparecchi. Quando li vide giungere, Gorr Holl emise una esclamazione.

«Me l’ero immaginato, che sareste rimasta, Varn!»

Vam Allan rialzò il capo e disse, un poco adirata: «Ma perché mai...?» Ma improvvisamente si interruppe, e rima­se silenziosa per un attimo. Poi domandò: «Quanto manca?»

«Siamo tutti pronti, ora» rispose Gorr Holl.

Kenniston si avvide che i comandi a distanza e tutti gli al­tri strani apparecchi erano già stati montati ed erano a pun­to. Diede allora un’occhiata ad Arnol.

Il viso dello scienziato era bagnato di sudore. Era pallidis­simo e gli tremavano le mani. In quel momento stava tirando le somme di tutta la sua vita, era vicino alla conclusione di tutte le pene e gli sforzi che aveva dovuto sopportare.

Disse, con una voce stranamente inespressiva: «Sarà be­ne che tu li avverta, Kenniston. Ora!»

Sotto di loro, sul versante della collina sulla quale Kenni­ston e i suoi compagni si trovavano, attendevano ormai le migliaia di abitanti di Middletown.

Kenniston scese verso di loro. Parlò loro gridando, e la sua voce parve lieve e irreale, nel vento gelido, attraverso le rocce nude, la polvere soffocante, la terra arida.

«Riparatevi dietro la collina! Passate parola! Riparatevi dietro la collina! Fra poco, avverrà l’esplosione!»

Tutti guardarono verso di lui. Una massa di visi mortal­mente pallidi nella fosca luce del sole... quel sole morente che li guardava tutti, come un grande occhio indifferente.

Un grande silenzio calò sulla folla. Dapprima isolatamen­te, poi a centinaia s’inginocchiarono a pregare. Altri, a centi­naia, rimasero ritti, immobili, muti, con gli occhi fissi sulla cresta della collina, dove si trovavano i tecnici.

Qua e là, qualche bambino piangeva.

Lentamente, Kenniston risalì nel punto dove stavano Ar­nol e gli altri. Lontano, al di là della folla, vedeva la cupola della città, ancora scintillante di luci come l’avevano lasciata, vuota e solitaria, nella vasta desolazione della pianura.

Pensò a quella cosa nera, quella cosa nera e terribile, che attendeva, sola nella città, il momento di compiere il suo sal­to d’incubo nel cuore della Terra, e un violento tremito lo scosse.

In quell’ultimo minuto, prima che le dita tremanti di Arnol premessero i contatti degli apparecchi che aveva davanti a sé, Varn Allan guardò, oltre Kenniston, verso quella folla si­lenziosa di migliaia e migliaia di persone in trepida attesa, ultimi sopravvissuti di tutte le razze della vecchia Terra.

«Capisco ora» bisbigliò «che, malgrado tutto ciò che noi abbiamo guadagnato in questi milioni di anni, abbiamo tuttavia perso qualcosa... qualcosa di coraggioso, di cieca­mente fiducioso, di supremamente bello... Sono lieta di esse­re rimasta!»

Arnol emise un profondo e penoso sospiro.

«È fatta!» disse.

Per un lungo, eterno minuto, la Terra morta rimase immo­bile. Poi, Kenniston sentì la cresta della collina sobbalzare violentemente ai suoi piedi... Una volta, due, tre, quattro vol­te. Le secche esplosioni delle bombe di copertura che sigilla­vano per sempre il grande pozzo.

Arnol osservava gli aghi dei quadranti, che vibravano. Non tremava più, ora. Era ormai troppo tardi per qualsiasi sentimento, anche per l’emozione.

Dalle profondità imperscrutabili della Terra partì un tre­mito, come un brivido lungo, che si dilatò, salì lentamente, fino alle nude rocce, dove tutti stavano in attesa. Un brivido lungo, che parve toccarli tutti, e svanire.

Fu come se un cuore morto avesse d’improvviso comin­ciato a battere ancora; a battere forte, esultante. Il cuore di un pianeta rinato...

Le lancette dei quadranti, sui quadri di controllo, impazzi­rono per un attimo; poi, a poco a poco, tornarono normali. Tutte le lancette, a esclusione di una sola fila di quadranti, che Arnol e i suoi tecnici osservavano con una morbosa, so­vrumana intensità.

Kenniston non poté sopportare più a lungo quel terribile silenzio.

«È...» Ma non poté proseguire. La sua voce si perdette in un roco mormorio.

Arnol si volse lentamente verso di lui. Lentamente, come se gli riuscisse difficile parlare, disse: «Sì. La reazione è co­minciata. Vi è una grande fiamma di calore e di vita, nel cuo­re della Terra, ora. Ci vorranno delle settimane, prima che quel calore e quella vita raggiungano la superficie, ma giun­geranno!»

Volse quindi le spalle a Kenniston e a tutti gli altri. Ciò che aveva da dire, ora, era per i suoi tecnici, i suoi tecnici fe­deli e stanchi, che avevano lavorato con lui tanto a lungo. A loro disse: «Qui, su questa piccola Terra, molto, molto tempo fa, uno dei nostri selvaggi antenati ha acceso il fuoco, per la prima volta, per riscaldarsi. Ora, noi abbiamo acceso un mondo. E vi sono tutti gli altri mondi, i freddi mondi mo­renti, lassù...»

Kenniston non poté udire più nulla. Una babele si era sca­tenata. Varn Allan si era stretta istintivamente a lui. Gorr Holl urlava in modo assordante. Kenniston udì il sindaco Garris che balbettava domande, con voce tremante. Udì la voce tremante di Hubble.

Ma, al disopra di tutto questo, udì il calpestio precipitoso di migliaia di piedi, sulla roccia nuda. Gli abitanti di Middletown correvano, a migliaia, verso la cresta della collina, con una sola, un’unica domanda, di vita o di morte, sui visi spet­tralmente pallidi.

«Parla, Ken!» gridò Hubble, con la voce rotta dall’emo­zione. «Parla, Ken! Vogliono sapere!»

Kenniston saltò su una roccia, e tutta quella folla si fermò d’improvviso, in un silenzio teso, mentre egli urlava, a gran voce: «L’esperimento è riuscito! L’esperimento è riuscito! Ogni pericolo è scomparso! Fra poche settimane il calore delle profondità della Terra comincerà a raggiungere la su­perficie...»

Ma s’interruppe. No, non erano quelle le parole che pote­vano raggiungere i loro cuori. Allora trovò quelle parole, e le gridò a quelle migliaia di cuori in attesa: «Per milioni di an­ni, il gelo dell’inverno ha ricoperto la Terra. Ma ora, presto, la primavera ritornerà, sulla Terra. La primavera! »

Questo lo potevano capire. Cominciarono allora a ridere e a piangere, e poi a gridare, a gridare a perdifiato.

Gridavano ancora quando i grandi incrociatori del Con­trollo calarono velocissimi, ronzando nel cielo, su di loro.