Il pianeta mortale
Kenniston ritornò in Mill Street e si diresse verso la rimessa nella quale aveva lasciato la sua macchina un miliardo di anni prima, quando cose del genere avevano ancora qualche importanza. Sapeva che tenevano in quel garage una jeep per il servizio stradale, e sapeva pure che non ne avrebbero più avuto bisogno, per il semplice fatto che di strade, fuori della città, non ve n’erano più. Si pentiva di non avere preso con sé un cappotto. L’aria si raffreddava rapidamente e la temperatura sarebbe presto scesa sotto lo zero.
Vi era molta gente, in Mill Street, una via che anche normalmente era sempre molto affollata. Era la strada dei grossi stabilimenti e delle piccole aziende commerciali; congiungeva Middletown con le vie del Sud. Vi erano sempre autobus, macchine e pedoni. Forse il traffico era un po’ più disorganizzato del solito e i gruppi di cittadini avevano una maggior tendenza a riunirsi e a discutere animatamente, ma questo era tutto.
Kenniston conosceva alcune di quelle persone, ma non si fermò a parlare con loro. Non desiderava nemmeno incontrarne gli sguardi. Si sentiva in qualche modo colpevole, perché sapeva la verità mentre quelli ne erano ancora all’oscuro. Che sarebbe accaduto, se avesse spiattellato tutto? Che cosa avrebbero fatto? Era una tentazione terribile, quella di liberarsi del suo segreto. Aveva una voglia pazza di mettersi a gridare.
Alcuni oziosi, sul ponte di Mill Street, guardavano il letto fangoso del fiume e cercavano di spiegarsi l’improvvisa scomparsa dell’acqua. Nelle numerose birrerie, che davano un tono allegro a quella strada popolare, vi erano più clienti del solito, data l’ora. Mentre passava, Kenniston poté udire le loro voci, voci alte, eccitate, un poco litigiose, ma ancora prive di terrore.
Una donna di casa parlava con un’amica da una finestra, verso la casa di fronte.
«Non riesco a prendere alcuna stazione, all’infuori di quella di Middletown, oggi. Non posso più sentire le mie solite rubriche.»
Kenniston fu lieto quando giunse al garage di Bud. Bud Martin, un giovane alto e magro, con una macchia di grasso sotto un labbro, stava rimontando un carburatore e rimproverava nel frattempo il suo aiutante.
«La vostra macchina non è ancora pronta, signor Kenniston» protestò. «Vi ho detto alle cinque, ricordate?»
Kenniston scosse il capo e disse a Martin ciò che desiderava. Martin acconsentì immediatamente.
«Certo che posso noleggiarvi la jeep! Sono troppo occupato, oggi, per rispondere a richieste dalla strada.»
Non si preoccupò affatto di domandare a Kenniston cosa volesse fare della jeep. Il carburatore non funzionava e Bud si mise a imprecare. In quel momento, un uomo con un grembiule bianco da fornaio ficcò la testa nella rimessa.
«Bud, hai sentito la novità? Gli stabilimenti chiudono... tutti!»
«Ah, frottole!» disse Martin. «È tutta la mattina che ascolto novità del genere. C’è gente che non fa che andare in giro a raccontare baggianate. Ho troppo da fare per ascoltarle.»
Kenniston riempì alcune latte di benzina, le caricò nella jeep e partì verso nord.
I cappotti avevano fatto la loro comparsa in Main Street. Gruppi di persone erano fermi agli angoli della strada. La gente che attendeva gli autobus guardava curiosamente il sole rosso e il cielo annebbiato. Ma i negozi erano aperti, le massaie camminavano con la borsa della spesa, alcuni ragazzi correvano in bicicletta. Non era ancora cambiato molto, non ancora.
Anche la Walters Avenue, dove Kenniston abitava, era calma, benché gli alberi avessero assunto degli strani riflessi, alla luce rossastra del sole. Fu lieto che la sua padrona di casa fosse uscita, perché non se la sentiva di rispondere a nuove domande.
Caricò sulla jeep la sua carabina da caccia e una rivoltella automatica, insieme ad alcune scatole di cartucce. Indossò un pastrano e prese anche una giacca di pelle per Hubble. Si ricordò persino dei guanti. Poi, prima di risalire sulla jeep, fece di corsa il breve tratto di strada che lo divideva dalla casa di Carol Lane.
La zia di Carol gli venne incontro. La signora Adams era grassa e rosea, ma appariva turbata.
«John, sono tanto lieta che tu sia venuto! Forse mi potrai dire che debbo fare. Devo coprire i miei fiori?» Balbettava ansiosamente. «È una cosa strana, in pieno giugno. Ma fa già tanto freddo. E le mie petunie e gli altri miei fiori soffrono molto il gelo. E le rose...»
«Io le coprirei, signora Adams» rispose Kenniston. «Le previsioni affermano che farà ancora più freddo.»
La donna alzò le braccia al cielo.
«Che tempo! Non si è mai vista una cosa simile!» E corse a prendere dei teli per coprire i suoi fiori, quei fiori che non avevano ormai più di poche ore di vita. Questo particolare colpì Kenniston, facendogli intravedere un’altra triste realtà. Non più rose, sulla Terra, dopo oggi. Non più rose, mai più.
«Ken... hai saputo che cosa è successo?»
Era la voce di Carol, dietro di lui, e Kenniston capì, anche prima di voltarsi a guardarla, che non avrebbe potuto dare risposte evasive, come aveva fatto con gli altri. Quella ragazza non sapeva nulla di scienza, né di tempo e spazio, né di continuità o altro. Ma lo conosceva bene, e non gli avrebbe dato possibilità di fingere.
«È vero ciò che dicono, che una bomba atomica è caduta su Middletown?»
Da quando le aveva telefonato, aveva avuto tutto il tempo per allarmarsi. Aveva capelli e occhi scuri; era slanciata ma forte, con caviglie snelle, una bocca ferma e un’espressione dolce. Le piacevano Tennyson, i bambini e i cagnolini, amava accudire la casa e aveva una conversazione tranquilla che dava l’impressione di una lieta serenità. Era una cosa terribile, pensava Kenniston, che dovesse starsene in un giardino morente, parlando di bombe atomiche.
«Sì» rispose, tuttavia. «È vero.» La vide impallidire e proseguì rapidamente. «Nessuno è rimasto ucciso. Non vi sono effetti radioattivi sulla città, non vi è nulla da temere.»
«Ma qualcosa c’è: lo posso vedere nel tuo viso.»
«Ebbene, vi sono ancora fatti da accertare. Io e Hubble partiamo ora per fare ricerche.» Le prese le mani. «Non ho tempo di parlare, ora, ma...»
«Ken» disse la ragazza. «Perché proprio tu? Che ne sai tu, di queste cose?»
Kenniston capì che si avvicinava il momento temuto, che aveva sempre paventato e che aveva sempre sperato di poter rimandare indefinitamente, quello in cui avrebbe dovuto dire a Carol qual era il suo vero lavoro. Con quali reazioni lei avrebbe appreso la verità? Non lo sapeva, non lo sapeva affatto. Era lieto in ogni modo, di poter rimandare ancora una volta, foss’anche per poco. Fece uno sforzo, per sorridere.
«Ti dirò tutto più tardi, al mio ritorno. Rimani in casa, Carol, promettimelo. Solo così non starò in pena.»
«Va bene» disse Carol, lentamente. Poi lo richiamò, d’improvviso: «Ken...»
«Che cosa?»
«Nulla. Sii prudente.»
Kenniston la baciò e tornò di corsa verso la jeep. Grazie al cielo, Carol non era una ragazza isterica e, particolarmente in questa situazione, le era molto grato di ciò.
Salì in macchina e si diresse ai Laboratori, pensando a quale sarebbe stata la sorte sua e di Carol. Sarebbero stati ancora vivi, domani, e il giorno successivo? E se fossero sopravvissuti, che genere di vita sarebbe stata la loro? Pensieri tristissimi, pieni di amarezza e di rimpianto, gli affollavano la mente.
Hubble lo attendeva all’ingresso dei Laboratori, con un contatore Geiger e altri strumenti per il controllo della radioattività. Caricò gli strumenti con cura, indossò la giacca di pelle e salì sulla jeep a fianco di Kenniston.
«Benissimo, Ken... usciamo dalla città, verso sud. Salendo sulle colline che abbiamo scorto in quella direzione, potremo osservare i dintorni.»
All’estremità sud della città, dovettero arrestarsi di fronte a una barriera, all’intimazione della polizia di guardia. Dovettero attendere finché il sindaco telefonò un’affrettata autorizzazione che consentiva a Hubble e a Kenniston di uscire dalla città per un’ispezione delle regioni contaminate.
La macchina percorse ancora una strada di cemento, fra piccole fattorie suburbane, per un tratto di circa mezzo miglio. Poi la strada e i prati, d’improvviso, s’interruppero.
Da quella netta demarcazione in avanti, si stendeva solo una desolata pianura color ocra, a est e a ovest, dovunque, a perdita d’occhio. Non un albero, non un filo d’erba, rompeva quella monotonia. Solamente terra giallastra, e polvere, e vento.
Hubble fissò Kenniston. «Nessuna traccia di radioattività. Puoi andare avanti.»
Davanti a loro sorgevano delle basse colline, desolate e nude. Al disopra di loro stava un cielo livido e freddo. Il sole, pallido, le stelle, pallide, e sotto di esse nessun suono, all’infuori del triste fruscio del vento.
Col motore che ruggiva e la carrozzeria che sobbalzava sul fondo sconnesso di quella pianura desolata color ocra, la jeep li portò avanti, nel silenzio sepolcrale della Terra morta.