Dal punto di vista di Casey la vita era un tiro mancino: inizio non richiesto, fine indipendente dalla propria volontà, e nulla tra i due che fosse degno neppure di una pesca di beneficenza. Però arrivava in un pacco, simile a una cravatta per Natale, e una volta aperto il pacco non si poteva più liberarsene.
Casey Morrow stava riflettendo di nuovo, ed era un brutto segno. Occorreva buttar giù un altro sorso.
“Ho bisogno di bere” consigliò a se stesso in tono grave (perché non c’era nessuno li attorno cui dar consigli) e trasse di tasca il suo ultimo denaro. Ormai non era più un malloppo di entità ragguardevole a causa dell’andazzo di tutto il pomeriggio, ma stese comunque due biglietti spiegazzati sul ripiano di vetro del tavolo e li scrutò per accertarsi. Due dollari. Ultimi rimasugli del Grosso Affare, e ciò significa che il whisky avrebbe dovuto agire più rapidamente di quanto non avesse fatto sino allora, se voleva raggiungere uno stato di felice oblio prima che i fondi sfumassero. Esistevano bar più economici — in quel campo era molto pratico, — ma per questo particolare Crepuscolo degli Dei occorreva quel che c’era di meglio in fatto di locali. Tavoli ricoperti di vetro, soffici cuscini, luci diffuse. Ora si trovava nel bar più buio che gli fosse mai capitato di vedere fuori dall’inferno, e anche là c’era stato.
Si sarebbe detto che non ci fosse anima viva, ma poi d’un tratto l’ombra confusa di un cameriere emerse dall’oscurità, l’attimo necessario per posare un altro whisky sul tavolo e scomparire con uno dei biglietti spiegazzati. I suoi passi erano attutiti dallo spesso tappeto, e dal semicerchio azzurrino del banco proveniva solo un lontano tintinnar di bicchieri. Casey non guardava il bar, che da quella distanza del resto non avrebbe potuto vedere, ma pur non vedendolo sapeva che era quasi deserto. In un locale elegante di Chicago è poca la gente che si fa un proposito di ubriacarsi nel primo pomeriggio, a meno che non voglia festeggiare un evento particolare, magari il proprio funerale. Proprio allora il sogno ebbe inizio.
— Posso sedermi?
La domanda non era stata preceduta da una frase d’approccio, ma non era troppo strano udire voci, date le circostanze. Cose che accadono. Casey riuscì con non poca difficoltà a distrarre la propria attenzione dal whisky per concentrare lo sguardo un poco più in alto, e, man mano che le ombre si diradavano, si chiedeva perché mai gli fosse occorso tanto tempo. Viso e figura di quella voce erano decisamente femminili e di primo ordine, e l’espressione con cui lei lo guardava non era certo indicata a chiarirgli le idee.
— Mi sembrate solo — aggiunse. — Tanto vale che uniamo le nostre solitudini.
Casey Morrow accettava quello che la sorte offriva, fosse bello, brutto o indifferente. Non che ne avesse sempre voglia, ma l’esperienza gli aveva insegnato che la sua opinione in merito non sarebbe comunque stata richiesta. E adesso era apparsa quella ragazza, indiscutibilmente bella. Il vocabolario di Casey era limitato, ma in simili casi trovava le parole adeguate. Mentre rimuginava per trovare una risposta adatta alla provocante proposta di lei, la ragazza prese posto sull’altro lato della nicchia, tanto vicina che le sue ginocchia sfiorarono quelle di lui. Intanto alle narici di Casey giungeva il profumo pungente dei capelli color miele. Si appoggiò allo schienale, illuminata dalla piccola lampadina da tavolo in modo da mettersi bene in evidenza, e lui ne approfittò per notare, tra l’altro, gli occhi color fumo e le labbra turgide, fresche.
Si chiedeva che cosa potesse volere una donna simile da Casey Morrow, un tipo non bello, che dimostrava più dei suoi trent’anni. Poi la sua bocca larga si torse” in un sorriso ironico, mentre stringeva con gesto quasi tenero l’ultima banconota spiegazzata.
— Mi dispiace — disse — ma questa è per me.
— Vi sembra gentile? — Lei non aveva battuto ciglio.
— È una questione economica… economia elementare. — L’ultima frase gli era riuscita difficile, e riprese quasi sillabando: — Bellezza, non c’è altro. È una triste verità, ma non c’è altro.
A questo punto, secondo ogni regola, la ragazza avrebbe dovuto ricordarsi di un impegno precedente e andarsene. Invece lei pareva seguire regole personali a seconda degli eventi. Gli occhi color fumo scrutarono il viso di lui, esaminandolo attentamente dai capelli scuri scomposti fino al mento quadrato, volitivo. All’esame di lei non sfuggi la cicatrice seminascosta dal sopracciglio, ricordo della mira poco esatta d’un giapponese, ed era prevedibile che non le sfuggisse neanche l’espressione insolente di quel sorriso sarcastico. Eppure non se ne andò.
— Vi dispiace se mi pago da bere? — chiese.
— Non mi dispiacerebbe neppure se pagaste anche per me, bellezza.
— Intesi, allora.
Lo disse come se nulla fosse. Casey si appoggiò allo schienale del divano e cercò di ottenere una prospettiva più chiara della situazione. Nulla di mutato. Era davvero seduta li, era davvero bellissima e stava davvero ordinando da bere anche per lui, assistita dal cameriere dall’occhio di falco.
— Rinuncio — disse. — A che gioco giochiamo?
— Ve l’ho già detto. Me ne stavo sola soletta al bar e mi sono stancata.
— Che razza di città è mai questa, se una ragazza come voi è assillata da un simile problema?
Quasi quasi sorrise, dando la netta impressione che il sorriso, se fosse veramente spuntato, sarebbe stato qualcosa di eccezionale, e intanto lo fissava come se in vita sua non avesse mai avuto nulla da nascondere. Sconcertante, ma non quanto la sua conversazione.
— Se lo desiderate potete parlarmene — stava dicendo.
— Parlarvi di che?
— Dei vostri guai.
— Ho dei guai?
— Tutti ne hanno, specialmente le persone come noi.
— E che gente siamo?
— È appunto questo uno dei nostri guai: non lo sappiamo.
Quella mocciosa — e non era altro, nonostante le lunghe ciglia e la bocca provocante — diceva le cose più impensate.
— Ora so chi siete! — Il tono di Casey era trionfante. — Appartenete a un’opera sociale. Il vostro visone mi aveva tratto in inganno, sulle prime. — Si trattava infatti di un visone che non rispondeva al concetto che si era fatto di lei, a meno che in quel quartiere non si facessero le cose in grande stile. Lei, poi, lo portava come se ci fosse abituata dalla nascita.
— Mi dispiace di sembrare uno zoticone — aggiunse. — Manco da tanto tempo dalla mia città, che mi sono arrugginito. Che cosa volete, esattamente?
— Avete una sigaretta?
Gliela diede, considerando che se l’era guadagnata, e lasciò che se l’accendesse col suo accendisigari incastonato di pietre, mentre l’osservava procedere tastando il terreno.
— Siete sospettoso, mi pare — gli disse. — Mi va, denota intelligenza.
— Grazie, signora maestra. Quando mi darete il premio?
— Non siate scontroso. Chissà, potrei essere la fortuna che bussa alla vostra porta.
— Non c’è pericolo. — Casey scrollò la testa. — L’ultima volta che la fortuna bussò alla mia porta la feci entrare. Ora non ho più neppure una porta.
— Era bella?
— Mi costò cara.
— La sposaste?
— Non mi costò cara fino a questo punto.
Poteva darsi che fosse frutto della sua fantasia, ma ebbe l’impressione che queste sue confidenze le garbassero molto. O l’aveva imbroccata oppure stava scivolando nello stato che fa parere felice il prossimo. Ogni volta che posava sul tavolo il bicchiere vuoto, uno pieno lo sostituiva. Tutto andava dunque a gonfie vele, finché il cameriere non s’impossessò del dollaro solitario. Per un momento, Casey fu sommerso da un’ondata di solennità, perché l’essere al verde, totalmente al verde, non è uno stato che vada preso con leggerezza, e il suo dolore era tale, che non riusciva a dissimularlo.
— Era davvero il vostro ultimo dollaro? — chiese la ragazza.
Lui sospirò: — Davvero.
— In tal caso, potrebbe interessarvi un lavoro.
Casey rimase perplesso. Non era la prima volta che gli veniva proposto un lavoro, sebbene mai in modo così diplomatico, ma l’ora, il luogo e la ragazza erano privi di logica. Concluse d’aver immaginato la scena. Nonostante il suo piano di buttar giù un sorso e non pensare al domani, il subcosciente non gli dava tregua. E dal momento che si trattava di pura fantasia e che la ragazza era frutto delle libagioni, tanto valeva esser cordiali.
— Quale sarebbe il vostro progetto? — le chiese.
— Che attività svolgete?
Era un problema con cui si erano già arrabattati i cervelli più intelligenti dell’Ufficio Disoccupazione, ma Casey non esitò. — Sono stato barista, camionista e guerriero.
— E questa è stata la vostra più recente attività?
— La penultima. Dopo aver vinto la guerra, con qualche trascurabile aiuto, dovevo disporre del mio denaro mal guadagnato. Avrei potuto dedicarmi alle corse dei cavalli, ma è troppo rischioso, perché esiste sempre la possibilità di vincere. Mi misi invece negli affari e in quattro e quattr’otto feci piazza pulita.
Non desiderava rivangare tutto ciò. In fin dei conti, l’intero scopo della festicciola era di dimenticare. Caso strano, però, la ragazza non chiese nulla. Disse invece: — Siete disponibile, allora.
— Per qualsiasi cosa.
Forse era stata una frase imprudente, ma, in questi casi, si sentiva proprio così: eccitato, spericolato, pronto a tutto. Quando era apparsa quella visione dagli occhi color fumo e priva di apparenti inibizioni, era sommerso dall’avvilimento, e qualcosa doveva pur succedere. La ragazza ordinò ancora da bere, e la sua voce bassa e riposante si affievolì, come in lontananza. Casey non aveva visto se aveva gareggiato con lui, nel calmare la sete, e del resto la cosa non avrebbe avuto importanza, dato il suo grande vantaggio. Era ancora abbastanza euforico, ma non gli garbava che l’immagine della sua interlocutrice svanisse in quel modo. Appoggiò il mento su una mano, sforzandosi di centrare la vista su di lei e soprattutto di afferrare ciò che stava dicendo:
— Un incarico proprio adatto a voi. Credo che vi piacerà.
— Allora non si tratta di guidare un autocarro.
— No. — Ancora una volta, lei parve sul punto di sorridere.
Il sorriso, una vaga promessa di sorriso, quegli occhi, un fremito delle labbra. Però continuava a dileguarsi, per quanti sforzi Casey facesse. Quando lui tentennò il capo a significare che aveva capito, la ragazza chiese il conto e, solo dopo che il cameriere fu apparso e scomparso, Casey vide la borsetta aperta sul tavolo. Il suo sguardo fu attirato non tanto dalla borsetta, che per lui assomigliava a qualsiasi altra, quanto dall’interessante pacco di banconote che conteneva, e che valse a dissipare per un attimo la nebbia nella quale era immerso.
— Che cosa avete detto? — borbottò.
— Cinquemila.
Cinquemila. Bastava aggiungere la parola “dollari” e nasceva la più bella frase che avesse mai uditp. Cercava disperatamente di trovare una spiegazione coerente, quando, dalla porta che dava sulla strada, soffiò una folata di vento lacustre, mentre un cliente entrava nel locale. Quel vento salutare, freddo e tagliente, che ravvivava le giornate nuvolose di novembre a Chicago. Casey scrollò il capo, conscio che c’erano ancora da riempire molte lacune, ma la ragazza taceva e aspettava. Tuttavia fu ancora lei a rompere il silenzio:
— Se dobbiamo arrivare prima che sia buio, sarà bene muoversi — gli disse infine.
Evidentemente dovevano andare da qualche parte. A Casey seccava dover ammettere di non aver seguito i discorsi di lei, e finse d’essere al corrente, mentre si alzava e s’infilava l’impermeabile, ma poi, nell’avviarsi alla porta, concluse che la finzione non poteva durare in eterno.
— Chiariamo bene — disse. — Di che lavoro avete parlato?
Non si era sbagliato circa il sorriso. Spuntò, ed era veramente eccezionale. Fantastici davvero i sogni pazzeschi e inverosimili che potevano nascere da una bottiglia.
— Dovevate essere distratto — lo redarguì la sconosciuta. — Potreste prestare un poco d’attenzione, quando una ragazza vi chiede di sposarla.