Venne il mattino, di un grigio invernale come tutti gli altri, ma ogni cosa era mutata. Occorreva uno sforzo non indifferente per capire quanto tutto fosse mutato. Casey distolse lo sguardo dal soffitto, su cui la luce proveniente dalla finestra faceva del suo meglio per condurre l’alba a rompere l’oscurità, e volse il capo. Phyllis dormiva come una bambina, i pugni affondati nel cuscino, e Casey capì d’un tratto di avere sempre saputo che sarebbe finita così. Fin dall’inizio del sogno, fin da quando lo aveva guardato per la prima volta con quegli occhi color fumo e gli aveva rivolto il primo sorriso sognante, Casey Morrow era stato una vittima predestinata. E Phyllis? Concluse che anche lei doveva esserne stata conscia. Ma allora cose simili erano davvero possibili? Accadevano veramente?
Si sentiva bene. Non si era anzi mai sentito così bene, e questo era tanto più sorprendente, ricordando la festicciola della sera prima. Avrebbe voluto cantare, ma per timore di svegliare Phyllis prese invece a fischiettare sommessamente mentre scendeva dal letto e, dopo avere radunato gli abiti, si avviò verso la stanza da bagno in punta di piedi. Era ancora presto, e il silenzio domenicale aleggiava nell’appartamento. Mamma era certamente a messa, noncurante dell’ora in cui si era coricata, e Big John (doveva essere alzato, perché non si udiva russare) doveva essere giù nel bar a leggere i giornali umoristici della domenica, innaffiandoli con qualche sorso per sistemare le troppe libagioni della sera precedente. Aveva quasi finito di radersi quando ricordò, e il suo fischiettare si spense.
Non tutto era mutato. Non poteva ancora entrare con passo noncurante nel commissariato più vicino, raccontare i fatti e aspettarsi che tutti gli stringessero la mano e facessero auguri di una vita felice a Casey Morrow e alla sua sposa. Non poteva ancora camminare per la strada senza avere sempre a fianco la paura: e che vita era questa? Qualcosa doveva succedere. Questo continuo nascondersi doveva cessare, le fughe e le menzogne dovevano cessare. Si sciacquò il sapone dal viso e stava terminando di vestirsi, con lentezza, pensieroso, quando rincantucciato in fondo alla mente ritrovò un compito non ancora portato a termine. Maggie gli aveva noleggiato una macchina, e il suo scopo era stato di andare a trovare la signora Brunner. Da un pezzo le doveva quella visita, a pensarci bene. La signora Brunner non era la polizia, non era una nemica. Doveva essere in preda all’ansia per la figlia, e poteva darsi che gli riuscisse di contrattare, con quell’arma in mano. Da solo stava concludendo ben poco.
Phyllis stava ancora dormendo quando tornò in camera da letto a prendere il cappotto. Bene. Gli pareva già di sentire la discussione che avrebbe intavolato se le avesse comunicato il suo piano, mentre a giudicare da come dormiva ce l’avrebbe fatta ad andare e tornare, senza che lei sapesse se aveva fatto un viaggio di cinquanta chilometri o se era soltanto andato al bar dell’angolo. Mentre scendeva le scale alla chetichella, sorrideva. Per essere uno sposo novello, stava imparando in fretta!
Non erano necessari né indirizzo né carta topografica per trovare la proprietà di campagna di Darius Brunner: occorreva comprare qualche litro di benzina a una stazione di rifornimento nei dintorni di Arlington e fare due normali chiacchiere. Col passare del tempo, il cielo coperto si era andato rischiarando e il sole cominciava a lanciare qualche timido raggio.
— Oggi, forse, ce la caviamo senza pioggia — osservò Casey.
L’uomo in calzoni da militare e giacca di cuoio, che stava strofinando il parabrezza, sorrise. — Pare di sì — annui.
— Sarà un sollievo, dopo la settimana scorsa.
— Già, ho sentito che in città ha diluviato. Qui non vediamo una goccia d’acqua da ottobre.
Mentre la pompa riversava la benzina nel serbatoio, Casey ebbe tempo da dedicarsi a un altro piccolo problema. Forse era stato il modo accurato con cui l’inserviente aveva pulito il parabrezza à fargli tornare in mente il negro dell’autorimessa di Gorden. Comunque, qualcosa non collimava. Il negro ricordava di avere lavato la macchina di Gorden, dopo quella notte piovosa, eppure questi risultava essere stato con la signora Brunner, e nella zona della signora Brunner non aveva piovuto. Un problema che faceva riflettere, e Casey era felicissimo del totale che saltava fuori.
— Era di queste parti, o sbaglio, quel milionario che è stato assassinato? — chiese, quando l’inserviente apparve di nuovo accanto al finestrino.
— Darius Brunner?
— Proprio lui. Ne hanno parlato tutti i giornali. Lo conoscevate?
L’uomo dalla giacca di cuoio sorrideva di nuovo. Quello non era certamente il primo curioso che gli fosse capitato fra i piedi, nella passata settimana. — L’avevo visto qualche volta — rispose — ma non veniva spesso. Alla moglie piace la campagna, e s’intende molto di cavalli da sella. A voi piacciono i cavalli? A Casey i cavalli non piacevano affatto, e questo suo sentimento era abbastanza giustificato, se si pensa alla batosta che si era buscato per colpa loro, all’ippodromo di Santa Anita; ma per ottenere informazioni era pronto a dichiarare che li adorava.
— Ogni tanto, circa un paio di volte l’anno, la signora permette che si faccia nel suo parco una mostra equina per beneficenza, e io ci vado sempre. Ha dei saltatori in gamba.
— Ci credo! Cercherò di venirci la prossima volta. È qui vicino?
— A ovest del paese. Se andate da quella parte tenete gli occhi aperti: è una casa grande con i granai intonacati di bianco, cintata tutt’attorno da una palizzata bianca.
Granai intonacati e palizzata bianca tutt’attorno… facilissimo. Il resto fu invece meno facile. Ora che si trovava proprio sul posto e stava infilando il cofano della guida interna nel lungo viale tortuoso, Casey aveva paura. Che cosa si dice a una donna il cui marito è stato assassinato e la cui figlia è scomparsa da una settimana? Che cosa si dice a una persona del gran mondo quando si è uno straccione che vive sopra la taverna di Big John e fra parentesi si è il genero di lei? Era questo il fatto che l’aveva trascinato lì e fu per questo che continuò per la sua strada, pur decidendo di non svelarle la verità.
Era ormai arrivato al punto dove il viale si allargava in un ampio parcheggio che si estendeva fino ai granai, ora adibiti probabilmente a scuderie, fiancheggiati da una casetta bianca che doveva essere l’abitazione del custode. Tutto ciò in aggiunta alla grande casa bianca, le cui finestre occhieggiavano tra gli aceri privi di foglie, dignitosa ed elegante quanto gli era parsa la signora Brunner quell’attimo in cui aveva potuto vederla nell’appartamento del marito. Più che spaventato Casey si sentiva intimidito, ma d’un tratto dal recinto apparve un uomo di mezza età in calzoni di cotone e camicia a scacchi rossi che lo mise subito a suo agio.
— Che cosa volete? — chiese il nuovo venuto, aggrottando le folte sopracciglia.
— È la villa Brunner, questa? — domandò Casey, spegnendo il motore.
— E se anche lo fosse?
— Voglio vedere la signora.
Un cane da guardia non avrebbe avuto l’aria più ostile dell’uomo in camicia a scacchi, ma a Casey, la cui paura stava svanendo, non garbava di essere guardato in cagnesco.
— Ah, volete vedere la signora? Tanti altri ficcanaso vorrebbero vederla. Filate e badate ai fatti vostri.
— È proprio quello che sto facendo.
— E cioè?
— È quanto intendo dire a lei.
La conversazione avrebbe potuto continuare all’infinito su quel tono, per cui Casey radunò quanto coraggio aveva e scese dall’automobile, sicuro di riuscire a sistemare quel tipo minaccioso ritto in mezzo al viale. — Non cerco ricordi e non voglio autografi — dichiarò. — Però intendo vedere la signora… a meno che non le interessi affatto avere notizie di sua figlia.
— Un momento!
Casey ristette. No, non era frutto della sua fantasia. L’uomo era impallidito.
— Aspettate, dirò alla signora che siete qui.
Casey accese una sigaretta preparandosi all’incontro. Il custode si allontanò con passo svelto e spari in uno dei granai. Casey fece in tempo a fumare mezza sigaretta, prima di doverla schiacciare col tacco per l’avvicinarsi frettoloso ma misurato della signora Brunner. Misurato, proprio la parola giusta. Non poteva fare a meno di provare ammirazione per quella donna. Anche Phyllis aveva le stesse qualità, ma in lei l’effetto era diverso, in quanto non si sapeva mai se capisse o meno la situazione, mentre la madre capiva, accettava e cercava di prendere le cose per il meglio senza batter ciglio. Stava uscendo dal recinto, figura piena di dignità anche in calzoni da cavallerizza e vecchia giacca di tweed. Camminando, si toglieva un paio di vecchi logori guanti, e i suoi occhi grigi e penetranti non si staccavano dal viso di Casey.
— Desiderate parlarmi? — domandò.
— Infatti.
— Non ho capito il vostro nome.
— Morrow. Casey Morrow.
— Dite di avere notizie di mia figlia?
Nella sua voce era palese un tremito, per quanto lieve. Si sarebbe detto che ritenesse indecoroso manifestare emozione di fronte agli estranei, se pure a volte non riusciva a celarla.
— Sta bene — spiegò Casey con prontezza. — Non le è successo nulla.
Era naturale che non gli gettasse le braccia attorno al collo e che non parlasse per qualche secondo. Guardava le lontane colline, limitandosi a mormorare: — Dio sia ringraziato. — In breve tuttavia si sarebbe ricordata della sua presenza, cominciando a far domande, per cui Casey decise che tanto valeva farla finita. Il custode era rimasto nel granaio e, nel caso che fosse stata necessaria una rapida ritirata, l’automobile era a portata di mano.
— So che cosa state pensando — le disse. — Vi chiedete chi sono e come mai so tante cose. Vi chiedete perché vostra figlia non è qui di persona, se sta bene.
— Forse lo so — rispose in tono calmo.
Parlando, si era voltata verso di lui, e Casey non riuscì a distogliere lo sguardo da quello di lei. Dai suoi occhi trasparivano sentimenti troppo varii e troppo profondi per essere capiti, ma Casey ne afferrò in parte il significato, tanto chiaramente da provarne un senso di sgomento.
— Voi siete l’uomo che mia figlia incontrò in quel bar, immagino.
Così, senza preavviso, le parole fecero l’effetto di una martellata; tuttavia annui.
— Da allora siete sempre stato con lei?
— Sì.
— Allora ditemi… senza nascondermi nulla, per piacere. — La signora Brunner esitò, ma soltanto per un attimo; quindi riprese: — È stata lei a uccidere suo padre?
Che cosa si può dire a una donna il cui marito è stato assassinato e la cui figlia è scomparsa da una settimana? Che cosa si può dire, Casey Morrow? Cercò di riprendersi dallo spavento che gli avevano procurato le brusche parole e gli pareva di stare uscendo dall’effetto di un anestetico. Ecco dunque quanto la signora Brunner aveva sempre sospettato. Non lui, non il “misterioso uomo in grigio”, ma la propria figlia. Perché? Senza riflettere pronunciò la domanda ad alta voce, ma la risposta non venne. La donna pareva d’un tratto assente e pur senza muoversi si era allontanata.
— Chi siete, signor Morrow?
— Più o meno nessuno.
— Però conoscete l’indirizzo di mia figlia.
— Appunto.
— Capisco. — Il viso di lei era molto pallido, ma non rifletteva paura. — E quanto volete per darmi l’informazione?
Strano a dirsi, l’idea di una simile proposta non gli era mai balenata, eppure la supposizione della signora Brunner non era affatto priva di logica. Ad ogni modo, era senz’altro una domanda più facile di quella precedente, alla quale non voleva neanche pensare.
— Non tengo prigioniera vostra figlia per ottenere il riscatto, se è questo che pensate — disse. — La signorina è libera di tornare a casa quando vuole. È questo anzi il guaio: non vuole tornare. Non sa neppure che io sono qui. — Se le sue parole furono fonte di stupore, la signora Brunner non ne diede segno. — Non volevo che rimaneste in ansia — aggiunse.
— In ansia? — L’ombra di un sorriso increspò le labbra di lei.
Casey notò che la sua bocca era larga, dall’espressione volitiva, ma nel suo sorriso aleggiava qualcosa di tragico.
— Lo so — riprese in fretta — è passata quasi una settimana. Io volevo mettermi in contatto con voi anche prima, ma non mi è stato possibile. Phyllis…
Esitò. Non era necessario raccontare proprio tutto, sebbene la donna gli facesse compassione.
— Dite pure, signor Morrow.
— La signorina aveva paura.
— Della polizia?
Ecco di nuovo il poco larvato sospetto.
— No, non della polizia. Ha paura dell’assassino di suo padre.
Allora, accadde una cosa… una cosa che mise Casey in allarme. La signora Brunner non fiatò, ma il suo viso subì un mutamento, una luce interna parve illuminarlo, ma quella luce si spense subito.
— Si direbbe che sappiate ben altro che il recapito di mia figlia — disse alla fine. — Forse potremmo continuare la conversazione in casa.
“Cerca di guadagnare tempo” pensò Casey. “Cerca di farsi un giudizio su di me, come sto facendo io con lei. Non le sarà però possibile tendermi un tranello e andare al telefono.” Del resto, non pareva essere quella la sua intenzione. Lo guidò lungo il sentiero inghiaiato, fiancheggiato da arbusti e cespugli, fino a due porte-finestre, e lo fece entrare in una grande stanza accogliente dai pannelli in legno di pino, rallegrata da stoffe a fiorami e da un gaio fuoco che divampava nel camino. Casey concluse che dovesse essere la biblioteca o lo studio, e l’atmosfera era proprio indicata per togliersi le scarpe e mettersi a proprio agio su uno dei comodi divani, con un libro. Lui non era molto amante della lettura, ma era un tipo di stanza che infondeva quel desiderio, che disperdeva ogni spavento o nervosismo. Un luogo dove era difficile concentrare il proprio pensiero su un delitto.
— Un caffè? — chiese la signora Brunner calmissima, come se avesse avuto a che fare con un normale visitatore. — O forse non avete fatto colazione?
— Non faccio mai la prima colazione — disse Casey. — Però se voi prendete un caffè…
L’andamento della casa era quello. Poco dopo avere ordinato una cosa la si vedeva apparire su un vassoio d’argento, e Casey si chiedeva che effetto gli avrebbe fatto passare l’infanzia in un ambiente come quello. L’aroma del caffè superava perfino quello di mamma, forse perché non era accompagnato da un diffuso sentore di birra, e il sapore era degno del profumo. Mentre beveva, non lasciò riposare il proprio cervello, e soltanto quando la tazza fu pressoché vuota cominciò a sentir pesare su di sé lo sguardo della signora Brunner.
— Suppongo che siate ansiosa di avere notizie di Phyllis — disse. Non si accorse neppure della familiarità con cui pronunciava quel nome.
— Ho atteso una settimana, ma la vita tra le altre cose mi ha insegnato a essere paziente.
Casey depose la tazza sul tavolino dal ripiano di cuoio, che separava la sua poltrona da quella della sua interlocutrice, e si protese in avanti.
— Scusate se insisto — continuò Casey — ma non eravate ansiosa sul suo conto? — L’enfasi che aveva dato alle parole suonava un po’ severa, e allora fu pronto ad aggiungere: — Intendo su quanto poteva esserle capitato. La domanda che mi avete rivolto in giardino mi ha sconcertato.
— Le volete bene? — chiese lei, fissandolo attentamente.
— È una brava ragazza.
— Molto bella anche.
Casey non era tipo da arrossire facilmente, ma sentì una vampata di calore salirgli al viso.
Intanto la signora Brunner continuava: — Ero in ansia per lei, s’intende, ma suppongo che sia naturale sfogare per primo il timore più grave. Che cosa dovevo pensare quando mi avete detto che sta bene? Questo, se non erro, ci riporta a una vostra frase di poco fa.
— Infatti. Phyllis ha paura di tornare a casa. — Casey aspettò un momento, ma la signora Brunner continuava a tacere. Ormai toccava a lui raccontare, e le riferì i fatti fin dall’inizio, dall’incontro al bar Nuvola, a lei noto, fino all’arrivo alla taverna di Big John (omettendo i nomi). Tralasciò d’informarla del matrimonio, un argomento che era meglio rimandare a quando il pasticcio fosse stato chiarito.
— Dunque avete intrapreso una vostra indagine personale — fu il commento di lei.
— Per forza. Si tratta anche della mia pelle.
— Avete scoperto nulla?
— Alcune cose. Ditemi, udiste mai vostro marito parlare di un certo Groot, Carter Groot?
Phyllis e la madre avevano una cosa in comune: quel modo fisso, quasi sconcertante di guardarlo negli occhi mentre parlava. Ammesso che il nome, o l’avervi accennato, significasse qualcosa per lei, non lo diede a vedere e finì per rispondere: — No, sono sicura che non lo nominò mai in mia presenza. È un indizio?
Sorrise lievemente, nel pronunciare l’ultima frase, dimostrando di non prendere troppo sul serio quella sua attività.
— Senz’altro — ribatté Casey. — Carter Groot è un investigatore privato che lavorava per conto di vostro marito. Portò a termine il suo compito e venne liquidato il lunedì. La stessa sera vostro marito fu ucciso.
— Non capisco — fece la signora Brunner. — Un investigatore privato? E che cosa investigava?
Casey esitò. Avrebbe potuto svelarle i suoi sospetti su Gorden, facendoli passare per affermazioni basate su solide prove, ma non avrebbe guadagnato nulla. Essendo a caccia di ciò che Groot aveva scoperto, aveva bisogno di aiuto e doveva quindi chiederle di fidarsi della sua parola, di fidarsi di lui più di quanto lui stesso non avrebbe fatto con chicchessia. Concluse che l’unica strada consisteva nell’essere sincero da quel momento, e così disse: — Non so esattamente su che cosa stesse investigando, ma ho i miei sospetti. Sospetti piuttosto seri. Carter Groot è scomparso da lunedi sera.
Occorre un certo tempo per digerire una dichiarazione di quel genere, e infatti soltanto dopo qualche momento la signora Brunner disse, con voce un poco afona: — E quali sono i vostri sospetti?
— Da quanto tempo conoscete Lance Gorden?
Non era una questione da essere presa alla leggera, soprattutto per Casey che lottava per la propria felicità e fors’anche per la propria vita, ma la tensione, che era andata aumentando in silenzio, s’infranse al suono della risata di lei, suono che pareva quello di un fragile ramo che si spezzi per il troppo peso.
— Ancora Lance! — esclamò. — Vogliate scusarmi, signor Morrow, non volevo essere scortese…
— Ancora Lance? — fece eco Casey.
— È un’idea di Phyllis?
— All’inizio l’idea infatti fu sua.
— Lo sapevo. Tutte le volte che litigano, Lance per lei diventa un nemico mortale, che mira soltanto al suo patrimonio. Suppongo del resto che per le ragazze ricche sia un timore abbastanza naturale. Io non ebbi mai preoccupazioni di questo genere.
Casey non avrebbe saputo dire se l’ultima osservazione era stata pronunciata con una sfumatura di sollievo o di rimpianto.
In quel momento sapeva soltanto che non sarebbe riuscita a eliminare Lance Gorden quale sospetto omicida, con una semplice risata. No davvero, dopo lo scontro avvenuto sul marciapiede di fronte alla casa di Maggie. Era incerto se raccontarle l’accaduto, ma qualcosa lo ammoni che sarebbe riuscita a smantellare la sua versione con qualche alibi. E a proposito di alibi disse: — Ho letto sui giornali che Gorden dichiara di essere stato qua tutta la notte del lunedì. — Ora non rideva più. Il tono di Casey aveva avuto un’inflessione ammonitrice. — Non voglio insegnarvi nulla — proseguì — ma se fossi in voi non sarei tanto pronta a spalleggiare una menzogna come questa, neppure trattandosi di un eventuale futuro genero.
— Siete certo che fosse una menzogna?
— Sicurissimo. — Casey si sentiva meglio, come sempre quando prendeva l’offensiva. — Non voglio asserire con questo che Gorden sia o non sia un assassino. Però potrebbe esserlo, non vi pare?
Non si era reso conto che la donna stava seduta in posa tanto rigida finché non la vide rilassarsi un poco, e più che un vero rilassamento pareva una battuta in ritirata.
— Può darsi — ammise — ma è molto difficile crederlo…
— Deve anche essere stato difficile credere che avevano ucciso vostro marito — obiettò Casey. — Eppure era la verità.
Un orologio a pendolo ticchettava rumorosamente durante i loro silenzi.
— Signor Morrow.
— Dite pure.
— Che cosa volete da me?
— Tempo, tempo di portare a termine la mia indagine prima che avvertiate la polizia della mia visita. Ecco una delle cose che voglio.
— E poi?
Era un punto su cui Casey rimuginava da parecchi giorni: il movente. Dal suo modo di vedere tutto si basava sul fatto che Gorden amministrava i fondi per le attività della signora Brunner e l’attività del momento concerneva l’opera pia “Verdi Pascoli”. Glielo disse chiaro e tondo e ottenne una risposta altrettanto chiara e tonda, come aveva previsto. Si, Gorden amministrava i fondi, Gorden organizzava tutto, Gorden provvedeva agli acquisti.
— Che acquisti?
— I terreni, per esempio — spiegò la signora Brunner. — L’autunno scorso trovò un luogo ideale, e non appena me ne ebbe parlato, firmai un assegno.
— Voi o vostro marito?
— Avevamo un conto corrente in. comune — disse. — Potete rispondere alla vostra domanda come più vi aggrada.
Non era questo che Casey aveva inteso dire. Cercava solo di trovare il movente che aveva messo in moto i sospetti di Brunner circa Gorden. — Intestaste l’assegno a lui? — insistette.
— No, era intestato al venditore della proprietà. Centomila dollari, signor Morrow. Avevate intenzione di chiedermelo, immagino.
— Infatti.
— Vi sembra che ci sia sotto qualcosa di losco? — Casey si accorse che si stava burlando ancora di lui, se pure non apertamente.
— Non lo so — rispose. — Dipende da ciò che otteneste in cambio dei centomila dollari.
— Una vecchia proprietà: casa, magazzini, orto e un appezzamento di terreno. Proprio l’ideale per il nostro scopo, e Lance mi dice che c’è perfino un laghetto.
— Vi dice! — Casey la inchiodò su quella frase con un balenìo negli occhi. — Intendete dire che non avete mai visto la proprietà?
— Dista almeno cento chilometri…
— Vediamo un po’… viene dunque circa mille dollari per chilometro, non è vero?
La signora Brunner sedeva immobile nella poltrona, le mani giunte sul grembo, mentre i suoi occhi grigi scrutavano il volto di lui. Pareva riesaminare mentalmente le sue parole, ripetendole tra sé, ma poi fini per dire: — Siete venuto qui senza alcuna presentazione né raccomandazione. Mi raccontate un’inverosimile storia di avventure e di intrighi, e pretendete che io creda a ogni vostra parola. Al tempo stesso pretendete che abbandoni ogni fiducia in un uomo che conosco da due anni, un uomo su cui ho fatto affidamento al punto da accettarlo quale marito di mia figlia. — Esitò, le labbra serrate, e pareva quasi sul punto di perdere il controllo. — Sarei un essere spregevole — concluse con calma — se non respingessi le assurde accuse pronunciate da voi contro Lance.
— E un essere davvero superiore se vi rifiutaste di riflettere seriamente su quanto vi ho detto.
Non lo negò. Ormai da troppo tempo il dubbio affiorava nel suo sguardo, e neppure Alicia Brunner riusciva a nascondere certe cose.
— Non vi chiedo di denunciare Gorden sulla mia parola — proseguì Casey. — Anzi, vi chiedo di non fiatarne con iui… per ora. Voglio una possibilità di equa lotta.
— Mi pare di capire che la lotta aperta non è di vostro gusto.
— Quando divento un bersaglio vivente no — ribatté Casey, sorridendo. — Per venire al sodo, dov’è questa proprietà che avete comprato senza vederla?
Non rispose e apriva e chiudeva nervosamente le mani.
— Lo saprete, suppongo.
— Certamente, almeno in modo approssimativo. È a occidente, credo… oppure a nord? Potrei chiederlo a Lance…
S’interruppe. Era chiaro che non poteva chiederlo a Lance, l’unica cosa che proprio non poteva fare. Aggiunse debolmente: — Purtroppo non ho buona memoria, per i particolari.
Che cosa aveva detto Phyllis quella prima sera, da Maggie? Brunner le aveva lasciato tutto il suo denaro perché aveva poca fiducia nelle capacità amministrative della moglie. Casey cominciava a capire il suo punto di vista.
— Eppure, firmaste un assegno intestato all’ex proprietario del terreno — disse. — Chi era?
Il piccolo solco sulla fronte di lei si approfondì. — Aveva un nome strano. Straniero, direi.
— Suppongo che abbiate l’assegno annullato.
— Li teneva tutti mio marito, posso guardare in camera sua. — Fece per alzarsi, ma Casey era stato pronto a precederla. “Dove vai tu vado io” le diceva con lo sguardo. “A questo punto, non intendo correre rischi.”
— Forse, però, sarà tra le sue carte, in città — concluse.
— Vogliamo andare?
— Ora?
— Sono a vostra disposizione.
— Oggi non posso. — Scuoteva il capo. — Viene a pranzo Lance. Domani, forse.
— Domani va benissimo — ribatté Casey. — Potremmo trovarci… — Tacque, dicendo a se stesso: “piano, Casey”. — Vi telefonerò a casa in mattinata.
— Mi occorrerà un po’ di tempo per arrivare in città.
— Alle undici.
Casey si avviò verso la porta e, pur non avendo scoperto molto, gli sembrava di essere sulla pista buona. Sentiva nell’aria di essere sul punto di fare importanti scoperte. Aveva già afferrato la maniglia, quando disse: — Spero di chiarire tutto in breve, in un modo o nell’altro. Allora potrete rivedere vostra figlia: sono certo che ve ne ricorderete, se vi venisse la tentazione di piangere sulla spalla di Gorden.
Phyllis non gli rivolse domande o per lo meno non troppe. Casey non sapeva a che ora si fosse svegliata e accorta della sua assenza perché non glielo disse; anzi, per tutta la giornata quasi non apri bocca. La sera uscirono per andare a pranzo e poi al cinematografo e, mentre rincasavano, gli chiese dov’era stato.
— A zonzo — rispose. — Volevo riflettere.
— Anch’io ho riflettuto.
Il suo tono era grave e, approfittando di un semaforo rosso, Casey scrutò il suo viso, serio e pensieroso alla luce del lampione.
— Non torniamo a casa — lo supplicò.
— Che vuoi dire?
— Non torniamo da Big John, non torniamo in nessun posto. Continuiamo in macchina.
— E dove andiamo?
— In qualsiasi posto… mi è indifferente. Lasciamo la città e non pensiamo più a quanto è accaduto.
— Parli come una pazza — esclamò Casey. — Non possiamo andar via, lo sai benissimo. Devo occuparmi di questa faccenda fino in fondo, ormai ci sono dentro. Quando avrò trovato Carter Groot…
Non le aveva mai detto gran che di Groot, a parte un accenno quell’ultima sera nell’appartamentino.
— Quando l’avrai trovato!
Il semaforo dava via libera e gli automobilisti alle loro spalle premevano tutti sul clacson, ma Casey udì la sua frase, sebbene fosse stata pronunciata sottovoce.
— Non capisci! — proseguì Phyllis. — Carter Groot è morto, e quando sarai al corrente di ciò che sapeva…
Certe frasi non è necessario finirle.