Balzato prontamente dietro l’uscio dello studio, Casey tendeva l’orecchio verso le voci. Prima due e subito dopo una terza. La prima era maschile e, mentre si apriva la porta dell’ingresso, stava dicendo: — Ora accendo, è buio pesto qua dentro. Sei sicura di voler rimanere, Alicia? Tanto varrebbe che tu aspettassi a casa mia.

I nervi di Casey si tesero. Aveva riconosciuto la voce di Lance Gorden, e non faceva parte dei suoi programmi per la giornata imbattersi nel suo avversario in quelle circostanze. Non aveva previsto che il funerale di Brunner sarebbe terminato così in fretta.

Intanto una voce di donna rispondeva: — Non c’è ragione perché io non rimanga. Non sono una bambina, Lance.

— Hai però passato ore molto angosciose.

— Sto benissimo. Dopo tutto, bisogna saper affrontare anche le situazioni più sgradevoli. Tanto vale che cominci subito.

In quella voce, nuova per Casey, vibravano accenti forti: dominio di sé, educazione e forza. Aveva già una mezza idea sull’identità della donna, quando un terzo personaggio entrò in scena, confermando i suoi sospetti.

— Ma come, signora Brunner, intendete rimanere qui?

— Sì, Petersen, per qualche tempo.

— Voglio esprimervi tutto il mio cordoglio…

— Capisco, Petersen, e vi ringrazio. I vostri fiori erano bellissimi.

Seguì un silenzio imbarazzato, di quei silenzi che implicano come non esistano parole adeguate di fronte alla morte.

Fu Petersen a romperlo: — Provvederò alla colazione.

— Grazie, non ho fame.

— Capisco, ma dovete mangiare, signora. Preparerò subito qualcosa.

— Ha ragione, Alicia — fu pronto a intervenire Gorden. — Io non posso rimanere, perché devo consultarmi di nuovo con il tenente Johnson, ma tu cerca di riposare. Ti telefonerò appena mi sarà possibile.

A giudicare dal rumore della porta che si apriva e si richiudeva, queste parole dovevano essere state l’addio di Gorden, e Casey ne provò un gran sollievo. Udì i passi del domestico avviarsi verso la cucina e gli parve che trascinasse i piedi, come se fossero indolenziti per avere seguito il funerale con un paio di scarpe nuove. Appiattendosi contro la parete e spiando attraverso la fessura tra l’uscio dello studio e l’intelaiatura, gli riuscì di scorgere di sfuggita la schiena dell’uomo, le sue spalle e un ciuffo di capelli brizzolati. Non appena Petersen fu sparito, nulla si frapponeva tra lui e la porta, eccettuata la figura profumata della signora Brunner.

Aspettò che anche lei si muovesse, che si avviasse in qualsiasi direzione che non fosse quella dello studio, ma ancora una volta la fortuna non gli arrise. Preceduta dalla sua ombra, si avvicinò e si fermò sulla soglia, fissando l’oscurità in silenzio. Era troppo vicina perché Casey potesse vederla chiaramente, ma la luce della lampada del corridoio illuminava il suo profilo classico. Bellissima, di una bellezza fuori del comune, la signora Brunner non assomigliava alla figlia. L’effetto di insieme, in Phyllis, vivace e colorito, a volte perfino aggressivo, nella madre era invece di calma, eleganza e dignità. Indossava un abito di velluto nero, e al collo portava una collana di perle. L’espressione impassibile del suo viso era certamente frutto di intere generazioni abituate a dominarsi. Per la prima volta dall’inizio di quell’incubo, Casey fu conscio di un’.atmosfera di tragedia e dovette lottare contro il folle impulso di uscire dal nascondiglio per dire alla signora Brunner che sua figlia non era morta, che stava bene ed era al sicuro. Ma poi? La domanda ebbe l’effetto di una doccia gelata.

Aveva perso il senso del tempo: in quello stato di tensione i secondi parevano ore, ma finalmente la donna si mosse e, immersa in chissà quali pensieri, tornò lentamente sui suoi passi. Casey attese ancora, sempre in ascolto, finché non ritenne possibile un tentativo di fuga, e allora uscì da dietro la porta e attraversò il corridoio illuminato con la rapidità concessagli dalle sue gambe malferme. Soltanto quando fu in strada respirò a pieni polmoni.

Leta Huntly abitava in un minuscolo appartamentino nella Diversey Street, poco lontano dalla Sheridan Road.

L’alloggio al terzo piano guardava sul retro e dava su uno stretto vicolo di dubbia pulizia e su un fazzolettino di prato che a volte era verde, ma non certamente nel mese di novembre. Veniva definito uno studio in quanto il letto era truccato da divano, la tavola truccata da scrivania, e la cucina si chiudeva come un armadietto. Lindo, pulito e dall’aria molto utilitaria, come la stessa signorina Huntly, che si truccava da segretaria efficiente. Mentre Casey entrava nella stanza, tutto ciò attirò la sua attenzione, perché gli parve avere un preciso significato. Se la signorina Nardis, nell’ufficio di Gorden, era stata esatta nelle sue poche velate allusioni riguardo ai rapporti di Leta Huntly con Darius Brunner, questi doveva essere stato un uomo di gusti semplici e dalle poco visibili manifestazioni di generosità.

— Assicurazione? — ripeté Leta con tono freddo. — Non m’interessa…

— Non sono qui per fare una polizza — intervenne prontamente Casey. — Rappresento la Società di Assicurazioni Midwest e vorrei rivolgervi alcune domande.

Buona mossa. Aveva ricordato che una delle matrici di Brunner portava quel nome, e Leta non era in uno stato d’animo scettico. A giudicare dal pallore del suo viso grazioso ma non conturbante, doveva essere ancora sotto l’impressione penosa del funerale.

— So che è un momento difficile — continuò Casey, prendendo posto su una delle sedie dallo schienale rigido poste intorno al tavolo trasformabile — ma sono certo che vorrete aiutarci a chiarire questo triste caso.

— Oh sì! Il signor Brunner era una così brava persona, e non posso ancora credere…

La voce di lei si ruppe bruscamente, e le labbra le tremarono. Casey temeva uno scoppio di pianto, ma sgorgò soltanto qualche lacrima. Leta si asciugò gli occhi con un semplice fazzoletto di lino, toccandosi poi con gesto nervoso i corti capelli dal taglio accurato, mentre riusciva a sorridere con aria dolorosa.

Disse: — Vogliate perdonarmi, signor…

— Kelly — l’informò Casey, senza una ragione speciale per scegliere quel nome piuttosto che un altro.

— Scusatemi, signor Kelly. Come avete detto giustamente, è un momento difficile. In che cosa posso esservi utile?

Casey pensò che in un momento meno opportuno non gli sarebbe andata tanto liscia. Leta non pareva il tipo di donna pronta a comprare azioni di una miniera d’oro da un venditore ambulante, né ad accettare le dichiarazioni di un qualunque investigatore di compagnie assicurative. Comunque il momento era ben scelto, e si doveva approfittarne.

Cercando di apparire un individuo pratico, cominciò: — Naturalmente la mia società è ansiosa di mettere le mani sull’assassino del signor Brunner prima che vengano pagate polizze, tanto più che uno dei principali eredi sembra che sia implicato in maniera grave.

— Suppongo che alludiate a Phyllis.

— È tuttora irreperibile.

— Lo so.

Casey non aveva dimenticato che il suo compito consisteva nell’occuparsi di Lance, ma riteneva che non sarebbe stato certo un male compiere qualche indagine nei riguardi della ragazza, che in quelle strane circostanze era diventata sua moglie. — Voi la conoscevate, immagino.

— Soltanto di vista. Veniva spesso in ufficio.

— Lavorava?

— Se lavorava! — Lo stupore portava sorprendenti mutamenti al viso di Leta, come se delle luci si accendessero d’un tratto su un palcoscenico buio. — Una ragazza come Phyllis non ha bisogno di lavorare, signor Kelly. Le basta tendere la mano per ottenere ciò che vuole. Ecco tutto.

Naturalmente non era tutto. Intendeva dire che Phyllis apparteneva all’alta società, non aveva mai dovuto affrontare la sveglia mattutina e gli orari degli autobus, non aveva mai dovuto lavare la propria biancheria di notte nella toletta comune… mai. Ma quelle cose non si potevano dire a un estraneo, soprattutto a un estraneo dallo sguardo pronto. Le luci nel suo volto si spensero e Leta rimase con gli occhi fissi sulle proprie mani.

— Il signor Brunner era molto generoso con la sua famiglia — riprese poi in fretta. — Cioè con Phyllis e con la moglie.

— Capisco — mormorò Casey.

— Anche per le opere di beneficenza. Erano opere di cui s’interessava la signora, ma il denaro lo passava lui. In questo momento si occupava del progetto dei “Verdi Pascoli”, un’idea veramente meravigliosa per strappare i bambini indigenti dai quartieri poveri. Col tempo l’opera diventerà autonoma, ma gli inizi sono molto dispendiosi.

Tacque un istante per riprendere fiato, poi continuò: — Io naturalmente so soltanto quanto ho udito dire dal signor Brunner al signor Gorden.

— Gorden? — Forse Casey stava diventando suscettibile su questo punto, ma gli pareva che ogni voce femminile si raddolcisse un poco nel pronunciare quel nome. — È interessato anche lui in questa opera pia?

— Certo. Amministra tutte le questioni finanziarie della signora.

— E quelle del marito?

Gli occhi di Leta erano grigi, con piccole pagliuzze verdi. Casey non se ne accorse finché lei non lo fissò.

— Il signor Brunner si occupava personalmente dei suoi affari. — La risposta fu pronta, pronunciata quasi in tono di sfida, come se gli avesse letto il pensiero. — Era così, gli piaceva far da sé.

— Però non trovava da ridire che Gorden avesse carta bianca per gli affari di sua moglie.

— Da ridire? E perché mai? Il signor Gorden faceva più o meno parte della famiglia.

Casey s’impose del tempo per riflettere. Non poteva rischiare di trarre affrettate conclusioni, lì su due piedi; eppure, per la prima volta, cominciava a scorgere un po’ di luce. Forse, fra le numerose opere benefiche della signora Brunner, ce n’era una ignota perfino a lei: qualcuno doveva pur pagare l’affitto di Gorden. Era un punto che meritava un accurato esame, ma gli occhi di Leta cominciavano a manifestare una certa curiosità attraverso il velo di malinconia.

— Suppongo che corressero rapporti cordiali fra Gorden e Brunner — osservò Casey. — Insomma, non c’erano obiezioni alle nozze imminenti, o qualcosa del genere?

La donna era evidentemente lontana mille miglia da una simile idea, e infatti lo fissò stupefatta, chiedendo: — E perché mai? Il signor Gorden è un uomo di affidamento e riscuote grandi simpatie, tanto che speravamo tutti che avrebbe avuto un’influenza benefica su Phyllis. Non le farebbe male rinsavire un poco.

Casey provò un senso di irritazione di fronte al sorriso un poco ironico di Leta e sentì un certo sollievo quando lei riportò la conversazione su Lance.

— Anzi, il signor Gorden e il signor Brunner dovevano far colazione insieme proprio il giorno…

Seccato dell’interruzione improvvisa, Casey incalzò: — Vi è venuto in mente qualcosa?

— Si, ma non è importante. Avevano appuntamento lunedì, ma la colazione andò a monte.

— Gorden non si fece vivo?

— Oh, sì, lui è sempre puntualissimo, ma non c’era il signor Brunner. Era uscito dieci minuti prima, dimenticandosi completamente di avvertirlo. La prese molte bene, s’intende.

— Brunner?

— No, il signor Gorden. Decidemmo entrambi che la dimenticanza era dovuta alla visita di Phyllis in ufficio poco prima. A volte faceva innervosire il padre.

— Chiariamo un po’ meglio. Lunedì la signorina andò in ufficio dal padre, lui usci dopo che se n’era andata?

— Per circa due ore. Al suo ritorno pareva un poco nervoso ma, come dico, Phyllis gli aveva spillato altri quattrini a forza di moine.

— Ve lo disse lui?

— Non proprio — ammise Leta, arrossendo — ma in generale era quello lo scopo delle sue visite, e ricordo di averla vista mettere un foglietto nella borsa mentre usciva. Sembrava un assegno.

— Che cosa fece Gorden quando Brunner non andò all’appuntamento?

— Attese in ufficio qualche minuto e poi uscì da solo. Però la prese molto bene.

Casey cominciava a essere stufo di sentirsi fare gli elogi di Lance, ma quel poco tatto di cui era dotato gli suggerì di non dirlo. Un’altra sensazione vaga, forse il presentimento di un pericolo, lo ammoniva al tempo stesso di non fidarsi troppo della sua buona stella. Fra poco Leta si sarebbe stancata di rispondere alle sue domande e avrebbe cominciato a rivolgergliene alcune molto imbarazzanti. Eppure un’altra occorreva rischiarla.

— Se non sbaglio — disse, tastando il terreno — voi diceste alla polizia di aver lavorato fino a tardi la sera in cui morì Brunner. Che genere di lavoro stavate svolgendo?

I nodi venivano ormai al pettine.

— Non riesco a capire… — tergiversò Leta.

— Io sto solamente cercando un movente, signorina Huntly.

Casey cominciava a pentirsi di avere abbandonato la veste del reporter. Forse si sarebbe lasciata abbindolare nella speranza che le sue parole apparissero sui giornali. A volte le donne ci tengono a particolari di questo genere, ma ormai era tardi per cambiare professione.

— Be’ — fini per dire Leta — non so esattamente che cosa stesse facendo il signor Brunner. Rimase solo nel suo ufficio fin verso le otto, e io lo attesi nel mio, scrivendo a macchina, finché non ebbe finito. Mi aveva detto di andare a casa, ma non me la sentivo di lasciarlo solo.

— Avevate qualche particolare ragione? — L’interesse di Casey si era risvegliato.

— Si. Negli ultimi tempi era stato oberato di lavoro, e ritenevo che fosse meglio non lasciarlo solo dopo quanto era accaduto l’estate scorsa. Ebbe un attacco, forse lo avete saputo.

— No, non lo sapevo.

— Cuore. Accadde durante una fine settimana, mentre si trovava nella sua villa di campagna. In seguito prese in affitto l’appartamento in città, e questo lo facilitò molto.

Il racconto aveva un suono familiare. Lance Gorden aveva detto circa la stessa cosa, e le prove riguardo al pettegolezzo della segretaria si facevano sempre più deboli. Casey, scrutò per un momento il volto di Leta. Mica male. Naso un po’ troppo grande, labbra un po’ troppo sottili, ma, nell’insieme, formava un quadro abbastanza piacevole. Certo non aveva la classe di Alicia Brunner. Quanto a Darius, a giudicare dalle fotografie pubblicate sui giornali, Darius era stato un uomo di aspetto insignificante.

Si alzò e prese il cappello dal tavolo, dicendo: — Mi pare che possa bastare. Non vi disturberò oltre, signorina Huntly, e apprezzo il vostro aiuto. Suppongo che voi non abbiate idee personali sulla vicenda.

Leta doveva aver deciso di agire con discrezione, sebbene Casey avesse notato una improvvisa vivacità nel suo sguardo. Non era cieca e aveva quindi letto dell’uomo in grigio sui giornali.

— Una cosa ancora — aggiunse, ormai vicino alla porta. — Potreste dirmi come posso mettermi in contatto con Carter Groot?

— Come?

— Groot, Carter Groot. Credo che fosse un amico di Brunner, e quindi potevate averlo visto in ufficio.

Il punteggio questa volta marcò zero. Leta ripeté lentamente: — Groot… mi rincresce ma il nome non mi dice nulla. No, sono sicura di non averlo mai udito prima d’ora.

Era pomeriggio avanzato quando Casey fece ritorno all’appartamento. Aveva camminato non poco dal mattino, e i suoi piedi ne risentivano. Un giornale piegato sotto il braccio, lo sguardo stanco e abbattuto, chiunque l’avrebbe scambiato per uno dei soliti mariti succubi, che rincasano dopo un’altra faticosa giornata di ufficio. Già dal corridoio avvertì l’odore delle cipolle che friggevano.

— Spero che ti piacciano gli spaghetti — gli disse Phyllis appena fu entrato in cucina. — È praticamente l’unico piatto che so cucinare.

— Mi piacciono — fu la laconica risposta.

Phyllis si volse a guardarlo. Indossava sottana e camicetta a buon mercato, i capelli radunati in cima alla testa, eppure anche così era bellissima. — Che cosa hai scoperto? — chiese.

— Non lo so. Nulla, credo. Sono stanco.

Casey tornò nel salotto e si lasciò cadere sul divano, addormentandosi quasi subito. Quando si svegliò aveva la cravatta allentata, era scalzo, e Phyllis curva su di lui masticava un grissino. — Gli spaghetti sono pronti — disse. — Vieni a mangiare.

Sedettero in cucina e mangiarono in silenzio. Nessuno dei due osava parlare. Il giornale posato su un angolo del tavolo era aperto alla pagina che dava il resoconto del funerale, completo di fotografie, ma sul viso di Phyllis non si scorgeva nessuna traccia di emozione. Casey ricordò d’un tratto il profilo della signora Brunner stagliato sulla soglia dello studio, e niente sembrava avere più un senso comune. Qualcuno avrebbe dovuto piangere, qualcuno avrebbe dovuto cedere in qualche modo. Quanto a Phyllis, qualunque cosa sperasse di scoprire stando nascosta, non si riusciva a capire perché lo facesse senza avvertire la madre. Era strano, quasi impressionante, vederla seduta li tanto calma.

— Che c’è? — gli chiese, accorgendosi che la fissava. — Perché non mangi? Li faccio bene, gli spaghetti.

— Non ho fame.

— Ma devi mangiare.

Devi mangiare. Proprio quello che aveva detto Petersen, il domestico, alla signora Brunner. A quel ricordo Casey capì d’un tratto che cosa, senza rendersene conto, sentiva il bisogno di fare. Voleva scendere al bar dell’angolo e chiamare un numero che aveva visto sulla scrivania di Brunner. Servendosi di una cabina pubblica, i rischi sarebbero stati pochi: voleva dire alla signora Brunner che la figlia era sana e salva. Forse quel gesto lo avrebbe tenuto su finché non avesse deciso sulle ulteriori mosse.

— Vado a fare due passi — disse ad un tratto, respingendo la sedia.

— Vai da Maggie?

Il tono di Phyllis rivelava la stessa lieve preoccupazione che si leggeva nei suoi occhi, e Casey esitò prima di chiedere: — Perché dovrei andare da Maggie?

— Perché hai scoperto qualcosa e non vuoi dirlo a me.

— Siocchezze.

— Credi?

Prese cappello e cappotto dal piccolo armadio nell’ingresso e scese pesantemente le scale, continuando a cercare una risposta. Fuori faceva più freddo di quanto non ricordasse e anche molto buio, ma verso l’angolo della via una macchia di luce gialla indicava le finestre del bar. Mentre camminava si frugava già in tasca per tirar fuori una moneta.

La suoneria del telefono di Brunner squillò a lungo prima che una voce dicesse: — Pronto.

Era Petersen, e Casey lo riconobbe subito. Disse: — Vorrei parlare con la signora Brunner.

— Non c’è, è tornata in campagna. Posso farle un’ambasciata?… Pronto!

Casey riagganciò. Fallimento di una buona azione. Provò a pensare alla proprietà di campagna e al fatto che se lui vi fosse apparso all’improvviso, per la signora Brunner sarebbe stato uno sconosciuto qualunque, com’era successo con Leta e con tutti gli altri. Occorreva però un’automobile. Maggie? No, non la possedeva. Però avrebbe potuto procurargliene una, le avrebbe dato il denaro necessario per noleggiarla. Apri la porta della cabina e cercò sull’elenco telefonico il nome di un’autorimessa. Mentre sfogliava il libro aperto a casaccio, il suo pollice parve incollarsi alla carta sotto una riga in neretto. “Groot, Carter B.” lesse, “Commerciale e Penalista”.

Un’agenzia investigativa.