Uno degli uomini di Johnson svegliò Devan al mattino, con un energico colpo alla porta per ricordare che la riunione era alle dieci nel laboratorio di Costigan.

— Scusate, signore — disse, quando Devan fu di fronte a lui, in pigiama. — Dobbiamo chiamare tutti. Voi capite.

— Naturalmente.

— Avete avvisato la signora Traylor?

— Non ancora. — Poi, vedendo che il poliziotto stava sempre lì: — Ma lo farò — aggiunse.

Quando Devan era tornato a casa la sera prima, era ben deciso a parlare. Ma più ci pensava, domandandosi che cosa volessero significare le parole di Tooksberry e il suo comportamento così strano, più si convinceva che doveva star zitto. Se il campo avesse saputo che non si poteva tornare a Chicago, sarebbe successo uno scompiglio generale. Ma non sarebbe stato peggio radunare là tutta la gente e poi annunciare che non si poteva tornare?

Sperò che Tooksberry sapesse quello che faceva e, pur ritenendo che il suo comportamento fosse per lo meno strano, tuttavia si guardò bene dal dire a Betty che la sperata via per ritornare non esisteva.

Mentre preparava la colazione, Betty era pallida e Devan pensò che anche il suo viso dovesse essere uguale. Una cosa sapeva: la sua mente era troppo ossessionata dal pensiero dell’Ago, della gente, di Tooksberry e se dire o no la verità a Betty. Il risultato fu che la colazione gli rimase sullo stomaco.

Quando fu pronto per scendere al laboratorio, Devan disse, come per caso: — Devo andare ora. Mi raggiungi là?

Betty lo accompagnò alla porta. Aveva quasi le lacrime agli occhi. Lui la baciò leggermente, Betty gli buttò le braccia al collo.

— Devan.

— Che cosa c’è?

— Devan. — Non lo voleva lasciar andare. — Siamo stati molto felici insieme in tutti questi anni.

Il suo cuore ebbe uno spasimo di tenerezza che gli salì in una sensazione confusa alla testa, lasciandolo come stordito.

— Lo so — riuscì a dire.

— E, Devan — le sue braccia lo cingevano ancora, le sue labbra stavano appoggiate al suo orecchio — non cessiamo di essere felici. Restiamo qui. Non voglio tornare. E tu?

La strinse forte, con gioia.

— Io non voglio tornare, Betty. — Era meraviglioso scoprire così semplicemente la verità che si era nascosto per tanto tempo. — Non ho mai realmente desiderato di tornare.

Betty lo prese sottobraccio e lo guardò con espressione radiosa. — Anche se rimarremo soltanto in quattro: tu, io e i bambini.

— Staremo sempre insieme — disse Devan — qui.

Il mattino era fresco e splendeva un sole luminoso. Il lago era quasi un completamento del cielo. Riverberi di luce danzavano sulle onde che si infrangevano a riva.

Se non ci fossero state cose tanto importanti in aria, certamente qualcuno vi si sarebbe tuffato. I bambini che di solito giocavano sulla riva non c’erano. L’intera popolazione della Nuova Chicago si era data convegno al laboratorio dell’Ago.

La gente arrivava a gruppi, alcune persone isolate e nessuno aveva portato le proprie cose con sé, ben sapendo che dall’Ago non poteva passare nulla. Orcutt era là davanti a un grosso recipiente, una specie di bacheca, nel quale erano ammassate striscioline di carta con dei numeri. Devan aiutava Johnson nell’elenco dei nomi, che erano cinquecentotrentuno, compreso quello dell’ultimo nato, che aveva visto la luce quella mattina stessa.

Johnson disse che i suoi uomini erano stati in tutte le case e che mancava poca gente: qualcuno che stava a caccia nei dintorni e altri due che erano partiti per un mese in giro di esplorazione.

Gli uomini ora parlavano e facevano domande.

Come avrebbero potuto passare nell’Ago i degenti dell’ospedale? Orcutt spiegò che sarebbero passati in un secondo tempo e che, pertanto, bisognava che qualcuno si fermasse ad attenderli. In quanto a quelli fuori in esplorazione si sarebbe fatto qualcosa.

Ma Devan non stava pensando ai vari problemi sollevati in quel momento. Pensava a quello che Betty gli aveva detto e il suo cuore esultava constatando che Betty, che pur non sapeva che a Chicago non si sarebbe tornati mai, desiderava comunque restare lì. Ciò gli dava una sensazione di libertà e di distacco da tutto il resto, come non provava da anni. Fu allora che si rese conto che l’Ago, nel caso suo e di Betty, non era stato altro che un benevolo strumento di felicità.

Per delle ragioni assolutamente imponderabili, che nemmeno quelli che provano questi sentimenti riescono a spiegare, Devan sentì che Betty era lì, in mezzo alla gente e, volgendosi, la vide.

Si sorrisero.

La sua felicità di rimanere fu solo offuscata dal pensiero che tutti coloro che stavano lì in attesa, fossero convinti di poter tornare a Chicago. Cosa sarebbe accaduto quando avrebbero scoperto che a Chicago non si poteva mai più tornare?

Devan alzò gli occhi e vide Costigan al suo fianco. — Circa Tooksberry… — cominciò il dottore sottovoce.

Devan sorrise e disse: — Più tardi, dottore.

— Signore e signori di Chicago — Orcutt stava in piedi su un tavolo — e bambini. — Qualcuno rise. Orcutt appariva come al solito sicuro di sé. e come sempre padrone della folla. Ma cosa sarebbe stato della sua personalità magnetica, quando lui pure avrebbe scoperto che stava dicendo menzogne?

— Finalmente è arrivato il giorno da noi tanto atteso. Per la costruzione di questa macchina abbiamo dovuto fare a meno di tante cose e Devan Traylor, qui, e il dottor Costigan, avanti dottore, fatevi vedere, non hanno perso tempo (non parlo di spese perché qui non abbiamo denaro), per condurre a termine i preparativi. La notte scorsa i vostri rappresentanti si sono riuniti qui, nella costruzione dell’Ago, e Howard Tooksberry, qualcuno ha visto Howard?, è entrato nell’Ago ed è riuscito a trascorrere qualche momento a Chicago. Non ha potuto dare dettagli molto ampi perché era notte, ma assicura che si tratta di Chicago. Anzi, per provarlo, lesse un pezzettino del “Chicago Tribune”, che naturalmente non poté portare con sé.

“Qualche tempo fa, il Consiglio, sapendo che la macchina era quasi finita, studiò il problema del passaggio e della precedenza da assegnare nell’entrarvi. Penso che siate tutti d’accordo nel considerare che è praticamente impossibile entrare tutti insieme. Per cui abbiamo scritto tanti bigliettini, numerati da 1 a 250, con l’idea che la persona cui verrà assegnato il numero, passi, naturalmente in ordine progressivo rispetto agli altri, nell’Ago, solo o con l’intera famiglia per chi ne ha una. Ora potete venire qui tutti in fila a prendere il vostro numero. Ci sono domande?

Si alzò una mano: era Gus Nelson.

— Sì, Gus.

— Signor Orcutt — disse — la persona che ha il numero uno entra subito nell’Ago o aspetta che gli altri abbiano i loro numeri?

— Deve aspettare, Gus — gli rispose Orcutt. — Cominceremo a sfilare non appena ognuno avrà il suo numero e si sarà stabilito un ordine. Altre domande?

Un uomo nella folla desiderò sapere com’era la Chicago che Tooksberry aveva visto.

— Howard dice che è la stessa che conobbe allora.

— È quello che temevo — disse l’uomo.

La gente rise.

— Benissimo — disse Orcutt — siamo tutti pronti? Venite tutti con ordine a prendere i vostri numeri.

“Ormai” pensò Devan “non potrà succedere altro che tutti verranno a prendersi i loro numeri e scopriranno che al di là dell’Ago non c’è nessuna Chicago”.

Orcutt tolse dalla bacheca il primo numero. Nessuno si mosse.

La gente stessa era stupita.

Orcutt tornò al tavolo. — Non mi avete sentito? Non volete prendere i biglietti e poi entrare nell’Ago? È per tornare a Chicago.

Ora la gente sorrideva e alcuni ridevano.

— Gus! — disse Orcutt. — Gus Nelson. Prima hai chiesto se si può entrare nell’Ago subito. Non vuoi il tuo bigliettino?

Nelson scosse il capo. — No, signor Orcutt. Domandavo solo per curiosità che cosa potesse succedere alla persona che aveva il “numero uno”. Sapevo che io non avrei preso né quello né nessun altro numero, dal momento che non mi allontanerò da qui.

— Tu stai qui? E perché?

— Ho il mio lavoro. Lavorare l’acciaio è importante, tanto più che sto studiando un nuovo tipo di acciaio carbonioso. Non posso proprio abbandonarlo.

Poi sorrise timidamente: — Inoltre c’è un’altra ragione: una donna. Abbiamo parlato a lungo di ciò e abbiamo deciso che resteremo qui.

Mormorii passarono tra la folla.

Poi ci fu un lungo applauso che aumentò sino a che tutti vi si unirono. Quindi si calmò.

— Vi posso dire perché non vogliamo tornare?

La voce che si alzò era quella del dottor Van Ness. Tutti si volsero dalla sua parte.

— Se torno a Chicago sarò finito, senza più lavoro. Sono troppo vecchio. Ho passato i sessantacinque e la gente già allora mi diceva: “Perché non ti ritiri e lasci il posto a qualche nuovo elemento?”. Persino i colleghi me lo dicevano. Così lo feci. Mi ritirai e la vita divenne allora per me triste e senza scopo. E ora, qui, ho trovato una nuova ragione di vivere. Ho lavorato molto, ho curato i denti di tutti, e ne sono orgoglioso. Anzi mi spiace proprio che tutte le otturazioni vadano perdute nel passaggio dall’Ago.

“Inoltre ho tre assistenti giovani che fanno un buon lavoro. Spero che restino qui. Cureremo i denti di quelli che si fermeranno. E, come per il passato, ciò non costerà nulla”.

— Se pensate che torni alla lurida Chicago — disse la signora Petrie — vi sbagliate. Tutto quello che facevo là era di lavorare a maglia, sentire la radio e partecipare a riunioni di dirigenti. Lo sapete, Orcutt, non mi accadde mai nulla di interessante prima di entrare nell’Ago, e per me questa è stata un’esperienza meravigliosa: lavorare al telaio la stoffa di cui sono fatti tutti i vostri abiti. Ora ho iniziato un nuovo tipo di tessuto e non posso proprio abbandonarlo, e ne ho altri in mente. Quelli che pensano che pianti qui tutto per tornare ai ferri da calza e alla radio sono matti.

Ci fu un applauso interminabile.

Devan era molto commosso. Salì sul tavolo e cercò Betty con gli occhi. Lei lo vide e si salutarono felici.

Quindi un uomo si alzò, tendendo le braccia per chiedere silenzio.

— Molti di voi mi conoscono. Mi chiamo Elmo Hodge. Se non mi conoscete troppo bene, è perché sono stato sempre occupatissimo a costruire telescopi e a fare cartine. Al diavolo ora la drogheria! Rimango qui.

La gente rise e lui continuò:

— Vedo qui gente che a Chicago mi domandava dei soldi. Si viveva in un terribile periodo di inflazione, ricordate? Bene, non è solo per fare i telescopi che voglio restare qui, ma perché sono stufo di riempire moduli e presentare esposti allo stato e al governo, in duplicato, triplicato, quintuplicato. E voi volete tornare a tutto ciò?

La gente urlò: — No.

Hodge si sedette.

Orcutt si rivolse allora a Eric Sudduth: — E voi, Eric, non volete tornare?

— Non ho ancora finito il mio lavoro. La Bibbia non è ancora completa. Mancano ancora poche cose che voglio finire, prima di tornare, se pure tornerò.

— Non ci serve più l’Ago — urlò qualcuno.

— Senza l’Ago possiamo fare tante altre cose.

— Lasciateci usare i pezzi dell’Ago per ciò che ci occorre.

— Bruciatelo!

— Fatelo a pezzi!

La voce di Orcutt si levò al di sopra di tutto.

— No — disse — non lo romperemo. Ci occorrono i suoi pezzi. Lo smonteremo e lo utilizzeremo. Dobbiamo ancora costruire molte cose: una stazione radio, un aeroplano. E non abbiamo automobili. Abbiamo ancora molte ricerche da fare. E ora che l’Ago non occupa più il nostro tempo, potremo studiare meglio il posto in cui ci troviamo. E faremo mappe, carte geografiche. Abbiamo tanto da fare.

Costigan tirò fuori bottiglie di vino e bicchieri.

Ora che la tensione era passata, la gente rideva, parlava serenamente, e faceva progetti per il futuro.

Una volta Devan guardò Orcutt e si chiese se sapesse. Ma non poteva saperlo, perché solo Tooksberry, Costigan e lui erano al corrente. Solo ora Devan comprese cosa Tooksberry avesse voluto dire con “credere in Chicago”. La gente doveva arrivare da sé a rinnegarla, e capire che là non c’era felicità. Ma doveva credere anche di avere la possibilità di tornare.

— Perché mi avete guardato? — chiese Orcutt. — Non rispondetemi. Credo di saperlo. Come può un uomo lasciare i suoi occhiali da vista da una parte dell’Ago e leggere il “Chicago Tribune” dall’altro? È questo che pensate?

— Qualcosa del genere.

— Era deserto di là — disse Tooksberry. Beatrice gli stava alle spalle. — Rimasi a lungo su quella distesa di rocce. C’era solo pace e silenzio. Così pensai a quello che avrei potuto dire. Era l’unica cosa da fare, non credete?

— Sì — rispose Devan — ne sono convinto.

Betty, che stava seduta accanto a lui, gli strinse la mano e insieme guardarono i bambini che si allontanavano correndo nel sole.

Improvvisamente la loro attenzione fu attratta da grida che provenivano dal lago.

Devan pensò: “Qualcuno ci è caduto dentro”.

Molti salivano in cima alla piccola collina sabbiosa e guardavano giù, indicando un punto sull’acqua.

Un uomo nuotava al largo della spiaggia. Le sue braccia bianche colpirono particolarmente i cittadini della Nuova Chicago, abbronzatissimi.

Quando si fu avvicinato, cominciò lentamente a camminare fuori dall’acqua.

Era nudo. Sorrideva.

Faceva cenni di saluto alla gente che stava lì, sulla collina.

FINE