I

Olocausto

«Jim si prepara a uccidere Nora.»

Ellery ripose il libro nello scaffale.

«Sciocchezze» mormorò, e molto dolcemente condusse la ragazza all’aperto.

«Nora è in pericolo» singhiozzò Pat. «Ellery, che cosa devo fare?»

«Solo il tempo potrà aiutarci a scoprire un po’ di verità, Patty.»

«Ma io non posso sopportare da sola tutto questo! Nora… Ha visto Nora come l’ha presa? Ellery, mia sorella ha una paura da morire. Eppure si è comportata come se nulla fosse accaduto. Non capisce? Ha deciso di non crederci. Se anche le sventolassimo questa lettera sotto il naso, Nora non ammetterebbe nulla ormai! Mentirebbe davanti a Dio!»

«Sì» convenne Ellery, e strinse la ragazza fra le braccia per confortarla.

«Jim era tanto innamorato di lei! Ha visto come si è svolta tutta questa storia. Ha visto il suo viso quella sera, quando sono scesi a dirci che avevano intenzione di sposarsi. Jim era felice. E quando sono tornati dalla luna di miele, sembrava ancora più felice.» Pat mormorò: «Forse è diventato matto. Un pazzo pericoloso!» Ellery non parlava. «Come posso dirlo alla mamma, a mio padre? Ne morirebbero, e poi… non servirebbe a niente. Eppure sono costretta a farlo!»

Un’automobile rombò nel buio, sulla strada della collina.

«Cerchi di calmarsi, Pat. Abbiamo tempo per pensarci. Staremo in guardia; vedremo come vanno le cose e, nel frattempo, tutto questo resterà un segreto fra noi… Ho detto “noi”?» Ellery assunse un’aria desolata. «A quanto pare, ho dichiarato di far parte della congiura.»

«Non si tirerà indietro ora, vero?» esclamò Pat con voce alterata. «Ho contato su di lei sin dal primo momento. Ellery, Nora ha bisogno di aiuto! Lei è abituato a queste cose. La prego, non se ne vada!»

«Ho detto “noi”, sì o no?» ribatté Ellery, irritato. «Adesso si sfoghi pure a piangere. Però dopo basta! Capito?»

«Sì» singhiozzò Pat. «Sono una stupida frignona.»

«Non è una stupida, e deve diventare un’eroina. Non una parola, non uno sguardo, non un atteggiamento sbagliato. Per quanto riguarda Wrightsville, queste lettere non esistono. Jim è suo cognato, le piace, e lei è felice per lui e per Nora. Non deve dirlo né a suo padre, né a sua madre, né a Frank Lloyd, né…»

Pat alzò il viso.

«Né… a chi?»

«No» disse Ellery accigliandosi. «Non posso prendere questa decisione per lei!»

«Allude a Cart» dichiarò Pat con forza.

«Alludo al Procuratore Distrettuale della Contea di Wright.»

Pat rimase in silenzio. Anche Ellery taceva. La luna era più bassa, ora.

«Non potrei mai dirlo a Carter» mormorò Pat. «Non so perché. Forse perché fa parte della polizia, forse perché non è della nostra famiglia…»

«Nemmeno io faccio parte della famiglia» osservò il signor Queen.

«Lei è diverso!»

Suo malgrado, il signor Queen provò una sensazione di piacere. Ma la sua voce rimase impersonale.

«In ogni caso lei dovrà diventare una succursale dei miei occhi e delle mie orecchie, Pat. Resti vicina a Nora il più possibile, senza sollevare i suoi sospetti. Tenga d’occhio Jim, senza averne l’aria. Mi riferisca tutto quel che accade. E non appena le è possibile, mi faccia partecipare alle riunioni di famiglia. È chiaro?»

«Stavo comportandomi da sciocca» fece Pat, alzando il viso sorridente verso l’investigatore. «Ora le cose non sembrano più tanto terribili. È così riposante stare con lei, sotto questo albero, al chiaro di luna… lo sa di essere bello, Ellery?»

«E allora, accidenti» ruggì una voce maschile nel buio «perché non lo baci?»

«Carter!»

Pat si nascose contro il tronco scuro di un olmo. “Che faccenda assurda!” pensò il signor Queen.

«Non puoi negare che sia bello!» affermò la voce di Pat che veniva dall’albero. Ellery sorrise tra sé.

«Mi hai mentito!» gridò Carter, che apparve finalmente in luce a testa nuda, con i capelli tutti arruffati. «Non ti nascondere, Pat!»

«Non mi nascondo» ribatté Pat in tono petulante. Avanzò, e i due giovani si piantarono l’uno di fronte all’altra, guardandosi con aria dispettosa. Il signor Queen li osservava in silenzio, divertito.

«Mi hai detto al telefono che avevi il mal di testa!»

«Sì.»

«Mi hai detto che andavi a letto.»

«Sto per andarci.»

«Non cavillare, ora!»

«Ti rendi conto che stai facendo dei drammi inutili!»

Carter agitò le braccia verso le stelle poco benigne.

«Hai mentito per liberarti di me. Non volevi avermi tra i piedi. Avevi un appuntamento con questo scribacchino! Non negarlo.»

«Lo nego, invece.» La voce di Pat si ammorbidì. «Ti ho mentito, Carter, ma non avevo un appuntamento con Ellery.»

«E si dà il caso che questo sia vero» intervenne Queen.

«Lei badi ai fatti suoi, Smith!» urlò Carter. «Altrimenti la mando lungo e disteso sul prato.»

Il signor “Smith” sogghignò e si tenne fuori dalla mischia.

«Lo ammetto, sono geloso» mormorò Carter. «Ma tu non devi essere vigliacca, Pat! Se non mi vuoi, dillo.»

«Non è questione di volerti o non volerti» mormorò la ragazza con voce timida.

«Ebbene, mi vuoi o non mi vuoi?»

Pat abbassò gli occhi.

«Non hai diritto di chiedermi questo… qui… ora…» Gli occhi le si accesero. «Non vorresti che ti mentissi in ogni caso, vero?»

«Benissimo, come vuoi tu!»

«Carter…!»

La voce di lui parve un ruggito di sfida:

«Fra me e te tutto è finito!»

Pat si mise a correre verso la grande casa bianca. Mentre la osservava attraversare il prato, il signor Queen pensava: “In un certo senso, è meglio… molto meglio. Tu non sai che cosa ti si prepara. Il signor Carter Bradford, quando lo incontrerai la prossima volta, forse sarà un pericoloso nemico”.

Quando Ellery si presentò sotto il portico, la mattina dopo, trovò Hermy e Nora che bisbigliavano sommessamente.

«Buongiorno!» esclamò allegramente.

«Ellery, che cos’è accaduto ieri sera?» domandò Nora.

«Accaduto?» ripeté Ellery con aria inespressiva.

«Volevo dire… tra Pat e Carter. Lei era a casa…»

«Pat ha qualcosa che non va?» si affrettò a chiedere l’investigatore.

«Naturalmente. Non ha voluto scendere per la colazione. Non vuol rispondere a nessuna domanda. E quando Pat mette il broncio…»

«È colpa di Carter» sbottò Hermy. «Ero certa che ci fosse qualcosa di strano in quel mal di testa, ieri sera! Per favore, signor Smith, se sa qualcosa…»

«Pat e Carter si sono lasciati?» domandò Nora ansiosamente. «No, non può fare a meno di rispondere, Ellery; glielo leggo in faccia. Mamma, devi assolutamente discutere la cosa con Patty. Non può fare una cosa simile a Carter.»

Ellery accompagnò Nora verso casa. Non appena la signora Wright se ne fu andata, Nora mormorò:

«Naturalmente, un po’ è anche colpa sua!»

«Mia!» domandò il signor Queen.

«Non crede anche lei che Pat sia innamorata di Carter? Sono sicura che ha voluto ingelosirlo, e…»

«Il signor Bradford» disse il signor Queen «sarebbe geloso anche di un francobollo, se Pat lo accostasse alla bocca.»

«Lo so. È una tal testa calda! Oh, mamma mia» sospirò Nora «sto facendo tanto baccano per così poco. Vuole venire a fare la prima colazione con noi?»

«Con vero piacere.»

Mentre saliva con Nora i gradini del portico, Ellery Queen si domandava fino a che punto arrivasse la sua colpevolezza.

Durante il pasto, Jim continuò a parlare di politica, e Nora… Nora era meravigliosa. Non si poteva trovare un altro aggettivo per definirla, pensava Ellery. Osservandola e ascoltandola, il signor Queen non poteva avvertire la minima ombra di falsità. I due sposini sembravano completamente felici.

Pat arrivò di gran carriera insieme con Alberta e con le uova.

«Nora!» esclamò come se nulla fosse accaduto. «Non potresti regalare qualche uovo a una povera ragazza che muore di fame? Buongiorno, Jim; salve, Ellery; non crediate che Ludie non mi avesse preparato la colazione. Me l’aveva preparata, e ottima anche. Ma io non ho potuto resistere alla tentazione di curiosare nel nido dei due colombi…»

«Alberta, un altro coperto» ordinò Nora, sorridendo a Pat. «Dio mio, quante chiacchiere al mattino! Ellery, si accomodi. Dal momento che la luna di miele è terminata, mio marito non si alza più per i miei familiari.»

Jim spalancò gli occhi.

«Non crederci, cognatina!» esclamò, sorridendo. «Lo sai che sei cresciuta? Fatti vedere; mamma mia, che bella ragazza! Smith, la invidio. Se fossi uno scapolo…» Ellery vide una nube oscurare il viso di Nora.

Pat continuò a chiacchierare. Non era una buona attrice, e non riusciva a guardare Jim negli occhi. Però si sforzava di mettere in pratica le istruzioni, nonostante i suoi dispiaceri personali…

Ma Nora era superba. Si, Pat aveva ragione. Nora aveva deciso di non pensare alle lettere e alle loro orribili implicazioni.

«Vado io a prepararti le uova, cara» fece in quel momento Nora, rivolta a Pat. «Alberta le prepara meravigliosamente, ma non può sapere che a te piacciono bollite per quattro minuti esatti. Scusatemi.»

Nora lasciò la stanza da pranzo e raggiunse la cameriera in cucina.

«Quella Nora! È una vera donna di casa» commentò Jim con un sorriso.

In quel momento squillò il campanello. «Il postino; scusate un attimo.»

Il giovane si alzò e si diresse alla porta. Lo udirono parlare col vecchio Bailey; poi la porta si richiuse, e i suoi passi risonarono strascicati come se stesse sfogliando la corrispondenza mentre ritornava. Finalmente apparve nel loro campo visivo. Era pallidissimo in viso, e fissava attonito una delle molte buste che il postino gli aveva appena consegnato. Dopo un attimo d’esitazione, girò su se stesso e corse su per le scale. Poco dopo si udì una porta sbattere. Pat alzò gli occhi.

«Su, avanti, mangi!» comandò Ellery, avviandosi in punta di piedi verso la tromba delle scale. Dopo un istante ritornò in sala da pranzo. «È in studio, credo. L’ho sentito chiudere la porta a chiave… No, non adesso! Ecco Nora.»

«Dov’è Jim?» domandò la sposina mentre serviva le uova alla sorella.

«Di sopra» fece Ellery, afferrando un crostino.

Jim riapparve in quel momento in cima alle scale; era sempre pallido, ma perfettamente padrone di sé. Portava il cappotto, e aveva in mano varie lettere chiuse.

«Jim, c’è qualcosa che non va?»

«Non ho mai visto una donna così sospettosa!» rise Jim. «Che cosa dovrebbe esserci accaduto? Mamma mia, devo andare!» esclamò poi baciando la moglie. «Eccoti la posta. La solita roba. Be’: arrivederci, Pat; arrivederci, Smith!»

Poco dopo, Ellery si allontanò con la scusa di fare una passeggiatina nei boschi. Mezz’ora dopo, Pat lo raggiunse. Si guardava continuamente attorno come se avesse paura d’essere seguita.

«Mamma mia!» esclamò. «Credevo che non sarei mai riuscita a liberarmi di Nora.»

Ellery aspirò una boccata di fumo pensosamente.

«Pat, dobbiamo leggere la lettera che Jim ha ricevuto.»

«Ellery… ma come finirà tutto questo?»

«Jim è tremendamente scosso. Non può essere una coincidenza. Non so ancora come, ma la lettera di stamattina è collegata col resto del problema. Non può indurre Nora a uscir di casa?»

«Stamattina va in città con Alberta a fare qualche spesa. Ecco il tassì della stazione!»

Il signor Queen spense con cura la sigaretta.

«Benissimo, andiamo» disse.

Pat balzò in piedi: le mani le tremavano.

«Ho vergogna di me stessa» si lagnò. «Ma come potremmo fare, altrimenti?»

«Temo che non troveremo niente» borbottò Ellery mentre entravano in casa di Nora. «Ma sarà meglio dare ugualmente un’occhiata.»

Nello studio di Jim, Pat si appoggiò alla porta con aria stanca. Ellery annusò l’aria e andò direttamente al caminetto. Sul focolare c’era un minuscolo mucchietto di cenere.

«L’ha bruciata!» esclamò Pat.

«Ma non abbastanza bene.»

«Ellery, ha trovato qualcosa!» Pat attraversò di corsa la stanza.

Ellery stava esaminando con grande attenzione un frammento di carta spiegazzata.

«È un pezzetto della busta?»

«Il lembo posteriore. L’indirizzo del mittente. Ma l’indirizzo è bruciato. Rimane solo il nome.»

Pat lesse:

«Rosemary Haight. È la sorella di Jim.» La ragazza allargò smisuratamente gli occhi. «Rosemary, la sorella di Jim! Ellery, quella delle tre lettere!»

«È possibile che…?» Ellery s’interruppe.

«Stava per domandare se è possibile che ci fosse una prima lettera? Una lettera che noi non abbiamo trovato perché era già stata spedita? E questo è quel che rimane della risposta della sorella.»

«Sì.» Ellery infilò il pezzetto di carta nel portafogli. «Ma, ripensandoci bene, non ne sono tanto sicuro. Perché la risposta della sorella dovrebbe preoccuparlo tanto, se le cose stessero così? No, Pat: dev’esserci qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo.»

«Ma che cosa?»

«È appunto questo che dobbiamo scoprire» affermò il signor Queen. Si guardò intorno e prese la ragazza per un braccio. «Andiamocene di qui.»

Quella sera tutti erano seduti sotto il portico di casa Wright, osservando il vento che giocava con le foglie morte sul prato. John e suo genero discutevano con ardore la campagna elettorale per la presidenza.

«John, sai bene che non mi piacciono le discussioni politiche!» si lagnò Hermy. «Mamma mia, voi uomini vi scaldate tanto…»

Jim sogghignò.

«Benissimo, mammina; basta, non parliamone più.» Fece una breve pausa, poi soggiunse con aria noncurante: «Oh, a proposito, Nora: ho ricevuto una lettera da mia sorella Rosemary stamattina.»

«Davvero?» Nora era allegrissima. «Ma che bellezza. Che cosa dice, caro?»

Pat si accostò ad Ellery, al buio, e si sedette ai suoi piedi. Il giovane le appoggiò una mano sul collo: era umido di sudore.

«Le solite cose» proseguì Jim. «Dice che avrebbe piacere di conoscerti… di conoscere tutti i tuoi… e via di seguito.»

«E come no?» fece Hermy. «Anche noi siamo ansiosi di conoscere tua sorella, Jim. Ha intenzione di venirci a trovare?»

«Ecco… avevo pensato di chiederglielo, ma…»

«Oh, Jim!» esclamò Nora. «Ti ho chiesto mille volte d’invitare tua sorella a Wrightsville! Se mi dai l’indirizzo le scriverò questa sera stessa.»

«Non disturbarti, cara; scriverò io.»

Quando rimasero soli, circa un’ora dopo, Pat disse ad Ellery:

«Nora aveva paura.»

«Già. È un problema. Naturalmente si trattava della lettera che Jim ha ricevuto stamattina.»

«Ellery, Jim ci nasconde qualcosa.»

«Non c’è dubbio.»

«Se sua sorella Rosemary gli ha scritto che voleva venire qui in visita, o gli ha detto qualcosa di altrettanto normale… perché Jim ha bruciato la sua lettera?»

Il signor Queen rimase in silenzio per lungo tempo. Finalmente borbottò:

«Vada pure a dormire, Patty. Ho bisogno di pensare.»

L’otto novembre, quattro giorni dopo che Franklin Delano Roosevelt era stato eletto presidente degli Stati Uniti per la terza volta, la sorella di Jim Haight giunse a Wrightsville.