Capodanno: l’ultima cena
Nora passò quattro giorni a letto, dopo la vigilia di Natale, ma il ventinove dicembre si presentò ai familiari fresca, ridente e gaia… troppo gaia, ed annunziò che era stanca di far la malata come una vecchia signora; sapeva di aver rovinato il Natale alla sua famiglia, ma avrebbe rimediato: invitava tutti per una bella festa di Capodanno! Perfino Jim si rallegrò e la baciò con goffo imbarazzo. Pat, che assisteva alla scena, rivolse il viso altrove di scatto, ma Nora restituì il bacio a Jim, e per la prima volta dopo tante settimane di liti i due si guardarono, con la vecchia intima espressione degli innamorati.
Hermy e John furono felici di quell’improvviso ritorno di vitalità di Nora.
«Un’ottima idea, cara!» esclamò Hermy. «Prepara tutto come vuoi tu, io non alzerò un dito. A meno che tu, naturalmente…»
«Ma figurarsi…» sorrise Nora. «È la mia festa e desidero fare tutto io.» La sposa abbracciò tristemente Pat. «Oh sorellina, sei stata un angelo con me questa settimana, mentre io… ti ho tirato dietro un libro! Potrai mai perdonarmi?»
«Brutta scimmia» esclamò Pat corrucciata «ti perdonerei tutto se ti comportassi sempre così!»
«Sono contenta che Nora sia così di buon umore» dichiarò Ellery quando Pat gli riferì tutto. «Chi ha intenzione di invitare?»
«La famiglia, il giudice Martin, il dottor Willoughby e perfino Frank Lloyd!»
«Ehm, le dica d’invitare anche Carter Bradford.»
«Cart?» Pat impallidì «perché proprio lui? Non ha mandato neanche un biglietto d’auguri a Natale, quel serpente!»
«È ora che facciate la pace. Voglio che Bradford sia presente la sera di Capodanno. Deve convincerlo a tutti i costi.»
Pat guardò Ellery fisso negli occhi.
«Se insiste, Cart sarà qui.»
Cart disse a Pat per telefono che avrebbe “fatto il possibile” per essere presente, era stata tanto gentile ad invitarlo… che sorpresa!… naturalmente lui aveva numerosi altri “inviti”… gli sarebbe dispiaciuto di dare una delusione a Carmel Pattigrew, ma… ecco, avrebbe “cercato in qualche modo” di fare una scappatina. Sì sì, Pat poteva contare su di lui.
L’editore e scrittore Frank Lloyd giunse presto alla festa. Si dimostrò come al solito imbronciato e poco socievole, salutando la gente a monosillabi o non salutandola affatto, e alla prima occasione si diresse verso il bar, e ci rimase in permanenza.
L’interesse del signor Queen per i problemi culinari, quella sera parve raggiungere limiti incredibili. Il giovane aveva piantato le tende in cucina, e osservava Alberta, osservava Nora, osservava la stufa e la ghiacciaia, teneva sott’occhio tutti coloro che andavano e venivano, badando attentamente a quel che facevano nelle vicinanze dei cibi o delle bevande. E si dimostrò tanto premuroso e servizievole che, non appena Alberta se ne fu andata per partecipare a una festa di Capodanno in casa di alcuni amici lituani, al villaggio, Nora esclamò:
«Mamma mia, Ellery, che temperamento casalingo! Ecco qua, mi aiuti a farcire le olive!»
E così il signor Queen farcì le olive, mentre Jim nella dispensa adiacente preparava alcune bibite. Dal punto in cui il signor Queen si trovava, poteva seguire perfettamente i movimenti del suo ospite.
Nora servì una cena sontuosa: i cibi erano squisiti e i cocktails perfetti. Ben presto una nuova allegria cominciò a regnare nella stanza. Lola non era presente. Era stata invitata, ma aveva declinato cortesemente l’invito.
Rosemary Haight teneva corte in un angolo, circondata dalla maggior parte degli uomini presenti… Era chiaro che non l’interessavano affatto, aveva un’aria annoiatissima, ma pareva che ritenesse necessario mantenersi in esercizio. Pat, osservando il vecchio dottor Willoughby trotterellare in giro premuroso e compunto per riempire il bicchiere di Rosemary, domandò ad Ellery:
«Come mai la gente non riesce a leggere nell’animo di una donna simile?»
«Forse perché c’è troppa carne soda e fiorente che impedisce la vista» ribatté il signor Queen, e si diresse verso la cucina per la dodicesima volta ad osservare i maneggi di Jim.
Le serate di gala, nelle case “distinte” di Wrightsville, non erano rinomate per la loro allegria, ma Rosemary Haight, la forestiera, esercitò un’influenza irresistibile sul tono della riunione. Numerosi liquori l’avevano resa evidentemente allegra, col massimo disgusto della zia Tabitha. La sua vivacità contagiava specialmente gli uomini, cosicché le voci si alzarono di tono, le risate divennero forti e un po’ malferme e per ben due volte Jim dovette recarsi nella dispensa per preparare nuovi beveraggi, e Pat dovette aprire un’altra bottiglia di ciliege al maraschino. Entrambe le volte il signor Queen comparve sorridente al fianco dello sposino offrendo il proprio aiuto.
Carter Bradford brillava per la sua assenza. Pat stava in attesa dello squillo del campanello d’ingresso. Qualcuno accese la radio, e Nora disse a Jim:
«Non abbiamo più ballato dai giorni della nostra luna di miele, vieni caro!»
Jim la guardò con aria incredula, poi un largo sorriso gli apparve sul volto. Afferrò la moglie per la vita e cominciò a piroettare con pazza energia. Ellery andò in cucina rapidamente e si preparò un liquore… il primo della serata.
Mancavano quindici minuti a mezzanotte quando Rosemary agitò un braccio con aria drammatica e ordinò:
«Jim, un altro bicchiere!»
«Non ti pare di aver bevuto abbastanza, Rosemary?» domandò suo fratello allegramente.
Quella sera il marito di Nora non aveva bevuto quasi nulla. Rosemary fece la faccia scura.
«Portami qualcosa da bere, guastafeste!»
Jim si strinse nelle spalle e si diresse verso la cucina, seguito dal clamoroso consiglio del giudice Martin:
«Ne prepari in abbondanza, figliolo!»
Una porta divideva l’atrio dalla cucina, e una arcata dava dalla cucina nella dispensa, dove s’apriva anche l’uscio della sala da pranzo. Il signor Ellery Queen si fermò alla porta dell’atrio e accese una sigaretta. Il battente era semiaperto e il giovane poteva vedere sia in cucina, sia in dispensa. Jim si dava da fare coi liquori in dispensa fischiettando in sordina. Aveva appena finito di riempire la nuova serie di bicchieri con la miscela del cocktail, quando qualcuno bussò alla porta posteriore della cucina, Ellery s’irrigidì ma resisté alla tentazione di distogliere gli occhi dalle mani di Jim.
Lo sposo lasciò i bicchieri e andò ad aprire.
«Lola! Pensavo che… Nora m’aveva detto…»
«Jim» pareva che Lola avesse molta fretta. «Dovevo vederti…»
«Me?» Jim sembrava perplesso… «Ma Lola…»
Lola abbassò ancor più la voce; Ellery non riuscì a capire quel che diceva. La figura di Jim la nascondeva completamente. Il colloquio fu brevissimo. Dopo pochi minuti Lola se ne andò e Jim richiuse la porta dirigendosi in dispensa con aria assente. Mentre era intento a gettare una ciliegia in ciascun bicchiere, Ellery lo raggiunse.
«Sta ancora facendo il barista, Jim?» Il marito di Nora sorrise e preso il vassoio s’incamminò seguito da Ellery verso la sala da pranzo ove fu accolto da una salve di giubilo.
«È quasi mezzanotte» esclamò Jim allegramente. «Qui c’è un bicchierino per tutti. Dobbiamo brindare all’anno nuovo.»
Il giovane fece il giro della sala col vassoio e ciascuno prese il proprio bicchiere. «Coraggio Nora» esclamò poi con un sorriso. «Una goccia d’alcool non ti farà male, e la notte di capodanno non viene tutte le sere!»
«Ma Jim, credi davvero che…»
«Su, prendi questo» rise Jim porgendole un bicchiere.
«Non so se faccio bene» cominciò Nora con aria dubbiosa. Ma poi prese il bicchiere dalle mani del marito ridendo.
«Fai attenzione, Nora» consigliò Hermy. «Sai che sei stata poco bene. Oh, mi gira la testa!»
«Ubriacona!» fece John baciando galantemente la mano della moglie.
«Un sorso non mi farà male, mammina» protestò Nora.
«Un momento!» gridò il giudice Martin. «Ecco che sta arrivando il nuovo anno, urrà!» la voce del vecchio giurista fu soffocata dai clamori di cori e di campane che venivano dalla radio.
«Al nuovo anno!» vociò John. Tutti brindarono, perfino la schizzinosa zia Tabitha. Nora bevve un sorso con una smorfietta, Jim la vide, scoppiò a ridere e la baciò teneramente.
Fu come un segnale: tutti cominciarono ad abbracciarsi, e il signor Queen, che si dava un gran da fare per tener tutto sott’occhi, si trovò stretto fra due braccia morbide e tiepide.
«Buon Anno!» mormorò Pat e, alzato il viso sorridente, baciò il giovane sulle labbra. Per un istante la stanza, illuminata dalle luci tremule delle candele, parve ondeggiare, poi il signor Queen con un risolino si chinò per rubare un altro bacio, ma Pat gli fu strappata dalle braccia dal vecchio dottor Willoughby che borbottò:
«E a me niente?» ed Ellery si trovò ad abbracciare stupidamente l’aria.
«Ancora!» gridò Rosemary. «Un altro giro! Sbronziamoci tutti, perdinci!»
La ragazza agitò il proprio bicchiere vuoto sotto il naso del giudice Martin che le lanciò un’occhiata strana. Frank Lloyd bevve due cocktails uno dopo l’altro. Jim disse che sarebbe sceso in cantina per prendere qualche altra bottiglia… al piano superiore non ce n’erano più.
«Ma dov’è il mio bicchiere?» insisteva Rosemary. «Che razza di casa è questa? È capodanno e non c’è niente da bere!» Sembrava molto in collera. «Chi ha un liquore da darmi?» Nora le stava passando accanto dirigendosi verso la radio. «Ehi, Nora! tu hai un bicchiere pieno!»
«Ma Rosemary: ne ho bevuto già un sorso…»
«Voglio bere, ho detto!»
Nora fece un’altra piccola smorfia e diede il suo bicchiere a Rosemary, che l’inghiottì d’un colpo come un vecchio soldato, poi arretrò barcollando verso il divano dove cadde a sedere con una risata vacua. Un momento dopo era profondamente addormentata.
« Russa » esclamò Frank Lloyd gravemente. «La dama affascinante, russa» e coprì Rosemary di fogli di giornale, tutta all’infuori del viso. John si mise a recitare con molto sentimento una poesia, tra il disinteresse generale finché sua sorella Tabitha, un po’ accaldata in viso, non dichiarò che era un vecchio idiota; John allora l’afferrò per la vita e si lanciò con lei in un valzer turbinoso accompagnato piuttosto malamente dalla radio che suonava una rumba. Tutti convennero di essere un poco brilli, ma non era una serata meravigliosa? Tutti meno il signor Ellery Queen che origliava di nuovo alla porta della cucina osservando Jim Haight che preparava dei cocktails.
Trentacinque minuti dopo la mezzanotte uno strano grido venne dal salotto e fu seguito da un silenzio ancora più strano.
«Che cosa stanno combinando ora?» domandò Jim ad Ellery, mentre usciva dalla cucina carico d’un vassoio di liquori. I due giovani corsero in salotto. Il dottor Willoughby era chino su Rosemary Haight che giaceva ancora sul divano coperta dai fogli di giornale. Il signor Queen provò una breve pungente fitta al cuore. Il dottore si rialzò. Era pallido come uno straccio.
«John!» Il vecchio medico s’inumidì le labbra con la lingua.
John disse stupidamente:
«Ma per l’amor del cielo. Questa ragazza ha semplicemente perso coscienza. Ha… ha… vomitato, come succede agli ubriachi. Perché ti comporti come se…?
«È morta, John» disse piano il dottor Willoughby.
Pat si lasciò cadere sopra una sedia come se le forze l’avessero improvvisamente abbandonata.
«Morta?» domandò Ellery con voce rauca. «Un attacco di cuore, dottore?»
«Credo che si tratti di arsenico» fece Willoughby rigidamente.
Nora diede un grido e svenne, battendo forte il capo contro il pavimento.
In quella, Carter Bradford entrò allegramente in salotto.
«Ho cercato d’arrivar prima… Dov’è Pat?… Buon anno a tutti… ma… oh, perdio!»
«Glielo ha dato?» domandò Ellery Queen, sulla soglia della stanza da letto di Nora. Aveva un’aria molto abbattuta.
«Certo che gliel’ho dato!» rispose il dr. Willoughby. «Anche Nora è stata avvelenata…» Fissò Ellery con gli occhi socchiusi. «Come mai aveva in tasca proprio dell’idrossido di ferro che è l’antidoto classico per l’avvelenamento da arsenico?»
«Sono un mago» tagliò corto Ellery, «non lo sapeva ancora?» Scese al piano terreno.
Anche il viso di Rosemary era stato coperto da un giornale, ora.
Frank Lloyd fissava il giornale.
Carter Bradford e il giudice Martin stavano conferendo a bassa voce.
Jim Haight era seduto su una sedia e continuava a scuotere la testa.
Tutti gli altri erano di sopra con Nora.
«Come sta Nora?» domandò Jim.
«Male.» Ellery si fermò nel soggiorno.
Bradford e il giudice smisero di parlare. Frank Lloyd invece continuò a leggere i giornali che coprivano il corpo.
«Ma fortunatamente» continuò Ellery Queen «Nora ha bevuto soltanto un paio di sorsi di quel cocktail. Sta male, ma il dr. Willoughby è convinto che se la caverà molto bene.»
Si sedette sulla sedia vicino all’anticamera e accese una sigaretta.
«Allora il veleno era nel cocktail?» fece Bradford con tono incredulo. «Ma certo! Tutte e due le donne hanno bevuto nello stesso bicchiere, tutte e due sono state avvelenate dallo stesso veleno!» Alzò il tono di voce. «Ma il bicchiere era di Nora. Era Nora che doveva essere avvelenata!»
Senza voltarsi Frank Lloyd disse: «Carter, piantala di far discorsi. Mi da sui nervi!»
«Non tirare delle conclusioni affrettate, Carter» disse il giudice Martin con voce stanca.
Ma Carter insistette: «Quel cocktail avvelenato era stato preparato per uccidere Nora! E chi lo ha preparato? Chi lo ha portato? »
«Piantala, Sherlock Holmes!» sbottò il giornalista.
«Io l’ho preparato» disse Jim. «Sono stato io…» Si guardò attorno. «Strano, vero?»
«Strano!» Il viso di Bradford era livido. Si avvicinò a Jim e lo prese per il collo. «Tu, maledetto assassino! Hai cercato di avvelenare tua moglie e per caso hai ucciso tua sorella!»
Jim lo guardò con gli occhi sbarrati senza poter parlare.
«Carter!» disse il giudice Martin debolmente.
Carter lasciò andare Jim.
«Che cosa posso fare?» domandò il Procuratore Distrettuale con voce strozzata.
Poi si avvicinò al telefono, compose un numero e chiese del Capo della Polizia Dakin.