I membri del Consiglio Mondiale sedevano gravi e solenni, mentre lui camminava verso di loro. Erano dodici, e tutti avevano occhi penetranti, capelli grigi o bianchi, e facce segnate dal tempo e dalle esperienze. In silenzio, con le labbra tese e le bocche serrate, lo guardarono avanzare, mentre il folto tappeto frusciava sotto i suoi piedi.

Il silenzio dell’attesa, gli sguardi intenti, il frusciare del tappeto e l’atmosfera pesante di ansietà inespressa, dimostravano che quello era un momento grave, di quelli che vanno ben oltre lo scorrere delle lancette.

Raggiunto il grande tavolo a ferro di cavallo dove sedevano i membri del Consiglio, lui si fermò a guardarli a uno a uno, cominciando dall’uomo sciatto che sedeva all’estremità sinistra, per passare, con deliberata lentezza, fino a quello grasso che occupava l’ultimo posto a destra.

Il suo sguardo penetrante aumentò il loro nervosismo. Alcuni si mossero a disagio come chi sente la propria sicurezza svanire lentamente. E ognuno dimostrò sollievo quando l’occhiata intensa passava su chi gli stava accanto.

Alla fine, la sua attenzione tornò all’uomo dalla criniera leonina, Oswald Heraty, che sedeva al centro del tavolo. Mentre fissava Heraty, le sue pupille brillarono, e le iridi si punteggiarono d’argento. Parlò lentamente, con tono misurato.

— Capitano David Raven, ai vostri ordini, signore — disse. Appoggiandosi allo schienale della poltrona, Heraty si lasciò sfuggire un sospiro e fissò l’attenzione sull’immenso lampadario di cristallo che pendeva dal soffitto. Era difficile dire se stava riordinando le proprie idee, se cercava accuratamente di evitare lo sguardo dell’altro, o se reputava necessario fare questa seconda cosa per riuscire nella prima. Gli altri membri del Consiglio tenevano ora la testa girata verso Heraty, un po’ per prestare piena attenzione a quello che avrebbe detto, un po’ perché fissare Heraty era un buon pretesto per non guardare Raven. Tutti avevano seguito con lo sguardo l’ingresso di quest’ultimo, però nessuno voleva esaminarlo approfonditamente, nessuno voleva essere esaminato da lui.

Sempre fissando il lampadario, Heraty parlò con il tono della persona che ha sulle spalle una pesante responsabilità alla quale non può sottrarsi.

— Siamo in guerra.

Tutti rimasero in silenziosa attesa.

— Sarò franco, capitano: mi rivolgo a voi vocalmente perché non ho altra alternativa — continuò Heraty. — Vi prego cortesemente di rispondere nello stesso modo.

— Sì, signore — fu la laconica risposta di Raven.

— Siamo in guerra — ripeté Heraty con leggera irritazione. — Non vi sorprende?

— No, signore.

— Eppure dovrebbe sorprendervi — disse uno dei membri del Consiglio, seccato per l’impassibilità di Raven. — Siamo in guerra da circa diciotto mesi, e soltanto ora lo scopriamo.

— Lasciate parlare me — disse Heraty agitando una mano per interrompere un collega. E per un istante, un solo istante, incontrò lo sguardo di Raven nel formulare la sua domanda.

— Sapevate o sospettavate che eravamo in guerra?

Raven sorrise tra sé.

— Che prima o poi saremmo stati coinvolti, era ovvio fin dall’inizio.

— Da quale inizio? — chiese l’uomo grasso che sedeva all’estrema destra.

— Fin dal momento in cui abbiamo attraversato lo spazio interplanetario e ci siamo stabiliti su un altro mondo — rispose Raven con impassibilità sconcertante. — Da quel momento la possibilità di una guerra è entrata a far parte delle nuove circostanze.

— Volete dire che abbiamo sbagliato, in un modo o nell’altro?

— No. Il progresso si paga. E prima o poi viene presentato il conto.

La risposta non soddisfece nessuno. Il suo modo di ragionare correva con troppa rapidità dalle premesse alla conclusione, e quelli del Consiglio non riuscivano a seguirne la logica.

— Il passato non ha importanza. Noi, come individui di oggi, non possiamo controllarlo. Nostro compito è quello di lottare contro i problemi immediati e quelli del prossimo futuro. — Heraty si passò una mano sulla mascella. — Il problema numero uno è questa guerra. Venere e Marte ci attaccano, e noi, ufficialmente, non possiamo fare niente. Per la semplice ragione che si tratta di una guerra che non è una guerra.

— Una divergenza di opinioni? — chiese Raven.

— All’inizio era così. Ora le cose si sono spinte molto più in là. Dalle parole si è passati ai fatti, e senza alcuna dichiarazione formale di guerra, per la verità. Con tutte le apparenze esterne di amicizia e di fratellanza, quelli stanno attuando la loro linea politica in modo militare, se si può chiamare militare… io non so in quale altro modo descriverlo. — La sua voce prese un tono più irritato. — Stanno comportandosi così da circa diciotto mesi, e solo ora poi scopriamo di essere stati colpiti parecchie volte e duramente. Questo stato di cose potrebbe andare avanti troppo a lungo.

— Tutte le guerre durano troppo a lungo — disse Raven.

I membri del Consiglio considerarono quelle parole come un pensiero profondo. Ci fu un mormorio di consenso, e molti agitarono la testa in segno di approvazione. Due membri si arrischiarono perfino a guardarlo negli occhi, anche se il più brevemente possibile.

— La cosa peggiore — riprese Heraty — è che ci hanno abilmente rivoltato contro la situazione che noi stessi avevamo creato e, almeno ufficialmente, non abbiamo via d’uscita. Cosa possiamo fare? — Senza attendere suggerimenti dalle persone che aveva attorno, rispose alla sua stessa domanda. — Dobbiamo intraprendere una azione che non sia ufficiale.

— E io dovrei essere il capro espiatorio? — chiese Raven.

— Voi sarete il capro espiatorio — confermò Heraty.

Per un attimo tornò il silenzio. Raven aspettò cortesemente che quelli del Consiglio si concentrassero sui loro pensieri. Avevano ottimi motivi per ponderare. Nel passato, in un passato molto lontano, c’erano state delle guerre. Alcune lente e tortuose, altre rapide e catastrofiche. Ma erano state guerre della Terra.

Un conflitto tra i mondi era qualcosa di nuovo, qualcosa di molto diverso. Creava problemi ai quali le antiche lezioni non potevano essere applicate. Inoltre, una guerra di nuovo stile, condotta con nuove armi e che si doveva servire di tecniche mai usate prima di allora, poneva problemi nuovi non certo risolvibili sulla base delle passate esperienze.

Dopo qualche istante Heraty riprese a parlare. — Venere e Marte sono stati da molto tempo occupati dall’ Homo sapiens, dalla nostra stessa razza, sangue del nostro sangue — disse con tristezza. — I loro abitanti sono nostri figli, ma da qualche tempo non si considerano più tali. Pensano di essere cresciuti abbastanza e di poter andare dove vogliono, di fare quello che vogliono, e di tornare a casa all’ora che vogliono. Negli ultimi due secoli, si sono agitati per avere un governo proprio. Domandavano la chiave di casa quando erano ancora bagnati dall’acqua del battesimo. Noi abbiamo costantemente rifiutato questo loro desiderio. Abbiamo detto di aspettare, di essere pazienti — Sospirò profondamente. — E guardate dove siamo finiti.

— Dove? — chiese Raven, sorridendo.

— In un bivio. Un bivio le cui strade sono entrambe difficili da percorrere. Senza un governo autonomo i Marziani e i Venusiani rimangono Terrestri, ufficialmente e legalmente, dividono questo mondo con noi e godono di tutti i nostri diritti, come se ne fossero veri cittadini.

— E allora?

— Significa che possono venire sulla Terra tutte le volte che vogliono e fermarsi per tutto il tempo che credono, senza limitazione di numero. — Protendendosi in avanti, Heraty batté un pugno sul tavolo per mettere in risalto la sua collera. — Possono varcare la porta sempre aperta anche quelli decisi a incendiare, sabotare, o compiere qualsiasi altra azione dolosa. Non possiamo escluderli. E non possiamo rifiutare loro l’ingresso se non trasformandoli proprio in quello che loro vogliono diventare, cioè degli stranieri. Noi non vogliamo fare di loro degli stranieri.

— Peccato — disse Raven. — Immagino che abbiate le vostre buone ragioni.

— Certamente. Ne abbiamo a dozzine. Non è per cattiveria che vogliamo mettere un freno al progresso di qualcuno. Ci sono tempi in cui è meglio sacrificare quello che è desiderabile per poter avere quello che è disperatamente necessario.

— Se foste più aperto sarebbe tutto molto più chiaro — disse Raven.

Heraty esitò per qualche secondo, poi riprese a parlare. — Una delle principali ragioni è conosciuta soltanto da poche persone. Ma ve la voglio dire. Siamo pronti a raggiungere i pianeti esterni. È un vero salto, un grande salto. Per portare a termine questa colossale impresa e per poterci stabilire in forze sui pianeti esterni, abbiamo bisogno delle risorse di tre mondi, non divisi da punti di vista divergenti.

— Lo credo bene — disse Raven, pensando alla posizione strategica di Marte e ai ricchissimi giacimenti di carburante che si trovavano su Venere.

— E non è tutto. — Heraty abbassò la voce per dare maggior valore alle sue parole. — Entro breve tempo ci sarà un secondo salto. Ci porterà ad Alpha Centauri, e forse anche più lontano. Ci sono prove non ancora divulgate ma sicure, secondo le quali forse verremo a trovarci in contatto con un’altra forma di vita di grande intelligenza. Se questo dovesse accadere, noi lo dovremo affrontare uniti. Non ci sarà posto per Marziani, Venusiani, Terrestri o Gioviani, o altre tribù planetarie. Dovremo essere tutti Solariani, per sopravvivere o soccombere uniti. Così deve essere, e così sarà, piaccia o non piaccia ai nazionalisti.

— Dunque, vi trovate di fronte a un nuovo dilemma — disse Raven.

— La pace potrebbe essere assicurata rendendo pubblici i fatti che stanno dietro la vostra politica, ma nello stesso tempo si verrebbe a creare un allarme generale che determinerebbe una considerevole opposizione alla spinta espansionistica.

— Esatto. L’avete detto in poche parole. C’è un conflitto di interessi che è stato portato troppo oltre.

— Già! Una bella situazione! La più bella animosità reciproca che si possa immaginare. Mi piace… Ha il sapore di un interessante problema di scacchi.

— Proprio come la vede Carson — disse Heraty. — Lo chiama il gioco dei superscacchi, ma dovete ancora scoprire per quale ragione. Dice che è giunto il momento di mettere un nuovo pezzo sulla scacchiera. Dovrete andare immediatamente a parlare con Carson: è lui che vi ha scelto tra tutti i possibili candidati.

— Come mai proprio me? — chiese David Raven in tono di sorpresa. — Cosa trova di tanto speciale in me?

— Non lo so. — Heraty non si dimostrò ansioso di insistere sull’argomento. — Queste cose sono lasciate interamente a Carson, che mantiene i suoi segreti. Dovete andare da lui immediatamente.

— Molto bene, signore. C’è altro?

— Soltanto questo. Vi abbiamo fatto venire sia per soddisfare la nostra curiosità sia per dimostrarvi che il Consiglio Mondiale vi appoggia, anche se non ufficialmente. Il vostro compito è quello di trovare il modo per mettere fine alla guerra. Non avrete distintivi né documenti, né autorità. Niente che serva a dimostrare che la vostra psiziene personale eRq didersa daersa da quella di un qualsiasi altro individuo. Dovrete basarvi soltanto sulla vostra abilità e sul nostro appoggio morale. Nient’altro.

— Pensate che possa essere sufficiente?

— Non lo so — disse Heraty, a disagio. — Non sono in grado di giudicare. Carson invece ha la possibilità di farlo. — Si protvanti per dare maggior valore alle sue parole. — Per quel poco che può valere la mia opinione, dico soltanto che fra poco la vostra vita non avrà più alcun valore… Ma spero sinceramente di sbagliarmi.

— Lo spero anch’io — disse Raven, impassibile.

I consiglieri si mossero ancora, a disagio, sospettando che lui si stesse segretamente divertendo alle loro spalle, e un profondo silenzio ridiscese nella sala. Poi gli sguardi di tutti si concentrarono su Raven che si inchinava e andava verso la porta, lentamente, con lo stesso passo sicuro di quando era entrato. Si sentiva soltanto il fruscio del tappeto, e quando lui uscì dalla sala, la porta si richiuse silenziosamente alle sue spalle.

— La guerra — disse Heraty — è una partita che viene giocata da due parti.

Nell’aspetto, Carson faceva pensare a un impresario di pompe funebri. Era alto, magro, con la faccia triste. Aveva l’atteggiamento di chi condanna l’inutile spesa in fiori. Ma era una maschera dietro cui si agitava una mente agile. Una mente che poteva parlare senza l’uso delle labbra. In altre parole, era un Mutante di Tipo Uno, un vero telepate. A questo proposito bisogna fare una distinzione. Un vero telepate differisce da un sub-telepate in quanto il primo può chiudere la mente a volontà.

Osservando con approvazione la statura di Raven, identica alla sua, e notando la corporatura più massiccia, gli occhi grigio scuro e i capelli neri, la mente di Carson si mise in contatto senza esitazioni. Un Tipo Uno riconosce un altro Tipo Uno a prima vista.

— Heraty vi ha informato? — chiese la mente.

— Sì… In modo drammatico e non molto esauriente.

Mettendosi a sedere, Raven vide la placca di metallo sistemata su un angolo della scrivania. Portava la scritta: CARSON, DIRETTORE DELL’UFFICIO SICUREZZA TERRESTRE. La indicò. — È per richiamare alla vostra memoria chi siete quando diventate troppo confuso per ricordare?

— In un certo senso, sì. La placca è regolata sul sistema nervoso e irradia il messaggio che reca inciso. I tecnici affermano che è anti-ipnotica. — Sorrise con amarezza. — Finora non ho avuto occasione di provarla. E poi non ho nessuna fretta di farlo. Un ipnotico che avesse il coraggio di arrivare fin qui non verrebbe certo fermato da questo stupido aggeggio.

— Comunque, il semplice fatto che qualcuno ha pensato che correte questo pericolo è di cattivo augurio — commentò Raven. — Hanno tutti la tremarella, qui in giro? Heraty ha detto che ho già un piede nella fossa.

— È una esagerazione, ma non priva di fondamento. Heraty, come me, ha il sospetto che nel Consiglio stesso ci sia almeno un elemento della quinta colonna. È solo un sospetto, ma se fosse la verità, da questo momento voi sareste un uomo segnato.

— Molto piacevole. Mi avete tirato fuori per farmi seppellire.

— La vostra comparsa di fronte al Consiglio era inevitabile — disse Carson. — Hanno insistito per volervi conoscere, che approvassi o no. Io non volevo, ma Heraty ha combattuto le mie obiezioni rivolgendo i miei argomenti contro di me.

— In che modo? — chiese Raven.

— Affermando che se eravate abile soltanto un decimo di quanto affermavo, non ci sarebbe stato nessun motivo di preoccuparsi. Tutte le preoccupazioni avrebbero dovuto averle i nemici.

— E così ci si aspetta che io mi dimostri all’altezza di questa immaginaria reputazione che voi mi avete creato in anticipo. Non pensate che abbia già abbastanza guai?

— Cacciarvi in un mare di guai è appunto il mio piano — disse Carson, mostrando una insospettata durezza. — Siamo in una brutta situazione, e non possiamo fare altro che frustare il cavallo a disposizione.

— Mezz’ora fa ero un capro. Ora sono un cavallo… o forse soltanto la parte posteriore di un cavallo. Non avreste qualche altro paragone con animali? Che ne direste di qualche richiamo per uccelli?

— Dovreste cercare degli uccelli molto insoliti per tenere il passo con l’opposizione, se non proprio superarla. — Carson prese un foglio di carta dal cassetto e lo guardò con espressione preoccupata. — Questa è la lista segreta che siamo riusciti a compilare sulle varietà extraterrestri. In teoria, e secondo la legge, sono tutti esempi di Homo sapiens. In realtà però sono homo e qualcos’altro. - Tornò a guardare Raven. — Fino a oggi, Venere e Marte hanno prodotto almeno dodici diversi tipi di mutanti. Quelli del Tipo Sei, per esempio, sono Malleabili.

— Cosa? — disse Raven irrigidendosi sulla poltrona.

— Malleabili — ripeté Carson, schioccando le labbra come davanti a un cadavere particolarmente appetitoso. — Non lo sono al cento per cento. E non subiscono nessuna radicale trasformazione al fisico. Dal punto di vista clinico non presentano nessuna caratteristica sorprendente. Ma in loro le ossa facciali sono sostituite da cartilagini e i loro lineamenti sono incredibilmente elastici. E sono tipi abili, molto abili. Bacereste uno di loro credendo di baciare vostra madre, se a questo qualcuno venisse in mente di somigliare a vostra madre.

— Questo resta da vedere — disse Raven.

— Avete capito cosa voglio dire — insistette Carson. — Bisogna vedere, per poter credere alla loro mimica facciale. — Indicò il lucido ripiano della scrivania. — Immaginate che questa sia una scacchiera con una infinità di riquadri. Usiamo delle minuscole pedine e giochiamo col bianco. Ci sono due miliardi e mezzo di noi, contro trentadue milioni di Venusiani e diciotti milioni di Marziani. La preponderanza è spaventosa. Il nostro soprannumero li schiaccia. — Fece un gesto di disprezzo. Soprannumero in che cosa? In pedine!

— Evidente — convenne Raven.

— Potete capire il modo in cui i nostri nemici vedono la situazione. Sono minori di numero, ma hanno il vantaggio di poter usare pezzi superiori. Re, alfieri, torri, regine e, cosa per noi ancora peggiore, nuovi pezzi dotati di poteri particolari, che soltanto loro possono usare. Sono convinti di poterne produrre fino a batterci completamente. Uno solo dei loro mutanti vale più di un reggimento di nostre pedine.

— L’accelerazione dei fattori di evoluzione, come diretta conseguenza delle conquiste spaziali, era una cosa scontata — disse Raven soprappensiero. — E non capisco come non se ne siano resi conto fin dal primo momento. Anche un bambino avrebbe potuto vedere quali sarebbero state le conseguenze logiche.

— In quei giorni i nostri antenati erano ossessionati dall’energia atomica — rispose Carson. — Secondo il loro modo di pensare, sarebbe stato necessario un olocausto mondiale, creato da materiali radioattivi, per produrre mutazioni su larga scala. Non si sono resi conto che le masse di colonizzatori diretti a Venere non potevano trascorrere cinque interi mesi di viaggio nello spazio, sotto un intenso bombardamento di raggi cosmici, con i geni colpiti ogni ora, ogni minuto, ogni secondo, senza sottostare alla legge elementare causa-effetto.

— Se ne rendono conto adesso, comunque.

— Sì, ma allora non distinguevano il bosco dalle piante. Accidenti, hanno costruito astronavi a scafo doppio per inserire nell’intercapedine una fascia di ozono compresso, capace di assorbire le radiazioni, riducendole così a circa ottanta volte l’intensità presente sulla superficie della Terra… Tuttavia non si sono resi conto che una riduzione simile è ancora minima. I capricci del caso, uniti al lungo periodo di tempo, ci permettono ora di affermare che i viaggi verso Venere hanno creato ottanta mutanti per ciascun essere che lo sarebbe divenuto normalmente.

— La situazione su Marte è ancora peggiore — osservò Raven.

— Potete ben dirlo — fece Carson. — Nonostante il minor numero della popolazione, Marte ha più o meno lo stesso numero e la stessa varietà di mutanti che si trovano su Venere. La ragione è che per raggiungere il pianeta occorrono undici mesi di viaggio. Il colonizzatore di Marte deve sopportare le radiazioni per un tempo quasi doppio di quello dei colonizzatori di Venere… e deve sopportarle anche in seguito, perché Marte ha un’atmosfera molto meno filtrante. I geni umani hanno una forte tolleranza alle particelle dure, quali possono essere quelle dei raggi cosmici. Possono essere colpiti, colpiti ancora, e ancora… ma ci sono dei limiti. — Rimase in silenzio e si concentrò battendo la punta delle dita sulla scrivania. — A questo punto, dato che il mutante ha un valore militare, il potenziale bellico di Marte risulta identico a quello di Venere. In teoria… sbagliata, come dobbiamo dimostrare loro… Marte e Venere uniti possono mettere in campo quel tanto che basta per sistemarci a dovere. Ed è proprio quello che stanno tentando di fare. Fino a questo momento hanno potuto fare quello che hanno voluto. Ora però hanno raggiunto un limite in cui cessano di essere divertenti.

— Mi sembra che stiano facendo lo stesso sbaglio commesso dai primi pionieri — disse Raven, pensoso. — Nel loro eccesso di entusiasmo stanno sottovalutando le cose ovvie.

— Volete dire che questo pianeta equipaggia la flotta spaziale e che, di conseguenza, può trovare qualche mutante suo?

— Proprio così.

— Impareranno a loro spese quello che noi abbiamo imparato a nostre spese. E sarete voi a insegnarglielo… lo spero.

— La speranza è sempre l’ultima a morire. Mi potete suggerire qualche tipo di insegnamento?

— Questo è compito vostro — disse Carson, scaricandosi abilmente di ogni responsabilità. Poi frugò tra le carte che aveva sulla scrivania e prese alcuni fogli. — Vi voglio parlare di un caso che illustra la contesa in cui ci troviamo e i metodi usati. È stato questo particolare incidente che ci ha fatto comprendere di essere in guerra. Avevamo già dei sospetti, per via di una lunga serie di incidenti in apparenza non legati tra di essi, e avevamo collocato diverse telecamere nascoste. Quasi tutte sono state messe fuori uso. Alcune, per misteriose ragioni, non hanno funzionato. Ma una ha ripreso.

— Ah! — Raven si protese in avanti, e i suoi occhi si fecero attenti.

— I fotogrammi mostrano tre uomini che sono riusciti a distruggere gli importantissimi dati di un’astronave, dati che non possono essere rimpiazzati in meno di un anno. Il primo dei tre, un Mutante di Tipo Uno, un vero telepate, ha fatto la guardia mentale contro quelli che li potevano sorprendere. Il secondo, un Tipo Due, un galleggiante…

— Volete dire un levitante? — lo interruppe Raven.

— Sì, un levitante. Con l’aiuto di una scala a corda gli ha fatto scavalcare due muri alti più di sei metri; poi ha agganciato la scala a una finestra. Il terzo, un Mutante di Tipo Sette, un ipnotico, si è occupato delle tre guardie intervenute a intervalli. Le ha irrigidite nell’immobilità, ha cancellato dalle loro menti l’incidente, e ha dato loro falsi ricordi a copertura dei minuti in cui sono rimaste senza memoria. Le guardie non sapevano degli obiettivi nascosti, così non l’hanno potuto rivelare al telepate. Se non fosse stato per quella telecamera non avremmo mai saputo niente, tranne che in qualche misteriosa maniera i preziosi dati si erano trasformati in fumo.

— Però! — fece Raven, e sembrava più divertito che stupefatto.

— Ci sono stati diversi incendi di importanza strategica, e siamo inclini a incolpare i pirotici… anche se non abbiamo le prove. — Carson scosse la testa. — Che guerra! Fanno i piani mentre compiono l’azione stessa. Le loro stravaganze fanno a pugni con la logica militare, e se al giorno d’oggi ci fossero ancora i grandi strateghi ne uscirebbero pazzi.

— I tempi sono cambiati — disse Raven.

— Lo so, lo so. Viviamo in un’epoca moderna. — Diede uno dei fogli a Raven. — È la copia della lista che elenca tutte le mutazioni conosciute di Marte e Venere. Portano il numero secondo il tipo, e una lettera secondo il valore militare, se così lo si può chiamare. — Rimase un attimo soprappensiero, come se avesse qualche dubbio sull’esattezza di quella definizione. — P sta per pericoloso, P-più per molto pericoloso, mentre I significa innocuo… forse. Questa lista potrebbe anche non essere completa. Comunque è quella che siamo riusciti a compilare fino ad oggi.

Raven scorse rapidamente la lista, poi chiese: — Da quello che vi risulta, tutti questi rimangono aderenti al loro tipo? Voglio dire, i levitanti possono levitare soltanto se stessi e ciò che possono trasportare, o sono in grado di sollevare anche oggetti indipendenti? I telecinetici possono far sollevare gli oggetti, o possono levitare anche se stessi? I veri telepati sono ipnotici, e gli ipnotici sono telepatici?

— No. Ciascuno possiede una sola capacità supernormale.

Raven cominciò a studiare attentamente la lista.

1 VERI TELEPATICI P+ 2 LEVITANTI P 3 PIROTICI P+ 4 MIMETICI I 5 NOTTURNI I 6 MALLEABILI P 7 IPNOTICI P+ 8 SUPERSONICI I 9 MICROTECNICI P+ 10 RADIOSENSITIVI P 11 INSETTIVOCI P+ 12 TELECINETICI P+

— Bene! — Sorridendo tra sé, Raven si mise il foglio in tasca, si alzò e si diresse verso la porta.

— E tutti sono convinti che la vecchia Madre Terra non è più quella di una volta?

— Proprio così — confermò Carson. — Dicono che è decrepita, senza più ingegno e disperatamente lontana dai fatti della vita. Può dare solo un’ultima pedata agonizzante. Pensate voi a fargliela sferrare… e fate che la sentano molto bene.

— È quello che mi riprometto — disse Raven — ammesso che mi concedano il tempo sufficiente. — Uscì e si chiuse la porta alle spalle.

Era solo.