Il divertimento cominciò non appena mise piede nella strada. Difficilmente avrebbe potuto essere più tempestivo, ma naturalmente mancava di quella finezza che sarebbe stata ovvia se gli organizzatori fossero stati messi in allarme con maggiore anticipo e avessero avuto più tempo per prepararsi. Un poco più di libertà d’azione, e ci sarebbe scappato il morto. Stando così le cose, la tattica studiata al momento guadagnava certo in rapidità, ma perdeva nella precisione.
Raven uscì con decisione dalla porta dell’edificio che ospitava i Servizi di Sicurezza e fece un cenno a un aerotaxi che passava sopra di lui. Il mezzo fece una cabrata per scendere al livello del traffico sottostante e si posò sulla strada con un leggero sobbalzo elastico.
Il taxi era una sfera trasparente, montata su un anello di sfere più piccole studiate per assorbire gli urti degli atterraggi. Non aveva ali, reattori o eliche. Era l’ultimo modello di veicolo antigravità e costava circa dodicimila crediti, ma il conducente non si era preso la briga di sottoporsi a un trattamento depilatorio che costava una cifra irrisoria.
Mentre apriva la portiera, l’autista dall’espressione bovina si profuse in inchini di tipo tutto professionale, finche non si accorse che il cliente non si decideva a salire. I sorrisi sparirono lentamente dalle labbra. Corrugò la fronte e con un’unghia spezzata si grattò il mento ispido.
— Ehi, voi — disse con voce rauca — se non mi sbaglio, mi avete fatto segno di…
— State zitto fino al momento in cui sarò pronto a salire — lo interruppe Raven restando fermo sul marciapiede, a circa tre metri dal veicolo. I suoi occhi non fissavano niente in particolare e il suo sguardo si perdeva lontano, come se Raven stesse ascoltando un rintocco di campane lontane, con una sensazione di fastidio.
Il tassista accentuò il cipiglio e si diede un’altra grattata al mento, fornendo un’ottima imitazione sonora di un meccanico spaziale che passasse la carta vetrata su un venturimetro. Aveva il braccio destro ancora teso e teneva la mano appoggiata alla portiera. Qualcosa agitò la manica, come se fosse stata colpita dal soffio invisibile del vento. Ma lui non se ne accorse.
Raven riportò l’attenzione al taxi, fece qualche passo in avanti, ma non salì.
— Avete un fusore? — chiese.
— Certo! Dove andrei a finire, altrimenti, se capitasse qualche guasto improvviso? — Il tassista si chinò a frugare nella cassetta del cruscotto accanto al posto di guida, e quando si rialzò nella mano stringeva un oggetto che somigliava a una piccola pistola. — Cosa volete farne?
— Voglio bruciarvi il didietro — disse Raven prendendo il fusore.
— Davvero? È una bella idea! — Gli occhi infossati dell’autista si fecero ancora più piccoli, poi l’uomo scoppiò in una risata che mise in mostra due molari mancanti. — Però questo è il vostro giorno sfortunato. — Si chinò di nuovo e prese un secondo fusore. — Ne porto in macchina sempre un paio. Così, voi bruciate i miei pantaloni, e io brucio i vostri. Giusto, no?
— Lo spettacolo di due che si bruciano i pantaloni dovrebbe interessare parecchio molti scienziati — disse Raven — specialmente se si usano strumenti che possono bruciare soltanto i metalli. — Sorrise all’improvvisa aria incerta dell’altro. — Mi riferivo al didietro della vostra macchina. — Indirizzò la punta del piccolo apparecchio verso il sedile posteriore e strinse l’impugnatura. Niente di visibile uscì dal fusore, anche se la mano di Raven ebbe un piccolo sobbalzo. Una sottile striscia di fumo puzzolente uscì invece dalla tappezzeria di plastica, come se qualcosa nascosta sotto i sedili stesse fondendo all’alto calore. Poi Raven salì con calma nella vettura e richiuse la porta. — Bene, ora potete andare — disse, e protesosi in avanti rimise il fusore al suo posto.
Impacciatissimo, il tassista manovrò i comandi. L’auto antigravità si sollevò fino a 1500 metri di altezza e puntò verso sud, mentre il pilota corrugava la fronte nello sforzo di comprendere cos’era accaduto e girava continuamente lo sguardo verso lo specchietto retrovisore, per osservare furtivamente il passeggero, pensando che quello poteva essere capace di tutto, anche d’incendiare il mondo.
Senza badare alle occhiate dell’altro, Raven infilò una mano nel buco ancora caldo che si era formato nella tappezzeria. Le sue dita incontrarono un oggetto metallico e sollevarono un apparecchio contorto, non più grande di una sigaretta. Luccicava come l’oro e aveva due tozze ali, contorte dal calore. Nella parte anteriore scintillava una piccola lente, delle dimensioni di una piccola perla. La parte posteriore, piatta, era perforata da sette minuscoli forellini, che servivano da microscopici reattori.
Raven non ebbe bisogno di aprire l’ordigno e di guardarvi dentro: sapeva già cosa era nascosto all’interno: un motore piccolissimo, l’analizzatore di guida, il minuscolo circuito radio che poteva trasmettere un bip-bip per ore e ore, il dispositivo di autodistruzione, grande quanto la capocchia di un fiammifero… Il tutto in un apparecchio che pesava meno di novanta grammi, capace però di lasciare una scia elettronica che gli inseguitori avrebbero potuto seguire per chilometri e chilometri, nelle tre dimensioni.
Raven girò la testa per guardare attraverso il vetro posteriore. C’erano troppi taxi e macchine private in circolazione ai vari livelli per poter stabilire se qualcuno lo stava pedinando. Comunque, la cosa non aveva importanza: l’intensità del traffico che nascondeva così bene gli eventuali cacciatori poteva benissimo nascondere anche la preda.
Lasciò cadere il piccolo cilindro alato nella cassetta in cui aveva messo il fusore.
— Potete tenerlo tutto per voi — disse al tassista. — Contiene pezzi che possono valere una cinquantina di crediti… se riuscite a trovare qualcuno capace di smontarlo senza fracassarlo completamente.
— Me ne dovete già dieci per il buco sul sedile.
— Vi pagherò quando scendo.
— Bene. — Soddisfatto, l’autista raccolse il cilindro alato dal cassetto e lo osservò curiosamente. Poi lo lasciò ricadere.
— Dite un po’! Come facevate a sapere che era nascosto sotto il sedile?
— Qualcuno lo aveva in mente.
— Come?
— La gente che spara oggetti attraverso le portiere aperte dei taxi non dovrebbe pensare a quello che sta facendo, anche se si trova a cinquecento metri di distanza e in un luogo che non si può individuare. A volte i pensieri si possono ascoltare e possono mettere in guardia quanto una sirena di allarme. — Raven fissò lo sguardo sulla nuca del tassista.
— Siete mai stato capace di fare qualcosa senza pensare a quello che stavate facendo?
— Soltanto una volta. — L’autista sollevò la mano sinistra per mostrare il pollice mozzo. — Mi è costato questo.
— Un bel ricordo — disse Raven. Poi, più a se stesso che all’altro, aggiunse: — Peccato che i microtecnici non siano anche veri telepati.
In silenzio percorsero altri sessantacinque chilometri, sempre alla stessa quota. Erano usciti di parecchio dai confini della città e il traffico era molto diminuito.
— Ho dimenticato di portare i guanti — disse a un tratto l’autista. — Non avrei dovuto lasciarli a casa. Al Polo Sud mi potrebbero essere utili.
— In questo caso ci fermeremo prima di averlo raggiunto. Vi farò sapere quando. — Raven si guardò ancora una volta alle spalle. — Intanto, potreste esercitarvi nello scrollarvi di dosso gli inseguitori. Non so dirvi se ce ne sono, ma è probabile.
— Liberarci della processione vi costerà un cinquantone — disse l’autista osservando il passeggero nello specchietto e chiedendosi se aveva chiesto un prezzo troppo alto o troppo basso. — Nella tariffa è compresa anche la bocca chiusa, con la garanzia che non si aprirà — aggiunse.
— Siete imprudente a rilasciare questa garanzia. Con loro aprirete la bocca, perché non potrete fare altrimenti — disse Raven, cupo. — Hanno diversi metodi, compresa la costrizione. E non verrete pagato. — Si lasciò sfuggire un sospiro di rassegnazione. — Comunque quando parlerete sarà ormai troppo tardi per potermi nuocere. Il cinquantone è vostro, basta che riusciate a guadagnare ancora un po’ di tempo.
Si afferrò alla maniglia mentre l’aerotaxi girava bruscamente per tuffarsi in una nuvola. Il mondo rimase nascosto dalla nebbia che passava loro accanto in macchie di giallo e di bianco sporco.
— Dovete fare qualcosa di meglio. Non siete anti-radar.
— Datemi tempo. Non ho ancora cominciato.
Due ore dopo scesero sul prato posteriore di una casa lunga e bassa. Nel cielo si vedeva solo una pattuglia della polizia diretta a nord che continuò la sua corsa senza curarsi della sfera ferma a terra.
La donna che abitava nella casa era un po’ troppo alta e un po’ troppo grossa, e si muoveva con la goffaggine di chi supera il peso medio. Aveva gli occhi grandi neri e luminosi. Anche la bocca era grande, e grandi erano le orecchie. I capelli erano una voluminosa zazzera nera. Il petto voluminoso e i fianchi pesanti non erano certo attributi rispondenti al gusto della maggior parte degli uomini. Tuttavia, per quanto non fosse una bellezza, una ventina di spasimanti l’avevano corteggiata, e tutti si erano disperati al suo rifiuto perché la donna possedeva un fascino irresistibile: i grandi occhi e la luce che vi brillava la rendevano sorprendentemente bella. Porse a Raven la mano e gli diede una calorosa stretta.
— David! Cosa ti porta da queste parti?
— Dovresti già saperlo, dato che non ho usato l’espediente di tenere la mente chiusa.
— È vero. — La donna passò dal linguaggio vocale al sistema di comunicazione telepatico, per il semplice motivo che le riusciva più facile.
— Di che si tratta?
Raven rispose alla stessa maniera, e cioè mentalmente. — Di due uccelli. — Le sorrise. — I due uccelli che io spero di uccidere con un solo sasso.
— Uccidere? Perché devi usare lo spaventoso termine uccidere? — Un’espressione di ansia le comparve sul volto. — Ti hanno convinto a compiere qualcosa. Lo so. Lo sento, anche se tu cerchi di tenerlo nascosto nella mente. Ti hanno convinto a intervenire. — Si mise a sedere su un divano pneumatico e fissò lo sguardo alla parete. — C’è una legge, non scritta, che ci prescrive di non essere mai tentati a intervenire tranne che per il motivo primario di opporsi ai Deneb. Inoltre, la non-interferenza addormenta tutti i sospetti, e li incoraggia a pensare che siamo incapaci.
— È una logica eccellente, ammesso che le tue premesse siano esatte. Ma sfortunatamente non lo sono. Le circostanze sono cambiate. — Si sedette di fronte alla donna e la guardò. — Leina, su un punto abbiamo sbagliato. Sono più abili di quanto pensassimo.
— In che senso?
— Aggrovigliati nelle loro stesse contraddizioni, sono giunti al punto di frugare il mondo, nell’unica probabilità contro un milione di trovare qualcuno in grado di sbrogliare i loro nodi. E mi hanno trovato!
— Ti hanno trovato? — chiese lei, allarmata. — Come hanno fatto?
— Nell’unico modo possibile. Geneticamente, attraverso gli archivi. Devono aver classificato, sezionato e analizzato forse dieci, quindici, o anche venti successive generazioni, avanzando tra dati di nascite, matrimoni e morti, senza sapere esattamente cosa stavano cercando, ma sperando di trovare qualcosa. I miei convenzionali psuedo-antenati hanno legalizzato tutte le loro unioni e hanno lasciato una lunga serie di documenti che hanno portato a me. Così hanno riavvolto la lenza, e io ero il pesce attaccato all’amo.
— Se lo hanno fatto con te possono farlo anche con gli altri — disse con disappunto la donna.
— Su questo particolare pianeta non ci sono altri - le ricordò Raven. — Ci siamo soltanto noi due. E tu sei esclusa.
— Lo sono davvero? Come puoi esserne sicuro?
— Il processo di scelta è ormai terminato. E hanno preso me, non te… Forse perché sei una donna. O forse per merito dei tuoi antenati allergici ai documenti ufficiali, come quel paio di pirati sani e forti e immorali.
— Grazie — disse la donna, leggermente offesa.
— Il piacere è tutto mio — ribatté lui sorridendo.
Gli occhi della donna si fissarono in quelli di Raven.
— David, cosa vogliono farti fare? Dimmi tutto!
Lui raccontò che cos’era accaduto e alla fine concluse: — Fino a questo momento, l’alleanza Marte-Venere si è limitata a colpire a gradi, con la tecnica dell’attendere e aumentare lentamente la pressione. Sanno che finiremo col crollare, a meno che non si riesca a escogitare una efficiente controffensiva. Per dirla in altre parole, ci stanno succhiando una goccia di sangue ogni volta che capita l’occasione. Un giorno saremo troppo deboli per restare in piedi, e non avremo più la forza di difenderci.
— Non sono affari nostri — decise la donna. — Lascia che i mondi si combattano tra loro.
— È proprio il modo in cui ho cercato di vedere la situazione — disse Raven. — Poi mi sono ricordato l’insegnamento della storia. Un maledetto avvenimento porta sempre a qualcos’altro. Leina, sarebbe solo questione di tempo, poi la Terra deciderebbe di averne abbastanza, e colpirebbe con forza: e non potendo colpire di precisione, colpirebbe a caso, e con durezza. Marte e Venere si irriterebbero più che mai, rispondendo con la stessa durezza. Gli animi si accenderebbero, aizzandosi a vicenda. I freni verrebbero superati uno a uno, poi tutti in blocco. Nessuno avrebbe più scrupoli e alla fine qualche pazzo terrorizzato, di una parte o dell’altra, deciderebbe di lanciare una bomba all’idride per mostrare chi è il più forte. A questo punto puoi immaginare che cosa succederebbe in seguito.
— Certo — ammise lei a disagio.
— Per quanto non mi piaccia occuparmi degli affari umani — continuò Raven — mi piace ancora meno l’idea di starmene nascosto sotto una montagna mentre l’atmosfera si incedia, la terra trema in ogni angolo, e molti milioni di esseri umani abbandonano per sempre il palcoscenico della vita. Carson pensa con grande ottimismo che io possa fare qualcosa, da solo. E io voglio tentare, ammesso che l’opposizione mi conceda di vivere il tempo sufficiente. Niente rischi, niente guadagno.
— Perché queste creature debbono essere tanto testarde e idiote? — disse Leina, stringendosi nervosamente le mani. — Cosa devo fare, David?
— Evitare di farti coinvolgere. Sono venuto per distruggere certe carte, ecco tutto. C’è la possibilità di vederli arrivare prima che io possa andarmene. In questo caso, mi dovresti fare un piccolo favore.
— E sarebbe?
— Badare per un po’ di tempo al mio miglior vestito. — Si batté significativamente un dito sul petto. — Mi si addice perfettamente, ed è l’unico che ho. Mi piace, e non voglio perderlo.
— David! - L’impulso mentale della donna fu secco e terribilmente scosso. — Non questo! Non puoi farlo. Non senza permesso. È una violazione grave. E non è morale.
— Non lo è neppure la guerra. Neppure il suicidio di massa.
— Ma…
— Sss! — Sollevò un dito nell’aria. — Stanno arrivando. Non ci hanno messo molto. — Guardò l’orologio appeso alla parete. — Non sono ancora passate tre ore da quando sono uscito dagli uffici. Questa sì che si chiama efficienza! — Tornò a fissare la donna. — Li senti arrivare?
Lei rimase seduta in silenzio e fece un cenno affermativo. Raven si allontanò in fretta e andò a distruggere i documenti. Rientrò nel momento in cui suonava il campanello della porta. Leina si alzò e fissò incerta il compagno: Raven le fece un cenno rassegnato e lei andò ad aprire la porta. Aveva i modi della persona che agisce senza iniziativa.
Cinque uomini erano raggruppati vicino a uno scafo a forma di proiettile, fermo a quattrocento metri dalla casa, e due erano in attesa di fronte alla porta. Tutti indossavano l’uniforme nera e argento degli agenti della polizia politica. I due alla porta erano corpulenti, con la faccia tirata, e tanto somiglianti da poter essere fratelli. Ma era solo una somiglianza fisica, perché internamente erano diversi. La mente di uno dei due scrutò quella di Leina, l’altra non lo fece. Uno era telepate, l’altro doveva essere qualcos’altro. L’improvviso attacco della mente, che scrutava nella sua, impedì a Leina di esaminare il secondo individuo e di capire quali fossero le sue particolari capacità. Fu costretta a respingere l’attacco chiudendo la mente. L’altro se ne accorse all’istante, e smise il tentativo di frugare nei pensieri della donna.
— Un altro tele — disse al compagno. — Abbiamo fatto bene a venire in parecchi, non ti pare? — Senza aspettare risposta, si rivolse a Leina vocalmente. — Potete parlare a me di vostra spontanea volontà. — Fece una leggera pausa per ridere. — Oppure potete parlare con il mio amico contro la vostra volontà. A voi la scelta. Come potete vedere dalla divisa, siamo della polizia.
Leina smise improvvisamente di stare sulla difensiva.
— Non lo siete per niente. Un agente di polizia avrebbe parlato di collega, non di amico. E non si sarebbe scomodato a specificare la sua professione e a minacciare.
Il secondo uomo, rimasto in silenzio fino a quel momento, si intromise nella conversazione.
— Preferite parlare con me? — disse mentre i suoi occhi si accendevano di una luce strana, simile a quella di due piccole lune. Era un ipnotico.
Leina lo ignorò e si rivolse al primo. — Cosa volete?
— Raven.
— Come?
— È qui — disse l’uomo cercando di guardare al di là delle spalle della donna. — Sappiamo che è qui.
— E allora?
— Deve venire con noi per essere interrogato.
Dall’interno della casa giunse la voce di Raven. — Sei gentile, Leina, a voler trattenere i signori. Ma è inutile. Falli pure entrare.
La donna ebbe un leggero brivido e la sua faccia diventò uno specchio di emozioni, mentre si spostava per farli passare. I due uomini avanzarono smaniosi, come buoi che entrano al macello. Nella mano della donna la maniglia si fece gelata. Sapeva cosa sarebbe successo.