Gli intrusi si fermarono non appena varcata la soglia. Avevano un’espressione circospetta, stringevano un’arma in pugno e si tenevano lontani l’uno dall’altro, come temendo che la loro preda fosse capace di eliminarli con un colpo solo.

Raven non si preoccupò di alzarsi dal divano e parve molto divertito della loro paura.

— Oh, il signor Grayson e il signor Steen — disse non appena ebbe lette le loro identità nelle loro menti. — Un telepatico e un ipnotico… con una banda di altri anormali che aspettano fuori. Sono molto onorato.

Grayson, il telepatico, si girò di scatto verso il compagno. — Hai sentito? Ci chiama normali — esclamò. Poi fece un cenno secco a Raven. — Bene, lettore di pensieri, alzatevi in piedi e cominciate a camminare.

— Per andare dove?

— Lo saprete quando sarete arrivato.

— Pare proprio che sia così — disse Raven. — La destinazione ultima non è registrata nelle vostre menti. Da questo posso capire che non godete la fiducia dei vostri superiori.

— Neanche voi — disse Grayson. — E ora alzatevi. Non possiamo starcene qui a perdere tutto il giorno.

— Capisco. — Raven si alzò stirandosi e sbadigliò. Poi fermò lo sguardo su Steen, l’ipnotico. — Che vi prende, Strabico? Mai stato tanto affascinato, prima d’ora?

Continuando a fissare Raven con la stessa curiosità con cui lo aveva osservato fin dall’inizio, Steen rispose: — Quando c’è da affascinare qualcuno, sono io a farlo. E perché mai dovrei esserlo, poi? Non avete né quattro braccia, né due teste. Cosa vi fa pensare di essere tanto interessante?

— Non lo è per niente — disse Grayson con impazienza — e credo che i capi siano stati messi in allarme da voci esagerate. Conosco le sue capacità, e non sono certo eccezionali.

— Davvero? — chiese Raven girando la testa verso di lui.

— Sì, voi siete soltanto un nuovo tipo di telepate. Voi potete fruga re nelle menti degli altri anche quando la vostra è chiusa A differenza di noi, potete leggere i pensieri degli altri mantenendo, impenetrabili i vostri. Un trucco interessante e utile. — Fece un gesto di sprezzo. — Ma anche se interessante, non può certo preoccupare due pianeti.

— Allora, di cosa avete paura? — disse Raven. — Saputo questo, non c’è più nient’altro da sapere. Ora lasciatemi meditare con piacere sui peccati della mia passata gioventù.

— Abbiamo avuto ordine di portarvi via tutto intero. Ed eseguiremo l’ordine. — Lo sprezzo di Grayson si fece più evidente. — Siamo venuti a catturare la grande tigre. Però a me sembra che puzzi di gatto.

— E da chi verrò interrogato? Dal grande capo, o da qualche subalterno?

— Non sono affari miei — disse Grayson. — Se volete una risposta, non dovete fare altro che venire con noi.

Raven lanciò una evidente strizzata d’occhio verso la porta, dove la donna era rimasta ferma in silenzio.

— Leina, vuoi andarmi a prendere il cappello e la borsa?

Grayson afferrò la donna per un braccio. Evidentemente non gli piaceva la situazione. — No, voi restate qui. — Poi girò la testa verso Raven. — Andate a prenderli voi. Tu, Steen, vai con lui. Io curo la grassona. Se mostra i denti, sai quello che devi fare.

I due scomparvero nella stanza accanto. Raven davanti e Steen dietro, con gli occhi che brillavano già di quella luce più pericolosa dei proiettili. Grayson si mise a sedere sul bracciolo di una poltrona pneumatica, appoggiò l’arma sulle ginocchia e fissò attentamente la donna.

— Siete anche voi un’ostrica mentale, vero? — disse. — Comunque, se sperate che riesca a liberarsi di Steen, risparmiatevi il disturbo di doverlo pensare. Non ce la farà mai, anche se avesse tutto il tempo da oggi a Natale.

Leina non fece commenti e continuò a tenere lo sguardo fisso alla parete, senza mostrare alcuna preoccupazione.

— Il telepatico può schivare l’ipnotico a distanza perché può leggere le intenzioni dell’altro e ha lo spazio che lo protegge — disse Grayson con l’autorità della persona che ha fatto delle esperienze personali.

— Ma a distanza ravvicinata non ha possibilità di scampo. L’ipnotico risulta sempre vincitore. Lo so perfettamente! Gli ipno mi hanno fatto parecchi scherzi, specialmente dopo che avevo bevuto qualche bicchiere di whisky venusiano.

La donna non rispose. I suoi lineamenti rimasero impassibili, nello sforzo di ascoltare dietro e oltre le chiacchiere dell’altro.

Grayson fece un rapido tentativo di scrutare la mente della donna, sperando di coglierla di sorpresa. Ma andò a colpire uno scudo impenetrabile. Lei era riuscita a resistergli senza sforzo, e continuava ad ascoltare, ascoltare. Il rumore quasi impercettibile di una zuffa giunse dall’altra stanza, seguito da un respiro affannoso.

Grayson si girò leggermente, come la persona che sospetta di aver sentito qualcosa che non doveva sentire. — Comunque, ci sono ancora io, con questa pistola, e il gruppo di amici che aspetta fuori. — Girò la testa verso la porta della stanza.

— Sono troppo lenti, là dentro.

— Non c’è possibilità — disse la donna con voce appena udibile. — A distanza ravvicinata non c’è possibilità di scampo.

Qualcosa della sua faccia, dei suoi occhi, della sua voce, fece rinascere in Grayson i sospetti che aveva soffocato, e l’uomo provò un vago senso di allarme: strinse le labbra e fece un cenno con la pistola. — Muovetevi. Camminate davanti a me. Andiamo a vedere perché non escono.

Leina si alzò, appoggiandosi al bracciolo della poltrona pneumatica. Poi si girò lentamente verso la porta, abbassando gli occhi, come per ritardare la visione di quello che avrebbe scorto dall’altra parte o che sarebbe comparso sulla soglia.

Ne uscì Steen. Si passava una mano sul mento e sorrideva soddisfatto. Era solo. — Ha cercato di fare il furbo — annunciò rivolgendosi a Grayson e senza minimamente badare a Leina. — Avevo la sensazione che avrebbe tentato qualcosa. Risultato: è più rigido di una pietra sepolcrale. Dovremo trasportarlo su un’asse.

— Bene! — esclamò Grayson tranquillizzato, mentre l’altro si avvicinava. Abbassò la pistola e si girò verso Leina.

— Cosa vi avevo detto? È stato stupido tentare a distanza ravvicinata. Certa gente non imparerà mai.

— Sì — ammise Steen facendosi più vicino. — È stato uno stupido. — Si fermò di fronte a Grayson e lo fissò negli occhi. — Troppo da vicino per avere possibilità di scampo.

I suoi occhi si erano fatti luminosi e grandissimi. Le dita di Grayson si irrigidirono e la pistola cadde sul tappeto. L’uomo aprì e richiuse la bocca, e le parole uscirono con difficoltà.

— Steen… cosa diavolo… stai… facendo?

Gli occhi di Steen divennero enormi, mostruosi, irresistibili. Il loro bagliore parve riempire il cosmo e bruciare il cervello della persona che li stava fissando. Una voce profonda, tuonante, venne con il bagliore. Giunse da una immensa distanza, e si avvicinò a una immensa velocità, fino a diventare un rombo pauroso.

— Raven non c’è.

— Raven non c’è — balbettò Grayson, meccanicamente. Il suo cervello era stato vinto.

— Non l’abbiamo visto. Siamo arrivati troppo tardi.

Grayson ripeté le parole come un automa.

— In ritardo di quaranta minuti — precisò la paralizzante voce mentale di Steen.

— In ritardo di quaranta minuti — approvò Grayson.

— È partito su uno scafo dorato da velocità a venti reattori, matricola XB 109, di proprietà del Consiglio Mondiale.

Grayson ripeté parola per parola. Aveva l’aspetto rigido e l’espressione vuota di un manichino che raccoglie polvere nella vetrina di un sarto.

— Destinazione sconosciuta.

Anche questo venne ripetuto.

— In questa casa abbiamo trovato solo una donna grassa. Una telepatica innocua.

— In questa casa — ripeté Grayson — abbiamo trovato solo una donna grassa. Una telepatica innocua.

Steen riprese a parlare. — Raccogli la pistola. E andiamo a informare Haller.

Passò davanti alla telepatica innocua, e Grayson lo seguì come una pecora. Nessuno dei due degnò Leina del minimo sguardo. Lei concentrò tutta la sua attenzione su Steen, scrutandone la faccia, cercando quello che c’era dietro la maschera, parlandogli in silenzio, e rimproverandolo. Ma lui non le fece caso: la sua impassibilità era deliberata e completa.

La donna chiuse la porta alle loro spalle, poi si lasciò sfuggire un sospiro e si strinse nervosamente le mani, come fanno tutte le donne dall’inizio dei tempi.

Sentì un rumore alle proprie spalle e si girò. La figura di David Raven stava avanzando incerta nella stanza.

L’uomo camminava piegato in due e si teneva le mani sulla faccia, tastandosi, quasi per accertarsi da quale parte della testa fossero collocati i lineamenti. E sembrava terrorizzato da quello che le sue dita stavano toccando. Quando staccò le mani, la faccia aveva un’espressione tormentata e gli occhi erano pieni di sgomento.

— Era mio — disse con voce che non era né quella di Raven né quella di Steen, ma una combinazione delle caratteristiche di tutte e due. — Se n’è andato con quello che era mio e mio soltanto! Mi ha derubato di me stesso!

Guardò la donna con cattiveria, mentre i lineamenti continuavano a esprimere il tormento interiore. Sollevò le braccia e avanzò di qualche passo.

— Voi lo sapevate! Lo sapevate e lo avete aiutato. Maledetta intrigante. Potrei uccidervi!

Le dita si piegarono ad artigli intorno al collo della donna, ma lei rimase immobile, mentre una luce indescrivibile le si accendeva negli occhi.

Quando le dita cominciarono a stringere, lei non fece nessun movimento per resistere. Per diversi secondi lui rimase fermo in quella posizione, la faccia sconvolta da una serie di contrazioni. Poi allentò la stretta e si allontanò di scatto, scosso da un tremito.

— Mio Dio — balbettò quando fu nuovamente in grado di parlare. — Anche voi!

— Quello che può essere fatto da uno può essere fatto anche dall’altro. Questo è il legame che esiste tra noi. — La donna lo osservò mentre lui si sedeva e si tastava quella faccia che non gli era familiare. — C’è una legge valida e basilare quanto quella della sopravvivenza fisica — disse ancora lei. — Dice: Io sono Io, e non posso essere Non-Io.

L’uomo rimase in silenzio, ma continuò a passarsi le mani sulla faccia. La donna riprese a parlare.

— Così, continuerete a desiderare quello che vi appartiene di diritto. Continuerete a desiderarlo, come desidera la vita chi si trova in imminente pericolo di morte. Lo desidererete per sempre, disperatamente, rabbiosamente. E non avrete mai pace ne tranquillità. Non potrete mai conoscere la completezza a meno che…

— A meno che? — chiese lui togliendo le mani dalla faccia e alzando gli occhi.

— A meno che non facciate quello che vi diremo. Allora quello che è stato fatto potrà essere disfatto.

— Cosa volete da me? — Si era alzato, e negli occhi aveva una luce di speranza.

— Obbedienza assoluta.

— L’avrete — promise lui con fervore.

Lei si sentì sollevata. In pochi minuti aveva risolto il problema del vestito di Ravel e del proprietario-che-non-ne-era-proprietario.

Il comandante della squadra in attesa era un individuo magro, alto circa uno e ottanta. Si chiamava Haller, era nato su Marte ed era un mutante di Tipo Tre, un pirotico. Appoggiato alla coda dello scafo giocherellava con un bottone d’argento della falsa divisa da poliziotto. Mostrò un certo disappunto quando vide comparire Steen e Grayson, soli.

— Allora? — chiese.

— Siamo stati sfortunati — disse Steen. — Se ne è andato.

— Da quanto?

— Da quaranta minuti — rispose Steen.

— Aveva tre ore di vantaggio — disse Haller battendosi un dito sui denti. — Significa che stiamo guadagnando terreno. Dov’è andato?

— Questo non l’ha detto alla prosperosa signora che abbiamo trovato in quella casa — rispose Steen. — Lei sapeva soltanto che è arrivato con un aerotaxi, che ha preso alcune sue cose che aveva lasciato in deposito e che è ripartito con lo scafo XB 109.

— C’era una donna? — chiese Haller. — Che posizione occupa nella sua vita?

Steen sogghignò.

— Capisco — disse Haller, senza aver capito niente. Spostò lo sguardo sull’inebetito Grayson e rimase a scrutarlo per qualche istante. Poi corrugò la fronte.

— Che diavolo hai?

— Come? — Grayson batté le palpebre, incerto. — Dite a me?

— Sei un telepatico e dovresti saper leggere nella mia mente anche se io non sono in grado di leggere nella tua. Ti ho chiesto mentalmente una decina di volte se hai mal di pancia o qualcosa del genere, e tu hai reagito come se il pensiero fosse uno strano fenomeno confinato in qualche inaccessibile regione sull’altra faccia di Giove. Cosa ti succede? Sembra quasi che ti abbiano dato una dose eccessiva di ipnosi.

— È stata una dose eccessiva della sua stessa medicina — disse Steen rapidamente, per allontanare i sospetti di Haller. — La donna in quella casa era del suo stesso tipo, e lui ha voluto fare il furbo. Potete immaginare cosa significhi farsi graffiare telepaticamente oltre che vocalmente.

— Capisco — disse Haller, convinto. E smise di indagare oltre sulla scarsa loquacità di Grayson. — Meglio ripartire subito. Questo Raven non ci lascerà nemmeno un attimo di riposo.

Entrò nello scafo e gli altri lo seguirono. Mentre venivano chiusi i portelli e accesi i reattori, Haller prese il registro interplanetario e lo sfogliò rapidamente. Trovò quello che stava cercando.

— Eccolo. XB 109. Monoposto con scafo in berillio. Venti reattori. Massa a terra trecento tonnellate. Autonomia massima, ottocentomila chilometri. Scafo del Consiglio Mondiale, esente dai controlli di polizia e di dogana. Sarà difficile fermarlo, con tutti i testimoni che possono esserci attorno.

— Ammesso che si riesca a trovarlo — osservò Steen. — Il mondo è alquanto grande.

— Finirà col passare davanti a qualche nostro apparecchio di ricerca — assicurò Haller, fiducioso. — Questa autonomia di ottocentomila chilometri è consolante: lo tiene relegato tra Terra e Luna. E così sappiamo che non può essersene andato direttamente su Marte o su Venere. — Consultò il codice dei canali radio e delle ore. Le tre e mezzo: Canale nove. Schiacciò il pulsante del canale e parlò al microfono. Quello che disse fu troppo breve e distorto per concedere alle stazioni di ascolto di poterli localizzare. — Chiamata. Haller a Dean. Trovate XB 109.

Girò leggermente la poltroncina di pilotaggio e accese un nero sigaro venusiano. Aspirò voluttuosamente qualche boccata di fumo, poi appoggiò i piedi sul pannello di comando e fissò gli occhi sull’altoparlante.

— XB 109. Non elencato nelle partenze di oggi. Non elencato nei rapporti di osservazione della polizia — fu la risposta. — Restate in ascolto.

— Che servizio! — esclamò Haller. Guardò soddisfatto il suo sigaro, poi Steen.

Passarono cinque minuti, poi:

— XB 109. Non si trova nei parcheggi del Consiglio da uno a ventotto. Restate in ascolto.

— Strano — disse Haller, soffiando un anello di fumo. — Se non è a terra, deve essere nell’aria. Ma non può essere partito oggi senza il permesso di decollo.

— Forse è partito ieri, o l’altro ieri, ed è rimasto nascosto vicino alla casa — disse Steen.

Chiuse il portello della cabina di pilotaggio e si assicurò che fosse ben chiuso. Si mise poi a sedere sul pannello dei comandi, accanto ai piedi di Haller. Il messaggio giunse dopo dieci minuti.

— Dean a Haller. XB~109 affidato al Corriere Joseph McArd, Dome City, Luna. Ha fatto rifornimento per il rientro. Canale nove chiuso.

— Impossibile! — esclamò Haller. — Impossibile! — Si alzò, morse la punta del sigaro e sputò a terra. — Qualcuno sta mentendo! — Sollevò lo sguardo rabbioso su Steen. — Tu per caso?

— Io? — Steen si alzò con espressione addolorata e venne a trovarsi faccia a faccia con l’altro.

— O tu, o la donna che ti ha dato il falso numero di matricola, o Grayson, troppo stordito per capire che quel cervello stava mentendo. — Haller agitò il sigaro nell’aria. — Forse è stata la donna. Vi ha lanciati lungo un vicolo cieco, e deve aver riso quando vi ha visti correre in quella direzione. Se è così, la colpa ricade tutta su Grayson. Era lui il lettore mentale. Mandalo da me… voglio andare in fondo a questa faccenda.

— Come poteva leggere in una mente piatta e impenetrabile quanto una pietra tombale? — disse Steen.

— Avrebbe dovuto avvertirti che si trovava in difficoltà e lasciarti fare alla tua maniera. Se riducevi la donna a una statua, lui poi avrebbe potuto ricavare da quel cervello qualsiasi informazione. Non è così? A che serve mandarvi in coppia, se poi siete troppo stupidi per cooperare?

— Non siamo stupidi — protestò Steen.

— Qualcuno sta raccontando frottole — insistette Haller. — Lo sento. Quella maledetta donna deve aver imbottito Grayson di menzogne. Aveva ancora l’aria stupita di chi non riesce a convincersi di qualcosa. Non è da Grayson. Vai a chiamarlo… voglio dargli una strigliata.

— Non credo che sia necessario — disse Steen, con calma. — Questa è una faccenda fra noi due.

— Davvero? — L’autocontrollo di Haller e la sua assoluta mancanza di stupore rivelarono che aveva un carattere energico. C’era una pistola sul piano del pannello. Haller si girò per appoggiare il sigaro, ma non fece nessun gesto per afferrarla. — Ho la sensazione che sia tu a mentire — disse tornando a guardare Steen. — Non so cosa tu abbia in mente, ma ti consiglio di non andare troppo lontano.

— No?

— No. Tu sei un ipno, ma cosa significa? Io posso incenerire i tuoi centri nervosi tre o quattro secondi prima che tu riesca a paralizzare i miei. Inoltre, la paralisi scompare dopo qualche ora, le ceneri invece rimangono. Sono permanenti.

— Lo so, lo so. Sei un potente pirotico.

Steen fece un gesto, e la sua mano toccò casualmente quella di Haller.

Le due mani si unirono e Haller cercò di staccarsi, ma non ci riuscì. Le due mani aderivano quasi al punto di essere carne con carne. E qualcosa di terribile stava passando attraverso il punto di contatto.

— Anche questo è potere — disse Steen.

Molto sotto l’innocuo raggruppamento di magazzini appartenenti alla Transpatial Trading Company esisteva una città in miniatura che non apparteneva alla Terra, anche se si trovava sul suo territorio. Per quanto sconosciuta e insospettata dalla maggior parte degli abitanti della superficie, la città esisteva già da molto tempo.

Lì si trovava il quartier generale del movimento clandestino di Marte e di Venere: era il cuore di tutta l’organizzazione. Un migliaio di persone andavano e venivano lungo i freddi passaggi interminabili e attraverso la serie di grandi sale. Un migliaio di uomini scelti, ma nessuno di loro era uomo come lo sono gli uomini.

In una sala lavoravano una dozzina di anziani dalle dita sottili. Si muovevano lentamente, a tastoni, come le persone che hanno soltanto due decimi di vista. I loro occhi non erano occhi, ma qualcos’altro. Erano troppo miopi per poter vedere distintamente una cosa lontana più di tre o quattro centimetri dalla punta del naso. Tuttavia, erano organi che potevano distinguere, entro il loro breve raggio, gli angeli danzanti sulla punta di uno spillo.

Questi anziani lavoravano come se stessero continuamente annusando gli oggetti che stavano costruendo. Tenevano le dita all’altezza del naso. Gli occhi assumevano una angolazione impressionante, ma potevano vedere con chiarezza molto al di sopra del normale.

Erano mutanti di Tipo Nove, generalmente chiamati microtecnici. Potevano costruire un radiocronometro tanto piccolo da poter essere incastonato al centro di un anello di diamanti.

In una sala adiacente lavoravano alcuni individui che si assomigliavano senza però essere identici, e che provavano di continuo, gli uni sugli altri, le loro strane capacità. Due uomini sedevano di fronte. Un rapido movimento del viso cambiava completamente i lineamenti.

«Ecco fatto» diceva il primo «io sono Peters».

Un altrettanto rapido movimento cambiava i lineamenti dell’altro, che rispondeva: «Strano! Anch’io».

Scoppiavano due sonore risate. Poi, sempre identici come gemelli, sedevano a un tavolo e si mettevano a giocare a carte. Entrambi si osservavano furtivamente, in attesa di quella mossa distratta del viso che avrebbe tradito la vera identità dell’altro.

Entrarono altre due persone e dissero di voler giocare con loro. Uno dei due ebbe un attimo di intenso sforzo mentale, poi volò sopra il tavolo e andò a sedersi sulla sedia che stava al lato opposto. Il secondo fissò lo sguardo sulla sedia più vicina: la sedia si mosse ondeggiando e venne a collocarsi sotto di lui, come spostata da mani invisibili. I gemelli accettarono questi fenomeni con assoluta indifferenza, come cosa di ordinaria amministrazione, e cominciarono a ridistribuire le carte.

Quello che aveva mosso la sedia, fece saltare il mazzetto di carte nella sua mano e cominciò a studiarle.

— Se voi due volete a tutti i costi essere Peters, mantenete almeno i vostri odori, in modo che noi si sappia chi siete — disse, e riprese a esaminare le carte.

— Passo.

Una persona si fermò sulla soglia a osservare il tavolo dei giocatori, poi si allontanò sogghignando. Dieci secondi dopo, il primo Peters prese la sigaretta dal portacenere e si accorse che era accesa da tutte e due le parti. Lanciò una imprecazione e si alzò per andare a richiudere la porta. Portò con sé le carte, per timore che durante la sua assenza saltassero nelle mani di qualcun altro.

Grayson entrò nelle gallerie del sotterraneo. Teneva la mente chiusa contro ogni possibile intrusione e avanzò guardandosi attorno con sospetto. Sembrava una persona che avesse le sue buone ragioni di temere la propria ombra. Al termine di un lungo corridoio che terminava con una pesante porta di ferro, Grayson venne a trovarsi faccia faccia con una guardia ipno.

— Devi tornartene indietro, amico. Qui è dove vive il capo.

— Sì, lo so. Voglio vedere Kayder immediatamente — disse Grayson, girando la testa per osservare la galleria alle sue spalle e facendo un gesto di impazienza. — Digli che gli conviene ricevermi, a meno che non voglia veder saltare all’aria il nostro rifugio.

La guardia lo scrutò attentamente, poi aprì il piccolo sportello che nascondeva il microfono e riferì quanto gli era stato detto. Qualche secondo dopo la porta si aprì. Grayson varcò la soglia e attraversò la grande sala dirigendosi verso l’unica persona presente.

Kayder, un tale tarchiato, dalle spalle larghe e dalla mascella volitiva, era Venusiano di nascita ed era forse l’unico mutante di Tipo Undici dislocato sulla Terra. Poteva conversare a voce bassa, in maniera quasi impercettibile, con nove specie di insetti venusiani. Sette di queste erano velenosissime e pronte a fare qualunque favore al loro amico. Kayder disponeva quindi della spaventosa forza di un esercito non umano troppo numeroso per poter essere distrutto.

— Di che cosa si tratta, questa volta? — chiese seccamente, distogliendo l’attenzione da un fascio di documenti. — Fate alla svelta e venite subito al punto. Questa mattina non mi sento molto bene. L’aria della Terra non mi si addice.

— Nemmeno a me — disse Grayson. — Voi avevate scoperto qualcosa su un certo David Raven e avete dato ordine di andarlo a prendere.

— Certo. Non so cosa abbia di speciale ma immagino che sia un elemento utile. Dove l’avete messo?

— Da nessuna parte. È scappato.

— Non per molto — assicurò Kayder con convinzione. — Immagino che sia andato a nascondersi in qualche posto. Ma finiremo per trovarlo. — Fece un cenno di congedo. — Continuate le ricerche.

— Ma lo avevamo preso — osservò Grayson. — Era una volpe in trappola, allo stremo delle forze. Ed è fuggito.

Kayder inclinò indietro la sedia facendola stare in bilico sulle gambe posteriori.

— Volete dire che lo avevate veramente preso? E ve lo siete lasciato scappare? Com’è possibile?

— Non lo so. — Grayson era terribilmente preoccupato e non cercava di nasconderlo. — Non so… Non riesco a capire, e sono sconcertato. Ecco perché sono venuto da voi.

— Siate più preciso. Cos’è successo?

— Siamo entrati nella casa in cui era nascosto. Con lui c’era una donna… una vera telepatica, come lui. Steen era con me. È un ottimo ipno. E Raven è riuscito a giocarlo.

— Continuate. E tralasciate le pause teatrali.

— Steen ha fatto il trattamento a me - continuò Grayson. — Mi ha colto di sorpresa e mi ha privato di ogni volontà. È riuscito a convincermi di tornare allo scafo e dire a Haller che Raven non c’era. Poi lui si è ritirato nella cabina di pilotaggio con Haller.

Un piccolo ragno si arrampicò sui pantaloni di Kayder, e lui tese la mano per aiutare l’insetto a salire sul piano della scrivania. Il ragno era di un verde lucente, con otto piccole capocchie di spillo rosse al posto degli occhi.

Guardando disgustato l’insetto, Grayson continuò a parlare.

— Qualche ora dopo mi è ritornata la memoria. E ho scoperto che Haller era diventato pazzo, e che Steen era scomparso.

— Dite che Haller è impazzito?

— Sì. Quando l’ho visto balbettava cose senza senso. Sembrava che il cervello gli si fosse rivoltato. Accennava alla futilità infantile della lotta di Marte-Venere contro la Terra, alle sorprendenti meraviglie dell’universo, alla gloria della morte, e così via. Agiva come se volesse passare a miglior vita, ma avesse bisogno ancora di un po’ di tempo per convincersene.

— Haller è un pirotico — disse Kayder. — Voi siete un telepatico. Ve ne siete forse dimenticato? O eravate ancora troppo scosso dagli eventi per ricordarlo?

— No. Ho guardato nella sua mente.

— E cos’avete trovato?

— Era sconvolto in modo terribile. Un numero impressionante di pensieri slegati gli turbinava nella mente. Uno di questi diceva: Steen è me, è Raven, sei tu, è gli altri, è tutti. Un altro: Vita è non-vita, è vita rapida, è vita meravigliosa, ma non altra vita. - Si fece roteare un dito sulla tempia destra. — Completamente pazzo.

— Una brutta ed eccessiva dose ipnotica — diagnosticò Kayder, senza scomporsi. — Haller deve essere allergico all’ipnosi. Non c’è modo di accorgersene finché la vittima non ne mostra i sintomi. Con tutta probabilità, è anche permanente.

— Forse è stato accidentale. Forse Steen non sapeva che Haller avrebbe sofferto. È quello che voglio credere, almeno.

— Questo perché odiate pensare che un vostro amico abbia potuto o voluto nuocere ai suoi compagni. Comunque, caso o no, Steen si è ribellato a una persona che faceva parte della sua squadra, a un suo superiore. Abbiamo una brutta parola per definire una azione del genere. Ed è tradimento!

— Non credo — insistette Grayson, cocciuto. — Raven deve aver avuto qualcosa a che fare con quello che è successo. Steen non avrebbe mai fatto una cosa del genere senza una buona ragione.

— Certo — disse Kayder sorridendo sardonico. Fece una serie di trilli all’indirizzo del ragno, e l’insetto si esibì in una danza che forse voleva significare qualcosa.

— Tutti hanno una ragione — continuò Kayder — buona o cattiva o priva di qualsiasi interesse. Prendete me, per esempio. La ragione per cui io sono un onesto, leale e assolutamente fidato cittadino di Venere, va ricercata nel fatto che nessuno mi ha mai offerto l’incentivo sufficiente per indurmi a fare altrimenti. Il mio prezzo è troppo alto. — Diede un’occhiata significativa a Grayson. — Posso quasi immaginare con esattezza cos’è successo a Steen. È un uomo che costa poco, e Raven l’ha scoperto.

— Anche se è il tipo che può essere comprato, ma ne dubito, come ha potuto fare? Non ha avuto contatti.

— È rimasto solo con Raven, vero?

— Sì — ammise Grayson. — Si sono spostati per qualche minuto nella stanza vicina. Ma io sono sempre rimasto in ascolto. La mente di Raven era vuota. Quella di Steen mi ha detto che Raven si è girato verso di lui, come per dire qualcosa. Lo ha toccato… e improvvisamente anche la mente di Steen si è vuotata. Un ipno non può fare una cosa del genere. Gli ipnotici non possono chiudere la mente come fanno i telepatici… eppure l’ha fatto!

— Ah! — fece Kayder osservandolo.

— La cosa mi ha colpito subito. Era molto strana. Mi sono alzato per andare a vedere cosa stava succedendo, e in quel momento Steen è ricomparso sulla soglia. Ho provato un tale senso di sollievo da non accorgermi che la sua mente era ancora vuota. Prima ancora di potermene rendere conto, lui mi aveva ridotto alla sua volontà. Naturalmente — concluse Grayson in tono di scusa — io diffidavo di Raven e non ho fatto nessun caso a Steen. Non ci si aspetta che un compagno ti si rivolti improvvisamente contro.

— Certamente no — ammise Kayder. Fece alcuni strani suoni e il ragno si spostò per lasciargli prendere il microfono. — Faremo una caccia doppia. È altrettanto facile cercare due persone che una sola. Prenderemo Steen per poterlo esaminare.

— Dimenticate una cosa — obiettò Grayson. — Io sono qui. - Fece una leggera pausa, per dare maggior valore a quel fatto. — E Steen sa dove si trova questo nostro nascondiglio.

— Pensate che possa averci traditi e che ci si debba aspettare un’incursione?

— Sì.

— Ne dubito. — Con calma Kayder considerò la situazione. — Se le forze terrestri avessero saputo dove si trova questa base e avessero deciso di fare un’incursione si sarebbero mosse prima. L’attacco sarebbe avvenuto ore fa, quando poteva rappresentare un elemento di sorpresa.

— Cosa può impedire loro di agire con furberia per poi colpire con maggiore forza? Potrebbero aver impiegato tutto questo tempo nei preparativi per distruggerci interamente.

— Frenate la fantasia, Grayson — disse Kayder. — Ci sono troppi elementi di valore con noi… Tra le altre cose, se i Terrestri dovessero fallire, noi andremmo a nasconderci in qualche altro luogo. Meglio per loro sapere dove si trova il pericolo, anziché non saperlo per niente.

— Forse avete ragione — disse Grayson, non del tutto convinto.

— Comunque, non hanno nessuna giustificazione pubblica per prendere misure drastiche. Non possono partecipare attivamente a una guerra che fingono non esista. Finché non ammetteranno quello che non vogliono ammettere, noi li abbiamo in pugno. L’iniziativa è nostra, e rimane nostra.

— Spero che abbiate ragione.

— Sono pronto a scommetterci — disse Kayder, e fece una smorfia di disprezzo per le opinioni di Grayson. Premette il pulsante del microfono. — D727, l’ipno Steen ci ha traditi. Catturatelo a tutti i costi e nel più breve tempo possibile!

Soffocato dalla pesante porta, giunse l’eco delle sue parole ripetute dall’altoparlante esterno.

“D727, l’ipno Steen…” Poi la voce di un altro altoparlante lontano, perso nel labirinto dei corridoi. “D727, l’ipno Steen… Catturatelo… nel più breve tempo possibile!”

Dall’altra parte di quel mondo sotterraneo, vicino all’entrata segreta, uno dei lavoratori miopi guardò irritato verso l’altoparlante che non riusciva a vedere, poi inserì delicatamente nel piccolo apparecchio che stava costruendo un microcircuito non più grande della capocchia di un fiammifero. Nella sala vicina, un pirotico barbuto scagliò il fante di picche sul cinque di cuori di un levitante.

— Socko, me ne devi cinquanta! — Si appoggiò allo schienale della poltroncina e si passò una mano sul mento. — Ci ha traditi? Mai sentita una cosa simile.

— Se ne pentirà — disse uno che si era fermato a osservare la partita.

— Balle! — disse il primo. — Nessuno può pentirsi dopo essere morto!