Leina lo sentì tornare. Guardò attraverso la finestra e lo vide avvicinarsi lungo il vialetto. Si staccò dai vetri, mentre negli occhi le si accendeva un lampo di biasimo. — Sta tornando. Qualcosa deve essere andato storto — disse e aprì la porta della stanza attigua. — Non voglio essere spettatrice del vostro incontro. Quello che è sbagliato è sbagliato, e quello che è giusto è giusto. Non posso pensarla in modo diverso, anche se sarebbe più conveniente.
— Non lasciarmi solo con lui. Te ne prego. Non sarò capace di controllarmi! Tenterò di ucciderlo, anche a rischio di farmi uccidere da lui. Io…
— Non farai niente del genere — disse la donna. — Saresti tanto pazzo da uccidere il tuo vero io?
Fece una breve pausa. Aveva sentito una voce mentale che la stava chiamando. Ma non rispose.
— Ricorda la tua promessa. Obbedienza assoluta! Devi fare quello che ti dice. È la tua sola possibilità.
Uscì dalla stanza e chiuse la porta, lasciandolo solo ad affrontare la sua sorte. Prese una sedia e si mise a sedere, rigida. Aveva assunto l’aria della maestra di scuola che non vuole lasciarsi coinvolgere in qualcosa di imperdonabile.
Qualcuno entrò nell’altra stanza. Una voce attraversò la parete e raggiunse la sua mente.
— Tutto bene, Leina. Puoi uscire tra un minuto. — Poi sentì che si rivolgeva vocalmente all’altro. — Siete pronto a tornare? — Silenzio. — Vorrete certo ritornare, vero?
Rispose una voce sibilata.
— Maledetto vampiro! Lo sapete perfettamente che voglio.
— Eccomi, allora.
Leina chiuse gli occhi.
Dalla stanza accanto le giunse un respiro affannoso e un singhiozzo soffocato. Poi sentì un profondo respiro di sollievo. Si alzò, con la faccia tesa, e raggiunse la porta.
Steen sedeva pallido e disfatto sulla poltrona pneumatica. I suoi occhi, quelli che un tempo potevano bruciare di intensità magnetica, ora si guardavano attorno sgomenti.
— Ho preso possesso del vostro corpo — disse Raven. — Anche se siete un nemico, io vi chiedo scusa. Non è giusto prendere possesso del corpo di un vivente senza il suo permesso.
— Di un vivente? — Nel pronunciare la domanda, Steen impallidì visibilmente. Era dunque giusto prendere possesso del corpo di un morto? La mente gli venne afferrata da un vortice. — Volete dire che…
— Non saltate a conclusioni fantastiche — lo interruppe Raven, leggendo con chiarezza nei pensieri dell’altro, come su una pagina stampata. — Potreste aver ragione. O potreste sbagliarvi completamente. In ogni caso non vi servirebbe a nulla.
— David — disse Leina, guardando la finestra — che cosa potrebbe succedere se fra poco arrivassero in maggior numero e meglio preparati?
— Verranno — rispose David senza mostrare la minima preoccupazione — ma non subito. Sono pronto a scommettere che considerano assurdo che la preda ritorni nella trappola. Passerà un po’ di tempo, poi verranno a controllare. E sarà troppo tardi. — Tornò a rivolgere la sua attenzione a Steen. — Mi stanno cercando su tutto il pianeta, dandomi un’importanza assolutamente sproporzionata. Qualcuno deve averli informati, per metterli tanto in allarme. Qualche alta personalità degli affari terrestri deve aver tradito la fiducia riposta in lui. Voi sapete chi è?
— No.
Accettò la negazione senza obiettare, perché era indelebilmente scritta nella mente dell’altro.
— Ora stanno dando la caccia anche a voi.
— A me? — chiese Steen, cercando di scuotersi.
— Sì. Ho fatto un grosso sbaglio. Ho fallito nel tentativo di dominare il comandante del vostro scafo. Ha dimostrato di essere qualcosa di più che un semplice pirotico. Aveva una percettività intuitiva, una visione extrasensoriale molto ben sviluppata. Gli permetteva di vedere, o sentire, o stimare cose che non avrebbe dovuto sapere. — Girò la testa. Leina si era lasciata sfuggire un ansito e si era portata una mano alla gola. — Non me lo aspettavo — continuò Raven. — La cosa non era evidente e mi ha colto di sorpresa. È l’inizio di un Tipo Tredici. Un pirotico con capacità percettive extrasensoriali. Non se ne è ancora reso conto, e non sa di essere leggermente diverso dagli altri. — Fissò gli occhi a terra e fece scorrere la punta di una scarpa lungo la frangia del tappeto. — Nell’istante stesso in cui siamo venuti in contatto, mi ha conosciuto come voi non mi verrete mai a conoscere… Ed è stata per lui una cosa troppo terribile da sopportare: si è freneticamente afferrato a quella che ha considerato l’unica forma di legittima difesa. Si è sbagliato, naturalmente, ma le persone, nei momenti di pericolo, non riescono a pensare in modo logico. E si è reso inutile al mio scopo.
— Cioè? — chiese Steen allibito.
— È diventato pazzo — rispose Raven. — E danno la colpa a voi.
— A me? Al mio corpo? — Steen si alzò per andare davanti a uno specchio e toccarsi il petto e la faccia. Sembrava un bambino che si osserva il vestito nuovo. — Il mio corpo — ripeté. Poi alzò la voce in tono di protesta. — Ma non ero io!
— Dovrete cercare di convincerli.
— Mi faranno esaminare da un telepatico. E lui scoprirà la verità. Non posso raccontare delle menzogne… è impossibile.
— La parola impossibile dovrebbe essere cancellata dal dizionario. Potreste raccontare le più oltraggiose menzogne per tutta la durata di un viaggio da qui ad Aldebaran. Basta che vi condizioni un ipnotico più potente di voi.
— Non mi uccideranno — sussurrò Steen, preoccupato. — Mi manderanno in un luogo lontano, dove potranno tenermi d’occhio. Essere rinchiusi è una cosa ancora peggiore. Non potrò resistere. Preferirei morire.
Raven scoppiò a ridere. — Forse non lo sapete, ma avete detto qualcosa di vero.
— Voi siete nella posizione di poter considerare la cosa divertente — gridò Steen, senza avere perfettamente compreso quello che Raven aveva detto. — Non c’è nessuno in grado di tenervi prigioniero. In cinque minuti potreste confiscare il corpo della guardia e andarvene. A questo punto potreste anche impadronirvi del corpo dell’ufficiale adatto e firmare il foglio del vostro stesso rilascio. Potreste… potreste…
Nel cercare le infinite possibilità, quelle che portavano a un limite fantastico, la sua mente venne travolta da una violenta marea.
Leggendogli i pensieri, Raven sorrise appena. — Sì, è possibile pensare quello che si vuole. Ma anche se riuscissi a prendere il posto del capo della alleanza segreta Marte-Venere, non so se sposando la reginetta della Terra suggellerei una pace duratura. Voi avete letto troppi di quei volgari romanzi economici marziani, o li guardate sullo spettro-schermo.
— Può darsi — ammise Steen, ormai abituato al fatto che qualcuno leggesse i suoi pensieri e li criticasse. — Comunque, per fermare voi non c’è altro mezzo che uccidervi. — Girò un attimo lo sguardo verso Leina, poi tornò a rivolgersi a Raven. — E anche in questo modo non si otterrebbe niente, se ci sono altri mutanti come voi sempre pronti a prendere il vostro posto.
— Cominciate a considerare che saremo i vincitori, vero? — Raven tornò a sorridere, poi disse a Leina. — Sembra che abbia fatto bene a impadronirmi del suo corpo.
— Io dico che hai fatto uno sbaglio — rispose Leina con fermezza. — È sempre stato un male e sempre lo sarà.
— Su questo principio sono pienamente d’accordo — rispose Raven. Tornò a guardare Steen. — Sentite, io non sono tornato qui solo per divertirmi. Avevo delle buone ragioni, e riguardano voi.
— In che senso?
— Prima di tutto, volete passare dalla nostra parte, o insistete nel restare contro di noi?
— Dopo questa esperienza — disse Steen con un certo imbarazzo — sento che il cambiare bandiera sarebbe la cosa più sicura. Ma non posso farlo. — Scosse lentamente la testa. — Non è da me. Quelli che rinnegano la loro razza sono dei vigliacchi.
— Così preferite rimanere schierato contro i Terrestri?
— No! — Steen mosse i piedi, a disagio, e cercò di evitare lo sguardo fisso dell’altro. — Non voglio essere un traditore. E nello stesso tempo comprendo che la lotta contro la Terra è una pazzia… inutile. — La sua voce cambiò leggermente di tono. — Io voglio soltanto tornarmene a casa, starmene tranquillo, e soprattutto rimanere neutrale.
Era vero. Il suo pensiero lo esprimeva chiaramente. Steen aveva subito una scossa profonda e aveva perso tutto l’entusiasmo di una volta. È già terribile perdere un braccio o una gamba, ma è più terribile ancora essere privati del corpo intero.
— A casa forse vi sarà difficile fare da semplice spettatore — suggerì Raven. — Quando i fanatici vanno in cerca di qualcuno su cui sfogare il loro disprezzo, normalmente scelgono un neutrale.
— Correrò il rischio.
— Come volete — concluse Raven, facendo un cenno verso la porta. — Quella è la strada verso la libertà. Il prezzo da pagare è una sola informazione.
— Cosa volete sapere?
— Come vi ho detto, qualche alta personalità mi ha denunciato. Tra noi abbiamo un traditore. Voi avete detto di non sapere chi è. Chi può saperlo?
— Kayder — disse Steen, più che altro per il fatto che non era in condizioni di rifiutare l’informazione. Il nome gli era balzato in mente all’istante, e l’altro lo avrebbe potuto leggere facilmente, come se fosse stato una grande insegna luminosa.
— Chi è? Dove vive?
Era una risposta più facile, e non troppo pericolosa. Descrisse Kayder e parlò della sua residenza privata senza pensare al centro sotterraneo. La sua coscienza non avrebbe avuto rimorsi. Oltre la base segreta, Kayder dirigeva una piccola agenzia di importazioni da Venere, e per questo fatto poteva tranquillamente fruire di tutti i diritti di cittadino della Terra. Inoltre, era una persona perfettamente in grado di badare a se stessa.
— Quali sono le sue capacità speciali? — chiese Raven, dopo aver letto la risposta.
— Non lo so con precisione. Ho sentito dire che parla con gli insetti.
— Mi può bastare. — Raven sollevò il pollice verso la porta. — Andatevene. Se restate neutrale, avrete fortuna, forse.
— Lo spero — disse Steen. — Si fermò sul primo gradino e girò la testa. — E spero anche di non vedere mai più né voi, né lei. — Alzò lo sguardo al cielo e si allontanò rapido.
— Hai notato? — disse Leina un po’ in ansia. — Ha guardato in alto, ha mantenuto il controllo dell’espressione, ma la sua mente ha rivelato quello che gli occhi stavano vedendo. C’è un elicottero in arrivo. — Si avvicinò alla porta per controllare. — Sì, e scende rapido. David, ti sei dilungato troppo a parlare e ti sei fermato più del necessario. Cosa vuoi fare, adesso?
Raven la guardò, calmo. — Le donne non cambieranno mai.
— Cosa vuoi dire?
— Quando ti agiti diventi come un essere umano. Ti metti a pensare al pericolo e dimentichi di ascoltare. Non tutti sono nemici.
Leina cercò di controllare l’ansietà e si mise in ascolto. Adesso che la sua attenzione era completamente tornata normale, poteva percepire il groviglio di pensieri che provenivano dall’elicottero. C’erano quattro persone a bordo dell’apparecchio. Gli impulsi mentali diventavano più forti a ogni secondo, e nessuno faceva il minimo tentativo per controllarli. Erano menti comuni, tutte quante.
“La casa sembra tranquilla. Chi sta camminando sul vialetto che porta alla strada?”
“Non so. Comunque non è lui. È troppo piccolo e tarchiato.”
Una breve pausa.
“Carson ha detto che dovrebbe esserci una voluttuosa amazzone. Possiamo parlare con lei, se non troviamo Raven.”
— Hai sentito? — disse Raven. — Carson è un tuo segreto ammiratore.
— Io non l’ho mai conosciuto. Devi essere stato tu a dirgli qualcosa. Leina guardò attraverso i vetri della finestra e riprese l’ascolto. Le strane voci mentali si trovavano ora sul tetto.
“Avrebbero potuto mandare con noi anche un telepatico. Ho sentito dire che i migliori sanno leggere il pensiero di una persona che si trova lontanissima.”
“Non ci saranno mai lettori di pensiero tra noi. Il pubblico non vuole. Dopo le proteste di due secoli fa, quando volevano istituire il corpo di polizia sensoria, è nata la regola che nessun telepatico potesse mai entrare nella polizia.”
“Il pubblico!” esclamò un terzo, in tono di sprezzo.
“Fa’ girare un po’ più forte le eliche. Il giardino è fatto di terra, non di spugna. Non puoi parlare senza chiudere gli occhi?”
“Chi sta pilotando, tu o io? Quando tu succhiavi ancora i bastoncini di zucchero, io sapevo già atterrare su pezzi di terra grandi quanto un fazzoletto.”
Pausa.
“Tenetevi. Stiamo per toccare.”
L’elicottero scese di fronte alla finestra. Sembrava penzolare da due anelli di luce. Poi affondò i pneumatici in un’aiuola fiorita, e dallo scafo scesero quattro uomini. Uno si appoggiò stancamente all’apparecchio e gli altri si diressero verso la casa. Erano tutti in abiti borghesi.
Raven andò alla porta e l’aprì.
— Cosa c’è? Qualcosa di urgente? — chiese.
— Non so — disse quello che comandava il gruppo, squadrandolo dalla testa ai piedi. — Sì, siete Raven. Carson vuole parlarvi. — Fece un cenno verso l’apparecchio.
— Siamo venuti con questo perché è dotato di un raggio di sicurezza. Potete parlare da qui.
— Bene.
Nella cabina, Raven si mise a sedere e lasciò che l’altro collegasse la linea. A poco a poco lo schermo si accese, e dopo qualche istante comparve l’immagine di Carson.
— Hanno fatto presto — disse con un cenno di approvazione. — Ho mandato dieci pattuglie alla vostra ricerca, e pensavo che avrebbero impiegato settimane per trovarvi. — Carson regolò alcuni pulsanti del pannello e l’immagine sullo schermo divenne più nitida. — È successo qualcosa, nel frattempo?
— Non molto — disse Raven. — L’opposizione ha fatto due mosse contro di me. E io ne ho fatte due contro di loro. Nessuno ha vinto la battaglia. In questo momento, siamo seduti nei nostri angoli, succhiamo limoni, aspettiamo il colpo di gong, e ci lanciamo occhiate torve.
Carson corrugò la fronte. — Avete comunque finito la prima mano. La nostra posizione è invece molto meno brillante. La situazione sta precipitando.
— Cos’è successo?
— Questa mattina è saltata in aria la Baxter United. La notizia verrà diffusa il più tardi possibile.
Raven strinse involontariamente i pugni. — La Baxter è un grande stabilimento, vero?
— Grande? — Carson contorse la faccia in una smorfia. — Il turno di notte, quello che impiega il minor numero di personale, era appena terminato. Questo ha fortunatamente ridotto il numero delle vittime a circa quattromila.
— Mio Dio!
— La cosa ha tutta l’apparenza di un disastro industriale causato da qualche misterioso incidente — continuò Carson con voce secca. — Ed è una storia maledetta, perché da qualche tempo tutte le disgrazie simili sembrano avvenire per incidente. E non potremo mai affermare il contrario a meno che qualche nostro dispositivo nascosto non scatti.
— Ce n’erano in questo caso?
— Molti. A decine. Il posto è di grande valore strategico ed era ben sorvegliato. Tenevamo gli occhi aperti. Capite?
— Allora?
— Il novantacinque per cento dei nostri compagni è andato completamente distrutto. I pochi rimasti erano troppo danneggiati per funzionare o per registrare qualcosa di incriminante. Il gruppo di sentinelle, composto da telepatici e da ipnotici è scomparso in mezzo alle macerie.
— Nessun superstite? — chiese Raven.
— Non esattamente. Ci sono alcuni testimoni oculari. Ma non si può chiamarli superstiti, perché il più vicino si trovava a un chilometro dallo stabilimento. Dicono di aver sentito un forte tremito della terra e un boato tremendo: poi l’intero complesso è saltato in aria. Una locomotiva di duecento tonnellate è stata scagliata a mille metri di distanza.
— Secondo quanto mi avevate detto, la tecnica nemica era quella di compiere gravi sabotaggi senza creare forti perdite di vite umane, senza grandi spargimenti di sangue. Dopo tutto, siamo sempre legati da vincoli di parentela. — Raven fissò in silenzio lo schermo. — Se questa esplosione è opera loro, significa che hanno deciso di cambiare tattica e che ci vogliono combattere con la violenza.
— È proprio quello che temiamo — affermò Carson. — Ubriachi dei loro successi, alcuni Venusiani o Marziani fanatici possono aver deciso di infiammare l’opinione pubblica del loro mondo stringendo i tempi con ogni mezzo. Noi non possiamo permetterlo.
Raven fece un cenno affermativo e guardò fuori della piccola cabina. L’equipaggio dell’elicottero era distante quel tanto che bastava per non sentire. Gli uomini parlavano tra loro e fumavano guardando il cielo. Lontano, a est, qualcosa si alzò sopra l’orizzonte e scomparve nel blu lasciandosi dietro una sottile scia di vapore: un’astronave di linea che partiva per il suo viaggio.
— Perché mi avete chiamato? Dovevate dirmi qualcosa di particolare?
— No — disse Carson. — Sta a voi decidere quello che è meglio fare. Io vi ho dato l’informazione: tocca a voi scoprire che cosa può significare. — Si lasciò sfuggire un sospiro e si passò una mano sulla fronte. — L’idea di Marte e Venere è quella di provocare una catena di catastrofi che sembrino naturali, di minare la nostra potenza e di costringerci alla resa. Ma le catastrofi vere avvengono, di tanto in tanto. Senza prove evidenti, noi non possiamo distinguere un disastro casuale da uno provocato.
— Infatti.
— È forte la tentazione di indicarli come responsabili di incidenti che forse atterriscono loro quanto noi. D’altra parte, se noi avessimo la prova che sono loro i colpevoli e se sapessimo chi ha compiuto i sabotaggi li conceremmo per le feste, e la loro cittadinanza terrestre non li salverebbe. L’omicidio rimane omicidio in qualsiasi parte del cosmo.
— Volete che lasci tutto il resto e che faccia qualche indagine a questo riguardo?
La faccia di Carson si contrasse.
— Assolutamente no. Far finire l’inutile disputa… se è possibile… è molto più importante che dare la caccia a chi provoca i disastri. Vi consiglio di continuare secondo il piano che avete in mente. Però vorrei che non trascuraste la minima opportunità di raccogliere notizie sull’esplosione di questa mattina. Se scoprite qualcosa, informatemi il più in fretta possibile. Irrigidì la mascella e strinse gli occhi. — E io entrerò subito in azione.
— D’accordo. Terrò gli occhi aperti e le orecchie tese. Vi farò sapere tutto quanto mi capiterà di scoprire. — Raven guardò l’altro con curiosità. — In questo stabilimento Baxter, cosa stavano facendo?
— Volete proprio saperlo?
— È forse un segreto?
— Ecco… — Carson ebbe un attimo di incertezza, poi riprese: — Non vedo per quale motivo non dovrei dirlo. Se Heraty disapprova, dovrà rassegnarsi. Non capisco perché i nostri agenti debbano essere informati soltanto a metà. — Guardò attentamente lo schermo, come se cercasse di vedere alle spalle di Raven. — Avete nelle vicinanze qualcuno che può ascoltare i nostri discorsi?
— No.
— Bene. Non rivelate a nessuno quello che sto per dirvi. Entro due mesi la Baxter avrebbe portato a termine dodici prototipi di un nuovo motore azionato da un carburante nuovo e rivoluzionario. Verso la fine dell’anno scorso, una piccola astronave con questo motore, radiocomandata, ha fatto il viaggio di andata e ritorno fino alla Cintura degli Asteroidi. Nessun comunicato ufficiale è stato mai diramato al pubblico.
— Volete dire che siamo pronti a fare il Grande Salto? — chiese Raven sempre impassibile.
— Lo eravamo — rispose Carson, e nel pronunciare il verbo al passato la sua voce si velò di amarezza.
— Quattro astronavi trimotori erano quasi pronte a partire per il sistema di Giove. Quel viaggio sarebbe stato solo un collaudo, una semplice gita, il principio. Se avessero compiuto il viaggio senza difficoltà…
Lasciò la frase in sospeso.
— Avremmo raggiunto i pianeti più lontani? Plutone?
— Anche quella sarebbe stata una gita — ripeté Carson.
— Alpha Centauri?
— Forse anche più in là. È ancora troppo presto per stabilire dei limiti, ma dovrebbero essere molto lontani. — Carson concentrò l’attenzione su Raven. — Sembra che la notizia non vi abbia scosso minimamente.
Raven non diede nessuna spiegazione della sua strana flemma. — Il nuovo carburante è altamente esplosivo?
— Sì. Ecco cosa ci mette con le spalle al muro. Potrebbe sempre trattarsi di un incidente, anche se sono state prese tutte le precauzioni immaginabili.
— Capisco. — Raven rimase qualche attimo in silenzio. — C’è in circolazione un tipo sospetto. Si tratta di un certo Kayder, un Venusiano. Dirige la Morning Star Trading Company. Gli darò la caccia.
— Avete scoperto qualcosa sul suo conto?
— Soltanto che di sicuro si trova sulla Terra anche per altri scopi, oltre a quelli del commercio. Il mio informatore sembra certo che sia lui il Pezzo Grosso dell’altra parte della barricata.
— Kayder — ripeté Carson, prendendo nota su un foglio fuori dall’inquadratura dello schermo. — Farò controllare dai servizi di sicurezza. Anche se si trova legalmente sulla Terra, dovrebbe esserci una scheda su di lui, quale nativo di Venere. — Finì di scrivere e alzò lo sguardo.
— Bene. Servitevi dell’elicottero, se ne avete bisogno. Vi serve altro?
— Un asteroide fertile tutto per me.
— Quando ne avremo occupati un centinaio, ve ne farò riservare uno — promise Carson senza sorridere. — Ma se andiamo avanti di questo passo, riusciremo a occuparli soltanto qualche centinaio di anni dopo la vostra morte. — Mosse una mano per raggiungere un invisibile pulsante, e lo schermo si spense.
Per qualche istante Raven rimase a fissare lo schermo con espressione leggermente divertita. Un centinaio d’anni dopo la sua morte, aveva detto Carson. Era una data completamente priva di senso. Un punto nel tempo che non esisteva. C’erano persone di cui l’angelo delle tenebre non poteva impadronirsi. C’erano persone che nessuna mano umana avrebbe mai potuto distruggere.
— Nessuna mano umana, David — lo interruppe il pensiero di Leina dalla casa. — Ricordalo! Ricordalo sempre!
— È impossibile dimenticarlo — rispose il pensiero di Raven.
— Forse no… Comunque cerca di non dimenticarlo neppure per un istante.
— Perché? Siamo in due, no? Uno ricorda, e l’altro si occupa delle cose da fare.
Lei non rispose. Non c’era una risposta da dare. Divideva con lui quella reciproca funzione, e aveva accettato spontaneamente che fosse così. Questo doveva ricordarlo sempre, ma non doveva parlarne.
Leina non temeva né uomo né mostro, né luce né tenebre, né vita né morte. Tutte le sue ansietà provenivano da una sola fonte: aveva paura della solitudine. La terribile, pungente solitudine di chi ha un intero mondo per sé.
Sceso dal piccolo apparecchio, Raven fece qualche passo per sgranchirsi le gambe e si tolse Leina dalla mente. Uno non tenta di consolare con la comprensione una intelligenza superiore pari alla propria.
I quattro vennero verso di lui, e Raven si rivolse al pilota. — Portatemi a questo indirizzo. Vorrei arrivare poco dopo il tramonto.