Kayder arrivò a casa nel momento in cui la luce del giorno stava già cedendo all’oscurità della notte. Fermò lo scafo sportivo dietro la casa e rimase a guardare i due uomini che, spinto l’apparecchio nel piccolo hangar, chiusero le porte scorrevoli. Poi i due lo raggiunsero e lo seguirono verso la porta posteriore della casa.

— Ho fatto tardi ancora una volta — borbottò Kayder. — Questa sera i poliziotti sono in agitazione. Pattugliano ogni angolo del cielo. Mi hanno fermato tre volte. «Possiamo vedere la vostra licenza?» «Ci potete mostrare il brevetto di pilota?» «Possiamo vedere il certificato di abilitazione al volo?» — Sbuffò con rabbia. — Poco mancava che volessero vedere anche le voglie.

— Deve essere successo qualcosa — disse uno degli altri. — Sugli spettroschermi però non è apparsa nessuna notizia particolare.

— Fanno spesso così — disse il secondo. — Sono già passate tre settimane e non hanno ancora ammesso l’incursione al…

— Sss! — Kayder gli diede una violenta gomitata per farlo tacere. — Quante volte devo ripetere che non si deve parlare di queste cose?

Si fermò sui gradini, con le chiavi in mano, e scrutò l’orizzonte nella vana speranza di scorgere il bagliore bianco che vedeva tanto di rado. Era un’abitudine di cui non riusciva a fare a meno anche se sapeva che il puntino bianco sarebbe apparso soltanto nelle prime ore del mattino. Dalla parte opposta, quasi allo zenit, splendeva una luce rosa, ma Kayder non vi fece caso. Era il loro alleato, ma non significava altro. Kayder considerava Marte un opportunista che si era affiancato a Venere nella lotta per pura convenienza. Aprì la porta, entrò, e andò a scaldarsi le mani al pannello termico. — Che cosa c’è da mangiare? — chiese.

— Arrosto di anatra venusiana con mandorle e…

I gong della porta echeggiarono rumorosamente e Kayder si voltò di scatto a guardare il più alto dei suoi due compagni.

— Chi è? — chiese.

L’uomo diresse la mente verso la porta anteriore. — Un certo David Raven — disse dopo un attimo. Kayder si mise a sedere. — Ne sei sicuro?

— Così stava pensando.

— Cos’altro pensava?

— Niente. Soltanto che si chiamava David Raven. Il resto del cervello era vuoto.

— Aspetta un attimo, poi fallo entrare.

Raggiunta la grande scrivania, Kayder tolse da un cassetto una scatola decorata, fatta col legno di un albero venusiano di palude. Sollevò il coperchio. Sotto c’era uno spesso strato di foglie rossastre e di bizzarri fiori secchi. Al centro del cuscino di foglie c’era un mucchietto bianco che sembrava sale. Kayder sollevò la scatola fino alla bocca ed emise una serie di suoni bizzarri. Immediatamente i piccoli granelli lucenti si mossero e presero a girare per la scatola.

— Sa che lo state facendo aspettare, e sa il perché — disse l’uomo alto, guardando con disagio la scatola. — Sa esattamente cosa state facendo e cosa avete in mente di fare. Vi può strappare tutti i pensieri dalla mente.

— Lasciamolo fare, tanto non gli serve a niente. — Mise la scatola al centro della scrivania e avvicinò la poltrona che stava di fronte. Alcuni granelli luminosi uscirono dalla scatola e si alzarono in volo sparpagliandosi per la stanza. — Ti preoccupi troppo, Santil. Voi telepatici siete tutti uguali. Ossessionati dai fantasiosi pericoli di un pensiero svelato. — Emise altre vibrazioni sonore atteggiando le labbra in modo curioso e creando suoni che quasi oltrepassavano la soglia dell’udibilità. Altri puntini si alzarono in volo e scomparvero alla vista. — Fallo entrare.

Santil fu felice di andarsene. E anche il suo compagno. Quando Kayder cominciava a giocare con le sue scatole era meglio stare alla larga da lui. Tutti i pensieri riguardo l’anatra venusiana e le mandorle si potevano rimandare a un momento migliore.

L’atteggiamento dei due piaceva a Kayder perché aumentava il suo senso di potere. La superiorità sulle pedine era una cosa assolutamente necessaria, ma l’emergere sugli altri dotati di indubbio talento significava grandezza. Girò lentamente uno sguardo soddisfatto per la stanza, spostandolo dalla scatola a una cassetta, da un vaso esotico a un cofanetto laccato. Alcuni erano aperti, altri erano chiusi, e non si preoccupò che qualcuno potesse leggere nella sua mente. In fondo alla tasca destra, un piccolo ragno verde si mosse nel sonno. Kayder era l’unico al mondo in possesso di un’armata coraggiosa e quasi invincibile sempre a portata di mano.

Quando Raven entrò, sulle labbra di Kayder comparve il sorriso professionale del commerciante che saluta il cliente importante. Poi il Venusiano indicò una sedia e osservò in silenzio i capelli lucidi e neri, le spalle larghe e i fianchi stretti del visitatore. Il tipo del manichino pensò, a parte gli occhi punteggiati d’argento.

Non gli piacevano, nemmeno un po’. Avevano qualcosa che non andava. Sembravano guardare troppo lontano, penetrare troppo profondamente.

— Proprio così — disse Raven senza una particolare inflessione nella voce. — Avete perfettamente ragione.

Senza scomporsi, Kayder disse: — Non sono sorpreso, sapete? Sono troppo abituato ad avere attorno lettori-di-mente. A volte non riesco a pensare a una barzelletta spiritosa senza che cinque o sei persone si mettano a ridere prima che io abbia avuto il tempo di raccontarla. — Poi si concesse un’altra occhiata calcolatrice. — Vi stavo cercando.

— Quindi sono stato gentile a venire. Cosa volevate?

— Sapere cosa avete di speciale. — In realtà, Kayder avrebbe voluto dire qualcosa di subdolo per portare l’altro su una falsa pista, ma come aveva detto, conosceva bene i telepati. Quando la mente è aperta e palese come uno schermo acceso, l’unica cosa da fare è ammettere tutto quello che è visibile. — Mi è stato riferito che sareste un elemento a dir poco speciale.

Raven si protese in avanti e appoggiò le mani sulle ginocchia. — Chi ve l’ha riferito?

Kayder scoppiò in una risata. — Mi chiedete una cosa che potete leggere nella mia mente?

— Nella vostra mente non c’è. Forse, di tanto in tanto, per precauzione, un ipnotico vi cancella dalla mente ogni ricordo. Se è così, è possibile fare qualcosa. Un marchio può essere cancellato, ma non il segno dell’impressione sottostante.

— Per essere uno speciale mancate di acume — disse Kayder, sempre felice quando poteva ridimensionare un telepate. — Quello che un ipno fa, può essere disfatto da un ipno più bravo. Perciò, se voglio tener lontano un pensiero dalla mia mente, uso sistemi migliori e più efficaci.

— Quali?

— Per esempio, non far entrare il dato nella mente.

— Volete dire che ricevete le informazioni da una fonte sconosciuta?

— Proprio così. Sono stato io a chiederlo. Se non so una cosa, non la posso riferire, e nessuno può strapparmela nemmeno contro la mia volontà. Il miglior telepate di tutto il creato non può leggere quello che in una mente non c’è.

— Ottima precauzione — ammise Raven. Diede una manata a qualcosa che volava nell’aria. Poi ripeté il gesto.

— Non fatelo! — disse Kayder guardandolo torvo.

— Perché?

— Quei moscerini di palude mi appartengono.

— Questo non li autorizza a ronzarmi vicino all’orecchio, non vi pare? — Raven batté le mani e schiacciò due puntini quasi invisibili. Tutti gli altri insetti si allontanarono simili a una piccola nuvola di polvere. — Inoltre, nel posto dove li avete presi, ce ne sono molti altri.

Kayder si alzò, cupo in viso e disse minaccioso: — Quei moscerini possono fare all’uomo cose molto spiacevoli. Possono pungergli una gamba e fargliela gonfiare finché raggiunge le dimensioni del suo torace. Poi il gonfiore sale. E il corpo diventa una specie di ammasso elefantino, assolutamente incapace di muoversi. — Era evidente che provava una soddisfazione sadica per la potenza del suo esercito privato. — Quando il gonfiore raggiunge il cuore, la vittima muore. Ma la morte non elimina il processo. Il collo diventa due volte più grande della testa. E alla fine la testa si gonfia come un pallone, e tutti i capelli si rizzano sulla pelle del cranio, tesa, incredibilmente distanziati uno dall’altro. A questo punto gli occhi sono ridotti a due cavità affondate di almeno quindici centimetri nella faccia ridotta a una maschera grottesca e mostruosa. — Fece una breve pausa per congratularsi della propria abilità descrittiva, poi concluse: — Una vittima di questi moscerini è certamente il cadavere più repellente che si possa trovare tra qui e Sirio.

— Interessante, anche se melodrammatico — commentò Raven, freddo e impassibile. — Molto spiacevole sapere che non posso essere oggetto delle loro attenzioni.

— Cosa ve lo fa pensare? — domandò Kayder, aggrottando la fronte.

— Un paio di particolari. Per esempio, quali informazioni potreste cavare da un cadavere gonfio e disgustoso?

— Nessuna. Ma non ne avrei più bisogno se foste morto.

— E commettereste un errore, peraltro scusabile, carissimo amico. Un giorno potreste scoprire con sorpresa la mancanza di informazioni di importanza vitale… informazioni ottenibili.

— Cosa volete dire?

— Niente. — Raven fece un gesto con la mano. — Mettetevi a sedere e state calmo. Pensate a quali conseguenze avrebbe per voi trasformarmi in un pallone. Soltanto un insettivoco venusiano potrebbe fare una cosa simile. E per quanto sappiamo voi siete l’unico sulla Terra.

— Infatti — disse Kayder con un certo orgoglio.

— Questo restringerebbe i sospetti, non vi pare? I servizi di polizia terrestri esaminerebbero il cadavere e punterebbero il dito contro di voi, dichiarando che si tratta di un omicidio. E l’omicidio prevede una pena.

Kayder diede un’occhiata alla nuvola di insetti. — Ammesso che esista un cadavere da esaminare — disse in tono pieno di sottintesi. — E se non ci fosse?

— Il cadavere non ci sarà. Farò in modo che venga disintegrato. E in un certo senso questo rimetterebbe a posto le cose.

— Farete in modo? Stiamo parlando del vostro cadavere, non del mio.

— Stiamo parlando di qualcosa che non è né vostro né mio.

— Siete completamente partito — disse Kayder, con un senso di gelo alla nuca. — Avete una decina di rotelle in meno. — Si piegò in avanti per premere un pulsante sulla scrivania e non staccò mai lo sguardo dal suo interlocutore, come se temesse di trovarsi alla presenza di un pazzo.

Santil aprì la porta e avanzò di qualche passo. Sembrava intimorito, ed era evidente che avrebbe volentieri fatto a meno di entrare.

— Hai sentito qualcosa? — chiese Kayder.

— No.

— Hai tentato?

— Inutile. Posso sentire soltanto la vostra mente. Può parlare e pensare con la mente immersa nel vuoto assoluto. Può fare qualcosa più di me, qualcosa più di qualsiasi telepate che abbia mai conosciuto.

— Bene. Puoi andare. — Kayder. Aspettò che la porta si fosse richiusa alle spalle di Santil. — Quindi, voi siete una nuova specie di lettore-di-cervelli, un tipo di telepatico corazzato. Uno che può scrutare senza essere scrutato. Questo conferma quanto Grayson mi ha detto.

— Grayson? — chiese Raven, poi scosse le spalle. — Chi è mezzo informato è male informato.

— Questo però vale anche per voi.

— Naturalmente. Ho ancora cose da apprendere. — Raven dondolò una gamba osservandosi il piede con aria annoiata. — Mi piacerebbe sapere chi ha organizzato la distruzione della Baxter — disse inaspettatamente.

— Come?

— La catastrofe è avvenuta questa mattina. È stata davvero grave.

— E che cosa c’entro io, in tutto questo?

— Niente — ammise Raven con disappunto.

Aveva le sue buone ragioni per essere contrariato. In quei pochi secondi, nella mente di Kayder era passata un’onda di pensieri, e lui li aveva letti tutti.

Un’esplosione alla Baxter? Cosa c’entro io? Dove vuole arrivare? Distruggere quel grosso impianto sarebbe un bel colpo, ma non siamo ancora pronti. Quelli del pianeta forse hanno iniziato una serie di operazioni speciali senza darmene notizia. No, i capi non potrebbero fare una cosa simile. Non c’è motivo di creare una seconda organizzazione separata dalla prima. Comunque, lui sospetta che io sappia qualcosa. Perché? Ci sono forse indizi che lo hanno portato su questa falsa pista? Sono stati i Marziani ad agire di loro iniziativa e a fare in modo che la colpa ricadesse su di noi? Non ci sarebbe da meravigliarsi. Non mi sono mai fidato dei Marziani.

Raven pose fine al corso di quei pensieri.

— Secondo me, voi non avete fiducia in niente e in nessuno, tranne forse in questi vostri insetti. — Girò lo sguardo verso la nuvola che volteggiava ancora nell’aria. Sembrava che non avesse nessuna difficoltà nello scorgere ogni piccola creatura che la formava. Poi osservò le scatole, le piccole cassette, i cofanetti e i vasi, per calcolare la potenza che potevano contenere. — E un giorno anche questi vi tradiranno, perché gli insetti rimangono sempre insetti.

— Quando parlate degli insetti con me, parlate a una autorità in materia — borbottò Kayder guardandolo fisso. — Avete letto tutti i miei pensieri. Non li posso cancellare, come fanno i telepatici. Quindi sapete che non ho niente a che fare con il disastro della Baxter. Non ho avuto assolutamente niente a che farci.

— Ve lo concedo. Nessun ipnotico avrebbe potuto cancellarvi il ricordo dalla mente e lasciarvi tanto confuso e sincero nel sentirne parlare. — Raven si grattò un orecchio. — Un’ora fa avrei scommesso che eravate colpevole. E avrei perso. Ringrazio di non aver giocato dei soldi.

— Dovete avere bisogno di parecchi quattrini, voi. Quanto avete dato a Steen?

— Niente. Neanche un soldo.

— Non pretenderete che vi creda?

— Come tutti, anche Steen non ha resistito oltre un certo limite — disse Raven. — In certi momenti un uomo si trova di fronte a cose che non può sopportare. O cede quando gli rimangono ancora delle buone probabilità, o resiste finché si spezza. Vi conviene cancellare Steen e considerarlo perso in battaglia.

— Verrà trattato come merita — disse Kayder in tono minaccioso. — Cos’avete fatto a Haller?

— Non molto. Il guaio è stato che ha una potenza eccezionale e ha cercato di opporre una certa resistenza. Morirà presto.

— Mi hanno detto che il suo cervello è… — Kayder s’interruppe e, alzando la voce, aggiunse: — Avete detto morirà?

— Sì — confermò Raven, guardandolo con freddo divertimento. — Cosa c’è di strano? Prima o poi, tutti dobbiamo morire. Anche voi morirete un giorno. Qualche minuto fa vi divertivate apertamente all’immagine di me punto dai vostri insetti. In quel momento la morte vi dava una certa soddisfazione!

— Potrei divertirmi veramente — disse Kayder, mentre le labbra sottili si atteggiavano a una smorfia strana. Il telefono sulla scrivania suonò quasi in segno di protesta. Kayder guardò l’apparecchio come se ne avesse completamente dimenticato l’esistenza. Poi sollevò il ricevitore. — Sì?

Dal ricevitore uscì il suono di una voce metallica, e una serie di espressioni diverse comparvero sulla faccia di Kayder, che infine riappese, si appoggiò allo schienale e si asciugò la fronte.

— Haller è morto — disse.

Raven si strinse nelle spalle con un’indifferenza che sbigottì Kayder.

— Hanno detto — continuò Kayder — che ha blaterato una infinità di cose pazzesche su falene dagli occhi luminosi che volavano nel buio. Poi è morto.

— Era sposato?

— No.

— Quindi, poco male. — Sembrava che Raven stesse parlando di un incidente al quale non valeva la pena di prestare molta attenzione. — Era da prevedere. Come vi ho detto, lui era troppo accanito.

— Cosa volete dire, con questo?

— Non pensateci. È troppo presto. Non avete ancora l’età sufficiente per sapere certe cose. — Raven si alzò e parve torreggiare sull’altro. Con la mano destra allontanò sdegnosamente la nuvola d’insetti. — Voglio dirvi soltanto questo: nelle stesse circostanze, voi vi mettereste a sedere di fronte a me e allegramente vi tagliereste la gola da un orecchio all’altro, ridendo anche.

— Figuriamoci!

— Certo, lo fareste.

Kayder gli puntò contro un dito. — Sentite! Ci siamo conosciuti. Ci siamo illusi a vicenda di poter prendere il sopravvento l’uno sull’altro e abbiamo scoperto che non ne vale la pena. Voi non mi avete strappato niente. Assolutamente niente. Io invece ho scoperto tutto quello che volevo sapere. Più che a un supermutante, voi somigliate a un pneumatico sgonfio. Quella è la porta.

— Pensate quello che vi pare — disse Raven con un sorriso irritante. — Io desideravo solo conoscere l’identità di un traditore e forse qualcosa sul caso Baxter. I servizi di spionaggio si occuperanno di tutto il resto.

Kayder appoggiò il dorso della mano sul ripiano della scrivania e fece alcuni sibili con le labbra. I piccoli punti volteggianti scesero per appoggiarsi sulle sue dita.

— I servizi di spionaggio della Terra mi stanno pedinando da mesi. Sono così abituato alla loro compagnia, che mi sentirei perso senza di loro. Devono trovare degli ipno migliori dei nostri per poter fare qualcosa di veramente efficace. — Batté le dita sull’orlo della scatola e osservò gli insetti rotolare all’interno come granelli di polvere. — Tanto per dimostrarvi quanto poco mi preoccupi di loro, vi dirò che hanno tutte le ragioni di pedinarmi. E con questo? Io sto svolgendo un lavoro legittimo, e nessuno può provare niente contro di me.

— Non ancora — osservò Raven avviandosi verso la porta. — Comunque, ricordate le falene dagli occhi luminosi citate da Haller. Dato che parlate la lingua degli insetti, vi dovrebbero interessare. — Aprì la porta e tornò a girarsi, come se all’ultimo momento si fosse ricordato di qualcosa. — Grazie per tutte le informazioni sulla vostra base sotterranea.

— Cosa? - Kayder lasciò cadere scatola, moscerini e tutto.

— Non rimproveratevi e non date la colpa all’ipno che vi cancella i ricordi ogni volta che lasciate la base. Ha fatto un ottimo lavoro. Non è rimasta alcuna traccia. Però nella mente dell’amico Santil ho potuto vedere tutti i particolari che volevo.

Lo scatto della serratura risuonò sulle sue ultime parole.

Kayder tuffò la mano sotto la scrivania, prese un microfono e fece scattare il pulsante. Le dita gli tremavano e grosse vene gli comparvero sulla fronte.

— Avvisare immediatamente tutti — urlò con voce rauca. — Fra poco ci sarà un’irruzione. Il piano numero uno di copertura deve essere messo immediatamente in atto. Preparatevi subito al piano numero due. — Girò lo sguardo furente verso la porta. Sapeva bene che la persona uscita doveva aver sentito tutte le sue parole. — David Raven lascia la mia casa in questo momento. Non dovete perderlo di vista. Bisogna eliminarlo, in qualsiasi modo. Priorità assoluta. Occuparsi di Raven!

La porta si aprì e comparve Santil.

— Sentite, mi ha colto alla sprovvista, in un modo che io…

— Idiota — interruppe Kayder, fremendo. — Voi telepatici vi vantate di essere i migliori dell’universo. Al diavolo! Io ringrazio con tutto il cuore di non esserlo. Tra tutti i fenomeni della mente, il tuo rappresenta di certo il limite inferiore.

— Era completamente vuoto, capite? — protestò Santil arrossendo. — Quando si nasce e si cresce telepatici non si può fare altro che essere condizionati da questo fatto. Ho dimenticato che quel tale poteva scrutare anche tenendo il cervello più morto di un cane morto, e distrattamente mi sono lasciato sfuggire un pensiero. Lo ha raccolto con la massima rapidità e io me ne sono accorto soltanto quando ve ne ha parlato.

— «Ho dimenticato» — lo schernì Kayder. — È in cima alla lista delle ultime frasi famose. «Ho dimenticato». — La faccia gli si fece furente, e il suo sguardo si spostò verso l’angolo in cui si trovava una cassetta ricoperta da una rete. — Se quei calabroni di foresta fossero capaci di riconoscere una persona, li manderei all’inseguimento. Lo ridurrebbero a uno scheletro prima che avesse il tempo di lanciare un grido. — Distolse lo sguardo dalla cassetta. Santil non disse niente. — Tu hai un cervello, o quello che passa per tale — continuò Kayder in tono acido. — Perciò usalo! Dimmi dove si trova.

— Non posso. Sto tentando ma è inutile.

— Come te. — Kayder sollevò il ricevitore del telefono e compose un numero. Aspettò un istante. — Sei tu, Dean? Trasmetti la chiamata d’emergenza. Sì, voglio parlare con l’uomo-che-non-conosciamo. Se telefona, digli che probabilmente Raven tenterà qualcosa contro la nostra base locale. Voglio che usi la sua influenza per ritardare l’irruzione o ridurne gli effetti al minimo. — Depose il ricevitore e rimase pensoso a tormentarsi il labbro inferiore.

— Ha un raggio eccezionale. Scommetto dieci a uno che può ancora sentirvi — disse Santil.

— Questo è certo. Ma non gli servirà a niente. Nemmeno noi sappiamo con chi parliamo.

Il telefono tornò a suonare.

— Qui è Murray — disse la voce all’altro capo del filo. — Mi avevate incaricato di fare indagini su Raven.

— Cos’avete scoperto?

— Non molto. Secondo me, i Terrestri sono giunti alla disperazione, setacciano il pianeta e fanno le congetture più assurde.

— Cercate di non farne anche voi — grugnì Kayder. — Heraty, Carson e gli altri non sono stupidi, anche se sono bloccati da una palla al piede. Ditemi cosa avete scoperto e lasciate a me il compito di trarre le conclusioni.

— Suo padre era pilota delle astronavi di linea per Marte. Un telepate eccezionale nato da quattro generazioni di telepati. Non ci sono stati miscugli di talenti, in senso coniugale, fino a quando i genitori di Raven non si sono incontrati.

— Continuate.

— La madre era radiosensitiva, con antenati radiosensitivi più un supersonico. Secondo il professor Hartman, con tutta probabilità, il prodotto di una simile unione dovrebbe ereditare solo il talento dominante. È lontanamente possibile che il risultato, Raven in questo caso, abbia una ricezione telepatica su una banda eccezionalmente ampia.

— Su questo Hartman si sbaglia. Il nostro uomo può penetrare la mente altrui e nello stesso tempo impedisce agli altri di penetrare nella sua.

— Non so cosa dirvi. Non sono un esperto in materia — disse Murray. — Io vi ho ripetuto soltanto quello che ha detto Hartman.

— Lasciate perdere. Ditemi il resto.

— Fino a un certo punto Raven ha seguito la carriera del padre. Ha ottenuto il brevetto di pilota per le astronavi sulla linea di Marte, e con il brevetto anche il grado di capitano. Non ha fatto altro. Per quanto ottimamente qualificato, non ha mai pilotato un’astronave per Marte. Dopo aver ottenuto il grado, non ha fatto altro che aggirarsi senza scopo qui attorno. Poi Carson l’ha chiamato.

— Hmm! Molto strano! — Kayder corrugò la fronte. — Siete riuscito a scoprirne la ragione?

— Forse crede che la sua salute non possa permettergli i viaggi su Marte — azzardò Murray. — Dal giorno in cui è stato ucciso.

— Cosa? — I capelli di Kayder si rizzarono sulla testa. — Volete ripetere?

— Dieci anni fa, quando il vecchio Rimfire è scoppiato come una bomba, Raven si trovava allo spazioporto. L’esplosione ha fatto cadere la torre di controllo e c’è stata una carneficina. Ricordate?

— Sì. L’ho vista sullo spettroschermo.

— Raven venne raccolto con gli altri corpi. Era definitivamente uno dei cari estinti. Un giovane medico, quasi per divertimento, si è messo a giocherellare con il cadavere di Raven. Ha sistemato le costole spezzate, ha iniettato adrenalina, ha messo la testa in un polmone a ossigeno e ha fatto il massaggio cardiaco. Raven è ritornato in vita: è uno di quei rari casi di uscita dalla tomba. — Murray fece una leggera pausa. — Probabile che da quel momento abbia perso il coraggio.

— Nient’altro?

— È tutto.

Dopo aver riappeso, Kayder si appoggiò allo schienale della poltrona e guardò Santil. — Ha perso il coraggio. Balle! Da quello che ho visto, Raven non ne ha mai avuto di coraggio da perdere. È una faccenda diversa.

— Chi ha mai detto una cosa simile? — chiese Santil.

— Tieni la bocca chiusa e lasciami pensare.

Il ragno uscì dalla tasca e si guardò attorno. Kayder mise l’insetto sul ripiano della scrivania e lo lasciò giocare con la punta del suo dito.

— Raven ha verso la morte un atteggiamento non umano — rifletté a voce alta. — Ha indovinato che Haller sarebbe morto, dieci minuti prima che questo avvenisse… perché un simile sa riconoscere il suo simile.

— Forse avete ragione.

— C’è da pensare che lo scampato pericolo gli abbia lasciato qualcosa di storto nella testa. Guarda la morte come qualcosa da disprezzare anziché temere. Perché l’ha sfidata una volta e immagina di poterlo fare ancora. — Spostò lo sguardo dal ragno a Santil. — Il suo rientro dall’oltretomba è veramente insolito, e lui deve aver tratto conclusioni pazzesche. Capisci cosa significa?

— Cosa? — chiese Santil a disagio.

— Illimitata temerarietà e coraggio pazzesco. È un telepate superiore a quelli normali, e ha la disposizione mentale del fanatico religioso. Aver conosciuto la morte ha ucciso tutta la paura che poteva averne. È probabile che faccia qualsiasi cosa che gli salti in mente, e in qualsiasi momento. Questo lo rende totalmente imprevedibile. Forse Carson conta proprio su questi fattori. In lui ha trovato un agente dai poteri eccezionali che non teme di correre nei luoghi che intimoriscono anche gli angeli… come ha fatto poco fa.

— Immaginavo che fosse qualcosa di più — disse Santil.

— Anch’io. Dimostra che più la voce si spande, più diventa esagerata. Ora ho l’esatta misura di lui. Dagli una corda lunga abbastanza, e lui ci si impiccherà da solo.

— Cosa volete dire?

— Che sono sempre gli animali che caricano a testa bassa a cadere nella rete. — Kayder solleticò il ragno sul ventre rugoso. — È il tipo che esce da una trappola per lanciarsi subito in un’altra. Non dobbiamo fare altro che aspettare il momento opportuno e si eliminerà da solo. — Qualcosa ticchettò sotto il pavimento. Kayder aprì un cassetto e sollevò un piccolo telefono. — Kayder.

— Qui Ardern. Irruzione in corso.

— Come procede?

— Vi mettereste a ridere. Gli ipno stavano pesando e imballando alberi di mandorlo; i microtecnici montano orologi da donna; i telecinetici stampano le ultime notizie giunte da Venere, e tutti si comportano come scolari disciplinati. Il posto è sereno, tranquillo, insospettabile.

— Avete fatto in tempo a trattare tutti?

— La maggior parte. Quando il controspionaggio ha fatto l’irruzione ne mancavano sei. Li abbiamo fatti uscire dal condotto. Si sono allontanati senza incidenti.

— Bene — fece Kayder soddisfatto.

— Non è tutto. Voi avete diramato certi ordini riguardo un tale che si chiama David Raven. Bene, l’abbiamo preso.

— Come avete fatto? — sussultò Kayder.

— Non è stato difficile. Metaforicamente parlando, si è cacciato nella gabbia, si è chiuso la porta alle spalle, ha incollato il suo biglietto da visita alle sbarre, e ci ha gridato di andarlo a vedere. — Attraverso il microfono giunse una risata soddisfatta. — Si è cacciato in un sacco e si è consegnato a noi.

— Sono troppo diffidente per poterla pensare alla stessa maniera. Dev’esserci sotto qualcosa. Verrò a controllare di persona. Sarò lì fra una decina di minuti. — Kayder tornò a nascondere il telefono nel cassetto e rimase con gli occhi fissi sul ripiano della scrivania, senza più occuparsi né di Santil né del ragno. Per qualche ragione che non poteva comprendere, si sentiva preoccupato. E per gualche altra ragione ugualmente oscura ricordò le falene dagli occhi lucenti che volavano nell’oscurità.

Brillanti, abbaglianti, si libravano in un buio senza fine.