Kayder fece la strada in sette minuti. La modesta casa in cui entrò era lo sbocco del passaggio segreto che partiva dalla base sotterranea: di lì erano usciti i sei uomini che non erano stati condizionati prima dell’incursione e di lì avevano preso strade diverse e si erano allontanati con la più grande naturalezza.

L’uomo che lo stava aspettando era piccolo e magro, e aveva la pelle permanentemente ingiallita da una vecchia febbre contratta nelle valli di Venere. Era un mutante di Tipo Due, un levitante che zoppicava fortemente da quando, in gioventù, si era sollevato troppo in alto e aveva esaurito la forza mentale al momento della discesa.

— Allora? — chiese Kayder, guardandosi attorno.

— Raven è a bordo del Fantôme - disse Ardern.

L’ira di Kayder esplose di scatto.

— Perché mi avete raccontato la panzana di averlo chiuso in una gabbia con il cartellino sulle sbarre?

— Infatti, lo è — insistette Ardern senza scomporsi. — Come sapete, il Fantôme è un’astronave in partenza per Venere.

— Con equipaggio terrestre. Tutti gli equipaggi delle astronavi sono composti di Terrestri.

— E con questo? Né Raven né l’equipaggio possono fare qualcosa mentre si trovano nello spazio. E dovranno atterrare. Allora Raven si troverà sul nostro pianeta, in mezzo a milioni di noi. e soggetto alle nostre autorità locali. Cosa volete di più?

— Occuparmene di persona — Kayder si avvicinò alla finestra e fissò le luci verdi del lontano spazioporto in cui si trovava il Fantôme.

Ardern attraversò zoppicando la stanza e raggiunse Kayder. — Ero vicino alla passerella, quando ho visto quel tale scendere rapidamente da un elicottero, come se mancassero soltanto pochi secondi alla partenza dell’astronave. Al controllo ha detto di chiamarsi David Raven e ha chiesto una cabina. Tra me ho pensato: “Quello deve essere l’uomo che Kayder sta cercando”. In quel momento lui si è girato verso di me e si è messo a sogghignare, come sogghigna un coccodrillo che vede un nuotatore nudo nelle acque del fiume. «Avete ragione», mi ha detto. — Si strinse nelle spalle. — Così, naturalmente, mi sono precipitato alla più vicina cabina telefonica e vi ho informato.

— Ha più impudenza di dieci impudenti assieme — borbottò Kayder. — Crede forse di essere invincibile? — Si mise a camminare avanti e indietro, tormentato dall’indecisione. — Potrei nascondere una scatola di insetti nello scafo, ma con quale utilità? I miei piccoli soldati non sanno riconoscere un individuo da un altro, a meno che uno non possa parlare con loro.

— Non avete molte probabilità di salire a bordo — disse Ardern. — Il Fantôme parte tra cinque minuti circa.

— C’è qualcuno che conosciamo, a bordo dell’astronave?

— È troppo tardi per avere la lista completa dei passeggeri. Trasporta circa trecento persone, senza contare l’equipaggio. Parte sono Terrestri, il resto Venusiani o Marziani incapaci di pensare o di fare qualcosa che non sia collegato al commercio. — Ardern rimase un attimo soprappensiero. — Peccato che non sia possibile raggiungere i passeggeri. I soli che conosco sono dodici nostri uomini che partono per la licenza del quarto anno.

— Di che tipo sono?

— Dieci microtecnici e due telecinetici.

— La combinazione ideale di talenti per mandare attraverso la serratura della sua cabina un miniesploratore in grado di schiacciarlo sul letto — disse Kayder con sarcasmo.

— Verrebbe immediatamente a conoscere le loro intenzioni, e potrebbe tenersi a distanza di sicurezza per tutta la durata del viaggio.

— Dovrà pur dormire — disse Ardern.

— Come facciamo a saperlo? I notturni non dormono mai, e forse anche lui può fare a meno del sonno.

— Siamo ancora in contatto radio. Possiamo incaricare quei dodici di cercare un passeggero telepatico dei nostri e farsi aiutare.

— Non servirebbe a niente — disse Kayder scuotendo la testa.

— Raven può trasformare la sua mente in una lastra di marmo. Se un telepatico lo raggiunge attraverso la porta della cabina e trova il vuoto assoluto, come può dire se Raven è sveglio o addormentato? E come può essere sicuro che l’altro non gli frughi in testa?

— Riconosco che è impossibile — ammise Ardern corrugando la fronte.

— Certi fatti legati alle mutazioni mi lasciano perplesso — disse Kayder, tornando a spostare lo sguardo sulle luci lontane. — Di tanto in tanto, mi stufo di sentir parlare del nostro cosiddetto spiegamento di talenti superiori. Gli insetti sono la cosa migliore. Nessuno può leggere nella mente di un insetto. E nessuno può ipnotizzare un insetto. Obbediscono alle persone che amano, ed è tutto. Posso dirvi che non serve altro.

— Una volta ho visto un pirotico bruciare un migliaio di insetti.

— Davvero? E cos’è successo dopo?

— Ne sono venuti diecimila e hanno divorato il pirotico.

— Ecco! — disse Kayder, con intima soddisfazione. — Gli insetti… non li si può battere! — Riprese a passeggiare avanti e indietro, fermandosi di tanto in tanto a fissare le luci. — Non possiamo fare altro che lasciar perdere.

— Cosa volete dire? — chiese Ardern.

— Lasceremo che se ne occupino quelli che si trovano dall’altra parte. Se un intero pianeta non può competere con una sola persona, allora tanto vale rinunciare alla lotta.

—  Proprio come vi ho detto fin dall’inizio. Si è messo in gabbia.

— Forse sì, e forse no. Io mi trovo sul suo pianeta e non sono in gabbia, vero?

Le luci lontane scomparvero improvvisamente lasciando il posto alla vivida fiammata bianca che si alzò da terra per spingersi verso il cielo. Poco dopo giunse un profondo boato che fece tremare i vetri delle finestre. Alla fine tornò il buio, e le luci verdi lontane ricomparvero. Sembravano diventate molto più deboli.

Ardern corrugò la pelle gialla della fronte. Sembrava preoccupato.

— Mi sono allontanato dalla passerella per venirvi a telefonare…

— E con questo?

— Come possiamo avere la certezza che Raven si trovi sullo scafo? Ha avuto tutto il tempo di uscire tranquillamente dall’astroporto. Chiedere una cabina può essere stata una mossa per metterci su una pista sbagliata.

— Potrebbe essere — borbottò Kayder. — È abbastanza furbo da escogitare una cosa del genere. Comunque, possiamo controllare. Quei maledetti se ne sono andati tutti, dalla base?

— Chiedo subito. — Ardern premette un piccolo pulsante inserito nella parete e parlò nell’apertura che si apriva poco più in alto. — C’è ancora attorno qualche ficcanaso?

— Se ne sono andati tutti.

— Bene, Philby. Scendo con Kayder per…

— Bene, un corno — interruppe Philby. — Hanno portato via otto dei nostri.

— Otto? E per quale ragione?

— Li vogliono sottoporre ad altri interrogatori.

— Erano accuratamente trattati? — chiese Kayder, avvicinandosi alla parete.

— Certo!

— Allora non c’è da preoccuparsi. Noi scendiamo per usare la trasmittente a onde corte. Cominciate ad accenderla. — Ardern riportò il pulsante nella posizione primitiva. — È la prima volta che portano via qualcuno per interrogarlo. Non mi piace. Credete che abbiano trovato il modo di rompere il blocco mentale?

— Perché allora non fermare tutti quanti, voi e me compresi? — Kayder fece un gesto di disprezzo. — È soltanto un modo per dimostrare che si stanno guadagnando la loro paga. Venite. Occupiamoci di una cosa alla volta. Ora dobbiamo parlare con il Fantôme.

Il grosso schermo della ricevente si illuminò e comparvero i lineamenti di una persona dalla pelle scura. Era l’operatore radio del Fantôme.

— Presto, Ardern, datemi i nomi dei nostri uomini — mormorò Kayder. Prese la lista e si inumidì le labbra, preparandosi a parlare.

— Nome, prego — disse l’operatore fissandolo.

— Arthur Kayder. Vorrei parlare con…

— Kayder? — ripeté l’operatore.

L’immagine si annebbiò leggermente, poi lo schermo si coprì di linee diagonali luminose. Alla fine ricomparve l’immagine. — C’è un passeggero in attesa di parlare con voi. Aspettava la vostra chiamata.

— Ecco! — disse Ardern annuendo. — Deve essere uno dei nostri uomini che l’ha individuato.

Prima che Kayder potesse rispondere, l’operatore si protese in avanti per premere dei pulsanti che non erano in vista. La sua faccia scomparve dallo schermo, che ne inquadrò subito un’altra: quella di Raven.

— Cominciate a volermi un po’ di bene, domatore di pulci? — chiese Raven.

— Voi? — esclamò Kayder, spalancando gli occhi.

— In persona. Pensavo che sareste venuto a controllare prima della partenza dell’astronave, ma siete stato lento, molto lento. — Raven scosse la testa in segno di rimprovero.

— Aspettavo la vostra chiamata. Come potete vedere sono proprio a bordo di questa astronave.

— E ve ne pentirete — promise Kayder.

— Per quello che mi aspetta allo sbarco? So che li avviserete del mio arrivo. Vi attaccherete alla radio per mettere in allarme l’intero pianeta. Vi assicuro che mi sento lusingato.

— Vi accorgerete di quanto vi state sbagliando — rispose Kayder, in tono di oscura minaccia.

— Questo sarà da vedere. Preferisco vivere nella speanza che morire in disperazione.

— Una cosa seguirà l’altra, vi piaccia o no.

— Ne dubito, Pidocchio, perché…

— Non chiamatemi Pidocchio! — gridò Kayder, rosso di collera.

— Calma, calma! — lo ammonì Raven. — Se il vostro sguardo potesse uccidere, sarei morto in questo momento.

— Morirete comunque — urlò Kayder, completamente fuori di sé. — Non appena sarà possibile farvi morire. Ve ne accorgerete.

— È bello sentirvi dire una cosa simile. Le confessioni pubbliche danno conforto all’anima. — Raven rimase un attimo a guardarlo in silenzio.

— Vi consiglio di mettere le vostre cose a posto il più presto possibile — disse poi. — Potreste assentarvi per parecchio tempo.

Tolse il contatto senza dare al furioso Kayder la possibilità di rispondere. E sullo schermo ricomparve l’immagine dell’operatore.

— Volete parlare con qualcun altro, signor Kayder?

— No… non ha più importanza. — Spense con rabbia la trasmittente e si girò verso Ardern. — Cosa voleva dire affermando che potrei assentarmi per parecchio tempo? Non riesco a capire.

— Nemmeno io.

Rimasero in silenzio a studiare quella frase sibillina, preoccupati. Poi entrò Philby.

— C’è una chiamata per voi da non-si-sa-chi-è.

Kayder prese il microfono e si mise in ascolto. Dall’altro capo della linea gli giunse la voce familiare dell’uomo che lui non conosceva.

— Ho già seccature sufficienti anche senza dover correre altri rischi per coprire quello che viene gridato ai quattro venti dal primo idiota.

— Come? — chiese Kayder fissando l’apparecchio e sbattendo le palpebre.

— Con mezzo controspionaggio in ascolto, proferire minacce di morte da una trasmittente a circuito aperto è come mettersi in ginocchio ai piedi di qualcuno e pregarlo di sferrarci un calcio nel sedere — continuò la voce in tono acido. — Con le leggi della Terra, la pena è dai cinque ai sette anni di carcere. E io non potrei intervenire.

— Ma…

— Voi siete un collerico, e lui lo sa. Vi ha spinto a gridare per tutto l’etere le vostre intenzioni illegali. Idiota! — Una breve pausa. — Non posso proteggervi senza tradirmi, quindi dovete scomparire alla svelta. Prendete le vostre scatole e bruciatele, con tutto il contenuto. Poi andatevi a nascondere, fino a quando non riusciremo a farvi lasciare il pianeta in qualche modo.

— Come posso fare? — chiese Kayder, completamente annichilito.

— Sono affari vostri. Lasciate immediatamente la base… Non devono trovarvi là. E siate prudente nel rientrare in casa per prendere le scatole. Possono già aver messo l’edificio sotto sorveglianza. Se non riuscite a recuperarle entro un’ora, lasciate perdere.

— Ma contengono il mio esercito. Con quelle scatole potrei…

— Non potreste fare niente — lo interruppe, secca, la voce — perché non vi darebbero la possibilità di usarle. Ora non perdete tempo a discutere con me. Sparite dalla circolazione e statevene tranquillo. Quando il chiasso si sarà un po’ calmato, cercheremo di nascondervi su qualche astronave diretta a Venere.

— Potrei difendermi dall’accusa — disse Kayder con tono supplichevole. — Potrei dire che si trattava soltanto di frasi dette senza intenzione in un momento di collera.

— Sentite — disse stancamente la voce — il controspionaggio vuole togliervi dalla circolazione. Da mesi sta cercando un pretesto per farlo. Niente può salvarvi tranne una deposizione di Raven in cui dica di sapere che si trattava di parole senza importanza… E io non credo che riuscirete a ottenerla. Ora piantatela e cercate di non farvi trovare.

All’altro capo delle linee la comunicazione venne tolta, e Kayder riappese cupo il ricevitore.

— Che cosa succede? — chiese Ardern guardandolo fisso.

— Cercano di mettermi in gabbia per cinque o sette anni.

— Perché?

— Minaccia di omicidio.

— Possono farlo, se veramente ne hanno l’intenzione — disse Ardern. Dalla sua espressione trapelava l’intenso sforzo mentale. Poi i suoi piedi si staccarono da terra, e lui si sollevò lentamente verso la presa d’aria che si apriva nel soffitto. — Me ne vado finché sono ancora in tempo. Io non vi conosco. Mi siete completamente sconosciuto. — E scomparve nel condotto.

Kayder uscì. Si fermò a una certa distanza dalla sua casa per osservare l’edificio, e scoprì che era già piantonato. Camminò per strade e vicoli fino alle due del mattino, pensando alle potenti scatole che si trovavano nello studio della sua casa. Senza di esse si sentiva una comune pedina. Come poteva entrare in casa senza farsi vedere? Da quale distanza, dietro l’anello di guardie, poteva lanciare il sibilo che solo gli insetti potevano sentire?

Stava scivolando silenziosamente nella parte più buia di una piazza, quando quattro uomini uscirono da un portone e gli sbarrarono il passo.

Uno di loro, un telepatico, parlò con sicurezza assoluta. — Voi siete Arthur Kayder. Vi stavamo cercando.

Era inutile negare a chi poteva leggere nella sua mente. Li seguì docilmente, sempre pensando alle sue preziose scatole, sempre convinto che gli insetti erano la migliore delle armi.