La porta si socchiuse lentamente, centimetro per centimetro, come spinta da un leggero soffio di vento o da una mano invisibile e cauta che si trovava all’esterno. Un filo giallo di nebbia entrò dallo spiraglio e diffuse nella stanza il profumo della foresta.
Alle orecchie dei tre uomini giunse il rumore lontano delle pompe in funzione allo spazioporto, e le note di una musica che proveniva da uno dei locali in cui i notturni cercavano di divertirsi secondo le loro abitudini. All’interno della stanza, invece, regnava il silenzio assoluto. Non si udiva nemmeno il respiro dei tre uomini. Questo e il lento socchiudersi della porta crearono una tensione che Thorstern non riusciva a sopportare.
Tenne lo sguardo fissò sullo spiraglio e le orecchie tese per raccogliere il minimo rumore proveniente dall’esterno. Chi c’era in agguato là fuori? Stringevano già le armi in mano? Se avesse fatto un balzo verso la porta, sarebbe stato bersaglio di una raffica micidiale?
O disponevano di telepatici che tenevano gli agenti armati al corrente delle sue intenzioni? Certo, in quel momento, non potevano ancora aver dato ordine di trattenere il fuoco, perché lui esitava, non aveva ancora preso la decisione. Un telepatico poteva leggere i suoi pensieri, ma non poteva certo prevedere il momento esatto in cui li avrebbe messi in atto. No, non c’era scampo in quel senso.
La porta smise di muoversi e rimase aperta in maniera invitante. Il salto verso il buio della strada lo tentò.
Ma che diavolo stavano aspettando? Avevano paura di poterlo colpire durante l’irruzione nella stanza? Avevano forse un piano che richiedeva un’azione simultanea da parte sua? In nome del cielo, perché stavano aspettando?
Altra nebbia entrò nella stanza. Thorstern se ne accorse solo in quel momento e subito gli balenò quella che poteva essere la possibile soluzione. Il gas! Certo, quella doveva essere l’idea. Mescolare il gas con la nebbia. Quelli del castello, quelli che conoscevano la stanza Numero Dieci, dovevano aver suggerito l’idea. Lui non doveva fare altro che restarsene tranquillo e cadere a terra addormentato con quelli che lo tenevano prigioniero.
Era probabile che Raven e il grassone sapessero quello che stava succedendo. La nebbia era ormai perfettamente visibile, e lui aveva pensato al gas con molta chiarezza… A meno che non fossero troppo occupati a scrutare nelle menti di chi stava in agguato all’esterno. Un telepatico poteva leggere in più di un cervello alla volta? Thorstern non lo sapeva, mancava di dati al riguardo. Comunque, anche nelle menti degli altri doveva esserci un solo pensiero. Il gas! Cosa potevano fare per difendersi? Niente! Anche i mutanti, come tutti gli esseri normali, non potevano fare a meno di respirare.
Annusò l’aria per scoprire l’invisibile arrivo dell’arma che lo avrebbe liberato, anche se sapeva che doveva essere inodore. Ma c’erano altri segni capaci di indicare la presenza del gas: il rallentamento delle pulsazioni, una respirazione leggermente più affannosa, una improvvisa confusione della mente.
Si controllò per scoprire uno dei sintomi, e rimase in attesa per una manciata di secondi interminabili. Poi crollò. La tensione era diventata insopportabile e lui non poteva più aspettare.
Si mise a gridare con voce agonizzante. — Non sparate! Non sparate! — Si lanciò con un balzo verso la porta. — Sono io! Sono Thor…
La voce gli morì nella gola.
Rimase con gli occhi fissi verso il buio della notte. E passarono diversi secondi prima che la sua mente comprendesse la verità.
“Non c’è nessuno! Nessuno! Mi hanno ingannato. Mi hanno fatto sentire i rumori e immaginare le cose. Mi hanno trattato come una cavia da laboratorio. Hanno fatto girare la maniglia e hanno aperto la porta da lontano. Ipnotici e telecinetici nello stesso tempo. Possiedono talenti multipli nonostante quello che affermano gli scienziati!” Improvvisamente non riuscì più a controllare il nervosismo. “ Corri, idiota! Mettiti in salvo!”
Poi accadde l’inatteso, l’avvenimento che sconvolge i piani meglio studiati: fu il tremendo sforzo nervoso di Thorstern a provocarlo.
Fermo sulla soglia, di fronte a una strada deserta, con la certezza che le pattuglie armate dovevano trovarsi nelle vicinanze, Thorstern sollevò un piede per fare il primo passo verso la libertà. Ma si fermò.
Rimase immobile, e sulla faccia gli comparve un’espressione di sgomento. Appoggiò il piede a terra e si lasciò cadere in ginocchio, come di fronte a una divinità invisibile. Un turbine di pensieri agitati trovò espressione in una serie di frasi e di parole prive di legame.
— No… oh, non fatelo!… Non posso. Io vi dico… Lasciatemi… Steen… Non è stata colpa mia… Oh, lasciatemi…
Cadde in avanti, scosso da un tremito violento. Raven gli si chinò accanto e Charles si alzò di scatto dalla poltrona, sinceramente sorpreso. Mavis comparve sulla soglia della cucina e fissò la scena con sguardo di condanna ma non disse niente.
Raven afferrò la mano destra dell’uomo disteso a terra, e immediatamente le contorsioni cessarono; sempre stringendo, cominciò a scuotere il braccio come se avesse toccato un filo percorso da alta tensione. Sembrava che stesse combattendo contro una entità invisibile. Thorstern aprì le labbra e boccheggiò come un pesce fuor d’acqua.
— No, no, andate via… lasciatemi… io…
Charles andò all’altro lato dell’uomo disteso e aiutò Raven a trasportarlo su una poltrona. Mavis chiuse la porta, poi rientrò in cucina, accigliata.
Dopo qualche istante, Thorstern riprese a respirare regolarmente e aprì gli occhi. Sentiva strani fremiti in tutti il corpo, e aveva la spiacevole sensazione che il suo sangue fosse diventato effervescente. Gli arti avevano perso la loro forza, e i muscoli sembravano essersi trasformati in acqua. Per quanto gli seccasse ammetterlo anche con se stesso, non si era mai sentito così scosso in vita sua. La faccia era diventata cerea. Ma c’era un fatto molto più curioso: la sua mente aveva perso ogni ricordo di quanto aveva detto in quei terribili momenti, di quanto era accaduto.
Fissò Raven. — Mi avete bloccato il cuore — disse con voce tremante.
— Non è vero.
— Mi avete quasi ucciso.
— Non sono stato io.
— Allora è colpa vostra — disse girando lo sguardo adirato verso Charles.
— No. Per la verità, noi vi abbiamo salvato… se la potete chiamare salvezza — disse Charles sorridendo. — Se non fosse stato per noi, ora sareste uno dei tanti poveri defunti.
— Pretendete che vi creda? Deve essere stato uno di voi.
— E come? — chiese Raven osservandolo esternamente e internamente.
— Uno di voi è telecinetico. Ha girato la maniglia e ha spalancato la porta senza muovere un dito. E nello stesso modo mi ha stretto il cuore. Ecco cos’avete fatto a Greatorex.
— Un telecinetico muove gli oggetti per influenza esterna — osservò Raven. — Non può penetrare all’interno di un corpo umano per sconvolgerne gli organi.
— Per poco non morivo — insistette Thorstern, ancora sconvolto dal pericolo corso. — Ho sentito il mio cuore che veniva compresso… il mio corpo cadere. Come se qualcuno stesse cercando di strapparmi dal mio stesso corpo. Deve essere stato qualcuno a farlo!
— Non necessariamente. Ogni giorno muoiono milioni di persone.
— Io non posso morire in questo modo — piagnucolò Thorstern.
— Perché?
— Ho cinquantotto anni, e non soffro di nessuna malattia. — Si passò una mano sul petto per sentire i battiti del cuore. — Sono sano come un pesce.
— Così pare — osservò Raven.
— Se sono destinato a morire di morte naturale, per un attacco cardiaco, è una strana coincidenza che mi sia venuto proprio in quel momento.
Thorstern ritenne di aver conquistato un buon punto a favore scaricando su di loro la responsabilità di quanto gli era successo. Anche se non poteva essergli di utilità, lui aveva provato una gran gioia nel dare la colpa a loro. Comunque non riusciva a capire… Perché mai negare di averlo fermato sulla porta, quando potevano vantarsene per intimidirlo maggiormente?
Ma a poco a poco, in un angolo oscuro del suo intimo, cominciò a formarsi lo spaventoso sospetto che avessero detto la verità: forse aveva veramente i giorni contati, dal destino. Nessun uomo è immortale. Forse gli restava poco tempo di vita, e il tempo passa veloce.
— Se siete destinato a morire per un attacco cardiaco — disse Raven — è logico che questi attacchi vi vengano nei momenti di maggiore tensione nervosa. Ecco spiegata la coincidenza. Comunque, non siete fuggito e non siete morto. Forse vi capiterà di morire la settimana prossima. O domani. O prima dell’alba. Nessuno conosce il giorno e l’ora della propria morte. — Indicò il piccolo cronometro di Thorstern. — Intanto i cinque minuti sono diventati quindici.
— Mi arrendo. — Thorstern prese un grosso fazzoletto e se lo passò sulla fronte. Respirava ancora a fatica e aveva la faccia bianca come un lenzuolo. — Mi arrendo.
Era vero. Nella mente gli si poteva leggere la decisione che aveva ormai preso per una mezza dozzina di ragioni, alcune contrastanti, ma tutte soddisfacenti.
“Non si può correre per sempre al massimo. Per vivere più a lungo, mi devo fermare. Devo badare a me stesso. Perché costruire qualcosa che poi godranno gli altri? Wollencott è di dodici anni più giovane di me. Diventerà lui il grande capo, quando io sarò nella fossa. Perché sudare per lui? È un mediocre. Un malleabile che ho tolto dalla strada e che ho trasformato in uomo. Un semplice mutante bersaglio. Floreat Venusia… sotto un mutante puzzolente! Anche la Terra riesce a fare di meglio. Heraty e quasi tutti quelli del Consiglio sono esseri normali… Gilchist me lo ha assicurato.”
Raven prese mentalmente nota del nome: Gilchist, uno del Consiglio Mondiale. Il traditore nelle loro file, e senza dubbio l’uomo che aveva fatto il suo nome al movimento clandestino che agiva sulla Terra. L’uomo che né Kayder né gli altri conoscevano perché non volevano conoscerlo.
“Se non sarà un mutante, sarà un altro” continuò a pensare la mente di Thorstern. “ Uno di loro saprà aspettare fino al momento di raccogliere senza difficoltà il mio impero. Ero al sicuro finché l’attenzione era concentrata su Wollencott, ora invece mi hanno scoperto. I mutanti sono una potenza. Un giorno o l’altro si organizzeranno per mettersi contro i comuni esseri umani. E io non voglio trovarmi nella mischia allora.”
Alzò gli occhi, e vide che gli altri lo stavano osservando attenti.
— Vi ho già detto che mi arrendo. Cos’altro volete?
— Niente — disse Raven. Poi indicò il telefono alla parete. — Volete che vi chiami un aerotaxi?
— No. Preferiscono andare a piedi. Tra l’altro, non mi fido di voi.
Si alzò lentamente e si portò ancora una volta la mano sul petto. Non era convinto… avevano accettato la sua resa con troppa disinvoltura, e adesso lo lasciavano andare come se niente fosse. Aveva la sensazione, quasi la certezza, che gli avrebbero teso una trappola chissà dove. Sarebbe scattata in fondo alla strada, lontano dalla loro casa? Gli sarebbe venuto un secondo collasso cardiaco?
— Ci fidiamo di voi perché possiamo leggervi nella mente — disse Raven. — È un peccato che non possiate sapere, senza ombra di dubbio, che stiamo dicendo la verità. Non vi toccheremo… sempre che manteniate la vostra promessa.
Thorstern raggiunse la porta e si voltò a guardarli un’ultima volta, sempre pallido; sembrava leggermente invecchiato, ma aveva ritrovato una certa dignità.
— Ho promesso di far cessare gli atti ostili contro la Terra — disse, — e manterrò la promessa alla lettera. Questo, è nient’altro!
Uscì nella notte e chiuse accuratamente la porta: era un tocco di assurdità alla sua uscita dalla scena. Sarebbe stato più logico lasciare la porta aperta, o chiuderla con tanta violenza da far tremare la casa. Ma cinquant’anni prima una donna acida gli aveva ingiunto mille volte di non sbattere le porte, e quelle parole, inconsciamente, risuonavano ancora nelle sue orecchie.
Avanzò il più rapidamente possibile, rasentando i muri delle case. La visibilità scarsissima gli dava la sensazione di essere cieco.
Si fermò due o tre volte ad ascoltare nella nebbia, poi riprese il cammino. A quell’ora di notte, oltre i soliti notturni perennemente irrequieti avrebbe dovuto incontrare le pattuglie di polizia. Dopo aver percorso una distanza che non poteva calcolare, sentì dei rumori alla sua sinistra.
Si portò le mani alla bocca. — C’è qualcuno? — gridò.
Sentì dei passi che si avvicinavano, poi una pattuglia di sei uomini armati uscì dal giallo della nebbia.
— Che succede?
— Vi posso dire dove si trova David Raven.
Nella stanza, Charles smise di ascoltare attentamente. — Ha cercato di ricordare, ma è stato inutile. Ha la mente confusa, e non sa da che parte mandarli. Fra poco capirà che gli conviene tornarsene a casa. — Si sprofondò nella poltrona e si accarezzò la pancia. — Quando l’ho visto cadere davanti alla porta, ho pensato che fosse stata opera tua. Poi ho sentito la tua esclamazione mentale di sorpresa…
— E io ho pensato che fossi stato tu — disse Raven. — Mi ha colto alla sprovvista. Per fortuna gli sono andato subito vicino, altrimenti sarebbe morto.
— Già, un collasso cardiaco — disse Charles, mentre i suoi occhi prendevano a brillare come due piccole lune.
— Un’altra bravata del genere e si spargerà la voce.
— Qualcuno è stato irrazionale e avventato — commentò Raven serio. — Qualcuno coi paraocchi, che non ha saputo aspettare. Sbagliato, malissimo. Non deve più accadere!
— Ha tenuto duro un bel pezzo e ha ceduto lentamente, così è stato un invito quasi irresistibile — gli ricordò Charles, col tono di chi spiega tutto. — Sì, l’aspirante imperatore di Venere è stato davvero fortunato. Se fosse morto sarebbe stata una fine relativamente rapida… Oh, be’, ha un carattere duro, con una tempra superiore alla media. Nient’altro avrebbe potuto spaventarlo abbastanza da indurlo a un pacifismo ragionevole. Forse è stato tutto a fin di bene. La sua mente non ha la più pallida idea di cosa sia successo in realtà, ed è questo l’importante.
— Forse hai ragione. Tra l’altro, se fosse morto, avremmo dovuto ricominciare tutto da capo e fare i conti con Wollencott, e forse anche con i due sosia di Thorstern. Uno dei due avrebbe potuto mettersi al posto del capo e ingannare tutti tranne i telepatici. A questi dobbiamo aggiungere la lista degli uomini normali che forse Thorstern ha designato come suoi successori. Un paio di questi potrebbero trovarsi anche su Marte. Sì, la sua resa ha risolto la situazione.
— Una resa con riserve — commentò Charles. — Nell’attimo in cui usciva dalla porta non ha potuto fare a meno di porle.
— Sì, ho sentito.
— È un uomo tenace, se non altro. Per prima cosa si riserva il diritto di rimangiarsi la promessa il giorno in cui dovesse scoprire come diventare a-prova-di-mutante. Calcola di avere una sola probabilità contro un milione, ma ne tiene conto. In secondo luogo si riserva il diritto di scaraventarti nella più vicina galassia, ma non sa in che modo.
— E non è tutto — aggiunse Raven. — Giudicando dal suo carattere, immagino che si metterà immediatamente in contatto con il Consiglio Mondiale, criticherà Wollencott, condannerà il movimento clandestino, deplorerà gli attentati, simpatizzerà con la Terra e offrirà di far cessare la guerra per delle considerazioni quanto mai nobili. Insomma, cercherà di negoziare la sua resa per ricavarne un buon profitto.
— Ne è capace, eccome!
— E noi lo lasceremo fare. Non sono cose che ci riguardano. Lo scopo della nostra missione è stato raggiunto, ed è ciò che conta. — Raven rimase un attimo soprappensiero. — Thorstern non vorrà certo sciogliere la sua organizzazione. Può fermarsi, ma non distruggere quello che ha costruito. Probabilmente cercherà di fondare un’organizzazione più potente. Un’organizzazione legale. L’unico mezzo a sua disposizione sarà quello di ottenere il benestare dei più influenti avversari di oggi… quello di Heraty e quello degli altri componenti del Consiglio Mondiale.
— A che scopo? Non sanno niente dei Deneb, quindi…
— Ho detto a Thorstern che l’umanità combatterà unita. Forse ricorderà queste parole. Può non sapere dei Deneb, come hai detto, ma può decidere… e può convincere gli altri che l’ora del cimento è vicina. Esseri normali contro i mutanti! Fatto com’è, Thorstern ritiene automaticamente che soltanto gli esseri normali sono quelli della sua razza. Per lui i mutanti sono esseri non-umani, o quasi-umani.
Charles socchiuse gli occhi. — Esiste già molta intolleranza. E non sarebbe difficile farla esplodere.
Raven si strinse nelle spalle. — Chi lo sa meglio di noi? Considera quale sarebbe il suo guadagno se riuscisse a convincere i tre pianeti a uno sterminio simultaneo dei paranormali. Riavrebbe il suo esercito privato, e per di più composto solo di esseri normali… questo gratificherebbe il suo Io, darebbe soddisfazione al suo odio verso i mutanti e gli fornirebbe la scusa per eliminare quelli che rappresentano il principale pericolo per la sua posizione. Ha cervello e coraggio per farlo, ed è cocciuto.
— Non sarà facile. I mutanti rappresentano una minoranza, ma sono sempre sufficientemente numerosi per rendere problematico il loro sterminio.
— La proporzione numerica non è il problema principale — disse Raven appoggiandosi al tavolo. — Io posso vedere altri due grossi ostacoli.
— E sarebbero?
— Primo, possono eliminare soltanto i paranormali conosciuti. Quanti ne rimangono di sconosciuti? Quanti non possono venire identificati dalle menti normali e intendono rimanere nell’incognito?
— Questo rende impossibile compiere un’opera completa. Forse Thorstern non vorrà neppure cominciarla, se riesce a comprenderlo.
— Forse — convenne Raven, in tono di dubbio. — Il secondo ostacolo proviene dalle conseguenze naturali di una civiltà coesistente su tre pianeti. Immagina che Thorstern cerchi di convincere i tre pianeti a un massacro simultaneo per liberare l’umanità di tutti quei ragazzi che si dimostrano “troppo intelligenti”. Ogni pianeta sospetterebbe immediatamente una trappola. Se sterminano i loro mutanti mentre gli altri non lo fanno…
— Sfiducia reciproca — disse Charles facendo un cenno affermativo. — Nessun pianeta vorrebbe correre un rischio che potrebbe metterlo in grande svantaggio rispetto agli altri. — Rifletté un attimo. — Potrebbe essere davvero un grosso rischio. Cosa potrebbe succedere se due pianeti attuassero lo sterminio e il terzo non lo facesse? In breve tempo potrebbe conquistare il dominio sugli altri due! Posso quasi immaginare quale sarebbe il pianeta e chi ne diventerebbe il capo.
— Tre pianeti con lo stesso sospetto. I Terrestri e i Marziani non sono più stupidi o meno stupidi degli abitanti di Venere. Qualunque sia la sua decisione, Thorstern non avrà vita facile. Comunque, sono convinto che sentiremo ancora parlare di lui.
— Anch’io. Poi, David, ricorda che siamo in cima alla sua lista delle persone da eliminare. — Charles scoppiò a ridere. — Se ci riesce.
— Io torno sulla Terra. Grazie dell’ospitalità. — Raven attraversò la stanza e sporse la testa in cucina. — Addio, bellezza — salutò Mavis.
— Lieta che te ne vada, seccatore!
Raven le fece una smorfia scherzosa, poi richiuse la porta e salutò Charles con un cenno della mano.
— Sei stato un ottimo compagno. Arrivederci all’obitorio.
— Certo — promise Charles. — Prima o poi…
Rimase a guardare l’amico che scompariva nella nebbia, poi richiuse la porta e andò a sedersi sulla sua poltrona.
Dalla cucina gli giunse la voce mentale di Mavis.
“Ti pentirai di tutto questo.”
“Lo so, cara.”