La solita nebbia serale stava avanzando sulla città e rotolava con pigra decisione lungo le strade e i viali. A poco a poco, con il calar del sole, la massa giallastra diventava sempre più densa. Verso mezzanotte sarebbe stata una calda e umida coperta nera che nessuno avrebbe potuto attraversare speditamente. Soltanto i ciechi, gli agitati e gli insonni notturni, e qualche supersonico dotato di eco-radar, che riusciva a trovare la strada come i pipistrelli.
Nelle foreste era diverso. Le piante si stendevano su una zona considerevolmente più alta, e la nebbia scendeva a ricoprire soltanto le valli e la pianura. La caccia sarebbe continuata. Gli elicotteri avrebbero sorvolato senza interruzione le cime degli alberi, e le squadre a terra avrebbero frugato in tutte le radure.
Charles e Raven passarono di fronte a una vetrina in cui uno spettroschermo proiettava dei ballerini che danzavano Le Silfidi. La prima ballerina attraversò la scena con grazia infinita, pallida e fragile come un fiocco di neve.
A qualche chilometro di distanza, avvolte nell’oscurità, creature mostruose e alberi spaventosi segnavano il confine tra il quasi-conosciuto e l’ignoto. Era un contrasto di estremi che pochi notavano, a cui pochi pensavano. Quando un pianeta risultava occupato da un periodo tanto lungo da possedere una popolazione composta quasi totalmente di esseri nati sul pianeta stesso, gli antichi sogni diventavano monotonia, lo sconosciuto diventava il familiare, e le fantasie di un tempo venivano sostituite con fantasie nuove e totalmente diverse.
Charles si fermò di fronte alla vetrina per guardare la scena del balletto. — Osserva la facilità e la grazia con cui volteggia, la sottigliezza degli arti, la calma impassibile, e la bellezza quasi eterea del suo viso. Nota come si ferma, come esita, e come riprende a danzare. Sembra una rara e stupenda farfalla. Quella ragazza è un ottimo esempio di quel tipo quasi irreale che ha entusiasmato l’umanità per secoli interi. Il tipo “balletto”. Quella ragazza mi affascina perché mi costringe a pormi un quesito.
— Quale? — chiese Raven.
— Se per caso le persone come lei sono di un tipo paranormale, non riconosciuto e da loro stesse insospettato. Io penso che possa esistere un talento troppo fine per essere definito e classificato.
— Spiegati meglio.
— Mi chiedo se gli esseri come lei non abbiano una forma subconscia di percezioni extrasensoriali che le obbliga a tendersi in modo poetico verso una meta che non conoscono né sanno descrivere. Questa consapevolezza intuitiva dà loro un intenso anelito che possono esprimere in un solo modo. — Charles indicò la ragazza sullo schermo. — Sembra una farfalla. La farfalla… una falena che ama il giorno.
— Può esserci qualcosa di vero in questo.
— Io ne sono certo, David. — Charles si staccò dalla vetrina e riprese il cammino insieme all’amico. — Come forma di vita libera, gli esseri umani hanno acquisito un gran cumulo di conoscenze. Quanto immensamente più grandi sarebbero se potessero sommare anche quelle nozioni che nascono istintive nel subconscio, ma che loro non possono portare al livello di conoscenza.
— Fratello Carson pensa la stessa cosa — disse Raven. — Mi ha mostrato una lista dei tipi di mutanti conosciuti, poi mi ha detto che poteva non essere completa… Possono esistere dei tipi che non hanno ancora scoperto le qualità che possiedono, e che non sono mai stati scoperti da altri. È difficile identificarsi come stranezza, a meno che la stranezza non si manifesti in modo evidente.
Charles fece un cenno affermativo. — Questa settimana si è sparsa la voce della scoperta accidentale di un tipo completamente diverso. Un giovane operaio ha perso la mano mentre lavorava con una sega circolare e ora pare che gli stia crescendo una nuova mano.
— Un biomeccanico — lo definì Raven. — Può procurarsi nuove parti del corpo. Be’, si tratta di una facoltà innocua, cosa che non possiamo dire di certe altre.
— Sì, certo. Il fatto è che fino a oggi non sapeva di possedere questa dote perché non gli era mai capitato di perdere parti del corpo. Senza l’incidente occorsogli, sarebbe magari giunto fino al giorno della morte senza sospettare di avere poteri paranormali. Spesso mi domando quante altre persone mancano di una adeguata conoscenza di se stesse.
— Moltissime. Considera quello che sappiamo noi.
— Certo — rispose Charles con calma. — Sarebbe sufficiente a scuotere un migliaio di mondi. — Afferrò il braccio dell’amico e strinse le dita con forza. — Infatti, ne sappiamo tanto da essere convinti che sia tutto. David, pensi che… che…?
Raven si fermò di scatto. Gli occhi punteggiati d’argento si erano accesi, esattamente come quelli dell’altro. — Continua, Charles. Fini sci quello che stavi dicendo.
— Pensi forse che noi sappiamo soltanto la metà di quanto c’è da sapere? Che quanto sappiamo è ben lungi dall’essere l’intera storia? Che ci sono altri più informati di noi, che ci osservano attentamente come noi osserviamo questi altri? Per deriderci, talvolta, e per compiangerci?
— Non posso saperlo — disse Raven, piegando le labbra con amarezza. — Ma se esistono, noi sappiamo una cosa: e cioè che non interferiscono nelle nostre faccende.
— No? Come possiamo esserne certi?
— Non lo fanno in modo che possa risultarci evidente, almeno.
— Abbiamo scoperto la tattica dei Deneb — osservò Charles. — Si sono dati da fare parecchio, ma non ci hanno mai toccato. Viceversa potrebbero esserci altri che ci spingono senza sapere chi stanno spingendo, né noi sapere chi ci sta spingendo.
— Meglio ancora, potrebbero usare i nostri stessi metodi per metterci in confusione — disse Raven, scettico, ma con l’intenzione di continuare il discorso. — Potrebbero apparire a te e a me come noi appariamo a questi altri: perfettamente comuni. — Fece un gesto della mano per indicare la città. — Come uno qualsiasi di questi abitanti. Supponi che io di tica di essere un Deneb travestito di carne… Avresti il coraggio di dirmi che sono un bugiardo?
— Certo — disse Charles senza esitazione. — Sei uno sporco bugiardo.
— Mi spiace di doverlo ammettere. — Diede una manata amichevole sulle spalle di Charles. — Vedi, tu sai chi sono. Quindi devi avere una consapevolezza intuitiva. Sei decisamente un paranormale, e ti dovrestri esprimere con la danza.
— Come? — Charles abbassò gli occhi e si guardò il grosso ventre. Sporgeva come un pacco-dono natalizio, nascosto sotto il vestito. — Questo è prendermi in giro.
Tacque nell’attimo in cui tre uomini in uniforme girarono l’angolo della casa e si fermarono sul loro cammino.
Indossavano l’uniforme delle guardie forestali, l’unico corpo organizzato, a parte le speciali squadre di polizia, ufficialmente autorizzato a girare con le armi. Rimasero uno vicino all’altro, come tre amici che terminano le loro chiacchiere prima di tornare a casa. Ma la loro attenzione era rivolta verso le due persone che stavano andando verso di loro. Le loro menti dicevano che si trattava di pirotici a caccia di un certo Raven.
Il capo della piccola squadra tenne d’occhio i due che stavano avanzando e aspettò che fossero giunti alla loro altezza. Poi si spostò di scatto per sbarrare la strada.
— Vi chiamate David Raven? — chiese in tono autoritario.
Raven si fermò, spalancando gli occhi con espressione sorpresa.
— Come avete fatto a indovinarlo?
— Non fate lo stupido — ammonì la guardia fissandolo con rabbia.
Raven si girò verso Charles: la sua espressione si era fatta triste.
— Mi ha detto di non fare lo stupido. Pensi che io lo sia?
— Sì — rispose Charles con prontezza. — Lo sei da quando hai battuto la testa da bambino. — Poi girò interrogativamente gli occhi verso la guardia. — Perché cercate questa persona di nome… di nome…
— Raven — suggerì Raven, per essergli di aiuto.
— Oh, sì, Raven. Perché lo cercate?
— Ha una taglia sulla testa. Non guardate mai lo spettroschermo?
— Di tanto in tanto — rispose Charles. — Il più delle volte trasmettono programmi che mi annoiano a morte, e così non lo accendo.
La guardia sogghignò verso i compagni. — Adesso avrete capito come fa certa gente a restare povera. La fortuna bussa alla porta di tutti, ma certi si rifiutano di ascoltarla. — Riprese a parlare con Charles, senza minimamente badare a Raven. — Dallo spettroschermo hanno comunicato che è necessario catturarlo al più presto possibile.
— Cos’ha fatto?
— Ha messo in pericolo l’equipaggio e i passeggeri del Fantôme. Ha spalancato un portello violando il regolamento, si è rifiutato di obbedire al comandante dell’astronave, è sceso in una zona proibita, ha eluso la visita medica dell’arrivo, ha evitato il controllo doganale, si è rifiutato di passare nella camera di sterilizzazione antibatterica e… — Fece una pausa per riprendere fiato e girò la testa verso i compagni. — C’è qualcos’altro?
— Ha sputato nella cabina principale — suggerì uno, che era sempre stato tentato di farlo, ma non aveva mai osato.
— Io non sputo mai — disse Raven guardandolo gelidamente.
— Zitto, voi! — ordinò il capo, per far comprendere che non voleva essere interrotto da estranei, poi tornò a girarsi verso Charles, persona molto più a modo.
— Se vi capita di incontrare questo David Raven, o se vi capita di sentire qualcosa, chiamate Westwood diciassette diciassette e diteci dove si trova. È un individuo molto pericoloso. — Strizzò l’occhio ai compagni e ottenne un muto cenno di conferma. — Faremo in modo che possiate ricevere la vostra parte di taglia.
— Grazie — disse Charles, con umile gratitudine. Si girò verso Raven. — Vieni. Siamo già in ritardo.
Si allontanarono, consapevoli che gli altri li stavano osservando. I loro commenti li raggiungevano sotto forma di impulsi mentali di estrema chiarezza.
“Ci hanno proprio presi per guardie forestali”
“Speriamo che gli ufficiali la pensino alla stessa maniera se ci capita di incontrare qualcuno.”
“Stiamo perdendo tempo perché un tale sullo spettroschermo ha nominato i quattrini. Avremmo potuto impiegare questo tempo in modo molto migliore. A due isolati di qua c’è una rivendita di tambar. Che ne direste…”
“Perché non hanno trasmesso una sua foto?”
“Un telepate, come ho detto, ci sarebbe stato di grande aiuto. Avremmo dovuto solo aspettare la sua indicazione. Poi, avremmo fatto fuoco e fiamme. E non ci sarebbe rimasto che allungare le dita per ricevere il denaro.”
“A proposito di quei soldi, mi sembra che la taglia sia alquanto strana. Non hanno offerto una cifra tanto alta neppure per Squinty Mason, che pure aveva rapinato diverse banche e aveva ucciso parecchie persone.”
“Forse Wollencott lo vuole per qualche suo motivo personale.”
“Sentite, ragazzi, c’è una rivendita di tambar …”
“D’accordo, ci andremo per una mezz’ora. Se qualcuno ci trova in quella rivendita, abbiamo una scusa buona. Abbiamo sentito delle voci secondo cui Raven avrebbe dovuto incontrarsi in quel posto con una certa persona.”
La trasmissione mentale cominciò a diminuire lentamente.
“Se Wollencott lo vuole…”
Continuarono a parlare di Wollencott finché i pensieri non si persero in lontananza. Pensarono a circa venti motivi per cui Wollencott poteva essere stato offeso dalla persona in fuga, quaranta maniere per costringerlo alla resa dei conti, cento modi diversi in cui Wollencott avrebbe potuto condannare il colpevole per portarlo a esempio.
Era sempre Wollencott, Wollencott, Wollencott. Nessuno mai menzionò Thorstern, né lo pensò minimamente.
La qual cosa risultava una specie di tributo al cervello dell’uomo che portava quel nome.