Lo chiamavano Giorgione, perchè il suo nome era Giorgio, la sua circonferenza enorme; era pittore e viveva coi pittori, ai quali dava spesso un buon consiglio per nulla e talvolta qualche centinaio di lire per meno ancora, cioè a dire in prestito. Invero se i consigli buoni gli fruttavano la soddisfazione di vedere una particella del suo robusto ingegno nelle tele degli allievi e degli amici, solitamente i prestiti escludevano per l'avvenire i consigli, perchè chi aveva intascato cento lire non si lasciava più vedere per prender altro.

Giorgione guadagnava molto, ma aveva le mani bucate, come si dice; perciò quando egli aveva da pigliare una manata di napoleoni d'oro, ci era sempre qualcuno, a cui mancava il pane od il companatico od i colori o la tela o la cornice, ma mai la faccia tosta, per tirar su tutti i napoleoni che cadevano.

Italiano Giorgione, italiani la maggior parte degli allievi; non andava a Parigi uno del bel paese che non facesse visita allo studio od alla borsa del pittore famoso. Era una specie di colonia italiana nel mare magno della capitale francese.

Una volta Giorgione conobbe una coppia d'italiani sposi di fresco; la sposa era la signora Valeria, lo sposo un mediocre pittore, un uomo eccellente, che visse appena il tanto da farsi amare come un fratello, poi se ne morì. La vedova rimase abbandonata, senz'altre ricchezze che poche tele cattive del marito ed il suo visino da angelo in un paese indemoniato. Era savia ed ingenua quanto bella, si proponeva in buona fede di piangere tutta la vita il morto, credendo la poverina di potersi guadagnare il pane posando per le Madonne addolorate; ma se Giorgione non le veniva in aiuto comperando le cattive tele del morto e facendole propriamente da tutore, chi sa che sarebbe stato di lei. A quanti pittori la vedevano, pigliava un desiderio ardente di copiarne le mani e la testa, ma Giorgione era come geloso della sua Madonna ed a malincuore la imprestava ad altri.

A quel tempo andò a Parigi un gran signore, un conte, un marchese, un duca, che so io, un pezzo grosso; faceva l'ultimo suo viaggio da scapolo, ma questo non lo diceva a nessuno; amava le arti, imbrattava anche lui delle tele e lo faceva sapere a tutti. Naturalmente capitò nello studio di Giorgione, vide la signora Valeria, e sentì (non sarebbe stato artista se non l'avesse sentita) la smania irresistibile di copiare anche lui la testa e le mani della modella famosa. Giorgione gli fece mettere un cavalletto in uno stanzino, e gli permise di venire un'ora ogni giorno a dipingere una Madonna, curioso di vedere come se la sarebbe cavata quel dilettante; e visto che se la cavava benino, dopo la prima posa gli lasciò soli, credendo forse che l'immagine santa dovesse tutelare abbastanza l'originale. Giorgione chiedeva un miracolo, e lo chiedeva ad una Madonna incominciata appena; e pure Giorgione non credeva ai miracoli, ed in fatto di Madonne le adorava quando erano capilavori e dava un certo valore mercantile a quelle che faceva di commissione, niente più. Ma l'uomo non è sempre ragionevole a tempo.

Quel signore stava a cavallo della quarantina, ma saldo come se avesse trent'anni; era bello, aveva modi da gentiluomo artista che piacciono tanto alle donne vissute in povera condizione. Io m'immagino che, per cogliere il segreto della bellezza rara della sua Madonna, la fissasse a lungo a lungo, con due occhi, da cui si avventava il fluido magnetico, e dopo averle detto: «più su» troppo, «un po' più a sinistra» così «no» e simili, si alzasse talvolta tenendo il pennello tra i denti, e pigliasse il visino con mani carezzevoli per collocarlo come doveva essere, e sempre e ad ogni modo saettandola col fluido, finchè un giorno la signora Valeria si sentì vinta. Egli disse probabilmente — «mi sorrida» — ed ella fece un sorriso che apparve riprodotto tal quale sulla tela; poi egli, senza dir parola, ma tremante per desiderio, si accostò a lei tremante per paura, e sulle guance impallidite dalla commozione raccolse probabilmente colle labbra qualche cosa che nella tela non poteva mettere. E continuando ad immaginare, io dico che la Madonna impassibile e sorridente non somigliava per nulla in quel punto alla creatura terrena trasfigurata dall'amore.

Non le somigliò più; la signora Valeria divenne prima allegra troppo, poi troppo mesta e pallida.

E un giorno qualcuno avvertì Giorgione che la sua protetta, la sua pupilla, la sua figliola (perchè era tutto questo per lui) se ne andava di nascosto in una casa dirimpetto, dove il conte od il marchese, od il duca, od il diavolo l'aspettava per farla posare (povera Madonnina profanata!) in atto di Venere nascente dalla spuma del mare. Giorgione vide il quadro disegnato appena, comprese il resto — sapendo benissimo che non nascono Veneri innocenti dalla spuma del mare.

Un mese dopo la signora Valeria piangeva l'abbandono, e più tardi se ne moriva mettendo al mondo una creaturina — storia vecchia.

Il conte, il marchese, il duca, il che so io, era fidanzato ad una duchessina molto ricca e molto casta; il suo viaggio a Parigi aveva avuto per iscopo di comperare i doni alla sposa — quando seppe che una figlia eragli nata prima del suo matrimonio, e che la madre era morta, rispose con una lettera piena di lagrime e di biglietti di banca — invocando da Giorgione facesse lui il babbo alla bambina, e serbasse il segreto di quel disastro.

A qual fine svelare alla povera orfana la sua origine? Perchè farla affacciare alla porta d'un segreto che sarebbe stato il gran dolore di tutta la sua vita? Crebbe la fanciulla nella persuasione d'essere figlia di Giorgione, e più tardi, apprendendo che costui non era suo padre, pianse come se le venisse tolto davvero. Giorgione aveva passata la cinquantina da un pezzo; la fanciulla era giunta ai diciotto e per essere propriamente padre e figlia in faccia alla legge bastò il consenso d'entrambi, una domanda e la sentenza d'un tribunale — tutto ciò fu fatto dinanzi a due testimonî, che furono i due allievi prediletti di Giorgione: Valente ed un certo Salvioni, prodigioso ingegno, ma testa pazza e cuore bacato. E così Chiarina non seppe mai che il suo padre vero fosse....

— Chi?

Quando io feci questa domanda all'amico Nebuli, egli mi rispose crollando il capo che non lo sapeva neppur lui: Giorgione aveva custodito bene il suo segreto.

— Ma non temette egli di nuocere alla piccina tacendo?

— Temette di nuocerle parlando; ma forse chi sa?... Quando più non era in tempo, quando si avvide che era la sua ora d'andarsene, che Chiarina sarebbe rimasta sola nel mondo, forse allora si pentì, — era tardi.... —

Non ci comprendevo più nulla.

Valente mi guardò un pezzo titubante, poi prese le mie mani nelle sue, come per farmi una preghiera, come per strapparmi una promessa.

— Più nessun segreto con te; ti dirò tutto.

E mi disse tutto senza una reticenza, senza un turbamento.

Quel tal Salvioni, pittore, che era da molto tempo nella intimità del vecchio Giorgione, si accese per la fanciulla. Lo ammaliava la bellezza sovrana delle forme di lei bambina, che aveva dato al pennello del vecchio artista un capolavoro; egli si divorava la giovinetta cogli occhi, costringendola ad arrossire. Ma il vecchio aveva fatto una campagna, come si dice, ora ci vedeva chiaro e faceva la guardia come un veterano, tanto che il discepolo, non potendosi confessare a Chiarina, si confessò al maestro. Giorgione disse una sola parola; — Sposala! — Ma il Salvioni era come tanti; amava la fanciulla, abborriva il matrimonio; trovò la penitenza enorme e chiese tempo a pensarci.

Allora Giorgione consigliò al discepolo di non venire più nello studio, finchè avesse deliberato; e l'altro messo alle strette deliberò, venne e sposò Chiarina.

— La sposò proprio? — interrogai.

— La sposò proprio.

— E tua moglie... cioè, la signora Chiarina, si lasciò sposare?

— Aveva diciotto anni, le dissero di dir di sì, glielo dissi anch'io, lo disse.

— Anche tu!... Comprendo..., il Salvioni morì....

— Non comprendi, — interruppe Valente, con un sorriso melanconico, — non puoi nulla comprendere! Il Salvioni in capo a sei mesi di matrimonio, dopo aver fatto patire alla poveretta perfino la fame, senza che ella si lamentasse mai, un bel giorno, cioè un brutto giorno, se ne partì chiedendo il perdono di Giorgione e di Chiarina, promettendo di tornare quando fosse ricco. Intanto aveva consumato la piccola dote della sposa. All'improvviso annunzio Giorgione accorse alla casa vedovata, apprese a Chiarina la nuova sventura, preparandovela colle sue moine da babbo, poi le coprì di baci le guance pallide, le asciugò le lagrime colle carezze e di nuovo se la condusse a casa a braccetto. Quando ebbe accomodato tutto ciò, fece la sua brava malattia di due settimane, andò fino al limitare del mondo di là e tornò indietro a ripigliare le fatiche ed i doveri di padre.

— Dov'era andato il Salvioni? — mi arrischiai a domandare dopo alcuni istanti di silenzio.

— Non si seppe mai. Ma una volta avevo inteso Giorgione dire che quel capo scarico non lavorava più, perchè si era messo in testa di ritrovare il padre di sua moglie, e più d'una volta udii lui stesso, il Salvioni, quando era brillo, inveire contro gli snaturati che abbandonano le loro creature. Sapeva della mia eredità ed era chiaro che la sorte mia gli faceva invidia, anche lui voleva arricchire senza fatica.

Un giorno fui chiamato in fretta allo studio di Giorgione; si sentiva male, aveva una gran sonnolenza, contro cui si ribellava con coraggio. Mi vide, mi afferrò le mani nelle sue fredde, e trovò la forza di raccomandarmi Chiarina; si assopì, per poco; svegliandosi: — «dev'essere a Milano!» — disse, poi si assopì di nuovo, per sempre.

— E tua moglie? — chiesi quando mi parve che il silenzio durasse più del necessario.

Non ebbi risposta. Provai ancora ad offrirgli un mozzicone di frase, perchè mi usasse la cortesia di continuarlo.

— La signora Chiarina rimase.... —

Ma Valente muto come un pesce. Ed io:

— Rimase vedova.... naturalmente, e poi? —

L'amico Nebuli si rizzò in piedi.... ma qui ci sta un'osservazione e ce la metto. Nella settimana d'un uomo lungo vi sono momenti, in cui egli avrebbe bisogno di rimpicciolirsi; immagino che il contrario debba accadere più spesso ai piccini, e che i mezzani non siano in condizioni migliori, non si potendo accorciare od allungare come i cannocchiali; perciò quando l'amico Nebuli si rizzò in piedi con una certa solennità, compresi subito che quello che mi voleva dire gli sarebbe costato meno fatica scendendo dall'alto, e rimasi a sedere.

Ma per quanto egli si provasse, ed io lo incoraggiassi cogli occhi, non gli venne fuori una sillaba.

Allora abbassando la voce chiesi: — non è tua moglie? — ed egli abbandonò le mie mani e ricadde al mio fianco — non era sua moglie!

Il resto si racconta in due parole. Valente raccolse la bella ed i pochi, pochissimi spiccioli del padre adottivo di lei, ne vendette le tele ed i mobili all'incanto e fu lui stesso il maggior offerente; ripose il tutto nel suo quartierino da scapolo a Parigi, parlò al console italiano, scrisse e fece scrivere ad altri dieci consoli chiedendo notizie del pittore Salvioni, a cui voleva restituire il denaro e la moglie: passò un anno.

A lungo andare Valente e Chiarina cominciarono ad accorgersi che la loro condizione si faceva insopportabile, che un gran pericolo era sempre imminente, e la maldicenza ai loro calcagni, e la curiosità dei vicini invariabilmente alla finestra, scettica, maliziosa, beffarda, tanto che alla fine sentirono entrambi il bisogno di spacciare alla malizia della gente una bella menzogna e darsi al mondo per marito e moglie....

Così andarono le cose, secondo mi disse Valente, ma qui mettendo un po' d'immaginazione e di buona volontà dove l'amico metteva qualche reticenza, io supponevo, cioè non supponevo, ma avevo paura di supporre.... e mi pareva di vederla alla finestra la mia malizia di vicino di casa, scettica, curiosa e beffarda. Io che sono bonario non desideravo di meglio che di poter paragonare la signora Chiarina e Valente a quelle due isolette castissime scoperte da un poeta moderno; mi ci provavo, e quando a forza di buona volontà ero riescito a tirare a galla le due isolette nel piccolo mare della mia immaginazione, ecco un altro mare più piccolo, quello dipinto dall'amico Nebuli,...

— A te ora, — mi disse costui all'improvviso; — chi è il vecchio della birreria?

— Chi è il vecchio della birreria? — ripetei.

— Chi credi che sia?

— Il signor Salvioni, — risposi da vero sbadato. —

Ed accorgendomi d'averla detta grossa, corressi:

— Il signor Salvioni no, probabilmente; dev'essere più giovane un pezzetto.... Per altro... fammi il piacere.... Giorgione, prima di morire, disse: — dev'essere a Milano; di chi parlava se non del Salvioni?

— Sicuro; se avesse parlato del padre di Chiarina non avrebbe detto dev'essere, avrebbe detto è, perchè sapeva benissimo dov'era, od avrebbe proferito il nome, che era la più spiccia.

— Lo vedi!

— Sì, ma perchè mai sospettava che il Salvioni fosse a Milano, se non perchè?...

— Capisco! — interruppi con una specie di grido sommesso, — se non perchè credeva il marito di tua.... della signora Chiarina capace d'aver penetrato il mistero e di fare una corbelleria?

— Ci sei!

— Ci sono; e tu, venendo a Milano, cercavi il Salvioni o l'altro?

— Non lo so nemmeno io, — balbettò l'amico, — uno dei due, ma il Salvioni avevo quasi perduta la speranza d'incontrarlo, le nostre pratiche erano riuscite vane.

— E facendo la spuma del mare, e dando alla tua Venere il volto della signora Valeria, ed esponendo il quadro alla Mostra permanente tu speravi di costringere....

— Costringere no.... ma forse di rendere più facile il dovere ad un vecchio pentito.... di avvicinare d'un gran passo il padre e la figlia.... Venti volte mi battè il cuore affrettato alla vista d'un compratore....

— Dunque, secondo te, il vecchio della birreria?

— Il vecchio della birreria non è da oggi che me lo vedo fra i piedi, l'avevo già visto passar sotto le mie finestre e guardare in alto. L'altro ieri un signore, un vecchio, sottopose il portinaio ad un interrogatorio sul conto mio, sul conto di Chiarina, sul tuo; ieri ci inseguì per istrada, ci precedè nella birreria....

— E stamane, proseguii pigliando il filo, stamane appicca discorso con me.... s'innamora del tuo quadro che vuol pagare il doppio degli Americani, non mi dice il suo nome, è informato dei fatti tuoi.... verrà.... —

Tacemmo entrambi; collo sguardo e coll'atto ci proponevamo lo stesso quesito:

— Chi era il vecchio della birreria?

— Il signor Bini — entrò a dire il servitore in livrea, proprio come nelle commedie moderne.

Ci levammo di scatto tutti e due — un vecchio entrò — era lungo, era diritto, era anche un po' impacciato — era lui!