Valente aveva aperto due finestre alla mia curiosità; una metteva nel passato, l'altra lasciava intravedere l'avvenire; ed io mi interrompevo spesso durante il lavoro per affacciarmi ad una delle due. La mia Annetta allora mi camminava intorno in punta di piedi, perchè mi credeva in contemplazione dinanzi ad un'idea da mettere in cornice, ed io, non le potendo dire la verità, che non era cosa mia, le davo un sorriso ed un bacio.
Passavano intanto i giorni, ed il signor Bini rimaneva impenetrabile come i geroglifici, quando nessuno ancora li aveva penetrati. La sua freddezza con noi era meravigliosa: solo messo in faccia alla signora Chiarina, egli pareva lasciarsi sfuggire un lembo del suo segreto, ma non mai tanto, che noi potessimo afferrarlo e strapparglielo ed esclamare: — ora l'abbiamo, è lui! —
Quando diceva qualche parolina amabile alla signora, o la chiamava «la mia bambina,» o la guardava a lungo negli occhi, tenendola per mano, e l'abbandonava appena si fosse fatta rossa, per ridere forte, dicendosene innamorato cotto: quando faceva tutto ciò, era propriamente un altro uomo uscito per arrendevolezza dalla sua buccia solita.
Del resto anche la sua buccia solita, veduta da vicino, non mi spiaceva, perchè la severità era in lui corretta da un certo umor testereccio e beffardo; il sussiego da un sorriso di malizia. Valente ed io ci trovammo pienamente d'accordo nel dire che il fondo del signor Bini doveva essere eccellente.
Solo non si sapeva più come tenerlo lontano, perchè ogni santo giorno il vecchio veniva a farci la visita e ce la faceva abbondante.
Forestiero in Milano, diceva lui, gli avanzava ogni giorno del tempo, di cui non sapeva che farsi; lo regalava a noi; e per di più voleva che smettessimo le cerimonie con lui, dando egli il buon esempio — insomma un capolavoro di faccia tosta.
Quando veniva in casa mia, si accomodava nella poltroncina dinanzi al cavalletto, e mi stava a guardare, oppure andava in giro per lo studio, cacciando il suo naso dritto e sottile ne' miei cartoni, che mi chiedeva il permesso di mettere in ordine.
— Faccia, faccia! — rispondevo; e lo stavo a guardare come un fenomeno.
Egli faceva, poi se ne veniva a me, dicendomi con accento paterno:
— Quanto tempo li lascerà stare? Vediamo..... ah! come è disordinato lei! Ma già tutti così loro artisti! —
Un po' di ragione l'aveva, perchè da quando mi ero incontrato in uno che voleva bene all'ordine più di me, mi pareva di volergliene io meno; ma buscarmi a quel prezzo del disordinato, era e non era un'iperbole superba e veramente curiosa? Ridevo.
Da un pezzo non si parlava della causa Corvi contro Corvi.
Una volta mi venne in mente di botto, mentre io stavo ritto dinanzi al cavalletto, il signor Bini a sedere.
— To'! — esclamai, — dev'essere domani il gran giorno....
— Non è domani, — m'interruppe il vecchio.
— E sa lei di qual giorno parlo?
— Corvi contro Corvi.
— Appunto.... ma che mi dice?... è proprio domani....
— Non è domani. —
Stetti zitto.
— Fu chiesta una proroga — soggiunse il vecchio quando ebbe assaporato il suo trionfo.
— Come lo sa? domandai col pennello in aria.
— Mi sta a cuore la lite dell'amico suo; finchè non abbia perduta la lite, non mi venderà la Venere, ed io la voglio.
— Valente non perderà la lite — dissi io — i tribunali gli hanno già dato ragione una volta....
— I tribunali hanno spropositato una volta più del necessario, — disse il signor Bini senza accalorarsi; — vi sono prove evidenti dell'imbecillità del vecchio Corvi.
— A me il vecchio Corvi pare pieno di giudizio.
— Non dica che le pare.
— Mi pare, lo dico.
— Non lo dica, lo desidera, ecco tutto.
— Mettiamo che sia così; che ne risulterebbe?
— È così, e ne risulterà l'annullamento delle disposizioni testamentarie; l'amico suo sarà condannato a restituire un terzo dell'eredità avuta.
— Appena?
— Appena.... ma un terzo dell'eredità avuta dallo zio, il quale stette al mondo tanto da consumare la metà del fatto suo, cosicchè il terzo d'allora è diventato i due terzi del patrimonio d'oggi.
L'aritmetica non si poteva lamentare, perchè era scrupolosamente applicata. L'erudizione del signor Bini cominciava a spaventarmi.
— L'altro terzo — soggiunse il dottissimo signore — se ne andrà nelle spese della lite.
— È proprio sicuro di quello che dice?
— Lo domandi agli avvocati.
— E che farà Valente? — dissi io.
— Ricorrerà in Cassazione e venderà la Spuma del Mare.
— E qual è il vantaggio di ricorrere in Cassazione?
— Lo domandi agli avvocati — rispose il vecchio col suo sorriso malizioso — la lite potrà tirare in lungo un altro paio di annetti.... le par poco?
— Tutta colpa....
— Tutta colpa del vecchio Corvi.... — m'interruppe il vecchio.
— Ma se era imbecille?
— Appunto per questo.
— Dica invece tutta colpa dei due amici, perchè, deve sapere, se non lo sa.... lo sa?
— Dica, dica.
— Deve sapere che il Pasquali ed il Nebuli erano amici intimi, proprio come Valente ed io, e per una miserabile questione di denaro.... per un puntiglio meschino.... si ritolsero prima l'affetto... poi il saluto, poi la stima, poi la pace.... finchè l'uno morì strozzato dalla consolazione di lasciar l'altro mezzo strozzato dal dispetto. —
Avevo messo delle pause nel mio periodo, perchè m'aspettavo d'essere interrotto, invece fui lasciato dire.
— Me l'avevano detto che la storiella era andata così. —
Manco male che glielo avevano detto!
— E del signor Pasquali che cosa ne sa?
— So che è una specie d'orso, un brontolone, uno stravagante.
— Precisamente; vive in una sua villa sul lago di Como, non si muove mai, non ha figli....
— Non ha figli.
— La colpa è sua.
— Tutta sua, tutta sua.
— Non già di non aver figli — dissi sorridendo.
Ed egli sorridendo ripetè:
— Non già di non aver figli.
— Della lite....
— Della lite. —
Lo guardai sbalordito; non pensava più a contraddirmi, si fregava le mani, sorrideva a quella tale incognita della birreria o ad un'altra consimile.
Alcuni istanti dopo si rizzò in piedi, ed andò a chiamare a tutti gli uscî la mia Annetta; quando ella comparve ed egli le ebbe stretta la mano, scese le scale.
Una stranezza da aggiungere alle altre: dimenticò la solita promessa di ritornare, e fui io a gridargli dietro: — a rivederla! —