Venuti dalle stelle

Kenniston li guardò avvicinarsi: erano quattro vaghe figure che camminavano lentamente, attraverso l’alba, verso Nuo­va Middletown. Il cuore gli martellava nel petto, aveva la boc­ca arida e una oscura paura lo invadeva.

Era forse la stranezza del loro arrivo, che gli dava quell’im­pressione... la massa enigmatica di quell’astronave scono­sciuta... quel lungo, cauto silenzio... Il loro modo di compor­tarsi faceva pensare che anch’essi fossero dubbiosi, incerti, prudenti.

Le tre figure che camminavano in testa si distinguevano ora più chiaramente. Erano uomini, e indossavano vesti pe­santi, contro il freddo intenso. Il quarto della compagnia camminava a qualche distanza dietro agli altri tre, ma la sua forma massiccia non si poteva ancora ben distinguere, avvol­ta com’era nella polvere sollevata dal vento.

«Sembrano proprio uomini come noi» osservò il sinda­co Garris, con aria stupita. «Credo che la razza umana non sia molto cambiata, dopo tutto, in un miliardo di anni.»

Kenniston fece col capo un cenno affermativo. Per qual­che ragione inspiegabile, il nodo che sentiva allo stomaco permaneva sempre. Vi era davvero qualcosa di soprannatu­rale, in quell’incredibile incontro fra due epoche.

Guardò gli altri. Il loro viso era bianco e teso. Un senti­mento di eccitazione, molto vicino all’isterismo, aveva inva­so tutti.

Gli sconosciuti erano ormai tanto vicini da poter distin­guere le loro fisionomie. La massiccia figura di retroguar­dia rimaneva ancora indistinta, ma dei tre che avanzavano in testa, Kenniston si accorse ora chesolo due erano uomi­ni. La terza persona era una donna, alta e sottile, dagli oc­chi azzurri, coi capelli di un color oro pallido raccolti attor­no alla testa. Kenniston ne fu colpito. Aveva visto molte donne bellissime, ma ne aveva visto raramente una che, co­me quella, avesse tanta grazia e autorità, con uno sguardo tanto acuto e intelligente. Quasi immediatamente, sentì per lei un sentimento di avversione, forse perché capiva che quella donna doveva avere un bagaglio di conoscenze e d’e­sperienze assai superiore a quello di qualunque uomo del ventesimo secolo come lui. Eppure quella donna aveva un atteggiamento amichevole, una bocca forte e volitiva, aper­ta al sorriso.

Il più giovane dei due uomini era grosso, robusto e sano, aveva i capelli rossi e un viso franco e gioviale che pareva scolpito nella selce. Il suo atteggiamento era, come quello della donna, di prudente e cauta riservatezza.

L’altro uomo era magro e disinvolto, molto umano nell’a­spetto. Non aveva nulla della fredda riservatezza dei suoi compagni. Era eccitato, e lo mostrava apertamente, osser­vando curiosamente la folla che gli stava davanti. Kenniston provò per lui una istintiva simpatia.

Vi fu uno strano silenzio. La donna e i due uomini si ar­restarono. Guardavano tutte quelle persone davanti a loro, e queste li fissavano con gli occhi sbarrati. Poi la donna dis­se qualcosa ai suoi compagni, in una lingua rapida, scono­sciuta.

L’uomo più giovane fece un cenno affermativo col capo, senza parlare, e l’uomo magro cominciò a parlare concitata­mente con loro.

Il sindaco Garris fece un passo avanti, esitante...

«Io...» cominciò, ma s’interruppe subito. Quell’unica parola si disperse portata dal vento e il sindaco non fu capace di trovarne altre. La donna bionda lo osservava col suo sguardo intelligente, lievemente divertita.

L’uomo magro fece un passo verso di loro. Poi, pronun­ciando le parole molto lentamente, disse: «Qui, Middletown!» E dopo un attimo ripeté: «Qui, Middletown!»

Kenniston era scosso da uno stupore enorme. Udiva anco­ra se stesso, con la voce stanca, estenuata, gridare quelle pa­role disperate, quelle due parole supplichevoli, in un silenzio nel quale nessuno udiva, nessuno rispondeva.

Ma quell’appello era stato udito! A quell’appello era stato risposto, da qualche parte. Da dove? Da un’altra stella? Da un altro mondo? Non da qualche posto della Terra, sicura­mente.

Quella grande nave spaziale veniva certamente da un lun­ghissimo viaggio.

Udì in quel momento il sindaco Garris che emetteva un grido di terrore. Un’ondata di raccapriccio, udibile nel respi­ro affannoso di ogni uomo presente, passò sulla folla che as­sisteva allo spettacolo. I pensieri confusi di Kenniston torna­rono di colpo alla realtà.

Il quarto dei sopraggiunti si era avvicinato e si era unito agli altri. E Kenniston stesso fu atterrito da ciò che vide.

Il quarto sopraggiunto non era un uomo! Era simile a un uomo questo sì... ma non era un uomo.

Era molto alto, con il corpo forte e massiccio, le braccia enormi che finivano in due mani simili a smisurate zampe. Era vestito della sua sola densa e ruvida pelliccia, completata da una specie di finimento. Aveva il capo schiacciato, il muso prominente come quello di un animale, le orecchie ritte, ton­de, circondate da ciuffi di peli. E i suoi occhi... La cosa più spaventosa erano i suoi occhi. Quei suoi occhi si incontraro­no con quelli di Kenniston. Erano occhi grandi, scuri, pieni di una vivida, penetrantissima intelligenza. Occhi cordiali, curiosi, sorridenti...

Il sindaco era arretrato di alcuni passi. Aveva il viso palli­dissimo.

«Ma... non è un uomo, quello!» urlò, con voce stridula.

L’essere peloso parve stupito di quell’accoglienza. Diede un’occhiata alla donna e agli altri due uomini, e tutti e quat­tro guardarono Garris, con la fronte corrugata, come se non riuscissero a capire la ragione del suo spavento.

Quell’essere strano mosse un passo o due verso Garris, con le grosse mani tese. Parlava con una voce lenta, romban­te, e sorrideva, mostrando una fila di denti grandi e forti, che scintillavano cupamente, come sciabole, nella pallida luce dell’alba.

Garris lanciò un altro urlo. Kenniston si accorse che il pa­nico si stava impadronendo dei presenti, vide gli agenti pun­tare le armi.

«Aspettate! Fermatevi!» gridò allora Kenniston, spin­gendo da parte il sindaco. «Per l’amor del Cielo! Aspettate! Siete pazzi!» Aveva affrontato gli agenti armati, mettendosi in modo da far scudo col suo corpo all’essere strano che era sopraggiunto. Sentiva egli stesso una invincibile repulsione per quella creatura che era a un tempo bestiale e umana. Ma quell’essere peloso lo aveva guardato, e gli aveva sorriso...

«Non sparate!» urlò ancora. «È un essere intelligente! È uno di loro!»

«Fatevi da parte, Kenniston!» urlò il sindaco, con voce acuta, tremante per il terrore. «Quel bruto è pericoloso, vi dico!»

Le armi puntate si erano improvvisamente dirette altrove. Kenniston, voltandosi di scatto, vide che i quattro soprag­giunti s’erano fatti un poco da parte. E, immediatamente, la scena svanì. La donna aveva levato una mano, in un rapido gesto. Dalla nave spaziale, laggiù nella pianura, partì un lam­po di luce bianca. Quella luce colpì inesorabile. Colpì coloro che si trovavano davanti alla porta. Colpì e disparve, in un attimo.

Anche Kenniston si trovava sul passaggio di quel lampo di luce. Sentì un improvviso stordimento in ogni nervo. La pe­na fisica non ebbe la durata che di una frazione di secondo, poi sopravvenne una specie di paralisi, come da una scarica elettrica. Vide Garris, Hubble e gli altri barcollare, coi visi pallidi e scossi. Le armi erano cadute dalle mani degli agenti ormai prive di forza.

Poi, l’essere peloso si avvicinò nuovamente a Kenniston. I suoi occhi scuri sorridevano sempre. Con la sua voce rom­bante emise alcuni suoni rassicuranti. Poi, con gesto esperto, massaggiò brevemente, con le sue grosse mani pelose, la nu­ca di Kenniston. La paralisi che aveva colpito Kenniston co­minciò allora a dileguarsi.

L’uomo dai capelli rossi aveva fatto alcuni passi avanti e aveva raccolto una delle armi cadute. Un sentimento di indi­cibile stupore trasparì subito dai suoi occhi, mentre la esami­nava. Disse qualcosa, con voce rapida, agli altri. Anch’essi esaminarono l’arma da ogni parte. Poi, stupefatti e increduli, guardarono Kenniston e i suoi compagni che stavano ora ri­mettendosi dalla temporanea paralisi che li aveva colpiti.

«Dispongono di un raggio della morte o di qualche cosa del genere!» urlò nuovamente Bertram Garris, con voce soffocata dallo spavento. «Possono ucciderci tutti!»

«Finitela!» proruppe infuriato Hubble. «State facen­do una figura da imbecille. Quell’arma che hanno usato era un semplice mezzo di difesa, niente affatto letale, e proprio voi li avete costretti a usarla contro di noi.»

La donna chiamò a sé, eccitata, l’essere peloso.

«Gorr Holl!» Era questo, evidentemente, il suo nome. E Gorr Holl raggiunse gli altri tre. Egli pure emise suoni di in­credula meraviglia, mentre esaminava l’arma che gli mostra­vano.

Kenniston si rivolse a Hubble, non curandosi più di Garris né degli attoniti agenti disarmati.

«Credo che abbiano cominciato a sospettare di dove ve­niamo.»

L’eccitazione dei quattro sconosciuti era ovvia. Fu la don­na, notò Kenniston, che si riebbe per prima dalla sorpresa. Essa parlò rapidamente all’uomo magro, quello che poco prima aveva ripetuto con voce gioiosa: “Qui Middletown, qui Middletown!”. Dal ripetuto uso del suo nome, Kenniston im­maginò che quell’uomo dovesse chiamarsi Piers Eglin. Ed era proprio Piers Eglin che appariva il più stupefatto di tutti e, strano a dirsi, il più lieto.

Piers Eglin, si avvicinò a Kenniston, quasi divorandolo coi suoi occhi miopi.

«Middletown» disse. E aggiunse, dopo un momento, in inglese: «Amici!»

Kenniston colse subito quell’occasione.

«Amici?» ripeté. «Ma allora, parlate inglese?»

Quella parola, inglese,mandò Piers Eglin in un visibilio di gioia e di eccitazione. Cominciò a parlare nuovamente con gli altri, ma la donna lo interruppe con un gesto di comando.

Egli si rivolse allora nuovamente a Kenniston.

«Lingua... inglese...» balbettò, ansimando. «Voi... par­late... lingua... inglese?»

Kenniston fece semplicemente un cenno affermativo col capo.

Una espressione di immensa meraviglia apparve negli oc­chi miopi di Piers Eglin.

«Chi... No!» Si interruppe e ricominciò di nuovo. «Di... dove... venite... voi?»

«Dal passato» rispose Kenniston, e sentì, in quel mo­mento, tutta l’assurda realtà di quanto diceva. «Da molto lontano, nel passato» aggiunse.

«Quanto... lontano?»

Kenniston capì che le date del ventesimo secolo non avrebbero significato nulla, per quella gente, dopo tante epo­che passate. Pensò un momento, poi disse: «Da molto lon­tano, nel passato. Nella nostra vita, la potenza atomica era stata appena scoperta.»

«Tanto? Tanto?» bisbigliò Piers Eglin, con voce tre­mante, sbalordita. «Ma... come? Come?»

Kenniston scosse le spalle, incapace di spiegarsi. Poi ag­giunse: «Vi è stata una esplosione atomica sulla nostra città. Ci siamo trovati, con tutta la nostra città, in questa epo­ca. Ecco tutto.»

Piers Eglin tradusse, febbrilmente, quelle parole agli altri. La donna mostrò subito un vivo interesse. Ma fu Gorr Holl, l’essere peloso, che fece il più lungo commento, con la sua voce sorda e rombante.

Piers Eglin si rivolse di scatto nuovamente a Kenniston, ma Kenniston interruppe le ansiose domande dell’altro con una domanda sua.

«E voi, di dove venite, voi?»

Piers Eglin indicò il cielo, ora illuminato dall’alba.

«Da...» ma si interruppe, evidentemente per cercare di ricordarsi il nome antico del pianeta. Poi aggiunse: «... da Vega.»

Fu la volta di Kenniston, a rimanere sbalordito.

«Ma voi siete esseri umani, terrestri!» obiettò. Poi, fa­cendo un cenno verso la pelosa figura di Gorr Holl, domandò ancora: «E quello, chi è?»

Nuovamente, Piers Eglin si sforzò di ricordarsi un nome antico. Poi disse: «Capella, Gorr Holl viene da Capella.»

Vi fu una pausa di silenzio, durante la quale i quattro nuo­vi venuti continuarono a guardare sorpresi gli uomini di Middletown. Nella mente di Kenniston, i pensieri turbinava­no caoticamente. L’unica cosa che gli appariva chiara era questa: gli apparecchi radiotelevisivi della città da essi occu­pata erano stati ben al di là di ogni sua possibile comprensio­ne. Quegli apparecchi erano destinati a comunicazioni inter­stellari. Il suo appello aveva percorso quelle distanze, e da quelle distanze era venuta la risposta... da Vega, da Capella, dalle stelle!

«Ma voi parlate la nostra vecchia lingua!» esclamò, in­credulo, rivolto a Eglin.

Confusamente, con voce balbettante, Eglin si spiegò.

«Io sono uno... storico. Sono specializzato nella civiltà preatomica della Terra. Ho imparato la lingua dai vecchi li­bri. È per questo che ho chiesto di partecipare a questa spedi­zione sulla Terra.»

La donna lo interruppe. Rabbrividiva un poco, e parla­va ora a voce bassa, rapida. Eglin si rivolse allora ai pre­senti.

«Questa è Varn Allan, la governatrice di questo... questo settore. Questi...» e accennò il giovane dai capelli rossi «è Norden Lund, viceamministratore.» Gli riusciva difficile ri­cordare le parole in inglese, e gli riusciva anche più difficile pronunciarle. Poi aggiunse: «Varn Allan vi chiede che noi... che noi parliamo entro la città, perché qui fa freddo.»

Kenniston aveva già immaginato che la donna fosse a ca­po del gruppo e avesse piena autorità su di esso. Non ne fu af­fatto sorpreso. La vibrante energia di quella donna era dav­vero notevole.

Il sindaco Garris, che era anche lui mezzo congelato, fu ben felice di aderire a quella richiesta. Si volse verso la gran­de porta, dietro la quale migliaia di persone si accalcavano per vedere, ed erano trattenute indietro con difficoltà. I loro visi apparivano come una massa biancastra, attraverso il ve­tro plastico della cupola.

«Fate largo! Fate largo!» ordinò Garris, col suo tono di voce più importante. Fece dei cenni agli agenti di polizia, tut­ti trafelati, che trattenevano la folla. «Fate largo! Aprite un passaggio, ora, stiamo per entrare!» Poi, alzando la voce per farsi udire dalle persone più lontane, aggiunse: «Fatevi indietro, per favore! Tutto va bene. I visitatori che attendeva­mo sono giunti, finalmente, e desiderano vedere la città, la nostra città. Lasciateli passare, lasciateli passare...»

La folla, con penosa riluttanza, aprì uno stretto passaggio, che fu subito allargato dagli sforzi degli agenti. Facendo da guida ai visitatori venuti dalle stelle, la dignità del sindaco era un po’ menomata dalla inquietudine che gli faceva fare un balzo in avanti ogni volta che la gigantesca figura di Gorr Holl gli si appressava, durante il percorso. Ma Garris riuscì, ciò nonostante, a conservare il suo tono gioviale di capo del suo popolo, gridando nel frattempo che ogni cosa andava be­ne, che non vi era nulla da temere, e pregando tutti di tenersi indietro e di fare a meno di spingere.

Varn Allan fu la prima a seguire Garris attraverso la gran­de porta. Esitò, è vero, ma appena un istante, trovandosi di fronte quella enorme folla urlante, e la folla da parte sua levò un applauso così forte da scuotere persino la cupola. Norden Lund sorrise e scosse il capo come se si trattasse di bambini capricciosi. Anche Varn Allan sorrise alla popolazione e pro­seguì il cammino, mentre la folla si muoveva tumultuando di gioia.

Kenniston li seguiva da presso, a fianco di Gorr Holl. La folla non lo aveva ancora visto, eccetto che come una vaga fi­gura al di là del vetro plastico ricurvo della cupola. Quando lo videro, tutti ammutolirono, per un attimo. Le donne, che avevano lottato per mettersi in prima fila, lottavano ora per farsi indietro, e lo stretto passaggio si allargò d’improvviso. Kenniston camminava accanto alla grossa mole di Gorr Holl, tenendogli una mano su una delle potenti spalle, per mostrare alla folla che non vi era affatto da aver paura. E la folla guardava, intimorita e sbalordita.

Piers Eglin era fuori di sé dall’eccitazione. La pelliccia di una donna lo mandò in visibilio. Era una pelliccia molto ordi­naria, ma Kenniston capì subito che doveva essere sicura­mente di un animale ormai estinto da milioni di anni. I tessu­ti, i cuoi, apparivano, agli occhi di Piers Eglin, come dei tesori inestimabili. Parlava incessantemente, febbrilmente, indi­cando questa o quella meraviglia ai suoi compagni, inter­rompendosi di tanto in tanto per tornare al suo inglese stenta­to e fare a Kenniston qualche domanda. Quando poi vide un’automobile, divenne addirittura frenetico.

L’automobile li interessava tutti, Varn Allan e Norden Lund si fermarono per esaminarla, e anche Gorr Holl, libe­randosi gentilmente da un codazzo di bambini che lo aveva­no circondato, raggiunse i compagni per poter esaminare il fenomeno. Il grosso essere peloso parve indovinare subito dove si nascondesse la forza motrice e fece segno a Kenni­ston che desiderava esaminarne l’interno. Kenniston ne sol­levò subito il cofano. Tutti e quattro i visitatori si chinarono immediatamente per esaminare il motore e tutta quella folla di abitanti scoppiò a ridere, quando vide quella specie di grosso animale addomesticato curvarsi anche lui come i suoi padroni a esaminare i congegni. I visitatori parlavano fra lo­ro, nella loro rapida lingua sconosciuta, e Norden Lund ac­cennava alle varie parti del motore con la medesima meravi­glia, un poco canzonatoria, che un uomo del ventesimo seco­lo avrebbe dimostrato per un carro tirato da buoi. Gorr Holl parlò allora a Piers Eglin, e questi si volse a Kenniston.

«Un motore così bello! Tanto primitivo!» bisbigliò, giungendo le mani. Poi aggiunse: «Vogliono che lo faccia­te... che lo facciate...» Non trovava le parole, ma Kenniston capì che cosa voleva dire. Trovò le chiavi della macchina infi­late nella serratura, e avviò il motore. Gorr Holl ne fu affasci­nato. I quattro visitatori continuarono per un po’ a parlare animatamente fra loro. Poi la benzina finì e il motore si spen­se. I visitatori si guardarono l’un l’altro, poi, a un cenno della donna, proseguirono il cammino.

Il sindaco Garris era in piena forma. Nel suo orgoglio e nel suo eccitamento, non aveva più paura nemmeno di Gorr Holl. Mostrava ai visitatori in che modo Nuova Middletown era stata resa abitabile, parlava, balbettando, del governo, delle scuole, dei tribunali e della distribuzione dei viveri. Piers Eglin cercava di tradurre qualche cosa, ma Kenniston dubitava che i visitatori capissero gran che. Un risentimento irragionevole cominciava a farsi strada in lui.

Poi, d’un tratto, i visitatori si fermarono e conferirono a lungo fra loro. Evidentemente avevano preso una decisione, poiché Piers Eglin si volse e disse: «Abbiamo visto abba­stanza, per questa volta. Più tardi...» e qui la sua voce tremò di eccitazione e i suoi occhi brillarono come quelli di un se­gugio «più tardi... visiteremo la vostra vecchia città, che ci avete detto esiste ancora. Ma ora Varn Allan dice che dobbia­mo ritornare alla nostra nave per riferire al Governo centrale ciò che abbiamo trovato.»

«Ascoltate!» esclamò Kenniston, ansioso. «Abbiamo bisogno di aiuto. Ci occorre la forza motrice, e il nostro com­bustibile è quasi finito.»

Hubble, che era sempre stato accanto ai visitatori per tutto il percorso, fece col capo un cenno affermativo, e ag­giunse: «Se potete mettere in azione alcuni dei generato­ri atomici che esistono qui...»

Piers Eglin si volse subito a consultare Varn Allan, che guardò Kenniston e Hubble e fece quindi un cenno di as­senso.

«Naturalmente, ha detto di sì» disse Piers Eglin. «Ha detto che dovrete trovarvi a vostro miglior agio, finché ri­marrete qui. L’equipaggio del Thanis vi sarà di aiuto. Lavore­ranno sotto la direzione di Gorr Holl, che è il nostro capotec­nico atomico.»

Il sindaco Garris rimase interdetto. Piers Eglin si schiarì la gola.

«Ve ne saranno altri, altri... nell’equipaggio. Vi sembre­ranno molto strani. Ma vi saranno amici. Farete meglio a rassicurare i vostri abitanti.»

I visitatori partirono, ritornando da dove erano venuti, attraverso la grande porta e attraverso la pianura polverosa. Mentre se ne andavano, il sindaco Garris diede l’annuncio alla folla. Vi sarebbe stata la forza motrice, più acqua, più luce, forse anche più calore. L’applauso frenetico e giubilan­te che seguì, riecheggiò a lungo sotto la cupola. Mentre la folla continuava ad applaudire, Hubble domandò a Kenniston: «Cosa intendeva, quando ha detto... “finché rimarre­te qui”?»

Kenniston scosse il capo. Non lo sapeva. Ma un gelido dubbio si faceva strada in lui, una specie di presentimento. Quell’impressione che sentiva non era basata su nulla che fosse stato detto o fatto, ma semplicemente sulla constata­zione dell’enorme abisso che separava la civiltà della vecchia Middletown da una civiltà che aveva invece percorso tanto cammino, fra le stelle e le costellazioni, ed era andata così lontano che la Terra appariva del tutto dimenticata.

Si domandava in che modo quelle due culture così incre­dibilmente diverse avrebbero potuto comprendersi. Rimase a lungo a rifletterci, mentre osservava la folla che si disperde­va, e perfino il pensiero che fra poco i grossi generatori ato­mici si sarebbero rimessi in moto non riuscì a liberarlo dalle preoccupazioni.