Nessuna risposta

Alcune settimane erano ormai trascorse, mentre Kenniston e Beitz, dandosi il cambio, continuavano a trasmettere l’appel­lo. Ma dal silenzio che pesava sulla Terra morente non era ve­nuta alcuna risposta. Per ore e ore avevano ripetuto quelle parole, ormai divenute senza senso. Fra l’uno e l’altro di que­gli assurdi appelli, avevano cercato di manipolare gli strani ricevitori senza alcun risultato positivo. Per Kenniston di­ventava sempre più penoso il momento in cui doveva lascia­re quell’edificio e attraversare la piccola folla di abitanti pie­ni di speranza che era sempre adunata all’esterno.

«No, non ancora» doveva dire, cercando sempre di mo­strarsi fiducioso. «Ma può darsi che presto...»

«Ma può anche darsi che non riuscirai mai» obiettava Carol, disperatamente, quando erano soli. «Se qualcuno avesse udito, avrebbero ormai potuto raggiungerci, da qual­siasi parte della Terra, in tutte queste settimane!»

«Può anche darsi che non abbiano aeroplani» ribatteva Kenniston.

«Se avevano radiotrasmittenti tanto complicate avreb­bero dovuto pur avere anche aeroplani, non ti pare?»

La logica di Carol era ineccepibile. Per un momento Ken­niston rimase in silenzio. Poi aggiunse: «Non dir nulla di tutto ciò, Carol, a nessuno, te ne prego. Tutta quella gente spera sempre... È questa speranza che li spinge ad andare avanti. La speranza di trovare altra gente. Senza di essa si sentirebbero tremendamente sperduti.» Sospirò, e poi ag­giunse: «Continueremo a lanciare i nostri appelli. È tutto quello che possiamo fare. E può darsi anche che McLain e Crisci trovino qualcuno, là, nella pianura. Dovrebbero ormai essere di ritorno.»

McLain era infatti riuscito a organizzare una spedizione per esplorare le regioni circostanti. C’erano volute intere set­timane di preparazione, per predisporre i serbatoi di benzina necessari, per progettare le vie da seguire. Due settimane prima, infine, la piccola carovana di jeep era partita e avrebbe dovuto essere ormai di ritorno.

E mentre quella carovana andava alla ricerca della vita nella desolata pianura polverosa, mentre Kenniston e Beitz continuavano a lanciare i loro appelli senza risposta, la vita proseguiva, a Nuova Middletown.

Hubble aveva contribuito a progettare uno schema di la­voro. Occorreva ormai preparare i serbatoi idroponici. L’in­tera città doveva essere ripulita dalla polvere. I viveri portati da Middletown dovevano essere inventariati.

Una squadra di funzionari scelti aveva assegnato gli uomi­ni ai vari lavori. Ogni uomo aveva il suo compito, le sue ore di lavoro, la sua paga in tessere di razionamento. Le scuole era­no state rimesse in attività. I tribunali e la legge funzionava­no nuovamente, benché a tutti fosse concessa la libertà, sal­vo che nei casi più gravi.

Bambini nascevano ogni giorno a Nuova Middletown. La mortalità fu dapprincipio molto alta, specialmente fra i vec­chi che non potevano sopportare di star lontani dalle case nelle quali erano vissuti. Un tratto di terra, al di fuori della cupola, era stato accuratamente cintato e serviva da cimite­ro. Ma, sotto quella bene organizzata attività, c’era pur sem­pre una città in attesa. Una città che attendeva, con terribile ansia, una risposta a quell’appello che veniva continuamente lanciato, ogni ora, nello spazio, in quell’infinito silenzio sen­za risposta.

Kenniston capiva l’inutilità di quell’appello. Non riusciva nemmeno a capire bene i trasmettitori che usava. In quelle settimane ne aveva persino smontato completamente uno senza poter riuscire a comprendere l’enorme complessità dei suoi circuiti. Era sicuro che venissero usate radiofrequenze assai lontane dallo spettro elettromagnetico del ventesimo secolo. Ma la maggior parte dei circuiti rimanevano per lui un mistero. Le parole impresse sugli apparecchi non erano affatto comprensibili, erano scritte in quella medesima lin­gua, completamente ignota, che era stata usata per tutte le scritte della città. Non poteva far altro che continuare a lan­ciare quell’eterno appello, quel messaggio pieno di speranza, nell’ignoto.

«Qui, Middletown! Qui, Middletown!»

Infine, ritornò anche la spedizione di McLain. Carol corse da Kenniston con la notizia. Kenniston si recò con lei alla porta della città, dove migliaia di abitanti si erano già ansio­samente radunati.

«Hanno dovuto sostenere una dura fatica» disse Kenniston, mentre le macchine si fermavano davanti alla porta. McLain, Crisci e gli altri avevano la barba lunga e incolta, erano coperti di polvere e apparivano esausti. Alcuni erano accasciati sui sedili.

La voce di McLain tuonò, in risposta alle domande che gli venivano rivolte da tutte le parti.

«Vi diremo tutto più tardi! Per il momento siamo stanchi morti, non ne possiamo più.»

Ma la voce affaticata di Crisci lo interruppe.

«Perché non dirlo subito? Hanno il diritto di saperlo!» Si volse verso la folla, d’improvviso ammutolita, e disse: «Abbia­mo trovato qualche cosa, sì. Abbiamo trovato una città, due­cento miglia a ovest da qui. Una città protetta da una cupola, proprio come questa, e quasi grande come questa.»

Bertram Garris fece allora la domanda che urgeva nella mente di tutti.

«Ebbene? C’erano abitanti, in quest’altra città?»

«No» rispose Crisci, abbassando la voce. «Non c’era nessuno. Nemmeno un’anima. Era una città morta, morta da molto tempo.»

«È vero» aggiunse McLain. «Non abbiamo visto segni di vita, in nessun posto, se si eccettuano alcuni piccoli ani­mali che abbiamo notato nella pianura.»

Carol, di colpo impallidita, si volse verso Kenniston.

«Ma allora non c’è più nessuno, sulla Terra? Siamo noi, gli ultimi?»

Un silenzio di morte era piombato sulla folla in attesa. Tutti i presenti si guardarono, ammutoliti. Fu in quel mo­mento che Bertram Garris dimostrò una inattesa capacità organizzativa. Salì di colpo su una delle jeep e si mise a parla­re, allegramente.

«Ascoltatemi, gente! Non dovete lasciarvi abbattere da questa notizia! La spedizione di McLain ha percorso sola­mente duecento miglia, e la Terra è enormemente più vasta. Ricordatevi che gli appelli del signor Kenniston vengono tra­smessi ogni ora.» E proseguì, con sempre maggiore cordia­lità: «Abbiamo tutti lavorato sodo, e abbiamo bisogno di un po’ di divertimento. Perciò questa sera faremo una grande fe­sta nella piazza maggiore. Sarà la festa della nostra città... Dite a tutti di venire!»

La folla si rianimò un poco. Ma, mentre tutti si allontana­vano, Kenniston vide che alcuni si voltavano a guardare an­cora, con viso rattristato, le jeep appena arrivate.

«È stata una buona idea, la vostra» disse a Garris. «Proprio quello che ci voleva per distogliere la loro attenzione dagli avvenimenti.»

Il sindaco apparve compiaciuto.

«Certo! Sono troppo impazienti. Non capiscono che può anche essere necessario molto tempo, prima che possano ri­spondere ai nostri appelli.»

Kenniston capì allora che la fiducia di Garris non era af­fatto una finta. Malgrado la nuova rivelazione, tutt’altro che confortante, il sindaco era ancora fiducioso che vi fossero al­tri esseri umani sulla Terra.

Ma Hubble si fece cupo, quando udì la notizia.

«Un’altra città morta? Allora non c’è più alcun dubbio. La Terra dev’essere proprio assolutamente senza vita.»

«Devo ancora continuare a lanciare gli appelli per radio?»

Hubble esitò.

«Sì, Ken» disse poi. «Ancora per un poco. Non dob­biamo guastare la loro festa, questa sera.»

La festa della città, quella sera, ebbe l’insolito lusso della luce elettrica, fornita da un generatore portatile. Un’orche­stra era stata collocata su una piattaforma e un vasto spazio era stato cintato per le danze. Kenniston si mescolò alla folla, con Carol, perché Beitz si era offerto di prendere il suo posto. Tutti lo conoscevano e lo salutavano, ma Kenniston osservò che non gli chiedevano più, ora, se i suoi appelli avessero avuto risposta.

«Stanno perdendo ogni speranza» confidò a Carol. «Temono che non ci siano altri esseri umani, e non vo­gliono pensarci.»

Kenniston cercò di trovare parole di conforto per Carol, al momento di lasciarla, ma non poté. Non c’era più conforto per nessuno. Dovevano tutti fronteggiare la real­tà, nella certezza, ormai, di essere gli ultimi sopravvissuti sulla Terra.

Si avviò lentamente attraverso le strade silenziose e vuote, per dare il cambio a Beitz. La Luna era già sorta e, attraverso la grande cupola, faceva cadere la sua luce di rame sulla piazza deserta. E poi, d’improvviso, Kenniston si fermò udendo uno scalpiccio di piedi in corsa e una voce che lo chia­mava.

«Signor Kenniston, signor Kenniston!»

Riconobbe subito Bud Martin, il padrone della rimessa nella vecchia Middletown. Il magro viso del giovane Bud era tutto eccitato, e le parole che diceva erano rapide e incoeren­ti, quasi incomprensibili.

«Signor Kenniston! Signor Kenniston! Ho visto un aero­plano passare sopra la cupola, molto in alto! Ma la sua for­ma... Sembrava piuttosto un grosso sommergibile, che un grosso aeroplano. Ma l’ho visto. Sono certissimo di averlo visto!»

Kenniston pensò subito che una cosa come quella avrebbe dovuto aspettarsela. Nella loro reazione all’amaro disingan­no, molti degli abitanti, c’era da aspettarselo, avrebbero cre­duto di vedere le altre persone viventi che tanto desideravano di vedere.

«Ma non ho udito niente, Bud» obiettò.

«Nemmeno io ho udito. Volava velocissimo e silenzioso, molto in alto. Ho appena fatto in tempo a vederlo.»

Kenniston guardò in alto, insieme a Bud. Guardarono per alcuni minuti, ma il cielo illuminato dalla Luna appariva freddo e deserto. Abbassò allora gli occhi.

«Sarà forse stata l’ombra di una nuvola, Bud. Non c’è nulla, nel cielo.»

Bud Martin si mise a imprecare; poi disse, con voce ferma: «Sentite, signor Kenniston, non sono una donnetta isteri­ca! Ho visto qualche cosa, vi dico!»

Ciò ammutolì Kenniston. Per un momento i battiti del suo cuore gli salirono in gola. Era mai possibile? Fissò ancora il cielo, per lunghi minuti. Ma il cielo rimaneva deserto. Eppu­re la sua eccitazione non si calmava.

«Andiamo da Hubble» disse infine. «Ma non dite nul­la a nessuno. Dare false speranze, in questo momento, sareb­be addirittura disastroso.»

Hubble stava, con McLain e Crisci, in una camera illumi­nata da una candela, ad ascoltare il loro resoconto sull’altra città morta che avevano trovato. Ascoltò le dichiarazioni di Bud Martin, e poi guardò Kenniston con occhi interrogativi.

«Io non ho veduto nulla» ammise Kenniston. «Ma at­traverso la cupola, è difficile vedere alcunché, a meno che sia in linea perpendicolare.»

Hubble si alzò.

«È meglio che diamo un’occhiata fuori. Mettetevi i cap­potti.»

Avvolti nei pesanti cappotti, tutti e cinque percorsero le strade silenziose fino alla porta, e uscirono all’esterno della cupola nella notte. Percorsero ancora un centinaio di metri sulla strada di cemento coperta di sabbia, e quindi si ferma­rono, esaminando il cielo. Il freddo era intenso. La grossa lu­na risplendeva con un duro chiarore di rame, che inondava di luce la cupola di Nuova Middletown.

Kenniston osservò con attenzione il cielo stellato. Le co­stellazioni erano molto cambiate, col passare delle epoche, ma alcune stelle si potevano riconoscere ancora. La defor­mata costellazione dell’Orsa Maggiore, l’alterata disposizio­ne della Lira. Stelle individuali brillavano ancora di intenso splendore; Vega, per esempio, di un bianco azzurro, Antares, di un rosso fumoso, Altair, di un color oro limpido.

«Questa gente vedrà, d’ora in avanti, una quantità di co­se» disse McLain, scettico. «Faremmo meglio a...»

«Ascoltate!» fece Hubble seccamente, interrompendo­lo e alzando una mano.

Kenniston udiva solo l’ululato del vento. Poi, debolmente, gli parve di udire un rumore pulsante che si alzava, si abbas­sava, si alzava nuovamente.

«Viene da nord» disse Crisci. «E sta ritornando verso di noi, ora...»

Tutti e cinque rimasero rigidi, attanagliati da un’emozione troppo grande per essere espressa a parole. I loro occhi scru­tavano sempre il cielo. Il rumore pulsante si fece più forte.

«Questo non è un motore di aeroplano!» esclamò McLain.

Era vero. Kenniston lo aveva già capito. Non era né il rom­bo dei motori a combustione interna né il sibilo dei motori a reazione. Era una specie di ronzio profondo, che sembrava riempire tutto il cielo. Si accorse che il cuore gli martellava forte nel petto.

Crisci si mise d’un tratto a urlare, alzando le braccia. La vi­dero tutti, quasi subito. Era una massa nera, allungata, che saettava rapidissima nel cielo, attraverso le stelle.

«Ma sta venendoci addosso!» gridò Bud Martin con quanta voce aveva.

In un batter d’occhio, quella cosa era divenuta una massa enorme, scura, che precipitava su di loro con la rapidità del fulmine. Ritornarono tutti di corsa verso la porta, scivolando e incespicando nella sabbia.

«Guardate!» urlò ancora Crisci. «Guardatela!»

Si volsero, non appena raggiunta la porta. Kenniston capì allora che la discesa di quella massa oscura su di loro, quasi che volesse schiacciarli, era stata solo un’impressione provo­cata dalla sua mole. Quella cosa, che non si capiva bene cosa fosse, con un ronzio altissimo si stava ora adagiando sulla pianura a mezzo miglio da Nuova Middletown. Una nuvola enorme di sabbia ne velò per un attimo la vista. Poi, quando la sabbia ricadde, la massa gigante riapparve nuovamente, adagiata nella pianura.

Kenniston vide subito che si trattava di un’aeronave. La descrizione di Bud Martin era stata molto efficace. Quella cosa sembrava infatti un sommergibile gigantesco, senza torretta, che si fosse in qualche modo arenato nella sabbia.

Il forte ronzio pulsante si era arrestato. Quella cosa miste­riosa giaceva sotto la luce della Luna, grande, scura, assolu­tamente silenziosa. Tutti rimasero impietriti, ancora incapa­ci di muoversi.

«Un’astronave venuta da un altro mondo!» bisbigliò in­fine Kenniston. «Una nave spaziale!»

«Infatti, dev’essere così. Ma non vi sono reattori. Deve far uso di un’altra forza motrice.»

«Ma perché non escono, ora che sono atterrati?»

«Che sono venuti a fare, allora? Chi sono?»

Quella forma enigmatica rimaneva sempre immobile, si­lenziosa, come priva di vita. Poi Kenniston udì un clamore di voci che sorgeva dalla città, dietro di lui. Anche altri avevano visto e avevano diffuso la notizia. Tutti gli abitanti di Nuova Middletown cominciavano a riversarsi, eccitatissimi, verso la porta della città.

La figura tozza del sindaco Garris si avvicinò di corsa.

«Ma è vero? Sono veramente venuti? Sono venuti altri esseri umani?»

«Tenete indietro la folla!» urlò Hubble, con voce stri­dula. «Nessuno deve uscire! È arrivato qualche cosa, ma finché non sapremo niente di preciso dobbiamo essere pru­denti.»

Nella mente di Kenniston passò come un lampo il ricordo di quella sala da riunioni che Jennings aveva scoperto nella città, coi suoi strani sedili che non potevano essere destinati ad alcun uomo o donna al mondo. Sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Che specie di esseri viventi potevano mai esserci, in quella massa mostruosa adagiata nella pianura?

La voce di Garris appariva un poco spaventata.

«Ma... ma... io non ho mai pensato alla possibilità di in­contrare dei nemici.»

Si volse tuttavia per gridare ordini agli agenti della polizia e della Guardia Nazionale, che erano già accorsi.

«Tenete indietro la folla! Tenete indietro la folla! E pron­te le vostre armi!»

Finalmente la folla fu respinta nelle strade adiacenti. Una ventina di agenti armati rimasero ad attendere, con Hubble, Kenniston e gli altri, sulla soglia della grande porta.

«Dovremo andar loro incontro?» domandò il sindaco, con i denti che gli battevano dal freddo.

Hubble scosse il capo.

«No» disse. «No, non siamo sicuri di nulla. Dovremo aspettare.»

Attesero, rabbrividendo nel vento gelido, mentre una tur­ba di pensieri mulinava nel cervello di Kenniston. Quella grande nave spaziale proveniva dagli spazi interstellari, ma da che parte era venuta, verso la Terra morente? Da qualche pianeta vicino? Dalle stelle più lontane? E perché era venuta? Che cosa accadeva, ora, nel suo interno? Quali occhi li stava­no osservando?

Attesero. Tutti gli abitanti di Nuova Middletown attendeva­no e guardavano, mentre la Luna saliva lenta verso lo zenit e le stelle tremolavano e il freddo diveniva sempre più intenso. Ma nulla accadeva. Quella mostruosa massa metallica giaceva sempre nella pianura, senza luce, senza suono, senza vita.

Le stelle risplendevano sempre più brillanti. Poi, la loro lu­ce impallidì leggermente. Un’altra luce, di un grigio cupo, stava sorgendo a oriente.

McLain si mise improvvisamente a imprecare.

«Se non vengono a trovarci» disse «potremmo anche andare noi, a trovarli.»

«Aspettate!» lo bloccò Hubble.

«Ma sono ore che aspettiamo, ormai... e...»

«Aspettate!» ordinò ancora Hubble. «Vengono ora!»

E Kenniston vide. Un’apertura scura era apparsa sul mar­gine inferiore dell’enorme chiglia dell’astronave. Alcune figu­re, che apparivano vagamente irreali nella pallida luce del­l’alba, stavano emergendo da quell’apertura. Ecco! Ora si di­rigevano, lentamente, verso Nuova Middletown!