L’aurora rossa

Kenniston fu svegliato, il mattino seguente, dallo stridulo ri­chiamo del telefono. Si alzò dal divano, intontito dal sonno, oppresso da cattivi presagi, e si avvicinò incespicando all’ap­parecchio. Fu solo quando udì la voce di Hubble che la sua mente si schiarì e si ricordò di quanto era accaduto il giorno prima.

Hubble parlò brevemente.

«Puoi venire qui subito, Ken? Al deposito di carbone di Keystone. Temo che si verificheranno dei disordini.»

Kenniston uscì nel mattino gelido.

Era ancora quasi buio, il sole smorto non si era del tutto levato e si attardava a oriente, come un mostro bavoso lordo di sangue. Riempì d’acqua il radiatore della macchina, che aveva svuotato la sera prima. Kenniston si accorse dapprima che dovunque regnava un grande silenzio. Le sirene degli stabilimenti, il fragore degli autotreni, i fischi perentori delle locomotive, tutto era cessato. Le rose erano tutte morte e il gelo aveva annerito i cespugli e i rami degli alberi.

Le strade erano deserte. Middletown aveva assunto, in una notte, l’aspetto di una tomba. Il fumo saliva da tutti i co­mignoli e la gente se ne stava rintanata nelle case. Visi smorti apparivano dietro i vetri delle finestre incorniciate di gelo. Da ogni chiesa veniva il suono di inni e preghiere. Anche i bar erano affollati, perché erano rimasti evidentemente aperti tutta la notte, a dispetto della legge sull’ora di chiusura.

Kenniston capì che la città sarebbe morta in breve tempo. Il combustibile si sarebbe presto esaurito e, senza di esso, non vi era modo di sopravvivere. Fu afferrato da un senso di completa disperazione. Gli sembrava una beffa che Middle­town fosse sopravvissuta al più grande cataclisma della sto­ria, solo per perire miseramente di freddo.

Un pensiero gli balenò nella mente, un pensiero che co­minciava appena a prendere forma. Quel pensiero mitigava un poco la sua disperazione, ma, prima che potesse ben chia­rirlo, giunse al deposito di carbone di Keystone. In quel po­sto, in contrasto con la quiete mortale della città, vi era abba­stanza vita e rumore.

Agenti di polizia e della Guardia Nazionale avevano for­mato cordoni attorno al deposito e ai suoi grossi mucchi di carbone. Di fronte a essi stava tutta una folla dall’aspetto po­co rassicurante, che si limitava per il momento a gridare, ma che presto sarebbe passata ai fatti.

Hubble gli venne incontro dall’interno del deposito. Erano con lui un ufficiale di polizia, preoccupatissimo, e Borchard, il proprietario del deposito.

«Volevano saccheggiare il deposito» lo informò Hub­ble. «Poveri diavoli! Era estate, prima, e si sono trovati sen­za combustibile. Alcuni hanno persino bruciato i mobili, per tenersi in vita.»

«Non vogliamo che ci siano vittime. E in questo momento si lasceranno convincere da voi scienziati più che da chiunque altro» disse Borchard.

Hubble fece un cenno affermativo.

«Parlagli, Ken. Li conosci meglio di me, e di te hanno più fiducia.»

«Ma non mi ascolteranno!» protestò Kenniston. «E d’altra parte, che cosa dovrei dir loro? “Andate a casa, brava gente, a morire tranquillamente di freddo, e non facciamo scenate disgustose.”»

«Forse non ci sarà affatto bisogno che muoiano di fred­do» disse Hubble. «Forse un rimedio c’è.»

Il pensiero che già si era formato nella mente di Kenni­ston, gli ritornò d’improvviso alla memoria. Guardò Hubble e si accorse subito che il suo superiore aveva avuto quel me­desimo pensiero, ma vi aveva dato forma più rapidamente, e in modo più chiaro. Una scintilla di speranza cominciò a ri­scaldare il suo cuore.

«La città protetta dalla cupola» disse.

Hubble fece un cenno di assenso.

«Sì. Conserva il calore in grado considerevole, durante la notte. Questo lo abbiamo constatato. Per questa ragione la cupola è stata costruita... chissà quanto tempo fa. Ma non importa. È ora il nostro solo rifugio. Dobbiamo andar là, Ken, tutti là. E presto! Non possiamo sopravvivere a molte notti come questa, rimanendo a Middletown!»

La folla cominciava a disperdersi quando arrivò Kimer, il capo della polizia. Aveva il viso con la barba di due giorni, l’e­spressione stanca per la notte insonne e gli occhi cerchiati di rosso. Non parve molto preoccupato della sommossa al de­posito di carbone.

«Abbiamo avuto ben altro da fare che questo, durante tutta la notte» disse.

Kenniston apprese allora ciò che era accaduto a Middle­town, dopo che il sindaco aveva finito di palare. Morti per sincope, suicidi, tentativi di saccheggio nelle vie più periferi­che. Una dozzina di persone, in gran parte ubriachi, era mor­ta di congelamento.

«Ma le barriere ai limiti della città ci hanno dato il maggior filo da torcere» continuò Kimer, con voce stanca. «Dovete sapere che parecchie persone provenienti da fuo­ri sono state colte qui dall’accaduto. Queste, oltre ad alcuni cittadini di Middletown, hanno cercato di uscire a forza dalla città.»

Poi aggiunse, mentre ritornava verso la sua automobile:

«Mi hanno detto che questa notte più di duemila persone sono state battezzate.»

«Veniamo con voi al Municipio» gli disse Hubble. «Sì, vieni anche tu, Ken. Per questo piano di evacuazione conto sul tuo aiuto, oltre che sull’aiuto del sindaco. Devi soprattut­to aiutarmi a convincere il sindaco.»

Pareva impossibile che quel piccolo sindaco grassottello potesse diventare un problema. Era stato fino ad allora doci­le, pateticamente ansioso di accogliere suggerimenti e di ese­guire ordini, ma quando, in Municipio, Hubble lo mise di fronte alla necessità di un piano per evacuare la città, sul viso del sindaco Garris apparve una sorda e ostinata irritazione.

«Ma è una cosa da pazzi!» sbottò. «Volete prendere tutta una città di cinquantamila abitanti e portarla in un al­tro posto, un posto di cui non sappiamo nulla. È una cosa da pazzi.»

«Vi sono abbastanza autobus, automobili e autocarri per trasportare la popolazione e le provviste» lo rassicurò Hub­ble. «E vi è abbastanza benzina per trasportare tutto.»

Dapprima i membri del consiglio reagirono nello stesso modo del sindaco. Kenniston, in cuor suo, non li biasimava del tutto. Le difficoltà di spostare una popolazione di cin­quantamila abitanti e di trasportarla letteralmente, nel mi­nor tempo possibile, in un luogo che nessuno di loro aveva veduto né udito nominare fino a quel momento, erano tali da preoccupare chiunque. Ma gli argomenti di Hubble erano inattaccabili. Bisognava muoversi o morire, e tutti i presenti se ne resero perfettamente conto, cosicché, alla fine, la deci­sione venne approvata. Il sindaco Garris, povero ometto sfi­nito e atterrito, se ne andò per trasmettere il comunicato alla popolazione.