— Vi dirò tutto quello che so di Phyllis, ma non è molto.

Maggie era seduta alla turca su uno dei due divani dello studio e fissava il ritratto pensierosa.

— Non la conoscevo con il nome di Phyllis Brunner. Si faceva chiamare Paula Browning, per via della borsa di camoscio con le iniziali P.B., suppongo. Ricordo quella borsetta in modo particolare, perché valeva per lo meno ottanta dollari, e Paula non aveva un soldo. Possedeva in tutto un tailleur da sartoria di lusso, una tuta di maglia da ginnastica e gli occhi più conturbanti che si potessero vedere.

— Color fumo — aggiunse Casey.

— Proprio! La prima volta che la vidi stava entrando nello studio di Papà Danikoff, qui accanto. Insegna danza, Danikoff, e apparteneva un tempo al Balletto Imperiale Russo, o almeno così dice. Comunque, Papà è bravo e poco esoso, e Paula era ridotta ormai al suo ultimo zaffiro.

— Brutta situazione.

— Infatti. Un giorno lo impegnò e diede una festicciola nella sua camera, che si trovava proprio sopra a questa. Furono invitati tutti gli allievi di Papà Danikoff, e andai anch’io, per non sentirmi tremare il soffitto sulla testa. Una festa riuscitissima: spaghetti, pizze e molto vino rosso. Paula si divertiva un mondo, e mentre la guardavo non potevo fare a meno di pensare che quella doveva essere la prima festa che dava in vita sua. Fu allora che decisi di ritrarla.

Maggie fece una pausa per accendere una sigaretta, e intanto fissava il ritratto, che rappresentava la figura intera di una ragazza in tuta di maglia nera, ritta contro la sbarra degli esercizi. L’attenzione veniva però per lo più attirata dal viso.

— Ne fu contenta — riprese quindi — ma non volle accettare un soldo per fare da modella.

— Benché fosse svanito anche l’ultimo zaffiro?

— Proprio. Era un’ottima modella, in complesso, ma una tremenda bugiarda. — Vedendo lo sguardo d’interesse di Casey, Maggie sorrise. — Non potevo essere certa in modo assoluto che mentisse, per lo meno sulle prime, ma anche la dabbenaggine di Maggie Doone ha un limite. Secondo lei sua madre era stata una famosa prima donna, la più bella creatura d’Europa; ungherese o qualcosa del genere, non ricordo tutti i particolari. Suo padre, d’altro canto, era l’erede di un nobile di rigidi princìpi, che l’aveva cacciato di casa perché disapprovava certe tendenze artistiche del rampollo. Paula non arrivò mai a dichiarare di essere illegittima, ma capivo che l’idea l’allettava.

— Non mancava di fantasia, almeno — fece Casey.

— Questo non è che il principio. Risultava che la bellissima prima donna era morta poco dopo la nascita di Paula, e il padre, affranto dal dolore, era caduto sempre più in basso e al momento viveva in un tugurio a Parigi, servendosi delle sue ultime risorse per dare una buona educazione alla figlia.

— Da Papà Danikoff?

Maggie rise. — I suoi racconti facevano acqua da tutte le parti, ma io non la mettevo mai con le spalle al muro. Non so spiegare, ma avevo sempre un vago timore che potesse diventare una ninfa, o qualcosa del genere, e scomparire. In effetti andò proprio così. Scomparve.

— Un momento, spiegatevi meglio.

— Filò, tagliò la corda senza preavviso. Come vedete la tela non è finita. Stava riuscendo bene, il più bel lavoro che io avessi mai fatto, secondo la mia poco modesta opinione, e quando lei mi piantò in asso ne fui seccatissima. M’informai nel quartiere, ma nessuno sapeva dove fosse finita, come del resto s’ignorava da dove fosse sbucata. Era apparsa un giorno nel nostro mondo squinternato, ne aveva fatto parte per un poco e poi se n’era andata. Uno degli allievi di Papà asserì di averla vista salire in una berlina nera, a mezzo isolato di distanza da qui, e disse che piangeva. Se ne parlò per un poco, ma in complesso noi siamo troppo immersi in noi stessi per perdere il sonno a causa del prossimo. Io però, come dico, ero rimasta male per via del ritratto.

— Finito o no — disse Casey, che trovava giustificato il dispiacere di lei — a me piace. Le assomiglia molto.

— Grazie, gentile signore — sorrise Maggie. — Un’osservazione come questa mi rende quasi vostra schiava per la vita.

Non era facile per Casey continuare a pensare ciò che voleva pensare di Phyllis Brunner, mentre il viso di lei lo fissava dalla tela, con quello sguardo un po’ vago e quel sorriso indecifrabile che increspava le labbra piene. Faceva riaffiorare una sensazione ossessionante di sogno, che non si addiceva al suo stato di calma lucidità. Distolse bruscamente gli occhi e disse: — Non l’avete più rivista?

— Mai. Una sera però, qualche settimana dopo la fuga, che avvenne circa due mesi fa, stavo sfogliando il giornale quando il mio sguardo cadde su un trafiletto nella cronaca mondana.

Maggie si alzò per andare verso una scrivania ingombra di carte, seminascosta in un angolo. Dopo aver frugato apparentemente a casaccio, trovò una pagina di giornale ripiegata più volte e la tese a Casey, dicendo: — Vecchi ricordi.

Nell’elenco dei fidanzamenti si leggeva: “Il signor Darius Brunner II e signora annunciano il fidanzamento della figlia Phyllis con Lance Gorden, eminente giovane avvocato della nostra città…”.

Seguivano alcune righe di commento, ma non occorreva altro. Casey era già immerso nell’esame della fotografia, che rappresentava Phyllis Brunner, bella come in realtà, e Lance Gorden, che sorrideva come per la pubblicità di un dentifricio. Alto, biondo, robusto, gli fu immediatamente odioso.

— Quando gioca a tennis deve avere tattiche traditrici — borbottò.

— E starà benissimo in calzoncini corti — annuì Maggie.

Spinto da un improvviso risentimento, che non si diede la pena di analizzare, e che del resto non gli sarebbe garbato se lo avesse fatto, Casey lasciò cadere il ritaglio di giornale e si alzò in piedi. — Va bene — fece in tono secco. — E con questo? Ha a che fare in qualche modo col mio caso? Non m’interessa la vita amorosa di Phyllis, voglio soltanto scoprire dove si è cacciata questa volta e perché. Soprattutto perché. Non mi va che mi si tendano tranelli, se pure con biglietti da cento dollari.

— Forse fate male a non interessarvi della sua vita amorosa — osservò Maggie, che affrontava la situazione con molta calma.

— Come?

— Mi stavo chiedendo… — Prese il ritaglio di giornale e, dopo averlo steso sulla scrivania, lo esaminò attentamente, mentre un’espressione pensierosa le si dipingeva sul viso.

— Che giorno è? — chiese.

— Che giorno è? — fece eco Casey. — E come posso saperlo? Ieri sera ho dimenticato di scrivere nel mio diario.

— Parlo sul serio. Dovrebbe mancare poco alla festa del Ringraziamento.

— Bene! Ho sentito dire che nelle prigioni moderne passano il tacchino.

— Il giorno del Ringraziamento era la data stabilita per le nozze.

Casey cominciava a capire. — Ci sono! — esclamò, accostandosi alla scrivania. — L’orgasmo mi rode addirittura.

— Siete certo che Phyllis vi avesse chiesto di sposarla?

— Ve l’ho già detto, a meno che non abbia sognato tutto.

— I cinquemila dollari no di certo. Se Phyllis avesse finto di sposare qualcun altro, e cioè voi, avrebbe evitato il matrimonio con Lance Gorden, capite?

Maggie parve molto soddisfatta di sé, ma Casey era dubbioso. — Evitato? — fece eco, incredulo. — Volete dire che c’è una donna a cui Lance ripugna quanto a me?

— Perché no? Quei tipi sani e robusti soffocano il nostro complesso materno. Del resto, Phyllis Brunner non stava fuggendo da qualche cosa? Quando venne qui stava scappando, ma qualcuno la rintracciò e se la portò via. Chi vi dice che ieri pomeriggio non stesse scappando altrettanto affannosamente?

— E che lo stia facendo tuttora?

— È possibile.

— Ma perché?

— È questo il punto.

Casey rifletteva. In vita sua aveva sempre opinato che tutto debba avere una ragione di essere, ed ora questa sua convinzione veniva avvalorata. Cercava di ricordare il comportamento di Phyllis, e se al bar Nuvola aveva l’aspetto di una persona che fugge da qualcosa. Nulla. Gli riusciva soltanto di vedere due strani occhi obliqui e di sentire il profumo pungente dei suoi capelli. Però era un’idea, e a questo punto valeva la pena di seguire a fondo qualsiasi idea.

— Siete una brava ragazza — concluse. — E non fosse che per questo credo che vi permetterò di schierarvi dalla mia parte.

— Benone! — ribatté Maggie. — Accolgo un vagabondo ubriaco perché non muoia di congelamento e mi trovo immischiata fino al collo in un omicidio. Quanto credete che durerà la nostra alleanza con quella lingua lunga di un barista a zonzo?

— Ho un fisico molto comune e mi camufferò. Per prima cosa, potreste andare a comprarmi un bel cappello che non ricordi la moda della California.

— E poi?

“Poi…? Bisogna che mi accerti” pensava Casey. “Potrei essere un assassino, uno sposo, o un palo involontario, o magari tutte e tre le cose. Ma devo accertarmene.”

— In questa stagione fa troppo freddo per giocare a tennis — osservò. — Chissà come occupa i suoi pomeriggi quel biondo atleta?