Il pensiero di poter costruire uno strumento come l’Ago in quella landa selvaggia, lece sorridere Devan.

— Anzitutto — chiese a Orcutt — dove pensate di procurarvi il ferro?

— Al momento, io stesso non sono in grado di rispondervi — disse Orcutt. — Tutto quello che posso dire, è che desidero tornarmene a casa, come tutti coloro che hanno avuto la sfortuna di passare nell’Ago.

— Ma come pensate di fare a procurarci il ferro?

— Non siamo dei selvaggi, ne converrete, Devan. Tutto quello che ci occorre è un altoforno, ferro e fuoco, no?

Devan rise di nuovo. Poi improvvisamente il fatto stesso di ridere di questa impossibilità, lo rattristò e il suo pensiero corse a Beverly e ai bambini tanto lontani. Da molto non si sentiva così disperatamente solo. Mentre pensava con struggente nostalgia ai visi familiari, alla sua casa, alle strade della sua città e a come avrebbe travato tutto cambiato, se pure un giorno avrebbe potuto tornarvi, vide che Betty lo stava guardando con la sua stessa espressione. Almeno erano insieme e andavano d’accordo.

Questo pensiero gli diede coraggio.

Più tardi, mentre raccoglievano conchiglie che avrebbero potuto servire per la loro particolare forma, Betty disse che Orcutt aveva ragione di voler trovare il ferro. — Non tanto per tornare — disse lei — quanto per nostro uso qui.

Devan la informò dell’immenso valore del ferro in quel momento, e non solo qui a pensarci bene, ma anche a casa. Senza oro si poteva vivere, ma non senza ferro. La civiltà sarebbe crollata senza il ferro. Non più acciaio, forbici, automobili, motori, aeroplani, coltelli, fucili, case. Era una lista infinita di cose alle quali l’umanità non avrebbe potuto rinunciare. E le disse anche di come il ferro fosse meravigliosamente duttile, come lo si potesse rendere sottile e flessibile e come massiccio e indistruttibile, a seconda delle leghe e della lavorazione.

— Da come parli di queste cose si sente che sei un ingegnere — Betty concluse — e si sente che ami il tuo lavoro.

— Certo — disse lui — come tu ami i fiori, e credo che farò di tutto per poter costruire questo nuovo Ago, anche se ci vorranno anni.

D’un tratto, Betty si chinò e raccolse le spine di un pesce. Rise. — Ecco degli ottimi spilli, meglio di quelli che ho adottato nel mio nuovo vestiario ricavandoli dalle piante. Potrei fare un rapporto comparativo sulla qualità degli spilli.

— Comunque — Devan rispose — non è più necessario che qualcuno inventi le spille di sicurezza, ci hai pensato?

Poi Betty gli chiese: — Hai osservato le donne che sono arrivate sino a qui? Alcune attendono un bambino.

— Le ho notate — le rispose Devan — una in particolare. — Le fece una smorfia affettuosa. Betty era deliziosa e minuscola, ritta sulla spiaggia, con i capelli neri sciolti sulle spalle. Piccola, ma non fragile. E nel suo sguardo e in tutta la sua grazia, c’era un invito che Devan raccolse, prendendola tra le braccia.

Più tardi, seduti sugli scogli, parlarono di nuovo di tutte le difficoltà che li attendevano.

Verso mezzogiorno, almeno pareva quell’ora, si radunarono tutti intorno al fuoco e Devan notò che le donne avevano seguito l’esèmpio della signora Petrie allestendosi gonne e stole di erbe, che erano già migliori di quelle improvvisate al mattino.

Sull’erba c’erano molti pesci che gli uomini incaricati alla pesca avevano preso, parte con le mani e parte con le piccole reti di giunco. Beatrice Treat sciorinò tutti i bulbi e le radici che aveva raccolto e fu palesemente toccata dai complimenti che Tooksberry le fece al riguardo. Johnson e alcuni dei suoi uomini avevano catturato una ventina di conigli, che ora venivano preparati per lo spiedo con conchiglie e sassi acuminati. Un gruppo di ragazzini aveva trovato un bel po’ di noci e vi danzavano intorno, impazienti di mangiarle.

La scena ricordò improvvisamente a Devan i quadri primitivi esposti al Museo dell’Agricoltura di Chicago.

Il pasto, quanto mai frugale, consisteva solo di un pezzo di coniglio, un piccolo pesce, qualche noce e della lattuga. Il tutto senza pane, né sale, né pepe e innaffiato solo dall’acqua fresca di una fonte che sfociava al lago. Eppure Devan e gli altri furono ristorati da questo pasto.

Più tardi, Orcutt parlò a tutti, issato su di una pedana fatta di pezzi di legno. Nonostante la barba lunga e l’abbigliamento sommario, la sua figura era sempre imponente e autoritaria.

Devan pensò che era riposante avere a capo un uomo come Orcutt, mentre questi spiegava che, essendo stato raccolto più cibo del necessario, evidentemente per il numero eccessivo della gente addetta a questo compito, era opportuno ridurre il gruppo, assegnando alcuni dei suoi componenti, sempre dietro prestazione volontaria, alla costruzione di imbarcazioni, alla ricerca della canna da zucchero e ad altri lavori. In quanto alle donne, avrebbero dovuto occuparsi in parte di far prove con l’argilla per la costruzione di piatti e tazze, e altre trovare il sistema di tessere. Gli uomini che si erano occupati della ricerca del materiale da costruzione dovevano preparare capanne di varie dimensioni, a seconda del numero dei componenti di ogni famiglia.

Tra le persone raccolte intorno a Orcutt, Devan cercò di individuare gli uomini che aveva incontrato la notte precedente sulla spiaggia, ma non li vide; pensò che fossero tra quelli passati dalla parte di Eric Sudduth.

Quando scese la notte, il gruppo degli scienziati che avrebbero cercato di ridar vita all’Ago, si sistemarono vicino a loro, mentre la maggior parte delle famiglie era occupata ad accender fuochi davanti alle proprie capanne.

— È proprio lo stesso cielo — stava dicendo Orcutt. — Ecco l’Orsa Maggiore e la Via Lattea e…

— Sì — confermò Basher — ma che anno è?

— Credo migliaia di anni fa — mugolò Sam Otto, girandosi verso il fuoco per scaldarsi. — Altrimenti ci dovrebbero essere in giro degli indiani.

— Nessuno qui conosce qualcosa delle stelle? — Orcutt urlò quasi la domanda, per farsi sentire anche da quelli che stavano in disparte.

Un uomo si staccò da un gruppo e venne avanti. Era alto e curvo, senza denti, con un’aria veramente sofferente.

— Mi chiamo Elmo Hodge. Ero il proprietario della drogheria in fondo alla strada dove voi avevate il palazzo. Il mio “chiodo” è l’astronomia. — Si sedette. — Abbiate un po’ di pazienza mentre parlo. Ho perso i denti strada facendo. Cosa volete sapere delle stelle?

— Le stelle si muovono, non è vero? — chiese Orcutt. L’uomo assentì. — Per quanto insensibilmente.

— Ma abbastanza per dirci quanto siamo andati indietro nel tempo, passando nell’Ago?

Il signor Hodge guardò Orcutt a lungo e quindi si volse verso gli altri con un’espressione di stupore genuino sul volto.

— Volete dire che non lo sapete?

— Che cosa? — La mano di Betty si strinse a quella di Devan.

— Solo un giorno è trascorso da quando siamo passati nell’Ago.

Le speranze di Orcutt di avere un’informazione precisa svanirono. Evidentemente l’uomo non aveva capito di cosa stessero parlando. D’altra parte nessuno si sentì di muovere obiezioni al vecchio. Così non gli dissero che era in errore.

— So — aggiunse lui — che cosa state pensando, ma non è proprio così. — Puntò il dito a nord. — Vedete l’Orsa Maggiore? Ora, partendo dalle stelle nelle sbarre del Carro, la prima stella si muove verso il basso, la seconda si muove a sinistra, come fanno tutte le altre, eccettuata quella al bordo del Carro. Quella si muove verso il basso proprio come la prima. Ora, se fossimo in un altro tempo, il Gran Carro dell’Orsa sarebbe tutto spostato. È molto meglio così come appare adesso, no?

— Un migliaio d’anni — si alzò la voce di Clarence Gleckman. — Non farebbe nessuna differenza se si trattasse di un migliaio d’anni.

Hodge si agitò, poi mosse la testa in senso affermativo. — Avete ragione. Un migliaio d’anni non farebbe molta differenza. Per esserci una differenza gli anni dovrebbero essere cento.

— E come potete allora essere sicuro di avere ragione? — chiese Orcutt.

— E sta bene — disse Hodge. — Guardate Saturno. Proprio all’estremo limite della Vergine e vicino alla Bilancia. — Studiò le stelle per qualche minuto, poi: — Scommetto che troverete la Stella del Nord. Ancora la Stella del Nord. Qualche migliaio di anni fa, la prima stella della Costellazione del Drago era la Stella Polare, come la stella più luminosa della Costellazione della Lira, detta “Vega”, sarà la Stella del Nord tra dodicimila anni.

— Di una cosa possiamo essere sicuri — commentò Devan — conoscete bene le vostre stelle.

— Mi pare di aver sentito già parlare di queste cose da qualche parte — disse Holcombe. — Credo che siano giuste.

— Anch’io — aggiunse Tooksberry.

— Io non mi curo affatto delle stelle — soggiunse la signora Petrie — me ne curavo abbastanza quando ero una ragazza. Quello che desidero in questo momento è un po’ di lana per lavorare ai ferri.

Hodge si schiarì la gola. — Un’altra cosa. Se avremo la ventura di ottenere un po’ di vetro, molerò qualche lente per un telescopio. Ne ho fatte centinaia. Con la prima che sarà pronta darò un’occhiata a Castore. È una stella doppia e se il tempo non è cambiato, le due stelle gemelle saranno più vicine. Ma il tempo non è cambiato, ne sono sicuro. Ci sono tante prove là — disse, indicando il cielo.

— Così non è passato del tempo — il dottor Costigan disse fra sé guardando il fuoco.

— Bene. — Beatrice Treat si fece sentire in un modo che nessuno potesse ignorarla. Devan osservò con piacere che stava con Tooksberry. — Se pure si tratta dello “stesso” tempo e non di un altro… È una domanda sciocca, vero?

— Per niente, mia cara — la rassicurò Tooksberry, sorridendole e ricevendone in cambio un’identica manifestazione di simpatia. — È una domanda sensata. Se non si tratta di “allora”, come può essere “ora” e non Chicago?

— È una domanda sensata — confermò Orcutt.

— Una volta — affermò Basher — lessi un articolo in cui si parlava di mondi identici esistenti nello spazio contemporaneamente. L’idea era che potesse esistere un numero infinito di mondi e che passando dall’uno all’altro ci si troverebbe in un luogo uguale ma diversamente ambientato.

— Fantastico — disse Tooksberry.

— Invece di star lì a preoccuparvi di dove siamo — interloquì la signora Petrie — accontentiamoci di sapere che siamo qui e cerchiamo di trovare il mezzo per tornare a casa.

— Costruiremo un altro Ago — disse Devan — ma ci vorrà del tempo. Dobbiamo trovare del ferro, costruire un altoforno e preparare tutto quanto è necessario per questa impresa.

— Sarà un lavoro tremendo — rispose il dottor Costigan.

— E dobbiamo prepararci a un’altra eventualità. Se non dovessimo riuscire a costruire una nuova macchina? Immaginate che non potessimo ricostruire, al momento, processi chimici industriali e che non ci fosse nessuno fra noi in grado di risolverli. Che cosa accadrebbe allora?

— Lavoreremo finché ci riusciremo — disse Basher. — Ci siamo trovati in situazioni disperate anche durante la guerra e ce la siamo sempre cavata.

— E sta bene: immaginiamo allora di riuscire a costruire un altro Ago. Come possiamo sapere con certezza che ci riporterà indietro? Può darsi, come ha detto Basher, che ci trasporti in un altro mondo, diverso dal nostro e diverso da questo, dove possono vivere individui diversi da noi.

— Ci ho pensato — disse Costigan — e credo di avere la risposta giusta. Se noi costruiamo un altro Ago, sarà tale e quale quello che abbiamo costruito. Noi siamo stati spinti qui da una forza creata dalla corrente diretta. Io credo che se invertiamo la polarità creeremo un campo di azione nel senso contrario, per cui dovremmo poter tornare là dove siamo venuti.

La signora Petrie si congedò per andare a dormire.

— Una sigaretta — disse il tenente Johnson dopo che la donna se ne fu andata. — Una sigaretta mi ci vuole. Non potreste inventare qualcosa che annulli questa necessità? — chiese.

— Una brutta abitudine — rispose Devan riferendosi al fumo — pure adoro questa abitudine.

Betty si fece sentire. — Anch’io — aggiunse — l’adoro.

— Può darsi che si riesca a trovare delle foglie di tabacco da qualche parte — disse il dottor Costigan.

— Personalmente, io vorrò una pipa — intervenne Orcutt. — E voi le vostre sigarette.

— Non sapete cosa state dicendo — si inserì Sam Otto — le sigarette sono roba per signorine. Sigari ci vogliono.

— Vorrei sapere che gusto ci provate — gli disse Devan — non ne accendete mai uno.

Il dottor Costigan ristabilì il silenzio. — Signori — gridò. — C’è qualcosa di più importante di cui discutere del tabacco. L’acquavite. Spero di trovare una vite selvaggia da qualche parte. Che cosa sarebbe mai la vita senza questa soddisfazione?

Era solo un piccolo rifugio di tronchi e d’erba. Anche il suolo era coperto d’erba, e una certa quantità di questa serviva pure per coprirli, dando loro, unitamente al piccolo fuoco acceso, un po’ di benessere.

— Devan, torneremo indietro un giorno?

Betty stava distesa con lo sguardo rivolto al fuoco. Spirava una brezza primaverile, piena di promesse. Intorno non si udiva altro rumore che lo scoppiettio dei ceppi accesi.

— Non so, Betty, non abbiamo ancora cominciato. Ci sono molti problemi da risolvere, oltre a quelli per l’esistenza che ci si presentano giorno dopo giorno, tanto più ardui per noi, gente di città, della soluzione di quelli posti dalla costruzione dell’Ago.

— Per esempio?

— Abbiamo bisogno di carta su cui annotare i nostri problemi, il dottor Costigan ne ha bisogno per i diagrammi. Inoltre, cosa succederebbe se lui morisse? Non potremmo più tornare.

— Non ci avevo pensato.

— E l’elettricità? Come potremo ottenerla?

— Ci riusciremo.

— E poi la cosa finale.

— La cosa finale?

— È giustissimo quello che Costigan dice di invertire la polarità e, in linea di massima, dovremmo tornare da dove siamo venuti; ma supponiamo di andare a finire invece in qualche altra parte?

Betty sospirò. — Forse Sudduth ha ragione dopo tutto. L’unica cosa che dovremmo fare ora è di abbandonarci nelle mani di Dio, che si prenda cura di noi. Forse tutto quello che stiamo facendo non creerà altro che preoccupazioni e dolori.

Devan scosse il capo. — Non credo che Sudduth abbia ragione. C’è anche l’ammonimento che Dio aiuta coloro che si aiutano. E se noi non ci dessimo da fare, e non ci creassimo occupazioni, la vita qui sarebbe molto più penosa. Cosa sarebbe accaduto se Orcutt non avesse preso in mano le redini della situazione, dandoci così uno scopo?

— Sarebbe stato spaventoso.