Devan aveva appena chiuso dietro di sé la pesante porta del suo ufficio quando gli apparve il volto di Edmund Orcutt.
A Orcutt non sfuggiva quasi mai niente e Devan ebbe quindi la certezza che fosse già informato della sua presenza. Se lo vide venire incontro con un sorriso sincero sul viso amichevole e per nulla stupito, almeno apparentemente, di vederlo lì.
— Benone, Devan — esclamò il vecchio con calore, lasciandosi alle spalle il corridoio che portava ai vari uffici esecutivi e avvicinandosi a passi silenziosi per via del tappeto che copriva l’atrio. — Che sorpresa!
Devan lasciò che gli stritolasse la mano come se non si fossero visti da un anno. Era uno dei principi di Orcutt questo della mano, convinto com’era che non si può mai sapere il momento in cui la mano che voi stringete oggi può divenire la mano che vi aiuterà domani. E Devan, sia pure controvoglia, doveva ammettere che più di una volta questa tattica aveva funzionato a favore della “Inland”; non si poteva davvero criticare la cerchia di amici influenti di Orcutt.
— Credevo che foste in Florida e proprio l’altro giorno ho chiesto alla signorina Treat se eravate partito. Mi disse infatti di sì.
Mentre parlava mise un braccio intorno alle spalle di Devan, guidandolo verso il corridoio. Si girò per un momento verso la segretaria che era nell’ufficio esterno. — Il signor Traylor e io vogliamo essere lasciati in pace, signorina Templeton.
Quando furono entrati nell’ufficio tutto rivestito in noce, Orcutt chiuse la porta e disse: — Che diavolo vi ha preso di tornare, ragazzo mio? Col tempo orribile che fa! — Si lasciò andare nella sua poltrona di cuoio e sorrise amichevolmente a Devan, dondolandosi lievemente.
— Lo sapete maledettamente bene perché sono tornato, Ed!
Orcutt sospirò, si mosse in avanti e cominciò a riempire la pipa.
— Mi spiace tanto che abbiate deciso di tornare, Dev. Una volta mi diceste di non essere indispensabile. Non credete che si possa fare a meno di voi per un po’? — Mentre accendeva la pipa, studiava Devan da sotto le folte sopracciglia scure.
— Ma un milione di dollari sono tanti, Ed! E in mano a Sam Otto!
— Così sapete tutto. Un giorno o l’altro vedrò di scoprire chi è che vi procura queste informazioni, anche se credo di avere già un’idea in proposito. — Orcutt sorrise. — Doveva essere un segreto. Ma c’è sempre qualcosa che sfugge. Avrei dovuto immaginarlo. Non c’era bisogno che tornaste. Dovreste essere in Florida a spassarvela. Avete ben meritato questa vacanza!
— Per lasciare che la “Inland” perda un milione di dollari?
Orcutt continuava a sorridere confidenzialmente e ciò urtava maledettamente Devan. Invece di avanzare delle scuse o tutt’al più delle spiegazioni, sembrava a Devan che il vecchio si divertisse.
— La “Inland” non perderà un solo centesimo, Devan!
— Lo potete scommettere. E sapete perché? La “Inland” non investirà un centesimo in ricerche da farsi fuori di qui.
— Credete?
— Ne sono sicuro. — Devan, che era stato in piedi sino a quel momento, si sedette su di una sedia di pelle che scricchiolò nell’accoglierlo. Tirò a sé un’altra sedia e vi appoggiò i piedi.
— Quando è la riunione del Consiglio di amministrazione?
— Oggi pomeriggio. Ne sapete qualcosa? Davvero sorprendente come sappiate tante cose, dal momento che eravate lontano.
— Questo pomeriggio, eh? Non state un po’ forzando i tempi?
— A dire il vero, intendo procedere il più velocemente possibile.
— E che cosa fareste se io presentassi un ricorso per l’annullamento dell’accettazione del Comitato esecutivo?
— Sarebbe sciocco da parte vostra, dal momento che la decisione è già stata presa dal Comitato.
— Non ditemi comunque che Tooksberry ha votato a favore.
— No, questo non lo posso dire.
— Bene, allora l’assemblea dovrà ammettere che si tratta di un abuso, dal momento che la riunione si è tenuta in mia assenza.
— Ma ciò non conterà. Il fatto che voi foste fuori città ha costituito una sfortunata circostanza.
— Voi avete aspettato che io fossi via.
— Un momento, Devan! — Orcutt si tolse la pipa di bocca e le ceneri si sparsero fuori. Gli occhi erano freddi e gli angoli della bocca si erano irrigiditi. — Non è da voi dire queste cose, assolutamente. E poi non è vero — disse duramente.
— Ebbene, volete spiegarmi allora perché tutto ciò è accaduto subito dopo la mia partenza?
— Vorrei saperne quanto voi, per parlarci francamente. Nel caso voi non ne foste a conoscenza, vi dirò che si è trattato di una decisione improvvisa.
Devan rise senza allegria. — Mi par di vedere Sam Otto che aspetta che io sia partito per correre qui a vendervi una delle sue stupide idee.
Sentiva la rabbia aumentargli in corpo, così si alzò e si diresse verso i due oblò gemelli, premette il bottone che faceva girare gli schermi di polaroid e poté guardare nella sala di montaggio.
In questa stanza venivano montati piccoli intricati cervelli per proiettili comandati, parti per macchine calcolatrici; invenzioni sorpassate come il “radar” accanto a meccanismi elettronici che ancora il pubblico ignorava. Questa era solo una parte dell’impianto. C’erano altre parti in cui venivano costruiti pezzi catalogati per la vendita al pubblico. E c’era una stanza nella quale la “Inland” stava realizzando una macchina che incorporava il metallo radioattivo, secondo le specificazioni governative e neanche Orcutt aveva idea a che cosa potesse servire, se fosse completa in se stessa o parte di un meccanismo più complesso. Ciò era sul piano dove si svolgeva la massima parte delle ricerche.
Orcutt si schiarì la gola. — Capisco le vostre perplessità, Devan. Nemmeno io ho fiducia in Sam Otto. Ma potreste rendervi subito conto che non è un’idea stupida.
Orcutt non scherzava. Sembrava proprio convinto fino in fondo di quanto diceva. Devan pensò che vi dovesse essere un segreto accordo fra Edmund Orcutt e Sam Otto.
— Ascoltate — disse Devan, girandosi dalle finestre che si stavano oscurando. — Conosco Sam Otto meglio di voi. È da anni che lo conosco. Ha cercato di vendermi congegni, sorprese e “mirabilia” fin da quando entrai professionalmente nel campo dell’elettronica, nel 1940. Non mi ha mai perduto di vista, neanche quando ero sotto le armi, aspettando che tornassi per sottopormi questa o quell’altra idea. E assolutamente nessuno dei suoi strambi progetti è mai valso una cicca. Vi si appiccica addosso con un progetto, si piglia il cinque per cento, poi taglia la corda e si dà subito d’attorno per trovare qualcun altro da imbrogliare.
— Voi piacete a Sam Otto — disse Orcutt.
— Per lui sono sempre stato un potenziale lattante. Non si può permettere di non avermi in simpatia.
— Gli spiacque molto di non trovarvi alla riunione.
— Non lo metto in dubbio. — Devan fissò acutamente Orcutt. — Quale è stato il vostro prezzo in questa faccenda?
Orcutt sfoggiava ancora il suo sorriso. — In tutto e per tutto, Devan.
Devan alzò le mani: — Mi arrendo. Mi siete sempre piaciuto, Edmund. Ma adesso non vi capisco.
Orcutt aprì un cassetto. Ne tolse alcuni fogli di carta.
— Avete detto cinque per cento. Guardate un po’ questo contratto. Non è ancora firmato, ma lo sarà, dopo la riunione del Comitato, questo pomeriggio. Vi risparmierò tempo annunciandovi che non troverete il nome di Sam da nessuna parte. E sapete perché?
— Ne sono impaziente.
Orcutt si allungò attraverso il tavolo. — In questa faccenda non piglia un centesimo.
Devan prese i fogli, li scorse attentamente, esaminò tutti i paragrafi. Un uomo di nome Costigan doveva prendere un milione di dollari per un esperimento che lui stesso avrebbe diretto.
Devan gettò di nuovo le carte sul tavolo.
— Benissimo — disse. — E che cosa ci sta a fare allora Sam in questa faccenda?
— Sam crede in questo progetto. Come ci credo io.
Devan borbottò. — Devo vedere per crederci. Può darsi che questo dottor Costigan abbia venduto a lui qualcosa. Sarebbe divertente dopo tutti questi anni! Vendere a Sam un’astronave!
— Un’astronave? — Orcutt lo fissò un momento, poi sbottò a ridere così di gusto da avere le lacrime agli occhi.
— Questa è veramente grande. È la cosa più divertente che abbia sentito da anni. Il vostro informatore non è stato esatto, ma adesso capisco come ciò sia accaduto. Se solo sapeste, morireste dal ridere anche voi.
— E che cos’è allora? — chiese Devan, arrossendo.
Orcutt si ricompose. — Non posso proprio dirvelo, Devan. È una cosa segretissima e tutti ci siamo accordati di non parlarne in privato.
— Volete sapere allora la mia opinione? Per me questo dottor Costigan e Sam Otto vi hanno abbindolato. — Devan stava proprio seccandosi.
— Potete pensare quello che volete, Devan, ma desidero fare con voi un giretto.
— E dove?
— Nel laboratorio del dottor Costigan.
Devan non si mosse. — Ho grandissima stima per voi Ed, ma è veramente assurdo che non si possa parlare di un affare nel quale la compagnia è impegnata, nell’ufficio di questa compagnia e alla presenza di un membro del Comitato esecutivo. C’è dell’altro: perché non avete permesso alla signorina Treat di prendere lei gli appunti? Ve lo debbo dire io? Ebbene, non volevate che fosse in grado di mettermi al corrente delle vostre decisioni.
— Mi spiace, ma siete completamente fuori strada. Devan. Fu lei a non volere prendere le note, con l’intenzione di dare ai fatti una maggiore gravità, in modo di farvi ritornare immediatamente.
— Non vi credo. Perché mai la Treat avrebbe dovuto volere che tornassi? — Devan era veramente esasperato. — Dite cose prive di senso, Ed.
— Per amor del cielo, Dev. Ma siete cieco? Non capite che la ragazza è innamorata di voi? Ce ne siamo ormai accorti tutti e ci siamo resi conto della situazione.
— Beatrice Treat? — Devan rise. — Ma no, Ed, non può essere. Io sono sposato e ho due bambini.
— Forse che l’amore ragiona? Su, non siate così ingenuo, Dev. Non ha fatto che smangiarsi da quando siete partito per la Florida e ha fatto di tutto per farvi tornare.
— Ma ne ha avute tutte le ragioni, amore o no. Sapeva benissimo che l’idea di un milione di dollari gettati dalla “Inland” per un capriccio, non mi sarebbe andata.
— Dal momento che ci stiamo parlando francamente, Dev, vi voglio dire una cosa. Siete troppo sicuro di voi stesso, troppo convinto di sapere tutto. Ora vi dirò che il mio futuro dipende da questa avventura. — Scosse la cenere della pipa. — Potremmo andare subito da Jimmy e chiedergli la sua opinione su ciò. o da Glenn e vedreste subito la loro reazione. Ma meglio di tutto è che vediate la cosa con i vostri stessi occhi. Sapevo che sareste venuto e ho già disposto tutto. Su, venite.
Il caseggiato nel quale si trovava il congegno era una vecchia costruzione di mattoni che, secondo Devan, doveva essere rimasta inutilizzata per tre anni almeno. Fecero il giro della casa più volte nella Cadillac di Orcutt, che imprecava a bassa voce perché non c’era il pur minimo spazio per parcheggiare la macchina.
— C’è gente che mette la macchina qui e ha il proprio lavoro al Loop — disse Orcutt, girando con la macchina intorno a un altro angolo. — Quando verremo qui a lavorare, ci occorrerà dello spazio per parcheggiare le macchine della compagnia. Non vedo come.
Devan stava zitto. E, sebbene non volesse pregiudicare il progetto in corso, pure il suo intuito gli diceva che vedeva giusto. Anzitutto, di qualunque cosa si trattasse, non vedeva perché ci si dovesse allontanare così dalla “Inland”. C’era un sacco di spazio per le ricerche là, e non esistevano problemi di parcheggio. Bisognava ora vedere di che razza di progetto si trattasse.
Finalmente parcheggiarono a due isolati di distanza e si diressero su uno strato di neve indurita che ricopriva i marciapiedi. Avvicinandosi alla costruzione vuota, sorpassarono una taverna e un negozio di idraulico, nell’interno del quale si intravedevano attraverso luridi vetri, rubinetti, tubi e accessori vari ammucchiati in un disordine caotico. Vicino c’era una tipografia con la sua piccola mostra di campioni di stampa, quindi una nitida facciata dipinta di bianco portava la scritta “Missione per i derelitti (di Sudduth)”. In vetrina c’era una Bibbia aperta, e una piccola luce ne illuminava le pagine. La porta accanto era quella di una drogheria, la drogheria Hodge, illuminata a malapena, e dai cui vetri appannati non si riusciva a vedere l’interno.
Sotto il cornicione istoriato che sovrastava i cinque piani del palazzo accanto, spiccava la seguente scritta a lettere dorate, ben centrata nel senso della lunghezza: “Rasmussen — Stove Company”, il tutto su uno sfondo filigranato. Le lettere avevano un aspetto disordinato: la continua esposizione le aveva scolorite e smollate, erano l’una addosso all’altra, e mancava l’ultima lettera. Devan si chiese dove fosse andata a finire.
— Non mi risulta che facciano materiale da riscaldamento da vent’anni — disse Orcutt. — Durante la guerra vi si facevano strumenti da lavoro come pinze e ceselli. Andiamo!
Si avvicinò alla porta d’ingresso e bussò. Devan notò sulla vecchia porta una serratura nuova. Poi la porta si aprì di pochi centimetri dai quali fece capolino, osservandoli, un vecchio tutto intabarrato con sciarpa e copriorecchi.
— Sono Edmund Orcutt. Sono atteso dal dottor Costigan.
Il vecchio tolse la catena, aprì la porta e si pose davanti all’ingresso ostruendo il passaggio.
— Documenti di identità — disse.
— Documenti?
— Per essere ben sicuri — disse il vecchio, senza muoversi. — Il signor Otto ha detto di accertarsi.
— All’inferno Sam Otto — brontolò Orcutt, togliendo dalla tasca il suo biglietto di visita e mostrandolo all’uomo.
— E lui chi è? — disse il vecchio indicando Devan.
— È con me.
Il vecchio scosse la testa dubbiosamente. — Non so… Il signor Otto…
— Ma io sì. Dobbiamo entrare. Fuori fa freddo.
— Ma dentro non è più caldo. — Si fece da parte e quando i due furono scivolati dentro, disse: — Un momento. — Poi, dopo che ebbe richiusa la porta e rimessa a posto la catena, li invitò a salire con lui.
Nello stabile sembrava ancor più freddo che all’esterno, proprio per quel senso di gelo che si avverte nelle case non riscaldate. La piccola stufa a petrolio che il vecchio teneva accanto a sé non scaldava affatto. Il fiato dei due formava effetti bizzarri nell’aria, mentre essi proseguivano con il vecchio, camminando sopra un pavimento sconnesso, verso il cupo retro della casa. Qui salirono vecchie scale che scricchiolarono sotto il loro peso con un suono ingigantito dal vuoto che regnava intorno.
Al secondo piano c’era una specie di capannone in legno con nitide finestre e all’interno vibrava una luce fluorescente. Dal tetto partivano diverse serie di fili elettrici intrecciati. Devan non riuscì a vedere nessuno all’interno della costruzione, mentre seguendo il vecchio la fiancheggiavano; ma, giunti vicino alla porta, che era aperta, Devan scorse Sam Otto.
Era sempre lo stesso Sam Otto, tondo e panciuto, dall’espressione gioviale e con l’immancabile sigaro che gli pendeva dalle labbra. Stessi occhi brillanti, stessa cordialità e, si disse Devan, la stessa loquacità.
— Devan, Devan! — Sam lo accolse molto calorosamente, tributando nel contempo una festosa accoglienza anche a Orcutt. — Dottor Costigan, abbiamo visite — disse. — Entrate, c’è posto per tutti! Fa freddo fuori. — E al vecchio: — Bene Casey, andate pure.
Sam era eccitato e compreso. — Io vi conosco, Devan. Voi non ci crederete. Ma neanche il signor Orcutt ci credeva, vero Orcutt? — Rise e gli diede una gomitata d’intesa. — Stavolta ci sono. — Ma prima di continuare ritenne opportuno togliere Devan dal visibile imbarazzo in cui si trovava presentandogli l’altra persona che ancora non conosceva.
— Dottor Costigan, questo è Devan Traylor. Devan, voglio che conosciate il dottor Costigan. Sarebbe meglio chiudere. C’è un termosifone ma non si sente il caldo con la porta aperta.
Devan diede la mano a un uomo alto e sottile, dai radi capelli e dai lucici occhi grigi. La sua mano era molle e stava un po’ curvo, come se la sua altezza lo mettesse a disagio. Dimostrava sessant’anni circa.
— Molto lieto — disse il dottor Costigan. Aveva una voce bassa e garbata e tutto il suo contegno denotava un uomo timido. — Lavorate alla “Inland”, signor Traylor?
— Se è alla “Inland”? — Sam si alzò e diede a Devan un amichevole colpetto sulla spalla. — È solo uno dei direttori, dottore! E per di più un membro regolare del Comitato esecutivo.
Lo scienziato lo guardò con maggior interesse.
— Era in Florida — Orcutt spiegò, togliendosi il cappotto. — Tornò quando seppe del progetto.
— Oh, sì, l’assente — sul volto di Costigan comparve un fugace sorriso. — Mi ricordo infatti che ne mancava uno.
— Non avevate avvertito il dottor Costigan che saremmo venuti? — chiese Orcutt a Sam con aria un po’ seccata.
— Mai disturbare il dottore per cose da poco — disse Sam. Poi rise. — Non che Devan sia cosa da poco. Anzi. Ma il dottore ha già tante cose cui pensare. Così ha saputo della vostra venuta quando vi ha visto arrivare.
— Volevo solo vedere il dottore per fargli sapere le mie decisioni — disse Orcutt.
— Ma certo — rispose Sam. — Naturalmente. Il dottore lo sa, vero, dottore? — Il dottor Costigan si limitò ad alzare le sopracciglia e sembrò che stesse per dire qualcosa, quando Sam riprese: — Come siete stato, Devan?
— Meglio di così… — Devan rispose, avvertendo la penosa sensazione che stava perdendo del tempo. La cosa si stava facendo sempre più ridicola. Si pentiva di essere lì. — Sono dell’idea che sia il momento, Sam, di farmi vedere quel piccolo aggeggio che ha il potere di trasformare della carta bianca, con un semplice giro di manovella, in bigliettoni da venti dollari. Non credete? Si tratta di una fornace d’oro da cui escono diamanti autentici o mattoni d’oro?
— Sempre voglia di scherzare — rise Sam. — Il solito vecchio Devan. Grande burlone, sapete, dottore?
Sam tolse il sigaro di bocca e lo posò sul bordo della scrivania. — Come potevamo sapere che il signor Traylor sarebbe venuto, dottore? Così è la vita, imprevedibile. Una promessa è una promessa, lo so, ma non dobbiamo dimenticarci che il signor Traylor è un uomo importante alla “Inland”.
— Ma tutta questa gente! — Il dottore appariva preoccupato. — Ho detto che lo avrei fatto vedere una volta sola e voi eravate d’accordo.
— Ma dottore! Il signor Orcutt ha portato Devan fin qui per vederlo.
— Io non ce l’ho con voi, dottore — disse Devan. — Io stesso se avessi avuto qualcosa di molto importante e avessi deciso di non mostrarla, avrei agito ugualmente. Non ci sarebbe niente di male se non mi fossi già trovato molte volte in simili situazioni con Sam.
— Un momento, Devan — disse Orcutt. — Mi spiace di essere il colpevole di tutto questo. Io ho promesso a Devan che avrebbe potuto vedere la macchina. — Poi, con espressione decisa, continuò: — Ma la deve pur vedere se vogliamo avere l’approvazione del Consiglio oggi pomeriggio! — Guardò il suo orologio da polso: — Sono le undici, la riunione è all’una e trenta, e ci sono un sacco di cose da fare.
Devan si lasciò cadere su una sedia, accese una sigaretta e li guardò tutti e tre con aria disgustata. — Sentite — disse — sono in affari da un sacco di tempo. E mi sembra improbabile che ci sia qualcosa di così sensazionale da meritare tutte queste esitazioni, a meno che non si tratti di una nuova superbomba. Perciò, tirate fuori questa faccenda e fatela un po’ vedere, o dirò al Comitato che cosa penso di tutta questa macchinazione.
— Devan — disse Sam con voce ferita — non sapete cosa state dicendo.
— È meglio che lo lasciate vedere, dottore — disse Orcutt — altrimenti la cosa sembra realmente senza senso.
Per un momento il dottor Costigan non si mosse dal centro della stanza e i suoi occhi apparivano pieni di furia repressa. Poi si ricompose e si diresse verso una porta che si apriva sull’altro lato della stanza.
— E va bene — disse, togliendosi una chiave di tasca e infilandola nel lucchetto.
Devan aveva una tremenda voglia di ridere, ma si trattenne. Si volse verso Sam, poi verso Orcutt e, vedendo l’espressione sorridente di questi, si chiese quanta parte di quella commedia fosse a suo favore. Dopo che il dottore ebbe aperto la porta, Devan schiacciò il mozzicone della sigaretta e seguì gli altri nel locale.
Era una piccola stanza, approssimativamente di tre metri per tre e cinquanta, illuminata da parecchie lampade fluorescenti tutt’intorno alle pareti. Lungo una di esse c’era un banco e sul muro sovrastante erano disposti, bene in ordine, alcuni strumenti familiari agli studiosi di elettronica.
Dietro il banco erano ammassati pezzi per radio e materiale elettronico, tra cui vari strumenti di controllo, un oscillografo, un trasformatore, uno stabilizzatore di voltaggio e vari accessori del genere. Se non fosse stato per la parete situata a destra, tutta piena di strumenti di più grosse dimensioni e di luci, bottoni, prese e misuratori, lo si sarebbe potuto scambiare per il laboratorio di un radioamatore, seppure di un tipo un po’ fuori del comune.
In un angolo della stanza il dottor Costigan era curvo sulla cassaforte. Con gesti rapidi stabilì la combinazione e aprì il pesante sportello.
Sam Otto tentò di aiutarlo, ma il dottore gli fece segno di stare indietro. — Lo maneggerò io — disse.
Costigan introdusse le mani con cura nella cassaforte e ne estrasse un lungo corpo metallico, che aveva tutta l’apparenza di un lucido razzo argenteo, di un trenta centimetri di diametro. La base circolare era perforata da un’apertura ad arco che proseguiva per tutta la larghezza del corpo metallico.
Il dottor Costigan avanzò faticosamente con l’ordigno tra le mani e tutti gli altri gli fecero largo. Lo sistemò sul banco, provocando un rumore sordo, e quindi, afferrandolo per l’estremità, lo pose in posizione verticale. “Be’, almeno ha l’aspetto di un’astronave” si disse Devan divertito. Beatrice Treat aveva detto giusto. Era alto circa un metro, e le luci vi si riflettevano con guizzi luminosi.
Il dottore appariva molto indaffarato; aprì un cassetto del banco e ne tolse un certo numero di rotoli di corda, che agganciò a sostegni lungo il fuso e che poi tirò fino a un pannello di sostegno. Mentre lavorava, le sue dita lunghe e sottili si muovevano con abilità e tutta la lentezza che Devan gli aveva attribuito era sparita. Una volta, quando Costigan si volse verso il pannello di misura, Devan ebbe modo di scorgere, alla luce delle lampade abbaglianti, l’espressione fanatica del suo volto.
Tutti seguivano con i nervi tesi le diverse fasi dell’operazione.
— Forse bisognerebbe aprire — disse Sam. — L’aria qui dentro è pesante.
— Lasciate la porta chiusa, per favore — disse Costigan. — Sono quasi pronto. — I contatori cominciarono a funzionare, gli aghi a oscillare e si avvertì uno scatto all’interno del congegno. Quindi un motore entrò in funzione, sprigionando un rumore sordo.
— E ora… — disse finalmente il dottore.
— E ora che cosa? — chiese Devan con sarcasmo.
— Aspettate — disse Sam.
— Per amor del cielo — disse Orcutt — date un minimo di fiducia al dottore.
— Ora, signor Traylor, se volete avere la bontà, prego — fece Costigan.
Devan si avvicinò al banco e Orcutt e Sam gli fecero posto.
— Vedete questo buco in fondo? — e Costigan indicò l’apertura ad arco alla base del fusto a forma di proiettile. — Guardateci dentro. Metterò le mie dita dall’altra parte. Così.
Devan si curvò. — Che io sia dannato! — disse.
— Che cosa avete visto? — chiese Sam sorpreso.
— Ho visto le due dita dall’altra parte!
— Sam ha ragione. Siete un tipo spiritoso, Traylor. E ora — il dottore si schiarì la gola: — Mettete il vostro dito nell’apertura.
Orcutt e Sam si fecero vicini per vedere, ma Devan esitò a eseguire ciò che Costigan gli aveva ordinato.
— Anzitutto, ditemi che cosa succederà.
Il dottore scosse la testa: — Assolutamente niente di male. Su, su.
Devan esitava ancora, guardandoli tutti e tre in attesa della sua decisione. Infine scrollò le spalle e mise il dito nell’apertura. Non sentì nulla, e dopo un po’ lo tolse.
— Tutti contenti? — chiese.
— Non avete osservato il vostro dito mentre eseguivate — protestò il dottore.
— Avanti, Devan — fece Orcutt con impazienza. — Non fate storie.
Devan mise il suo dito di nuovo vicino al buco. C’era spazio abbastanza non solo per il dito ma per la mano intera, ma vi introdusse solo un dito e attese.
A poco a poco il dito scomparve alla sua vista. Stupitissimo, lo tolse via e lo guardò. Era sempre intero. Il suo cuore accelerò le pulsazioni. Introdusse di nuovo il dito nella macchina e lo vide ancora sparire. Provò l’impressione che il dito si raffreddasse e lo toccò con l’altra mano. Era infatti gelido.
“È uno scherzo” Devan pensò. “Tra un momento mi rideranno tutti in faccia”. Si volse per osservare i presenti. Gli occhi di Costigan erano chiaramente ironici. Sam Otto lo guardava con una smorfia benevola. Orcutt aveva gli occhi accesi. Era chiaramente eccitato.
Devan si curvò e guardò di nuovo le pareti di metallo, facendo scorrere il dito intorno al bordo dell’apertura. Si trattava di una lavorazione accurata. Il metallo era pregiato.
Chiuse il pugno, quindi l’avvicinò all’apertura, e ve lo infilò, fino a che il suo braccio fu completamente dentro la macchina fino alla spalla. Allungò l’altro braccio per incontrare la mano dall’altra parte.
Ma la sua mano non c’era. Solo una manica vuota.
Terrorizzato, piegò il braccio dentro il canale interno e non trovò altro che aria dove avrebbero dovuto esserci le pareti del tubo. Poi sentì il freddo, come se avesse fatto passare il suo braccio fuori della finestra, attraverso un buco.
Scosse il braccio con rabbia. Era gelato.